Lo stage di Iaido a Sportilia di Giorgio Zoly

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Lo stage di Iaido a Sportilia di Giorgio Zoly
KI – Kendo iaido..on Line
Numero 31 – Settembre 2010
Il Concetto di Kata nelle Vie Marziali moderne:
una analisi comparativa tra Judo e le Vie
Marziali della spada, Kendo e Iaido
Tesi per l'esame
sessione 2009 di 5° Dan
di Judo
di
Giorgio Zoly
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Introduzione
Nella trattazione che segue si analizzerà il metodo di pratica dei kata del Judo, confrontandolo
con quello di altre Vie Marziali, ed in specifico quello proprio delle discipline di spada, ovvero il
Kendo e lo Iaido.
Lo scopo della trattazione è quello di individuare i punti comuni di quello che si può a buon
titolo definire “metodo kata”, dimostrando che le differenze, di fatto, sono relative
principalmente al puro aspetto tecnico delle diverse discipline, mentre tutto il resto presenta
una quantità di punti comuni molto più elevata di quanto si possa immaginare ad una prima e
superficiale analisi.
Si svilupperà l'elaborato dando una descrizione delle diverse Vie marziali analizzate, sia in
termini storici e tecnici che filosofici e culturali. Poi si definirà brevemente il concetto di Kata,
sia in generale come fenomeno culturale tipicamente Giapponese che specificamente per
ciascuna delle discipline trattate.
Dopo la sezione introduttiva generale di cui sopra, si passerà all'analisi comparativa vera e
propria.
Si analizzeranno una serie di aspetti, sia esteriori che interiori della pratica del kata in senso
lato, identificando I punti comuni tra il Judo e le discipline di spada.
In particolare, I punti trattati nell'analisi comparativa sono:
Il saluto
la tecnica
la progressione tecnica all'interno dei kata
l'uso dell'energia
la decisione (kime)
il kiai
la respirazione
il ritmo
la progressione morale e filosofica.
Si dimostrerà prima di tutto che I punti comuni tra le diverse discipline sono molti e con
similitudini non superficiali. Le similitudini sono dovute sia ad una base culturale comune che
ad una sorta di “contaminazione” tra diverse discipline.
Da questa analisi si potrà dedurre infatti che il Judo, capostipite delle Vie Marziali moderne, ha
influenzato molto le altre discipline sia, in parte, per i kata, ma specialmente per quello che
riguarda la loro impostazione generale, con il superamento del concetto classico di “Via”,
risalente al primo periodo Edo e limitato alla ricerca del perfezionamento del singolo, a favore
di una evoluzione più educativa, collettivistica e sociale.
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Questo tipo di analisi potrebbe essere estesa anche ad altre arti di combattimento, ad esempio
le arti di percussione, come il Karate Do, fornendo presumibilmente risultati convergenti con
quelli esposti in questa trattazione.
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Generalità
Le Arti Marziali Giapponesi hanno avuto una evoluzione lunga e complessa, che affonda le sue
radici nel passato militare del Paese in cui hanno avuto origine e sulla peculiarità di una
nazione che è rimasta in una condizione paragonabile a quella del Medioevo occidentale sino a
poco più di un secolo fa.
Se fino al periodo pre Tokugawa (approssimativamente metà ‘600) le Arti Marziali erano solo
ed esclusivamente metodi di combattimento necessari a una reale pratica militare, con il
periodo di pace interna dovuto all’avvento dei Tokugawa le varie necessità culturali e sociali
fecero si che si assistesse alla trasformazione dei metodi marziali (Jutsu) in Vie marziali (Do).
L’ultima e forse più importante rivoluzione nel modo di intendere le Vie marziali avvenne poi
nell’epoca Meiji, quando il Professor Kano Jigoro, fondando il Judo Kodokan, introdusse il
concetto (in parte basato su influenze occidentali) di “metodo educativo” che poi contaminò in
qualche modo anche le Vie marziali più classiche quali il Kendo (come vedremo anche in
maniera abbastanza diretta).
In ogni caso il substrato culturale e metodologico su cui si basano le Vie marziali Giapponesi
moderne è innegabilmente comune, e questa considerazione è fondamentale qualora si voglia
intraprendere una qualsiasi analisi comparativa delle diverse pratiche.
La pratica delle teniche marziali antiche (Jutsu) è da sempre stata basata sullo strumento del
kata.
Il concetto di “kata” inteso nell’accezione di “forma” è molto importante nella cultura
Giapponese in generale.
Troviamo infatti tale concetto, in modo più o meno esplicito, in tantissimi ambiti non marziali,
quali ad esempio la cerimonia del Tè o la calligrafia.
Senza addentrarci negli aspetti culturali della pratica formale, possiamo dire che nel caso delle
tecniche marziali antiche (Jutsu) l’uso di forme preordinate aveva due obiettivi fondamentali. Il
primo di tali obiettivi era quello di rappresentare un modo di trasmissione del corpo tecnico
proprio dell’arte, nonchè in qualche modo della sua evoluzione nel tempo (esula da questa
trattazione, ma ricordiamo che i kata sono, sia pure lentamente, sempre in evoluzione, come si
può ben vedere se compariamo dei filmati dei primi anni del ‘900 con quelli di oggi).
Il secondo scopo, con lo stesso livello di importanza, era ed è quello di fornire un metodo di
pratica nel quale i rischi di incidente fossero ridotti al minimo. La pratica di tecniche pericolose,
o l’uso di armi reali, rende infatti il combattimento libero decisamente sconsigliabile se si vuole
salvaguardare l’incolumità di chi vuole apprendere e perfezionare qualunque arte di
combattimento.
Con l’avvento delle Vie marziali moderne, inoltre, si è introdotto nella pratica del kata anche il
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concetto di “principio morale”, utilizzando le progressioni tecniche per trasmettere principii più
ampi e che abbracciano il comportamento dell’essere umano come soggetto morale e sociale.
Come che sia, la pratica del kata ha innegabilmente una matrice comune a tutte le arti marziali
Giapponesi, sia in termini metodologici che culturali.
Lo scopo di questa trattazione è, come abbiamo detto nell’introduzione, quello di cercare di
individuare i punti comuni e le differenze nel modo di intendere i kata in diverse Vie marziali.
Per questioni di brevità, e per la possibilità di attingere all’esperienza pesonale, la trattazione si
concentrerà sul Judo e sulle Vie della spada, ovvero Kendo e Iaido.
Lo scopo, se possibile, è anche quello di permettere un arricchimento della pratica, portando
da una all’altra delle discipline quegli aspetti, accorgimenti ed atteggiamenti che possano
essere utili e che nel tempo (dando ovviamente per scontato che ci fossero originariamente)
siano in qualche modo stati dimenticati.
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Le Vie marziali
Le vie marziali di cui ci occupiamo sono, come detto, il Judo, il Kendo e lo Iaido.
Per completezza di trattazione ne delineeremo nel seguito gli apetti salienti.
Judo
Il Judo, inteso per evitare confusioni come il Judo Kodokan del Professor Kano Jigoro, è basato
sulla più antica pratica del Ju Jutsu.
Il Professo Kano fondò il suo metodo basandosi sulla sua esperienza in due scuole di Ju Jutsu,
ovvero il Kito Ryu ed il Tenshin Shin’Yo Ryu da lui praticate in gioventù sotto la guida
rispettivamente dei maestri Tsunetoshi Ikubo e Hakinosuke Fukuda.
In buona sostanza il Judo ingloba un bagaglio tecnico proveniente da tali scuole, ed è un
metodo di combattimento completo, comprendente sia tecniche di lotta che di attacco e difesa
più puramente marziali, disarmate e anche armate.
Una delle grandi rivoluzioni del Judo fu l’introduzione, o meglio il perfezionamento del Randori,
ovvero l’esercizio libero nel quale è possibile praticare le tecniche a piena potenza, dato che il
corpo della tecnica è stato depurato da tutto ciò che in tali termini poteva essere pericoloso (a
differenza di quanto avveniva in esercizi simili in scuole più antiche).
Secondo le parole stesse del Professor Kano, il suo metodo è fondato sia sulla pratica del
Randori che del Kata. Con gli anni, e con la deriva sportiva della disciplina, alcuni aspetti
(atemi, studio dei punti vitali e dei kuatsu, uso delle armi) che erano parte integrante del
metodo iniziale si sono purtroppo in parte perduti o comunque sono diventati pratica rara, ed
anche la pratica del kata è stata spesso purtroppo relegata alla preparazione di esami o alle
dimostrazioni, dando un grande impulso all’aspetto più agonistico della lotta, ed in particolare
alle proiezioni e alla lotta a terra, quello che ai tempi del Professor Kano era indicato come
“taijutsu”, ovvero “Judo del corpo” e che allora era solamente l'introduzione alla vera pratica.
Negli ultimi anni, con l’avvento delle gare di kata il loro studio e la relatica pratica sono state in
qualche modo recuperate, anche se onestamente si deve riconoscere che il concetto di gara di
kata tende a snaturarne l’essenza e a far concentrare specialmente sugli aspetti esteriori della
tecnica più che sul messaggio che il kata vuole trasmettere (questo, purtroppo, vale sia per il
Judo che per lo Iaido, non esistendo gare di kata di Kendo).
I kata ufficiali del Judo Kodokan sono 7, e comprendono le tecniche di proiezione (Nage no
Kata), quelle di controllo (Katame no kata) le tecniche di combattimento reale (Kime no kata)
quelle di difesa (Kodokan goshin jutsu) l’uso della cedevolezza (Ju no kata) il bagaglio tenico
delle antiche scuole di Jujutsu (Ko shiki no kata) ed infine il legame tra le forze universali della
natura e le tecniche di Judo (Itsutsu no kata).
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Inoltre il Professor Kano definì e raccolse in un kata un metodo per l’allenamento fisico e al
combattimento che è poi riassunto nel Seyrioku zen’yo kokumin taiiku no kata.
Kendo
Il kendo è l’evoluzione in via marziale dell’arte di combattimento con la spada.
La modifica in via marziale risale di fatto a quando, approssimativamente a inizio ‘700, ( il
primo a utilizzare una shinai fu Naganuma Shirozaemon Kunisato nell'era
Shotoku ovvero l'inizio del 18° secolo) si iniziarono ad utilizzare protezioni e spade in bambù
(shinai) per combattere, sostituendo o integrando il combattimento con spade di legno
(bokuto) che poteva essere potenzialmente letale.
Va anche ricordato che tale periodo segue di poco la pacificazione forzata dovuta all’avvento
dello shogunato Tokugawa, quando come già detto la pratica militare vera e propria venne di
fatto bloccata dalla regolamentazione governativa e quindi la pratica guerriera assunse forme
differenti e più compatibili con la società civile.
Per tornare al Kendo, esso consiste nella scherma con la spada, e attualmente si pratica
attraverso un numero limitato di colpi, fondamentalmente quattro, ovvero colpire di fendente
il capo (men) il torso (do) il polso (kote) e la stoccata alla gola (tsuki).
In passato il Kendo comprendeva una tecnica più ampia e sino agli anni ‘50 la possibilità di
proiettare l’avversario, ma la riduzione delle tecniche possibili ne ha mantenuto, o se possibile
addirittura incrementato, le caratteristiche di Via marziale.
Mentre il Judo è basato, in ultima essenza, sulla percezione della intenzione dell’avversario
attraverso il contatto della presa, che si estrinseca come apice della tecnica nella realizzazione
di “sen no sen” ovvero dell’anticipare il movimento dell’avversario per prevalere su di lui,
(realizzando così il “miglior uso dell’energia, fisica e mentale”) nel Kendo il valore supremo è
dato al concetto di “seme”, ovvero la minaccia.
Con “minaccia” si intende un insieme di condizionamenti, sia portati con il movimento che più
specificamente mentali che fanno sentire all’avversario la pressione di un incipiente attacco e
lo costringono ad agire.
Il concetto di “finta”, almeno dal punto di vista fisico può lontanamente assomigliare al seme,
ma in realtà esso si basa, quando ci sono, su movimenti appena accennati e magari molto
lenti, in cui l’atteggiamento psicologico diventa in pratica determinante.
Anche la velocità dei colpi, molto più alta che nelle tecniche della lotta, fa si che non si possa
realmente “reagire” ad un attacco efficacemente se non si è riusciti in qualche modo a
prevederlo o, meglio, a provocarlo ad arte.
Attraverso seme si condiziona l’avversario ad agire secondo le nostre intenzioni, e quindi lo si
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coglie nella apertura (suki) che si crea di conseguenza. Molto importante è, data la distanza a
cui si combatte, anche la percezione delle debolezze dell’avversario, ed anche in questo caso
l’aspetto mentale prevale su quello fisico.
Il Kendo comprende anch’esso, ovviamente, la pratica di kata. Si tratta di un totale di dieci
tecniche di cui sette eseguite con la spada lunga e tre con la spada corta.
I kata del Kendo, come sono intesi oggigiorno, sono frutto di una lunga evoluzione che ha
avuto compimento nei primi decenni del ‘900, con la selezione di tecniche provenienti dalle
antiche scuole di spada e la loro sistematizzazione.
Culturalmente, se si analizzano i principi ispiratori, si possono rilevare linee comuni di sviluppo
tra Judo e Kendo, e probabilmente per quanto riguarda la definizione dei Kata ambedue le
discipline hanno avuto influenze dalla situazione peculiare del periodo Meiji. Inoltre, come
accenneremo nel seguito, lo stesso Professor Kano ebbe una parte diretta nella definizione dei
primi kata di Kendo.
Iaido
Lo Iaido, delle tre Vie marziali di cui ci occupiamo, è quella più atipica e forse per certi aspetti
la più pura in termini, appunto, di “Via”.
Iaido significa, letteralmente, “la via dell’unione dell’energia”. In termini pratici si tratta
dell’arte di combattere con la spada, ma partendo con la spada ancora nel fodero a differenza
del Kendo che la presuppone già sguainata.
Se vogliamo essere più chiari, lo Iaido è l’arte di sguainare la spada, colpendo allo stesso
momento uno o più avversari e continuando poi il combattimento sino ad aver prevalso su
tutti.
Si pratica con una spada vera (katana, o più propriamente “shinken” - spada viva-) o, ai livelli
più bassi o per esigenze di allenamento, con una spada non affilata (detta Iaito o mogito).
Il fatto che si utilizzi un attrezzo comunque pericoloso o addirittura letale fa si che la pratica sia
esclusivamente per mezzo di kata, non potendo opporre due avversari per ovvie ragioni. In
alcune scuole antiche si utilizza anche la pratica dell’esecuzione a due con spada di legno, nella
tradizione delle scuole di kenjutsu, ma questo tipo di pratica è molto poco diffusa ed esula
dallo Iaido standardizzato su cui ci si concentrerà nel seguito in maniera preponderante.
Questo condizionamento implica comunque una serie di aspetti sia pratici che metodologici che
rendono la pratica dello Iaido estremamente peculiare.
Lo sviluppo dello Iaido come tecnica (IaiJutsu) risale ancora al 500-600, periodo nel quale l’uso
della spada Giapponese vide la diffusione della tachi, spada portata al fianco con il filo verso il
basso e fondamentalmente adatta ad essere utilizzata a cavallo, essere soppiantata dalla
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katana, indossata con il filo verso l’alto e più adatta ad un uso a terra.
L’indossare la spada con il filo verso l’alto e la curvatura meno accentuata della lama (o meglio
costante lungo la lama e non più accentuata verso il forte della lama), infatti, permettono di
estrarre la medesima con un movimento che consente di tagliare immediatamente dall’alto
verso il basso (o anche orizzontalmente e, sia pure meno frequentemente, dal basso verso
l’alto) e questo rappresenta un vantaggio notevole in termini di utilizzo “civile” dell’arma,
specie in situazioni di difesa da agguati o nel caso di uso da parte di guardie del corpo o sicari.
Trattandosi di una disciplina basata su un gran numero di scuole antiche, molte delle quali
ancora vitali ai nostri giorni, la sistematizzazione dello Iaido è passata attraverso una
standardizzazione della tecnica, con lo scopo di fornire una base comune di pratica e confronto
ai praticanti delle diverse scuole.
In realtà, tale standardizzazione fu voluta dalla ZNKR (Zen Nippon Kendo Renmei Federazione Giapponese di Kendo) per fornire a chi praticava Kendo una possibilità per
rendersi conto delle caratteristiche dell’utilizzo della spada vera con un registro tecnico limitato
ma comunque sufficientemente completo.
In questo senso lo Iaido è, delle tre, la Via marziale più giovane, dato che la definizione dei
kata standard (Seitei Iai o Renmei Iai) risale agli anni ‘60, ma è stata completata solo alla fine
degli anni ‘80.
Chi pratica Iaido, in ogni caso, oltre alle tecniche di Seitei Iai studia anche per completezza
tecnica e culturale almeno una scuola antica tra le tante esistenti.
Le caratteristica dello Iaido, come abbiamo detto, è che si pratica solamente attraverso Kata
(esistono come già accenntao in alcune scuole antiche anche esercizi di simulazione di
combattimento con avversari, come nel Kenjutsu antico, praticate con il bokuto, ma sono
pratiche poco diffuse) e che l’avversario - o gli avversari - contro cui si combatte non sono reali
ma immaginari.
Questo è l’aspetto condizionante di tutta la pratica. Un kata di Iaido, per essere perfetto,
dovrebbe essere eseguito nello stesso modo di un vero combattimento, ed essere realistico in
termini pratici.
Si tratta di una situazione che comporta un notevolissimo condizionamento mentale da parte di
chi pratica, ed una ricerca su se stessi decisamente approfondita.
Per quello che riguarda i kata, quelli di Seitei Iai sono tutti basati sul fatto che chi esegue si
debba difendere dagli attacchi di uno o più avversari e poi contrattacchi, mentre i kata di
scuola antica comprendono anche situazioni decisamente offensive e talvolta tecniche di puro
assassinio.
Le tecniche di Seitei Iai, su cui ci concentreremo, sono 12, descrivono situazioni con un
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numero massimo di 4 avversari, e rappresentano un registro tecnico sufficiente per gli scopi
per cui sono state definite.
Ogni scuola antica comprende invece un numero di tecniche variabile ma comunque più
elevato e normalmente divise per livelli di apprendimento (dal divulgativo al segreto, o
”okuden”) ed ha un registro tecnico comunque molto più ampio.
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Aspetti culturali e filosofici comuni delle Vie marziali
Come abbiamo detto, le tre Vie marziali di cui ci occupiamo hanno fondamenti culturali e
filosofici comuni, dovuti ad una comune base di partenza che è rappresentata dall’intero corpus
marziale feudale Giapponese.
Il più importante degli aspetti filosofici è probabilmente quello del Buddismo Zen.
Il Buddismo Zen (nome derivato dal Cinese Ch’an) è una variazione del Buddismo nella quale,
tra gli altri aspetti, si dà una grande importanza alla semplicità ed alla frugalità, e al fatto di
accettare la vita e la morte come fatti inevitabili.
Questo tipo di approccio è l’ideale per un guerriero, il quale deve mantenersi sano e attivo e
specialmente rimanere impassibile nei confronti della possibilità di sacrificare la sua stessa
vita nell’espletamento delle sue mansioni.
La seconda delle basi comuni culturali è, ovviamente, quella dello Shinto e dei principii, di
origine tribale, di fedeltà al proprio Clan (aspetto che si ritrova ai tempi moderni ad esempio
nella fedeltà del lavoratore Giapponese alla socità per cui lavora). Questo senso della
gerarchia, di fatto, influenza tutte le discipline marziali, nelle quali le figure del Sensei
(maestro) e del Sempai (allievo più vecchio) hanno un ruolo fondamentale.
In qualche modo ritroviamo questo tipo di approccio nella graduazione a Kyu e Dan propria
delle Vie Marziali moderne, anche se tale pratica è probabilmente nata con finalità più
“commerciali”.
Va detto infatti che, in tempi più antichi e nelle discipline definibili come “Jutsu” e non come
“Do”, la graduazione era quella dei gradi Shogo, ove i praticanti venivano divisi tra Kenshi
(allievo) Renshi (istruttore) Kyoshi (maestro) ed Hanshi (letteralmente “persona da cui trarre
esempio”). Questa classificazione permane in alcune delle Vie marziali moderne in aggiunta a
quella per Kyu e Dan, ed in particolare la ritroviamo nel Kendo e nello Iaido.
Dobbiamo inoltre accennare al fatto che le Vie marziali hanno subito, nella loro evoluzione, una
serie di condizionamenti culturali provenienti dall’Occidente.
Ricordiamo che dalla seconda metà dell’Ottocento il Giappone, a seguito dell’apertura delle
frontiere (fatto avvenuto in maniera piuttosto traumatica) subì una notevole influenza culturale
da parte dell’Occidente.
Si possono citare una serie di episodi significativi, ma per tutti valga come esempio il fatto che
il giovane Kano fosse ostacolato dalla famiglia nel praticare il Jujutsu, arte considerata volgare
e fuori moda, mentre non si ha notizia del fatto che alcuno abbia avuto a che dire nulla nel
momento in cui egli fondò il prima club di Baseball del Giappone.
In effetti possiamo dire con una certa sicurezza che il Judo ha influenzato la definizione o la
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modificazione successiva delle altre Vie marziali direttamente, come ad esempio il Karate Do
del Maestro Funakoshi che conobbe ed ebbe consiglio dal Professor Kano, o meno direttamente
come si può vedere analizzando attentamente Vie differenti quali il Kendo. Questo è vero
anche se, comunque, le idee del Professor Kano traggono origine da un substrato culturale,
quello della sua epoca, nel quale c'era una certa diffusione di tali concetti tra gli intellettuali ed
I Maestri di Arti Marziali.
Le parti comuni che possiamo identificare sono di diverso genere.
Il comune intento morale delle Vie marziali si esplicita sia nelle modalità di pratica, depurate da
tutte le tecniche che potrebbero rivelarsi pericolose (e questo anche in vista di un uso
prettamente sportivo) ma soprattutto nella definizione che delle diverse Vie è stata data, anche
ufficialmente.
Nel caso del Judo, esso fu definito innanzitutto esplicitamente come metodo educativo
direttamente dal suo fondatore, e possiamo ricordare i motti principali che lo definiscono,
ovvero:
Seyryoku zen’yo: Il miglior uso dell’energia
Jita kyo’ei: tutti insieme per crescere e progredire
Ricordiamo inoltre che il Professor Kano aveva lo scopo, attraverso il metodo di cultura fisica e
morale del Judo, di formare uomini e donne che aderissero ad un più alto dovere morale nei
confronti della Società, intesa sia come aspetto in qualche modo “nazionalistico” che più in
generale come “Umanità” nel suo insieme.
Compariamo quindi I motti del Judo con la definizione ufficiale del Kendo data dalla ZNKR,
(molto successiva a quella del Judo, essendo stata adottata ufficialmente a metà delgi anni
'70) definizione adottata anche per lo Iaido Seitei, che recita:
Lo scopo della pratica del kendo (iaido) è:
1) forgiare la mente ed il corpo,
2) coltivare uno spirito vigoroso, ed attraverso una corretta e rigorosa pratica,
3) impegnarsi a fondo per migliorare nell'arte del Kendo (iaido),
4) avere alta considerazione della cortesia umana e dell'onore,
5) associarsi agli altri con sincerità
6) ed aspirare sempre a conoscere e migliorare se stessi.
Questo farà sì che ciascuno di noi sarà in grado di:
7) amare il proprio paese e la società,
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contribuire allo sviluppo della cultura
e promuovere pace e prosperità tra tutti i popoli.
Nota: testo originale
www.kendo.or.jp)
della
All
Japan
Kendo
Federation
(A.J.K.F.
-
Z.N.K.R.
Possiamo vedere che le due definizioni sono di fatto sovrapponibili, o meglio che quella del
Kendo/Iaido rappresenta la naturale evoluzione di quella del Judo, molto più sintetica ma
basata su una definizione “a monte” del Judo come metodo educativo.
L’intento delle definizioni può quindi essere paragonato molto strettamente, stabilendo una
base comune sulla quale possiamo incentrare la nostra successiva analisi dei kata.
In ogni caso va detto che anche le Vie marziali originarie, sin dalla loro nascita nel primo
periodo Edo avevano forti connotati morali, ma la loro “sfera di azione” si limitava
originariamente al miglioramento del singolo essere umano (il praticante) piuttosto che alla
sua partecipazione alla Società nel suo complesso. In questo l’apporto del Professor Kano è
stato dunque fondamentale.
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Aspetti generali dei kata
Prima di tutto, per affrontare la successiva analisi di dettaglio, iniziamo a definire cosa si
intende per Kata e che cosa questo metodo di pratica vuole trasmettere.
Una definizione semplicisica di Kata recita che esso è un modo per trasmettere il bagaglio
tecnico di una qualsiasi scuola marziale.
Questa definizione è senz’altro vera, ma deve essere interpretata. Possiamo senz’altro dire che
le singole tecniche possone essere trasmesse in tal modo, ma sappiamo anche che le
medesime tecniche sono soggette ad una evoluzione inevitabile connessa con l’evoluzione della
disciplina nel suo complesso.
Le tecniche del Judo sportivo, ad esempio, sono cambiate moltissimo negli anni, specialmente
in funzione sia dei modificati metodi di allenamento che a causa delle contaminazioni da parte
di altri metodi di lotta (ad esempio il Sambo e la lotta libera), ma nei kata ritroviamo una loro
forma più stabile e più riconducibile alle origini (anche se comunque in evoluzione).
Ma quello che sicuramente possiamo ritrovare nei kata sono più che le tecniche i principi
fondamentali che ne guidano l’applicazione.
In effetti, ogni kata (intendendo sia l’insieme delle tecniche in gruppi che la singola tecnica)
racchiude tutta una serie di informazioni, che possono essere assimilate e scorporate da chi lo
studia.
La tecnica in se, quindi, può anche non avere una applicazione reale nel modo in cui viene
eseguita nel kata, ma la situazione in cui viene proposta permette di estrapolare delle parti o
dei principi utili.
Tre esempi, tratti ciascuno da una delle arti marziali di cui stiamo trattando possono essere
utili a chiarire la situazione.
Per il Judo, Uki Otoshi del Nage no Kata risulta essere una tecnica di per se non realmente
applicabile in un contesto di combattimento (sia sportivo che reale). L’azione di squilibrare
l’avversario adattandosi al suo movimento e tirandolo progressivamente sino a proiettarlo,
però, rappresenta un principo generale e può essere applicata a moltissimi altri contesti.
Per il Kendo, il primo Kata presenta un grande attacco dall’alto che ha lo scopo di tagliare
completamente a metà l’avversario, il quale si toglie dall’attacco mandandolo a vuoto e poi
risponde con un contrattacco diretto. Il modo in cui si attacca all’inizio non è assolutamente
praticato in combattimento (sarebbe addirittura considerato errato) ma il modo in cui si
gestisce il contrattacco è “nuki”, evitare mandando a vuoto, una delle basi dell’Oji Waza ovvero
delle tecniche di contrattacco.
Nello Iaido, come esempio, nel quarto kata di Seitei Iai (Tsuka ate), si hanno due avversari,
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uno seduto davanti a noi ed uno dietro. Quando si agisce colpendo quello davanti con un atemi
(usando l'impugnatura della spada) a suigetsu, poi ci si gira subito verso quello dietro
estraendo la lama dal fodero e si colpisce in affondo allo stomaco per poi tornare a colpire
dall'alto il primo avversario. Se si analizza la possibile applicazione della tecnica, si vede che in
realtà non ci sarebbe tempo per colpire l’avversario posteriore, che avrebbe tutto il tempo di
attaccare efficacemente in un reale contesto di aggressione, ma il modo di girarsi e portare lo
tsuki rappresenta una parte di tecnica valida “a prescindere” e applicabile in altri contesti.
Ancora per lo Iaido, ricordiamo che alla fine della tecnica si esegue l’azione cosiddetta di
Chiburi, ovvero “scolare il sangue dalla lama”. Tale movimento non riuscirebbe a ripulire la
lama in un caso pratico, e la lama dovrebbe essere pulita con un pezzo di carta o con una
pezzuola, come veniva del resto fatto anticamente, ma l’esecuzione del movimento nel modo
corretto abitua il praticante a mantenere il controllo (zanshin) anche alla fine dell’attacco o del
contrattacco, senza perdere la concentrazione sino a che realmente tutto non sia finito.
Esistono inoltre una serie di altre “informazioni” che sono state affidate ai kata per essere
trasmesse nel tempo.
Si va dalla progressione tecnica (risposte diverse a situazioni simili) a messaggi più
impalpabilmente morali, al ritmo ed alla strategia, al modo di veicolare l’energia durante lo
scambio tecnico.
Cercheremo di seguito di analizzare comparativamente tali aspetti cercando di chiarirli con
esempi.
Per concludere il paragrafo, possiamo dire che l’insieme di kata di ogni disciplina ha lo scopo di
stabilire e trasmettere gli aspetti tecnici, strategici, morali, mentali e culturali che della
disciplina sono elemento fondante.
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Il saluto
Iniziamo la nostra analisi più in dettaglio dalla prima delle azioni che viene eseguita in un kata:
il saluto.
Per quanto possano esservi delle differenze nell’etichetta, distinguiamo sempre due momenti,
ovvero il saluto al lato d’onore (quello dove sono in genere le autorità, i maestri o, in
mancanza, il pubblico) ed il saluto al proprio compagno di pratica (il nostro avversario, almeno
come ruolo).
Il saluto del Judo e del Kendo, pur differendo per etichetta, hanno questa impostazione,
mentre nello Iaido si saluta, invece dell’avversario, la propria spada. Questa è solo
apparentemente una differenza, dato che nel salutare la spada si saluta in realtà il proprio vero
avversario, se stessi, e la spada che ci permette di sfidarlo.
Il saluto al lato d’onore è comunque sempre un saluto deferente, con lo sguardo abbassato, a
indicare una fiducia assoluta verso chi sta in tale posizione, mentre il saluto all’avversario
presuppone, in tutte e tre le discipline, che ci sia un controllo dell’avversario e quindi non si
abbassa mai lo sguardo a terra, ma lo si tiene alzato o comunque attento su chi ci sta davanti.
Nello Iaido si abbassa lo sguardo verso la spada, ma lo si alza subito dopo a controllare
l’immaginario avversario di fronte a noi.
Dobbiamo notare comunque come l’osservanza dell’etichetta e la “ritualità” del saluto siano
più sentite nelle discipline di spada che nel Judo, ove si tende spesso (purtroppo) a ridurre il
saluto ad un rapido inchino.
In maniera più tradizionale, e anche decisamente più marziale, un saluto dovrebbe
rappresentare il momento in cui si “entra” nella pratica, quello che distingue i due momenti di
preparazione ed esecuzione.
Un corretto modo di salutare (molto tradizionale e rispettoso) è quello per cui nell’inchino (sia
a terra che in piedi) si scenda abbastanza velocemente e si risalga più lentamente, con questo
dimostrando anche una maggiore concentrazione e controllo della situazione, oltre a fornire a
chi guarda una impressione molto migliore.
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La tecnica
La tecnica è di per se l’unico elemento che non può essere paragonato se analizziamo i kata di
diverse discipline.
Evidentemente ogni disciplina ha le sue peculiarità e non si possono paragonare colpi di spada
e proiezioni o immobilizzazioni.
Come abbiamo detto, anche i principi della tecnica, in quanto ad essa peculiari non possono
essere paragonati se non in termini generali di uso più efficiente della tecnica medesima o
dell’energia in ciascun contesto.
Quello che invece, dal punto di vista tecnico, accomuna tutti i kata, indipendentemente dalla
arte di riferimento, è il fatto che il kata stesso inglobi in maniera facilmente estrapolabile i
fondamentali dell’arte (kihon)
In particolare esistono ad esempio dei riferimenti espliciti (risalenti a quando il Professor Kano
sottopose i vari kata al consesso dei Maestri di jujutsu) al fatto che il Kime no kata del Judo
contenga nelle diverse forme anche dei movimenti che possono essere usati in maniera
propedeutica. Più precisamente si definirono in maniera propedeutica le tecniche in della serie
idori, e le stesse tecniche vennero poi riprese nella sezione
tachi-ai in maniera più
realisticamente applicabile.
Lo stesso vale nel Kendo, ove parti di kihon sono direttamente enucleabili dal kata, ma ancor
più nello Iaido, ove le tecniche sono state adattate in modo da essere il più possibile esplicative
e parti di esse sono direttamente utilizzabili per allenare i kihon.
Ad esempio il primo kata, Mae, comprende l’atto di sfoderare (nukitsuke) che può essere
allenato separatamente usando proprio lo stesso movimento del kata, ma anche tutte le altre
parti della tecnica sono utilizzabili nella stessa maniera.
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La progressione tecnica
La progressione tecnica è rappresentata, all’interno delle tecniche dei kata, dall’ordine nel
quale le tecniche stesse vengono presentate.
Vi sono diversi livelli di progressione, a seconda delle discipline, ma in generale si può dire che
si passa da tecniche generalmente più elementari (non necessariamente più semplici da
eseguire) a tecniche più complesse ed articolate.
Ad esempio nel Judo la stessa divisione in gruppi del Nage no kata passa dalle tecniche di
braccia e spalla a quelle di anca e via via arriva sino alle tecniche di sacrificio sul fianco.
Questo non significa che eseguire correttamente Uki Otoshi sia più facile che eseguire Uki
Waza, ma solo che il principio di esecuzione di Uki Otoshi è più elementare (o meglio è
propedeutico) di quello di Uki Waza, e che quindi uno studio è meglio che parta dalla prima
tecnica invece che dall’ultima. Poi, ovviamente, quando si parla di principi fondamentali risulta
difficile stabilire delle priorità, ma comunque vi sono principi più semplici da spiegare e
assimilare ed altri più difficili e che in qualche modo richiedono per essere compresi
l'assimilazione dei precedenti.
Nel caso del Kendo, la progressione inizia con una siuazione di Men-Nuki Men (mandare a
vuoto l’attacco dell’avversario e rispondere con la stessa tecnica).
Questo è uno dei principi fondamentali della difesa, ovvero sfuggire per mandare a vuoto
l’avversario, e termina con una tecnica di spada corta nella quale è fondamentale la percezione
della distanza più breve e l’uso del “te no uchi”, ovvero del peculiare movimento di chiusura
della mano che trasmette energia alla spada senza dover fare grandi movimenti. Anche la
divisione in due gruppi del Kendo (Prime sette tecniche con la spada lunga, le successive tre
con la spada corta) rispetta il principio di progressione in difficoltà.
Se analizziamo lo Iaido, in Seitei Iai abbiamo che le tecniche partono con Mae, situazione con il
singolo avversario di fronte seduto, e arrivano sino ai quattro avversari del decimo kata (shi ho
giri, che fra l’altro era l’ultimo dei kata della prima definizione di Seitei) e poi ai tagli ripetuti
dell’undicesimo. L’ultimo dei kata, solo apparentemente molto semplice, racchiude
l’insegnamento fondamentale del togliersi e tornare a colpire e comunque rispetta un
posizionamento tradizionalmente utilizzato nelle scuole antiche.
Ancora più evidente è la divisione nelle scuole antiche di Iaido. Ad esempio, in Musoshinden
Ryu (una delle scuole antiche più praticate, anche se in realtà si tratta di usa sistematizzazione
recente di tre scuole antiche classiche) si hanno tre gruppi fondamentali, divisi in shoden
(base), chuden (intermedio) e okuden (segreto).
A sua volta le tecniche Okuden hanno due gruppi, uno in piedi, più semplice, ed uno che parte
da tateiza (la scomodissima posizione di riposo del Samurai, pensata per non potersi
addormentare durante i turni di guardia) decisamente più complesso.
A titolo di esempio di quanto detto in questo paragrafo possiamo dunque portare:
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UKi Otoshi confrontato con Uki Waza per il Judo
Il primo kata di Kendo con la spada lunga confrontato con l’ultimo di spada corta
Mae di Seitei Iai confrontato con Shiho giri (come già detto l’ultimo dei kata nella prima
definizione di Seitei).
Nel Judo, inoltre, secondo alcune interpretazioni possiamo identificare una progressione verso
il centro, ovvero verso Sasae Tsurikomi Ashi, che rappresenta una tecnica eseguita in Sen no
sen, ovvero anticipando le intenzioni dell’avversario, e quindi l’opportunità più elevata per il
Judo.
Ma all’interno delle progressioni possiamo individuare altri schemi di interpretazione.
Ad esempio, nel Nage no kata, uke, dopo aver subito il contrattacco di Ura nage al suo attacco
dall’alto, reagisce nella esecuzione della tecnica successiva, Yoko guruma, abbassandosi
quando inizia l’azione di tori, con lo scopo di bloccare Ura nage e con questo fornendo a tori
l’opportunità di eseguire appunto Yoko guruma.
Nel primo kata di kendo, uchidachi (equivalente a uke nel Judo) attacca dall’alto e viene
sconfitto da shidachi (tori) che arretra per evitare l’attacco e, sfruttando il suo sbilanciamento
riesce a colpire a sua volta. Nel quinto kata, invece, davanti ad una situazione simile uchidachi
non attacca più a fondo, ma limita il suo attacco a men, per evitare di rimanere scoperto e per
lasciarsi la possibilità di doppiare il colpo, ma shidachi reagisce diversamente intercettando
l’attacco in suriage (deviare il colpo in arrivo) per colpire a sua volta.
Quindi possiamo vedere che la progressione tecnica è senz’altro un tratto comune ai kata delle
tre diverse Vie marziali che stiamo analizzando, ed è utilizzata in maniera simile.
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L’energia
Quello dell’energia (Ki) è un argomento estremamente importante nelle Vie marziali.
Lo sviluppo dell’energia, infatti, è considerato un passo importante nel miglioramento di ogni
persona, e quindi fa naturalmente parte di un cammino evolutivo globale come quello che una
Via rappresenta, oltre che essere un punto fondamentale nel conseguimento dell’efficacia in
combattimento.
Va innanzitutto detto come esistano notevoli differenze nell’utilizzo dell’energia tra Judo e arti
della spada.
Nel Judo di lotta, infatti, l’energia viene spesso usata in chiusura, ed un buon esempio ne è la
difesa Go, ove si oppone una energia uguale e contraria a quella dell’attacco. Ma anche in
attacco, date le peculiarità della distanza e del modo di proiettare, viene sempre privilegiato il
contatto (per la necessità di ridurre il momento d’inerzia del sistema dei due corpi collegati) e
quindi la chiusura.
Nelle arti della spada, invece, l’energia viene quasi sempre veicolata in apertura, come per
proiettarla verso il proprio avversario.
Questo è vero sia durante un attacco, ove si cerca di raggiungere la massima distanza possibile
con l’arma per mantenere il corpo in una zona di sicurezza, ma soprattutto è vero nella
preparazione di un attacco, ove si usa il Ki (sotto forma di seme - minaccia) per destabilizzare
a distanza la posizione dell’avversario con lo scopo di farlo muovere a nostro piacimento.
Prima abbiamo accennato al fatto che il Ki sia usato in chiusura nel Judo che abbiamo definito
“di lotta”. Nel Judo di atemi, infatti, la proiezione dell’energia è più in apertura, e quindi si
hanno delle maggiori similitudini con la spada.
Per fare degli esempi, nel Judo l’utilizzo del Ki è sempre implicito alle tecniche, ma se in un
kata come il Nage, ove si eseguono delle proiezioni tale presenza viene in qualche modo data
per scontata, in un kata come il Katame no kata risulta essere fondamentale e molto più
esplicita.
Infatti nelle tecniche di controllo è estremamente importante il modo in cui si indirizza l’energia
nel controllo dell’avversario. Ad esempio in Kuzure kesa gatame l’energia deve essere portata
nella trazione del braccio di uke e nel conseguente contatto, mentre in Yoko shiho gatame deve
essere concentrata sull’addome che controlla il torso di uke.
Nei kata di Kendo, peraltro, l’uso del Ki non appare così evidente. In effetti ad una analisi
superficiale non lo si riesce a percepire se non come energia che permea tutta al pratica.
Ma se analizziamo bene le dinamiche delle tecniche del kata, possiamo vedere che l’attacco di
uchidachi deve essere, in una esecuzione corretta, fatto partire da shidachi che lo obbliga con il
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suo ki portando una minaccia (seme).
Un esempio è il secondo kata di Kendo, ove uchidachi attacca kote (polso), ma il suo attacco,
poi evitato da shidachi, è in realtà scatenato da quest’ultimo che lo minaccia con una pressione
verso la punta della sua spada e ancora di più con una pressione psicologica quando le due
armi si incrociano.
Nello Iaido, non essendoci un avversario reale, il Ki non diviene evidente nella tecnica, ma lo è
nel controllo che chi esegue ha dei suo movimenti e della situazione in generale. Inoltre, ed
ancor più importante, se si eseguono i tagli in maniera corretta, si dovrà veicolare l’energia
verso la punta della spada in modo da far si che essa tagli realmente, evitando di irrigidire
altre parti del corpo (spalle e gomiti) per non bloccare il flusso dell’energia verso l’arma.
Viene immediato il paragone con le tecniche di rottura proprie del Karate e delle altre discipline
di percussione: se non c’è Ki il bersaglio semplicemente non si romperà, mentre se c’è Ki la
sensazione sarà quella di attraversarlo quasi senza sforzo. Lo stesso vale per la spada durante
l’azione di tagliare (Tameshigiri). Se l’energia è correttamente veicolata non ci sarà sforzo nel
tagliare un bersaglio, mentre se si sarà rigidi e senza Ki la spada si bloccherà nel bersaglio.
Questo concetto andrà applicato all’esecuzione dei Kata di Iaido, in modo tale da renderli
realistici, o meglio reali.
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La decisione (kime)
Quello della decisione è un punto importante di similitudine tra i kata di Judo e di spada. In
particolare esistono notevoli vicinanze che possono essere identificate nel confrontare le
tecniche del Kime no kata (appunto “Kata della decisione”) e del Kodokan goshin jutsu con
quelle dei kata di Kendo e Iaido.
Iniziamo a considerare una qualunque tecnica del Kime no kata, ad esempio Tsukkomi del
gruppo tachi-ai (ma anche nel gruppo idori la meccanica è identica). In tale tecnica uke
attracca tori con il coltello in affondo a suigetsu. Tori reagisce, deviando l’attacco con la mano
sinistra e contemporaneamente colpendo con il pugno destro tra gli occhi di uke, poi finisce
con un controllo in leva con Hara gatame.
In questa tecnica possiamo identificare il Kime di uke, che attacca con estrema decisione,
mettendo tutto il suo impeto nell’affondo, e quello di tori che reagisce con la stessa decisione
deviando e colpendo a sua volta. Se le due fasi non fossero eseguite con decisione (a parte il
fatto fondamentale di non essere efficaci) non potrebbe esistere una tecnica realistica, dato
che la decisione di uke viene utilizzata da tori per rendere efficace il suo contrattacco, che a
sua volta dovrà essere deciso per essere efficace.
Se prendiamo come esempio ancora il primo kata di kendo, uchidachi attacca con tutta la sua
decisione, e shidachi si toglie dal sua attacco arretrando. La decisione di uchidachi (necessaria
per tagliare l’avversario praticamente a metà) fa si inoltre che egli, mancando il bersaglio che
si toglie si squilibri in avanti e shidachi possa avere lo spazio per reagire contrattaccando a sua
volta. Anche nel contrattacco la decisione è fondamentale, sia per raggiungere uchidachi nel
giusto istante che per portare un colpo efficace.
Nello Iaido il kime è necessario per rendere realistiche le tecniche. Nel caso ad esempio di Mae
di Seitei Iai, prima tecnica della serie, chi esegue percepisce la partenza di un attacco da parte
dell’avversario seduto di fronte a lui e quindi reagisce estraendo la spada e portando prima un
attacco alla linea degli occhi dell’avversario e poi finendolo con un grande taglio verticale.
Nel fare ciò, Kime deve essere messo nei due tagli, e poi anche nel chiburi (atto di scolare il
sangue dalla lama, che in realtà rappresenta la continuazione dell’attenzione sulla tecnica sino
alla fine), ma non deve abbandonare (almeno mentalmente) il movimento nemmeno nelle fasi
di passaggio che comunque devono necessariamente essere morbide.
Non si deve commettere l’errore di confondere Kime con rigidità. Il kime è presente in tutta la
tecnica, e ne permea anche i movimenti più lenti e morbidi che devono risultare sempre “pieni”
ed estrinsecarsi completamente al momento del taglio.
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Il Kiai
Il Kiai, ovvero “riunire l’energia” si estrinseca con il grido emesso durante l’attacco.
Nel Judo tale grido viene emesso solo negli attacchi e contrattacchi di atemi del Kime no kata e
del Kodokan goshin jutsu, ed i Judoka sono del resto poco abituati a praticarlo.
Un Kiai potente e specialmente eseguito con il basso ventre e non con la parte alta dei
polmoni, invece, fornisce energia e decisione alle tecniche che lo richiedono.
Nel Kendo, invece, l’uso del kiai risulta obbligatorio in combattimento per rendere il colpo
eseguito valido, e quindi il suo utilizzo durante il kata rimane più naturale.
In effetti, mentre durante il combattimento il kiai serve a “dichiarare” il colpo, dimostrando in
tal modo che non si tratta di un colpo casuale ma volontario, e quindi si usano i kiai “Men!”
“Kote!”, “Do!”e ”Tsuki!” a seconda del bersaglio che si andrà a colpire, nel kata si utilizzano i
due kiai “Yah!” per chi attacca e “Toh!” per chi si difende e contattacca (in realtà anticamente si
utilizzavano anche altri kiai, poi rimossi dalla pratica a favore dei due di cui si è detto).
Questi due kiai hanno lo scopo di sottolineare l’andamento dell’energia nella tecnica, e sono
rappresentativi del modo in cui viene utilizzata l’energia durante l’esecuzione. In particolare il
kiai “Yah!” è in “apertura” e mostra l’energia scagliata da uchidachi nell’attacco, mentre il kiai
“Toh!” è in chiusura, e segue l’andamento dell’energia durante il contrattacco.
Nel Judo non è codificato alcun modo di utilizzare il kiai nei kata che lo impiegano, ma l’uso dei
kiai differenti potrebbe servire in qualche modo a sottolineare le diverse fasi della tecnica
rendendo più incisivo sia l’attacco che la difesa, specialmente considerato che il kiai è usato
nelle tecniche di percussione ove si può identificare molto ben un andamento di energia “in
apertura” (attacco) ed “in chiusura” (difesa).
Nello Iaido, invece, con l’eccezione di alcune scuole antiche non si utilizza il kiai ed in
particolare non lo si utilizza in Seitei Iai.
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La respirazione
Legata al kiai in maniera stretta è la respirazione.
Si consideri prima di tutto che la respirazione è costituita da due fasi, ovvero l’inspirazione e
l’espirazione.
Durante la fase di inspirazione vi è una notevole vulnerabilità, mentre la fase di espirazione
risulta delle due essere quella in cui l’energia meglio si concentra.
Inoltre particolarmente critico è l’istante di passaggio tra inspirazione ed espirazione, che
rappresenta un istante naturale di “fermo” per ogni tipo di azione.
Tutte le arti marziali insegnano che si dovrebbe attaccare un avversario mentre sta inspirando,
e che si dovrebbe farlo durante l’espirazione per avere più forza.
Nei kata si utilizza la stessa tecnica.
Nei Kata di Judo l’inspirazione di uke è il segnale che egli sta partendo per eseguire il suo
attacco, e quindi tori deve agire sincronizzandosi ad essa per inspirare e partire a sua volta.
Il kata, poi, si esegue in espirazione, anche se a volte risulta necessario spezzare l’atto
respiratorio per inserire una successiva inspirazione, ma comunque ciò dovrebbe essere fatto
in un istante neutro in modo da non falsare l’efficacia dell’azione.
Nei kata di Kendo si utilizza la stessa tecnica, badando specialmente a non coordinare la
respirazione con il caricamento ed il colpo. Questo significa che si deve evitare di inspirare
durante il caricamento della spada ed espirare durante il colpo, per evitare che all’apice della
traiettoria la spada si fermi, mentre dovrebbe avere un movimento senza soluzione di
continuità. Questa tecnica va utilizzata anche in combattimento, per le stesse ragioni.
Nei kata di Iaido si raccomanda in genere di eseguire le tecniche partendo con una inspirazione
ed eseguendole in espirazione, eventualmente inserendo inspirazioni, ove necessario, in
momenti neutri. Alcuni Maestri raccomandano invece di eseguire le tecniche in apnea, ma
comunque assolutamente mai in inspirazione. Si tratta comunque sempre di apnee relative,
caratterizzate da una sia pur minima componente di espirazione.
Eseguire le tecniche in espirazione fa si che si riesca ad avere una maggior continuità e fluidità
del movimento, che sarebbe fondamentale nell’utilizzo reale di una spada. Anche l’esecuzione
in apnea ha questo scopo, risulta più faticosa e forse meno efficiente, ma lascia il fiato per un
eventuale kiai nell’istante del colpo (kiai mai comunque eseguito realmente).
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Il ritmo
Il ritmo della tecnica risulta essere un suo aspetto molto importante.
L’uso delle variazioni di ritmo ha in combattimento lo scopo tattico di disorientare l’avversario,
alternando momenti di calma ad esplosioni di velocità nell’azione, per fare in modo che le
azioni siano meno prevedibili e quindi possano più facilmente andare a segno.
Questo tipo di considerazione è valido in combattimento, ma nella esecuzione dei kata
inserisce un ulteriore e diverso significato.
si
Dato infatti che il kata è una rappresentazione di situazione che ha no scopo didattico, la
variazione del ritmo serve a enfatizzare i momenti salienti di una tecnica e a separarli da quelli
di successivo controllo, e a stabilire le reali successioni di azione durante un combattimento
reale (che spesso ha un ritmo diverso da quello che ci si immagina ad una prima analisi).
Questo tipo di risultato si ottiene alternando azioni lente e veloci, secondo le esigenze del
momento.
Ad esempio, nel Kodokan goshin jutsu e nel Kime no kata del Judo gli attacchi sono veloci, e
così i contrattacchi, mentre le successive azioni di controllo, ad esempio leve e strangolamenti,
possono o meglio debbono essere decisamente più lenti, dato che a quel punto l'avversario, in
un caso reale, sarebbe già ridotto all'impotenza.
Questo tipo di azione serve a illustrare che il punto fondamentale del contrattacco è la
deviazione dell’attacco e il contemporaneo o immediatamente successivo atemi, mentre ad
esempio una successiva leva, portata ad un avversario già colpito in modo serio non necessita
della stessa velocità perchè l’avversario a quel punto è già fuori combattimento e quindi non
più reattivo, ed oltre tutto un passaggio eseguito senza fretta risulterebbe più preciso ed
efficace.
Lo stesso avviene nei kata di Kendo, dove i movimenti di avvicinamento ed allontanamento, ed
i controlli successivi dovrebbero essere lenti, mentre gli attacchi ed i contrattacchi devono
essere veloci.
Nello Iaido questo tipo di utilizzo del ritmo deve essere ancor più accentuato. Ricordiamo infatti
che i kata vengono eseguiti senza avversario, e quindi l’esecuzione deve dare la sensazione di
un vero combattimento (prima di tutto a chi esegue, e poi a chi eventualmente guarda
dall’esterno). Inoltre, nell’immaginare la presenza dell’avversario si tende naturalmente ad
aumentare la propria velocità in maniera innaturale, e quindi l’analisi del ritmo in un contersto
realistico darebbe risultati differenti, come dimostrano prove pratiche di tecnica eseguite con
l'ausilio di protezioni.
Se torniamo ad analizzare il primo kata di Seitei Iai, ovvero Mae, avremo una prima azione di
inizio dello sfoderamento relativamente lenta ma che gradualmente accelera sino al taglio agli
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occhi dell’avversario.
Una volta portato il primo taglio, però, l’avversario se non è già morto è comunque in un
momento di disorientamento, e quindi non è necessario affrettarsi a colpirlo con il successivo
taglio verticale. Il movimento di avvicinamento ed il caricamento saranno quindi più lenti, per
permettere anche di impostare correttamente il taglio, mentre il successivo taglio sarà più
veloce, per ovvie ragioni di efficacia.
Questo alternare lento e veloce si indica con jo-ha-kkuy ed è una tecnica utilizzata tra l’altro
nel teatro Noh per enfatizzare le azioni degli attori, ma può essere ben sfruttata per dare
maggiore significatività ai kata di qualunque disciplina (ovviamente non in modo arbitrario ma
tenendo conto sempre della realtà dell'azione).
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La progressione morale e filosofica
Per spiegare cosa intendiamo con “progressione morale e filosofica” inizieremo ad analizzare
sotto questo aspetto i Kata di Kendo, per i quali risulta più semplice identificare questo
peculiare aspetto della pratica.
Nei Kata di Kendo, infatti, tale aspetto è stato inglobato sino da prima della loro definizione
finale.
Agli inizi del secolo scorso, a seguito della decisione di unificare i kata per ottenere una serie di
forme standardizzate, ci fu un primo tentativo di stabilire delle forme comuni, sfociato nella
definizione di tre kata, allora identificati (a seguito della posizione di guardia da cui partivano)
con jodan (alto), chudan (medio) e gedan (basso).
In seguito, ed in particolare con l’intervento della scuola insegnanti di Tokyo (Tokyo Koto
Shihan Gakko) diretta proprio dal Professor Kano, le forme furono modificate, mantenendo
però largamente, per quello che si sa, la loro impostzione originale.
Tali forme, che sono di fatto le prime tre delle dieci che compongono il corpus dei kata di
Kendo, racchiudono, a detta anche dei maggiori Maestri contemporanei, la vera essenza del
Kendo come Via marziale ed hanno dal punto di vista morale e filosofico una interpretazione
piuttosto semplice.
1° Uchidachi (uke) attacca con grande men (il taglio diritto alla testa). Shidachi (tori), che ha
la stessa guardia alta, si toglie dalla traiettoria del colpo arretrando e poi replica colpendo a
sua volta a men l’avversario sbilanciato dalla sua azione:
ovvero MI ATTACCHI PER UCCIDERMI, ED IO TI UCCIDO
2° Partendo da chudan, la guardia media, uchidachi attacca a kote (il polso). Shidachi manda a
vuoto l’attacco e replica a sua volta con un attacco a kote:
ovvero MI ATTACCHI PER FERIRMI, E IO TI FERISCO
3° Partendo da gedan, la guardia bassa, uchidachi attacca tsuki (affondo) a suigetsu. Shidachi
devia il colpo con una parata in arretramento e replica con tsuki a sua volta, per due volte,
verso uchidachi che arretra e para, ma finisce il kata senza terminare l’azione ma limitandosi a
controllare l’avversario sconfitto quando egli non può più reagire:
ovvero MI ATTACCHI PER UCCIDERMI, ED IO VINCO MA TI SALVO LA VITA
Questa progressione, oltre a rappresentare l’ultima delle azioni come quella più alta in termini
tecnici e morali, ingloba nelle prime due tecniche il principio, ben noto in tutte le Arti Marziali,
della proporzionalità della reazione.
Trattando del Judo il Pofessor Kano dice, in sintesi: “mai usare troppo poca forza, e mai troppa,
perchè se in un caso non riusciremo a raggiungere l’obiettivo, nell’altro non sapremo come
fermarci......” e tale concetto si estende, ovviamente anche alla reazione ad un attacco. (Kano:
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Judo-Jujutsu e Kodokan Judo, Kodansha 1984 – cap.2)
Questo concetto, peraltro, viene poi abbandonato e superato nella terza tecnica, dove la
vittoria è talmente schiacciante (uchidachi attacca, poi para il primo contrattaco ed il secondo,
per venire comunque sconfitto dalla sicurezza del contrattacco di shidachi) che ci si può
permettere di salvare la vita del nostro avversario, del quale abbiamo spezzato ogni resistenza.
Questo principio lo si ritrova anche in una affermazione di Miyamoto Musashi nel Gorin no sho,
il Libro dei cinque anelli, dove dice che la vera vittoria è quella nella quale l'avversario, pur non
ucciso, è vinto e schiantato nel morale, e non ha lo spirito per poter reagire.
Musashi, grande guerriero e combattente di spada, ma anche pittore e poeta, in tarda età
diventato eremita, sublima così uno dei precetti fondamentali dell’evoluzione del
combattimento, anche se il suo intento nel contesto in cui esprime la frase non ha nulla a che
vedere con una più alta morale.
Ritroviamo in questo, per ricollegarci al Judo, il concetto del Professor Kano del miglior uso
dell’energia e credo di poter affermare che ciò non sia un caso, visto che l’evoluzione dei primi
tre kata di kendo è in parte avvenuta con il suo coinvolgimento.
Risparmiare la vita ad un avversario, infatti, significa anche preservare delle forze che,
comunque, possono essere utili alla Società nel suo complesso, e quindi rappresenta proprio
un importante risparmio di energie, preservate per un fine più elevato.
Per venire al Judo, questo disegno morale e filosofico non è identificabile all’interno di
delle singole serie di tecniche, ma abbraccia tutti i kata nel loro assieme.
una
Ciascuno di essi (intendendo con questo ciascuna delle serie di tecniche) è stato pensato per
allenare e sviluppare la comprensione di uno degli aspetti peculiari del Judo.
In breve:
Nage no kata: studio e sviluppo delle strategie di combattimento in piedi;
Katame no kata: strategie di combattimento a terra, con particolare attenzione al modo in cui
veicolare l’energia nel controllo dell’avversario;
Kime no kata: l’uso della “decisione” (kime) nel combattimento reale;
Ju no kata: l’uso della cedevolezza per rispondere alla forza di un attacco;
Kodokan Goshin Jutsu (introdotto però vent’anni dopo la morte del Professor Kano e quindi
non da lui definito): utilizzo dei punti vitali dell’avversario per l’autodifesa;
Ko shiki no kata: uso delle masse e dell’equilibrio nell’antico combattimento in armatura e,
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ancor più importante, preservazione delle tradizioni storiche su cui si basa il Judo;
Itsutsu no kata: l’uomo che, messo di fronte alle grandi forze dell’Universo, con umiltà si
adatta ad esse per una superiore armonia.
Inoltre, in tutti i kata del Judo traspare il principo fondante del miglior uso dell’energia, fisica e
mentale, ispiratore di tutto il metodo del Professor Kano, che si ritrova anche nel Seyrioku
zen'yo kokumin taijku no kata il quale, come metodo di allenamento, privilegia movimenti che
aumentano l'elasticità del corpo e migliorano la risposta tendinea delle articolazioni.
Per passare allo Iaido, dobbiamo invece rilevare come non si possa identificare alcuna
“progressione morale e filosofica” all’interno delle tecniche di Seitei Iai.
Questo è dovuto probabilmente a due aspetti peculiari di questa Via marziale.
Il primo aspetto è che lo Iaido Seitei (o meglio lo ZNKR Iai, ovvero lo Iaido della Federazione
Giapponese di Kendo) è nato come metodo per insegnare l’uso della spada vera a chi praticava
Kendo (e quindi aveva già in qualche modo un indirizzo morale dai kata di Kendo).
La seconda ragione, a mio avviso, è che le tecniche di Iaido moderno, derivate più o meno
direttamente da tecniche letali di Kenjutsu, hanno lo scopo di contribuire, con il loro
allenamento, alla crescita globale della persona sia in termini singoli che come “essere sociale”.
Risulta evidente, a chi pratica seriamente, come tale cammino si percorra sia nella pratica
solitaria (molto importante per l’affinamento delle tecniche) ove si privilegia l’aspetto di
crescita personale. In tale allenamento, infatti, gli aspetti psicologici e di autocontrollo
superano di gran lunga quelli strettamente tecnici, e possono filtrare facilmente nella vita di
tutti i giorni aiutando una crescita personale globale.
Ma non vanno dimenticate le occasioni di pratica comune, ovvero la lezione in Dojo, gli stage e
anche le competizioni (con tutti i distinguo relativi allo spirito di una competizione basata su
kata). In tali occasioni l’evoluzione personale ha la possibilità di filtrare facilmente in una
evoluzione sociale che non rimane naturalmente limitata all’ambito della pratica, ma porta i
suoi benefici in maniera molto più globale.
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Numero 31 – Settembre 2010
Conclusioni
In questo elaborato abbiamo analizzato comparativamente, sia pure in maniera non
eccessivamente approfondita, la pratica dei kata nel Judo e nelle principali Vie marziali della
spada, ovvero Kendo e Iaido.
Ciascuno degli aspetti analizzati, ad esclusione come ovvio della mera tecnica, propria di
ciascuna arte, ha permesso di stabilire l’esistenza di significativi punti comuni negli scopi e
nella metodologia.
Tali vicinanze discendono senz’altro da una matrice culturale comune, risalente a molti secoli
indietro, ma anche, più recentemente, dalle influenze e contaminazioni reciproche delle Vie
marziali moderne.
Va detto, come considerazione in qualche modo ovvia, che i kata di cui stiamo trattando, siano
essi di Judo o di spada, sono pur sempre tecniche di combattimento, e quindi un substrato
comune lo possiedono implicitamente.
Dalla analisi precedente è comunque emerso che in tutte le tre Vie analizzate, la pratica del
kata presenta una visione spiccatamente unitaria e trasversale, dove indipendentemente dalle
singole tecniche (che vengono ovviamente allenate nella loro esecuzione) si persegue una più
alta finalità filosofica e morale con uno scopo finale educativo più che non meramente
marziale.
Si può quindi, e a buon diritto, parlare di un “metodo kata” comune alle Vie marziali moderne,
che tra l’altro si differenzia in maniera sensibile da quello che veniva utilizzato anticamente. Il
metodo antico, infatti, non aveva finalità morali e filosofiche, ma era solamente volto allo
sviluppo delle qualità marziali relative all’efficacia in combattimento.
Inoltre il kata antico era spesso presentato con aspetti e dettagli (importanti) celati dal segreto
(hiden) che sono invece stati completamente rimossi nella trasformazione coincisa con la
nascita delle Vie marziali moderne.
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Bibliografia
Riporto nel seguito solamente una piccola parte dei libri che mi hanno aiutato
negli anni a capire gli argomenti di cui tratto. Alcuni dei libri non li ho
purtroppo più o semplicemente me li avevano prestati, e comunque una lista
completa sarebbe stata troppo lunga da stendere. Mi sono qunidi limitato ai
testi che ho consultato per chiarirmi le idee quando ho avuto qualche dubbio
nella stesura di questo elaborato.
Judo:
Jigoro Kano et al.: Kodokan Judo, Kodansha International, 1984
Jigoro Kano: Judo Jujutsu, Ed. Mediterranee
Draeger – Otaki: Judo Formal techniques, ED. Charles Tuttle, 1990
E. J. Harrison: Lo spirito guerriero del Giappone, Luni Editrice
Pelligra, Barioli, Maiaso, Tesini, Antonini: AISE – Dispensa “il Judo e I suoi
kata” congresso 2006
Hamot, Pellettier, Hurvoy; Kime no Kata, Editeur Sedirep
Caer, Hurvoy: Koshiki no kata, Editeur Sedirep
Storia delle arti marziali
Draeger: Bujutsu e Budo classico, Ed. Mediterranee
Draeger: Budo Moderno, Ed. Mediterranee
Kendo e Iaido
Paul Budden; Kendo – I Kata, Ed. Mediterranee
Claudio Regoli: Il Kendo, De Vecchi Editore
Musashi: Go rin no sho – Il libro dei cinque anelli, Ed. Meditterranee
ZNKR: Lo Iaido della Zen Nihon Kendo Renmei (seitei iai) FENIKE 1997, CIK
2008
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