VIII. La diacronia del popolamento. Modelli insediativi e
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VIII. La diacronia del popolamento. Modelli insediativi e
VIII. DIACRONIA DEL POPOLAMENTO: MODELLI INSEDIATIVI E SOCIO-ECONOMICI, CATEGORIE DI EVIDENZE E CULTURA MATERIALE TRA PREISTORIA E BASSO MEDIOEVO mediate vicinanze di questi ultimi 4 (Fig. 1). Tenendo presente la scarsa rappresentatività quantitativa dei dati raccolti, ricordiamo che l’unico rinvenimento di questo periodo, effettuato in corrispondenza di suoli alluvionali (terrazzi alluvionali antichi), è viziato dalle particolari condizioni nelle quali il suolo si trovava. La ricognizione del fondo agricolo, abitualmente destinato a vigneto, è avvenuta poco dopo l’espianto; il nuovo scasso presentava profondità superiore a 1 m e quindi condizioni di visibilità eccezionalmente favorevoli 5. Di fatto, dobbiamo considerare i siti rintracciati come i più evidenti. I materiali rinvenuti sul terreno consistono essenzialmente in scarti di lavorazione (nuclei e schegge) realizzati in diaspro rosso; materiale facilmente reperibile entro i confini del nostro territorio 6. La punta di freccia in selce rinvenuta in località Il Poggino è l’unico reperto riferibile a questo materiale 7. 1. PREISTORIA E PROTOSTORIA (rinvenimenti editi 1; rinvenimenti inediti 3; resa archeologica 75%) Le previsioni sul potenziale archeologico del periodo preistorico, già pessimistiche, sono risultate ulteriormente inferiori alle aspettative 1. L’esito della ricognizione consiste di sole tre evidenze, tutte riconducibili a generica frequentazione 2 (Fig. 1). I motivi che hanno condotto al rinvenimento di un campione così limitato, non si discostano da quanto già rilevato nel corso del progetto Carta Archeologica 3. Altro fattore, a nostro avviso significativo, è rappresentato dalle caratteristiche degli spazi di localizzazione che le emergenze del periodo considerato sembrano prediligere. Nella bassa Val di Merse-bacino Ombrone l’occupazione appare direttamente collegata alle aree adiacenti a corsi d’acqua di medio-alta portata, quindi su suoli alluvionali o nelle im- km Rinvenimenti survey: Preistoria Composizione geologica: Alluvioni recenti Alluvioni terrazzate Confini provinciali Fig. 1. Carta dei rinvenimenti di età preistorica Cfr. cap. III, 1. Cfr. Schedario Topografico, F. 120 I n. 25.2, F. 120 II nn. 132.1, 153.2. 3 VALENTI, 1987-88, vol. II, p. 231. In particolare l’assenza di specialisti del settore sul campo riduce le possibilità di individuare questo tipo di emergenze. 1 4 2 5 Per i problemi che questi terreni comportano per la resa del survey cfr. cap. I, 4. Cfr. Schedario Topografico, F. 120 II n. 132.1. 6 Cfr. cap. III, 1. 7 Cfr. Schedario Topografico, F. 120 II n. 153.2. In Toscana i manufatti in selce, seb- 275 Fig. 2. Drapping del particolare del volo EIRA 1976. Le freccie corrispondono al perimetro delle tracce visibili dal volo GAI 1954 ed EIRA 1976. Nel riquadro in basso a destra il DEM dell’area con la collocazione del Poggio L’Allodola in relazione alle località di Vescovado e Poggio Civitate Le evidenze individuate sono state genericamente definite frequentazione, è però possibile cogliere una differenza sostanziale tra le due concentrazioni (scarti di lavorazione di materiali litici, punta di freccia). Nel primo caso le due unità topografiche sono ipoteticamente riconducibili alla categoria delle sedi stagionali non stabili 8. Nel secondo caso riteniamo che l’evidenza sia da relazionare a spostamenti di individui entro l’area di catchment, probabilmente legati all’attività venatoria. Gli scarsi risultati ottenuti non consentono di proporre una sintesi significativa. Il contributo della nostra ricerca alla comprensione del quadro insediativo e delle attività connesse alla frequentazione umana è del tutto inconsistente. I siti occupano le zone abitative 1 e 4, confermando la scelta di terrazzi fluviali e suoli leggeri di natura alluvionale e fluviolacustre; la distanza media dai corsi d’acqua, escludendo il caso del sito in località Il Poggino, non supera 200 m 9. Il potenziale archeologico si conferma scarso anche se non possiamo parlare di desertazione per i motivi esposti. Zone di probabile rinvenimento restano gli spazi sopraelevati a breve distanza da corsi d’acqua di medio-alta portata. Enigmatico il quadro della frequentazione e il relativo potenziale archeologico per tutto il periodo pro- tostorico. Il territorio non ha restituito alcun indizio di frequentazione per l’intero periodo, già scarsamente attestato in precedenza da due ritrovamenti sporadici situati in località Poggio Civitate 10. 2. PERIODO ETRUSCO VII-V secolo a.C. (rinvenimenti editi 11; rinvenimenti inediti 53; resa archeologica 83%) L’indagine di superficie conferma le previsioni avanzate in sede aprioristica. I campioni A e B hanno restituito i maggiori risultati (73% e 21%), l’area C ha contribuito in minima parte (6%) e la D non ha dato alcun esito. I risultati emersi durante le ricognizioni permettono di presentare un quadro del popolamento marcatamente più ricco e articolato rispetto a quanto rilevabile in precedenza. All’incremento delle evidenze (83%) corrisponde un ampliamento delle categorie di depositi (Fig. 3). L’esito complessivo è quantificabile in 53 presenze (18% del totale) distinguibili nelle seguenti definizioni: casa di terra, fattoria, sporadico. – Casa di terra: costituisce la tipologia maggiormente rappresentata (77%). A questa definizione corrispondono strutture con elevati deperibili realizzati con la tecnica del graticcio o del pisé, armatura di pali lignei e copertura laterizia 11. bene presenti, sono complessivamente rari e circoscritti ad aree interessate da rapporti di interscambio con regioni ricche di questa materia prima. CALATTINI, 1990, p. 227. 8 Non siamo in grado di avanzare ipotesi sulle tipologie abitative. 9 Abbiamo visto che il rinvenimento in località Il Poggino non riteniamo sia da mettere in relazione a un insediamento ma probabilmente all’attività venatoria. Ipotizzando la presenza di un insediamento nei pressi del più vicino corso d’acqua di media portata, situato a ca. 1,5 km (Torrente Stile), il rinvenimento rientrerebbe nell’area di approvvigionamento. 10 Cfr. Schedario Topografico, F. 120 II nn. 4.1, 5.1. 11 La conferma più significativa dell’ampia diffusione di questa tecnica edilizia nel no- stro territorio proviene dal centro insediativo più importante, Poggio Civitate. Gli scavi riferiscono che entrambi gli edifici (fase tardo orientalizzante e arcaica) sono caratterizzati da fondazioni in pietra sulle quali si impostano elevati di terra. L’adozione di questa tecnica da parte della classe aristocratica, raffinata ed estremamente sensibile ai significati simbolici che la Regia rappresenta e trasmette, ne attesta la non po- 276 dalla consultazione delle riprese del 1954 e 1976 il complesso insediativo-produttivo avrebbe una superficie di 8750 mq. (Fig. 2). All’interno sono riconoscibili tracce di probabili edifici abitativi, spazi aperti e annessi funzionali destinati a varie attività. Le ricognizioni sul terreno hanno confermato l’elevato potenziale archeologico del sito. I contesti identificati sono tutti riferibili a cronologie comprese tra fine VII-VI secolo a.C. 18. La seconda fattoria è situata in un’area densamente edificata nella località Vescovado di Murlo 19. In seguito a lavori di scavo per il consolidamento di un edificio privato è stata scavata una trincea di 61,52,5 m di profondità. Nel corso dei lavori sono emersi numerosi materiali archeologici ascrivibili a differenti fasi cronologiche. È stato possibile dedurre l’articolazione della stratigrafia esclusivamente in sezione e dal frettoloso setaccio degli scarichi; condizione che limita sensibilmente le nostre capacità interpretative. I materiali ascrivibili alla fase tardo orientalizzante-arcaismo, corrispondono a 103 frammenti di ceramica (acroma grezza, acroma depurata e ceramica grigia). Nella parte inferiore della trincea (ca. 1,5 m al di sotto del suolo di campagna, livello da associare al periodo considerato) 20 sono visibili in sezione numerosissimi frammenti di laterizio da copertura. Dallo stesso livello proviene un frammento di intonaco dipinto 21. Nel complesso la evidenze relative a insediamenti hanno restituito, in media, una buona quantità di reperti ceramici 22. Proponiamo di seguito alcune osservazioni sulla presenza delle classi ceramiche e sull’articolazione del corredo domestico. Il dato più evidente da rilevare è la totale assenza di prodotti ceramici d’importazione (Fig. 4). Tutti i contesti presentano esclusivamente ceramica di produzione locale. Netta è la prevalenza delle produzioni d’impasto grezzo (74%), seguono a distanza i manu- Fig. 3. Categorie di emergenze pertinenti alla fase tardo orientalizzante-arcaismo L’area superficiale di spargimento di reperti ha dimensioni medie di 22,317,8 m; la zona di massima concentrazione (in prevalenza di forma rettangolare) ha dimensioni medie di 8,35,6 m con massimi di 129 m 12 e minimi di 65 m 13. Le concentrazioni sono costituite da frammenti fittili e grandi quantità di laterizi da copertura. Del tutto assenti materiali litici da costruzione e restituzioni di scorie di lavorazione del ferro 14. In due soli casi è attestata la presenza di intonaco d’argilla con chiare tracce di intreccio di canne e ramaglie 15. I valori, medio-massimo e medio-minimo, di reperti per mq sono 8,4 e 5,3. – Fattoria: a questa definizione sono riconducibili due evidenze (3,8%) individuate nelle località podere L’Allodola e Vescovado 16. Nel primo caso per l’identificazione dell’evidenza è stato fondamentale il contributo del telerilevamento 17. In base alle tracce emerse vertà o arretratezza (intesa come mancanza di capacità costruttive). Al contrario dobbiamo ritenere che questa tecnica dovesse avere raggiunto un elevato livello di perfezione per permettere di costruire un edificio di quelle dimensioni, caratterizzato da un tetto molto pesante. Per un approfondimento sul tema e relativa bibliografia: cfr. Schedario Topografico, F. 120 II n. 10.1. 12 Cfr. Schedario Topografico, F. 120 I n. 47.2. 13 Cfr. Schedario Topografico, F. 120 II n. 102.3. 14 Facciamo presente che questo è l’unico periodo in cui non abbiamo trovato scorie di ferro riferibili alla fase di forgiatura del metallo. Vedremo come questa evidenza negativa assuma un significato chiave nella lettura dell’organizzazione socio-economica particolarmente riferita ai rapporti di produzione. 15 Cfr. Schedario Topografico, F. 120 I n. 23.1, F. 120 II n. 68.1; vedi inoltre cap. VII, 3. 16 Cfr. Schedario Topografico, F. 120 I nn. 23.1-2, nn. 57.1-2. 17 È questo un caso esemplare di indagine multimetodologica. La consultazione delle riprese aeree verticali del 1954, 1976, 1994, 1996, l’acquisizione di immagini oblique nel 2000 e 2001, la disponibilità di riprese Ikonos MS, le ripetute ricognizioni di superficie, la raccolta di fonti orali hanno permesso di ricostruire le articolate vicende del sito. Nella fase preliminare della ricerca, lo studio delle fotografie aeree ha evidenziato sulla sommità della collina un’importante serie di tracce anomale (cfr. Schedario Topografico, F. 120 I n. 23.2). Le numerose ricognizioni hanno messo in evidenza la scarsa presenza di materiali in corrispondenza dell’anomalia, mentre a poche decine di metri verso est lungo il margine della strada provinciale, abbiamo una sezione occasionale ricchissima di materiali ceramici, laterizi e murature (Cfr. Schedario Topografico, F. 120 I n. 23.1). Verso nord e nordovest a circa 200 m dall’anomalia, sono disposte approssimativamente a semicerchio tre concentrazioni, mentre in direzione est-nord-est a 50-100 m dall’anomalia sono allineate altre tre concentrazioni. Complessivamente abbiamo raccolto 505 frammenti di ceramica (tra cui buccheri neri e grigi) e 147 frammenti di materiali edilizi (laterizi e tubature), 7 frammenti di ossa umane. Tutti i materiali raccolti (in sezione, in corrispondenza dell’anomalia e nelle concentrazioni circostanti) sono ascrivibili alla fase cronologica fine VII secolo-VI secolo a.C. Inizialmente, non senza dubbi e incertezze, abbiamo interpretato tutte le evidenze come piccole strutture abitative gravitanti intorno al grande complesso visibile nella fotografia aerea. Da notizie orali acquisite dal proprietario del fondo, l’architetto Meoni, siamo venuti al corrente che nella seconda metà degli anni Fig. 4. Distribuzione quantitativa delle classi ceramiche ’70 la sommità del poggio è stata spianata con mezzi meccanici. Abbiamo quindi deciso di consultare la ripresa GAI (1954), nella quale sono visibili sostanzialmente le medesime tracce del 1976. La consultazione dei voli Regione del 1994, AIMA del 1996, delle riprese oblique del 2000, 2001 e l’immagine Ikonos MS non consentono di osservare più alcun tipo di traccia. È verosimile ritenere che i movimenti di terra, avvenuti verso la fine degli anni ’70, abbiano cancellato il sito disperdendo i materiali sulle superfici circostanti (cfr. Schedario Topografico, F. 120 I nn. 23.3-5). 18 Per la descrizione e la documentazione fotografica della stratigrafia, cfr. Schedario Topografico, F. 120 I n. 23.1. 19 Cfr. Schedario Topografico, F. 120 I nn. 57.1-2. 20 Cfr. Schedario Topografico, F. 120 I nn. 57.1-2. 21 Cfr. cap. VII, 3. Il frammento di intonaco rinvenuto sul fondo della trincea trova un confronto per tonalità della colorazione e tipo di decorazione con il frammento di intonaco proveniente da Poggio Civitate, esposto presso l’Antiquarium di Poggio Civitate. 22 In totale 1467 frammenti (laterizi da copertura esclusi), che corrispondo a una media di 26.6 frammenti per unità topografica. 277 fatti in ceramica acroma depurata (19%) mentre poco rappresentati sono bucchero (4%) e ceramica grigia (2%) 23. La distinzione delle forme (Fig. 5) mostra la netta prevalenza tra le forme chiuse dell’olla (60%), soprattutto da fuoco. Molto diffuso tra le olle sono il tipo Boloumié-M1 24 e vari esemplari provenienti dallo scavo del Lago dell’Accesa 25. Ben attestata è anche la ceramica da conserva rappresentata da pithoi e dolia (12%), mentre del tutto assenti sono fram- menti di anfore o contenitori da trasporto. Tra le forme aperte, meno diffuse (15%), troviamo ciotole, ciotole-coperchio e mortai 26. Significativa è l’associazione di questi dati con le tipologie insediative. Tutte le evidenze indicate con la definizione casa di terra mostrano una profonda omogeneità con esclusiva presenza di ceramica comune (rapporto acroma grezza-acroma depurata: 4/1). Questa tendenza è interrotta in due soli casi, in cui troviamo, oltre alle classi citate (presenti in proporzioni leggermente diverse; acroma grezza 70%, acroma depurata 25%), bucchero e ceramica grigia. Entrambe le abitazioni sono situate entro un raggio di 30 m dalle due evidenze indicate come fattorie e quindi, sono verosimilmente da considerare parte dei complessi. Il rapporto tra diversi tipi di forme espresso nel grafico, è sostanzialmente rispettato per le evidenze tipo casa di terra. Solo nei due casi in cui è presente bucchero o ceramica grigia le percentuali indicate risultano sensibilmente alterate 27. Sebbene l’olla continui a prevalere, si attesta un deciso incremento della ceramica da conserva (20%), mortai (12%) e forme aperte (25%). Nel complesso il corredo ceramico e i tipi di emergenze esprimono una spiccata vocazione agricola. Vi sono però alcune differenze: il tipo casa di terra è caratterizzato da una cultura materiale estremamente omogenea e modesta, votata a soddisfare esigenze primarie. In coincidenza delle strutture di maggiori dimensioni (fattorie) le Fig. 5. Quantificazione delle forme ceramiche km Rinvenimenti editi: Regia Necropoli Frequentazione Rinvenimenti survey: Fattoria Spargimento sito F.120 I, 23.2 Casa di terra Sporadico Confini provinciali Fiumi Merse e Ombrone Fig. 6. Distribuzione dei siti della fase tardo orientalizzante-arcaismo 23 Precisiamo che la maggiore consistenza numerica del bucchero rispetto alla ceramica grigia non corrisponde a maggiore diffusione. Tutti i 64 frammenti rinvenuti sono riferibili alla medesima unità topografica, cfr. Schedario Topografico, F. 120 I nn. 23.1. 24 Caratterizzate da bordo estroflesso, orlo ingrossato e corpo ovoide, BOULOUMIÉMARIQUE, 1978. 25 CAMPOREALE et alii,, 1985. 26 Anche in questo caso i confronti più puntuali sono da ricercare in BOULOUMIÉMARIQUE, 1978; CAMPOREALE et alii,, 1985. 27 Cfr. Schedario Topografico, F. 120 I n. 23.1, 57.1-2. 278 condizioni sembrano migliorare, maggiore articolazione di classi ceramiche, attestazioni quantitativamente significative di vasellame da mensa e aumento della ceramica da conserva (probabile conseguenza di maggiori necessità di stoccaggio). L’osservazione della carta di fase (Fig. 6) mostra all’interno dei campioni grandi aree di maggiore e minore concentrazione di emergenze, restituendo a prima vista l’immagine di una maglia insediativa poco omogenea. Spazi connotati da elevato numero di presenze, in modo particolare strutture abitative, sono l’area compresa tra le pendici settentrionali di Poggio Civitate e Murlo, l’ampia fascia di crinale intorno a Vescovado 28, la zona dell’Allodola e lo spazio Montepescini-Poggio Castello. Zone mute o quasi sono rappresentate dal transetto orientale del campione A (crete) e dagli spazi circostanti il fiume Ombrone. A un’analisi più attenta si osserva che le abitazioni presenti in 3 delle 4 zone di maggiore concentrazione gravitano intorno alle strutture insediative più rilevanti: Poggio Civitate-Murlo/Regia, zona circostante Vescovado-fattoria, area Allodola-fattoria. La concentrazione tra le località Montepescini-Poggio Castello, l’unica situata nel campione B e la più distante dalla residenza aristocratica 7.612 km, è invece caratterizzata esclusivamente da case di terra 29. Le evidenze non comprese entro questi spazi hanno la caratteristica di disporsi con regolarità in nuclei ravvicinati, composti da massimo tre unità abitative; non mancano infine evidenze di case isolate 30. La relazione tra morfologia del suolo e aree insediative (Fig. 7) è nettamente orientata verso la scelta del versante collinare (79%) e più generalmente per le zone collinari (88%) 31. L’anomalia più rilevante è rappresentata dall’altopiano, dove troviamo un’unica evidenza relativa alla residenza aristocratica di Poggio Civitate. Nei periodi successivi la voce Altopiano non comparirà più, confermando l’eccezionalità della scelta. Il diagramma delle quote altitudinali consente di fare ulteriori considerazioni (Fig. 8) 32. Le sedi umane individuate nel corso del survey, non superano mai i 300 m s.l.m. e non si collocano al di sotto di 178 m s.l.m. La maggior parte dei valori sono al di sopra della quota media del territorio (218 m s.l.m.). L’escursione massima di quota, da relazionare a posizioni di versante collinare, è di 122 m; l’escursione massima ideale, indipendentemente dalla morfologia, è di 41 m. Il complesso residenziale di Poggio Civitate, è situato nettamente al di sopra di tutte le evidenze individuate, a 365 m s.l.m.: 65 m al di sopra della quota massima e 109 m di escursione dal valore medio assoluto. Le caratteristiche geologiche degli spazi occupati dalle evidenze riportate in letteratura interessano prevalentemente suoli ofiolitici (calcari marnosi e diaspri). I dati emersi dalla ricognizione attestano una situazione nettamente diversa (Fig. 9) 33. L’81% delle evidenze sono collocate su terreni del gruppo neogenico (argille, breccia di Grotti, conglomerati poligenici) mentre solo il 19% è riconducibile al gruppo ofiolitico. Fig. 8. Rapporto morfologia-quota altitudinale degli insediamenti Fig. 7. Distribuzione delle evidenze in funzione delle caratteristiche morfologiche del suolo Fig. 9. Distribuzione degli insediamenti in funzione delle caratteristiche geologiche del suolo 28 Alla quale bisogna associare la necropoli in località Colombaio (Fig. 6): cfr. Schedario Topografico, F. 120 I n. 2.1. 29 È possibile ricondurre la concentrazione di abitazioni a due nuclei abitativi formati da tre e due abitazioni. Segnaliamo che tutte le distanze tra unità topografiche riportate nel presente capitolo e nei seguenti sono calcolate in ambiente GIS. 30 In totale 5, cfr. Schedario Topografico, F. 120 I nn 43.1, 69.1, F. 120 II nn. 92.1, 120.3. 31 La distribuzione nei due habitat seppure con alcune differenze non si discosta in modo sostanziale dai valori espressi nel diagramma. Habitat 1: pianura 9%, versante collinare 88%, sommità collinare 3%; habitat 3: pianura 22%, versante collinare 67%, sommità collinare 11%. 32 Premettiamo che l’altitudine media delle aree campione che hanno restituito emergenze riconducibili a insediamento è di 218 m slm., con punte massime di 420 m slm. e minime di 116 m slm. Il dato è stato ottenuto dal computo in ambiente GIS di tutti i valori relativi alle curve di livello degli spazi delimitati dai campioni A e B. Nel grafico abbiamo rappresentato separatamente l’insediamento di Poggio Civitate per mostrarne l’eccezionalità rispetto alle altre emergenze. Le medie riportate tengono conto solo delle evidenze individuate durante la ricognizione. Lo stesso criterio vale per tutti i grafici che seguono. 33 La proporzione risulta leggermente diversa se calcolata separatamente negli habitat 1 e 3. Habitat 1: argille 59%, ofioliti 25%, conglomerati poligenici 9%, breccia di Grotti 6%; habitat 3: 60% argille e 40% conglomerati poligenici. 279 di Piano del Tesoro, prosegue verso sud-est sconfinando nel territorio di Buonconvento fino a raggiungere La Befa, località situata a meno di 100 m dal corso del fiume. La distanza da percorrere è di circa 9 km. Nello spazio tra Poggio Civitate e La Befa abbiamo individuato un allineamento di cinque abitazioni di terra, poste a intervalli piuttosto regolari lungo la linea ideale che separa le due estremità. Negli spazi contermini, interamente indagati e caratterizzati da un elevato grado di rappresentatività (alta visibilità, ripetizione della ricognizione) non abbiamo rilevato nessuna unità topografica. L’evidenza negativa avvalora l’ipotesi di un collegamento quasi rettilineo (Fig. 11) tra Regia e Fiume Ombrone della lunghezza teorica di 4.971 km 38. La letteratura edita riferisce la presenza in località Pompana (Fig. 11) di due tombe a tumulo di VI-V secolo a.C. 39. La distribuzione sparsa di nuclei sepolcrali nel territorio è stata messa in relazione all’esibizione dello status e all’affermazione del possesso della terra da parte di piccoli gruppi gentilizi 40. Caratteristica è la scelta di luoghi ben visibili, in grado di esaltare i caratteri monumentali dei tumuli posti lungo importanti vie di comunicazione 41. Il fatto che i due tumuli di Pompana siano di poco successivi alla residenza aristocratica di seconda fase è significativo della centralità e della continuità che questo tratto viario ha avuto. Recenti ricerche nel territorio di Montalcino consentono di ipotizzare che la viabilità tra il centro di Murlo e la costa tirrenica non segue, almeno inizialmente, il corso dell’Ombrone da vicino. Le evidenze riscontrate nelle località Badia Ardenga, Montosoli, Fonte del Bozzolino e il noto villaggio della Civitella sembrano costituire i nodi di una viabilità importante che dalla confluenza Orcia-Ombrone attraversa l’attuale territorio di Montalcino 42. Dalla località La Befa quindi non si prosegue verso sud, lungo il corso dell’Ombrone ma in direzione sud-ovest verso Badia Ardenga. L’esigenza di raggiungere l’Ombrone all’altezza della località La Befa, è forse da mettere in relazione alla presenza di un guado facilmente accessibile 43. Dalla Regia, sempre in via ipotetica, possiamo immaginare partissero collegamenti con i vicini centri di produzione agricola lungo il crinale che da Poggio Civitate si estende verso Vescovado e prosegue fino al Poggio L’Allodola (Fig. 2). Il modello insediativo dei secoli fine VII-VI secolo a.C. attesta la centralità della residenza aristocratica nel territorio, situata lungo il principale itinerario di comunicazione (fluviale e viario), intorno al quale si articola la distribuzione di un popolamento costituito, da nuclei di abitazioni gravitanti (massimo 5-6 unità abitative) intorno a complessi produttivi di medio-grandi dimensioni (fattorie), da piccoli nuclei abitativi formati da massimo tre abitazioni (distanza media tra elementi dello stesso nucleo 191 m, distanza media tra nuclei 1.531 m) e da case sparse poste a distanza media di 1.010 m dal più vicino insediamento. Gli spazi insediativi coincidono con le La discrepanza tra modello aprioristico e ricognizione è solo apparente. La maggior parte delle evidenze precedentemente note sono pertinenti a tombe e necropoli, unica area insediativa è la Regia di Poggio Civitate. In questo caso la scelta del luogo, considerate le caratteristiche dell’insediamento, è da mettere in relazione alla posizione sopraelevata rispetto al territorio circostante funzionale a esaltare le caratteristiche monumentali del complesso. Al contrario le evidenze insediative individuate nel corso del survey appartengono a tutt’altra categoria che abbiamo visto connotata da vocazione agricola. È inoltre possibile costatare che gli spazi con geologie tipo diaspri, formazione di Murlo e ofioliti (19%) rappresentano in tutti i casi isole geologiche con superfici estremamente ridotte (mai superiori a 0,5 kmq) sempre contigue a terreni argillosi. Possiamo quindi concludere che gli insediamenti in questo periodo tendono a disporsi prevalentemente su terreni di tipo argilloso o in prossimità di essi, molto probabilmente in quanto più adatti allo svolgimento di attività agricole. Il rapporto degli insediamenti con i corsi d’acqua ha dato risultati interessanti (Fig. 10). Nel complesso le aree insediative sono situate da una distanza minima di 50 m fino a un massimo di 450 m. Il 75% delle misurazioni si collocano tra 350 m e 200 m (appiattimento curva) mentre il valore medio assoluto è di 277 m 34. Fig. 10. Diagramma delle distanze degli insediamenti da corsi d’acqua di medio-bassa portata Del tutto al di fuori di questi valori è la distanza tra Regia e corsi d’acqua che raggiunge 1.650 m. È ipotizzabile che l’approvvigionamento idrico avvenisse tramite sistemi artificiali di raccolta delle acque piovane in apposite cisterne 35. L’uniformità della distanza dai corsi d’acqua di medio-bassa portata corrisponde nella dimensione spaziale a insediamenti che si dispongono parallelamente alla vie d’acqua 36. Oltre al parallelismo, più o meno preciso con i corsi d’acqua, gli allineamenti forniscono lo spunto per alcune considerazioni sull’ipotetica rete viaria. È inevitabile immaginare, in relazione al noto rapporto tra insediamento di Poggio Civitate e fiume Ombrone, la presenza di un collegamento viario 37. La distanza in linea d’aria sito-fiume è 4,5 km. L’attuale viabilità Poggio Civitate-Ombrone segue il fianco orientale 38 Una fonte indicativa, di almeno una delle scelte possibili in un regime economico preindustriale, è costituita dalla cartografia leopoldina (1830). In questo caso il catasto riporta un tracciato viario che quasi ricalca l’ipotesi presentata. 39 Schedario Topografico, F. 120 II nn. 11, 12. 40 Sull’argomento si veda in particolare ZIFFERERO, 1991, pp. 107-134. 41 KAHANE et alii, 1968, p. 68; CARUSO, 1984, pp. 402-404; CARUSO, 1986, pp. 127-144; COLONNA, 1986, pp. 418-530; ZIFFERERO, 1991, pp. 107-134. 42 CAMPANA, 2002, c.s. Dalla confluenza Orcia-Ombrone passa inoltre la direttrice viaria che collega, attraversando la Val d’Orcia e il valico del Castelluccio di Pienza, i centri urbani della costa alla Val di Chiana. 43 Riteniamo probabile l’esistenza di un collegamento alternativo tra Poggio Civitate e Badia Ardenga tramite Castelnuovo Tancredi (Buonconvento), località in cui è attestata la presenza di un tumulo di età tardo orientalizzante. 34 Tra habitat 1 e 3 si registra una leggera variazione del valore medio, rispettivamente 270 m e 301 m. 35 NIELSEN, c.s. 36 È il caso delle unità topografiche situate tra le località podere Allodola e Murlo in relazione con il torrente Crevole, lo stesso è verificabile lungo il fosso Stiessera e il fosso della Chiesa. 37 Sulla questione si veda MANGANI, 1990, pp. 9-21. 280 Fig. 11. Visualizzazione tridimensionale del percorso ipotetico da Poggio Civitate al fiume Ombrone e indicazione delle evidenze tato dal gruppo aristocratico locale sulle attività produttive che si svolgevano al suo interno: lavorazione di osso e corno, produzione di terrecotte architettoniche, laterizi da copertura e in particolare attività metallurgiche 47. Altro aspetto dell’economia del territorio da ricondurre esclusivamente al gruppo aristocratico sono il controllo dei transiti commerciali e delle attività di scambio 48. Gli scavi del complesso hanno restituito ingenti quantità di beni d’importazione (ceramiche figurate, buccheri, preziosi in avorio e in osso, oggetti in metallo prezioso) 49, mentre le evidenze riscontrate durante il survey sono relative solo a reperti di produzione locale. A sostegno dell’estraneità della popolazione rurale da rapporti commerciali è l’assenza di anforacei o di altri contenitori da trasporto. Uniche attività cui sembra dedicarsi la popolazione locale sono agricoltura e allevamento 50. Questo settore dell’economia, controllato e gestito tramite rapporti di tipo gentilizio-clientelare dal potentato locale 51, appare organizzato su due livelli: nuclei produttivi accentrati gravitanti intorno a una struttura gerarchicamente superiore (fatto- zone abitative 1 e 3, privilegiando posizioni di versante collinare, a quota 256 m s.l.m., su terreni di tipo argilloso del gruppo neogenico, a distanza media di 277 m dal più vicino corso d’acqua. Unica eccezione è costituita dalla Regia che propone caratteristiche del tutto diverse (altopiano, 365 m s.l.m., formazione di Murlo, bacino idrografico distante 1.650 m) da ricondurre a esigenze di dominio sul territorio (trasmissione dello status e ideologia aristocratica) 44. Questo modello trova sostanzialmente conferma nei risultati emersi in altre aree del senese, in modo particolare nel Chianti 45. Il modello socio-economico conferma il ruolo di Poggio Civitate come l’organismo gerarchicamente più rilevante del territorio (dimensioni, cultura materiale e localizzazione spaziale). Il potentato esercita uno stretto controllo su tutte le attività economico-produttive e le risorse del territorio. Coltivazione del terreno per la produzione alimentare con annesso allevamento del bestiame, scambi e commercio, produzione di beni di vario genere di tipo manifatturiero sono tutti ambiti economici sottoposti a diretto controllo dell’élite locale. La fase tardo orientalizzante-arcaica è la sola in cui le evidenze individuate non hanno in nessun caso restituito tracce di attività artigianali riconducibili a fornaci ceramiche, di laterizi o scorie di lavorazione di metalli. La letteratura degli scavi di Poggio Civitate riferisce che nelle immediate vicinanze del complesso è situata una struttura di grandi dimensioni caratterizzata da un tetto perfettamente simile a quello che copriva la regia (segno materiale e forma di comunicazione del potere aristocratico) 46. La vicinanza con la residenza aristocratica e le simbologie espresse dalle terrecotte che ornavano il tetto lasciano pochi dubbi sullo stretto controllo eserci- 47 In merito alle attività metallurgiche svolte a Poggio Civitate si veda WARDEN et alii, 1982, pp. 29-31; WARDEN, 1985, pp. 123-125; WARDEN et alii,, 1991, pp. 153, 154; NIELSEN, 1993, pp. 29-40; WARDEN, 1993, pp. 41-50; NIELSEN, 1995a, pp. 19-26. La questione sul probabile sfruttamento delle miniere di rame presenti nel territorio rimane in sospeso, cfr. cap. I, 5, cap. III, 3. 48 Cfr. cap. III, 3; GRAS, 2000a, pp. 97-109; GRAS, 2000b, pp. 15-26; NASO, 2000, pp. 111-130. 49 Ben noti sono i contatti commerciali tra Murlo e i centri dell’Etruria costiera (in modo particolare Vetulonia e Roselle), gli insediamenti situati lungo la valle dell’Ombrone e le realtà presenti nel territorio fiorentino (San Casciano, Quinto Fiorentino, Artimino, Montefortini). Siena, 1979, pp. 207-208, n. 1; MANGANI, 1984, pp. 8-12; MANGANI, 1990, pp. 9-21. 50 A tale proposito la cultura materiale degli insediamenti è piuttosto chiara. Costante è presenza di dolia e pithoi, frequenti i rinvenimenti di pesi da telaio. 51 CARANDINI, 1979, p. 128; CRISTOFANI, 1993, pp. 124-127; BONAMICI, 2000, pp. 73-87. Siena, 1979, pp. 207-209; COLONNA, 2000, pp. 55-66; BARTOLONI et alii, 2000, pp. 221-270; TORELLI, 2000b, pp. 67-78. 45 VALENTI, 1995a, pp. 393-396. 46 In particolare TORELLI, 1997, pp. 87-121 e TORELLI, 2000b, pp. 67-78; inoltre cfr. Schedario Topografico, F. 120 II n. 10.1. 44 281 km Rinvenimenti survey: Casa di terra Rinvenimenti editi: Necropoli Confini provinciali Fiumi Merse e Ombrone Fig. 12. Carta tardo arcaismo-fase classica ria) 52 e nuclei di case sparse nel territorio 53. Il quadro fin qui esposto consente di ipotizzare una stratificazione sociale che comprende, oltre al gruppo aristocratico e alla popolazione rurale dipendente, una terza categoria, intermedia, sempre dipendente dal vertice sociale, alla quale sono da ricondurre gli artigiani specializzati operanti nell’officina di Poggio Civitate 54 e forse gli abitanti delle strutture maggiormente rilevanti dei nuclei accentrati (fattorie) 55. Rete insediativa e organizzazione socio-economica perdurano fino al terzo quarto del VI secolo a.C. Il sistematico smantellamento della residenza aristocratica si ripercuote nel territorio con la destrutturazione del modello insediativo: in modo particolare si segnala la scomparsa delle fattorie e dei i nuclei accentrati 56. Si assiste inoltre a un generale ridimensionamento del numero di evidenze, di 41 abitazioni censite nel periodo precedente solo 7 continuano a esistere 57. Le nuove attestazioni sono circoscritte a sette emergenze tutte riconducibili a case di terra, situate in spazi già precedentemente sfruttati o nelle immediate vicinanze (Fig. 12) 58. Tra fine VI secolo a.C. e per tutto il V secolo a.C. sembra profilarsi l’immagine di un territorio in crisi, caratterizzato da un marcato decremento demografico, probabilmente basato su rapporti economici e sociali sostanzialmente egualitari 59. Questa situazione di discontinuità e abbandono trova riscontri con quanto già osservato nel territorio senese 60. I “palazzi” di Poggio Civitate* Il primo edificio Per la costruzione degli edifici di Poggio Civitate venne scelto un altopiano, geologicamente caratterizzato dalla Formazione di 52 In via ipotetica queste strutture potrebbero essere funzionali all’organizzazione della produzione agricola, per raccogliere e indirizzare i surplus verso la Regia. 53 L’insediamento sparso è molto probabilmente sempre dipendente dalle fattorie, quindi dal gruppo aristocratico e da mettere in relazionare con le necessità di ampliamento delle terre coltivate. A tale proposito dobbiamo tenere presente che il periodo in esame, in base alle evidenze archeologiche raccolte, corrisponde alla prima fase di antropizzazione del territorio. 54 Nel corso del survey non abbiamo trovato alcuna struttura insediativa o tracce riconducibili alla presenza di artigiani. L’ipotesi è basata sui dati di scavo del sito di Poggio Civitate e sulle osservazioni del direttore degli scavi. NIELSEN, 1995a, p. 20. 55 In questo caso i segni esteriori della differenziazione sociale sono riscontrabili nelle dimensioni delle strutture, nella maggiore articolazione del corredo ceramico e nel materiale edilizio. A questo gruppo intermedio è forse da riferire la necropoli situata in località Colombaio (cfr. Schedario Topografico, F. 120 I n. 2.1) situata a soli 30 m dalla fattoria (cfr. Schedario Topografico, F. 120 I nn. 57.1-2). 56 La distruzione del palazzo è datata al 525 a.C.: cfr. Schedario Topografico, F. 120 II n. 10.1. 57 Cfr. Schedario Topografico, F. 120 I nn. 42.3, 47.2, 50.1, F. 120 II nn. 66.3, 68.1, 92.1. Cfr. Schedario Topografico, F. 120 I n. 37.1; F. 120 II nn. 65.1, 139.1. Le emergenze riferibili a questa fase per dimensioni, materiali edilizi e cultura materiale esprimono una profonda omogeneità. Unico indizio a favore di una situazione più complessa è costituito da due cippi funerari (VI secolo-V secolo a.C.) e dal toponimo del luogo di provenienza, Pompana riconducibile al gentilizio etrusco Pumpuna. COLONNA, 1977, pp. 175-192.; ZIFFERERO, 1991, pp. 107-134. 60 Il motivo più accreditato per spiegare questa situazione è l’attrazione verso centri polarizzatori. Siena, 1979, 23-25; CRISTOFANI, 1981b, p. 441; CUCINI, 1990, p. 241; VALENTI, 1995a, p. 396; NARDINI, 1994-1995, p. 243. * Quanto scritto nel presente contributo alla Carta Archeologica della Provincia di Siena è una sintesi delle più recenti acquisizioni in merito al sito di Poggio Civitate, i cui materiali sono emblematici per la storia degli insediamenti tardo-orientalizzanti e arcaici in Etruria settentrionale. Sebbene mi assuma la piena responsabilità di quanto scritto, alcuni spunti e riflessioni sono il frutto di colloqui intercorsi con i proff. Gilda Bartoloni e Adriano Maggiani e con la dott.ssa Silvia Goggioli: a loro va il mio ringraziamento. 58 59 282 vano rettangolare molto allungato, probabilmente senza partizioni interne la cui pianta richiama alla memoria tanto la forma della long house protostorica conosciuta in Etruria e nel Lazio quanto la casa a megaron del mondo greco 70. In particolare la presenza di un edificio rettangolare, cui si affiancano uno o più ambienti quadrati, ricorda, ad esempio, anche la situazione di Emporion, nell’isola di Chio, dove l’uno viene ritenuto la dimora del basileus locale, gli altri, piuttosto che strutture di servizio, ambienti destinati a personaggi eminenti e vicini al signore 71. L’edificazione della prima residenza intorno ai decenni finali del VII secolo a.C. comportò la copertura del tetto secondo l’innovativo sistema misto laconico-corinzio con manto di tegulae ed embrices. Contestualmente fu messo in opera un ricco apparato ornamentale costituito dai kalypteres sormontati da acroteri eseguiti a ritaglio (i cosiddetti cut-out akroteria) con figura di cavaliere, soggetti fitomorfi e animalistici, tipici del repertorio protocorinzio 72. Insieme alla figura di cavaliere vennero rinvenuti i frammenti di una sima rampante dipinta con motivi geometrici nella tecnica del “bianco su rosso” che, per la giacitura è stata assegnata all’edificio tardo-orientalizzante 73. Da ultimo la decorazione architettonica prevedeva i coppi di riva provvisti di antefisse a figura umana ed eseguite a matrice. Il sistema integrato di competenze, che andava dalla lavorazione del legno per l’intelaiatura di supporto del tetto a doppia falda alla plasmatura, dipintura e collocazione delle terrecotte ornamentali, implica sul sito di Poggio Civitate l’intervento di un’équipe di fictores, artigiani esperti tanto nei lavori di carpenteria che in quelli propri della lavorazione e cottura della ceramica, la cui formazione è da ricercarsi in Etruria meridionale. Le tecniche messe in opera a Murlo trovano infatti ad Acquarossa i migliori confronti, mentre una probabile visione in opera degli acroteri a ritaglio come elementi architettonici posti a decorazione dei tetti è forse ora offerta dalle raffigurazioni intagliate sul trono di Verucchio 74. La diffusione di tali attività in Etruria è stata da tempo messa in relazione con le leggendarie figure di Eucheir, Diopos ed Eugrammos (“l’abile modellatore”, “il traguardatore” e “l’abile decoratore”) che, giunti a Tarquinia al seguito del corinzio Demarato, avrebbero introdotto presso gli Etruschi l’arte della coroplastica architettonica 75. Il repertorio decorativo della sede palaziale è improntato all’imagerie tardo-orientalizzante che caratterizza le aristocrazie etrusche: la figura del cavaliere, che procede sul suo destriero, esibisce la nobiltà di stirpe attraverso il possesso del cavallo e l’esercizio della guerra e della caccia, mentre le “maschere”-antefissa, collocate anch’esse sul tetto a copertura dei coppi terminali, anticipano ideologicamente le figure degli “antenati” assisi sugli acroteri del palazzo arcaico a protezione al contempo della dimora e dei suoi abitanti 76. Che tali “maschere” evocassero le figure degli “antenati” è indiziato dal fatto che esse, negli zigomi sporgenti e nel mento al- Murlo 61, a 365 metri s.l.m. Attualmente il sito è coperto da una fitta vegetazione, è cinto da pendii assai ripidi e delimitato a occidente dai torrenti Crevole e Crevolone: domina un’area paesaggistica caratterizzata dal confine tra i rilievi delle crete senesi e le propaggini montuose e boscose della Maremma, laddove l’Ombrone, ricevuti i tributari Merse e Arbia, viene a costituire il tratto idrografico caratteristico del territorio a meridione di Siena. La scelta del luogo di edificazione, una pianura situata in posizione elevata, con ampia visibilità soprattutto a nord, ovest ed est, mostra i caratteri di eccezionalità nei confronti degli altri siti evidenziati dal survey archeologico nella maggior parte caratterizzati da una spiccata vocazione per le pendici collinari. Inoltre il complesso di Poggio Civitate si colloca a una quota che è più alta di 109 metri rispetto a quella media degli altri siti e di 65 metri rispetto alla quota massima registrata per questi. Anche la distanza dai corsi d’acqua è la più alta in assoluto (1.650 m) ed è, a mio parere, l’indice di una scelta che prevedeva un sistema di approvvigionamento idrico e di scolmatura delle acque piovane efficiente e organizzato, come si arguisce dalla tecnologia messa in atto nella costruzione del tetto e dalla conduttura rinvenuta nel 1969 62. La situazione topografica del sito accentua le peculiari caratteristiche del complesso di Poggio Civitate e sottolinea come le scelte compiute già al momento della prima edificazione furono dettate da motivi del tutto eccezionali e seguirono un progetto preordinato. La dimora doveva essere posta in luogo elevato, non facilmente accessibile ma non nascosta alla vista e, anzi, l’effetto scenografico dovette costituire un obiettivo non secondario degli edificatori se guardiamo all’apparato decorativo messo in opera già nel corso della fase tardo-orientalizzante. Alcune strade l’avrebbero poi collegata tanto al percorso dell’Ombrone quanto ad alcune unità produttive dislocate nelle vicinanze 63. Il primo “palazzo” venne costruito nella seconda metà avanzata del VII secolo a.C., presentava le fondazioni realizzate in grossi ciottoli a secco, aveva le pareti di pisé rivestite con intonaco, pavimenti in terra battuta 64 e doveva essere strutturato su due piani 65. Nel battuto dei pavimenti vennero rinvenuti infossati alcuni pithoi, che testimonierebbero la specializzazione funzionale di uno o più ambienti in magazzini 66. Le planimetrie che sono state pubblicate fino a oggi presentano alcune discordanze. Nella pianta generale delle strutture architettoniche pubblicata nel 1985 67 appare ben evidenziato il complesso orientalizzante, formato da due corpi di fabbrica disposti a “L” che hanno indotto a pensare, anche in recentissimi contributi, all’esistenza di un edificio a pastas di tipo greco, collegato a un cortile colonnato nel lato meridionale 68 (Tav. 1). In altre planimetrie più recenti (Tav. 2) 69 viene invece mostrato un solo edificio a grande Si tratta di formazioni geologiche proprie dei Monti di Murlo, a sud di Siena, riconducibili all’unità ofiolitifera e caratterizzate da marne scistose con intercalati calcari marnosi. 62 Siena, 1985, p. 127, 3.437 e 3.438 (P. Gregory Warden). 63 Cap. VIII, 2. 64 Siena, 1985, p. 69 (K. Meredith Phillips). 65 A sostegno di questa ipotesi concorrono la grande quantità di carboni rinvenuti nell’area, che apparterrebbero all’intelaiatura lignea del piano superiore distrutto dall’incendio e la ceramica caduta in seguito al crollo e rinvenuta in frammenti tanto all’interno che all’esterno dei pithoi: NIJBOER, 1998, p. 167. 66 COLONNA, 1986, p. 426. Furono rinvenuti anche semi e fave carbonizzate, che però non sono state messe in relazione ai pithoi: NIELSEN, 1991, p. 250. 67 Siena, 1985, p. 65 (E.O. Nielsen-K.M. Phillips). 68 COLONNA, 1986, p. 426; SASSATELLI, 2000, p 145; la presenza di basi di colonne sul lato meridionale venne proposta da Phillips: Siena, 1985, p. 69 (K. Meredith Phillips). 69 NIELSEN, 1993, fig. 2.8. 61 PESANDO, 1989, p. 40 sgg.; TORELLI, 2000, p. 69. PESANDO, 1989, p. 45, fig. 21. La ricostruzione di alcuni kalypteres con decorazione fitomorfa a ritaglio disposta longitudinalmente porta a ritenere che il punto di osservazione fosse lungo i lati maggiori dell’edificio tardo-orientalizzante e avvalora l’ipotesi dell’esistenza di un cortile sul quale si dovevano affacciare anche gli ingressi laterali: v. DANNER, 1993, pp. 93107, Abb. 12. 73 WINTER, 1997a. 74 TORELLI, 1997, p. 59. 75 COLONNA, 1986, p. 426. 76 BARTOLONI, 2000, p. 167. 70 71 72 283 lungato sono da mettere in relazione con le maschere funerarie in bronzo di Chiusi e con alcuni ossuari antropomorfi della fine del VII secolo a.C., sempre dal territorio chiusino 77. Pozzo Agger Fossato o at ss Fo 20 10 0 20 40 Tav. 3. Nella pianta l’ampia lacuna lungo il braccio nord-orientale, si evidenziano il fossato e gli edifici annessi. Da Siena 1985, p.67, fig. 3.4, modificato. 20 10 0 20 Tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90 gli scavi compiuti dal Bryan Mawr College hanno portato alla luce i resti di una nuova costruzione, situata lungo il fianco meridionale di Piano del Tesoro e chiamata convenzionalmente dai ricercatori “l’edificio di sud-est” 78 (Tav. 2). I resti consistevano in 45 basi di colonne in pietra, disposte su tre file parallele lungo un asse nordest/sud-ovest e distanti da centro a centro l’una dall’altra 2.75 metri 79. L’assenza di fondazioni in pietra ha consentito una stima approssimativa delle dimensioni (486 m circa) 80 e ha fatto inoltre ipotizzare che la struttura non avesse muri perimetrali, ma fosse ricoperta dal solo tetto, sostenuto da un’intelaiatura lignea e dalle colonne. La struttura, secondo i ricercatori del Bryan Mawr, sarebbe in fase con la residenza di periodo orientalizzante e avrebbe subito una distruzione in concomitanza con quella. La funzione di una siffatta costruzione è stata rivelata dal prosieguo degli scavi che hanno portato alla luce, nel centro di essa, alcuni materiali edili, costituiti da embrices associati a tegulae, alcune impilate per l’essiccazione e in attesa della cottura, insieme a una matrice per la produzione delle antefisse di prima fase 81. Inoltre la consistente quantità di tracce relative alla lavorazione dei metalli (fornetti ancora in situ, una fornace, frammenti di imboccature di mantici in terracotta) venne individuata nella parte più orientale della costruzione e nelle immediate vicinanze di essa 82. Sempre al suo interno sono state rilevate consistenti tracce di lavorati e semilavorati in osso 40 Tav. 1. Pianta con l’edifico orientalizzante evidenziato in nero e a forma di L. Da Siena 1985, p. 65, fig. 3.2, modificato. Edificio Nord Edificio 1ª fase Edificio 2ª fase Pozzo Edificio Sud Edificio Sud-Est 20 10 0 20 NIELSEN, 1995a, p. 19. NIELSEN, 1993, p. 29, figg. 2.1-2.2. In NIELSEN, 1993, p. 29 il numero di colonne è di 45 mentre in NIELSEN, 1996, p. 394 è 41. 80 NIELSEN, 1996, pp. 394-395. 81 NIELSEN, 1993, p. 30 sgg., figg. 2.3-2.7: le antefisse prodotte da questa matrice sono del tipo illustrato in Siena, 1985, p. 74, 3.25. 82 NIELSEN, 1993, p. 30 sgg., figg. 2.8-2.9; 2.11-2.33; WARDEN, 1993, p. 41 sgg. 78 79 40 Tav. 2. Pianta con l’edificio orientalizzante in forma di long-house, gli edifici annessi e l’“officina”. Da Nielsen 1993, p. 37, fig. 2.8, modificato. 77 CRISTOFANI, 1976, p. 91 n. 114; TORELLI, 1985, p. 106. 284 corno 90. È stato ipotizzato che le molte ricorrenze produttive e stilistiche degli oggetti in avorio diffuse nei centri tardo orientalizzanti dell’Etruria settentrionale possa essere ricondotta a maestranze specializzate e itineranti, formatesi in Etruria meridionale 91. Si potrebbe anche pensare a prodotti giunti da Chiusi, che sembra porsi in periodo tardo orientalizzante come centro di produzione e redistribuzione di oggetti in avorio 92. Stretti contatti con l’Etruria settentrionale degli oggetti in avorio e osso sono testimoniati dai confronti con gli avori provenienti dalla tomba a tholos di Montefortini di Comeana (Prato). In questo senso la testina in avorio (?) maschile, non rifinita 93 ne ricorda, tanto nelle dimensioni che nei tratti somatici appuntiti del volto (naso, labbra, mento), una dal tumulo di Montefortini, portata a termine e conseguentemente con il modellato più morbido 94. Inoltre la decorazione di un manico cilindrico da Poggio Civitate 95, ricavato piuttosto da corno che non da osso, è stata attribuita a un maestro attivo in Etruria settentrionale, che avrebbe eseguito anche un altro manico dalla Montagnola nonché la decorazione della pisside Tyszkiewicz, a Vienna 96. I materiali ceramici più antichi sono costituiti da impasti che trovano confronto a Campassini, presso Monteriggioni (SI) 97 e con materiale proveniente dalla Valle del Fiora e dall’ambiente laziale. Nel complesso possono essere datati nella prima metà del VII secolo a.C. 98. Alcune olle di impasto a labbro rientrante decorato da solcature trovano confronti puntuali con i materiali provenienti dalla massicciata di Campassini 99, datata a dopo gli inizi del VII secolo a.C. Altri tipi ceramici di impasto della fase tardo orientalizzante trovano somiglianze con la seconda e terza fase di Campassini 100, come ad esempio le olle globulari biansate 101. Altro vasellame d’impasto trova i più immediati confronti con quello rinvenuto in località Poggione, presso Castelnuovo Berardenga, che ha restituito calici d’impasto con cariatidi 102 e grossi vasi decorati con testine femminili. La produzione del bucchero evidenzia tanto prodotti eseguiti localmente (come le coppe con alte anse a nastro decorate con potnia theron) quanto prodotti che nella decorazione trovano confronti con tipi in ambito rosellano 103, al Poggione presso Castelnuovo Berardenga (ad esempio le pissidi-kotylai) 104, a Siena 105 e e in avorio 83. L’insieme della documentazione archeologica ha permesso di identificare nell’“edificio di sud-est” un’officina destinata alle attività di un’équipe di artigiani che confezionarono in loco sia le terrecotte architettoniche di decorazione sia alcuni prodotti diversificati (osso, avorio e bronzi), la cui mobilità indica, più che percorsi di tipo commerciale, ambiti rituali correlati alle pratiche dello scambio e del dono tra clan aristocratici 84. Le dimensioni dell’officina, articolata in aree produttive differenziate, ben si prestavano ad attività manifatturiere che, nel caso della lavorazione della terracotta, necessitavano di ampi spazi 85 e infrastrutture come le vasche per la decantazione dell’argilla, i piani per la manipolazione dell’impasto e le aree destinate all’essiccazione e allo stoccaggio dei prodotti finiti. Stranamente non sono state rinvenute le tracce delle fornaci per la cottura della terracotta, anche se la loro mancanza potrebbe essere ricondotta alla deperibilità di simili strutture, associata alla vastità della distruzione finale del sito. La dislocazione dell’edificio artigianale nei pressi del palazzo era invece legata a una situazione contingente in accordo con le esigenze produttive e di movimentazione per la messa in opera dei prodotti finiti. La posizione sul terreno di alcuni embrices con antefisse a testa forse femminile e di tegole di riva munite di gocciolatoi a testa leonina ha indotto a ritenere che anche il tetto dell’edificio artigianale fosse ornato da decorazioni architettoniche 86, in analogia quindi con il palazzo 87. Se da una parte questo testimonia l’importanza del ceto artigianale nella vita delle comunità tardo orientalizzanti, dall’altra è un’ulteriore conferma di come la decorazione architettonica non fosse esclusiva delle residenze e degli edifici sacri 88. I materiali tardo-orientalizzanti I materiali finora pubblicati, pertinenti alla prima residenza di Poggio Civitate, denunciano, al pari di quelli provenienti da altri siti tardo-orientalizzanti dislocati lungo la valle dell’Ombrone, nel Val d’Arno e nella Val di Chiana, la compresenza di motivi culturali di varia origine, che hanno costituito e costituiscono motivo di dibattito all’interno della comunità scientifica. I materiali più antichi sono anche quelli più preziosi rinvenuti nel corso degli scavi 89: avori, ossi e corno incisi, sigilli in pietra dura, bronzi e oreficerie accomunano questi agli oggetti di prestigio rinvenuti nelle tombe tardo orientalizzanti dell’Etruria settentrionale, segnatamente nel Val d’Arno e nella Val di Chiana (Comeana, Quinto Fiorentino, Cortona). Nel caso di Murlo il ritrovamento di scarti di lavorazione e semilavorati attesta una produzione locale di oggetti in osso, avorio e 83 NIELSEN, 1983, pp. 333-348; Siena, 1985, p. 94 (E.O. Nielsen). MANGANI, 1990, p. 14. 92 Sul dibattito in merito alle produzioni locali e non v. MINETTI, 1998, p. 47 sgg, in particolare nota 96. 93 Siena, 1985, p. 95, 3.198 (E.O. Nielsen). 94 Principi etruschi, 2000, p. 261 n. 321 (M.C. Bettini, F. Nicosia). 95 Cento preziosi etruschi, p. 129 n. 80 (E.O. Nielsen). 96 Principi etruschi, 2000, p. 248 (F. Nicosia). 97 BARTOLONI, 2001, p. 370. 98 CATUCCI, 1995-96, p. 72. 99 PINZUTI, 1997-98, p. 132. 100 PINZUTI, 1997-98, p. 132. 101 BOULOUMIÉ-MARIQUE, 1978, p. 84, forma J1; BARTOLONI, 2001, p. 370. 102 BOCCI PACINI, 1973, pp. 121-141. 103 CRISTOFANI, 1975, p. 9 sg.; MANGANI, 1990, p. 12, n. 22. 104 Siena, 1985, p. 162, 4.44 -4.45 (E. Mangani) ; MANGANI, 1990, pp. 12-13; le pissidi-kotylai sono prodotti tipici dell’area compresa fra Murlo e il territorio fiorentino. Simili si trovano anche a Bologna, nella necropoli Melenzani; tomba 6, datata alla fine del VII secolo a.C.: Principi etruschi, 2000, p. 348 n. 469. (M. Marchesi). 105 Le recentissime indagini nell’area dell’ex-Ospedale di Santa Maria della Scala hanno infatti messo in luce i resti di una “capanna con recinto”, che ha restituito, tra l’altro, alcuni frammenti di bucchero, relativi a frammenti di piatti su piede, impressi a stampiglia con figura di cavaliere e scena di lotta, attualmente in corso di studio da parte di chi scrive, e che presentano analogie con i buccheri tardo orientalizzanti di Poggio Civitate. 90 91 NIELSEN, 1993, p. 30, fig. 2.10. 84 MANGANI, 1990, p. 16; secondo la Studiosa una protome leonina proveniente da Serre di Rapolano sarebbe stata fabbricata a Poggio Civitate come pure una variante della classe di affibbiagli bronzei di cinturone rinvenuti non soltanto a Murlo ma anche a Castellina in Chianti e a Maciallina, in comune di Castelnuovo Berardenga. 85 Che l’attività all’interno dell’officina avvenisse completamente all’aperto è un’idea che forse è da riconsiderare. All’interno vi si svolgevano attività dove il controllo del fuoco richiedeva un certo grado di stabilità termica che male si accorda in una situazione di completa esposizione a correnti d’aria. Si può allora pensare a tramezzi in materiale precario che servivano tanto a separare le attività quanto, forse, anche a ospitare gli artigiani. 86 NIELSEN, 1995a, p. 20; SASSATELLI, 2000, p. 148. 87 WINTER, 1997b. 88 Un altro esempio vicino a Murlo è offerto dalla decorazione architettonica dell’edificio del Petriolo a Chiusi: D’AGOSTINO, 1998, pp. 31-38; GASTALDI, 1998, p. 162, fig. 61. 89 Siena, 1985, pp. 69-98 (O. Wikander, L.R.L(acy), E. Rystedt, E.O. Nielsen, K.M. Phillips, E. Mangani, P. Gambogi, G. Rosati, R.D. De Puma); Cento preziosi etruschi, 1984, pp. 126-137, figg. 75-93 (E. Nielsen, R.D. De Puma, K.M. Phillips Jr.). 285 nel territorio fiorentino 106. Notevole l’interesse della coppetta tripode che rinvia all’uso orientale di aggiungere al vino le spezie e altri composti triturati 107. I materiali ceramici di importazione, soprattutto servizi da mensa e per bere, (coppe ioniche, coppe laconiche, un calice chiota, alcuni skyphoi corinzi), contenitori per profumi (balsamari rodi, lekythoi samie, alabastra) e contenitori per il trasporto di olio (anfore corinzie e samie) rientrano tra quei prodotti che, provenienti dalla Grecia e dalle isole dell’Egeo e smistati da Vulci, Roselle, raggiungono l’interno attraverso la valle dell’Ombrone dove vengono redistribuiti molto probabilmente anche dalla stessa Chiusi 108. pio cortile. I quattro ambienti rettangolari disposti agli angoli erano caratterizzati da uguali dimensioni, ed è probabile che avessero un maggiore sviluppo in altezza rispetto al resto dell’edificio e ospitassero pertanto delle torri 116, evocando nella planimetria l’apadana dei palazzi achemenidi, la sala in cui i regnanti persiani ricevevano i personaggi di rango elevato. Il braccio disposto a nord, oltre a essere suddiviso in due grandi vani, presenta per un tratto le fondazioni maggiorate e per un altro alcuni pali di sostegno centrali, forse per ospitare un elevato a due piani. Nella planimetria ricorda l’edificio tardo-orientalizzante ed è stato ipotizzato che potesse ospitare i magazzini, così come era stato riscontrato per l’edificio tardo-orientalizzante. Che i magazzini fossero ospitati al piano terra non era imposto soltanto da ovvii motivi di praticità ma potrebbe anche dissimulare una possibile consuetudine cerimoniale. Infatti l’esibizione del loro contenuto, l’ostentazione del surplus alimentare agli ospiti e alla servitù sottende sia l’abbondanza del cibo sia il controllo sulla sua redistribuzione venendo con ciò a costituire una forma di potere sulla comunità. Il possesso delle risorse alimentari, oltreché della terra, è indice di possesso delle capacità e delle conoscenze pratiche (e anche rituali) per procurarsele e conseguentemente appaiono come i segni del prestigio e del potere del “principe”. La stabilità della produzione di risorse alimentari garantita dall’abbondanza di esse è quindi in relazione con la stabilità del potere e se da una parte costituisce di fatto un attributo della dignità del “principe” dall’altro garantisce la sicurezza alimentare dell’oikos tutto. Si potrebbe quasi dire che ci troviamo di fronte a una forma di ostentazione “allargata” rispetto a quanto raffigurato, ad esempio, sul coperchio del cinerario di Montescudaio dove l’esibizione del cibo, sotto forma di focacce, insieme a quella del vino, simbolicamente rappresentato dal cratere, appare piuttosto in una forma privata. L’ala con la planimetria più complessa è quella nord occidentale e anche per essa sono stati richiamati modelli orientali 117. L’articolazione in vani appare caratterizzata da una tripartizione al centro della quale è situata una sorta di esedra aperta sul cortile e preceduta da un piccolo edificio, forse a cielo aperto o con manto di copertura in strame 118, comunemente identificato come il sacello di culto degli antenati. Il manto di copertura del tetto era costituito di tegole, embrici, kalypteres, tegole di riva e gocciolatoi, supportato da un’orditura di elementi lignei e provvisto di raccordi e incastri fra i vari componenti. È possibile che le tegole di riva fossero dipinte nella parte terminale inferiore, sul tipo di quelle meglio note di Marzabotto 119. Alcune tegulae vennero prodotte con telai delle stesse dimensioni di quelli utilizzati per l’edificio del Petriolo a Chiusi nonché ad Acquarossa 120 quasi a testimoniare la presenza di un modulo dimensionale di base che doveva rappresentare uno standard nel know how tecnico delle maestranze artigiane. Un congruo nucleo di laterizi di copertura presenta una serie di segni per lo più alfabetici, con caratteristiche epigrafiche di tipo chiusino 121. Tracciati prima della cottura hanno indotto a pensare a una siglatura dei pezzi in funzione del loro posizionamento sul tetto, testimoniando con ciò un avanzato grado di organizzazione Il secondo edificio Dopo la distruzione della prima residenza a causa di un incendio, il complesso residenziale di Murlo venne ricostruito in forma completamente rinnovata e ampliata nelle funzioni nel corso del primo quarto del VI secolo a C. e fin dall’inizio previde la messa in opera di un complesso programma figurativo. Se gli edificatori del primo “palazzo” avevano individuato nella pianta rettangolare allungata di ascendenza protostorica uno dei possibili modelli, rievocativo delle “tradizionali solidarietà tribali” 109 il nuovo impianto presenta una planimetria del tutto innovativa per l’ambiente italico, per la quale sono stati richiamati modelli tanto in ambito siriaco e persiano 110 quanto in ambito greco-orientale e cipriota, segnatamente a Larissa e a Vouni 111. A fronte dell’uso della tecnica dei muri in mattoni crudi o pisé 112, innalzati su fondazioni in pietra e blocchi irregolari a secco e sorretti da armature lignee, consolidata in ambito etrusco, l’esecuzione del progetto e dell’apparato decorativo, furono opera di maestranze non locali, probabilmente di ascendenza corinzia e con esperienze di lavoro maturate in Etruria meridionale 113. L’edificio presentava una pianta quadrangolare, con i lati di circa 60 m di lunghezza e copriva un’area di 3.600 mq. 114 Al centro si sviluppava un’ampia corte di 4040 m, porticata per tre lati mentre quello a nord-ovest era priva di porticato e preceduto da un piccolo ambiente a pianta rettangolare, leggermente spostato rispetto all’asse mediano. Il braccio di nord-ovest aveva un ulteriore prolungamento verso sud a forma di “L”, con doppia cortina muraria desinente in un ambiente quadrangolare, da identificarsi, forse, come una torretta 115. Perpendicolare al braccio meridionale era un altro ambiente designato dagli scavatori “edificio sud”, nei pressi del quale venne rinvenuto un pozzo. Anche il braccio settentrionale presentava ulteriori ambienti annessi – il cosiddetto “edificio nord” – mentre il braccio orientale aveva un prolungamento verso nord. All’interno dei quattro bracci principali vennero ricavati 18 vani, di varie dimensioni e di diversa destinazione, che si aprivano sull’amMANGANI, 1990, p. 12 n. 22. Siena, 1985, p. 86 3.121 (G. Rosati); Principi etruschi, 2000, p. 195 con bibliografia (P. Delpino). 108 CRISTOFANI, 1975, p. 11. 109 TORELLI, 2000a, p. 69. 110 TORELLI, 2000a, pp. 72-73. 111 CRISTOFANI, 1975, p.11; TORELLI, 1981, pp. 83-86; COLONNA, 1986, p. 434; SASSATELLI, 2000, 147-148. 112 DONATI, 2000, p. 324. 113 MANGANI, 1990, p. 15. 114 Qualche dubbio rimane in relazione all’effettivo planimetria del braccio nordorientale, caratterizzato da un’ampia lacuna: vedi fig. 3. 115 BARTOLONI, 2001, p. 372. 106 107 SASSATELLI, 2000, p. 147. TORELLI, 2000a, p. 72. 118 COLONNA, 1986, p. 434. 119 Siena, 1985, p. 100, 232 (L.R.L (acy); COLONNA, 1986, p. 465, fig. 360. 120 Siena, 1985, 1.19 (O. Wikander) e 3.232 (L.R.L(acy). 121 Siena, 1985, p. 100 sgg. (A. Maggiani). 116 117 286 dell’équipe di fictores che lavorarono al secondo ‘palazzo’ di Poggio Civitate 122. La cura costruttiva e la tecnologia messe in opera dagli artigiani erano anche finalizzate al controllo delle acque piovane 123, tramite la raccolta e la regimazione dal cortile verso l’esterno, come traspare anche dai resti della conduttura che è stata ritrovata in situ e che correva perpendicolarmente all’ala meridionale appena sotto il livello del pavimento 124. Il tetto del “palazzo”, a doppio spiovente come testimoniato dall’esistenza dei kalypteres, era decorato da un complesso apparato figurativo costituito da una ventina di statue acroteriali in terracotta raffiguranti personaggi seduti sia maschili che femminili, i primi con grandi cappelli sulla testa, personaggi in posizione inginocchiata con elmo in testa (nei quali sono forse da riconoscere degli arcieri in posizione di tiro) e una lunga teoria di animali reali (cavalli, pantere, centauri, tori, cinghiali e arieti) e fantastici (sfingi, grifi) 125. Il resto della ricca decorazione, realizzato mediante matrici, era caratterizzata da sime rampanti (decorate con scene di caccia “piccola”con coppia di cani che rincorre una coppia di lepri) 126 e laterali, queste ultime realizzate secondo un modulo dimensionale costante e provviste di gocciolatoi a testa felina cui si aggiungevano ulteriori elementi decorativi conformati a testa umana e rosetta 127. I coppi di gronda, in particolare quelli dell’ala settentrionale, erano protetti da antefisse a testa di Gorgone. Lo stesso motivo si ripete su due antepagmenta, di più incerta collocazione 128. Le travi lignee a sostegno del tetto aggettante sulla corte porticata vennero invece rivestite e protette per tutta la loro lunghezza da lastre di terracotta decorate a matrice e fissate con chiodi. Le lastre presentano quattro tipi di raffigurazioni: – una scena di banchetto 129 incentrata su due coppie promiscue di personaggi recumbenti su due klinai, separate da un grande lebete per la mescita del vino e attorniate da servitori con coppe, oinochoai, kyathoi e suonatori; – una gara di cavalli, con tre cavalieri dotati di copricapo e mantellina al galoppo e lebete su sostegno che rappresenta il premio finale; – un corteo dove alcuni inservienti accompagnano un carro a due ruote con una coppia di personaggi seduti; – una scena di “assemblea divina” meridionale degli stampi utilizzati, o comunque creati da una manodopera specializzata. La plastica a tutto tondo venne invece eseguita da artigiani locali, privi di esperienze precedenti e dediti più alla modellazione dei vasi che non alla coroplastica 130. Il lato nordoccidentale appare perfettamente allineato alle fondazioni del precedente edificio tardo-orientalizzante e sebbene non sia disposto sul medesimo asse si accorda allo stesso orientamento mantenendo anche le medesime dimensioni in profondità dei vani. L’impressione è che si sia voluto rispettare se non il modulo dimensionale almeno l’indirizzo spaziale, uniformando l’orientamento del nuovo edificio a quello sancito all’atto della fondazione del più antico. Si potrebbe anche dire che qualora l’edificio più antico fosse effettivamente caratterizzato da una pianta a “L” con l’ala meridionale porticata il nuovo complesso ne rappresenterebbe in qualche modo il completamento in forma ampliata e monumentale. Se poi osserviamo 131 la distribuzione dei frammenti delle statue acroteriali e la loro concentrazione sul versante nord dell’edificio, possiamo ragionevolmente pensare che esse fossero collocate sul tetto dell’ala nordoccidentale, verosimilmente orientate verso l’interno con le mani strette saldamente agli strumenti del potere, gli stessi che compaiono nella lastra con scena di theòn agorà. L’ala nordoccidentale appare pertanto fortemente connotata sia dal punto di vista dell’orientamento spaziale, sia da quello planimetrico e monumentale ed era anche quella dove si svolgevano alcune importanti funzioni relative al complesso apparato cerimoniale del dinasta 132. Non è privo di suggestione osservare che prolungando il campo visivo oltre il pianoro di Poggio Civitate, nella direzione verso cui verosimilmente erano rivolte le statue, si ha modo di osservare, sulla destra, le due cime più alte della zona meridionale di Siena, il Monte Amiata e il Cetona mentre la bisettrice del campo visivo è orientato esattamente verso Chiusi. Quello che si vuole dire, pur con tutte le precauzioni del caso, è che l’orientamento imposto ai due edifici potrebbe non essere casuale e che all’interno della sequenza ‘narrativa’ delle statue sul tetto potrebbe anche celarsi l’allusione a un evento rituale originario, che altro non può essere se non la fondazione, manifestato attraverso le statue maschili sedute sui panchetti, incorniciate dai cappelli a punta e a larghe falde, simili ai copricapo a punta propri degli auguri-sacerdoti 133, che esibiscono, fra i vari strumenti del potere, il lituo, lo strumento utilizzato per orientare lo spazio all’atto della presa degli auspici. Il lituo, così come appare solennemente ribadito anche nelle lastre con scena di assemblea divina, allude anche alla figura dello stesso capostipite, di colui che, in qualità di augure di se stesso e con il proprio operato aveva consentito, attraverso i riti di fondazione, l’“inaugurazione” della primitiva sede palaziale. Le statue maschili dovevano essere affiancate sul tetto da quelle femminili, sedute anch’esse e vestite di lunga veste decorata all’orlo. Insieme riproducevano quindi le coppie degli antenati ormai consacrate al ruolo divino, in posa ieratica e con gli sguardi non rivolti al La discordanza qualitativa tra la produzione a matrice e quella delle statue eseguite a mano è da ricercarsi nella probabile provenienza COLONNA, 1986, p. 443. Il tema è stato trattato nel corso di un convegno organizzato a Murlo dal titolo: Gli antichi tetti in terracotta e la raccolta delle acque piovane dal VII secolo a.C. al medioevo Settimana di studio e ricostruzioni sperimentali presso il Museo Etrusco di Murlo dal 21 al 25 luglio 1997. La raccolta e la regimazione delle acque piovane sembrano rappresentare un’esigenza primaria nell’edificazione degli edifici con diversa destinazione come appare dalla Casa dell’Impluvium di Roselle e dall’edificio del Petriolo a Chiusi: v. Casa dell’Impluvium e GASTALDI, 1998, p. 114 sgg. 124 Siena, 1985, p. 127, 3.347-3.348 (L.R.L(acy). 125 EDLUND-BERRY, 1993 , pp. 117-121. Molti frammenti pertinenti alle parti anatomiche degli animali citati sono conservati nei magazzini dell’Antiquarium di Poggio Civitate. 126 PEIRAULT-MASSA, 1993, pp. 123-134. 127 Siena, 1985, p. 118 (K.M. Phillips Jr.). L’edificio arcaico era dotato di sistemi differenziati per lo scolo dell’acqua piovana dal tetto: sul lato esterno settentrionale venne utilizzata un sistema di scolo dell’acqua piovana costituito da semplici tegole di gronda coperte da embrici con antefissa a testa di gorgone, mentre il tetto aggettante all’interno del cortile era dotato di sime laterali con gocciolatoi a testa felina: NEILS, 1976, pp. 1-29; 3.327, 3.336, 3.337; WINTER, 1997b 128 Siena, 1985, pp. 114-116 (L.R.L(acy). 129 Siena, 1985, pp. 123-127 (L.R.L(acy). 122 123 CRISTOFANI, 1975, p. 11. EDLUND-BERRY, 1993, pp. 117-121 , fig. 4. 132 SASSATELLI, 2000, p. 147. 133 COLONNA, 1984, p. 271. Tali cappelli non sono peculiari delle statue di Poggio Civitate, ritrovandosi, ad esempio, sulle situle Benvenuti, della Certosa e di Kuffarn a identificare i personaggi di spicco delle narrazioni figurate come il dominus e i dignitari. Anche l’Aratore di Arezzo, oltre alla tunica e alla pelle ferina, indossa un cappello a larghe falde, da indentificare come petaso; vd. Roma, 2000, p. 272 (P. Carafa), Etruschi nel tempo, p. 77 s. (A. Cherici). 130 131 287 terreno, ma oltre il limite dell’edificio. Intorno a esse erano disposte le statue di animali reali e fantastici, allegorica allusione al mondo dell’aldilà, a formare una complessa ‘narrazione’ funzionale a rendere onore al gruppo degli antenati ormai divinizzati e a invocare la protezione per la progenie, altrettanto ‘divina’. L’impressionante effetto scenografico dell’intera sequenza, visibile oltre che dal cortile interno, anche dall’esterno della residenza, era completata da una ricca decorazione dipinta 134. Le lastre, anch’esse dipinte, erano invece sistemate in modo da essere osservate soltanto dall’interno del cortile, dove probabilmente avevano la funzione anche di indicare la destinazione dei locali che su di esso si aprivano. Se il quadro funzionale delle sedi “palaziali” in Etruria e nel Lazio è stato sancito nella mostra di Siena nel 1985 135 la recente sistematizzazione dei cicli dei fregi figurati in terracotta ha ulteriormente chiarito l’ideologia che sottende all’edificazione di tali dimore dinastiche 136. La lastra con scena di banchetto simposiaco, che tra l’altro costituisce la più antica raffigurazione di banchetto misto uomo-donna in Etruria, non presenta particolari problemi di esegesi, laddove la sontuosità degli arredi e degli utensili (che, tra l’altro, sono le esatte copie di parte delle ceramiche da mensa recuperate nel corso degli scavi), sottolinea la tryphé aristocratica. È plausibile che le lastre con la scena del banchetto, le uniche di cui è forse possibile proporre l’originaria collocazione, fossero disposte in sequenza sopra i magazzini dove l’abbondanza del surplus da essi rappresentata rendeva possibile lo spreco ostentato dalle raffigurazioni, come quella dei cani che da sotto le mense riccamente imbandite condividono prelibati bocconi con i signori. Dovevano poi proseguire lungo l’ala nord-occindentale che verosimilmente ospitava la sala del banchetto 137. Un siffatto allestimento rendeva possibile un funzionale rapporto cerimoniale tra il padrone di casa e gli ospiti scandito, in sequenza, dal momento dell’esibizione dell’abbondanza (i magazzini) e dello spreco (la sala del banchetto). Se l’ostentazione creava una relazione nelle forme del rispetto e dell’ammirazione dovute al padrone di casa la successiva condivisione del cibo e del vino venivano a creare un legame paritario tra l’ospite e gli ospitati. Come dire che nell’ideologia aristocratica il cibo condiviso assumeva più una valenza sociale che nutritiva. Anche la scena della gara equestre non ha posto particolari problemi interpretativi 138, se non quello di considerarla in qualche modo correlata con giuochi funebri o, fors’anche, come allusione a riti d’iniziazione dei giovani dell’aristocrazia per i quali la cavalcata al galoppo dimostrava la propria prodezza e l’ormai acquisita capacità alle arti della guerra 139. La raffigurazione del corteo in carro è ormai identificata come scena di corteo nuziale ed è stata messa in relazione, se non nell’iconografia nell’interpretazione (e anzi quella di Poggio Civitate ha offerto lo spunto per l’identificazione) con una scena analoga sulle lastre di Velletri 140. La coppia seduta su di uno scranno è connotata in senso aristocratico dalla presenza dell’ombrello parasole, oltreché dai corredi portati dai due inservienti che seguono: una cista, forse contenente il corredo della sposa e due panchetti 141, entrambi sostenuti sulla testa da due donne, che tengono nelle mani ognuna un flabello e un secchiello. L’ultima lastra, quella raffigurante un’assemblea divina (la theòn agorà), è quella che ha offerto gli spunti interpretativi più dibattuti all’interno della comunità scientifica, che hanno di volta in volta coinciso con l’attribuzione di una diversa funzione dell’intero complesso di Poggio Civitate: dalla rappresentazione delle triadi divine e conseguente interpretazione in chiave religiosa dell’edificio visto come santuario, forse sede di una lega federale, alla rappresentazione della famiglia del principe con relativa interpretazione in senso laico e quindi come dimora principesca. Oggi si tende a riconoscere in essa una scena nella quale la sequenza dei personaggi è in diretta relazione con la consacrazione del ruolo divino del principe e della sua famiglia fin dallo loro vita terrena e non soltanto nell’aldilà, così come è sancito dalla teoria degli antenati posti sul tetto e dal culto loro tributato nel sacello di famiglia. L’insieme coerente delle relazioni espresse dalle diverse rappresentazioni, tanto quelle presenti nella lunga sequenza delle lastre quanto quella delle statue sul tetto doveva essere ben presente a chi avesse il proprio punto di osservazione dal vasto cortile interno, un luogo quindi privilegiato che perciò e per la presenza del sacello di culto consacrato agli antenati, è stato visto come la sede di complessi cerimoniali e riti ai quali partecipavano il princeps, la sua famiglia e la moltitudine dei clientes, ognuno riaffermando consapevolmente il proprio ruolo e il proprio destino all’interno della comunità. La distruzione della residenza avvenne intorno al 530 a.C. e fu preceduta da una sorta di rituale che previde lo smantellamento delle statue dal tetto e la loro collocazione, insieme al resto dell’apparato decorativo, in fosse di scarico appositamente predisposte. Le suppellettili metalliche e gli arredi pregiati vennero probabilmente trasferiti altrove mentre l’intera superficie occupata dall’edificio fu forse cosparsa di sale 142 e circondata da un terrapieno. I materiali dell’edificio arcaico L’opera di distruzione volontaria cui seguì l’abbandono del sito di Poggio Civitate possono spiegare la minore presenza di ceramica di pregio che, come quella d’importazione è rappresentata soltanto da alcuni frammenti di coppe ioniche e da una lekythos samia. La ceramica attica non sembra rientrare nelle preferenze della comunità di Murlo che viene soltanto sfiorata (si pensi alla ceramica attica da Pari e da Grotti) e percorre itinerari più interni collegati con i percorsi del Tevere e della Chiana. La nota descrizione della “regia” di Pico e Latino fatta da Virgilio, si adatta in modo pressoché perfetto all’immagine che doveva dare di sé il palazzo di Poggio Civitate: VERG., Aen. VII, 170-191; EDLUND-BERRY, 1992, p. 215; TORELLI, 1992, p. 249 sgg. 135 Siena, 1985, pp. 21-32 (M. Torelli). 136 TORELLI, 1992, pp. 249 sgg. 137 VON MEHREN, 1993, pp. 139-145. 138 Può essere motivo di semplice curiosità, se non di notazione antropologica dell’immaginario collettivo dire che la gara di cavalli di Poggio Civitate, con i cavalieri che corrono a pelo, il berretto in testa e il frustino evoca presso i Senesi l’idea che essa costituisca un’anticipazione del Palio. 139 Ancora è Virgilio a offrirci un’immagine delle pratiche ludiche dei giovani rampolli dell’aristocrazia mostrandoceli mentre si destreggiano a cavallo sotto le mura della città: VERG., Aen. , VII, 163: “Ante urbem pueri et primaevo flore iuventus / exercerentur equis”. La concezione eroica della guerra ricorre ancora nella raffigurazione presente su un sostegno in terracotta, d’incerto uso e destinazione, con rappresenta134 zione di armati e dell’eroe guerriero su biga, se è da intendere così il personaggio raffigurato o non piuttosto come un semplice auriga: Siena, 1985 p. 151, 3.689 (P. Gregory Warden). La raffigurazione presenta tra l’altro affinità stilistiche con un fregio da Poggio Buco: BARTOLONI, 1992, p. 19 nota 88. 140 TORELLI, 1992, p. 253 sgg. 141 Al rapporto inscindibile della coppia potrebbero alludere i due panchetti portati sulla testa dall’ultima inserviente della scena di corteo, panchetti uguali nella forma a quelli sui quali siedono le statue poste sul tetto. 142 SASSATELLI, 2000, p. 149. 288 L’insieme della documentazione ceramica 143 proveniente dagli strati arcaici evidenzia chiaramente la destinazione per uso domestico. All’interno di una tipologia destinata alla manipolazione e assunzione del cibo si distinguono rari pezzi, segnalati già da Cristofani 144, caratterizzati da una morfologia più complessa e soprattutto da una decorazione influenzata dal repertorio corinzio che ispira tutto l’apparato decorativo dell’edificio. Questo e il fatto che l’argilla utilizzata sia la medesima tanto per il vasellame d’uso domestico che per la ricca decorazione architettonica, evidenzia una produzione operata da una stessa équipe di artigiani. La produzione non comprendeva soltanto il vasellame d’uso domestico o l’apparato decorativo dell’edificio ma si estendeva anche a tutta una serie di oggetti, alcuni ancora di non chiara interpretazione (ad esempio alcuni oggetti imbutiformi o i cilindri in argilla) 145. Massiccia è la quantità di ceramica comune d’uso domestico, che è stata suddivisa in due grandi gruppi: vasellame da mensa e vasellame da cucina 146. Il primo è caratterizzato da ciotole, da coppe, da calici e scodelle mentre il secondo gruppo comprende, oltre agli orci, soprattutto olle con orlo rientrante e olle con bordo estroflesso con o senza anse. Secondo il primo editore alcune delle forme erano già presenti nella fase tardo-orientalizzante 147. Inoltre un congruo numero di ceramiche presentano segni graffiti o incisi a crudo, con prevalenza del segno X, cui è da attribuire un valore numerale 148. L’abbondanza di recipienti da fuoco come le olle individua la cottura dei cibi in acqua per ottenere pappe e farinate e forse anche la bollitura della carne del maiale, il cui allevamento appare cospicuamente testimoniato per il VII secolo a.C. proprio nel vicino insediamento di Campassini 149. Alcuni coperchi a campana, per i quali sono stati istituiti confronti con i coperchi-fornello (cooking bells) dall’agorà di Atene 150, rappre- sentano motivo d’interesse soprattutto per il loro utilizzo come probabili forme per la cottura dei cibi. 151 Compulsando alcuni contributi di Tiziano Mannoni mi sono imbattuto in un testo, certo di dimensione più grandi dei nostri, che viene utilizzato nella Liguria di Levante per la cottura del pane 152 e che può costituire, seppure molto dubitativamente, un confronto a integrazione di quanto affermato dal Bouloumié sull’uso dei coperchi a campana di Poggio Civitate 153. Mi pare comunque un dato interessante e degno di essere approfondito, se non altro da un punto di vista di storia delle tradizioni, il fatto che già Mauro Cristofani richiamasse per i coperchi di Poggio Civitate confronti, oltreché in altre aree italiche, proprio nella necropoli di Chiavari 154, area che mantiene ancora l’usanza della cottura del pane nei testi piuttosto che nel forno. I coperchi a campana, imposti su vassoi di forma piatta circolare e con i bordi rialzati, anch’essi di non chiara destinazione, definiti “foculi” o “presentatoi” 155 potevano essere utilizzati per la lievitazione dell’impasto di farina, destinato ad aumentare di volume. La diversità di diametri tra i coperchi potrebbe far pensare anche a una diversa pezzatura delle focacce o del pane. Per quanto riguarda l’uso del pane lievitato, a differenza di quanto accade nel Lazio, è da ritenerlo altamente plausibile proprio per la presenza di grani superiori nell’Etruria settentrionale interna, così come appare testimoniato anche dalle fonti letterarie 156. Sempre a proposito dei coperchi a campana, la circonferenza di alcuni di essi coincide con quella dei “foculi” o “presentatoi”, per cui si è pensato a un loro possibile uso integrato per la cottura sub testu di focacce (il libum testuacium dei Romani e dei Latini) 157. Un altro loro possibile uso poteva essere quello di mortaria, così come appare nelle pitture della Tomba Golini I di Orvieto. Fra i materiali d’impasto vi sono una serie di sostegni cilindrici, chiusi in basso e dotati tanto di un’apertura per il carico di combustibile quanto di una serie di fori circolari lungo la circonferenza sotto il bordo. La serie si presenta incompleta in alto e sono state proposti bordi tanto a rientrare 158 quanto ad allargare 159. Sono stati interpretati come bracieri, atti forse anche a sostenere delle olle 160; un esemplare presenta le caratteristiche di un vero e proprio fornello, essendo aperto alla base, pur senza rientrare in tipologie note 161. Da 143 Per la quale si veda Acconcia, cap. VII, 2. CRISTOFANI, 1975, p. 11. 145 Siena, 1985, p. 153, 3.693 (L.R.L(acy). Gli oggetti a forma di imbuto sono dotati di un foro passante che sfocia in un’appendice obliqua e terminano in un lungo perno sul quale dovevano ruotare. Di non chiara funzione (forse destinati a sistemi di scolo delle acque piovane?) presentano, alcuni, una decorazione dipinta a bande orizzontali in rosso e bianco. Appare quindi probabile una loro collocazione in vista. Sono conservate nei magazzini dell’Antiquarium di Poggio Civitate. 146 BOULOUMIÉ, 1972, p. 98 sgg.; BOULOMIÉ, 1978; BOULOUMIÉ-MARIQUE, 1978. 147 Ad esempio B, C, E, M della classificazione Bouloumié. Fra le olle quella globulare, priva di labbro, di forma L1, compare a Pisa, nello scavo del Petriolo a Chiusi, a Roselle e a Roma e presenta una cronologia fra la fine del VII secolo a.C. e gli inizi del VI secolo a.C.: v. CAPODANNO, 1998, p. 217 sg. fig. 13.1, nota 10 con bibliografia. Anche l’olla cilindro-ovoide con labbro obliquo di tipo M1 trova confronti a Pisa, al Lago dell’Accesa, allo scavo del Petriolo a Chiusi e a Veio: v. CAPODANNO, 1998, p. 221 , fig. 36 A1, nota 25 con bibliografia. La stessa olla la stessa, ma con labbro ingrossato si ripete anche a Semproniano, a Roma, a Ficana, a Marzabotto e a Roselle: v. CAPODANNO, 1998, p. 222, fig. 36. A2, nota 26 con bibliografia. La brocca a corpo ovoide con profilo continuo di forma Q trova confronto a Semproniano e Acquarossa oltre che al Petriolo di Chiusi e viene prodotta per tutto il VI secolo a.C. : v. CAPODANNO, 1998, p. 222, fig. 85.1, nota 31 con bibliografia. La coppa carenata di tipo B2 trova confronti a Roselle e allo scavo del Petriolo in contesti databili alla metà del VI secolo a.C.: v. CAPODANNO, 1998, p. 223, fig. 49.D 6, nota 36 con bibliografia. La coppa di tipo Ic con pareti tese e orlo a fascia trova confronti allo scavo del Petriolo, e a Poggio Buco, in contesti che datano a partire dal secondo quarto del VI secolo a.C.: v. CAPODANNO, 1998, p. 223, fig. 58.7-8, nota 39 con bibliografia. La coppa-coperchio a pareti tese trova confronti al Lago dell’Accesa, a Pisa, a Caere, a Casale Pian Roseto: è un tipo di lunga durata per tutto il periodo arcaico come pure la coppa-coperchio a pareti arcuate: v. CAPODANNO, 1998, p. 224, fig. 58.9-10, 12, note 42 e 43 con bibliografia. 148 DEL VERME, 1998, p. 215 s. con bibliografia. 149 DE GROSSI MAZZORIN, 1997, p. 106 sgg. 150 BOULOUMIÉ, 1972, p. 98 sgg.; BOULOMIÉ, 1978, p. 126 sgg.; SHEFFER, 1987, p. 101. 144 151 ACCONCIA, cap. VII, 2. MANNONI, 1994, pp. 75-78, figg. 3-4. 153 BOULOUMIÉ, 1972, p. 98 sgg. La cottura del pane avviene tramite l’accensione di un fuoco sul focolare sotto il testo che viene tenuto sollevato, appeso a una catena. Il testo viene riscaldato a lungo, non direttamente a contatto con la fiamma, fintantoché non assume un colore biancastro; a questo punto il pane lievitato viene deposto sul focolare e su di esso si cala il testo, rincalzandolo con la brace. È plausibile che i coperchi a campana di Poggio Civitate, almeno quelli di maggiori dimensioni, potessero avere un uso simile ma il dubbio permane, dal momento che su questi come pure sui foculi, non vi sono le tracce della combustione dovuta alla vicinanza con il fuoco. 154 CRISTOFANI, 1975, p. 17, nota 40. 155 BOULOUMIÉ, 1978, p. 122 ss; Siena, 1985, p. 147 (B. Bouloumié). Per tali manufatti sono stati richiamati confronti con i foculi, sulla base di similitudini morfologiche con il repertorio in bucchero, che però è utilizzato in ambito funerario al di fuori, quindi, dell’uso originale in ambito domestico. 156 Ad esempio, per la qualità del grano di Chiusi e Arezzo: PLIN., 18,87 mentre per l’abbondanza di cereali LIV., 22,3, 28,45 e PLIN. 18,66. 157 BOULOUMIÉ, 1972, p. 103. 158 BOULOUMIÉ, 1972, p. 76, pl.2, 1070 159 BOULOUMIÉ, 1972, p. 77 pl. 2, 1068. 160 BOULOUMIÉ, 1972, p. 77; Siena, 1985, p. 146 sg. (B. Bouloumié); SHEFFER, 1987, p. 99. 161 B OULOUMIÉ, 1972, p. 71 n. 1064, tav. 5; Siena, 1985, p. 146-147, n. 646 (B. Bouloumié); SHEFFER, 1987; ZIFFERERO, 1996, p. 183 sgg. 152 289 quanto edito si capisce che all’interno di una stesso tipo di oggetti esistevano morfologie diversificate, che potrebbero sottintendere particolari funzioni o usi. Un promettente filone di ricerca è a mio parere legato proprio ai caratteri e alla funzione della ceramica domestica sotto il profilo alimentare 162. È ormai assodato come l’indagine sulla ceramica domestica, tanto più di quella proveniente da un contesto omogeneo come quello di Poggio Civitate, possa offrire una notevole massa di informazioni sul sistema alimentare di una comunità antica. All’approccio operato dal Bouloumié 163, non ha fatto seguito alcuno studio cronotipologico e funzionale, che tentasse anche una distinzione fra le due fasi dell’edificio, tenute unite dall’editore, e che fosse in grado di definire i possibili sistemi di manipolazione e cottura del cibo utilizzati dalla comunità di Poggio Civitate nell’arco di quattro-cinque generazioni. Un riesame dei documenti di scavo e dei materiali, attraverso l’integrazione con altri dati quali le analisi tecnologico-funzionali e le elaborazioni quantitative 164, la zooarcheologia e la paleobotanica nonché lo studio di eventuali tracce d’uso sui manufatti consentirebbe di interpretare meglio gli usi alimentari e allargherebbe lo spettro di indagine per una migliore definizione degli aspetti dell’economia all’interno del gruppo aristocratico. Le altre attività domestiche sono indiziate dai resti degli strumenti utilizzati per la filatura e la tessitura della lana, come i rocchetti, i pesi da telaio e le fuseruole 165. È lo strumentario tipico del mondo muliebre, all’interno del quale si riescono a cogliere gli elementi differenzianti dello status femminile, forse legati all’età, costituiti dalla filatura da un lato e dalla filatura e tessitura dall’altro. La filatura, testimoniata dalle fuseruole e la tessitura, quest’ultima caratterizzata dalla presenza del telaio e dello strumentario di corredo (rocchetti e pesi del telaio), sono di pertinenza della sola padrona di casa: alla servitù femminile spetta soltanto la tosatura delle pecore e la manipolazione della lana grezza 166. Tra i materiali metallici spiccano per interesse due bronzetti 167, rinvenuti nel 1971 negli strati di crollo del primo edificio immediatamente al di sotto del pavimento dell’ala nordoccidentale della costruzione più recente 168. Il primo raffigura un personaggio a tutto tondo 169 impegnato in una scena di lotta 170 che afferra la mano e l’avambraccio del contendente, purtroppo mancante. L’altro bronzetto raffigura un personaggio maschile, con “parrucca a piani”, che indossa una sorta di corta tunica (se può essere interpretato come orlo di una veste quello che appare intorno al collo o non piuttosto una torques) e sorregge con le mani uno strumento, identificato come un “bastone” 171. Il personaggio, identificato come allenatore o giudice di gara 172, privo di parte delle gambe dal polpaccio in giù è in movimento verso sini- stra, con la gamba corrispondente avanti doveva aderire a un supporto, come si evince dalla parte posteriore non lavorata e dotata di una sorta di aggancio 173. Insieme all’altro bronzetto avrebbe fatto parte di una narrazione più complessa, con probabilità raffigurata su di un carrello del tipo di Bisenzio o di Lucera 174, costituita da varie attività simboliche tra le quali, appunto, la competizione in nudità eroica, con significato iniziatico e pienamente in linea con la mentalità aristocratica, rappresentando nella sfera privata l’ideale epico. Il gruppo appare connotato da una sorprendente vivacità nella resa dei movimenti e, soprattutto nel lottatore, anche da un’altrettanto ben strutturata tridimensionalità del corpo, che discostano questi due prodotti dalla plastica bronzea etrusca settentrionale, caratterizzata dai precedenti dei cosiddetti ‘gladiatori’ e dalla serie costituita dai tre tipi figurati del guerriero, della donna velata e delle figurette di animali 175. Si tratta di manufatti, che anche nella resa dei particolari anatomici del volto e in alcune notazioni calligrafiche (ciglia e capigliatura del lottatore, rese anatomiche delle ginocchia dell’“allenatore”) sottolineano un prodotto eseguito da un ‘caposcuola’ fortemente influenzato da esperienze greco-orientali 176. La cronologia, sulla base della giacitura, dovrebbe approssimarsi agli inizi del VI secolo a.C., mentre su base stilistica è, a mio parere, di qualche anno successiva, intorno al secondo quarto avanzato del VI secolo a.C. 177, soprattutto in considerazione del ‘sorriso’ assai pronunciato sul volto dell’“allenatore” 178. La raffigurazione della lotta alla presenza del paidotribes, riecheggia motivi iconografici che sono tipici della ceramografia attica della seconda metà del secolo, mentre la posizione della presa dell’atleta in lotta, alla presenza di un paidotrìbes dotato di un lungo bastone trattenuto con entrambi le mani e con cui controlla le mosse dei due contendenti, ricorda da vicino quella raffigurata sulla base di un monumento funerario della fine del VI secolo a.C. da Atene 179. Conclusioni L’intero apparato decorativo dell’edificio di Poggio Civitate, è stato variamente analizzato, orientando di volta in volta anche l’interpretazione della sua funzione, che ha oscillato da quella di santuario a quella di residenza dinastica tout court . La cittadella di Poggio Civitate costituisce a tutt’oggi l’esempio più compiuto di insediamento aristocratico rurale in Etruria settentrionale. Nonostante che gli abitanti avessero tentato di occultare, quasi in una sorta di damnatio memoriae, ciò che era restato della sua distruzione, oggi quei reperti sono ormai stabilmente entrati a far parte dei manuali, dei cataloghi di mostre, delle guide turistiche e anche della pubblicità, come appare esibito, ad esempio, in alcuni cartelli stradali che invitano a recarsi a Murlo. Ciò che fino a ieri è appartenuto al mondo degli specialisti oggi è entrato a far parte dell’immaginario della comunità tutta, allargata anche al mondo di Internet, laddove con un qualsiasi motore di ricerca e digitando le keywords di Murlo o di Poggio Civitate o an- 162 ZIFFERERO c.s.: ringrazio l’Autore per avermi offerto l’opportunità di consultare il dattiloscritto. 163 BOULOUMIÉ, 1972, 1978. 164 FOSSATI-MANNONI, 1994 , pp. 241-243. 165 Siena, 1985, p. 149 sgg. (K.M. Phillips). 166 BARTOLONI, 2000b, in particolare pp. 273-275. 167 WARDEN, 1982, pp. 233-238. 168 PHILLIPSb, 1973, p. 177 sgg. 169 Sulla base di un esame autoptico la parte posteriore del bronzetto, seppure plasticamente realizzata è conformata in modo da poggiare o aderire, come l’altro, ad un qualche supporto. Ibidem. 170 WARDEN, 1982, pp. 234, pl. 33, figg. 2-3. 171 WARDEN, 1982, p. 234, pl. 34, figg. 4-7; Siena, 1985, p. 90 n. 3.146 (errato il numero a p. 38 3.214) (L.R.L(acy). 172 WARDEN, 1982, p. 233 sgg.; Siena, 1985, p. 90 n. 3.146 (L.R.L(acy). 173 WARDEN, 1982, pl. 34, fig. 5; Siena, 1985, p. 90 n. 3.145 (errato il numero a p. 34 3.146) (L.R.L(acy). WARDEN, 1982, p. 236. 175 CRISTOFANI, 1978, p. 128. 176 MARTELLI, 1979, p. 84 sgg., fig. 18; BARTOLONI, 1992, p. 20. 177 CRISTOFANI, 1976, p. 85 offre, sulla base di confronti con la produzione chiusina in bucchero, una datazione nell’ambito del terzo quarto del VI secolo a.C. 178 WARDEN, 1982, p. 237, confronta il volto dell’“allenatore” con i volti presenti sulle sime laterali del secondo edificio e con quello degli attendenti della lastra con scena di corteo nuziale. 179 LIPPOLIS, 1992, p. 23, fig. 12. 174 290 Il quadro delle ricerche si presenta pertanto assai allettante e sebbene si tratti di works in progress e pertanto ancora lontani da una loro compiuta definizione sul piano delle tipologie, della storia e dei rapporti interni purtuttavia le residenze signorili sempre più stanno emergendo dal loro ‘principesco’ isolamento per inserirsi all’interno di un quadro insediativo costituito da relazioni funzionali, spaziali e sociali. In questa sede mi limiterò a fornire qualche possibile spunto. Nel corso del survey nel territorio di Murlo è emerso un quadro del popolamento più ricco e articolato rispetto a quanto rilevato in precedenza. Numerose sono risultate le aree di concentrazione dei reperti sul terreno, interpretate come piccole unità abitative a carattere monofamiliare, con numerosa acroma grezza di produzione locale, riferibile in particolare a olle di tipo Boulomié M1 ma anche a pithoi e dolia. Nella maggior parte dei casi la copertura, sembra essere in laterizio, con elevati in materiale deperibile. Un primo dato che sembra emergere e che andrà sottoposto a ulteriori verifiche è che attorno alla fine del VII secolo a.C. l’uso della copertura a embrices e tegulae non è ristretto alle sole abitazioni ‘ricche’ ma appare diffuso anche presso la popolazione rurale. Le aree che risultano più abitate sono le pendici settentrionali di Poggio Civitate e Murlo, la fascia di crinale intorno a Vescovado, la zona del podere L’Allodola e l’area compresa tra Montepescini e Poggio Castello. È stato possibile enucleare all’interno delle unità abitative alcune strutture di livello superiore, di cui una, posta in località podere L’Allodola, a nord di Poggio Civitate, presso Lupompesi mostra caratteri assai interessanti 187. L’insieme dei materiali recuperati nel corso del survey mostra una probabile contemporaneità della struttura con il complesso di Poggio Civitate. Altre evidenze sembrano disporsi parallelamente ai corsi d’acqua: ad esempio le UT comprese tra le località podere L’Allodola e Murlo seguono perfettamente il corso del torrente Crevole. In altri casi le UT sembrano invece individuare veri e propri percorsi viari, come quello che, attraversando la località di Pompana, unisce Poggio Civitate al corso del fiume Ombrone a non molta distanza da Castelnuovo Tancredi, località prossima alla riva destra dell’Ombrone e dalla quale si ha notizia della presenza di un probabile tumulo 188. Il sorgere delle residenze signorili (a Poggio Civitate, a Piano Tondo di Castelnuovo Berardenga, probabilmente a Campassini e a Siena), unitamente all’innalzamento di monumenti funerari (a Castellina in Chianti, ad Asciano, forse a Castelnuovo Tancredi), entrambi anche come markers territoriali di nuove proprietà terriere, rappresenta un momento di svolta nell’ager senese con l’abbandono del sistema insediativo caratterizzato dai villaggi capannicoli alcuni dei quali organizzati in forme aggregative ancorché embrionali di tipo urbano 189. Se alcune strutture con copertura fittile si sostituiscono ai precedenti insediamenti capannicoli come appare a Campassini, in altri casi queste sembrano sorgere ex novo precedute da forme di accumulo della ricchezza che a Poggio Civitate sono costituite da affibbiagli ageminati e altri prodotti di pregio, forse di produzione populoniese 190. L’esito è quello di un veloce accentramento degli insediamenti rurali attorno ai nuovi centri di potere, che riorganizzano il territorio secondo modalità che prevedono l’impiego della popolazione in attività produttive funzionali al fabbisogno personale e alla produzione di surplus per i nuovi capi-clan. che di Piano del Tesoro è possibile accedere a siti italiani e stranieri dove si può apprendere la storia dell’insediamento in una veste più “turistica” per i primi, in una forma più scientifica per i secondi. La storia della scoperta dell’insediamento può essere brevemente riassunta nelle tre fasi principali che l’anno caratterizzata: 1. l’individuazione dell’abitato grazie all’intuito di Ranuccio Bianchi Bandinelli che fin dal 1926 lo colloca sulla collina di Poggio Civitate; 2. l’ inizio degli scavi nel 1966 a opera di K.M. Phillips Jr., continuati, dopo la sua morte, da E. Nielsen; 3. il momento dell’esegesi che vede confrontarsi tre filoni interpretativi principali: quello di K.M. Phillips Jr. che, pur proponendo la possibilità che potesse trattarsi di un complesso controllato da una famiglia leader a capo della quale vi era “un sommo sacerdote” o “un re”, finisce poi per favorire la tesi del santuario 180; quello di M. Torelli e M. Cristofani che vi individuano una residenza gentilizia 181. Vi è poi la tesi di Giovanni Colonna 182 che, sulla base delle fonti letterarie 183 e della collocazione topografica di Murlo, equidistante dai cinque grandi centri di Volterra, Vetulonia, Roselle, Chiusi e Arezzo ritiene che potesse trattarsi della sede della confederazione delle cinque città, riunite in una lega a carattere regionale accorsa in aiuto dei Latini minacciati da Tarquinio Prisco alla fine del VII secolo a.C. È una chiave di lettura che è stata più recentemente ripresa 184 restringendone però i limiti territoriali a un comprensorio sub-regionale, delimitato dai fiumi Ombrone, Merse e Arbia. Il palazzo di Murlo, controllato da un potente dinasta e dalla sua famiglia, avrebbe pertanto avuto una funzione di coordinamento e controllo sui centri minori gravitanti intorno a esso. Quantunque la tesi della lega a carattere sub regionale sembri godere dei favori della comunità scientifica, è altrettanto vero che la residenza di Poggio Civitate rimane ancora priva di specifici riferimenti al territorio circostante, a maggior ragione se si considera l’ampliamento delle evidenze archeologiche che negli ultimi anni hanno caratterizzato quel particolare territorio definito “ager inter Saenam Clusiumque”. Le indagini territoriali compiute in seno al progredire dei lavori della Carta Archeologica della Provincia di Siena e quelle di scavo intraprese nell’alta Val d’Elsa, a Siena e nel circondario di Chiusi 185 se da un lato costituiscono una svolta verso una comprensione più ampia ed equilibrata della storia dei sistemi insediativi nel territorio senese dall’altro aggiungono un ulteriore livello di complessità. Vorrei segnalare anche il recente lavoro di Nicola Terrenato sul complesso residenziale scoperto durante i lavori dell’Auditorium a Roma dove si ipotizzano i possibili flussi socio-economici esercitati dai “palazzi” dell’Etruria settentrionale sulle origini delle residenze signorili della prima Repubblica 186. Inoltre la seconda fase del complesso residenziale di Roma, cronologicamente inquadrato alla metà del VI secolo a.C., è costituita da un edificio che presenta affinità dimensionali con la seconda residenza di Poggio Civitate e costituisce attualmente l’unico altro esempio di residenza signorile rurale pre-ellenistica con estensioni superiore ai 500 mq. PHILLIPS, 1970a, pp. 78–79; PHILLIPS, 1972, p. 251. TORELLI, 1974, p. 274; CRISTOFANI, 1975, p. 11. 182 COLONNA, 1973, pp. 45-72. 183 DION. HAL., III, 51. 184 Siena, 1985, p. 64-69 (E.O. Nielsen, K.M. Phillips Jr.); SASSATELLI, 2000, p. 145 sgg. 185 Mi riferisco in particolare alle località di Pugiano (San Gimignano), Quartaia (Colle Val d’Elsa), Campassini (Monteriggioni, Siena), l’ Ospedale di Santa Maria della Scala a Siena, Sarteano, Tolle (Chianciano), Petriolo (Chiusi). 186 TERRENATO, 2001, p. 5 sgg. 180 181 Cfr. Schedario Topografico, F. 120 I n. 23. PICCOLOMINI, 1901, p. 132, nota 7; BIANCHI BANDINELLI, 1927, p. 16 (II NE) n. 8. 189 BARTOLONI, 2001, p. 372. 190 BOCCI PACINI, 1973, p. 138. Di parere diverso Elisabetta Mangani, che li ritiene di produzione locale: MANGANI, 1990, p. 16. 187 188 291 La copertura laterizia di tipo laconico-corinzio si diffonde anche alle unità abitative rurali e se da un lato soddisfa il bisogno di una più facile messa in opera con un ridotto grado di deperibilità dall’altro testimonia l’inserimento di nuove attività produttive incentrate su figure artigianali con un maggior grado di specializzazione, che si dislocano in unità produttive in prossimità delle sedi palaziali. Il quadro delle evidenze archeologiche testimonia un paesaggio agrario dove i nuclei insediativi sono caratterizzati da unità monofamiliari, talvolta accentrate (fino a un massimo di otto), impegnate in attività che ritengo per lo più di tipo allevatizio mentre le attività produttive connesse con l’agricoltura sono demandate a unità produttive più attrezzate (fattorie), come testimonia l’articolazione planimetrica di quella dell’Allodola. Da qui il prodotto viene indirizzato verso la residenza aristocratica dove viene trasformato, consumato e anche esibito. Se le fonti letterarie tacciono sono alcuni documenti archeologici di grande valore sul piano storico a offrire una traccia di questo possibile modello interpretativo come è il caso offerto dalle raffigurazioni sulla situla della Certosa. Se nel complesso apparato narrativo delle raffigurazioni di Poggio Civitate la cerimonialità e l’ideologia aristocratica del potere sono compiutamente esibite, nella situla della Certosa, accanto alla ritualità cerimoniale affiorano elementi di vita reale, allargando come in un grandangolo l’osservazione della vita del potere aristocratico dall’interno della dimora principesca verso l’esterno 191. In particolare le figure del cacciatore e dell’aratore, quest’ultimo rappresentato non nell’atto di lavorare ma di ritornare o andare verso i campi, entrambi posti all’estremità del terzo registro e divergenti rispetto al ductus dei personaggi che si affaccendano nella dimora del principe, alludono dichiaratamente alle virtù cacciatorie del principe e alle proprietà terriere all’interno di un territorio ben controllato dove la concretezza del raccolto e delle attività produttive correlate all’agricoltura costituiscono la base economica dello standard di vita aristocratico. Il sorgere e il consolidarsi dei centri di potere aristocratico nell’Ager appare quindi un processo di consolidamento del controllo sul territorio da parte dei clan gentilizi, con una forte crescita dei rispettivi gradi di autonomia in rapporto alle altre forme di organizzazione degli insediamenti. L’acquisizione dell’autonomia è correlata all’appropriazione di ampie porzioni di territorio dove all’agricoltura e al possesso della terra si accompagnano forme di accumulo dei beni derivate anche da risorse diversificate, come quelle del sottosuolo 192 o le attività di rapina e il pagamento di ‘pedaggi’. Il sistema di governo è esercitato da un vertice di comando che, incentrato su figure di capi-clan al comando di milizie private 193, assicura il controllo sul territorio ricevendone in cambio lealtà e aiuto in guerra e in politica. Nel quadro così delineato si inserisce Chiusi, che proprio a partire dallo stesso periodo manifesta uno spiccato interesse verso il territorio, segnato in particolare dalla tendenza centrifuga nella distribuzione dei tumuli 194. La ricchezza e la vitalità di questo centro, ormai avviato sul percorso che lo porterà negli anni finali del VI secolo a.C. a essere un polo urbano di prima grandezza, hanno già fatto ipotizzare la possibilità di un suo coinvolgimento diretto nella fondazione di Roselle come propria ‘colonia’ 195. Non ritengo allora affatto improbabile che tanto il primo edificio quanto soprattutto la monumentalizzazione del secondo siano di fatto un esito della vitalità delle opulente aristocrazie chiusine che, orientate in direzione di uno sbocco marittimo potrebbero essersi assicurate il dominio di punti nodali del territorio come è quello rappresentato dalla confluenza dell’Ombrone con il Merse e l’Arbia, entrambi vie di penetrazione verso il Siena, la Val d’Elsa e Volterra. Al compimento del processo di formazione urbana il ruolo politico ed economico delle aristocrazie rurali e delle loro dimore si esaurisce. Alla fine del VI secolo a.C. il controllo dell’ager da parte dei gruppi gentilizi è interrotto dal consolidarsi del polo urbano di Chiusi che diventa l’agone privilegiato per la conquista delle nuove forme di potere da parte dei clan aristocratici. È in questo quadro di probabile e diffusa conflittualità tra gruppi egemoni, in prosieguo testimoniata dalla caduta della monarchia nonché dalle gesta del re chiusino Porsenna, che intorno al 530 a.C. a.C. la residenza di Poggio Civitate viene volontariamente distrutta e abbandonata, forse proprio a favore di Chiusi. Da ultimo vorrei soffermarmi sul nome di Pompana, una località collinare a sud di Poggio Civitate, orientata verso l’Ombrone, dalla quale proviene un cippo funerario di forma sferica appiattita, su plinto con quattro protomi di leone agli angoli, inquadrabile cronologicamente tra la fine del VI e il V secolo a.C. Il nome è dichiaratamente originato dalla forma del gentilizio Pumpana attestato principalmente a Chiusi 196 e mi chiedo se la sua sopravvivenza, che compare in un toponimo a così breve distanza da Poggio Civitate e soltanto in questa parte della provincia di Siena, non nasconda in realtà il nomen del clan familiare titolare di proprietà terriere nella zona e della stessa residenza. Andrea Ciacci IV-II SECOLO A.C. (rinvenimenti editi 4; rinvenimenti inediti 80; resa archeologica 95%) I risultati ottenuti sono superiori alle ipotesi presentate in sede aprioristica sul potenziale archeologico della fase in esame 197. Il totale delle emergenze individuate (80), assegnano a questa fase il primato della resa archeologica. Rispetto alle fasi tardo arcaica e classica, l’abbondante mole di rinvenimenti tra IV e II secolo a.C. indica un intenso processo di rivitalizzazione (ben attestato dalla fine del IV secolo a.C.) che trova corrispondenza nelle vicende riconosciute per gran parte della provincia di Siena 198, ma che per proporzioni sembra paragonabile solo a quanto osservato nel Chianti senese e in via preliminare nella Val d’Orcia e nella Val d’Asso 199. La documentazione archeologica è riconducibile a quattro categorie di emergenze (Fig. 13): casa di terra, tomba, frequentazione e sporadico. – Casa di terra: come nella fase tardo orientalizzante-arcaica, questa struttura rappresenta il tipo di evidenza più diffusa (77,9 %), con la differenza, in questo caso, di costituire l’unica definizione riconducibile a insediamento. L’area media di frammenti fittili presenta una superficie di TORELLI, 1987, p. 110. COLONNA, 1991, p. 296, 6. 197 Cfr. cap. III, 3. 198 L’analisi più recente è in VALENTI, 1999, pp. 305-310. 199 Nel Chianti senese, in particolare il comune di Castelnuovo Berardenga, VALENTI, 1995a, p. 397; per la Val d’Orcia e la Val d’Asso ci riferiamo ai dati preliminari delle indagini attualmente in corso, condotte dall’autore e dalla dottoressa Cristina Felici. Si veda inoltre CAMPANA, 2002, c.s. 195 196 BARTOLONI-MORIGI GOVI, 1995, pp. 159-174. MANGANI, 1990, p. 18 sgg. 193 Gli stemmi clanici che compaiono sugli scudi dei militari raffigurati in alcuni monumenti come l’oinochoe di Tragliatella (MENICHETTI, 1992, p. 17 sgg.) o la situla della Certosa sottolineano l’appartenenza delle milizie a specifici gruppi familiari. 194 PAOLUCCI, 1998, p. 20 sgg. 191 192 292 acroma grezza (-20%), compensato in parte dall’aumento delle produzioni di acroma depurata (+17%), alle quali si affiancano le nuove classi ceramiche tipiche della fase in esame, vernice nera (8%) e sovradipinta (1%). Anche se poco diffuse e numericamente contenute si registra la presenza di ceramiche pregiate d’importazione 208. La percentuale di ceramica grigia come per i secoli VIIV a.C. conferma una diffusione estremamente limitata (-1,9%). La quantificazione delle forme maggiormente diffuse, confrontata con il periodo precedente, offre ulteriori spunti di differenziazione. Il rapporto tra forme chiuse e aperte non si discosta in modo rilevante. Il cambiamento è da ricercare in una maggiore articolazione dello standard del corredo ceramico (aumento delle forme disponibili), con l’affermazione, in particolare, del vasellame da mensa (+17%): piatti, coppe e boccali. L’associazione tra cultura materiale e tipo insediativo restituisce l’immagine di una situazione generale piuttosto modesta, connotata da profonda omogeneità. Uniche spie di differenziazione sembrano essere la presenza di ceramica a vernice nera e scorie di lavorazione del ferro. La ceramica a vernice nera non è presente in tutte le abitazioni ma solo nel 51% di esse; la ceramica sovradipinta 209 e la ceramica grigia 210 le troviamo, esclusivamente in Fig. 13. Tipologie di emergenze 18,415,6 m; la zona di massima concentrazione ha dimensioni medie di 9,46,2 m con massimi di 1510 m 200 e minimi di 64 m 201. Tra i materiali presenti 202, oltre a frammenti ceramici, laterizio da copertura e intonaco d’argilla 203. In sei casi (10%) abbiamo raccolto scorie di lavorazione del ferro riconducibili alla fase di forgiatura del metallo 204. – Tomba: due sono le emergenze pertinenti a questa definizione e più precisamente al tipo alla cappuccina. Entrambi i rinvenimenti sono stati effettuati in condizioni di visibilità particolarmente favorevoli 205. – Frequentazione: tutte le unità topografiche indicate con questa voce sono probabilmente da ricondurre a deposti molto compromessi pertinenti ad abitazioni 206. Le concentrazioni mostrano associazioni di materiali tipiche delle case di terra, presenti però in quantità modeste (in media 2,1 reperti per mq), distribuite su superfici ampie (media 30,219,3 m) e in pessime condizioni di conservazione. La consistente quantità di reperti ceramici raccolti permette di proporre alcune considerazioni sulla cultura materiale 207. In generale rispetto alla fase precedente, è riscontrabile un calo della ceramica Cfr. Schedario Topografico, F. 120 I n. 32.1. Cfr. Schedario Topografico, F. 120 I n. 67.1 e F. 120 II nn. 104.2, 138.2. In realtà l’area di concentrazione più piccola è 43; queste dimensioni sono da relazionare a condizioni particolari. Cfr. Schedario Topografico, F. 120 II n. 88.2. 202 I valori medio massimo e minimo di reperti per metro quadrato sono superiori rispetto alla fase di VII-V secolo a.C.: 10.2 e 6.9. 203 Cfr. Schedario Topografico, F. 120 II n. 62.2 e cap. VII, 5. 204 Cfr. Schedario Topografico, F. 120 I nn. 57.1, 67.1; F. 120 II nn. 62.2, 113.1, 117.1, 125.4. 205 Nel primo caso la restituzione è avvenuta in località Poggio Casale, su un fondo agricolo precedentemente destinato a vigneto e da poco espiantato. La concentrazione di superficie (11 m), in fase con un’altra evidenza pertinente ad abitazione situata a soli 45 m, ha restituito 95 reperti tra cui 12 frammenti di ossa, 8 frammenti di laterizio da copertura e 69 frammenti di ceramica a vernice nera di cui molti pertinenti a 5 forme ricostruibili tra 70 e 95%. cfr. cap. VII, 2. tav. XIV, nn. 1, 2 e tav. XV, nn. 1, 2; Cfr. Schedario Topografico, F. 120 II n. 104.1. La seconda sepoltura, individuata lungo una sezione praticata in località Crevole durante i lavori di restauro della rocca, è caratterizzata da un’area estremamente ridotta (0.500.40 m) da cui provengono, oltre a frammenti di laterizio e ceramica a vernice nera, 40 frammenti osteologici riferibili a 9 vertebre, varie parti del bacino e del femore sinistro, 12 costole e altri frammenti non identificabili. L’analisi antropologica effettuata dal dottor Donald Walker attribuisce i reperti a una femmina adulta (età compresa tra 25 e 30 anni), altezza inferiore al metro e sessanta e corporatura esile. Cfr. Schedario Topografico, F. 120 I n. 46.2. 206 Cfr. Schedario Topografico, F. 120 I nn. 30.1, 39.1, 57.1, 57.2; F. 120 II nn. 62.1, 73.3, 88.1, 167.1. 207 In totale 2642 frammenti raccolti (laterizi da copertura esclusi), che corrispondo a una media di 32 reperti per unità topografica. 200 Fig. 14. Distribuzione quantitativa delle classi ceramiche 201 Fig. 15. Quantificazione delle forme ceramiche espressa 208 Si tratta di alcune forme di ceramica a vernice nera tipo MALACENA provenienti da emergenze d’abitato. Cfr. Schedario Topografico, F. 120 I n. 47.3; F. 120 II n. 88.1. Da relazionare invece a contesto tombale un’anforetta di ceramica a vernice nera tipo MOREL 3652a-1 di produzione vulcente, tav. XV, n. 1. Cfr. Schedario Topografico, F. 120 II n. 104.1; inoltre cap. VII, 2. 209 Cfr. Schedario Topografico, F. 120 I n. 57.1; F. 120 II n. 151.2. 210 Cfr. Schedario Topografico, F. 120 I nn. 47.1, 47.3. 293 km Rinvenimenti editi: Necropoli Fornace Rinvenimenti survey: Casa di terra Tomba Frequentazione Sporadico Confini provinciali Fig. 16. Siti della fase ellenistica coincidenza delle strutture con ceramica a vernice nera. Queste presenze, sempre numericamente molto limitate (e quindi poco rappresentative), non coincidono con alterazioni significative dei rapporti sia delle classi ceramiche, sia delle forme attestate (Figg. 14-15). Il rinvenimento di scorie, pertinenti alla fase di forgiatura del ferro è limitato a sei abitazioni (10%), nelle quali possiamo supporre l’esistenza di una piccola forgia destinata a soddisfare esigenze domestiche. La composizione della rete insediativa è ben identificabile in corrispondenza dei campioni A e B. La zona compresa tra Vescovado e Murlo (campione A; Fig. 16) ha restituito 20 unità abitative alle quali sono da aggiungere tre necropoli e una fornace ceramica, segnalate nella letteratura archeologica 211. Ventiquattro evidenze su una superficie di 1 kmq; una densità sufficiente per affermare che ci troviamo di fronte a una area densamente popolata. Bisogna inoltre considerare che un terzo di questa superficie è occupata dall’area urbanizzata di Vescovado e che ogni qual volta, durante gli anni in cui la ricerca si è svolta, è stato possibile assistere a occasionali lavori di scavo, sono emerse consistenti tracce di depositi archeologici riconducibili alla fase considerata 212. Possiamo supporre che il potenziale archeologico degli spazi considerati, sia significativamente superiore. Indipendentemente da queste osservazioni la concentrazione del 33% degli insediamenti di IV-II in quest’area, la presenza di una fornace ceramica e tre necropoli lasciano pochi dubbi sull’esistenza in quest’area di un villaggio del tipo a maglie larghe (con distanza media tra unità abitative di 96 m). 211 212 Una situazione simile è rilevabile nel campione B, tra Poggio Castello e Montepescini, dove in uno spazio di mezzo kmq abbiamo identificato tredici evidenze riconducibili ad abitazione e una frequentazione 213. Non abbiamo notizia di strutture produttive di una certa importanza 214 o necropoli, ciononostante ipotizziamo anche in quest’area un villaggio del tipo a maglie larghe (distanza media tra abitazioni 102 m, +6 m rispetto al villaggio di Vescovado). La distanza minima ideale tra i due villaggi è di 6.256 Km. La somma delle unità abitative presenti nei due agglomerati costituisce il 59% delle presenze totali. Le strutture abitative al di fuori dei villaggi sono riconducibili a due soluzioni insediative ben distinguibili: – piccoli nuclei abitativi (composti in media da 3,4 abitazioni 215; 32%) distanti in media dal villaggio più vicino 1.710 m. – Case sparse (9%) situate a distanza grossomodo intermedia tra i piccoli nuclei accentrati o in posizioni defilate, molto lontane dalla più vicina forma insediativa (in media 1.997 m) 216. A prima vista rispetto al periodo precedente la distribuzione degli insediamenti sulla carta di fase (Fig. 16) rivela alcune similitudini: maggiori aree di concentrazione dell’insediamento situate in prossimità di Vescovado e tra le località Poggio Castello-Mon213 La densità corrisponde a 26 abitazioni/kmq (+2 rispetto al villaggio di Vescovado). L’area urbanizzata di Montepescini e gli spazi circostanti destinati a bosco costituiscono un limite alla visibilità, compromettendo la valutazione del potenziale archeologico e lasciando presupporre un ulteriore incremento delle evidenze. 214 Due abitazioni hanno però restituito scorie di forgia. 215 Media sensibilmente superiore ai dati emersi dall’analisi della provincia di Siena sviluppata da Macchi, dove la media di strutture per nucleo è 2.55; MACCHI, 1996-1997. 216 Forse da ricondurre alla necessità derivante dalla forte crescita demografica di occupare spazi vergini. Cfr. Schedario Topografico, F. 120 I nn. 1.1, 2.1, 3.1, 5.1. Cfr. Schedario Topografico, F. 120 I nn. 57.1, 57.2, 70.1, 71.1. 294 Fig. 17. Continuità-discontinuità insediativa tra siti di VII-V secolo a.C. e siti ellenistici Fig. 18. Quote medie, massime e minime in funzione degli spazi di localizzazione degli insediamenti tepescini, presenza di nuclei intercalari di medio-piccole dimensioni e case sparse nelle zone attualmente delle Creste senesi. A queste possiamo da subito aggiungere una differenza significativa, la scomparsa dei centri insediativo-produttivi di mediograndi dimensioni in località Poggio Civitate e podere Allodola. Il rapporto continuità-discontinuità tra sedi umane di VII-V secolo a.C. e il periodo considerato mostra con chiarezza il diffuso abbandono dei siti occupati nel precedente periodo e lo scarso fenomeno di rioccupazione (Fig. 17) 217. La morfologia dei terreni privilegiati dalle unità abitative, conferma valori simili a quelli registrati nel periodo precedente. Nell’85% delle situazioni la scelta è per il versante collinare (+5%), limitata all’11% l’occupazione di luoghi pianeggianti (+1%; corrispondenti alle zone limitrofe dei due villaggi) 218 e ancor più rara delle sommità collinari (4%;-3%) circoscritta a case sparse 219. Anche le quote altitudinali sono prevalentemente affini a quanto registrato per la fase precedente (Fig. 18): – La media assoluta del periodo considerato è 250 m s.l.m., solo 6 m inferiore alla media degli spazi occupati nei secoli VII-V a.C. 220. – Valore medio relativo a posizioni di versante (scelta maggiormente rappresentata) 252,5 m s.l.m. (-7 m). – Assenza di strutture insediative oltre 300 m s.l.m.; il valore minimo (riconducibile a un unico caso) cala leggermente passando a 150 m s.l.m. (-28 m); questa diminuzione influisce direttamente sull’escursione massima portandola da 122 m a 150 m. Uniche differenze di qualche rilievo (seppure di difficile interpretazione), coincidono con l’incremento di quota dei terreni pianeg- gianti posti a quote medie di 269 m s.l.m. (+51 m) e la sensibile diminuzione dell’escursione media ora contenuta entro 20 m (-21 m). In generale le scelte di quota si confermano identiche alla fase precedente, privilegiando in modo netto altitudini sensibilmente superiori alla media territoriale ma mai al di sopra di 300 m slm; considerando separatamente gli habitat 1 e 3 le proporzioni non subiscono alterazioni rilevanti 221. Le caratteristiche geologiche dei terreni su cui si impostano le aree insediative non si discostano dalla fase precedente con la preferenza per suoli argillosi (favorevoli alla conduzione di attività agricole) e del gruppo ofiolitico (Fig. 19) 222 . Tre significative variabili, morfologia, quote altitudinali e geologia mostrano oscillazioni irrilevanti rispetto alla fase di VII-V secolo a.C. Il rapporto tra bacino idrografico vicino-prossimo e aree insediative, rivela invece trasformazioni di grande interesse: – distanza media assoluta abitazione-corso d’acqua è di 422 m; aumento di 145 m pari al 34%; – distanza minima abitazione-corso d’acqua è 25 m, massima 875 m; l’escursione massima risulta 850 m (+400 m); – un dato significativo è costituito dall’elevata inclinazione della li- Per la valutazione della continuità insediativa in modo qualitativo abbiamo fatto uso del concetto di sito-contenitore (RICCI, 1983, pp. 495-506). Il risultato non corrisponde a una distanza precisa ne indica la coincidenza diretta tra siti di fasi differenti. Abbiamo calcolato il rapporto tra siti in cui sono presenti sia unità topografiche di VII-V secolo a.C. sia di IV-II secolo a.C. e siti con emergenze esclusivamente di VII-V secolo a.C. o di IV-II secolo a.C. La somma di siti rioccupati e prima occupazione rappresenta il totale delle aree con evidenze pertinenti al periodo considerato; il valore dei siti abbandonati di VII-V secolo a.C. è il risultato della differenza tra numero totale siti di VII-V secolo a.C. e siti rioccupati durante la fase ellenistica. La relazione degli insediamenti con la morfologia, la quota altitudinale, le caratteristiche geologiche, la distanza dai corsi d’acqua consente di comprendere le direzioni in cui sono avvenute le trasformazioni diacroniche riportate nel diagramma (fig. 17). 218 Cfr. Schedario Topografico, F. 120 II nn. 44.1, 45.2, 62.2, 62.3, 66.4, 111.1. 219 Cfr. Schedario Topografico, F. 120 I n. 46.1 e F. 120 II n. 88.2. 220 Un abbassamento di soli 6 m è da considerare del tutto irrilevante. 217 Fig. 19. Rapporto tra spazi geologici occupati nelle fasi tardo orientalizzante-arcaico e ellenismo 221 I valori nelle zone abitative 1 e 3 sono: habitat 1, massimo 300 m s.l.m., minimo 165 m s.l.m., media assoluta 252 m s.l.m.; habitat 3: massimo 280 m s.l.m., minimo 150 m s.l.m., media assoluta 245 m s.l.m. 222 Poco utile è proporre confronti con i dati editi, in quanto numericamente insufficienti (solo quattro evidenze) e relativi a sepolture e attività produttive, tutti concentrati in un’area geologicamente omogenea (gabbri) entro una superficie inferiore a 1 kmq. 295 nea delle distanze, che indica un alto grado di variabilità nella scelta dell’area insediativa rispetto ai corsi d’acqua. I tratti più lunghi in cui la curva si appiattisce, 250 m e 500 m, corrispondono rispettivamente ai villaggi di Vescovado-Murlo e Poggio Castello-Montepescini. La distribuzione spaziale dell’insediamento rispetto ai corsi d’acqua di medio-bassa portata si presenta molto disordinata, con un ampio spettro di scelta, ben lontana dalla situazione di omogeneità rilevata nel periodo precedente che permetteva addirittura di presentare svariati casi di parallelismo tra bacino idrografico e unità topografiche (Fig. 20). Questa situazione, sembra attestare una maggiore indipendenza dell’insediamento dal bacino idrico d’approvvigionamento. In sostanza nei i secoli IV-II a.C. gli spazi insediativi privilegiati nelle zone abitative 1 e 3 223 mostrano una spiccata preferenza per morfologie di versante collinare, quote medie di 250 m s.l.m., suoli argillosi (più raramente ofiolitici) e distanza media da corsi d’acqua di 422 m. La viabilità interna ripropone le direttrici sfruttate durante la fase tardo orientalizzante-arcaica. La differenza più significativa sembra essere l’assenza di insediamento nelle vicinanze di Poggio Civitate e quindi il probabile aggiramento della collina, attestato dalla presenza di strutture abitative lungo le pendici basse del versante collinare. Proseguendo verso sud, nel territorio comunale di Montalcino, i risultati preliminari delle ricognizioni di superficie confermano la persistenza delle linee tracciate per la fase precedente 224. Altri percorsi ipotizzabili all’interno del nostro territorio sono il collegamento con il centro di Montepescini, che probabilmente non si discosta in modo sostanziale da alcuni percorsi tuttora praticabili, attestati nella cartografia leopoldina (Fig. 21). In particolare ci riferiamo alla viabilità che dalla località La Befa passando per San Giusto, podere La Pieve conduce a Montepescini o in alternativa al percorso interno che da Murlo scende nella valle del Crevole procede per Poggio Copoli, podere La Pieve, Montepescini. Il modello insediativo è articolato in: – villaggi situati lungo ampie fasce di versante collinare con brevi tratti pianeggianti in coincidenza delle zone periferiche, a quote medie di 268 m s.l.m., su suoli argillosi e ofiolitici, con distanza media di 359 m da corsi d’acqua di media portata; – piccoli nuclei ravvicinati situati lungo versanti collinari a quote medie di 235 m s.l.m., esclusivamente su terreni argillosi, con distanza media dal bacino idrografico di 525 m; – case sparse localizzate in corrispondenza di spazi con morfologia Fig. 20. Distanze aree insediative-corsi d’acqua Fig. 21. Ipotesi sulla viabilità 223 Le due facies paesaggistiche sono perfettamente assimilabili. 224 296 CAMPANA, 2002, c.s. Le attività artigianali sono da ritenere marginali e funzionali a soddisfare esigenze locali direttamente riconducibili alla principale attività economica; aggiungiamo che probabilmente costituiscono l’indizio di un tentativo di ridurre la marcata dipendenza dall’esterno. Struttura produttiva di maggiori dimensioni è la fornace ceramica situata lungo il limite occidentale dell’area insediativa più importante (Vescovado) 234. A questa possiamo aggiungere la probabile presenza in 6 unità topografiche (tutte situate nei due villaggi) di piccole forge destinate a soddisfare necessità domestiche 235. collinare (versate e sommità) a quote medie di 263 m s.l.m., con geologie argillose e distanza media dal più vicino corso d’acqua di 620 m; Il modello insediativo di IV-II secolo a.C. si distingue dalla fase tardo orientalizzante-arcaica per: – estrema lontananza da un centro dominante cui ricondurre organizzazione e inquadramento territoriale (ager inter Saenam Clusiumque) 225; – presenza di forme abitative tipo villaggio; – aumento dimensionale dei nuclei accentrati pari a 3,4 (+1,4); – maggiore dispersione dei tipi insediativi nel territorio. Aumento delle distanze medie tra piccoli nuclei accentrati 2.287 m (+756 m) e tra case sparse e più vicino insediamento 1.997 m (+987 m); – nonostante gli spazi occupati non coincidano con la fase precedente (abbandono del 77% dei siti di VII-V), le variabili paesaggistiche considerate ripropongono le medesime scelte, testimoniandone successo e funzionalità. La ricognizione non ha individuato elementi forti da ricondurre a differenziazione sociale. Sono assenti strutture insediative quali ad esempio le case ricche individuate nel Chianti senese, che si distinguono per dimensioni, tecnica edilizia, cultura materiale e ubicazione 226. L’unica struttura insediativa è costituita dalla casa di terra con variazioni dimensionali sempre contenute e cultura materiale omogenea. La presenza di ceramica a vernice nera nel 51% dei casi (numero massimo di frammenti pari a 8), non sembra essere sufficiente per trarre alcuna conclusione in proposito 227. Indizi di un certo interesse possono essere individuati in evidenze pertinenti a un’altra categoria: tombe e necropoli. Complessivamente, tra rinvenimenti noti ed emergenze rinvenute durante il survey, si contano tre necropoli 228 e due tombe alla cappuccina 229. Le necropoli, situate ai limiti della località Vescovado, sono costituite da tombe ipogee che hanno restituito corredi piuttosto ricchi e articolati rispetto a quanto visto nelle aree insediative. Tra i materiali segnalati spiccano crateri a figure rosse, resti di oreficerie, casse in tufo, urne in travertino e armi. Riproponiamo l’interpretazione avanzata in sede aprioristica relativa all’esistenza di famiglie economicamente dominati da ricondurre a una “classe media rurale” 230. L’esito della ricognizione permette di aggiungere che all’espressione di ricchezza nell’ideologia funeraria non sembra corrispondere un tenore di vita migliore 231. L’economia del territorio in base a tipologie insediative, spazi di localizzazione e cultura materiale risulta marcatamente orientata verso attività agricole e pastorali in unità poderali a gestione familiare o dipendenti dalle famiglie di rango medio residenti nel centro demico di più importante (villaggio) 232. Come accade in altri territori del senese (e dell’Etruria) anche nel contesto indagato a questa fase sembra si debba attribuire la maggiore diffusione della piccola proprietà 233. 3. PERIODO ROMANO I secolo a.C-I secolo d.C. (rinvenimenti editi 2; rinvenimenti inediti 56; resa archeologica 97%) I risultati dell’indagine di superficie smentiscono l’ipotesi preliminare di uno scarso potenziale archeologico. Se osserviamo il valore di densità grezza 236, calcolata sul totale delle unità topografiche (55), questa risulta simile alla fase di VII-V secolo a.C. con 1,65 UT/kmq. Dobbiamo considerare che il periodo in questione, nella suddivisione delle fasi cronologiche, ha durata minore e il decremento di evidenze rispetto alla fase di IV-II secolo a.C. (UT: -30%; emergenze riconducibili a insediamento: -40%) deve essere relazionato alla resa eccezionale del periodo precedente 237. Estendendo l’analisi dei valori di densità ai rispettivi campioni è possibile osservare una prima sostanziale differenza con l’età etrusca. I valori di densità per aree campione mostrano un forte incremento delle presenze nel campione B (habitat 3) a discapito della frequentazione del campione A (habitat 1), nel quale erano concentrati il 70% dei rinvenimenti etruschi (Fig. 25). Campione I secolo a.C.-I secolo d.C. A B C D 1,76 2,13 0 0 VII-V secolo a.C. 2,68 0,98 0,61 1,6 IV-II secolo a.C. 3,26 1,47 0 0 La diminuzione del numero di evidenze rispetto all’età ellenistica non corrisponde a un impoverimento dell’informazione archeologica, al contrario rileviamo l’aumento delle categorie interpretative, tra cui compaiono strutture precedentemente inedite: casa di pietra, magazzino e villa (Fig. 22). – Villa: l’indagine di superficie fornisce un solo caso riconducibile a questa categoria, situato in località podere Il Poggio. Le evidenze pertinenti al complesso sono distribuite su una superficie di circa 450150 m, corrispondente a 7 siti e 9 unità topografiche 238. II secolo a.C. epoca classica della piccola proprietà. CARANDINI, 1985, p. 145. 234 In Val d’Elsa strutture di questo tipo si trovano esclusivamente nei centri di maggiore importanza del territorio, la loro gestione è ricondotta alla classe ‘media’. CRISTOFANI, 1977, p. 76; DE MARINIS, 1977, p. 113. 235 Cfr. Schedario Topografico, F. 120 I nn. 57.1, 67.1, F. 120 II nn. 62.2, 104.2, 113.1, 117.1, 125.4. 236 Con densità grezza intendiamo che il valore espresso potrebbe discendere da una infinita varietà di strutture strettamente dipendenti dall’area rispetto alla quale sono eseguiti i calcoli. UNWIN, 1986, p. 92. 237 È evidente che più una fase è cronologicamente estesa, maggiore tenderà a essere il numero di siti a essa riferibili; riguardo tale problematica cfr. ALCOCK, 1989, pp. 5-34. 238 Cfr. Schedario Topografico, F. 120 II nn. 69.1, 69.2, 70.1, 71, 124.3, 125.1, 125.2, 126.1. Il sito F. 120 II n. 69.1 corrisponde al sito F. 120 II n. 13.1 riportato dalla letteratura edita come generico edificio in pietra di età romana. Siena, 1979, p. 204. Ampia fascia di territorio entro la quale si dovrebbero trovare i limiti di influenza di più città dell’Etruria centro settentrionale (Chiusi, Volterra, eccetera). cap. III, 3. 226 VALENTI, 1995a, p. 397. 227 Considerazioni analoghe valgono per le poche importazioni di ceramiche di lusso. 228 Cfr. Schedario Topografico, F. 120 I nn. 2.1, 3.1, 5.1. 229 Cfr. Schedario Topografico, F. 120 I n. 46.2 e F. 120 II n. 104.1 230 CRISTOFANI, 1977, pp. 76-77; Siena, 1979, p. 27; CIACCI, 1999, pp. 309-310. 231 Esistenza di un unico tipo di struttura insediativa e omogeneità della cultura materiale a essa associata. 232 Modelli simili sono stati riconosciuti in territori del senese e in altre zone dell’Etrutria. 233 Per confronti con altri territori della provincia si veda in particolare, VALENTI, 1995a, pp. 396-397; per il riferimento all’Etruria meridionale Carandini definisce il 225 297 di ingenti quantità di ceramica da conserva e trasporto (oltre a pietra e laterizio da copertura), allo stoccaggio di prodotti agricoli 241. Proseguendo sempre verso sud i siti F. 120 II nn. 124 e 126, mostrano emergenze riconducibili a un piccolo agglomerato caratterizzato da abitazioni con elevati di terra e copertura laterizia 242. Infine il sito F. 120 II n. 71, per la fitta presenza di scorie di lavorazioni ceramiche e metallurgiche è stato interpretato come zona artigianale del complesso. – Casa di pietra: categoria rappresentata da un’unica evidenza, situata in località podere e Pian di Rotella 243. L’area di spargimento dei reperti ha dimensioni di 2515 m mentre la massima concentrazione è 128 m. Il valore medio di reperti per metro quadrato è piuttosto elevato (45), ma da ricondurre prevalentemente a materiali edilizi (laterizio da copertura e pietra lavorata). – Casa di terra: si conferma la tipologia edilizia maggiormente diffusa con 36 evidenze. Le caratteristiche dimensionali, area media di frammenti fittili e zona di massima concentrazione, risultano rispettivamente di 19.414.6 m e 8.15.9 m 244 (con massimi di 108 m e minimi 245 di 64 m). Materiali associati sono prevalentemente frammenti ceramici, laterizio da copertura e intonaco d’argilla 246. Solo tre unità topografiche (9%) hanno restituito scorie di forgia 247. Valori medio massimo e minimo di reperti per mq sono 9,1 e 6,8. – Magazzino: uno dei tre casi di struttura con questa funzione è già stato trattato nella categoria villa. Le altre due evidenze, collocate entrambe in località Montepescini 248, sono caratterizzate da elevati in Fig. 22. Categorie di emergenze L’area è connotata (a esclusione dei siti F. 120 II nn. 71, 124) 239 da scarsa visibilità, ciononostante è stato possibile raccogliere mediamente una buona quantità di materiali per fornire una interpretazione soddisfacente dell’articolazione del complesso(Fig. 23). La parte signorile (8075 m ca.) è costituita da due ambienti principali (area residenziale e termale). In superficie sono visibili pietrame lavorato, laterizio da copertura, grossi frammenti di pavimento in cotto 240, cocciopesto, terrecotte architettoniche, tubuli per il riscaldamento e ceramica da mensa. A sud di quest’area è stato individuato uno spazio di 4030 m da relazionare, per la presenza m Centro rinvenimenti survey Aree di spargimento Aree indagate e relativa visibilità Buona Media Scarsa Nulla Fig. 23. Distribuzione dei siti e relativa interpretazione degli spazi pertinenti al complesso tipo villa (supporto cartografico, ortofotocarta sez. n. 308050) Cfr. Schedario Topografico, F. 120 II nn. 125.1, 125.2. Cfr. Schedario Topografico, F. 120 II nn. 124.3, 126.1. Cfr. Schedario Topografico, F. 120 II n. 154.1. 244 Cfr. Schedario Topografico, F. 120 II n. 89.1. 245 Cfr. Schedario Topografico, F. 120 II n. 71.3. 246 Cfr. Schedario Topografico, F. 120 II n. 143.1 e cap. VII, 5. 247 Cfr. Schedario Topografico, F. 120 I n. 27.2, F. 120 II nn. 71.3, 113.6. 248 Cfr. Schedario Topografico, F. 120 II nn. 91.1, 143.2. 241 242 243 I siti F. 120 II nn. 69, 126 sono fondi agricoli che non vengono lavorati da sette anni; il sito F. 120 II n. 70 è completamente ricoperto da vegetazione boschiva, unica parte visibile è costituita da una lunga sezione; il sito F. 120 II n. 125 è un oliveto. 240 Cfr. Schedario Topografico, F. 120 II nn. 69.1, 70.1. 239 298 terra, copertura laterizia, alta percentuale di ceramica da conserva e dimensioni simili 249. – Frequentazione: a questa voce sono state ricondotte cinque emergenze di cui tre da riferire a piccoli depositi con concentrazioni di superficie illeggibili 250. Due evidenze sono relative ai lavori di scavo in località Vescovado nel corso dei quali sono emersi nel secondo livello materiali pertinenti alla fase in esame che attestano la continuità insediativa dell’area 251. generale crisi di tutto il territorio 255. È questa una fase di interfaccia tra la destrutturazione del sistema di gestione e lo sfruttamento delle aree rurali di tipo etrusco-ellenistico e una riorganizzazione della campagna secondo criteri produttivi caratteristici della società romana. Tra gli inizi del I secolo a.C. e prima metà I secolo a.C. la continuità insediativa negli spazi precedentemente occupati da villaggi varia da un minimo di una abitazione 256 a un massimo di tre 257. I piccoli nuclei abitativi scompaiono. Unica forma insediativa attestata è la casa sparsa (in totale 7) 258. La distanza media tra abitazioni è 1610 m, 387 m in meno rispetto alla fase di IV-II secolo a.C. Nel corso della seconda metà del I secolo a.C. è possibile intravedere i primi segni di evoluzione; ha infatti inizio una netta ripresa riscontrabile nella crescita del numero di abitazioni del 59% (+10) 259. La casa sparsa continua a prevalere mentre ricompaiono nuclei abitativi (2-3 case) situati a breve distanza dagli spazi occupati nel periodo precedente (distanza ideale 351 m) e tendenzialmente intercalari rispetto alla case sparse, riducendo la distanza media tra insediamenti a 1280 m (-330 m). In entrambe le sottofasi la zona paesaggistica 1 continua a essere maggiormente frequentata. A partire dai primi decenni del I secolo d.C. assistiamo a un netto incremento delle presenze (+51%). Il pattern insediativo riconducibile a tre diverse forme di aggregazione: grandi complessi produttivi 260, piccoli nuclei abitativi e case sparse; questo modello è però valido integralmente solo nel campione B (habitat 3). Nella zona paesaggistica 1 (campione B) il panorama insediativo si limita alla presenza di nuclei costituiti sistematicamente da tre abitazioni, intorno ai quali gravitano case sparse (tra cui l’unica casa di pietra). Notevole la regolarità della distanza tra evidenze: elementi dello stesso nucleo (media 246 m, massima 279 m, minima 181 m), nucleonucleo (media 1.205 m, massima 1.722 m, minima 900 m), tra nuclei e case sparse (media 902 m, massima 1.125 m, minima 500 m). Nell’habitat 3 l’insediamento si presenta polarizzato in fasce radiali attorno alla villa. Superate le strutture abitative strettamente pertinenti al complesso (pars rustica), entro un raggio di 950 m troviamo esclusivamente case sparse. Oltre, a distanza media di 1350 m dalla villa, sono situati nuclei accentrati composti con regolarità da due abitazioni; superati questi, si segnala la sporadica presenza di abitazioni isolate. Complessivamente gli spazi rioccupati nel corso della prima età imperiale, nonostante la discontinuità insediativa attestata nel corso del I secolo a.C., risultano essere piuttosto numerosi (38%) (Fig. 26). Con l’inizio della prima età imperiale si assiste, rispetto al periodo etrusco e all’età tardo repubblicana, a una evidente inversione di tendenza nella localizzazione paesaggistica delle evidenze: incremento del popolamento e presenza di strutture insediative domi- Fig. 24. Quantificazione delle forme ceramiche La mole di materiali rinvenuti consente di proporre alcune osservazioni sincroniche e confronti con la situazione rilevata nella fase precedente 252. La quantificazione delle classi ceramiche attesta la diminuzione delle produzioni rivestite da mensa (-5%), mentre invariate restano le proporzioni tra acroma grezza e depurata. Il rapporto forme chiuseaperte aumenta leggermente a favore delle prime (+7%). Il repertorio delle produzioni chiuse da fuoco si amplia con l’introduzione della pentola (5%) alla quale è da relazionare la diminuzione dell’olla (-8%). Tra le forme aperte si torna a un servizio da mensa estremamente povero, limitato quasi esclusivamente a forme del tipo ciotola. Le presenze di ceramica da conserva si mantengono costanti mentre rilevante è l’incremento dei contenitori da trasporto precedentemente non attestati (27,1%) 253 (Fig. 24). Le categorie insediative e la cultura materiale associata, mostrano una notevole differenza solo nella pars dominica della villa 254. Case di terra e casa di pietra hanno restituito le stesse tipologie di reperti in proporzioni sostanzialmente simili. La composizione della rete insediativa tra inizi I secolo a.C. e fine I secolo a.C. subisce profonde trasformazioni: smantellamento del sistema insediativo di età ellenistica, forte decremento demografico e 255 Le ragioni di questa situazione sono da ricondurre alle stesse vicende storiche di ampia portata, di cui abbiamo parlato in sede aprioristica: cfr. cap. III, 3. 256 Per il villaggio situato in località Vescovado: cfr. Schedario Topografico, F. 120 I n. 62.1; per il villaggio localizzato tra Montepescini-Poggio Castello: cfr. Schedario Topografico, F. 120 II n. 121.3. 257 Nell’ipotesi che i materiali dei siti F. 120 I nn. 57.1, 57.2 siano pertinenti ad abitazioni di terra. 258 Cfr. Schedario Topografico, F. 120 I nn. 27.1, 31.1, 62.1, F. 120 II nn. 121.3, 128.2, 130.2, 138.1. 259 Cfr. Schedario Topografico, F. 120 I nn. 27.2, 27.3, F. 120 II nn. 45.3, 71.3, 113.6, 117.2, 120.2, 124.3, 135.1, 151.2. 260 Ricordiamo che l’ampliamento del campione B include la villa situata in località La Befa. La ricognizione di superficie, molto probabilmente a causa dei problemi connaturati a suoli alluvionali, non ha fornito elementi utili alla comprensione degli spazi circostanti il complesso. DOBBINS, 1979, pp. 58-60; Siena, 1979, p. 209, n. 3; DOBBINS, 1983; ASAT, pp. 309-310, n. 106. Le aree di concentrazione misurano 75 m (F. 120 II n. 91.1) e 128 m (F. 120 II n. 143.1) con una media di reperti per metro quadrato di 12 e 8. Queste differenze riteniamo siano da imputare esclusivamente all’uso del suolo su cui sono stati effettuati i rinvenimenti: nel primo caso seminativo mentre nel secondo vigneto. 250 Cfr. Schedario Topografico, F. 120 I nn. 44.1, F. 120 II nn. 135.2, 146.3. 251 Cfr. Schedario Topografico, F. 120 I nn. 57.1, 57.2. 252 In totale 1992 frammenti (laterizi da copertura esclusi), corrispondenti a una media ideale di 35.6 frammenti per unità topografica. 253 Questi provengono quasi esclusivamente da unità topografiche situate nel campione B (zona paesaggistica 3). 254 Visibile non tanto in termini di quantità di reperti (causa la scarsa visibilità) quanto di varietà delle classi ceramiche e soprattutto delle forme. 249 299 km Rinvenimenti survey: Villa Frequentazione Sporadico Casa di pietra Casa di terra Magazzino Tomba Confini provinciali Fig. 25. Distiribuzione dei siti della fase tarda repubblica-prima età imperiale sommità collinari sono del tutto desertate a vantaggio delle aree di pianura, mentre nell’habitat 3 accade l’opposto. Le quote altitudinali, rispetto alla fase precedente rivelano un sensibile abbassamento, particolarmente evidente per le posizioni di versante collinare che passano da un valore medio di 272 m slm a 234 m slm (-38 m) (Fig. 27). Questa situazione non è però da relazionare alla maggiore frequentazione dell’habitat 3; infatti il diagramma mostra che nel campione A (habitat 1) la differenza aumenta (-53 m) mentre nel campione B (habitat 3) il valore medio è molto simile al precedente (252 m). L’occupazione degli altri spazi di localizzazione indica trasformazioni contenute, sostanzialmente irrilevanti, in direzioni opposte: aumento di 26 m per le sommità collinari e diminuzione di 16 m degli spazi pianeggianti. Un dato interessante emerge dal confronto (indipendente dalla morfologia) tra valore medio ellenistico e medie separate nei due campioni per il periodo considerato. Media ideale in età ellenistica abbiamo visto essere 250 m s.l.m., durante la fase tarda Repubblica-prima età imperiale nel campione A è 226 m s.l.m. e, nel campione B, 249 m s.l.m. Questo elemento conferma che le maggiori trasformazioni altitudinali sono avvenute nell’habitat 1 (campione A). Le caratteristiche geologiche dei suoli sono riconducibili, come nella fase precedente, a due formazioni: argille e ofioliti. Il diagramma mostra per il periodo considerato una sensibile diminuzione dell’occupazione dei terreni ofiolitici (-11%). Nei campioni A e B non vi sono differenze rilevanti, le evidenze di I secolo a.C.-I secolo d.C. si distribuiscono in modo sostanzialmente omogeneo. La distanza media tra insediamenti e corsi d’acqua di media portata è 384 m (-38 m). Rispetto a questa variabile le emergenze localizzate Fig. 26. Rapporto tra siti abbandonati, rioccupati e prime occupazioni nanti (ville) nell’habitat 3, diminuzione della frequentazione, limitata a case di terra nell’habitat 1 261. Interessante è osservare come, considerando separatamente le presenze nei campioni A e B, al cambiamento di zona abitativa non corrisponde una trasformazione del rapporto aree insediative-variabili ambientali considerate 262. La percentuali relative alla morfologia del suolo attestano la preferenza per il versante collinare con la differenza che nell’habitat 1 le 261 L’indagine di superficie nell’habitat 1 ha restituito anche una casa di pietra. Questa struttura costituisce un problema interpretativo, non è infatti distinguibile dalle altre (case di terra) se non per gli elementi costruttivi: posizione, dimensioni e cultura materiale potrebbero perfettamente essere riferiti a strutture con elevati in terra. 262 Durante il periodo etrusco abbiamo potuto costatare una sintonia quasi perfetta tra scelte insediative nell’habitat 1 e 3; lo stesso accade nel corso del I secolo a.C. 300 – seconda metà I secolo a.C.-prima metà I secolo a.C.: l’insediamento continua a privilegiare la zona paesaggistica 1 e posizioni di versante collinare, a quota media di 232 m s.l.m. (-13 m), su geologie di tipo argilloso e distanza da corsi d’acqua di 442 m. – I secolo d.C.-inizi II secolo d.C.: nella zona abitativa 1, gli spazi maggiormente frequentati continuano a essere le posizioni di versante collinare (sommità desertate), con quota altitudinale media di 219 m s.l.m. e terreni argillosi distanti dal bacino idrico d’appartenenza mediamente 407 m (-35 m). La zona paesaggistica 3 mostra una tendenza piuttosto omogenea verso l’occupazione degli spazi collinari, a quota media di 249 m s.l.m. (in età ellenistica 250 m s.l.m.), suoli di tipo argilloso e distanza ideale di 345 m dal più vicino corso d’acqua (-76 m rispetto al campione A in età ellenistica) 265. Il passaggio dalla zona 1 alla zona 3 non sembra quindi motivato dalla ricerca di nuovi spazi connotati da caratteristiche paesaggistiche diverse rispetto alle aree insediate dell’habitat 1. A questo proposito è interessante notare che entrambe le ville sono situate in prossimità di arterie di traffico di un certo rilievo, secondo un modello direttamente riportato dalla letteratura antica 266. La villa in località La Befa dista appena 210 m dal fiume Ombrone 267. Il secondo complesso, la villa situata nei pressi della località podere il Poggio, può essere messa in relazione con il passaggio della Via Clodia a est del fiume Merse 268. I motivi che hanno determinato la marginalità dell’habitat 1 sarebbero quindi da mettere in relazione prevalentemente a un fenomeno di attrazione dell’insediamento da parte delle vie di traffico conferendo un ruolo di primo piano alla zona paesaggistica 3 269. Riguardo alla viabilità interna non siamo in grado di avanzare ipotesi se non in negativo. La presenza di due sole abitazioni sparse situate lungo il principale asse viario di età etrusca non è sufficiente per sostenere la continuità del percorso 270. Il modello socio-economico sino alla fine del I secolo a.C. mostra un quadro di profonda omogeneità. Caratteristiche delle strutture produttive, funzione (case coloniche a conduzione monofamiliare) e localizzazione danno modo di scorgere un sistema economico imperniato su agricoltura e allevamento, orientato verso l’autosufficienza. La dipendenza dall’esterno è ridotta al minimo indispensabile come dimostra il riconoscimento di piccole fornaci e forni fusori nelle immediate vicinanze delle abitazioni; ulteriore indizio di questa tendenza si può individuare nell’assenza di contenitori da trasporto. Fig. 27. Quote altitudinali medie delle aree insediative: I secolo a.C.-I secolo d.C. nei campioni A e B sembrano seguire logiche differenti. Il campione A presenta diverse analogie con il periodo precedente. La situazione è infatti caratterizzata da una forte escursione (distanza minima 25 m, massima 875 m). La crescita irregolare della curva corrisponde a vuoti insediativi e quindi a un basso grado di variabilità della distribuzione del popolamento (Fig. 28) 263. Il campione B è rappresentato da una curva con caratteristiche molto differenti. Anzitutto l’escursione tra distanza massima (500 m) e minima (210 m) è quasi tre volte inferiore. L’aumento delle distanze si sviluppa in modo quasi lineare a testimonianza dello sfruttamento della grande maggioranza degli spazi compresi tra 210 e 500 m dal più vicino bacino idrografico 264. Considerando diacronicamente i risultati dell’analisi distanza corsi d’acqua-aree insediative sembra che in presenza di centri dominati (complesso residenziale di Poggio Civitate e villa) l’escursione massima è sempre molto contenuta e la curva estremamente regolare mentre l’assenza di questi ultimi sembra corrispondere con escursioni molto elevate e curve caratterizzate da impennate e appiattimenti (fase ellenistica e campione A nel periodo considerato). Schematizzando le scelte insediative che caratterizzano la fase tarda Repubblica-prima età imperiale sono: – inizi I secolo a.C.-prima metà I secolo a.C.: prevalente distribuzione del popolamento nella zona abitativa 1 in spazi connotati da morfologia di versante collinare, a 245 m s.l.m., su terreni argillosi, mediamente distanti 392 m da corsi d’acqua; 265 Abbiamo visto che in questo caso il valore medio non è sufficientemente rappresentativo. Cfr. supra. 266 “Vi sia vicino un centro abitato importante o il mare o un corso d’acqua percorso da imbarcazioni, o una buona strada frequentata”. De agri cultura, I, 3. 267 Naturalis Historiae, III, 8. L’Ombrone è definito da Plinio “navigorum capax”. 268 L’ipotesi fu avanzata inizialmente da Miller, che non convinto della brusca deviazione della via Clodia verso il Tirreno dopo Saturnia, suppone l’ipotetica prosecuzione della direttrice verso Siena. Questo asse viario costituirebbe il percorso intermedio tra la via Cassia e la via Aurelia; MILLER, 1916, p. 286, cart. 92. Questa ipotesi è stata successivamente ripresa da diversi studiosi, Lorenzini, De Agostino, Veronesi Pesciolini e infine Bianchi Bandinelli. LORENZINI, 1932, pp. 9-10; VENEROSI PESCIOLINI, 1933, 119; DE AGOSTINO, 1935, p. 31 sgg.; BIANCHI BANDINELLI-GIULIANO, 1976, fig. 451. 269 Una situazione analoga è rintracciabile a Radicondoli dove si assiste a un drastico spostamento verso la parte centro orientale in corrispondenza del passaggio della direttrice stradale (riportata nella Tavola Peutingeriana); i nuovi spazi vengono occupati da complessi di medio-grandi dimensioni del tipo fattoria. CUCINI, 1990, pp. 246-247. 270 Oltre alla scarsa quantità di nodi, dobbiamo considerare che in età tardo orientalizzante-arcaica la supposta viabilità collegava la Regia al fiume Ombrone; durante la fase ellenistica un villaggio e una fitta rete di piccole aree insediative. Nel periodo trattato la zona paesaggistica 1 diventa progressivamente marginale. Fig. 28. Distanze aree insediative-corsi d’acqua 263 Ad esempio nel campione A nessuna abitazione risulta collocata tra 500 e 750 m (impennata curva) mentre quattro abitazioni si trovano tutte a distanza di 250 m (appiattimento curva). 264 Da notare che nessun valore si ripete due volte e quindi ogni struttura insediativa è situata a una distanza diversa. 301 Con l’inizio del I secolo d.C., la comparsa nel territorio di grandi complessi dominanti, basati su un’organizzazione della terra di tipo latifondistico, introduce rapporti e modi di produzione tipici della società romana. Solo negli spazi più lontani da questi organismi (habitat 1) sembra continuare a sopravvivere un’organizzazione insediativa, produttiva e sociale di tipo tardo etrusco. 4. LA FASE DI TRANSIZIONE: VI SECOLO D.C.-INIZI VII SECOLO D.C. (rinvenimenti editi 0; rinvenimenti inediti 25; resa archeologica 100%) In sede aprioristica non abbiamo avanzato alcuna ipotesi per la totale assenza di elementi riferibili alla fase di interfaccia compresa tra tarda antichità e alto Medioevo. La ricerca di superficie ha permesso di individuare complessivamente 24 unità topografiche (Fig. 30) 280. È confermata la tendenza, iniziata in età romana, verso la concentrazione delle evidenze nel campione B (16 presenze; 1,31 UT/kmq) 281. L’informazione archeologica è riconducibile a quattro categorie interpretative: capanna, casa di terra, frequentazione, sporadico. – Capanna: a questa definizione appartiene una sola evidenza, estremamente simile in superficie alla casa di terra, dalla quale si distingue unicamente per l’assoluta assenza di laterizio da copertura 282. La concentrazione è piuttosto elevata (reperti per mq: max. 15; min. 10) con dimensioni di 64 m, caratterizzata dalla presenza di ceramica, grumi di argilla con evidenti tracce di incannicciato 283 e alcune scorie di lavorazione di minerali ferrosi (fase di forgiatura) 284. – Casa di terra: le dimensioni medie delle concentrazioni sono le più basse registrate: 7.075.15 m con massimi di 96 m 285 e minimi di 64 m 286. I valori piuttosto elevati di reperti per metro quadrato, in media 18,21, sono da relazionare direttamente alle peculiarità dei suoli indagati 287. Non compreso nel computo statistico è II-V secolo d.C. (rinvenimenti editi 0; rinvenimenti inediti 9; resa archeologica 100%) I risultati dell’indagine archeologica confermano sostanzialmente le ipotesi pessimistiche avanzate in sede aprioristica 271. Complessivamente tra media e tarda età imperiale si contano nove evidenze 272, quarantasette meno rispetto alla fase precedente (-84%). La documentazione archeologica è riconducibile a due definizioni: villa 273, casa di terra 274. Nessuna delle emergenze rappresenta una struttura di nuova fondazione; tutte sorgono nel corso del I secolo d.C. e continuano a essere occupate, nel migliore dei casi, fino alla metà del III secolo d.C. Le uniche evidenze, caratterizzate da lunga durata, abbandonate grossomodo nel corso del V secolo d.C., sono le due ville 275. La distribuzione dei siti nel territorio appare come l’evoluzione del modello precedente verso una minore complessità ed eterogeneità della maglia insediativa. Nell’habitat 3 scompare l’insediamento di tipo sparso sia nucleare sia isolato; unica forma di aggregazione sono i complessi di grandi dimensioni. Come in altri territori del senese assistiamo all’assorbimento dell’abitato sparso da parte degli organismi più complessi e all’instaurazione di un unico sistema di organizzazione della terra 276. Nell’habitat 1 all’inizio del II secolo il forte decremento delle presenze, provoca il completo smantellamento della rete di nuclei abitativi 277. Il numero di case sparse si riduce a tre. Sebbene statisticamente irrilevante, le rispettive distanze tra abitazioni (in media 3.325 km) rendono perfettamente l’idea della rarefazione del tessuto insediativo. Alla fine del II secolo una sola delle tre abitazioni mostra ancora segni di frequentazione 278. In sostanza tra fine I e inizi II secolo d.C. si assiste a un progressivo spopolamento che investe l’intera zona abitativa 1 (già divenuta marginale a partire dall’età augustea) che culmina, intorno alla metà del III secolo, nella totale desertazione. L’habitat paesaggistico 3, favorito dalla possibilità di collegamenti con i mercati cittadini e costieri, in seguito all’accentramento verso i due grandi complessi tipo villa non rivela, fino all’abbandono degli stessi, alcun segno di trasformazione 279. Fig. 30. Tipologie di emergenze 280 Sebbene con maggiore approssimazione rispetto alle fasi precedenti, siamo in grado di presentare il trend generale del popolamento e l’organizzazione socio-economica. Ciò è stato reso possibile dalle ricerche effettuate negli ultimi dieci anni dal Dipartimento di Archeologia Medievale dell’Università di Siena, mirate all’individuazione di un campionario di forme ceramiche tipiche della fase esaminata: cfr. VALENTI in CAMBI et alii, 1994, pp. 196-197; VALENTI, 1995a. Precedentemente l’assenza di fossili guida che testimoniassero tracce di insediamento rendevano impossibile comprensione e ricostruzione delle vicende insediative e storico-economiche. 281 Il campione A ha restituito otto emergenze (5 case di terra, 2 off-sites, 1 frequentazione) per una densità pari a 0.52 UT/kmq. Una unità topografica è situata nei pressi della località Crevole, zona non compresa nella campionatura: cfr. Schedario Topografico, F. 120 I n. 76.1. 282 Cfr. Schedario Topografico, F. 120 II nn. 66.1. 283 Cfr. cap. VII, 5. 284 Cfr. cap. VII, 4. 285 Cfr. Schedario Topografico, F. 120 II n. 129.1. 286 Cfr. Schedario Topografico, F. 120 II nn. 45.1, 165.1. 287 Il 32% delle evidenze provengono da fondi destinati a colture stabili. Il 54% dei suoli non sono arati da tempo e sottoposti a fresature superficiali. È noto che questo tipo di lavorazione agisce ripetutamente sui medesimi manufatti aumentano il numero di frammenti a discapito delle dimensioni e dello stato di conservazione, riducendo il potenziale informativo dei reperti. Cfr. cap. IV, 4. A queste possiamo aggiungere un dato edito, la continuità della villa situata in località la Befa (territorio di Buonconvento); DOBBINS, 1979, pp. 58-60; Siena, 1979, p. 209, n. 3; DOBBINS, 1983; ASAT, pp. 309-310, n. 106. 273 Cfr. Schedario Topografico, F. 120 II nn. 69.1, 70.1, 125.1, 125.2, 126.1. 274 Cfr. Schedario Topografico, F. 120 II nn. 54.1, 43.1, 45.3, 103.1, 129.2. 275 Cfr. supra. 276 VALENTI, 1995a, p. 400, fig. 110. 277 Cfr. Schedario Topografico, F. 120 II nn. 43.1, 45.3. 278 Cfr. Schedario Topografico, F. 120 II n. 54.1. 279 Scomparsa progressiva della dispersione degli insediamenti (case coloniche) su vaste superfici e latifondo strutturato prevalentemente accentrando la popolazione è un fenomeno generalizzabile a tutta l’Etruria: cfr. CAMBI et alii, 1994, pp. 184-191. 271 272 302 dobbiamo aggiungere la scarsa attestazione delle ingubbiate di rosso (4%). Il repertorio formale è dominato dall’olla, per lo più globulare o ovoidale, con fondo apodo, bordo nastriforme caratterizzato da alloggio per coperchio o bordo estroflesso 299, svasato e superiormente appiattito (Fig. 31) 300. Tra le forme chiuse segnaliamo l’atipica presenza di un catino di grandi dimensioni (probabilmente destinato allo stoccaggio di prodotti agricoli) 301, caratterizzato da forma globulare, bordo a sezione il fondo agricolo già segnalato per i periodi etrusco e romano 288. Ricordiamo questo sito, esteso su un’area di circa 6500 mq, corrisponde a un’unica grande concentrazione con valori medi pari a 45 reperti per metro quadrato 289. Di fronte a questa situazione abbiamo optato per la suddivisione del fondo in dieci fasce parallele larghe 20 m. Sette dei dieci transetti hanno restituito cospicue quantità di ceramica databile tra la metà del VI secolo e gli inizi del VII secolo d.C. 290. Come per l’età romana riteniamo ipotizzabile la presenza in quest’area di piccole abitazioni con elevati in materiale deperibile forse con copertura laterizia. Il numero preciso di strutture, non indentificabile con precisione, è stato valuto nell’ordine di sette abitazioni 291. Oltre ai materiali caratterizzanti questa categoria, in sedici evidenze sono presenti scorie di lavorazione del ferro riferibili alla fase di forgiatura 292. L’alta percentuale di abitazioni con tracce di attività metallurgiche (66,7%) 293, lascia presumere che alle strutture insediative siano da associare quasi sistematicamente a spazi funzionali alla forgiatura di semilavorati ferrosi. – Frequentazione: a questa voce sono da ricondurre due siti 294. Il primo, caratterizzato da plurifrequentazione, consiste in una trincea occasionale praticata con mezzi meccanici a ridosso di un abitazione in località Vescovado. Le condizioni di rinvenimento e soprattutto il basso numero di reperti non permettono di formulare ipotesi precise sul tipo di stratificazione se non una generica continuità insediativa dell’area. Nel secondo caso si tratta di labili tracce di frequentazione all’interno della pars dominica della villa situata in località podere Il Poggio 295. Situazioni analoghe, seppure supportate da indicatori ceramici numericamente più consistenti, sono state interpretate come rioccupazione di almeno uno degli ambienti della zona residenziale del complesso 296. La prima differenza che emerge dall’analisi dei prodotti ceramici presenti nelle strutture abitative è il rapporto tra classi ceramiche. Il 59% del vasellame è di tipo depurato mentre le produzioni di ceramica grezza non superano il 37% 297. Il confronto con altri territori recentemente indagati con metodi analoghi 298, conferma l’assenza nella provincia di Siena di produzioni sigillate africane; nel nostro caso Fig. 31. Distribuzione delle forme ceramiche pentagonale, labbro introflesso, spalla leggermente modanata. Il labbro di alcuni esemplari risulta impresso con un marchio riconducibile a una ruota raggiata 302. Il panorama delle forme aperte è limitato a ciotole e ciotole-coperchio caratterizzate da bordo estroflesso a tesa orizzontale, parete obliqua e profilo rettilineo 303, oppure con bordo arrotondato introflesso con profilo esterno più o meno obliquo e convesso 304, assimilabili a imitazioni delle forme HAYES 50b e 61a 305. Le indicazioni materiali mostrano, coerentemente con quanto già rilevato dalle indagini condotte nel territorio senese, un campionario morfologico piuttosto limitato e ripetitivo, indice di produzioni in serie diffuse a livello regionale o subregionale 306. La conferma dell’esistenza di rapporti di scambio seppure circoscritti ad ambiti locali sembra però limitato al minimo indispensabile; non può essere ignorata la scarsa attestazione di ceramiche coperte di rosso, fossile guida per l’identificazione di questa fase con ampio raggio di diffusione nell’intera regione 307. L’associazione cultura materiale-strutture insediative non restituisce elementi di differenziazione significativi, profilando l’immagine di un tenore di vita sostanzialmente omogeneo. Uniche differenze di non facile lettura, probabilmente irrilevanti, sono la presenza di una struttura Cfr. Schedario Topografico, F. 120 II n. 73. Mediamente le condizioni di conservazione dei reperti sono buone. 290 Cfr. Schedario Topografico, F. 120 II nn. 73.1, 73.4, 73.5, 73.6, 73.7, 73.8, 73.9. 291 I laterizi distribuiti in modo piuttosto omogeneo su tutta la superficie presentano corpi ceramici di tipo etrusco, romano e soprattutto medievale. Per la corrispondenza tipo di impasto-periodo di appartenenza: cfr. cap. VII, 3. 292 Cfr. Schedario Topografico, F. 120 I n. 76.1, F. 120 II nn. 44.2, 45.1, 104.3, 129.3, 146.2, 147.1, 148.1, 165.1. 293 È vero che a esclusione del periodo tardo orientalizzante-arcaico, abbiamo sempre constatato la presenza di tracce simili, mai però con indici di diffusione così elevati. 294 Cfr. Schedario Topografico, F. 120 I n. 57, F. 120 II nn. 69. 295 Cfr. Schedario Topografico, F. 120 II n. 70.1. 296 Esempi di migliore lettura nel senese sono rintracciabili nel comuni di Castelnuovo Berardenga (località Fontealpino) e Gaiole in Chianti (località San Marcellino a Monti). VALENTI, 1995a, p. 403. Le evidenze tipo villa individuate nelle ricognizioni (tuttora in corso) dei territori comunali di Pienza, Montalcino, San Giovanni d’Asso, San Quirico, Buonconvento, attestano in modo sistematico il fenomeno di rioccupazione nel corso del VI secolo d.C. Per una sintesi a livello toscano si veda VALENTI, 1999, pp. 318-322. 297 Questa situazione è forse spiegabile con la scarsa presenza, solo 4%, della classe ceramica caratterizzata da corpo depurato e ingubbiatura rossa. Se consideriamo il rapporto in termini di ceramica da fuoco e da mensa il risultato è rispettivamente 37% e 63%, lo stesso rilevato nel territorio comunale di Pienza. In questo caso però il 50% del totale è da attribuire a ceramiche con ingubbiatura rossa e il 14 ad acroma depurata. FELICI, 1998-1999, pp. 670, 672. 298 VALENTI in CAMBI et alii, 1994, pp. 196-203; VALENTI, 1995a, pp. 401-405; FELICI, 1998-1999; CAMPANA, 2002 c.s.; RIZZI, c.t. 288 289 Cfr. cap. VII, 2, tav. XXXII, nn. 2-6. Cfr. cap. VII, 2, tav. XXXI, nn. 1-3, 5. 301 Forma attestata in notevoli quantità ma limitata a un unico contesto topografico: cfr. Schedario Topografico, F. 120 II n. 104.3. La forma trova confronti approssimativi con materiali di inizi IV provenienti da Cosa: DYSON, 1976, p. 161, tav. FC, n. 23. Confronti puntuali sono rintracciabili ad esempio a Milano; MM3, pp. 236, tav. CIX, n. 6. Per un approfondimento sulla forma cfr. cap. VII, 2. 302 Cfr. NEGRI, 1994, fig. 11, n. 2; cap. VII, 2, tav. XXXVII, nn. 1, 2. 303 Cfr. cap. VII, 2, tav. XXXIII, nn. 2; tav. XXXIV, nn. 10-13. 304 Cfr. cap. VII, 2, tav. XXXIV, nn. 1-5, 7; tav. XXXIV, n. 9. 305 Atlante, p. 86, tav. XXXVII. 306 VALENTI in CAMBI et alii, 1994, pp. 196-203; VALENTI, 1995, pp. 73-74; VALENTI, 1999, pp. 318-322. 307 VALENTI in CAMBI et alii, 1994, pp. 196-197. 299 300 303 km Rinvenimenti survey: Rioccupazione villa Casa di terra Casa di terra Ipotesi Casa di terra con forno fusorio Capanna con forno fusorio Sporadico Confini provinciali Fig. 32. Distribuzione delle evidenze dei secoli VI-VII d.C. villa romana (località podere Il Poggio) 311 e la capanna in località San Giusto 312. Nel campione A il pattern insediativo è costituito da tre nuclei sparsi, ognuno composto da due case, con distanza media decisamente superiore rispetto al campione B (3326 m; distanza media tra abitazioni dello stesso nucleo 243) 313. Lo scenario descritto è da ricondurre alla sovrapposizione intorno alla fine del VI secolo d.C. di due distinti momenti storici: – metà VI-fine VI secolo d.C.: periodo di transizione e di breve durata, successivo alla guerra greco-gotica caratterizzato da bassi indici demografici e da un trend insediativo a maglie larghe di piccole strutture sparse del tipo casa di terra da ricondurre a un modello ben noto in ambito senese: “occupazione della terra non pianificata ma uno sfruttamento disordinato e dettato dalle necessità degli individui” 314. Precisiamo che anche le tre abitazioni ravvicinate individuate in località Montepescini sono da ricondurre a questa situazione. – fine VI-inizi VII secolo d.C.: l’agglomerato in località Poggio Castello è molto probabilmente da considerare, in seguito al passaggio da insediamento sparso a nucleo di popolamento accentrato, se- isolata del tipo capanna 308 e la concentrazione di ceramica ingubbiata di rosso in tre abitazioni appartenenti a un medesimo nucleo 309. La carta di fase mostra (Fig. 32) una marcata concentrazione delle evidenze (50%) tra le località Poggio Castello e Montepescini (campione B; habitat 3). In un transetto di circa mezzo chilometro quadrato si trovano sei emergenze del tipo casa di terra e il sito F. 120 II n. 73, nel quale abbiamo riconosciuto l’esistenza di almeno sette strutture abitative; statisticamente la densità media ideale ammonta a 26 UT/kmq. All’interno di questa zona è possibile distinguere due nuclei, il primo costituito da tre abitazioni ravvicinate situate immediatamente a nord di Montepescini, il secondo, di maggiore consistenza (10 evidenze), è posto intorno al poggio dove troveremo nei secoli centrali del Medioevo (prima attestazione 1055) il primo nucleo del castello di Montepescini. Non abbiamo dati per stabilire se l’assenza di evidenze tra i due nuclei sia causata da motivi connessi all’azzeramento della visibilità (area urbanizzata di Montepescini e vegetazione stabile a nordest di Poggio Castello) o a un reale vuoto di frequentazione. In ogni caso ci troviamo di fronte a una forma di aggregazione accentrata, caratterizzata da evidenze molto ravvicinate, costituite da piccole abitazioni di terra o altro materiale deperibile. Il campione B ha restituito altre quattro evidenze tutte da ricondurre a insediamento di tipo sparso (distanza media 835 m). Due case di terra 310, tracce di frequentazione nella zona padronale della 311 Cfr. Supra. 312 Cfr. Schedario Topografico, F. 120 II n. 66.1. La capanna si trova a 420 m dalla pieve di San Giusto (prima attestazione 1164): Cfr. Schedario Topografico, F. 120 II n. 34. Infine fuori campione segnaliamo la presenza di una casa di terra isolata (cfr. Schedario Topografico, F. 120 I n. 76.1) situata a 220 m dalla rocca di Crevole e quindi dalla Pieve di Santa Cecilia: cfr. Schedario Topografico, F. 120 I n. 10. 314 VALENTI, 1995a, p. 404. La casa sparsa risulta essere l’unica forma di occupazione del territorio; nella forma ‘classica’ dell’abitazione con elevati in materiale deperibile o nella variante costituita dal riuso della pars dominica di alcune ville tardo antiche: cfr. VALENTI in CAMBI et alii, 1994, p. 197-198. Cfr. Schedario Topografico, F. 120 II nn. 66.1. 309 Come vedremo si tratta di un gruppo di abitazioni estremamente ravvicinate situate a nord della località Montepescini. Cfr. Schedario Topografico, F. 120 II nn. 146.2, 147.1, 148.1. 310 Cfr. Schedario Topografico, F. 120 II nn. 71.2, 165.1. Il secondo sito è posto a poche centinaia di metri dalla pieve di Coppiano, attestata però solo a partire dal 1130: Cfr. Schedario Topografico, F. 120 II n. 41. 308 313 304 gno precoce del trapasso verso un’organizzazione dello spazio di tipo altomedievale 315. Riguardo al fenomeno di rioccupazione e abbandono degli spazi sfruttati durante la tarda antichità è difficile proporre validi confronti a causa del ristretto numero di evidenze individuate nel periodo precedente 316. Interessante è risultato osservare il rapporto tra aree sfruttate durante la prima età imperiale (ben rappresentata) e la fase in esame. Assistiamo alla rioccupazione del 29% dei siti frequentati in età imperiale, il restante 71% corrisponde a spostamenti minimi sempre verso siti confinanti con quelli precedentemente occupati 317. Ciò non significa necessariamente che anche il rapporto aree insediativevariabili ambientali sia lo stesso evidenziato per il I secolo d.C. 318. Nel periodo considerato la morfologia dei terreni su cui sorgono le abitazioni è sistematicamente orientata (in entrambi i campioni: A e B) verso la scelta di posizioni collinari di versante, mentre in precedenza erano sempre presenti, seppure mai in modo preponderante, aree pianeggianti e sommità collinari. Possiamo inoltre aggiungere che tutte le strutture sono situate nella parte alta del versante quasi a ridosso della sommità 319. Le quote altitudinali non mostrano differenze significative anche quando calcolate separatamente nei campioni A e B (rispettivi valori medi 248 m s.l.m. e 245 m s.l.m.). Confermata rispetto alla piena età romana la tendenza verso l’occupazione di spazi più elevati, con un aumento medio rispetto alla prima età imperiale di soli 10 m, rispetto alla tarda età imperiale di 45 m. Tenendo presente che l’escursione massima di quota nel territorio, in corrispondenza dei campioni A e B è rispettivamente di 269 m e 214 m, la differenza altitudinale massima delle aree insediative risulta decisamente contenuta, nel campione A 113 m e B 87 m (Fig. 33). Il rapporto geologia-aree insediative nei due campioni restituisce risultati sostanzialmente inversi, mentre nel campione A risultano nettamente privilegiati suoli argillosi a discapito di quelli ofiolitici, nel campione B assistiamo alla scelta opposta 320. Il denominatore comune delle aree insediative rimane, come in altri periodi, l’estrema vicinanza a suoli argillosi, poco acidi, scarsamente pietrosi e facilmente coltivabili 321. Il rapporto tra insediamenti e bacino d’approvvigionamento idrico è caratterizzato, in entrambi i campioni, da forti escursioni. Nel campione A la distanza minima è 100 m e la massima 500 (escursione 400 m); nel B la differenza è quasi doppia 700 m (minima 50 m, massima 750 m). La ripida crescita della curva rivela un notevole disordine insediativo. Lo stesso fenomeno, attenuato dalla presenza del nucleo di tre abitazioni ravvicinate (appiattimento curva a 750 m), è rilevabile nel campione B. La distanza media complessiva corrisponde alla più alta finora registrata 436 m. Possiamo concludere che, in relazione ai corsi d’acqua la maglia insediativa non sembra seguire alcuna logica, presentando un ampio numero di soluzioni (Fig. 34). Fig. 33. Quote altitudinali medie delle aree insediative Fig. 34. Distanze aree insediative-corsi d’acqua 315 La cronologia dei reperti individuati in corrispondenza del sito F. 120 II n. 73 mostrano Riassumendo nel campione A assistiamo durante il VI secolo d.C. all’occupazione generalizzata dei tratti più elevati dei pendii collinari a quote medie di 248 m s.l.m., nettamente preferiti i terreni argillosi (86%) posti a distanza media di 301 m dal più vicino corso d’acqua. Nel campione B la situazione non varia; gli spazi privilegiati coincidono con la parte alta dei versanti collinari, a una quota ideale di 245 m s.l.m. e una distanza media dai corsi d’acqua pari a 336 m. Unica differenza la scelta delle caratteristiche geologiche dei suoli, preferibilmente orientate verso terreni ofiolitici (76%). L’agglomerato di fine VI-inizi VII secolo d.C. è situato intorno alle pendici di un poggio, a quota media di 232 m s.l.m., su terreno ofiolitico distante 480 m dal primo corso d’acqua. L’indagine di superficie non ha individuato elementi da ricondurre a differenziazione sociale. Cultura materiale e strutture insediative a differenza delle abitazioni sparse (pressoché tutte con indicatori che non superano la fine del VI secolo d.C.) una chiara tendenza verso la fine del VI-inizi VII secolo d.C.: cfr. Schedario Topografico, F. 120 II nn. 73.1, 73.4, 73.5, 73.6, 73.7, 73.8, 73.9. Nelle fasi storiche successive al medesimo sito sono riferibili labili tracce di pieno VII e IX secolo d.C. (cfr.cap. VII, 2, tav. XXXIX, n. 2, tav. XXXV, nn. 3, 8, tav. XXXIX, n. 1) e un buon numero di reperti di fine X-XI secolo d.C. (cfr. cap. VII, 2, tav. XXXIV n. 1, tav. XXXV nn. 3-8, tav. XXXIX, n. 1). Infine alla località Poggio Castello è da ricondurre l’attestazione documentaria di un castello nel 1055 (Cfr. Schedario Topografico, F. 120 II 25, 31). 316 Abbiamo visto che dalla seconda metà del III secolo d.C. fino al V secolo d.C. le uniche tracce di frequentazione provengono dalle due ville situate nelle località: La Befa (pianura, 130 m s.l.m., alluvioni fluviali e fluvio-lacustri, distanza fiume Ombrone 210 m) e podere Il Poggio (versante collinare, 267 m s.l.m., conglomerati poligenici, distanza torrente Satino 250 m). 317 Una situazione del tutto simile è stata rilevata in Val d’Elsa, sebbene il confronto sia tra la rete insediativa di V secolo d.C. e le emergenze di VI-VII secolo d.C. È però vero che sempre in Val d’Elsa si segnala la quasi sistematica coincidenza spaziale tra siti di età imperiale e tardo antichi, cfr. VALENTI, 1999, pp. 312-322. Lo stesso fenomeno è stato rilevato nel corso delle ricognizioni nel territorio di Pienza, FELICI, 1998-1999, pp. 645-674. 318 Diciannove siti della prima età imperiale non vengono ne rioccupati ne sono confinanti con i nuovi insediamenti. 319 Questo dato si allinea perfettamente con la tendenza generale osservata nel territorio senese, dove la riconquista dei terreni più innalzati è considerata elemento di maggiore novità rispetto al periodo precedente: cfr. VALENTI in CAMBI et alii, 1994, p. 202. Ricordiamo che in nessun altro periodo si registra una così alta percentuale di abitazioni disposte su terreni ofiolitici. Il motivo è l’alta concentrazione di abitazioni situate nell’area compresa tra Montepescini e Poggio Castello, un’isola geologica circondata da terreni argillosi. 321 In particolare una situazione analoga è emersa per la fase tardo orientalizzante-arcaica. 320 305 (dimensioni, tecnica edilizia e ubicazione) restituiscono una stringente omogeneità. Durante il periodo caotico l’assenza di centri produttivi egemoni, l’uniformità delle strutture insediative e della cultura materiale possono essere interpretati (come nel Chianti senese) 322 diretta conseguenza della mutata organizzazione statale caratterizzata dalla mancata amministrazione delle campagne. Una situazione che avrebbe lasciato spazio “ad una popolazione rurale che da semplice strumento di produzione soggetto a rapporti personali di vario titolo [...] e ad obblighi fiscali si trasforma probabilmente in una massa slegata da qualsiasi tipo di vincolo” 323. La frequente presenza, nelle strutture abitative sparse di ceramica da conserva e frammenti di pesi da telaio, attesta la spiccata vocazione agricola e pastorale degli insediamenti. La restituzione, nel 64% delle abitazioni, di scorie riferibili alla fase di forgiatura del ferro, costituisce un elemento a sostegno della indipendenza dall’esterno. Non si tratta però di reale autarchia, alcuni tipi di attività commerciali continuano a essere esercitate. Abbiamo visto che le forme ceramiche rinvenute sono da ricondurre a produzioni regionali o subregionali. L’assenza di minerali ferrosi e scorie di riduzione, nonostante la presenza nel territorio di risorse minerarie (nel caso del ferro, limitata a cappellacci di limonite) permette di ipotizzare la circolazione di semilavorati ferrosi. Il modello insediativo ha evidenziato l’esistenza di una partizione interna in due sottofasi, caratterizzate da forme di occupazione dello spazio nettamente distinte: piccoli nuclei sparsi, agglomerato. Il passaggio da un modello insediativo costituito da abitazioni sparse a un modello marcatamente accentrato presuppone significative trasformazioni dei modi di produzione e dell’organizzazione socio-economica. Per la comprensione di tale fenomeno è indispensabile identificare il tipo di villaggio che si costituisce. L’indagine di superficie non è però in grado di soddisfare a questa necessità. Le evidenze individuate non permettono di proporre una stima precisa del numero di abitazioni, ne di avanzare ipotesi sulla topografia dell’agglomerato, inoltre per quanto è dato rilevare, cultura materiale e strutture insediative non consentono di osservare in nessun modo fenomeni di gerarchizzazione interna. I confronti con villaggi di fine VI-inizi VII secolo d.C., indagati tramite scavo stratigrafico in altre aree del senese e della Toscana, sembrano confermare questa situazione. I contesti più antichi meglio documentati, interpretati come villaggio sono riconducibili a tre casi: Scarlino 324, Poggibonsi, Montarrenti 325. Questi siti non hanno restituito segni di gerarchizzazione, sia nelle abitazioni sia nelle sepolture a essi associate. La modellistica insediativa più recente relaziona, la nascita dei primi poli di aggregazione della popolazione rurale, al ruolo svolto dagli edifici religiosi 326. Il nostro caso non è però riconducibile a questa situazione per l’assenza di strutture religiose nelle immediate vicinanze 327. L’affermazione di questa forma insediativa a Poggio Castello nei primi decenni del VII secolo d.C., potrebbe essere riferita a precoci iniziative di carattere laico-signorile, sebbene finora queste siano 322 attestate nelle fonti documentarie solo a partire dalla fase successiva, tra la fine del VII secolo d.C. e la prima metà dell’VIII secolo d.C. 328. Il problema dell’anticipo rispetto alle attestazioni documentarie del nostro insediamento accentrato non è un caso isolato. Recentemente è stato infatti rilevato, sulla base dei rinvenimenti archeologici effettuati in varie parti della Toscana, che il fenomeno di riconversione delle strutture insediative, sia laiche sia religiose, sarebbe da estendere a tutto il corso del VII secolo 329. 5. MEDIOEVO Alto Medioevo: seconda metà VII-IX secolo d.C. (attestazioni documentarie 4; emergenze 0; rinvenimenti inediti 3; resa archeologica 100%) Se escludiamo il periodo preistorico è stato sempre possibile ricostruire e comprendere con sufficiente continuità l’evoluzione delle dinamiche insediative e delle strutture materiali, le vicende storicoeconomiche e i modi di produzione operanti nel contesto indagato. Con l’inizio dell’alto Medioevo siamo costretti a formulare una prima dichiarazione di impotenza. La fase compresa tra seconda metà del VII secolo d.C. e IX secolo d.C. corrisponde, in base ai dati archeologici rintracciati, a un pressoché totale vuoto insediativo. Il numero complessivo dei rinvenimenti è costituito da un unico sito, nel quale abbiamo individuato in tre aree distinte, frammenti di ceramica che trovano confronti con materiali provenienti da contesti stratigrafici dell’Italia centro meridionale e settentrionale 330. La mancata possibilità di comprendere questa fase costituisce sicuramente uno tra i maggiori limiti del nostro lavoro. È però il caso di ricordare che questo risultato non costituisce un’eccezione 331. Il panorama dei rinvenimenti riferibili all’età altomedievale nelle indagini di superficie si presenta regolarmente frammentario, costituito da pochi elementi mai sufficienti per l’elaborazione di solidi ed esaustivi modelli insediativi e socio-economici. Queste considerazioni permettono, diversamente da quanto sostenuto, sia per l’età classica, sia 328 VALENTI, 1995a, p. 405. 329 VALENTI, 1999, p. 318-322. Numerosi sono i casi a sostegno di questa ipotesi. Una situazione particolarmente significativa è stata rintracciata recentemente nel vicino territorio di Montalcino in località San Pietro ad Asso, monastero attestato dalla metà del VII secolo d.C. In corrispondenza dell’area in cui sorgeva il monastero le ricognizioni di superficie hanno messo in evidenza una ingente quantità di materiali riferibili al VI-inizi VII secolo d.C. distribuiti su un’ampia superficie. Negli spazi circostanti si registra l’abbandono delle abitazioni sparse di V-VI secolo d.C.; CAMPANA, 2002 c.s. Altro caso è in località Ripa (Versilia) dove rinvenimenti occasionali lasciano ipotizzare un nucleo insediativo in vita sin dal VII secolo; VALENTI, 1996b, p. 99; PARIBENI ROVAI, 1995. Ulteriori esempi sono Il Catellaccio di Strettoia (Pietrasanta) e forse il caso di Poggio Cavolo; VALENTI, 1999, p. 321, n. 158. 330 Cfr. Schedario Topografico, F. 120 II n. 73. Le forme rintracciate sono in particolare olle, caratterizzate da bordo estroflesso svasato e superiormente appiattito (o concavo), attacco con la parete in curva continua, spalla più o meno rialzata e arrotondata oppure da bordo nastriforme con spigolo inferiore più o meno pronunciato, orlo arrotondato; cfr. cap. VII, 2, tav. XXXI, n. 1, tav. XXXV, nn. 3, 8. Le forme aperte, presentano un’unica soluzione nella ciotola-coperchio del tipo con bordo introflesso a sezione triangolare; cfr. cap. VII, 2, tav. XXXIX, n. 5. CASTAGNA-SPAGNOL, 1996, p. 85, tipo 6b (tav. I, n. 13); BROGIOLO-GELICHI, 1986, p. 298, tav. III, n. 7; SPAGNOL, 1996, p. 72, tipo 1 (tav. I, n. 1); OLCESE, 1993, 42-99; STAFFA, 1991, p. 321, tav. 77, n. 177. 331 Per un inquadramento generale del problema: cfr. VALENTI, 1996b, pp. 81-83; VALENTI, 1999, pp. 49-53. Nella provincia di Siena risultati molto simili ai nostri sono stati ottenuti nelle seguenti ricognizioni di superficie: VALENTI, 1987-1988, pp. 380-427; CUCINI, 1990, pp. 259-262; CAMBI et alii, 1994, pp. 203-210; SAFFIOTI, 1994-1995, pp. 22-48; NARDINI, 1994-1995, pp. 265-280; VALENTI, 1995a, pp. 405-408; VALENTI, 1999, pp. 322-332. VALENTI, 1995a, p. 402. 323 VALENTI in CAMBI et alii, 1994, p. 202; per un approccio storico al problema si veda: WICKHAM, 1988, pp. 105-124; WICKHAM, 1997. 324 FRANCOVICH, 1985. 325 VALENTI, 1996c; VALENTI, 1999, p. 321. 326 In relazione a questo fenomeno: cfr. paragrafo successivo e VALENTI in CAMBI et alii, 1994, p. 203; VALENTI, 1995a, pp. 404-405; VALENTI, 1999, pp. 318-322. 327 Non abbiamo rintracciato alcuna evidenza archeologica riferibile a questa categoria e il più vicino edificio a carattere religioso è situato a più di 1 Km di distanza ed è attestato solo a partire dal 1234: cfr. Schedario Topografico, F. 120 II n. 26. La Pieve di Coppiano (1130) si trova a circa 2 km in direzione est-nord-est: cfr. Schedario Topografico, F. 120 II nn. 41, 163. 306 muni sono rintracciabili nella preferenza delle parti più elevate di rilievi naturalmente protetti, posti a dominio della Val di Merse, a quota media di 248 m s.l.m. e distanza ideale dal bacino idrico d’approvvigionamento di 410 m. La scelta delle caratteristiche geologiche dei suoli sembra essere rivolta esclusivamente al gruppo neogenico 339. Se l’insediamento predilige posizioni sopraelevate, il paesaggio intorno al quale i centri insediativi gravitano è quello della bassa Val di Merse, la più ampia area pianeggiante della provincia dopo la Val di Chiana senese. Un’area caratterizzata da terreni pesanti e strati alluvionali recenti di notevole valore umifero. Morfologia e pedologia consentono di coltivare tramite l’uso del semplice aratro contadino senza dover ricorrere a tiri da coltivazione più vigorosi. Potenzialmente una vasta riserva cerealicola delimitata a nord dal capoluogo della signoria, il monastero di Sant’Eugenio e a sud dalle strutture pertinenti alla curtis e alla cuticella. Caratteristiche assolutamente compatibili con il modello di azienda curtense di tipo ‘classico’ del Toubert (Fig. 35) 340. Le caratteristiche degli spazi occupati dagli insediamenti della carta dotis sono tutte puntualmente rintracciabili nel sito di Poggio Castello, unico contesto archeologico con materiali riferibili a questa fase 341. Il basso numero di reperti e le note peculiarità del sito non permettono di fornire una interpretazione precisa sul tipo di deposito 342. Unico indizio è il ritrovamento dei reperti in tre unità topografiche con distanza media di 93 m, che delimitano uno spazio ideale di 4.200 mq 343. Questa distribuzione di reperti è da attribuire molto probabilmente a una frequentazione per nuclei e non da ricondurre a un’unica struttura. Oltre a queste considerazioni possiamo solo costatare la continuità insediativa senza conoscerne le forme. Senza volere giungere a conclusioni affrettate, intendiamo porre l’attenzione sul destino comune dei maggiori agglomerati ricordati nella donazione e il sito di Poggio Castello. Tutti daranno origine a insediamenti di una certa consistenza. La curticella in località Le Stine Alte (comune di Monteroni d’Arbia) 344, i nuclei accentrati situati nelle località di Orgia 345 e Monte Capraia 346 (comune di Sovicille) 347 e Poggio Castello subirono tutti tra X e XI secolo il processo di incastellamento. In corrispondenza per la fase tardo repubblicana, di non ritenere direttamente proporzionale la corrispondenza tra quantità di evidenze censite durante il survey e tasso di frequentazione del territorio. Non accettando questo presupposto si rischia di proporre un falso vuoto insediativo. Lo strumento più significativo, unico documento noto, è la donazione del castaldio senese Varnefredo al monastero di Sant’Eugenio dell’anno 730 332. Si tratta di una carta di estremo interesse, tra le prime ad attestare la diffusione nel territorio senese di un paesaggio per casalia. Di tale strumento non possiamo però ignorare alcuni limiti. È un documento isolato che permette di ricostruire solo una parte delle realtà insediative, pertinente a una zona periferica e ristretta del nostro territorio (bassa Val di Merse) in un istante preciso dell’età longobarda. L’assenza di ulteriore documentazione impedisce di osservare ciò che più ci interessa, le trasformazioni diacroniche intercorse tra fine VI-inizi VII secolo d.C., anno 730 e il successivo sviluppo, che possiamo solo ipotizzare. Integrando gli elementi in nostro possesso (documento di Varnefredo, dato archeologico, conoscenza dell’evoluzione territoriale fino agli inizi del VII secolo d.C.) possiamo solo aggiungere alcune considerazioni a quanto esposto in fase di impostazione della ricerca. Dal punto di vista delle vicende insediative l’elemento di maggior rilievo rimane la presenza, nella prima metà dell’VIII secolo, di organizzazioni di tipo curtense riconducibili a due tipologie definite, curte e curticella 333. Entrambe sono caratterizzate da un centro amministrativo detto casalia, in questo caso da ricondurre alla forma insediativa aperta e accentrata 334. I centri dominanti sono costituiti dalla casa del dipendente del gastaldo e da un numero imprecisato di abitazioni di servi, aldii e massari. Nel caso della curte si segnala la presenza di una chiesa in costruzione 335. Centro propulsore del nuovo sistema insediativo è un ente monastico di fondazione signorile. Ai centri amministrativi fanno capo agglomerati dipendenti (sempre di tipo aperto), formati da un minimo di due a un massimo di otto strutture abitative. In un solo caso è attestata la tipologia della casa sparsa da considerare scelta marginale a fini di dissodamento 336. Sembra quindi che il fenomeno di accentramento, attestato nel nostro territorio a partire dalla fine del VI-inizi VII secolo, si possa considerare concluso nella prima metà dell’VIII secolo 337. Gli spazi di localizzazione privilegiati, sulla base degli undici siti di cui è stato possibile rintracciare l’ubicazione (Fig. 35), sono situati nella parte nord occidentale dell’unità paesaggistica 3 e nella zona centro settentrionale dell’habitat 4 338. Caratteristiche co- Unica eccezione rispetto al quadro descritto è costituita dalla abitazione isolata situata su terreno con morfologia pianeggiante a quota molto bassa (180 m slm.) in prossimità di suoli alluvionali; costante è la vicinanza a corsi d’acqua di medio-alta portata. Non bisogna però dimenticare che la forma di occupazione dello spazio tipo casa sparsa rientra in un rango insediativo del tutto diverso dal tipo agglomerato e di conseguenza è più corretto analizzarli separatamente discutendo differenze e analogie in fase di sintesi: per l’approfondimento del concetto di rango dimensionale cfr. MACCHI, 1996-1997. 340 TOUBERT, 1995, pp. 164-166. In realtà la precocità con cui sono attestate le curtes di Taurisiano e di Le Feriano-Stine Alte dovrebbe indurci a parlare piuttosto di tipologia “precurtense” che di tipologia “curtense”; ANDREOLLI-MONTANARI, 1983, pp. 51-54. 341 Cfr. presente capitolo, paragrafo precedente (4.1) e Schedario Topografico, F. 120 II n. 73.1, 73.4, 73.8. 342 In questo caso ci riferiamo in modo particolare all’intensa plurifrequentazione del sito che impedisce di applicare la procedura standard nel riconoscimento delle UT, diminuendo sensibilmente il potenziale informativo dell’indagine. Cfr. Schedario Topografico, F. 120 II n. 73. 343 I materiali sono da riferire all’UT 1, 4 e 8. Distanza massima tra UT 1 e 4 è 80 m, la minima 40. Distanza massima tra UT 4 e 8 è 100 m, minima 60 m. 344 CAMMAROSANO-PASSERI, 1985, p. 341. Distante solo 1.600 m dalla curte di Bagnaia. 345 CAMMAROSANO-PASSERI, 1985, p. 388. 346 CAMMAROSANO-PASSERI, 1985, p. 389. 347 Distanti dai limiti amministrativi del comune di Murlo rispettivamente 1.800 m e 790 m. 339 CDL, pp. 163-171; per ulteriori riferimenti bibliografici: cfr. cap. IV, 1 e Schedario Topografico, F. 120 I nn. 18, 22. 333 Corrispondono alla “curte in casali Taurisiano” (Bagnaia) e alla “curticella in casali Feriano” presso Le Stine Alte: “casali qui nominatur Feriano, prope Monte Listine”. Per l’identificazione del “casali Taurisiano” con la località Bagnaia: cfr. GINATEMPO-GIORGI, 1996, pp. 7-52; GIORGI, 1997, p. 123 334 GIORGI, 1997, p. 123; GINATEMPO-GIORGI, 1996, p. 23. Cfr. cap. III, 1. 335 “Ad ubi ego Uarnefred castaldius una uobiscum rectori et monachi sancti Eugenii in Christi nomine edificare debeamus ecclesia beatissimorum martyrum et confessorum Anastasii, Felicis et Ilarii”. 336 GIORGI, 1997, p. 123. Una situazione analoga è rintracciabile nel Chianti senese. CAMBI et alii, 1994, p. 213. L’abitazione situata secondo la carta in località “Occiano uel Cerreto” è molto probabilmente identificabile con Cerreto a Merse: cfr. CDL, p. 168; CAMMAROSANO, 1981, p. 255; SAFFIOTI, 1993-1994, fig. 6. 337 VALENTI, 1999, p. 324. 338 Solo quattro di essi si trovano entro i confini comunali di Murlo: cfr. cap. III. I restanti sette siti sono compresi tra San Lorenzo a Merse, Orgia e Le Stine Alte; il sito più distante dai limiti amministrativi del comune di Murlo non supera 2 km. 332 307 Fig. 35. Alto Medioevo laborazione del modello socio-economico soffre delle medesime problematiche rilevate per la definizione dell’organizzazione spaziale. Unico strumento utile a fornire uno spaccato dei rapporti sociali ed economici è ancora la donazione di Varnefredo (di cui già conosciamo i limiti) 355. La struttura sociale della popolazione residente nelle due aziende agricole risulta essere piuttosto articolata. I centri curtensi sono amministrati tramite gestione diretta da soggetti detti actores 356. Il personaggio associato alla curtis di Bagnaia, definito noster 357, percepisce un compenso per occuparsi delle pertinenze della corte 358. Possiamo concludere che l’azienda di Bagnaia è amministrata da un dipendente libero. L’actor della corticella di Feriano-Le Stine Alte, dipendente del gastaldo (anche in questo caso definito noster), svolge le medesime mansioni dell’actor di Bagnaia, ma il documento non riferisce di alcun compenso, forse in relazione alla sua condizione servile 359. La manodopera presente in entrambi i centri aziendali sembra essere prevalentemente servile o semi-libera (casa servula et aldiariticia). I casalia distribuiti nel territorio sono abitati da individui genericamente definiti massarii, di cui non conosciamo la condizione giuridica. della curte Taurisiano e della chiesa di Sant’Anastasio 348 si svilupperà la villa di Bagnaia. Riguardo al resto del territorio habitat 1, 2 e parte centrale del 3 per tutta la durata della fase in esame non abbiamo alcuna prova materiale o altra informazione. Possiamo solo fare alcune riflessioni ipotetiche in riferimento alle tendenze note in altri territori. Abbiamo accennato, durante l’analisi della fase precedente, che nel territorio senese la prima riorganizzazione delle campagne (seconda metà VII secolo d.C.), sembra da relazionare a un modello insediativo e socio-economico dove l’edificio religioso svolge un ruolo decisivo. Questo costituisce il polo di aggregazione della popolazione rurale (fenomeno particolarmente chiaro in ambito chiantigiano) 349, al quale, successivamente, si affiancano iniziative di carattere laicosignorile (fine VII-inizi VIII secolo). Con ciò intendiamo portare l’attenzione sulla presenza, verso la metà del VI secolo d.C., di tre abitazioni 350, tutte estremamente vicine (nell’ordine di 300 m) a località che successivamente verranno indicate come sedi plebane. Nel caso della pieve di Santa Cecilia a Crevole (habitat 2) Maroni la inserisce tra le pievi paleocristiane 351, per le pievi di Coppiano 352 e San Giusto 353 (habitat 3) non abbiamo notizie prima del XII secolo. Non possiamo escludere che nelle zone interne del nostro territorio gli edifici religiosi abbiano svolto durante i primi secoli dell’alto Medioevo quel ruolo di coagulo dell’insediamento ben attestato in altre zone del senese e della Toscana 354. L’e- Cfr. supra. L’actor Cicimari risiede presso “Taurisiano” (Bagnaia), mentre l’actor Teude a “Feriano” (Le Stine Alte). La figura dell’actor è spesso presente all’interno di una curtis; la su condizione può essere libera o servile, i suoi compiti sono vari e talvolta viene pagato per i servizi resi. Un documento databile al 757, relativo al monastero di Farfa, permette di conoscere alcuni dei compiti che gli sono assegnati: egli promette infatti di esigere le justitiae (contributi dei coloni), di perseguitare in giudizio gli usurpatori dei diritti padronali e fare tutto senza frode. Non ci sono notizie precise riguardo alle modalità di pagamento. Da non escludere che il padrone del fondo concedesse all’actor l’usufrutto dei beni, in cambio dei suoi servizi. LEICHT, 1964, p. 32. 357 CDL, pp. 166-167. 358 “De nostra propria pecunia”; CDL, p. 166. 359 “Qui et ipsa curticella excolere et regere uidetur...”; CDL, p. 167. 355 356 Cfr. Schedario Topografico, F. 120 I n. 18. VALENTI, 1995a, pp. 404-405. 350 Cfr. Schedario Topografico, F. 120 II n. 66.1, 165.1.; F 120 I, n. 76.1. 351 MARONI, 1990, p. 218. Attestata con certezza solo dal 1189: cfr. Schedario Topografico, F. 120 I n. 10. 352 Cfr. Schedario Topografico, F. 120 II n. 41. 353 Cfr. Schedario Topografico, F. 120 II n. 34. 354 CAMBI et alii, 1994, pp. 203-210; VALENTI, 1995a, pp. 404-406. 348 349 308 Di estremo interesse è la possibilità di osservare una distribuzione dei compiti capillare e specializzata. L’allevamento di un branco di cavalli, bestiame e pecore è curata da due fiduciari (amissarius Apicio, actor Autfridi) 360, dai quali dipendevano altrettanti pastores mentre una mandria di maiali è affidata alle cure di un’intera famiglia 361. In quest’ultimo caso si tratta probabilmente di personale itinerante, Varnefredo infatti specifica di essere tenuto a collocare il bestiame “in superscripte curtis [sic] ubi nobis placuerit” 362. Sembra quindi verificabile, già durante la prima metà del VIII secolo d.C., un fenomeno di divisione tra attività agricola e attività silvo-pastorale, molto probabilmente da relazionare a una strategia economica, tesa a ottenere il massimo rendimento in entrambi i settori 363. Fig. 36. Tipologie di emergenze Secoli centrali del Medioevo: X-XII secolo d.C. (attestazioni documentarie 22; rinvenimenti inediti 15; resa archeologica 48%) Complessivamente l’informazione archeologica è riconducibile a quattro categorie interpretative: casa di terra, frequentazione, castello, sporadico (Fig. 36). – Casa di terra: tutte le strutture sono situate negli spazi immediatamente circostanti Poggio Castello 369. I materiali edilizi non consentono di rilevare alcuna differenza rispetto alle strutture, segnalate con la medesima definizione di periodi precedenti. La tradizione delle costruzioni con materiali leggeri (terra e/o altro) e copertura laterizia, secondo gli indicatori di superficie, sembra perdurare inalterata dall’età etrusca sino ai secoli centrali del Medioevo 370. Le dimensioni delle concentrazioni continuano invece a variare. L’area superficiale di spargimento dei reperti ha dimensioni medie pari a 33,224,8 m; la zona di massima concentrazione (sempre di forma rettangolare) misura mediamente di 9,46,8 m, con massimi di 118 m 371 e minimi di 75 m 372. Tra i materiali rinvenuti (oltre alla costante presenza di laterizio da copertura e ceramica acroma) segnaliamo alcune pareti in terracotta e un bordo di crogiolo da vetro 373, un piccolo frammento di vetro decorato 374, scorie di forgia 375 e scarti di fornace 376. I valori medio-massimo e medio-minimo di reperti per metro quadrato sono piuttosto elevati 20 e 12 377. Come avevamo ipotizzato in sede di impostazione, l’indagine di superficie non ha restituito elementi in grado di portare variazioni sostanziali al modello insediativo dedotto dalle fonti scritte 364. La scarsa resa archeologica, in totale ventuno unità topografiche, necessita spiegazioni. Complessivamente la ricerca estensiva non indirizzata ha permesso di individuare solo un off-site 365. Per superare queste difficoltà abbiamo dedicato ampio spazio a sopralluoghi mirati in corrispondenza di siti attestati nelle fonti documentarie e dalle anomalie emerse dall’analisi dei dati telerilevati 366. La verifica delle anomalie ha restituito due sole evidenze positive 367. L’indagine su siti noti è stata fortemente condizionata da due fattori, visibilità e possibilità di intervento, direttamente connessi al tipo di uso del suolo 368. Ciononostante ha dato buoni risultati. “iumentas uero turma una de amissario illo qui Apicio appellatur, una cum iumentas illas da Umbrone habet maiores et minores, sunt insimul capita triginta tres, cum pastore suo. caualli uero masculi, de ***, de uaccas una cum tauri iuvenci, capita triginta quinque. turmas uero de peculio una , qui est de sub manu Autfridi actori nostro, una cum pastore suo”. CDL, pp. 168-169. 361 “Similiter et turma una de porcos que custodire debent Mindilo filio Godiosuli cum filio suo Raculo et alio filio [suo] Ursulo”. CDL, p. 169. 362 GIORGI, 1997, p. 125. Ben nota è l’importanza della figura del porcaro, nell’economia longobarda: cfr. ANDREOLLI, MONTANARI, 1983, pp. 47-48; FUMAGALLI, 1976, p. 27. 363 Una situazione analoga è stata evidenziata con chiarezza nel territorio chiantigiano e nella Val d’Elsa per il IX secolo d.C.: cfr. VALENTI, 1987-88, pp. 380-424; VALENTI, 1999, p. 331. 364 Cfr. cap. III, 5. 365 Schedario Topografico, F. 120 II n. 94.1. La pressoché totale assenza di tracce di frequentazione negli spazi di localizzazione maggiormente sfruttati durante l’antichità emerge sempre più chiaramente nelle indagini di superficie. Sulle difficoltà di individuare il Medioevo da ricognizione si veda VALENTI, 1999, pp. 49-53. 366 Cfr. cap. IV, 1. 367 Schedario Topografico, F. 120 II nn. 79, 82. 368 Nelle aree urbanizzate (16 attestazioni in 11 località, Casciano di Murlo, Resi, Crevole, Murlo, San Giusto, Campriano, Vallerano, Frontignano, Bagnaia, Pieve a Carli, Montepescini), il totale azzeramento della visibilità (in superficie e in elevato) e l’impossibilità di praticare showel test, hanno irrimediabilmente compromesso la possibilità di ottenere risultati significativi. Nelle zone con copertura boschiva permanente (6 attestazioni in cinque località, Montorgiali, Macereto, podere La Pieve, Conventaccio e Poggio ConventaccioRocca Gonfienti), caratterizzate da un grado di visibilità molto basso ma non nullo, la procedura di perlustrare capillarmente il terreno ha dato buoni risultati (13 unità topografiche). In alcuni casi siamo stati fortemente avvantaggiati dalla presenza, nelle immediate vicinanze del sito indagato, di aree destinate a seminativo o colture stabili. Schedario Topografico, F. 120 II nn. 73.2, 73.4, 73.5, 73.7, 73.8, 73.9, 75.1, 79.6, 82.1, 113.2, 113.3, 117.5, 117.6. L’azione diretta sul sottosuolo tramite showel test è invece risultata positiva in un unica occasione; il motivo di un esito tanto sco360 raggiante è da identificare nella regolare presenza di spessi strati di crollo che coprono eventuali stratificazioni più antiche. Tutti i siti esplorati, con un’unica eccezione (Schedario Topografico, F. 120 II n. 79.1.), sono caratterizzati da pesanti interventi basso e tardo medievali. Su 16 showel test praticati è stato necessario, per raggiungere la superficie superiore dei livelli medievali, scavare in media 1,5 m sotto il suolo di campagna. Oltre al notevole dispendio di tempo, necessario per praticare showel test di queste dimensioni, superata la profondità di 1,5-1,7 m (considerati i mezzi a nostra disposizione) insorgono insuperabili difficoltà tecniche. Non è casuale, che l’unica situazione in cui lo showel test ha avuto successo, corrisponda all’emergenza situata in località Monte Ambrogio, già sicuramente abbandonata verso la metà XV secolo (crollo spesso ca. 0.80 m, seguito da strato di vita con ceramiche databili tra X-XIII secolo). PASSERI, 1995, pp. 67; Schedario Topografico, F. 120 II n. 79. 369 Cfr. Schedario Topografico, F. 120 II n. 75.1, 113.2, 113.3, 113.4, 117.5, 117.6, 168.1, 168.2, 168.3, 168.4, 168.5, 168.6. 370 Ricordiamo che, sebbene non riferita al nostro territorio ma relativa ad altre zone della Toscana, la documentazione scritta di questo periodo riporta definizioni del tipo domus terrena o domus terragna. FRANCOVICH-GELICHI-PARENTI, 1980, pp. 173-246; PINTO, 1982, pp. 225-246. 371 Cfr. Schedario Topografico, F. 120 II n. 117.6. 372 Cfr. Schedario Topografico, F. 120 II n. 168.4. 373 Cfr. Schedario Topografico, F. 120 II nn. 75.1, 113.3 e Cfr. cap. VII, 2 e cap. VII, 5. 374 Cfr. Schedario Topografico, F. 120 II n. 75.1 e Cfr. cap. VII, 2 e cap. VII, 5. 375 Cfr. Schedario Topografico, F. 120 II nn. 113.3, 117.5. 376 Cfr. Schedario Topografico, F. 120 II n. 117.5. 377 In realtà se escludiamo il sito F. 120 II n. 75.2, che presenta una media di 40 reperti per mq, i valori medi calcolati sulle rimanenti quattro evidenze si allineano alle rilevazioni dei periodi precedenti: 12.5 e 7.5. 309 Quando abbiamo accennato ai presupposti necessari per la gestione dell’intero ciclo, intendiamo fare riferimento all’elemento signorile già attestato nelle fonti documentarie 388. Materialmente la presenza signorile è rivelata (oltre che dal cassero a diretto contatto con il sito 73 389), dalla capacità di coniugare notevoli investimenti, se non per l’estrazione quantomeno per il trasporto del minerale grezzo, per le capacità di controllo sull’attività produttiva e per le conoscenze tecniche per lo svolgimento delle diverse fasi di lavorazione. I materiali rinvenuti nelle altre cinque unità topografiche del sito F.120, n. 73 sono da riferire molto probabilmente a un numero non identificabile di strutture abitative (ipoteticamente cinque) con elevati di terra o altri materiali deperibili e copertura laterizia 390. In località Pompana, in seguito a segnalazione da foto aerea, abbiamo eseguito una verifica che ha permesso di riconoscere, materiali ceramici e laterizio da copertura distribuiti sporadicamente su un’ampia superficie della sommità collinare; gli showel test praticati hanno dato esito negativo. In questo caso non siamo in grado di avanzare alcuna ipotesi sul genere (forme e consistenza) della frequentazione 391. – castello: analisi dei dati telerilevati e letteratura edita hanno indicato la località di Monte Ambrogio come area ad alto potenziale archeologico. Il sito corrisponde all’area sommitale di una collina completamente ricoperta da vegetazione stabile. In quest’area è riconoscibile uno spazio di forma ellittica ulteriormente sopraelevato e spianato, delimitato da resti di una fondazione da relazionare a una cinta muraria o più probabilmente alla parete esterna di un edificio. L’intera superficie è ricoperta da considerevoli quantità di pietre e laterizio da copertura. In questa zona abbiamo praticato sei showel test che hanno regolarmente restituito, superata la profondità di 0.80 m, numerosi reperti ceramici in pessime condizioni di conservazione. In due soli casi è stato possibile recuperare materiali databili con precisione 392. Le ricognizioni della sommità collinare e del versante meridionale hanno restituito reperti in quantità ragguardevoli (fittissima la presenza di pietra e laterizio da copertura), tutti, a esclusione di alcuni bordi d’olla, di difficile collocazione cronologica 393 (Fig. 37). Gli elementi in nostro possesso sembrano indicare (in accordo con la definizione di castellare attribuita a ruderi segnalati in questo luogo nella rubrica dell’Estimo di Montepertuso del 1466) 394, l’esistenza di un insediamento di cui è ben riconoscibile la parte più elevata, caratterizzata dalla presenza di almeno un edifico in pietra (forse una torre). La presenza di ceramica e materiali edilizi nel resto della collina possono essere riferiti a un piccolo borgo. Nonostante il basso numero di evidenze proponiamo alcune osservazioni sulle caratteristiche della cultura materiale dei depositi 395. I cor- – Frequentazione: da relazionare a questa voce contiamo 10 unità topografiche riconducibili a due siti 378. Il primo è stato ampiamente trattato nei paragrafi precedenti 379. Sappiamo essere un seminativo mai lavorato in profondità, connotato da intensa plurifrequentazione, corrispondente a un’unica grande concentrazione con elevato tasso di reperti per metro quadrato. In sei dei dieci transetti abbiamo riconosciuto materiali riferibili alla fase in esame 380. Le più consistenti tracce di frequentazione dell’area sono da attribuire ai secoli centrali 381. A differenza dei periodi precedenti è possibile osservare l’esistenza di un elemento distintivo caratterizzante le UT 8 e 9. In entrambe le unità topografiche sono presenti ingenti quantità di scorie (101). Lo studio in laboratorio (campionatura autoptica, difrattometria delle polveri su 6 campioni e in due casi osservazione tramite S.E.M.) ha permesso di stabilire che 66 sono da assimilare allo stadio di riduzione del minerale, 44 alla fase di forgiatura e una è relativa a fondo di forgia 382. Segnaliamo infine il rinvenimento di due frammenti di ematite 383. Sembra quindi possibile ipotizzare nell’area compresa tra UT 8 e 9 lo svolgimento dell’intero ciclo produttivo del ferro, da riferire molto probabilmente ai secoli centrali del Medioevo. L’attribuzione alla fase cronologica considerata si basa sulla netta prevalenza degli elementi databili e sui presupposti indispensabili al coordinamento dell’intero ciclo produttivo. I transetti 8 e 9 hanno restituito reperti pertinenti, oltre alla fase in esame, ai periodi prima età imperiale, tarda antichità e alto Medioevo. Il rapporto quantitativo tra materiali ascrivibili ai secoli centrali e agli altri periodi è di 14 a 1 (il doppio rispetto a quanto calcolato negli altri 5 transetti) 384. L’analisi dei periodi precedenti ha evidenziato con chiarezza la pratica, da parte delle popolazioni locali, di attività siderurgiche, sempre finalizzate ad autoconsumo (con intensità variabile a dipendenza della fase storica di appartenenza). La caratteristica comune a tutte le fasi precedenti, dall’età ellenistica alla tarda antichità è l’esclusiva presenza di scorie di forgia. Le tracce di lavorazione metallurgica, individuate a Poggio Castello nei transetti 8 e 9 sono probabilmente da ricondurre ad autoconsumo, con una sostanziale differenza rispetto al passato. In questa fase l’indagine attesta la presenza, oltre a scorie di forgia, di scorie di riduzione e di parti di ematite, minerale inesistente nel territorio di Murlo. Le più vicine aree di approvvigionamento di ematite sono situate nei dintorni di Boccheggiano (Montieri) 385, Prata (Massa Marittima) 386 e Lucerena (Casole d’Elsa) 387, tutte località distanti almeno 25 km da Poggio Castello. Cfr. Schedario Topografico, F. 120 II 73, 109. Cfr. presente capitolo, paragrafi 2, 3, 4 e Schedario Topografico, F. 120 II n. 73. 380 Cfr. Schedario Topografico, F. 120 II nn. 73.2, 73.4, 73.5, 73.7, 73.8, 73.9. 381 In totale 1102 frammenti corrispondenti al 71% del totale dei materiali rinvenuti nel sito. 157.5 frammenti per transetto, un valore apparentemente non troppo elevato. È però necessario puntualizzare che di fronte a una così fitta concentrazione abbiamo proceduto in modo molto selettivo. 382 Cfr. cap. VII, 5. 383 Identificati dalla dottoressa Casini: cfr. cap. VII, 5. 384 Ulteriore argomento a favore dell’associazione delle scorie alla fase medievale è il ritrovamento del sito F. 120 II n. 168 situato a nord dal sito F. 120 II 73 e dal quale è separato da una strada a sterro. In quest’area abbiamo riconosciuto sei concentrazioni da attribuire ad altrettante abitazioni. A differenza del sito 73, le concentrazioni non sono affette dal rumore generato dalla plurifrequentazione. Tutti i reperti datati sono riferibili a un arco cronologico compreso tra il X e il XIII secolo. Nelle UT 1, 2 e 4 sono state raccolte complessivamente 87 scorie di lavorazione del ferro. 385 Inventario, 1995, n. 71, pp. 125 -126. 386 Inventario, 1995, n. 57, pp. 105 -106. 387 Inventario, 1995, n. 84, pp. 144 -145. In tutti i casi riportati la coltivazione di minerali, almeno per l ‘età medievale, è ben attestata. 378 379 388 Sia il vescovo di Siena sia gli Ardengheschi vantavano diritti su Poggio Castello (Montepescini); l’argomento verrà trattato successivamente. 389 Cfr. Schedario Topografico, F. 120 II n. 35. 390 Per le caratteristiche distintive dei laterizi di età medievale: cfr. cap. VII, 3. 391 Cfr. Schedario Topografico, F. 120 II n. 82.1. 392 Cfr. Schedario Topografico, F. 120 II n. 79.1, 79.6; cap. VII, 2, tav. XL, nn. 1012; tav. XLI, n. 2; tav. XLII, n. 2. Proponiamo i seguenti confronti: BROGIOLO-GELICHI, 1986, p. 302, tav. V, n. 1 (IX-X secolo d.C.); CIAMPOLTRINI, 1992, tav. 31, n. 4 (primi decenni dell’XI secolo-fine XIII secolo d.C.); PANTÒ, 1996, tav. 24, n. 17 (X secolo d.C.); BRUNI, 1993, p. 433, MFAC, n. 18 (X-inizi XI secolo d.C.); NEGRO PONZI MANCINI, 1996, TAV. 3, n. 20 (fine X-XIII secolo d.C.). 393 Cfr. Schedario Topografico, F. 120 II n. 79.7; cap. VII, 2, tav. XL, n. 11; tav. XLII, n. 2. Proponiamo i seguenti confronti: BROGIOLO-GELICHI, 1986, p. 302, tav. V, n. 1 (IX-X secolo d.C.); CIAMPOLTRINI, 1992, tav. 31, n. 4 (primi decenni dell’XI secolofine XIII secolo d.C.); BRUNI, 1993, p. 433, MFAC, n. 23 (X-inizi XI secolo d.C.). 394 PASSERI, 1995, pp. 67. 395 In considerazione del buon numero di reperti associati alle unità topografiche. Pre- 310 Il caso di Poggio Castello rappresenta la situazione maggiormente significativa e ricca di spunti. Affrontare la discussione su questo sito, significa prendere da subito contatto con il fenomeno dell’incastellamento, problematica di ampio respiro che riveste un significato particolare per il nostro territorio. La forma-castrum l’unica soluzione insediativa che le attestazioni documentarie permettono di osservare 399. È quindi di primaria importanza chiarire come e quando sia avvenuto il processo di inquadramento della società rurale entro strutture di tipo castrense. Anche se in modo non del tutto esauriente, la documentazione archeologica emersa in corrispondenza di Poggio Castello permette di cogliere una precisa linea di sviluppo del fenomeno. Nel 1055 il diploma di Enrico III conferma alla chiesa senese tutti i beni fino allora acquisiti, tra cui troviamo una parte del “castellum de Monte Piscini” 400. Attualmente il toponimo Montepescini corrisponde a una piccola località situata a meno di 800 m in direzione nordest da Poggio Castello. L’Estimo del 1318 riferisce, nei pressi dell’odierno insediamento di Montepescini (definito esplicitamente nel documento “Castelnuovo” e “castrum muratum”) 401, la registrazione di alcuni beni “in loco dicto Castelvecchio” 402. Ricordiamo che sulla sommità di Poggio Castello sono state rinvenute evidenti tracce della presenza signorile: fortificazione dell’intera area, rasature di edifici in pietra e una cisterna. Un indizio, di come possa essere avvenuto il passaggio da Poggio Castello a Montepescini, è rintracciabile in un documento del 1179, relativo a un accordo di pace stipulato tra Ardengheschi e Comune di Siena. In esso il gruppo aristocratico si riserva la facoltà di ricostruire il castello nel caso venisse distrutto 403. Nel giugno del 1202, nell’atto di sottomissione delle terre ardenghesche al Comune di Siena, troviamo menzionato il castello di Montepescini e la circoscrizione curtense di cui era centro senza alcun riferiemento a spostamenti della sede castrense 404. Nel 1266, in un atto di vendita di terreni è attestata la presenza di un “Castelnuovo” 405. Dal 1055 fino agli inizi del XIII secolo riteniamo proponibile identificare l’ubicazione del “castellum de Monte Piscini” con la località Poggio Castello. La distruzione e la ricostruzione del “Castelnuovo” deve essere avvenuta tra il 1202 e il 1266. Fatta questa precisazione riassumiamo i punti salienti della documentazione archeologica relativa ai siti localizzati immediatamente a ridosso del Poggio (Fig. 38). Tra fine VI-inizi VII secolo d.C., a ridosso del poggio sul quale sorgerà il cassero, abbiamo riconosciuto la presenza di un agglomerato, che mostra continuità insediativa durante la piena età altomedievale 406. I medesimi spazi hanno restituito una buona quantità di ceramiche databili tra fine IX-inizi XI secolo, attestando continuità e rivitalizzazione del centro insediativo tra la fine dell’alto Medioevo e il principio dei secoli centrali 407. Ricognizione di superficie e showel Fig. 37. Quantificazione delle forme ceramiche redi ceramici mostrano l’esclusiva presenza di due classi, acroma grezza e depurata. In particolare la ceramica depurata è attestata con valori molto più bassi rispetto al vasellame da cucina (rispettivamente 12%, 88%). Il panorama delle forme riconosciute è limitato a cinque, due chiuse (olla, boccale) e tre aperte (testo, tegame, ciotola-coperchio). Il quadro delle forme chiuse è nettamente dominato dall’olla, per la quale è possibile riconoscere una diffusa e marcata semplificazione del grado di elaborazione formale. Tra i gruppi meglio attestati troviamo esemplari con bordo fortemente estroflesso (più o meno rettilineo), labbro arrotondato o appiattito, più raramente con collo distinto 396 oppure con lungo bordo svasato, arrotondato esternamente e spigolo interno vivo 397. Tra le forme aperte, oltre alla ciotola-coperchio (presenza modesta ma pressoché costante in tutte le fasi considerate), troviamo in grande quantità il testo e il tegame. Queste forme datate sempre per associazione sono morfologicamente indistinguibili dagli esemplari riconosciuti nei contesti bassomedievali 398. Il profilo della cultura materiale, associata all’unico tipo di struttura insediativa, la casa di terra, restituisce l’immagine di un tenore di vita assolutamente omogeneo (totale è l’assenza di elementi di differenziazione). Abbiamo visto che le evidenze riconosciute sono da ricondurre complessivamente a cinque siti. Di questi, tre gravitano intorno a Poggio Castello mentre gli altri due sono situati nelle località Pompana e Monte Ambrogio. cisiamo che quanto segue rappresenta solo un campione ridotto della realtà materiale dei secoli centrali. 396 Cfr. cap. VII, 2, tav. XL n. 13, tav. XLI nn. 1-6, tav. XLI nn. 7-14, tav. XLIII nn. 1-5. Numerosi i contesti (soprattutto toscani e del nord Italia) in cui rintracciare confronti con questi materiali: FRANCOVICH-PARENTI, 1987, tav. XI, n. 18 (fine XI-primi decenni XII secolo d.C.); BROGIOLO-GELICHI, 1986, p. 302, tav. V, n. 1 (IX-X secolo d.C.); CIAMPOLTRINI, 1992, tav. 31, n. 4 (primi decenni dell’XI secolo-fine XIII secolo d.C.); BRUNI, 1993, p. 433, MFAC, n. 23 (X-inizi XI secolo d.C.); PANTÒ, 1996, tav. 24, n. 17 (X secolo d.C.); NEGRO PONZI MANCINI, 1996, tav. 3, n. 20 (fine XXIII secolo d.C.). 397 Cfr. cap. VII, 2, tav. XL nn. 1-3. Queste forme trovano confronti calzanti con materiali provenienti dal comprensorio chiantigiano (VALENTI, 1995a, tav. XCV, n. 1: IX-XIII secolo d.C.) e dallo scavo di Torcello (LECIEJWICZ, 1977, tav. 45, n. 1: IX-X secolo d.C.). Una variante interna al gruppo è riconoscibile nella forma con bordo svasato ingrossato a profilo obliquo leggermente arrotondato che trova ottimi confronti con esemplari individuati nel Chianti senese (VALENTI, 1995a, tav. XCII, nn. 2, 3: IX-X secolo d.C. o seconda metà X-inizi XI secolo d.C.): cfr. cap. VII, 2, tav. XL nn. 4-6, tav. XL nn. 7, 9. 398 Cfr. cap. VII, 2, tav. XLIV nn. 1-4, tav. XLIV n. 5, tav. XLIV n. 6, tav. XLIV nn. 5, 6, 8, tav. XLV n. 1, tav. XLV n. 5, tav. XLV nn. 6-8. Cfr. cap. III, 5. Le segnalazioni di pievi, chiese e fondi citate nei documenti non sono mai relazionabili a un preciso modello insediativo, ad esempio del tipo villaggio, nucleo intercalare più o meno accentrati o case sparsa. 400 PASSERI, 1995, pp. 72, 117-118; Cfr. Schedario Topografico, F. 120 II n. 25. 401 PASSERI, 1995, p. 73; Schedario Topografico, F. 120 II n. 25. 402 PASSERI, 1995, p. 73; Schedario Topografico, F. 120 II nn. 25, 31. 403 Caleffo Vecchio, n. 27, p. 40; 6 ottobre 1179: “excepto Montempiscini, quod si destructum fuerit valeam rehedificare”. 404 “Montempiscini cum curte sua”; cfr. Caleffo Vecchio, n. 78-79, p. 111, 117. 405 PASSERI, 1995, p. 73. 406 Schedario Topografico, F. 120 II 73.1, 73.4, 73.5, 73.6, 73.7, 73.8, 73.9, 75.2, 117.3. 407 Tutti gli spazi occupati nel corso della tarda antichità-inizi alto Medioevo risultano ancora frequentati nei secoli centrali. 399 311 m Rinvenimenti survey: Delimitazione area indagata Delimitazione delle aree di concentrazione Fig. 38. Distribuzione siti e relative unità topografiche del sito di Poggio Castello test non hanno dato risposte sulle trasformazioni insediative avvenute nella parte sommitale della Poggio 408. Indispensabile per rispondere a queste domande è l’indagine stratigrafica. Non siamo quindi in grado di riferire se l’insediamento sia nato sulla cima del poggio e si sia espanso occupando i versanti collinari o viceversa 409. Indipendentemente da questa problematica possiamo affermare nel caso di Poggio Castello-Montepescini, che il processo di incastellamento si sovrappone a una forma di aggregazione già accentrata, senza comportare trasformazioni della realtà insediativa circostante. È questo un modello ben noto in letteratura e piuttosto diffuso nella Toscana centro-settentrionale 410. Oltre al dato archeologico anche le fonti documentarie permettono di osservare per la prima fase di incastellamento (seconda metà XI secolo-prima metà del XII) in due casi su cinque 411, la fortificazione di centri preesistenti 412. La possibilità, in seguito ai risultati dell’indagine sul campo, di aggiungere a questi due casi la situazione emersa a Poggio Castello- Montepescini, da maggiore consistenza all’ipotesi di un processo generalizzato di fortificazione dei centri aperti, promosso da signori laici 413 ed ecclesiastici 414. Lo scopo della prima affermazione nel territorio della forma-castrum è quindi da ricercare nel consolidamento dei centri del potere signorile 415 che probabilmente, come nel caso del Chianti meridionale 416, nasce dall’esigenza di riaffermare la propria identità aristocratica 417. L’indagine sul campo non ha restituito dati utili alla lettura della seconda fase di incastellamento (fine XII secolo-inizi XIII secolo), osservabile esclusivamente tramite la documentazione scritta. Questa si svolge in un arco cronologico piuttosto ristretto, tra fine XII secolo-inizi XIII secolo e segna la definitiva affermazione nel nostro territorio del potere vescovile 418. A questa fase appartengono sei castelli: Montepertuso, Murlo, Resi, Crevole, Casciano, Montorgiali 419. Di questi solo Montepertuso è da mettere in relazione a iniziativa laica 420. Non si tratta degli Ardengheschi, ma di un gruppo eminente locale, i Lambardi di Montepertuso. 408 Ad esempio, non sappiamo se l’insediamento sia nato sulla cima del poggio e si sia espanso occupando i versanti collinari o viceversa. 409 Una questione molto difficile da affrontare che non trova risposte definitive neanche in situazioni caratterizzate da un livello di indagine nettamente superiore al nostro. FRANCOVICH-HODGES, 1990, pp. 15-38. 410 WICKHAM, 1990, pp. 79-102. 411 Montepescini (1055), Macereto (1102), Rocca Gonfienti (1130), Vallerano (1130) e Campriano (1151). 412 Campriano nel 1081 è genericamente citato tra i beni confermati da Enrico IV all’abbazia di Sant’Eugenio (PASSERI, 1995, p. 32); nel 1151 risulta essere tra i più importanti castelli della casata ardenghesca. SCHNEIDER, 1911, n. 199; Schedario Topografico, F. 120 I n. 6. L’importanza del castello è deducibile dal fatto che nel documento citato, il conte Ugolino degli Ardengheschi concede al vescovo Ranieri tutte le sue terre, castelli e villaggi, compresi tra fiume Ombrone e Montegrossi eccettuando il castello di Campriano. Vallerano, riportato nel 1055 tra i luoghi (toponimo senza apposizione) confermati da Enrico III alla chiesa senese, nel 1130 vien definito castello. PASSERI, 1995, pp. 72, 117-118; Schedario Topografico, F. 120 II n. 35. Campriano, cfr. Schedario Topografico, F. 120 I n. 6. Montepescini, Vallerano e Rocca Gonfienti, Cfr. Schedario Topografico, F. 120 II nn. 25-31, 35, 18. 415 Le forze che promuovono il fenomeno di incastellamento sono infatti già egemoni nella zona. 416 WICKHAM, 1990, pp. 79-102 417 WICKHAM, 1996, p. 364. 418 L’affermazione del vescovo nel territorio sembra avvenire essenzialmente di due direzioni, tramite fondazione diretta del castello, è il caso di Montorgiali (1055 toponimo senza apposizione, 1233 castello) Vallerano (1055 toponimo senza apposizione, 1130 castello) e attraverso atti di compravendita per cui è particolarmente rappresentativa la situazione attestata a Montepertuso. 419 Cfr. Schedario Topografico, F. 120 I n. 9 e F. 120 II nn. 15, 17, 23, 29, 32. 420 Cfr. Schedario Topografico, F. 120 II n. 23 413 414 312 Tra i castelli vescovili, quattro sono ricordati nel privilegio di Clemente III rogato nel 1189 421 mentre l’ultimo Montorgiali è citato per la prima volta in occasione della sua distruzione (1233) 422. I primi quattro corrispondo a siti di successo, raggiungendo le soglie dell’età moderna tra le più importanti comunità del Vescovado 423. Le poche iniziative laiche a carattere egemonico (Lambardi e Ardengheschi) attestate nei secoli precedenti, rivelano in questa fase segni di crisi e di instabilità 424. Segnali chiari di questa situazione possono essere colti nella vendita al vescovo di Siena, da parte dei Lambardi di Montepertuso, dei beni e dei diritti giurisdizionali del castello, per liberarsi dai debiti contratti con il vescovo stesso. Gli Ardengheschi verso la fine del XII secolo, presenti in quest’area nei castelli di Vallerano, Montepescini e Rocca Gonfienti, saranno fortemente ridimensionati in seguito agli atti di sottomissione stipulati con il Comune di Siena 425. Le modalità con cui si svolge la seconda fase di incastellamento sono scarsamente documentate; solo in due situazioni è possibile cogliere indizi della fortificazione di nuclei preesistenti 426. Nonostante l’assenza di prove contrarie sembra difficile attribuire i castelli di Resi, Murlo, Crevole e Montepretuso a fondazioni ex novo 427. Non riconducibili con precisione a nessuna della due fasi descritte sono cinque castelli 428, tutti situati nella zona nordoccidentale del territorio comunale di Murlo. L’area rientra nel piviere di Corsano, situato tra il limite meridionale della Massa e il vescovado, porzione di territorio in cui non è attestata la presenza né vescovile né ardenghesca. La documentazione scritta disponibile è estremamente tarda. Le prime attestazioni sono comprese tra la fine del XIII e inizi XIV secolo. L’indagine mirata delle strutture superstiti non ha fornito elementi positivi in questa direzione 429. Riteniamo ipotizzabile, in accordo con il modello insediativo proposto da Giorgi 430, che i cinque centri, relazionabili a iniziativa sia laica sia ecclesiastica 431, siano da considerare coevi ai castelli di seconda fase. L’attribuzione alla fase di seconda metà XII secolo-prima metà XIII secolo è motivata da quanto già emerso da studi pertinenti all’antico stato senese (almeno per quanto concerne la documentazione scritta), caratterizzati da un notevole attardamento del fenomeno 432. I dati acquisiti dalle fonti documentarie e in seguito alle ricognizioni mirate dei siti incastellati, non permettono di stabilire differenze o analogie tra le strutture materiali dei castelli di prima e seconda fase 433. Possiamo solo riaffermare le osservazioni proposte in sede di impostazione, relative ad alcuni elementi comuni riscontrabili nei castelli di pertinenza vescovile. Le situazioni ben documentate (tre su cinque) 434, riferiscono la presenza di un’area signorile di dimensioni ridotte, dominata da un’alta torre rettangolare, attributi che collegati alla scelta di luoghi difficilmente accessibili conferiscono agli insediamenti una spiccata vocazione difensiva 435. Montepertuso 436, unico castello di origine laica sufficientemente documentato, viene invece descritto come una residenza signorile circondata da mura fosse e carbonaie 437. Al suo interno troviamo una chiesa 438, edifici di tipo aristocratico, strutture di vario tipo e piccoli spazi aperti. È interessante notare che nell’atto di vendita del castello 439, il vescovo di Siena si riserva la facoltà di ampliare il borgo ma soprattutto di costruire un cassero e una torre 440. 433 L’unico dato che risulta però difficile estendere ad altre situazioni è la totale assenza di pietra nei siti gravitanti intorno a Poggio Castello, probabile segno di un agglomerato costruito esclusivamente con materiali leggeri. 434 Murlo, Resi e Crevole, cfr. Schedario Topografico, F. 120 I n. 9, F. 120 II nn. , 15, 32. Per Casciano, non possediamo alcun dato sull’impianto originario e di Moteorgiali non conosciamo neppure l’esatta localizzazione; cfr. Schedario Topografico, F. 120 II nn. 17, 29. 435 Resi e Crevole vengono entrambi definiti “arce”; cfr. Schedario Topografico, F. 120 I n. 9, F. 120 II n. 32. 436 Cfr. Schedario Topografico, F. 120 II n. 23. 437 “Nos Ubertus Donadei et Ugolinus Offreduccii Lanbardi de Montepertusio [...] vendo vobis ego dictus Ubertus domum meam cum platea et cum omnibus pertinentiis suis positam in penna castelli del Montepertusio, cui ex una parte est domus dicti Ugolini ex alia parte et antea est carbonaria penne castelli eiusdem et retro est Arnolfini et ego dictus Ugolinus vendo et trado vobis recipienti, ut dicitum est, domum meam cum platea iuncta eam et cum omnibus pertinentiis suis positam in penna eiusdem castelli et antea est carbonaria eiusdem castelli et ex una parte ipsius est alia domus iamdicta et ex alia est murus eiusdem castelli et retro est Teghiarii”. 438 Cfr. Schedario Topografico, F. 120 II n. 24. 439 L’atto di vendita riportato integralmente nell’appendice documentaria (cfr. Schedario Topografico, F. 120 II n. 23) case, beni e abitanti della penna del castello e la cessione al vescovo di tutti i diritti giurisdizionali e fiscali su castello, corte e uomini. 440 “Has supradictas domos et plateas designatas superius cum omnibus pertinentiis suis que omnes sunt posite in dicto castello de Montepertusio et generali terra quascumque alias domos et plateas et terras habemus et habere visi sumus in dicto castello et a fossis dicti castelli interius et quascumque alie persone in eodem castello pro nobis habent seo tenent et etiam terras nostras quas extra fossas eisdem castelli et propre eas vobis et vestris successoribus accipere vel apprehendere aliquo tempore placuerit permutandis vel ampliandis eisdem fossis et presertim pro viis et ingressibus novis faciendis et totum infra terrenum quod de nostro iuxta fossas dicti castelli aliquo in tempore pro burgo vel accremento seu ampliamento eiusdem castelli fuerit hedificatum vel habitatum, vel quod vos hedificare vel hedificari facere volueritis cum omnibus pertinentiis suis et supradictorum omnius vobis qui recipitis nomine senensis episcopatus et pro vobis et vestris successoribus et universis futuris episcopis episcopatus eiusdem vendibus et tradimus cum omni iure et seo et consuetudine quod et quem et quam habemus et habituri sumus nos et nostri heredes et soliti unquam fuimus habere in toto dicto castello et in eius curte et in omnibus nostris pro iurisdictione tam de bannis et placidis quam de guaitis et operis dicti castelli et quibuscumque aliis et pro omni signoria ad iurisdictionem perdictorum pertinenti que omnia ut dictum est vendimus vobis pro pretio centrum et quadraginta librarum bonorum denariorum senensium, quod cum aliis vendictoribus qui infra dicentur nos a vobis accepisse confitemur, qui a medietatem ex eo confiteor me accepisse ego dictus Ubertus et quartam ex eo portionem ego dictus Ugolinus ut dictas res venditas sicut superius continetur habeatis et teneatis nomine dictis senensis episcopatus et utamini eis et fruamini et faciatis inde quicquid vobis placuerit iure dominii et proprietatis”. Schedario Topografico, F. 120 II n. 23; PICCINNI-FRANCOVICH, 1985, p. 260; PASSERI, 1995, pp. 68-69. CAPPELLETTI, 1862, XVII, pp. 455-457. PASSERI, 1995, p. 83. 423 Murlo, Resi, Crevole e Casciano, cfr. Schedario Topografico, F. 120 I n. 9 e F. 120 II nn. 15, 17, 32. 424 CAMMAROSANO-PASSERI, 1985, p. 346; PASSERI, 1985, p. 28. 425 Cfr. Schedario Topografico, F. 120 II nn. 18, 25, 35. Nelle appendici documentarie delle schede sono riportati per esteso gli atti di sottomissione (1179, 1202) delle rispettive comunità e il giuramento degli uomini dei tre castelli. 426 Casciano di Murlo, nel 1079 è citato come concentrazione di beni fondiari, nel 1189 come castello; Monteorgiali, attestato nel 1055 come toponimo (senza definizione), è castello nel 1233. 427 FARINELLI-GIORGI, 1998, pp. 157-263. 428 Fabbrichella (1294), Frontignano (1318), Mocale (1318), Castel di Notte-Memoreta (1318-1391), Valresta (1318). 429 Per i motivi che hanno condizionato l’indagine dei siti noti: cfr. supra. 430 In base alla documentazione scritta Giorgi riferisce la netta prevalenza di forme insediative accentrate di tipo aperto affiancate solo in modo modesto dal fenomeno dell’incastellamento, che per quanto decisamente debole non è del tutto inesistente. GIORGI, 1997, pp. 125-132. 431 In questa zona sappiamo essere molto attivo il monastero di Sant’Eugenio (si pensi alla curtis fortificata in località Le Stine) e seppure molto tarde (fine XIII secolo) attestazioni di gruppi aristocratici locali, ad esempio la famiglia Legaccio da cui prende nome il castello: “a pede castelli Legacci”. Cfr. Schedario Topografico, F. 120 I n. 19. 432 C HERUBINI , 1974, pp. 231-308; F RANCOVICH , in P ASSERI , 1985, p. 24; G IORGI , 1997, pp. 125-132. Nell’area sud-ovest della città di Siena sono attestati solo due castelli, Monteliscai e Montechiaro, cfr. C ORTESE , 2000, p. 214. Non sembra quindi da considerare casuale che il più tardo dei castelli di prima fase, Campriano, sia anche il più vicino a Siena. 421 422 313 km Rinvenimenti survey: Casa di terra Frequentazione Sporadico Attestazioni documentarie edite: Castello di prima fase Castello di Monte Ambrogio Castello di seconda fase Ipotetici castelli di seconda fase Villaggio Monastero Eremo Pieve Chiesa Toponimo Confini provinciali Fig. 39. Secoli centrali del Medioevo La distribuzione dei castelli di prima fase (Fig. 39) colpisce per la sistematica localizzazione delle strutture nelle immediate vicinanze del moderno confine amministrativo del comune 441. L’intera parte centrale del territorio risulta priva di attestazioni. Si osserva uno stretto rapporto tra strutture castrensi e facies abitativa 3; di cinque castelli attestati quattro sono situati nell’habitat 3, solo Campriano si trova nella stratificazione paesaggistica 1. La seconda fase di incastellamento, coincide con la sistematica occupazione di tutte le facies paesaggistiche, sebbene l’habitat 3 continui a essere privilegiato con il 64% delle presenze. Gli habitat 1, 2, 4 contano rispettivamente 14%, 14% e 7%. Dato comune alle due fasi è la sistematica occupazione delle sommità collinari. Il confronto tra quote altitudinali privilegiate dagli insediamenti fortificati di seconda metà XI secolo-prima metà del XII secolo e fine XII-inizi XIII secolo permette di fare alcune osservazioni (Fig. 40) 442: – particolarmente evidente è l’aumento medio tra prima e seconda fase pari a ben 51 m 443; differenza notevole inasprita dal fatto che tre dei cinque castelli di prima fase si trovano a quote inferiori rispetto all’altitudine minima rilevata per i castelli di seconda fase. – doppio risulta il rapporto tra escursioni massime; gli impianti di prima fase presentano una differenza massima di quota di 97 m mentre quelli di seconda fase di 190 m. Questa situazione è da ricondurre all’occupazione durante al seconda fase di tutti quattro gli habitat. – i valori pertinenti alla prima fase non si discostano dalle tendenze osservate durante tutti i periodi precedenti, confermando una vocazione alla territorialità verso spazi compresi tra 200 e 300 m s.l.m. 444. La seconda fase mostra invece una colonizzazione del territorio senza precedenti, che vedremo culminare nel corso del XIII e XIV secolo con l’attestazione di ville e mulini nei terreni bassi della Val di Merse. In generale le caratteristiche geologiche dei terreni su cui si impostano i siti incastellati, mostrano seppure con un leggero calo durante la seconda fase, una spiccata preferenza verso terreni del gruppo ofiolitico. Il rapporto con il bacino idrografico sembra avere maggiore influenza nel corso della prima fase; quattro castelli su cinque sorgono sulla sommità di colline prospicienti i fiumi di maggiore portata del nostro territorio, Merse e Ombrone (distanza media 518 m) 445. Le strutture di seconda fase sembrano meno attratte dai corsi d’acqua di alta portata, solo quattro su dieci si trovano nel raggio di 1,5 km dal fiume Merse. Riassumendo i castelli di prima fase sono orientati verso l’occupazione delle sommità collinari in particolare modo dell’habitat 3, a quota media di 262 m s.l.m., su suoli ofiolitici (80%) e a distanza ideale di 518 m da corsi d’acqua di alta portata. I castelli di seconda fase sono presenti in tutte le stratificazioni paesaggistiche a quota media di 310 m s.l.m., privilegiando gli spazi connotati da geologie del gruppo ofiolitico (60%), con distanza ideale dal più vicino corso d’acqua di media portata di 348 m. 441 Ricordiamo che i confini comunali di Murlo coincidono con elementi naturali di una certa importanza: fiume Ombrone e fiume Merse. 442 Il sito incastellato in località Monte Ambrogio non essendo collocabile con precisione in nessuna delle due fasi non è riportato nel grafico. 443 Si noti che la differenza è casualmente rispecchiata in modo fedele tra quota minima di prima fase (209 m slm.) e quota minima di seconda fase (260 m slm.). 444 Per una sintesi del concetto di territorio e territorialità: cfr. BENCARDINO-LANGELLA, 1992, pp. 9-12. Questa situazione probabilmente è da mettere in relazione soprattutto a esigenze strategiche e di controllo del territorio. 445 314 L’assetto del paesaggio e l’organizzazione del popolamento sembrano, in questo periodo, ancor più nettamente caratterizzati dal castello (in totale abbiamo 16 castelli e 6 presunti agglomerati aperti). Un modello valido ma non estendibile a tutto il territorio. Osservando la distribuzione delle attestazioni, si può notare che la maggior parte dei castelli di seconda fase, a differenza dei villaggi, sono situati nella zona sottoposta al dominio del vescovo senese 456. In quest’area si trovano ben sette castelli e un solo villaggio 457. Lo scarso sviluppo abitativo dei centri castrensi 458 e l’attestazione in quest’area nelle fonti di XIII secolo di cinque villaggi permettono di ipotizzare che la popolazione, almeno dalla fine del XII secolo, fosse già concentrata in agglomerati aperti, situati a breve distanza dai castelli (in media 1.051 m). Inesistenti anche in questa fase tracce di case sparse nella campagna. Del tutto diversa la situazione rilevabile nella zona settentrionale del territorio. Per capire meglio il trend insediativo di questa porzione di territorio è necessario oltrepassare (seppure di pochi chilometri) gli attuali confini comunali. Nell’area compresa tra Bagnaia, torrente Sorra e Fontazzi troviamo cinque castelli 459 e ben dieci villaggi aperti; questi ultimi sono sempre situati a distanze piuttosto elevate dai centri incastellati (nell’ordine di almeno 2.5 km) 460. Una situazione che testimonia ulteriormente il modesto impatto dell’incastellamento in questa zona, che ha interessato solo un numero ridotto dei numerosi centri aperti esistenti, ed è stata accompagnata da fenomeni di concentrazione del popolamento piuttosto blandi e soprattutto, come vedremo nella discussione della fase successiva, non definitivi 461. Fig. 40. Quote altitudinali e medie ideali dei castelli di prima e seconda fase In merito al tessuto insediativo in cui era inserito il castello, nella fase seconda metà XI-prima metà XII secolo, disponiamo di un panorama documentario esiguo e frammentario. Oltre ai cinque castelli, abbiamo sei attestazioni relative a due sedi plebane 446, una chiesa 447, due concentrazioni di fondi agricoli 448 e un toponimo senza apposizione 449. Le fonti non specificano mai il tipo o l’articolazione del popolamento. Cinque delle sei attestazioni risultano nella fase successiva (fine XII-seconda metà XIII secolo) coincidere con tre villaggi 450 e due castelli 451. È quindi possibile avanzare l’ipotesi, che alle sei attestazioni siano da associare altrettanti generici agglomerati di cui ignoriamo dimensioni (villa o casolare?) e struttura (nebulari o a maglie strette?) 452. Del tutto differenti rispetto ai siti incastellati di prima fase le scelte relative agli spazi di localizzazione degli agglomerati, non più legate alle sole sommità collinari e a quote comprese tra 200 e 300 m s.l.m., ma estese a tutte le facies paesaggistiche, posizioni di versante collinare (50%) e sommità che raggiungono quote di 450 m s.l.m. La distribuzione dell’agglomerato aperto di seconda metà XI-prima metà XII secolo è quindi molto più elastica, rispetto alle rigide scelte connesse all’insediamento fortificato 453. Riassumendo, nel corso della prima fase di incastellamento l’assetto del popolamento risulta marcatamente caratterizzato dall’elemento castrense, intorno al quale si collocano a distanza media di 1.753 m gli abitati aperti 454. Sono assenti attestazioni documentarie o tracce materiali relative a case isolate. Uno dei fenomeni di maggiore interesse che la documentazione scritta permette di osservare, in riferimento al tessuto insediativo della seconda fase di incastellamento, è il forte aumento del numero di castelli (+10) rispetto alla sostanziale stabilità del numero di agglomerati aperti 455. Basso Medioevo: XIII-XV secolo d.C. (attestazioni documentarie 38; rinvenimenti inediti 55; resa archeologica 71%) L’indagine sul terreno ha dato risultati sostanzialmente differenti rispetto a quanto ipotizzato in sede aprioristica per tipologia e consistenza dei rinvenimenti. Non ha infatti trovato conferma l’ipotesi, in base a quanto attestato dalla documentazione scritta per le zone marginali dell’amministrazione vescovile, di rinvenimenti riferibili a forme insediative (casa sparsa) da relazionare al fenomeno di appoderamento mezzadrile 462. La buona resa archeologia diverge dalla tendenza generale del periodo orientata verso livelli nettamente più bassi. Ciò è in gran parte dovuto alla presenza di fossili guida sicuri per la determinazione cronologica dei contesti, prevalentemente costituiti da off-sites (72%). Motivi dello scarso rinvenimento di aree insediative (16%) sono gli stessi evidenziati per alto Medioevo e secoli centrali, conseguenti al diffuso fenomeno di lunga frequentazione dei medesimi spazi fino all’età moderna. Per questi motivi, nonostante l’aumento numerico Cfr. Schedario Topografico, F. 120 II nn. 37, 41. Cfr. Schedario Topografico, F. 120 I n. 18. 448 Cfr. Schedario Topografico, F. 120 I n. 13; F. 120 II n. 17. 449 Cfr. Schedario Topografico, F. 120 II n. 29. 450 Bagnaia (1268), Frontignano (1253), Pieve a Carli (1271), cfr. Schedario Topografico, F. 120 I nn. 13, 18; F. 120 II n. 37. La pieve di Coppiano (in località podere La Pieve; attestata per la prima volta nel 1130) non è mai indicata sia come villaggio sia in relazione ad altre forme insediative. Unico indizio della possibile presenza verso la fine del XIII di una popolazione consistente è rintracciabile nelle decime sessennali, szl. 1274-1280, nelle quali compare con una tassazione medioalta: cfr. FILIPPONE, 1994, p. 66. 451 Montorgiali (1233), Casciano (1189), cfr. Schedario Topografico, F. 120 II nn. 17, 29. 452 REDON, 1987, pp. 369-393. 453 Cfr. supra. 454 Questi sono situati prevalentemente nei pressi di pievi e chiese. 455 Con sostanziale stabilità intendiamo che il numero totale di presunti agglomerati nel nostro territorio resta invariato rispetto alla prima fase di incastellamento. Gli agglomerati infatti non sono gli stessi. Casciano e Montorgiali verranno incastellati e due nuove segnalazioni, la pieve di San Giusto e Valresta (cfr. Schedario Topografico, 446 447 F. 120 I n. 17; F. 120 II n. 35), li sostituiranno nel computo complessivo. 456 MENGOZZI, 1911, pp. 54. 457 La chiesa plebana di Carli (1081), citata per la prima volta come villaggio solo nel 1271. 458 Cfr. Supra. 459 Campriano, Fabbrichella, Frontignano, Mocale, Castel di Notte-Memoreta. 460 Due entro i limiti amministrativi del comune di Murlo: Bagnaia e Formignano; nel comune di Monteroni d’Arbia: San Donnino, Fontanella, Palmolaia, Corsano, Brancantino, Caggiole, Villa al Colle, Villa al Piano. 461 GIORGI, 1997, pp. 125-132. 462 Il principale motivo è da identificare nel basso grado di visibilità comune a tutte le zone interessate dal processo di appoderamento (area nord habitat 3 e 4). 315 Fig. 41. Categorie interpretative Fig. 42. Distribuzione quantitativa delle classi ceramiche delle presenze, il dato archeologico non consente di modificare il quadro generale del popolamento riferito dalle fonti archivistiche. Complessivamente possiamo sintetizzare l’informazione archeologica in quattro tipologie di emergenze (Fig. 41): casa di pietra, struttura di servizio, frequentazione, sporadico. – Casa di pietra: tre evidenze, di cui due individuate durante il survey 463, la terza risultato di uno showel test praticato sulla sommità di Poggio Castello 464; valori dimensionali delle due aree di massima concentrazione sono 129 m e 108 m, in entrambi i casi con quantità media di reperti per metro quadrato pari a 10. Tra i materiali, scarti e scorie pertinenti a fornace 465, ceramica acroma grezza, depurata, maiolica arcaica e rinascimentale, ingubbiata e graffita. – Struttura di servizio: una sola evidenza 466, costituita da una piccola struttura con elevati in pietra e copertura laterizia, molto probabilmente da interpretare in questo caso non come magazzino per lo stoccaggio di prodotti agricoli 467 ma come ripostiglio per attrezzi. L’attribuzione a questa definizione è dovuta alle dimensioni estremamente ridotte della concentrazione di materiali in superficie (4x3 m) 468 e dall’estrema vicinanza a una struttura in pietra riferibile al medesimo ambito cronologico 469. Tra i reperti individuati, oltre a pietra e laterizio da copertura, ceramica acroma, depurata, maiolica arcaica e rinascimentale, ingubbiata e graffita. – Frequentazione: tre delle undici unità topografiche indicate con questa voce sono caratterizzate da bassi indici di concentrazione e reperti ceramici in pessime condizioni di conservazione. Probabilmente sono da relazionare a deposti estremamente compromessi per cui non siamo in grado di avanzare alcun tipo di interpretazione 470. Otto unità topografiche sono pertinenti a tre siti, probabilmente da ricondurre a generici depositi di aree insediative 471. La cultura materiale è come noto caratterizzata dalla comparsa delle ceramiche a rivestimento vetrificato, presenti sempre in quantità contenute ma in tutte le unità topografiche. Un segno rappresentativo dell’elevato grado di diffusione nel territorio, prima della maiolica arcaica e in seguito della ceramica ingubbiata e graffita e della maiolica rinascimentale (Fig. 42). Non è dato conoscere la rilevanza quantitativa che queste classi assumono nel corredo ceramico; la limitata presenza di evidenze da ricondurre a insediamento non permette di presentare osservazioni statistiche in questa direzione. Non possiamo però ignorare la sistematica presenza di questi materiali nelle UT sporadiche, per le quali in sede di impostazione abbiamo accettato l’ipotesi che fossero da ricondurre alla pratica di concimazione dei fondi agricoli (spargimento di letame e rifiuti domestici). Gli off-sites possono forse indirettamente rappresentare in qualche modo una spia del consumo delle produzioni ceramiche circolanti nel nostro territorio. Per questi motivi riteniamo comunque utile proporre la quantificazione delle classi ceramiche valutata sul totale delle emergenze individuate 472 (Fig. 43). Ricognizione di siti noti, studio delle fotografie aeree e soprattutto la documentazione archivistica permettono di cogliere le tendenze generali delle trasformazioni edilizie subite dai castelli attestati nella fase precedente. Nell’area di pertinenza vescovile l’insediamento fortificato conserva il ruolo di riferimento circoscrizionale e strumento di potere, mantenendo e in alcuni casi aumentando lo spessore delle spicca un frammento di maiolica a zaffera a rilievo pertinente a scodella carenata; cfr. cap. VII, 2. Cinque unità topografiche corrispondono ai primi cinque transetti del sito F. 120 II n. 73. Nonostante le difficili condizioni di rinvenimento riteniamo ipotizzabile la presenza in quest’area di un numero non precisabile di strutture di cui ignoriamo dimensioni e tecnica costruttiva. Sebbene senza specificare con precisione il luogo nell’Estimo del 1318 ci sappiamo che il convento di Sant’Agostino di Siena “in loco dicto Castello Vecchio” possiede “terram laboratoria et vineatam cum domo et plateis cum franctoio sive factorio et cum capanna”. PASSERI, 1995, p. 73. L’ultimo sito coincide con l’area sommitale del castello di Montepertuso, dove abbiamo identificato numerosi reperti ceramici sia in superficie sia lungo una sezione occasionale di grandi dimensioni (252 m), aperta per l’allargamento della via che taglia il fianco occidentale. 472 Tra le forme chiuse da fuoco l’olla continua a essere dominate, caratterizzata da bordo piatto pronunciato all’esterno o bordo leggermente estroflesso, labbro orizzontale ingrossato e arrotondato. Cfr.: GELICHI, 1986, tav. V, n. 3 (XIV-prima metà XV secolo d.C.); FRANCOVICH-PARENTI, 1987, tav. I, N. 23 (XI-XIV secolo d.C.); VANNINI, 1985, p. 391, n. 2119 (fine XIII-inizi XIV secolo d.C.). Scarse sono le attestazioni di boccali e brocche in acroma depurata, probabilmente in parte sostituite da vasellame ricoperto; cap. VII, 2, tav. XLV, nn. 9-15. Tra le forme aperte, oltre a testi e tegami presenti in grande quantità, possiamo segnalare unicamente forme di maiolica arcaica e delle successive produzioni a rivestimento opacizzante che compaiono a partire dalla metà del XV secolo. In particolare abbiamo identificato catini carenati e ciotole emisferiche: cfr. cap. VII, 2, tav. XLVI, nn. 1-4, tav. XLVI, nn. 5-11, tav. XLVII, nn. 1-7, tav. XLVIII, nn. 1-3, tav. XLVIII, nn. 4, 5. Cfr. Schedario Topografico, F. 120 I n. 40.2; F. 120 II n. 117.7. Per la descrizione approfondita dell’evidenza, cfr. Schedario Topografico, F. 120 II n. 72.1. 465 Cfr. Schedario Topografico, F. 120 I n. 40.2. 466 Cfr. Schedario Topografico, F. 120 I n. 40.3. 467 Del tutto assenti frammenti di ceramiche da conserva. 468 Caratterizzata da reperti in cattive condizioni di conservazione. 469 Cfr. Schedario Topografico, F. 120 I n. 40.2. 470 Cfr. Schedario Topografico, F. 120 II nn. 62.1, 106.1, 119.1. 471 Cfr. Schedario Topografico, F. 120 II nn. 72, 73, 88. Il primo corrisponde all’area sommitale di Poggio Castello dove sono state riconosciute numerose strutture murarie in pietra e laterizio pertinenti alla fase più tarda di occupazione. Scarsa visibilità, cattivo stato di conservazione delle opere in elevato e sovrapposizione di interventi edilizi rendono difficile proporre ipotesi sull’articolazione degli edifici. Durante la ricognizione del poggio sono stati raccolti reperti ceramici tutti riferibili alla fase in esame tra cui 463 464 316 I castelli non compresi nel territorio sottoposto ad amministrazione vescovile mostrano trasformazioni profondamente differenti. Nella zona settentrionale (piviere di Corsano) e meridionale (confluenza fiumi Merse-Ombrone) del territorio in esame, è possibile osservare, tra seconda metà XIII e inizi XIV secolo, la tendenza verso un generalizzato declino dei centri castrensi. Il motivo fondamentale sembra essere l’estrema vicinanza al centro cittadino dominante. Il comune di Siena non aveva interesse a mantenere strutture fortificate in una zona tanto interna del proprio territorio. I castelli perderanno progressivamente peculiarità difensive e consistenza demica, conservando però al loro interno strutture residenziali di tipo signorile e il ruolo di riferimento circoscrizionale 486. Uniche eccezioni sembrano essere Campriano, Montepescini e non senza riserve Fabbrichella. A partire dalla seconda metà del XIII secolo, il castello di Campriano offre una realtà documentaria piuttosto consistente che rivela la condizione di castellare dell’insediamento, avvenuta in seguito allo smantellamento della rocca da parte del comune di Siena 487. Cinquant’anni dopo, nell’Estimo del 1318, Campriano è riportato come un importante centro insediativo e amministrativo del territorio nel quale sono registrate 104 abitazioni e due forni 488. Montepescini all’inizio del XIII secolo risulta abitato da cinquantadue famiglie 489. All’inizio del XIV rappresenta un importante centro di popolamento. Il borgo del castello è costituito da un centinaio di abitazioni mentre è interessante notare che il “castrum muratum [...] cum carbonariis” è “disabitatum”, cioè inutilizzato ma molto probabilmente mantenuto in efficienza dalla stessa comunità 490. Di difficile lettura il caso di Fabbrichella. La persistenza di imponenti strutture fortificate e l’allargamento in fasi successive del borgo sono osservabili dai dati telerilevati (verticale, obliqua, immagini Ikonos MS) e confermati dalle ricognizioni dirette. Questi elementi consentono di ipotizzare l’esistenza di un importante centro demico 491. Del tutto in disaccordo sono le fonti di inizio XIV secolo, che attestano l’esistenza di sole dieci abitazioni 492. In questa fase la maggiore disponibilità di documentazione consente di osservare oltre al castello altre forme insediative (Fig. 43): villaggio aperto e casa sparsa. Nel breve arco cronologico compreso tra fine XIII-inizi XIV secolo nell’area di pertinenza vescovile troviamo sei attestazioni relative a villaggi 493. Se la documentazione scritta non ci informa sul tipo di agglomerato, la presenza negli immediati dintorni delle località attestate di materiali sporadici, ci spinge a ipotizzare l’esistenza di forme tendenzialmente accentrate. Molto omo- fortificazioni dalla parte sommitale. Una situazione anomala in una zona così interna del territorio senese. È noto che castelli e diritti giurisdizionali privati appaiono negli ultimi secoli del Medioevo quasi esclusivamente nelle zone più lontane dalla città o addirittura vicino ai confini della sua giurisdizione 473. Segno inequivocabile che il governo cittadino non tollerava centri di potere privato nei pressi della città. Dobbiamo concludere che la signoria del vescovo di Siena non costituì mai per Siena un reale pericolo 474. I borghi, a esclusione di Crevole, non subiscono mai ampliamenti. Le realtà meglio conosciute sono Crevole, Montepertuso e Murlo. Nel primo caso la documentazione scritta fornisce una prova inequivocabile, la notizia del 1325 relativa alla costruzione da parte del vescovo Malavolti di imponenti opere di fortificazione 475. Il castello di Crevole continuerà, su esplicita volontà del comune di Siena, a svolgere un’effettiva funzione militare. Ancora nella guerra del 1554-1559 il castello rappresentò uno dei principali capisaldi difensivi 476. I dati telerilevati e le ricognizioni mirate hanno permesso di osservare la progressiva espansione dell’insediamento in borghi anulari 477. Nel caso di Montepertuso le fonti archivistiche non sono altrettanto esplicite. Sappiamo che nel 1271 furono necessari tre mesi d’assedio per espugnarlo 478. È quindi possibile ipotizzare che anche questo castello abbia subito interventi per migliorarne le qualità difensive, forse proprio quelli annunciati dal vescovo nell’atto di compravendita del castello (1213) 479. La situazione di Murlo è leggibile esclusivamente tramite documentazione archeologica. Il restauro dell’edificio centrale ha permesso di comprendere le principali fasi edilizie della struttura. In origine (XII secolo) questa era costituita esclusivamente da una torre, intorno alla quale nel corso del XIV secolo, viene aggiunta una struttura quadrangolare che a giudicare dalle feritoie scoperte sulla facciata retrostante sembra adibita a uso militare 480. Scarse le notizie relative ai restanti castelli compresi nella giurisdizione vescovile. Il castello di Resi distrutto nel 1271, viene ricostruito con rapidità. Nel 1293 troviamo una donazione all’eremo di Montespecchio di un terreno situato nella corte del castello di Resi 481; l’attestazione seppure tarda (catasto del 1466) relativa a carbonaie della torre di Resi sembrerebbe confermare la ricostruzione di una struttura non troppo dissimile da quella originaria 482. Del tutto diverse le vicende del castello di Montorgiali distrutto nel 1233 e mai più ricostruito 483. Fino alla prima metà del XIV secolo manterrà un nucleo abitativo composto da numerose case e il ruolo amministrativo di corte entro i cui confini si trovavano due villaggi (Colle e Fabbriche) e un mulino 484. Non possediamo nessuna informazione sui castelli di Valleranno e Casciano 485. Per il castellare di Montorgiali, i villaggi di Colle e Fabbriche e il mulino (tutti attestati nel catasto del 1318) non è possibile indicare l’esatta localizzazione; cfr. Schedario Topografico, F. 120 II n. 29. 485 Cfr. Schedario Topografico, F. 120 II nn. 17, 35. 486 È questo il caso di Macereto, Rocca Gonfienti, Mocale, Frontignano: cfr. Schedario Topografico, F. 120 I nn. 13, 16; F. 120 II nn. 18, 21. 487 I Tolomei, signori del castello, anche se sottoposti formalmente all’autorità del governo di Siena (come risulta dall’elenco dei sindaci delle comunità del contado del 1262-64), nel 1266 furono scacciati dal Comune di Siena e il cassero del castello di Campriano venne distrutto. REPETTI, 1972, I, p. 439; PASSERI, 1995, p. 32. 488 PASSERI, 1995, p. 32; GIORGI, 1997, pp. 135-143, 174-178, 186. 489 Caleffo Vecchio, n. 79, p. 117. 490 PASSERI, 1995, p. 73. 491 Il sopralluogo ha permesso di identificare tre cinte murarie: cfr. Schedario Topografico, F. 120 I n. 19. 492 A tale proposito ricordiamo che l’identificazione del castello con Fabbrichella non è certa: cfr. Schedario Topografico, F. 120 I n. 19. 493 Cinque delle sei località compaiono nella documentazione scritta per la prima volta: Lupompesi (1271), Pieve a Carli (1271), Andica (1318), Tinoni (1318), Colle (1318), Fabbriche (1318); cfr. Schedario Topografico, F. 120 I n. 20; F. 120 II nn. 15, 29, 37. 484 Basti pensare alle Colline Metallifere, alla media Valle dell’Ombrone o alle pendici dell’Amiata. PICCINNI in PASSERI, 1985, p. 19. 474 CHERUBINI, 1974, pp. 289-295. 475 REPETTI, 1972, I, p. 834. 476 CANTAGALLI, 1962, p. 438; SOZZINI, 1842, p. 322; MENGOZZI, 1980, p. 108-109. Un riassunto generale delle vicende; Cfr.. Schedario Topografico, F. 120 I n. 9. 477 Cfr. Schedario Topografico, F. 120 I n. 9. 478 PECCI, 1748, p. 121. 479 Cfr. presente capitolo, paragrafo precedente oppure Schedario Topografico, F. 120 II n. 23. 480 Cfr. Schedario Topografico, F. 120 II n. 15; BROGI, 1990. 481 PASSERI, 1985, p. 59. 482 Cfr. Schedario Topografico, F. 120 II n. 32. 483 DAVIDSOHN, 1896-1927, II, pp. 289-290. 473 317 km Rinvenimenti survey: Casa di pietra Struttura di servizio Frequentazione Sporadico Attestazioni documentarie edite: Castello di prima e seconda fase Castellare Villaggio Monastero Eremo Pieve Chiesa Mulino Confini provinciali Fig. 43. Distribuzione dei siti basso e tardo medievali genei sono i risultati dell’analisi degli spazi di localizzazione prescelti; in tutti i casi gli agglomerati occupano posizioni collinari, a quote comprese tra 317 m s.l.m. e 292 m s.l.m., suoli ofiolitici a distanza massima di 310 m dal più vicino corso d’acqua. La casa sparsa in quest’ambito territoriale risulta del tutto assente 494. Tra XIII e XIV secolo, negli spazi non compresi nella zona di influenza vescovile (piviere di Corsano, bassa Val di Merse, media valle dell’Ombrone) sono attestati cinque villaggi 495. Otto agglomerati sono situati a brevissima distanza dagli attuali confini comunali, compresi tra la località Bagnaia e il torrente Sorra 496. La Tavola delle Possessioni (1318) permette di stabilire che in tutti i casi ci troviamo di fronte a insediamenti accentrati di dimensioni sempre piuttosto contenute (numero medio abitazioni per villaggio 15.3) 497. Le principali caratteristiche ambientali sono meno uniformi rispetto a quanto riconosciuto per i villaggi dell’area vescovile. Gli agglomerati aperti si estendo dalla pianura fino alle sommità collinari, ad altitudini comprese tra 216 e 364 m s.l.m. (quota media ideale 281 m s.l.m.) 498, su suoli del gruppo neogenico (di tipo argilloso e calcareo) a distanza variabile (compresa tra 750 499 e 200 m 500) dal più vicino corso d’acqua di media portata. Nei territori dei villaggi aperti l’Estimo riferisce l’esistenza di 139 abitazioni sparse, di cui quarantasei situate entro gli attuali confini comunali di Murlo 501. La diffusione nell’area compresa tra Bagnaia, Macereto e il torrente Sorra di nuclei abitativi sparsi è un fenomeno iniziato nel corso del XIII secolo 502. Il primo atto relativo a un “podere quoddam positum in curte de Radi ad Caggiole, silicet terras cultas et incultas, agrestes et domesticas et macchias et prata et paludes et domum” è del 1232. Seguono le attestazioni del 1254 e del 1280 di poderi situati in località Le Stine e Macereto con vigne casa e capanna concessi a mezzadria 503. 498 Quote dei villaggi cui è nota l’ubicazione: Sant’Ansano 286 m s.l.m., Radi di Creta 264 m s.l.m., Monteruodoli 231 m s.l.m., Villa al Piano 278 m s.l.m., Palmolaia 302 m s.l.m., Corsano 284 m s.l.m., Le Stine e Noceto 323 m s.l.m., Villa al Colle 320 m s.l.m., Bagnaia (Murlo) 226 m s.l.m., Formignano (Murlo) 364 m s.l.m., San Donnino 216 m s.l.m. Le quote altitudinali degli agglomerati di cui non conosciamo la localizzazione precisa ma solo la curia di appartenenza, sono quasi certamente compresi tra il valore massimo e minimo, a causa dalla conformazione dei territori occupati: cfr. GIORGI, 1997, p. 186. 499 Radi di Creta-torrente Sorra. 500 Palmolaia-fosso di Palmolaia. 501 Campriano (Murlo) 22, Sant’Ansano 33, Frontignano (Murlo) 10, Fabbrichella (Murlo) 2, Macereto (Murlo) 11, Radi di Creta 9, Monteruodoli 3, Villa al Piano 18, Palmolaia 8, Corsano 10, Le Stine e Noceto 8, Villa al Colle 3, Valresta (Murlo) 3, Bagnaia (Murlo) 2, Formignano (Murlo) 9, San Donnino 1: cfr. GIORGI, 1997, p. 186. 502 CAMMAROSANO, 1979-1981, p. 175; GIORGI, 1997, p. 135. Sono i “nuclei policolturali con abitazione” di Giorgi da mettere in rivelazione a un’azienda comprendente una o più residenze contadine e terreni caratterizzati da varie destinazioni colturali. 494 Il fenomeno di dispersione della popolazione rurale nella campagna su poderi a conduzione mezzadrile non si verificò: cfr. CHERUBINI, 1974, pp. 231-308. I motivi sono da ricercare nel perdurare della signoria vescovile e nel mancato arrivo di capitali cittadini. 495 Bagnaia (1268), Formignano (1261), tre località (1318) di cui non è identificabile con precisione l’ubicazione nelle curie di Macereto, Frontignano e Campriano: cfr. Schedario Topografico, F. 120 I nn. 6, 11, 13, 18, F. 120 II n. 21; GIORGI, 1997, p. 186. 496 Villa al Piano, Palmolaia, Corsano, Le Stine e Noceto, Fontanella, Villa al Colle e due località non identificate nelle curie di Sant’Ansano, Radi di Creta: cfr. GIORGI, 1997, p. 186. 497 Numero massimo di abitazioni 22, minimo 5: cfr. GIORGI, 1997, p. 186. 318 Nonostante non siamo in grado di determinare con precisione l’ubicazione delle abitazioni sparse, possiamo ipotizzare che gli spazi di localizzazione, considerate le caratteristiche tendenzialmente uniformi delle zone circostanti i villaggi, non devono essere molto dissimili da questi ultimi. Riassumendo, il tessuto insediativo per i secoli XIII-XIV nel comune di Murlo, è riconducibile a due modelli. Nell’area di pertinenza vescovile, rispetto ai secoli centrali del Medioevo non si osservano differenze di rilievo del pattern insediativo, se non il sensibile incremento delle attestazioni relative a villaggi (+5; +45%). Il castello, connotato da scarso sviluppo abitativo, conserva il ruolo di centro amministrativo con spiccate caratteristiche difensive. La popolazione del territorio è concentrata in villaggi aperti di tipo accentrato (probabilmente di dimensioni considerevoli) 504, localizzati a distanza media di 1051 m dai centri castrensi. Inesistenti sono forme di occupazione del suolo tipo casa sparsa. Gli spazi di localizzazione privilegiati (stratificazioni paesaggistiche 1, 2 e 3) sono i versanti e le sommità collinari, a quote comprese tra 292 503 e 450 m s.l.m., suoli ofiolitici e distanza massima dal bacino d’approvvigionamento idrico di 450 m. Negli spazi relativi al piviere di Corsano, alla bassa Val di Merse e alla media valle dell’Ombrone, il modesto fenomeno di polarizzazione insediativa intorno a nuclei fortificati, verificatosi nel corso del XII secolo, perde progressivamente importanza. Le curie dei castelli risultano essere le più popolate, ma in realtà al loro interno prevalgono le forme insediative aperte (più o meno accentrate) 505. Dalla seconda metà del XIII secolo si assiste a un significativo incremento delle attestazioni relative a villaggi aperti di tipo accentrato (+9; +64%). Quasi contemporaneamente inizia il processo di dispersione nella campagna di nuclei abitativi sparsi che raggiungerà, nei primi anni del Trecento, un grado di diffusione paragonabile solo all’area delle Masse di Siena. Nel complesso in quest’area l’insediamento, esteso alle facies 3 e 4, è orientato verso l’occupazione di versanti e sommità collinari prospicienti le principali vallate fluviali, a quote variabili tra 216 e 364 m s.l.m., suoli del gruppo neogenico o alluvionali a distanza media di 429 m dal più vicino corso d’acqua di media portata. 505 La Tavola delle Possessioni permette di conoscere il rapporto tra numero abitazioni situate in insediamenti fortificati e aperti. Entro i confini comunali di Murlo, il rapporto è 1 a 2: 43 tra case e palazzi in insediamenti fortificati (Frontignano, Fabbrichella e Macereto) e 86 tra villaggi e case sparse (Bagnaia, Formignano, Valresta, Frontignano, Fabbrichella e Macereto). Nella zona compresa tra il torrente Sorra e la località di Bagnaia il rapporto raggiunge proporzioni di 1 a 3. Escludendo la vistosa anomalia costituita da Campriano (borgo con 104 abitazioni) si raggiunge un rapporto di 1/6. GIORGI, 1997, p. 186, tab. III. GIORGI, 1997, pp. 135, 136. 504 In considerazione del mancato appoderamento e del trend demografico in forte cre- scita almeno fino agli inizi del XIV secolo: cfr. PICCINNI-FRANCOVICH, 1985, p. 259. 319