Settant`anni senza averne l`aria

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Settant`anni senza averne l`aria
LUNEDÌ 14 GIUGNO 2010
L’ECO DI BERGAMO
15
➔ Spettacoli
“
Eravamo brutti anatroccoli anche come tuoi fan, Francesco, noialtri "neri dal
cuore rosso". Se ci fossimo incontrati forse sarebbe finita a manate, forse a lacrime
e abbracci. Poeta e bevitore, bandiera di chi "non ci stava" tra gli anni ’60 e gli
anni ’70, che non ha mai fatto soldi. Nessuno come te riesce ancora a esprimere
quel che sentiamo dentro, la rabbia e la delusione, l’amore e la speranza
“
Sono un passo oltre l’ammirazione per Francesco Guccini. Oltre il rispetto, oltre la
stima. Ora, oltre a tutto ciò, gli voglio bene. Chiunque avesse scritto e cantato ciò di
cui lui è stato capace assumerebbe la posa di chi ti fa pesare tale statura. Guccini
viaggia sul pianeta Terra. A livello del mare. O, al limite, a livello di Pavana. Con
le sue battute. La sua ironia. La sua modestia. Che di sicuro non è falsa
Franco Cardini
Ligabue
RITR AT TO
CCI
POETA ANARCOIDE
CANTAUTORE PIGRO
È UN’ISTITUZIONE
NNT
Auguri «Condivido i miei ricordi, quelli di Pàvana e di quando facevo il giornalista e suonavo nelle balere»
Settant’anni senza averne l’aria
Francesco Guccini festeggia il compleanno raccontandosi in un saggio-autobiografia
■ «Qui sotto c’è la casa dei contadini dei miei provvisa. Il rock ’n roll era più facile da suonanonni e poi c’era il campo che andava fino al re, anche se ancora non pensavamo di suonarfiume. E sul fiume c’era il mulino, mulino ad lo. Siamo andati a vedere un film di serie B,
acqua, che era uno dei tre mulini di Pàvana, ap- in cui un gruppo di giovinetti partecipa ad un
partenuti tutti per un certo periodo ai Guccini concorso: il film era una scusa per far vedere
o ai loro parenti... Negli anni della guerra io so- tanti gruppetti musicali. Era il 1957, era Modeno cresciuto in questo mulino, in questa casa na: uscimmo dal cinema stravolti, non tanto dal
isolata, ma agitata e vivacissima, perché abi- rock ’n roll, ma pensando di trascorrere due metata e frequentata da molti parenti che com- si in un campeggio. Ci siamo guardati in faccia
e abbiamo detto: facciamo anche noi un componevano la classica famiglia patriarcale».
Così Francesco Guccini, che oggi compie set- plesso. Non per il nobile desiderio dell’arte, non
tant’anni, scrive nella sua autobiografia, intito- per la forza rivoluzionaria del rock ’n roll, ma
lata con un verso della sua canzone più nota, per la forza rivoluzionaria di duemila scout
La Locomotiva, «Non so che viso avesse» (Mon- in un campeggio americano».
dadori, pagine 225, euro 18).
Fu l’avvio di tante serate in cui lei suonava e canIl libro è scritto a quattro mani con il profes- tava indossando una giacca di lamè. Perché una
sor Alberto Bertoni, che ne cura la
giacca di lamè?
seconda parte, dedicata a «Vita e
«Suonavo e cantavo ben distacopere di Francesco», cose di cui il
cato dal resto del gruppo, e per quecantante per pudore e ritrosia non
sto avevo una giacca di lamè, che riama parlare.
saltava su quelle indossate dagli al«Saltando un po’ qua e un po’ là
tri che erano color zucchero bruciaLa mia prima
– spiega – ho tirato insieme i miei
to con pagliuzze dorate. La mia giacricordi. Qualcuno forse si aspettaca invece aveva pagode dorate con
chitarra...
va una storia della mia vita molto
draghi: molto bella. Esiste ancora,
avevo fatto
impostata sul gossip, magari quancredo. Penso sia rimasta a casa di
te ragazze ho avuto, cose così, ma
un amico dopo una festa dell’ultidei segni
non ci siamo, mi dispiace, magari
mo dell’anno. Si sarà ristretta (o io
con dei
ne scriverò un altro: sono ricordi
mi sono allargato...), ma mi piacepuntini per
che saltano fuori da soli, Pàvana,
rebbe rivederla. Era una bellissima
Modena un po’, quando facevo il
giacca. Alle prime occupazioni del
vedere
dove
giornalista alla Gazzetta, quando
’68 eravamo tutti in giacca e cravatsi mettevano
suonavo nelle balere dell’Emilia Rota. Qualche anno dopo c’era l’eskimagna, con un gruppo che allora si
mo e i capelli lunghi. Ma le prime
le
dita
chiamava complesso. Siamo stati
erano in giacca e cravatta».
anche a suonare all’estero, nella
E poi comprò la prima chitarra.
Svizzera tedesca, a Zofingen, tra Ba«Alla fine dell’estate di quello
silea e Zurigo, un esperimento che ha segnato stesso anno, il 1957, con 5.000 lire ottenute dalla mia vita. È stato il mio primo viaggio all’este- la gentilezza di una nonna munifica, avevo
ro visto che non ero mai stato nemmeno a San commissionato una chitarra a un falegname di
Marino. Giunti a Zofingen dopo un viaggio av- Porretta Terme, un tale Celestino. Ritirata la chiventuroso con un tassista spericolato in mezzo tarra andai a casa e cominciai a suonare. Avevo
alla neve, avevo voglia di baciare la terra come fatto dei segni con dei puntini per vedere dove
fa il Papa quando arriva in un Paese straniero, si mettevano le dita. Alla fine della giornata acper gli scampati pericoli. E poi la sorpresa: ve- compagnavo Only You e quasi subito mi sono
demmo che il nome del nostro gruppo, che si messo a scrivere le mie canzoni. La prima, che
chiamava "I Gatti", era stato cambiato in "I fusti nessuno fortunatamente conosce, si chiama Anall’italiana"».
cora e lo schema dell’accompagnamento armonico era uguale a quello di Only You. La feci
Com’era nata l’idea del gruppo?
«Mi sono messo a suonare la chitarra, era l’e- sentire alla mia professoressa di pianoforte,
poca del rock’n roll e questa musica fu una ve- quando per due mesi e mezzo lo studiai alle mara rivoluzione che spezzava il tipo di musica gistrali (scelsi il corso perché era frequentato da
che si era fatta fino ad allora. Noi avevamo un molte ragazze). La professoressa mi disse: anvantaggio perché facevamo anche jazz, ma per ch’io ogni tanto credo di aver scritto una cansuonare jazz bisogna essere capaci: non si im- zone, poi mi accorgo che è copiata. Ma non finì
“
con quel verdetto la mia carriera di autore, perPer molti cantautori il concerto è sempre legato
ché poi ne scrissi un’altra e un’altra ancora».
a un contesto molto limitato. Il concerto quasi coCominciava già a cambiare qualcosa in campo me liturgia. Lei riempie i palasport, ma qualcuno,
nei palasport, fu contestato. Memorabile il caso di
musicale?
«Già Sergio Endrigo e Gino Paoli comincia- De Gregori al Palalido di Milano. Anche lei qualche
vano a fare delle canzoni diverse. Erano canzo- volta è stato contestato?
ni d’amore come quelle vecchie di Sanremo, e
«Mi hanno contestato solo una volta a Veciò allargò un po’ la mia ricerca, mi guardavo rona, c’erano dei radicali che si misero a proin giro, ascoltavo italiani e francesi. È difficile testare perché erano rimasti fuori e successe
scrivere senza aver letto niente. Se uno legge un battibecco che durò tutta la sera. Quando
molto o ascolta molto riesce a scrivere qual- sono uscito, li trovai che avevano raccolto dei
cosa. Ascoltavo le canzoni anarchiche e po- sacchi d’immondizia per tirarmeli addosso:
polari e poi è arrivato Bob Dylan, mi sono mes- io mi sono avvicinato con fare minaccioso, loso su questa strada, ho fatto nuove canzoni e la ro si sono tirati indietro e non è successo nienprima è stata Ti ricordi quei giorni. Un’amica te».
mi aveva fatto sentire un disco di Jacques Brel
È difficile cantare in pubblico?
e rimasi schienato: questa è una bel«Non so se si può parlare di difla canzone dissi, andai a casa e cerficoltà, però io non volevo esibirmi
cai di fare qualcosa su questo stiin pubblico. Ma a Varese, tanti anle. E poi arrivò l’ondata hippie e poi
ni fa, dove mi avevano invitato per
Auschwitz, Noi non ci saremo...».
una serata, mi ritrovai in un palazzo dello sport con mille persone,
E il suo gruppo?
Mi hanno
che per me erano tantissime. Allo«Gli amici con i quali suonavo nel
ra mi sono terrorizzato, ma a poco
frattempo si erano costituiti nel
contestato
poco ho vinto le mie titubanze e
gruppo Equipe 84 e uno era divensolo una volta, asono
arrivato a fare due concerti neltato l’arrangiatore dei Nomadi. Lui
a Verona. Un
la stessa sera. Lo facevano anche i
e l’arrangiatore dell’Equipe 84 s’inBeatles, ma loro erano in quattro, io
vidiavano a morte e venivano semgruppo di
ero da solo. I concerti migliori sapre a casa mia per vedere se avevo
radicali
rebbe meglio farli d’estate. Qualcudelle canzoni nuove. Dopo Auno l’ho anche fatto, ma si sta così
schwitz però l’Equipe 84 non ha fatrimasti
fuori:
bene a Pàvana d’estate. E poi viagto più nulla di mio. Avevo dato loli affrontai, se
giando spesso capitano cose strane.
ro anche Un altro giorno è andato,
e poi Dio è morto. Non piacquero a
Per esempio?
ne
andarono
Vandelli che disse: "Si vede che
«Una volta a Genova ero con
Guccini non ha più niente da dire".
Claudio Lolli, lui aveva appoggiaForse non la fecero perché avevano
to un suo giubbetto su una sedia,
paura della censura. Così cominciai la mia col- e quando finì il concerto, il giubbetto non c’era
laborazione con i Nomadi e la loro casa disco- più. Amichevolmente qualcuno l’aveva preso
grafica mi offrì il mio primo contratto come au- per ricordo. Nelle tasche c’era tutto, compretore e non come cantante. Tornai a casa da mio se le chiavi della macchina. È arrivato uno che
padre tutto felice e gli dissi che avevo un con- è riuscito ad aprirci la macchina e a metterla in
tratto da centomila lire al mese. Lui mi guardò moto e siamo partiti per Bologna grazie all’aiue disse: "Ma quanto durerà?". Mio padre era di to di quello che, sicuramente, era un ladro d’aucultura montanara e tendeva molto al realismo». tomobili».
È vero, come vuole la leggenda, che ha scritto «La
Come nasce una canzone?
locomotiva» in 20 minuti?
«Come nasceva, perché non ne scrivo può.
«Si, è vero, m’è venuta di getto. E mentre la Nasce da un’idea, poi provo a tradurre in qualscrivevo prendevo appunti per le strofe succes- che modo con le parole – io scrivo sempre assive. Si vede che avevo letto molto Carducci e sieme parole e musica. E da tempo uso il comsentito molti canti anarchici. Ma è stato proprio puter, che è meglio. Il primo l’ho comprato a
così. Quando l’ho registrata non sapevamo be- metà degli anni Ottanta quando stavo scrivenne come concluderla, perché un conto è far cor- do il dizionario di lingua pavanese. Il compurere un treno sulle rotaie, un conto è farlo cor- ter è un grande mistero».
rere su un disco».
Francesco Mannoni
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di UGO BACCI
Da giovane voleva fare lo scrittore, poi gli è capitato di scrivere canzoni: materia ritenuta più
immediata per accedere all’universo femminile. È diventato un cantautore di parte, capace
di attraversare gli anni della politica senza piegarsi a leggere volantini. Francesco Guccini è anche uno scrittore di successo, sebbene vecchi e
giovani fan siano più disposti ad accordargli affetto e devozione quando intona La locomotiva,
alle fine di ogni concerto.
Il Maestrone è un’istituzione: il grande vecchio
della canzone d’autore italiana, poeta anarcoide,
cantautore pigro ai limiti dell’indolenza. Ora che
compie settant’anni sembra quello di sempre.
Sarà per via di quei manifesti, gli stessi dagli anni ’70, della ritualità quasi seriale dei concerti, sta
di fatto che Guccini sembrava già vecchio quando aveva trent’anni. Anzi, ora che ne ha tanti di
più sembra un ragazzo, per lucidità, dinamica
mentale, per il guizzo di un’intelligenza arguta
e sorniona.
La sua vita, come quella di tutti, è un racconto lungo, con qualche spunto in più rispetto alla media. Le canzoni, i romanzi, i saggi, i racconti: Guccini è un affabulatore, contento di scoprire che su Internet i giovani gli scrivono e lo lusingano a modo loro. La rete per Guccini è un buco
infernale che fa perdere tempo, anche se il computer è diventato compagno di confidenze in questi ultimi anni.
Scrivere, raccontare, al di là delle note, non è
che l’estensione di una comunicazione coltivata nel tempo con maestria artigiana. Quando era
poco più che ragazzo ha fatto il giornalista, poi
l’insegnante, alla fine s’è messo a scrivere canzoni che hanno dato la svolta alla musica italiana. La lezione l’ha appresa ascoltando gli «americani», Bob Dylan, Woody Guthrie, apprezzando l’amarezza intensa di Leonard Cohen, ma ha
messo del suo nelle canzoni. Ha preso a prestito gli accordi del folksong e tradotto in musica gli
appunti presi a tutte le ore del giorno. Le canzoni sono tutte nate su foglietti volanti, e mai per l’esigenza della vecchia casa discografica, la Emi,
sempre e solo quella. Non c’è stato assillo di scadenze a fargli chiudere un pezzo in fretta e furia.
I versi e gli accordi arrivano quando arrivano, si
prendono per mano e poi la canzone nasce, con
calma.
La diversità tra il cantautore Guccini e tutti gli
altri in fondo è lì. In tanti anni l’uomo di Pavana
ha distillato un pugno di canzoni, qualche poesia da antologia, una discografia esemplare che
fa da spina dorsale alla musica italiana. Tournée
sempre meno massacranti, niente televisione,
la scelta di apparire in disco quando c’è qualcosa da raccontare, quando le solite otto canzoni sono pronte ad entrare nel cuore di un pubblico che si è rinnovato negli anni. «Scrivere una
canzone è più difficile – spiega – al di là del valore che può avere una pagina scritta, la canzone è
sintesi, mentre in prosa puoi andare avanti menando il can per l’aia. La canzone invece deve essere sintetica, e chiudere i concetti in strofe».
Ora di chiudere altre strofe Guccini non ha gran
voglia, anche se promette nuove canzoni, a tempo debito. Quando arriveranno agiteranno ancora una volta il vessillo della storia, reciteranno
una poesia, imbracceranno un’altra utopia.