H.P.: THE UNTOLD TALE

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H.P.: THE UNTOLD TALE
H.P.: THE UNTOLD
TALE
N AU G H T Y B A R D & JAC K O F S PA D E S
PREFAZIONE
Molti di voi conoscono senz’altro la storia del maghetto più celebre degli ultimi anni.
Nell’arco di dieci anni la penna di J.K. Rowling ci ha deliziato con le vicende del giovane Harry Potter, emozionandoci, facendoci piangere, ridere e parteggiare per lui nella
lotta contro il signore oscuro. L’abbiamo visto bambino alle prese con la scoperta di
una nuova vita, poi coraggioso adolescente, seguendolo tra i banchi di scuola nei suoi
anni di studio a Hogwarts, la prestigiosa Scuola di Magia e Stregoneria. Abbiamo imparato a conoscere ed amare i suoi amici e ad odiare i suoi nemici. I fan più accaniti dichiarano orgogliosi di sapere tutto su quest’eroico personaggio. Nulla di più lontano
dalla realtà, perché quello che la blasonata scrittrice inglese non ha mai raccontato è
come la storia prosegue dopo la vittoria di Harry sul perfido Voldemort. Il nostro intento è quello di gettare luce su tutta una serie di vicende che hanno in realtà coinvolto il
nostro paladino e che potrebbero forse contaminare quell’aura di perfezione che avvolge il giovane.
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C A P I TO LO 1
“Egregio Sig. H. J. Potter,
siamo lieti di informarla che grazie alla sua collaborazione, le ultime celle di individui legati in qualsivoglia modo al mago oscuro da Lei sconfitto sono state eliminate
o assicurate alla giustizia.
Allo stesso modo, ci premuriamo di comunicarle che in seguito al fondamentale
contributo alla sicurezza del Paese da Lei apportato, è stato deciso all’unanimità di conferirle uno status speciale, nelle prossime ore riceverà sia un’onorificenza a carattere
simbolico, sia una cospicua somma per i servigi resi al Paese.
Purtroppo, è nostro dovere anche informarla che, nonostante le azioni compiute
nel corso di quest’anno, non Le sarà possibile ritirare il titolo di diploma accademico
alla Scuola di Magia di Hogwarts in seguito alla sua assenza per più di un anno scolastico dalla stessa.
Nel caso Lei sia ancora interessato al conseguimento del Diploma, dovrà pertanto sostenere un nuovo periodo da frequentante della durata di un anno.
In virtù della Sua nuova condizione, tuttavia, ci siamo permessi di assegnarle un
attendente personale, il cui compito sarà assecondarla e ovviare alle Sue esigenze al fine di velocizzare e rendere meno gravoso il periodo di recupero scolastico.
Si tratta di una individuo suo coetaneo legato membro di una famiglia di maghi
oscuri i cui membri sono stati recentemente arrestati, ragion per cui assegnarlo a Lei
ci è sembrata una buona pena correttiva.
Naturalmente comprenderà che, essendo la situazione del tutto eccezionale, consideriamo opportuno che la faccenda venga gestita mantenendo un basso profilo, soprattutto per evitare di destare malumori negli altri studenti. Le consigliamo pertanto
di non avvalersi dei servigi del ragazzo in spazi comuni e non durante lo svolgimento
delle lezioni. Avrà invece piena facoltà di usufruire di questi servizi durante il tempo
libero, la sera e all’interno del dormitorio comune.
Nel caso accetti queste disposizioni, troverà il suo nuovo attendente ad attenderla in stazione a Londra già il primo giorno del calendario scolastico”
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Aveva riletto quella lettera più e più volte. Steso sul letto della sua nuova camera,
in una Grimmauld Place rinnovata e dotata di fastosi nuovi arredi, Harry rifletteva
guardando il soffitto. Non si era mai chiesto seriamente come avrebbe concluso la propria carriera scolastica, eppure scoprire che non avrebbe ottenuto il M.A.G.O. che aveva tanto desiderato gli era sembrata una terribile ingiustizia. Aveva dimostrato più volte di cavarsela con incantesimi avanzati e dopotutto, non era un persona privilegiata
ora?
Nemmeno il suo migliore amico se la passava meglio. La famiglia di Ron non aveva mai accettato veramente l’interruzione degli studi, per cui il ragazzo era stato costretto a tornare a scuola. Un gufo aveva recapitato una sua lettera già in prima mattinata. Quanto ad Hermione, non si era fatta sentire, probabilmente era ancora troppo
sconvolta.
“Potrei rifiutare”, pensava Harry tra sé e sé. Anche senza un buon diploma, dopo
le imprese compiute nell’ultimo anno, chi mai gli avrebbe negato un posto di lavoro,
magari anche ben retribuito? Una vita tranquilla dietro l’angolo, senza cacciarsi nei
guai.
O meglio, senza che i guai lo venissero a cercare.
Tuttavia, Hogwarts era stata la casa di cui non aveva mai potuto godere appieno
e che era stato costretto a lasciare. A quel luogo erano legati i suoi ricordi più belli e ne
sentiva enormemente la mancanza.
Tornare a scuola significava anche questo, rivedere vecchi amici, sentirsi finalmente apprezzato ed accettato da tutti, svelare nuovi segreti …
Restavano solo due dettagli, la mole di compiti che lo attendeva una volta tornato nel castello e il misterioso condannato menzionato nella lettera. Di certo non gradiva la presenza di qualcuno legato ad una famiglia oscura, eppure Harry era sicuro che
non fosse pericoloso: impossibile altrimenti che lo avessero assegnato proprio a lui.
Era stato un bersaglio per fin troppo tempo.
Inoltre il ragazzo, in qualità di attendente, avrebbe potuto fornirgli un valido aiuto per gli studi, un aiuto che né il suo migliore amico né il suo elfo domestico erano in
grado di dargli. Magari, servendo dalla parte giusta, si sarebbe anche potuto redimere...
Era notte fonda quando Harry si addormentò, i mille pensieri per la testa finalmente dissipati. Mentre il ragazzo dormiva beatamente, il gufo faceva ritorno verso casa Weasley, un biglietto stretto tra gli artigli:
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“Ciao Ron, grazie per la tua lettera. Ho deciso: ci vediamo in stazione, sembra
che avremo un nuovo amico con noi” Harry.
“Harry! Harry!” il giovane si voltò ed accolse quegli occhi verdi e quei capelli rossi tra le sue braccia. Ginny lo baciò appassionatamente, erano quasi due settimane che
non si vedevano.
“Hey, voi due, non cominciate subito!!” Ron rimproverò bonariamente sua sorella e il suo migliore amico sentendosi leggermente in imbarazzo. Harry gli sorrise e i
due si salutarono:
“Dov’è Hermione?” Ron alzò gli occhi al cielo:
“Te l’ho detto che l’hanno fatta caposcuola, no? Dove vuoi che sia? E’ laggiù che
sputa ordini a destra e a manca a chiunque passi!” i due ragazzi risero:
“Sai credo che sarà uno spasso sapere che è lei il capo scuola e che a noi non può
fare proprio niente! Hehehe!!” Harry gli sorrise ma Ginny guardò suo fratello con aria
strana:
“Io non ne sarei così sicura se fossi in te...” i ragazzi la guardarono “...conoscendola magari non beccherai punizioni o quant’altro ma quando siete da soli...” lasciò la frase appesa e Ron perse tutta la sua baldanza.
“E inconcepibile! Si può essere tanto idioti, dico io?!” una voce femminile sbraitava dietro le loro spalle. Hermione li raggiunse con i suoi riccioli ribelli legati in una coda. Senza neanche salutarli proseguì: “ho sequestrato dieci caccabombe da un ragazzino del terzo anno! Cosa voleva fare asfissiarci tutti?” Harry sorrise nel constatare che
certe cose non cambiano mai.
Salirono sul treno e trovarono uno scompartimento vuoto, naturalmente tutti li
guardavano con timore reverenziale ma Harry ci si stava abituando. Erano passati circa tre mesi dalla vittoria su Voldemort e aveva notato come, ovunque andasse, ogni
porta gli veniva aperta all’istante, metaforicamente parlando. Chiacchierarono del più
e del meno poi, dopo una mezz’ora, Hermione volle fare un primo giro di perlustrazione e Ginny si offrì di accompagnarla.
I ragazzi rimasero soli:
“Allora?! Questo servetto che ti hanno assegnato?!” disse Ron curioso ma parlando a voce bassa. Harry lo guardò divertito con un sopracciglio alzato come a sottolinea-
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re che erano soli nello scomparto. “Scusa...” borbottò l’altro “...la forza dell’abitudine,
se mi sente Hermione...”
Harry rise: “Non è il mio servetto e tipo un... tizio che deve aiutarmi negli studi
e...” tirò fuori la lettera di tasca e parafrasò “...assecondare le mie esigenze e i miei bisogni...” Ron rise:
“E dai amico! Questa è la definizione di un servetto!! Haha!” anche Harry rise e
l’amico continuò “beh, vedremo, intanto sono ansioso di conoscerlo, chissà che tipo
è!” Harry alzò le spalle:
“Non lo so... qui dice che viene da una famiglia di maghi oscuri...” Ron sorrise:
“Sai quant’è contento di servirti! Hehe!! Ben gli sta!” i due continuarono a scambiarsi idee, immaginandosi questa figura un po’ ambigua che avrebbero incontrato
molto presto. Poi le ragazze tornarono e dovettero dirottare su un altro argomento,
Hermione mal tollerava anche solo la menzione del fatto ed Harry non aveva affatto
voglia di un’altra bella lezioncina sui diritti civili.
Poco prima di arrivare indossarono le uniformi, dopodiché scesero dal treno con
i loro bagagli, tutti eccetto Harry che non riusciva a trovare il suo. Ron disse alle ragazze di avviarsi mentre lui rimase lì ad aiutarlo. Dopo alcuni minuti di frustrante quanto
inutile ricerca nel vano bagagli una voce li fece voltare:
“Uhmm... signor Potter!” era un ragazzo più o meno della loro età che dovevano
per forza aver rivisto a scuola ma che non riuscivano assolutamente a ricordare. Era
piuttosto basso e mingherlino, con i capelli scuri e un viso... beh, tutto sommato dimenticabile.
“Si?” gli rispose Harry un po’ sorpreso dalla formalità.
“Ai Suoi bagagli ho pensato io signore, la aspettano già nel Suo alloggio.” gli disse
con voce dimessa non osando mai guardarlo negli occhi ma fissandogli i piedi. Ron era
sul punto di esplodere dal ridere. Harry era a metà tra l’allibito e il divertito.
“Grazie... tu sei?” il ragazzo gli sorrise quasi fosse contento di essere stato notato:
“Tom, signore. Tom Harshwood. Sono il Suo attendente personale.” Ron bisbigliò:
“Cioè schiavetto, hehe!!” Harry soppresse una risata dando una gomitata all’amico.
“Chiamami pure Harry, Tom!” il ragazzo tornò a fissargli i piedi
“Non mi è permesso signore, ordini del ministero...” gli disse tutto d’un fiato.
Harry fece spallucce:
“Ok... come vuoi...” Ron gli sorrise e spavaldo gli chiese:
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“Senti amico non è che penseresti anche al mio di bagaglio?” Tom lo guardò incerto:
“Beh, dipende tutto dal signor Potter...” si voltò verso Harry “...posso aiutare il
Suo amico?” a Harry scappo da ridere. Questo tipo di ossequiosità l’aveva visto negli
elfi domestici e, a dire il vero, gli aveva sempre dato fastidio. Vedere la loro intera razza sottomessa non gli sembrava giusto. Diverso era il discorso con il ragazzo che aveva
di fronte. Nonostante fosse così servizievole e deferente, veniva pur sempre da una famiglia che aveva sposato la causa di Voldemort quindi era più difficile provare pena
per lui. Lo guardò e gli sorrise:
“Si per favore... aiutalo...” il ragazzo gli sorrise chinando leggermente la testa per
poi prendere il baule di Ron e caricarlo su una delle carrozze dirette al castello. I due
ragazzi lo guardarono leggermente straniti dalla novità. Poi Ron sorrise e disse all’amico:
“Secondo me quest’anno non sarà poi tanto male...”
Un'altra cosa, notò con piacere Harry, non era cambiata: una volta seduti ai lunghi tavoli nella Sale Grande, restava solo l'imbarazzo della scelta.
Certo, ai colonnati dei cortili esterni mancavano ancora dei pezzi, parecchie merlature erano state divelte e alcuni camminamenti non erano ancora stati del tutto ricostruiti; per contro, all'interno il castello sembrava essere stato rimesso a nuovo.
Cosa ancor più importante, il luogo era ora pervaso da un clima sereno e allegro:
fu con un lungo applauso che Harry ed i suoi amici vennero accolti in Sala Grande.
"Sai" gli bisbigliò Ron con un gran sorriso, "non pensavo che essere ripetente ti
facesse sentire così apprezzato... credo dovremo farci l'abitudine!"
Il banchetto si trascinò per gran parte della serata e i ragazzi si abbuffarono per
bene, servendosi portata dopo portata. Quando i vassoi rimanevano vuoti, dalle cucine
provvedevano a riempirli nuovamente per magia.
"Tom non c'è..." fece notare piano Harry a Ron, mentre Hermione, spintasi al tavolo degli insegnati, chiedeva se sarebbe stato possibile dare tutti gli esami mancanti
già entro Natale.
"Mpf...Scusa... Chi?" rispose Ron, la bocca piena di dolcetti
"Tom! Il ragazzo del treno... Gli hai anche lasciato il tuo baule, ricordi?"
"Ah, si chiama Tom? Non me lo ricordavo, si vede che non mi ha fatto una così
grande impressione!"
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"Ma dai" Harry lo rimproverò bonariamente "bel modo di ringraziare chi ti fa un
favore..."
"Beh, non lo conoscevamo fino a ieri, ma devo dire che lo apprezzo più di quanto
pensassi. Considerando che è qui per punizione è comunque più che rispettoso: di certo non è molto loquace e se non la smette di guardare per terra finirà presto a sbattere
contro un albero..."
"Già... Devo dire che all'inizio è stato imbarazzante, mi ci abituerò, non voglio
che per colpa mia infranga le regole che gli hanno imposto" commentò Harry con un
mezzo sorriso, per poi aggiungere "comunque hai ragione Ron, inutile preoccuparsi...
o ha già mangiato, oppure è ancora fuori a trascinarsi dietro il tuo baule!"
Alla cena seguirono le vecchie ore di divertimento in sala comune, euforica per
l'occasione. Fu solo in tarda serata che Harry e Ron, dopo aver dedicato le opportune
attenzioni alle rispettive fidanzate, salutarono ancora una volta chi era ancora sveglio
e, superata la ripida scala a chiocciola, raggiunsero il dormitorio maschile.
La stanza in cui avevano dormito per anni aveva subito un cambiamento radicale: due enormi letti a baldacchino erano stati sistemati all'interno del locale, mentre altrettanti armadi, imponenti e di ottima fattura, occupavano quasi completamente le
pareti. I vecchi mobili erano stati fatti sparire.
Al confronto con lo sfarzoso arredo della stanza, soltanto un elemento non poteva apparire più fuori posto: uno spaesato quanto imbarazzato Tom Harshwood, seduto su un’esile sedia posta in un angolo.
"Oh eccoti... Non ti abbiamo visto a cena... Tutto bene?" esordì incerto Harry.
"Si signor Potter" rispose Harshwood, di nuovo quasi sollevato di essere stato notato "hanno finito di approntare la vostra camera solo questo pomeriggio, per cui se necessitate d’altro o volete cambiare qualcosa nella disposizione non esitate a chiederlo…”
“Grazie Tom… ehm… sei molto gentile, ma credo che per ora vada benissimo…”
gli sorrise Harry “… tu che ne dici, Ron?”.
“Secondo me è perfetta… sembra che non manchi proprio nulla… c’è anche il mio
baule ” rispose quello con fare compiaciuto.
“Solo, Harry…” continuò il rosso “ti dispiace se prendo io il letto vicino alla finestra?”
“Ok, non c’è problema” gli rispose l’amico, ma non fece in tempo ad aggiungere
altro che Harshwood si era già alzato. A grandi passi, si avvicinò al baule di Ron, per
poi trascinarlo (non senza una certa difficoltà) verso il letto in questione.
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“Oh…” commentò il ragazzo, un po’ sorpreso “non c’era bisogno, comunque grazie…”
“Di nulla… signor Weasley…” la voce di Tom era un po’ affannata. I due ragazzi si
guardarono un po’ straniti.
“Dimmi Tom… tu invece, hai mangiato bene?” fece Harry, tanto per cercare di
metterlo a suo agio, il suo fare perennemente imbarazzato cominciava a stancarlo, specie data l’ora.
“A dire il vero, signor Potter, non ho ancora cenato…” rispose invece l’altro, a voce più bassa e apparentemente in preda alla tentazione di ricominciare a scrutare il pavimento.
“Ecco… forse non era il caso di cenare insieme a voi, ho pensato che potesse mettervi a disagio… così sono sceso ad aiutare in cucina”
“Capisco… Non ti preoccupare, puoi cenare dove preferisci… Perché non fai un
salto giù in cucina ora? Conosco gli elfi che stanno laggiù e sono sicuro che c’è ancora
qualcosa di buono…” Harry gli sorrise incoraggiante “se proprio vuoi, puoi sempre venire a trovarci dopo aver mangiato, intanto che noi prendiamo confidenza con la nostra nuova camera…”
“Grazie signor Potter, è molto gentile… a dopo”.
Harshwood fece ritorno circa una mezz’ora più tardi. Ron dormiva già da un pezzo, mentre Harry, stanco ma ancora elettrizzato dagli avvenimenti della giornata, si rilassava fissando con aria assente il soffitto del suo magnifico letto a baldacchino.
“è permesso?”
“certo, entra! Noi qui abbiamo finito, non credo ci serva nient’altro… sarai stanco
anche tu, immagino!”
“non si preoccupi, non ho ancora sonno, se desidera qualcosa mi faccia sapere”
“Davvero?” Harry alzò un sopracciglio, leggermente accigliato “beh, non saprei…
se hai proprio voglia di fare qualcosa, potresti finire di mettere a posto le nostre cose...
per favore?”
“Non c’è problema”.
“Ok, ottimo! Ora scusami Tom, ma ho sonno, quando te la senti faresti bene a
dormire anche tu, ci vediamo domani mattina”
Detto questo, Harry spense il lume che aveva vicino, afferrò la bacchetta e fece apparire un globo luminoso, quel tanto che bastava per lasciare a Tom la possibilità di vederci almeno un poco. Chiuse gli occhi e in breve si addormentò profondamente.
Tom si guardò attorno. Considerando che i due ragazzi ne avevano preso possesso soltanto poche ore prima e lui si era assentato per poco tempo, la stanza versava in
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condizioni tutt’altro che eccellenti. I bauli erano stati aperti e svuotati malamente, molte cose erano state tirate fuori e lasciate alla rinfusa sul pavimento. Ai capi ancora da
riporre negli armadi, erano stati mischiati gli indumenti usati in giornata e persino le
scarpe da ginnastica di Harry e Ron giacevano qua e là, quasi fossero state lanciate a
caso piuttosto che tolte. Soltanto i libri sembravano non aver ricevuto alcuna attenzione. Il ragazzo fece un respiro profondo ed iniziò a lavorare.
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"Harry! Harry!"
Le grida di Ron svegliarono bruscamente il ragazzo, che ancora insonnolito si rizzò a sedere strofinandosi gli occhi.
Afferrati gli occhiali, Harry si ritrovò a fissare l'amico, in piedi in mezzo alla stanza in maglietta e mutande. Ron sembrava agitatissimo ed indicava un punto imprecisato del pavimento, vicino al letto di Harry.
"Eh? Che c'è Ron, cosa succede?"
"Non so, cioè.. Ho lanciato un incantesimo di protezione attorno ai nostri letti ieri sera, pensavo che Hermione sarebbe stata fiera di me... Solo che credo abbia sortito
un effetto diverso... Lui..."
"Lui.. Chi?" chiese Harry, quindi si sporse dal letto per sbirciare il punto indicato
dall'amico...
"Ma che diavolo...!?"
Tom Harshwood giaceva prono lungo e disteso ai piedi del letto di Harry, il corpo
piuttosto rigido e le braccia disposte in una posa innaturale.
"Cosa pensi gli sia successo?" Ron sembrava vagamente preoccupato
"Non ti preoccupare" tentò di rassicurarlo l'amico, osservando dall'alto Tom "o il
tuo incantesimo lo ha paralizzato, o é stato schiantato ... o tutti e due" Ron sorrise.
“Ah… ok…” poi notò qualcosa di strano “...ma che ha sotto la faccia?”
“Come scusa?” lo guardò Harry interrogativo. In effetti, da sotto il viso del ragazzo sembrava spuntare qualcosa. Con cautela, rivoltò Tom su un lato fino a girarlo completamente… per poi balzare nuovamente sul letto dallo stupore. Guardò la faccia incredula di Ron.
Il volto di Harshwood aveva un colorito quasi violetto, o meglio, quel poco che si
poteva vedere. Il resto, era quasi completamente occupato da una scarpa da ginnastica
di Harry, nel quale il ragazzo sembrava aver immerso il viso giungendo fin quasi a metà.
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Era davvero strana quella posizione. Non poteva esserci semplicemente caduto
sopra quando l’incantesimo di Ron l’aveva colpito, sembrava... sembrava proprio che
ci avesse infilato il naso dentro apposta. Ma era assurdo! Chi farebbe una cosa simile?!
I due ragazzi guardarono Tom dall’alto, sdraiato com’era sul pavimento. Erano
disgustati. Quel tizio aveva passato l’intera notte ad annusare la scarpa di Harry.
“Che schifo!” commentò il giovane eroe. L’amico lo guardò vagamente divertito:
“Puoi dirlo forte amico, secondo me è morto per il puzzo... voglio dire, tutta la
notte!” Harry sorridendo cercò di scrutare l’espressione di Tom dal quel poco di viso
che riusciva a vedere. Avrebbe giurato che fosse contento.
“Harry guarda!” Ron lo distolse indicandogli un punto un po’ più in basso sul corpo di Harshwood.
“Cosa?” gli disse Harry, ma poi capì: il ragazzo aveva il pacco ingrossato, era più
che evidente che avesse un’erezione micidiale in corso.
“Ma che accidenti...?” commentò Harry e Ron fece spallucce, sul viso un sorrisetto come a dire “...non chiederlo a me...” Harry si allungò e prese la bacchetta dal comodino.
“Adesso chiariamo tutto” disse e Ron soppresse una risatina.
“Voglio proprio sentirla questa!”.
Con un colpo di bacchetta, Tom aveva riacquistato la possibilità di muoversi. Si
tolse la scarpa dalla faccia e si mise in ginocchio davanti a loro, con le mani sulle ginocchia. La sua espressione era completamente cambiata: da una statuaria contentezza
adesso era contrita e mortificata.
Harry era seduto sul bordo del letto, mentre Ron era in piedi appoggiato al baldacchino. Entrambi indossavano soltanto una maglietta e i boxer. Tom non aveva il coraggio di guardarli negli occhi e continuava a fissare il pavimento davanti a loro più imbarazzato che mai.
“Tom!?” gli disse Harry mentre continuavano a guardarlo, in attesa di una spiegazione. Il giovane ingoiò e, senza alzare gli occhi, rispose piano:
“Si signore?”. Harry alzò gli occhi al cielo un po’ esasperato:
“Ti spiacerebbe spiegarmi che ci facevi rannicchiato per terra con la faccia dentro
la mia scarpa?!” Tom ingoiò di nuovo e tentò di rispondere:
“L’ho solo presa per metterla a posto ma.... qualcosa mi ha...” non finì la frase perché Harry lo interruppe:
“E con cosa l’hai presa, sentiamo? Con la bocca? Andiamo, non raccontare storie!
L’incantesimo di Ron ti ha semplicemente pietrificato nella posizione in cui eri, non
vorrai farmi credere che ci sei cascato col naso dentro?! Dai! Se vuoi che andiamo d’ac11
cordo, devi essere sincero, devo potermi fidare di te!” Tom era sull’orlo delle lacrime.
Alzò lo sguardo e incontrò quello dei due ragazzi. Lo guardavano con un’espressione
incuriosita. Aspettavano una risposta e lui non poteva non dargliela, doveva... doveva...
“Penserete il peggio di me...” disse loro infine col solito filo di voce.
Ron sorrideva divertito ma Harry cominciava a spazientirsi. Non sapeva come
sentirsi, quello strano ragazzo aveva passato la notte ad annusargli la scarpa, la cosa lo
infastidiva e lo incuriosiva allo stesso tempo.
“Senti Tom, non mi piacciono i giochetti! Voglio la verità! Ora!” lo guardò con un
sopracciglio alzato e tutto sommato si stupì dell’autorità nel suo tono di voce. Quasi
stava per scusarsi ma notò che aveva sortito l’effetto giusto. Gli occhi di Tom si riempirono di lacrime il giovane cominciò a vuotare il sacco.
“Mi dispiace, mi dispiace davvero, non avrei mai voluto che lo scopriste...” disse
loro singhiozzando “...vedete fin da piccolo io e mio fratello facevamo questo gioco...
sapete... padrone-schiavo...”
Ron e Harry non avevano idea di cosa stesse parlando. Ron ridacchiò “Ma che
bel giochetto!” commentò sarcastico “Continua...”
“Beh... Nick, mio fratello, era più grande, più forte, più furbo di me ed era naturale che fosse lui a fare il padrone e io lo schiavo. Gli veniva così spontaneo che dopo un
po’ smise di diventare un gioco per lui. Mi trattava sempre come il suo schiavetto facendomi fare di tutto... di tutto... e io.... beh, col tempo mi ci sono abituato e quasi lo
adoravo...”
Lo guardarono stupiti e in qualche modo divertiti da quel racconto surreale. Harry gli chiese con una punta d’incredulità:
“Ti piaceva fargli da schiavo?” Tom annuì in silenzio e i ragazzi si scambiarono
un’altra occhiata, stavolta divertita.
“Beh, comunque questo non spiega perché ti sei messo ad annusarmi le scarpe!”
il ragazzo inghiottì di nuovo e ricominciò:
“Vedete, uno dei miei compiti principali era prendermi cura, tra l'altro, dei
suoi...” fece una pausa, imbarazzato. I due ragazzi lo guardavano impazienti:
“Si?!” lo spronò Ron.
“...dei suoi piedi...”
“Dei suoi piedi?” ripeté Harry, disgustato.
“Si....” disse loro con aria quasi trasognata “...me li faceva annusare di continuo
e... beh, e non solo... col tempo ha incominciato a piacermi....” poi s’interruppe,
un’espressione triste sul suo volto.
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“Ma che schifo!!” esclamò di nuovo Harry. Ron ridacchiava apertamente ora e
Harshwood provò a spiegarsi:
“Immaginavo che l’avreste presa così! Ma vedete, io... beh, io l’ho fatto per talmente tanto tempo che non riesco ad immaginare la vita senza, non posso più farne a
meno ormai, ne ho veramente bisogno! Quando mi hanno detto che avrei dovuto servire Harry Potter mi sono sentito quasi predestinato... dati i trascorsi della mia famiglia
pensavo che mi sarei potuto redimere, inoltre speravo che Lei avrebbe potuto sostituire...” ma non finì la frase, la sua espressione era di nuovo triste. Harry gli chiese:
“Tom, dov’è tuo fratello adesso?” il ragazzo esitò un attimo, poi gli rispose.
“Lui è... era un mangiamorte Padron Harry... è morto...” ci fu un momento di silenzio imbarazzante, poi Ron pose l’attenzione su un particolare:
“Padron Harry, huh?” disse all’amico e Tom, ancora imbarazzato, rispose:
“Scusate... a me fa piacere chiamarvi così, può capitare che mi venga naturale...
posso continuare a farlo se capita?” Harry scuoteva la testa tra il divertito e l’incredulo
e Ron gli annuì incoraggiante:
“Beh... vedremo, ma se proprio ci tieni amico...” disse Harry “... solo quando siamo in privato, non voglio che la gente si faccia delle strane idee!” Tom sorrise, più tranquillo ora:
“Grazie Padrone!” poi Harry guardò il grande orologio davanti a loro.
“Cavolo siamo in ritardo Ron!” i due giovani si sbrigarono a vestirsi lasciando
Tom inginocchiato sul pavimento. Mentre si allacciava la scarpa, Harry gli disse:
“Tom, di tutta questa faccenda ne riparliamo più tardi, mi sembra assurdo e ci
dobbiamo pensare... tu intanto dai una sistemata alla stanza, poi vai a fare colazione,
ci vediamo alla prima lezione, Erbologia, non te ne dimenticare!”. Detto questo, uscì
dalla stanza, chiudendo la porta sul sorriso timido ma rinfrancato di Harshwood.
Non c'era quasi nessuno lungo le scale e i corridoi, evidentemente la gran parte
degli studenti era già a colazione, probabilmente per non perdersi le ultime frittelle ancora calde. I ragazzi si affrettarono insieme agli ultimi ritardatari.
"Tu pensi... " sussurrò Ron mentre i due imboccavano una scorciatoia "che quel
tipo... Harshwood, sia completamente ammattito vero?".
"Beh... perché, tu no invece?" Harry guardò sorpreso l'amico, quindi proseguì "voglio dire... secondo me ha qualche problema, hai visto anche tu quello che... quello che
ha fatto no? Sarà anche rimasto sconvolto per la storia del fratello, ma francamente
quello che combinavano mi pare assurdo...".
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"Lo é infatti" convenne Ron "ma considerando da dove proviene, quel tizio avrebbe potuto perfino provare ad ucciderti, non poteva sapere del mio incantesimo... Invece ha preferito adorarti!".
"Credi mi sia piaciuto?" Harry alzò un sopracciglio.
"Non dico questo..." rispose l'altro "ma in fondo, non ci ha fatto niente di male,
devo dire che mi fa un po' schifo quello che fa ma... Beh, lui ci serve!".
"Ci serve?"
"Preferisci passare tutto l'anno a studiare da solo senza il suo aiuto?".
Harry lo fissò, era rimasto talmente sorpreso dagli ultimi avvenimenti da dimenticarsi che, in fondo, Tom aveva ufficialmente la funzione di assistente, specie per ciò
che riguardava la scuola.
"In effetti..."
"Beh, pensaci amico... In fondo possiamo contare anche sull'aiuto di Hermione...
però lei vuole concludere gli studi al più presto, è davvero molto impegnata e io... Beh,
non voglio certo passare il tempo con lei solo a stare sui libri! Ho anche altro da fare,
sai?".
"Ok ok..." ridacchiò Harry "Ci penserò, promesso...".
Erano arrivati. Percorsero i lunghi tavoli delle Case e si sedettero vicino alle loro
ragazze, impegnate in una fitta conversazione. Hermione stava rimettendo nella borsa
i suoi libri, con i quali aveva invaso una vasta porzione del tavolo. Baciò appassionatamente Ron, per poi cacciare metà dei suoi libri nella borsa del ragazzo.
“Scusa caro, puoi portarmeli tu? Io devo correre in biblioteca a prenderne di nuovi, potrebbero servirci!”.
“… Fortunato te che mia sorella non è un granché come studiosa!” commentò
Ron rivolto ad Harry, mentre questi sedeva accanto a Ginny. La ragazza lo guardò con
un sopracciglio alzato:
“Ha parlato il genio della famiglia!” Harry sorrise.
Un quarto d’ora più tardi, i quattro erano in aula, seduti vicini in fila. La lezione
era appena cominciata, quando entrò anche Tom, leggermente accaldato. Era chiaro
che aveva corso su e giù per metà del castello. Si sedette in silenzio nella fila dietro ai
ragazzi che lo salutarono con un’occhiata eloquente.
Storia della magia era, notoriamente, molto, molto noiosa. A parte Hermione che
come al solito seguiva attentamente senza lasciar trasparire la minima disattenzione,
il resto della classe sprofondò in un silenzio soporifero. Ginny tentava disperatamente
di scribacchiare qualcosa dagli appunti presi ad una velocità impressionante dall’amica, per poi far scorrere a sua volta il proprio foglio verso Harry, in modo che il ragazzo
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potesse copiare qualcosa. Ron, che sembrava aver rinunciato da tempo, giocava distrattamente con la sua piuma, finché non la fece cadere assieme alla boccetta d’inchiostro,
lasciata mezza aperta. Il tutto si rovesciò a terra e il vetro si ruppe.
“Oh cavolo…”
Aveva appena fatto in tempo a realizzare quanto accaduto che una mano si mosse dietro di loro. Un semplice, leggerissimo quanto rapido tocco di bacchetta e il pavimento tornò immacolato, la boccetta vuota si era ricomposta. Ron alzò gli occhi e si ritrovò a fissare Harshwood che, sorridendo, gli stava porgendo la piuma.
“Ecco qua… credo sia vostr… tua. Non ti preoccupare per l’inchiostro, se serve ti
presto volentieri io quello che ti occorre”.
“Oh… grazie” il ragazzo sorrise, lanciando un’occhiata ad Harry.
“Scusalo” intervenne Ginny, rivolgendosi gentilmente a Tom “...mio fratello è
sempre stato un po’ maldestro”.
“Nessun problema…”
“Non a quanto pare…” osservò Harry “basta adesso, prima che ci dicano qualcosa…”.
Tutti quanti tornarono in silenzio, fingendo di concentrarsi.
Passarono dieci minuti, quindi improvvisamente le piume dei due ragazzi caddero di nuovo in contemporanea, i loro proprietari che si guardavano sorridendo. Chiaramente, le avevano gettate in terra di proposito, eppure un secondo dopo Tom le aveva
prontamente raccolte.
Ron strappò un pezzo della propria pergamena, bisbigliò qualcosa ad Harry e per
la prima volta dall’inizio dell’ora si mise a scrivere. Ripiegò il foglietto, che si sollevò
per poi planare dolcemente volando a bassa quota in modo da non essere visto. Puntò
dietro di loro, dritto verso Harshwood, il quale lo afferrò e, stupito, lo aprì.
“Ciao amico… riguardo stamattina, l’idea fa quasi schifo, ma apprezziamo il tuo
lavoro, fai anche di più di quello che dovresti. Basta che continui ad “assisterci”, specie
per la scuola e non lo diremo a nessuno, tranquillo… sei anche abbastanza simpatico e,
in cambio del tuo aiuto, se proprio vuoi possiamo aiutarti a comprendere meglio il
tuo… problema”.
Tom rilesse il biglietto due volte, quindi alzò lo sguardo verso i due ragazzi, che
lo sbirciavano da davanti. Nonostante l’imbarazzo, intercettò il loro sguardo, sorrise e
annuì lentamente. Poi chiuse la mano, accartocciando il tutto. Quando la riaprì, non
c’era più nulla sul suo palmo.
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Quella sera, quando rientrarono dopo cena, i due amici trovarono la propria stanza ancora più lustra del solito. Harshwood aveva appena finito gli ultimi ritocchi e li salutò sorridendo.
“Bel lavoro Tom” si complimentò Harry, “vai pure a dormire se ti va, sarai stanco
più di noi immagino…”
Il ragazzo ora li fissava entrambi, incerto. Sembrava combattuto, come se volesse
dire qualcosa.
"Si?".
"Riguardo ad oggi, il biglietto...".
Harry alzò un sopracciglio, ma rispose comunque "Tranquillo, dopo il lavoro che
hai fatto oggi, ci accontentiamo che tu sia un bravo assistente... Non importa cosa ti
piace, finché non disturbi quelli sono fatti tuoi".
"No... Avete ragione..." Tom stava arrossendo violentemente "io ho un problema
e mi chiedevo... insomma avete scritto di potermi aiutare".
"Ah già...ehm..." iniziò Harry, vagamente preso alla sprovvista, ma Ron lo precedette:
"Beh, senza offesa ... non credo ci sia molto da fare... voglio dire... cavolo, ti piacciono i piedi... i piedi!!!" sottolineò la parola scuotendo la testa incredulo "normalmente farebbe un po' senso, ma dato che sei fin troppo bravo e non vogliamo certo liberarci di te...credo che la cosa migliore che tu possa fare sia o superare il tuo problema o
accettarlo ..."
"Io... grazie..." borbottò Harshwood, ma il ragazzo continuò:
"Certo, se proprio non ne sei sicuro, basta poco a verificare... dammi un attimo e
vedrai se non ti convinco ehehe".
Detto questo, Ron attraversò la stanza e si sedette sul bordo del proprio letto, in
attesa. Tom restò come inebetito, una strana espressione in volto.
"Allora?" lo incoraggiò quindi il ragazzo, sorridendo "se proprio non riesci a farne a meno, tanto vale che ti abitui subito... e poi non dovresti fare tanto il timido, la
tua figuraccia l'hai già fatta stamattina no? ".
Era un tono leggero e quasi amichevole, eppure Tom si sentì comunque umiliato
da quella frase. Allo stesso tempo, sentiva che il ragazzo stava dicendo la verità. Potevano cacciarlo, non lo avevano fatto e gli stavano offrendo un'altra strada... non sapeva
cosa stesse andando incontro ma chissà, forse in cambio del suo lavoro sarebbero potuti diventare amici. L'alternativa, rifiutare, apriva scenari ben peggiori: una parola dei
ragazzi al Ministero e sarebbe stato rovinato per il resto della sua vita.
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Harshwood non aveva mai avuto scelta: imbarazzatissimo, si avvicinò al letto di
Ron, lo sguardo che ormai sfrecciava a tratti verso il pavimento. Anche Harry, suo malgrado, non poté non essere stupito da quell'insolita scena. Borbottò qualcosa che suonò come un "bah...!", fece un mezzo sorriso e scrollò le spalle, quindi se ne andò verso
il bagno. Lasciò soli gli altri due e Ron ridacchiò.
"Allora... me le devo togliere io queste benedette scarpe? Ti credevo più appassionato amico ehehe".
"Si... si certo” Tom non sapeva che dire, stava al suo corpo rispondere per lui. Si
inginocchiò. Sciolti i lacci, le sfilò entrambe con estrema delicatezza e le resse.
“Senza offesa, fai un po’ pena con le scarpe in mano … dammi qua …” Ron allungò un braccio, premuroso, quindi aggiunse sorridendo “e adesso, che ci facciamo con
questa?”
“Io …” cominciò Harshwood, ma il ragazzo non lo lasciò finire.
Con una risatina, Ron gli spinse la scarpa sul volto, intrappolandogli il naso all’interno ed occupandogli una buona parte di visuale.
“Giusto per non lasciar cadere nel dimenticatoio la storia di stamattina, che ne
dici? Serviti ed annusa pure, stavolta sei tra amici ehehe … prenditi tutto il tempo che
vuoi!”.
Tom non riusciva a crederci. Era completamente sconvolto, eppure non poteva
smettere, gli occhi azzurri del ragazzo che continuavano a fissarlo divertiti ed increduli.
Il tutto durò svariati minuti, fu Ron a rompere lo strano silenzio che si era venuto
a creare nella stanza.
“Basta così direi … sei tutto rosso … non vorrei farti soffocare il primo giorno di
lavoro ehehe!”.
“Beh?” continuò quindi incoraggiante “va meglio? Iniziamo ad accettare la cosa,
vero?”.
Tom non emise alcun suono, ma sorrise. Si sentiva umiliato certo, eppure era
quasi contento che quel tipo, che pure poteva cacciarlo via a calci, stesse invece li a “divertirsi” con lui.
“Chi tace acconsente” sembrarono pensare entrambi e il ragazzo, non ottenendo
risposta, prese l’iniziativa, contento che l’altro apprezzasse.
Pochi minuti dopo Ron stava ormai strusciando il suo piede destro, ancora avvolto in un calzino colorato, lungo tutto il viso di Tom. Ci giocherellava tutto interessato,
coprendogli gli occhi e passando dalla bocca al mento, impedendogli di parlare e soffer-
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mandosi infine più volte sul naso. Ogni volta che ciò accadeva, il suo sorriso incuriosito si allargava un altro po’.
“Tom! Ma che state… ancora!? Ron, ne abbiamo già parlato stamattina, ma non
pensavo sareste arrivati a tanto!”. Harry, cambiatosi, era tornato. Indossava una maglietta bianca e i boxer neri. Ai piedi aveva ancora i calzini alla caviglia. Spostava gli occhi dall’amico ad Harshwood e, nonostante fosse un po’ disgustato, quella scena era così ridicola che non riusciva a prenderla seriamente. Era assurdo.
“Harry scusaci” ridacchiò Ron, togliendo di colpo il piede dalla faccia di Tom “il
nostro compare qui era ansioso di sperimentare e l’ho accontentato… così la prossima
volta s’imbarazza di meno…”
“Si… è vero…” tentò debolmente di sostenerlo l’altro, ma Harry ne aveva abbastanza.
“sentite, fate quel che volete” sbuffò, quindi si mise a letto, fissando i due con fare corrucciato. Ron si strinse nelle spalle a mo’ di scusa, mentre Harshwood sembrava
mortificato. Calò un silenzio spiacevole finché …
“Mi dispiace Signor Potter… era solo un gioco … volete che lo faccia anche a voi?”
Ron scoppiò a ridere e perfino Harry per un secondo dimenticò di fingersi arrabbiato, lasciandosi scappare un mezzo sorriso incredulo. Povero Tom, davvero non aveva capito nulla? Possibile che si sentisse in colpa per non avergli prestato le dovute attenzioni?
“Tom…” il ragazzo alzò gli occhi al cielo, esasperato “pensa ad aiutarci negli studi
piuttosto che ai piedi, fa schifo come cosa e poi abbiamo così tanto da fare! Già domani mattina dobbiamo iniziare a preparare un tema!”.
“Li faccio io, adesso…” Harshwood parlò d’istinto “voglio dire… se mi lasciate…
ve li svolgo io dopo, promesso…”.
“Vuoi dire…” fece Harry incredulo “che se te lo lasciamo fare ci fai tutti i compiti
stasera?”
“Se volete, penso di si…” Tom era rosso come un peperone, mentre si avvicinava
al letto del ragazzo.
“Pensi…?” lo incalzò Ron
“Si”.
“Beh…” Harry si sentì quasi in colpa guardando il volto implorante che aveva di
fronte, quindi con un sospiro spinse un fuori un piede da sotto il lenzuolo “solo, cerca
di non abituarti troppo amico… consideralo un favore”.
Poco dopo, mentre ancora Ron ridacchiava a tratti in sottofondo, Harshwood era
già al lavoro ed Harry sfogliava beatamente l’ultimo numero di Quidditch oggi. Tenta18
re d’ignorare i lenti respiri del suo nuovo assistente all’opera non era poi tanto difficile.
Tom strofinava il naso con tutto se stesso sui fantasmini neri di Harry. Erano
umidi... molto umidi e l’odore era davvero forte. Come se non bastasse, oltre ad essere
bagnaticci restavano pur sempre caldi, per cui quell’odore sembrava quasi depositarsi
sul suo viso e rimanerci. Aveva un’erezione in corso come non ne aveva mai avute in
vita sua. Due ragazzi... no, no, no! Due eroi come loro gli stavano permettendo di realizzare le sue fantasie perverse. Il ragazzo aprì gli occhi a cercare i loro sguardi. Trovò
solo quello di Ron che continuava ad osservarlo ridacchiando. Harry lo ignorava, immerso nella sua lettura.
“Dì un po’ amico, ti piacciono?” gli chiese Ron e Harry distolse lo sguardo dalla
rivista.
“Si...” disse loro un po’ timidamente “grazie... grazie davvero, vi sarò sempre debitore!” continuò. Il ragazzo rise, mentre Harry scosse il capo tornando al suo articolo,
ma sorrideva.
“ehehe!! Non c’è di che amico! Se continui a servirci così bene, direi che possiamo tranquillamente concederti questo...” si fermò a cercare una parola adatta “...chiamiamolo ‘divertimento’, che ne dici Harry?!”
Il ragazzo guardò Harshwood col naso appiccicato ai suoi calzini sudati. Era patetico, non c’era un altro aggettivo che lo descrivesse altrettanto bene. Sorrise.
“Beh, vedremo, intanto tu pensa a fare bene il tuo dovere...” e tornò a leggere.
Ron sorrise incoraggiante allo strano ragazzo inginocchiato sul pavimento di pietra della loro camera.
“Si signore, padron Potter!” gli rispose zelante Tom.
Passarono alcuni minuti di silenzio, interrotto solo dalle risatine di Ron, dai respiri deliziati di Tom e dal voltar di pagine della rivista di Harry, finchè …
“Come accidenti fai amico!?” gli disse Ron. Tom non fece che sorridere.
“Mi piacciono così tanto...” disse sognante strofinando la faccia sulla pianta di
Harry.
“Che schifo...” borbottò quest’ultimo chiudendo la rivista e volgendo la sua piena
attenzione alla scena. Ron fece una smorfia, quasi fosse offeso:
“Hey! Vuoi dirmi che ti piacciono più dei miei?”
“Ron!” gli disse Harry tra il divertito e l’esasperato. L’amico si strinse nella spalle:
“Che c’è?! Sono curioso, no?” Harry non poté fare a meno di sorridergli.
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“Allora?” lo pressò Ron. Tom rimase un attimo inebetito.
“beh... non saprei signore.... sono... diversi...” finì con un filo di voce. Ron e Harry si guardarono e scoppiarono a ridere.
“Hahahaha!!! Che accidenti vuol dire sono diversi? Sono piedi! Puzzano di piedi,
com’è normale!” gli disse Harry. Tom lo guardò e sorrise imbarazzato.
“Beh, in realtà i vostri due odori sono ben distinguibili per me padron Harry...” il
ragazzo fece una smorfia e Ron continuò.
“Ok, allora dicci quale ti piace di più!” Tom li guardò un po’ incerto. Poi si voltò
verso Ron:
“Posso risentire...” gli disse indicandogli i piedi.
“Hahaha!! Serviti pure amico!” gli disse il rosso alzando un piede per avvicinarglielo alla faccia. Anche Harry ridacchiava adesso. Tom premette il viso sui calzini di
Ron ed inspirò a fondo ripetutamente, ogni volta concentrandosi su una parte diversa.
Da sopra le dita a sotto di esse, dove il calzino era più scuro essendo intriso dal sudore
della giornata, per poi passare a tutta la pianta. Una, due, tre volte. Poi aprì gli occhi e
li guardò. Stavolta fu Harry a rompere il silenzio.
“Allora?”
“Beh, è difficile... è come chiedermi di scegliere tra.... una torta al cioccolato e un
profiterole alla panna... vado matto per entrambi, non posso scegliere!” Ron e Harry si
guardarono e scoppiarono di nuovo a ridere. Ma diceva sul serio?
“Tu sei tutto matto amico! Hahaha!!!” gli disse Harry e Ron scosse la testa. Tom
abbassò lo sguardo imbarazzatissimo e dispiaciuto. Harry se ne accorse e smise di ridere.
“Tranquillo amico! Ron ha ragione. Tu fai il bravo assistente e noi in cambio...
beh, se ce lo chiedi gentilmente, s’intende, potrai annusarci i piedi ogni tanto, che ne
dici?” gli occhi di Tom s’illuminarono.
“Grazie, grazie davvero...” non sapeva cos’altro dire loro.
“Dai Ron, andiamo a letto che è tardi. Tom, tu hai i nostri due saggi da scrivere,
meglio che ti metti a lavoro!”
“Si signore!” Ron fece uno sbadiglio.
“Posso chiedervi un favore?” chiese loro Tom.
“Cosa?” fece Ron.
“Beh, ecco, mi chiedevo se potevo avere i vostri calzini... per tenermi compagnia
mentre scrivo...” era tutto rosso per l’imbarazzo. Un altro scambio di occhiata tra Ron
e Harry.
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“Sempre più strane le tue richieste...” commentò Harry “...comunque per me va
bene...” gli mise i piedi davanti alla faccia, senza farsi più molti scrupoli “...prendili pure, me li sarei tolti in ogni caso.” Tom non riusciva a crederci. Emozionato come un
bambino, liberò i piedi di Harry rimirandone la bellezza, le dita lunghe e le piante strette ed affusolate. Dopo poco più di un istante Harry li infilò sotto le lenzuola e Tom si
mosse automaticamente verso Ron che gli sorrideva. Il ragazzo gli porse i piedi, era talmente divertito che nel suo slancio colpì leggermente Tom in faccia per l’entusiasmo.
“Ooooops … scusami, non ti distrarre troppo amico, scrivici cose intelligenti in
quei saggi!”
“Certo, certo, state tranquilli, saranno perfetti!” disse loro ma non li stava guardando. Aveva appena tolto un calzino a Ron e il suo sguardo non percepiva altro che le
sue piante larghe e la pelle chiara. Ron alzò un sopracciglio al sorriso ebete del ragazzo. Poi s’infilò sotto le lenzuola ed insieme al suo amico fraterno osservò Tom affondare il naso nei loro calzini, in estasi. Dopo qualche secondo Harry lo interruppe:
“Tom, va’ a scrivere, altrimenti te li togliamo!” gli disse con un’insolita autorità,
tanto che Tom sobbalzò.
“E mi raccomando” aggiunse con leggerezza Ron “divertiti finchè vuoi, ma non
lasciare quei calzini vicino ai fogli, non vorrei che puzzassero anche i nostri temi ehehehe”
“No, no, vado subito, vado subito!” Si alzò “buonanotte padron Harry, buonanotte padron Ron!”
“notte Tom” gli risposero i ragazzi e Tom uscì dalla loro stanza.
“Questo è completamente fuso!” commentò Harry, aspettando qualche secondo
per sentire i passi di Tom svanire nel silenzio della notte.
“Totalmente!” gli rispose Ron “Però può renderci la vita MOLTO facile amico
mio. Pensaci. In fondo tutto quello che vuole è servirci e come ricompensa vuole solo
odorarci i piedi. A noi non costa nulla, no?”
“Si ma...” Harry fece un’altra smorfia di disgusto.
“Lo so amico, fa vomitare! Ma se a lui piace...” Ron fece spallucce e Harry scosse
la testa. Poi disse:
“Se le ragazze lo scoprono...” Ron sorrise.
“E perché dovrebbero scoprirlo?” Harry alzò un sopracciglio.
“E dai staremo attenti! Hai visto quant’era contento, vorresti deluderlo?”
Harry sospirò, poi scrollò le spalle.
“Ok, mi hai convinto.” Ron rise.
“Grande, amico! Quest’anno volerà in un attimo, vedrai!”
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“Si, si, come no!” gli rispose Harry ma stava sorridendo, pensando che forse Ron
non aveva tutti i torti.
Erano passate due settimane dall’inizio della scuola e Tom era il ragazzo più felice di questa terra. Vero, tra il seguire le lezioni, fare i propri compiti e fare da assistente a Harry e Ron non aveva tempo per sé ma questo non gli importava minimamente
perché i due ragazzi gli avevano reso la vita incredibilmente eccitante. Ormai annusava loro i piedi quasi ogni sera, era il suo premio per aver fatto il bravo durante il giorno e lui ci teneva così tanto da non mancare mai di nulla nei loro confronti.
Si era creata una piccola e perfetta routine quotidiana che lo vedeva inginocchiato davanti ai loro letti ad annusare mentre loro si rilassavano a fine giornata. Era il
massimo che potesse chiedere. O così credeva.
Erano le 18.11 quando Harry entrò nella sua stanza sbattendo la porta. Tom lo
guardò, era livido in volto e borbottava tra sé e sé una sequela di parolacce.
“Padron Harry? Qualcosa non va?” chiese timidamente Tom. Harry gli rispose
sarcastico:
“Ma no?! Come hai fatto a capirlo Tom? Sei un genio!” Tom abbassò gli occhi imbarazzato e Harry si buttò sul letto quasi con rabbia.
“Possibile che non sappia mai quand’è il momento di smettere?!” Tom si rese conto che il ragazzo doveva aver litigato con Ginny. Era già successo e, per esperienza, sapeva che era meglio lasciarlo sfogare. Gli si avvicinò e s’inginocchiò al fondo del letto.
“Ma chi si crede di essere!” continuò Harry mentre Tom aveva già cominciato a
slacciargli le scarpe da ginnastica.
“Come se fosse l’unica ad avere un cervello! Deve avere sempre l’ultima parola!”
Tom accolse il forte odore del suo padroncino nei polmoni, strusciando la faccia su
quei calzini umidi.
“In fondo vorrei soltanto un minimo di rispetto, non mi sembra di chiedere troppo, no?!” disse Harry guardando Tom e notandolo realmente per la prima volta da
quand’era entrato nella stanza.
“Hey! Chi ti ha detto che era il momento del tuo premio?!” gli disse ancora più
seccato. Tom fece un’espressione contrita.
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“Mi dispiace, volevo solo farti rilassare padrone, sei così teso!” disse piano. Harry
sbuffò ma non gli disse di smettere. Incrociò le braccia dietro la testa e lasciò che Tom
riprendesse il suo divertimento. Dopo qualche altro secondo di silenzio Tom disse:
“Per quello che può valere padron Harry, tu meriti il massimo rispetto possibile... e anche oltre! Tu e padron Ron mi avete reso felice come non lo ero da tanto tempo!” Harry abbassò lo sguardo e non poté sopprimere un sorriso.
“Sei davvero strano, lo sai?”. Tom sorrise.
“Lo so signore!” rispose quello.
“Quindi immagino che tu una ragazza non ce l’abbia mai avuta, dico bene?”
“Signore... a che mi serve una ragazza quando tutto quello che amo è di fronte a
me?” gli rispose guardando trasognato le sue piante sudate. Harry fece un’espressione
disgustata:
“Tom, non so se sentirmi lusingato o vomitarti addosso!” il ragazzo sorrise ma
continuò ad inspirare profondamente.
“Beh ma sei un adolescente, come me, non ti viene mai voglia di... che ne so... baciare qualcuno?” Tom pensò un attimo, poi gli rispose:
“Beh, ho una voglia matta di baciare padrone... ma non qualcuno...” gli disse a
mezza voce guardandolo imbarazzato. Harry sorrise aggrottando un po’ le ciglia. Poi
scosse il capo:
“Non ho parole... e va bene, forza! Toglimi le calze e dai sfogo a tutta la tua passione!” gli disse divertito. Tom lo guardò come se fosse arrivato Natale in anticipo.
“Dici davvero?”
“Beh, è la cosa più naturale... se ti piace così tanto annusarli perché non dovresti
baciarli?!” Tom gli fece un sorriso pieno di gratitudine e Harry gli sorrise di rimando.
“Grazie!” gli disse solo e l’eroe nazionale scosse di nuovo il capo.
Tom gli tolse le calze e per la prima volta dopo tanto tempo appoggiò le labbra
umide su ciò che adorava di più dandogli un lento, passionale e languido bacio. Aprì
gli occhi per guardare il suo padrone che gli sorrideva. Rimase immobile.
“Beh? Non ti fermare. Mostrami tutto il rispetto di cui parlavi prima!” Tom sorrise contento e ricominciò. Harry si sorprese delle parole che gli uscivano dalla bocca.
Ma che diavolo ti è preso? Parte della sua coscienza gli urlava sdegnata. E’ così che si
tratta un ragazzo pieno di problemi?
Tom gli baciava i piedi con ingordigia, come se avesse paura che gli scomparissero da davanti agli occhi. D’altro canto però, fece eco il diavoletto dentro la sua testa, è
lui a voler essere trattato così, in fondo è un piacere per lui, no? Guardalo! Nessuno lo
sta obbligando a fare niente e poi in fondo non è maltrattato, anzi viene lasciato libero
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di fare ciò che gli piace!” Sentiva le sue labbra aderire dolci sotto le sue piante, solleticandolo quando passavano sotto le dita, venerando ogni centimetro di pelle odorosa.
Harry si scoprì incline a quel trattamento, in fondo non gli dispiaceva affatto, finalmente qualcuno gli portava un po’ di rispetto! Guardò Tom pomiciare con i suoi piedi
per diversi minuti. Era incredibile. Era completamente perso nella passione, non esagerava nel dire che li amava, era così evidente.
“Tom, sai una cosa? Sei riuscito davvero a farmi rilassare un pochino, hehe!” gli
disse sorridendo. Harshwood era contento come una Pasqua.
“Mi fa piacere signore!” poi gli sorrise un po’ malizioso “sai, quando mio fratello
era arrabbiato c’era una cosa che lo rilassava completamente....”
“Ah, si? Cosa?” chiese l’altro, curioso.
“Beh, lui... si stendeva sul letto a piedi nudi e se li faceva... lavare...” gli disse baciandogli l’alluce destro.
“Lavare i piedi?” ripeté Harry interrogativo.
“Si! Se vuoi posso provare, lo sai che mi farebbe solo piacere farti scaricare dallo
stress! Tra l’altro è uno dei miei divertimenti preferiti” gli disse con un sorriso imbarazzato. Harry scrollò le spalle non sapendo esattamente dove volesse andare a parare.
“Ok, non vedo cosa ci sia di male!” disse noncurante. A Tom si accesero gli occhi.
Sorrise al suo padrone, poi tirò fuori la lingua e leccò la pianta del suo piede dal tallone alle dita con un’espressione sul volto che era la definizione stessa dell’estasi.
“Aaaahhhh! Dai amico! Fai veramente vomitare, lo sai!?” gli disse Harry schifato,
non allontanandogli però i piedi dalla faccia.
“Lo so...” gli disse piano Tom “...ma sapessi quanto mi piace...” continuò sempre
più imbarazzato guardandolo negli occhi. Il silenzio venne interrotto dalla pendola che
segnò le 18:30. Harry alzò un sopracciglio e gli disse:
“Se non ti sbrighi ad andare a mensa salterai la cena.”
“Cena?” gli rispose l’altro “...la mia cena è davanti a me signore, sto solo aspettando il tuo permesso di gustarmela...” Harry non poté fare a meno di sorridere. Questo
ragazzo era talmente patetico da essere ridicolo. Se lo voleva davvero...
“Come vuoi! Lecca pure finché vuoi, direi che per oggi te lo sei meritato”
24
C A P I TO LO 3
Effettivamente, Tom quella sera continuò a leccare per parecchio tempo, senza trovare
la forza di smettere nemmeno per un secondo.
Per tanto tempo si era promesso di non ricaderci più e di dimenticare, eppure eccolo di nuovo al posto che gli era sempre “spettato”, la lingua che scivolava avanti e indietro appiccicata alle piante sudate del giovanotto di fronte a lui, dolcemente innamorato e al contempo fatalmente schiacciato dal suo sapore. Harshwood non sapeva se
gioire o commiserarsi, d'altronde non poteva essere più patetico di così. Ma che poteva
farci? A quelle pulsioni era difficile resistere. Probabilmente l’altro dovette avvertire il
tumulto nel suo animo, perché sorrise indulgente e richiamò l’attenzione di Tom schiarendosi la voce.
“Ehm.. penso che possa bastare, sei stato proprio bravo… lascia pure stare lì, che
magari mi fa solletico…”
Forse per pena o disgusto, Harry scostò i piedi dal volto del suo assistente prima
che questi cominciasse a ‘lavargli’ le dita o, peggio ancora, leccare i residui nerastri dei
calzini che vi erano rimasti in mezzo.
“Posso continuare…” fece Harshwood, ma poi si zittì rendendosi conto di quello
che stava dicendo.
“Così mi sono ridotto…” penso sconsolato il ragazzo “quasi lo prego di leccare lo
schifo che c’è lì dentro…”. Era vicino alle lacrime.
“Nah, figurati…” lo rassicurò Harry “… però puoi continuare ad annusarli se ti
va… piuttosto, perché non mi parli di come ti trovi qui a scuola? Ovviamente escludendo questi nostri giochetti …”
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Fu così che, dopo un’iniziale esitazione, Tom e il nostro eroe iniziarono a chiacchierare del più e del meno, poco importava che il primo stesse letteralmente ai piedi
del secondo. Quel particolare rapporto non dispiaceva a nessuno dei due e, a meno che
l’attendente non avesse la lingua “occupata”, non c’era ragione per cui non si potesse
parlare quasi come due amici. Per Tom era qualcosa di mai provato. Non suo passato
non c’era stato spazio per le chiacchiere: servire i bisogni di suo fratello era stato il suo
scopo, senza ricevere mai niente in cambio. Inutile dire che essere considerato gli facesse piacere, si sentiva più a suo agio e metteva più impegno nel dedicarsi al suo padroncino gentile, c’era tutta un’altra passione, un’altra devozione.
Non era difficile prevedere che a quella notte ne seguirono altre simili, soprattutto quando Ron non c’era. Ciò significava meno lavoro per Harshwood (i doveri del giovane verso entrambi i due amici non erano venuti meno), che quindi trovava il tempo
da riservare ad Harry. Quest’ultimo si trovò presto anche a ripassare durante la sera,
leggendo i libri o gli appunti a voce alta mentre lasciava che Tom baciasse e leccasse,
ascoltando la lezione. Studiare stava quasi diventando un divertimento.
___________
Passarono un paio di settimane, finché una sera Ron non irruppe precipitosamente nella stanza. Aveva il mantello zuppo e l’aria esausta.
“Maledetta pioggia, sono sfinito! Voi che state…?” si fermò di botto alla vista di
Tom, la lingua incollata al tallone del suo amico.
“Cosa diavolo…?”. Era senza parole.
“Stiamo solo studiando, siamo quasi a metà libro!” gli rispose l’altro, ed
Harshwood annuì convinto. Harry gli fece l’occhiolino con aria complice.
“Già, se Storia della Magia è così spassosa potevate anche dirmelo prima!” borbottò Ron sarcastico, lanciando il mantello su una sedia con l’aria ancora un po’ nauseata.
“Beh, Tom si è solo lasciato prendere un po’ la mano ma non ti preoccupare, lo
tengo d’occhio… ancora un po’ e mi leccherebbe persino le scarpe se avessero bisogno
di una pulita!” ironizzò Harry, ma poi si affrettò ad aggiungere “Ehi!!! Fermo tu!!! Sta26
vo scherzando, sarebbe davvero il colmo! Che schifo!!!” perché effettivamente il suo
attendente si era mosso subito, senza riflettere. Tutti e tre ridacchiarono di fronte a
quella scena assurda, quindi Tom si rivolse a Ron.
“posso continuare con te se ti va... chissà potrebbe piacerti!” Ron lo guardò.
“Bah... ad essere sinceri oggi non te lo consiglierei proprio, fidati" scosse gentilmente la testa il rosso, gettandosi sul letto ancora vestito "mi sento i piedi in fiamme,
sono tutti bagnati e chissà quanto sporco c'è attaccato... è vero che siamo amici e ti
piacciono, ma farteli leccare in questo stato... mi sembra una cosa troppo degradante,
no?"
Tom non poté evitare di sentirsi umiliato da quelle parole. Tra lui e quei due si
era ormai venuta a creare una buona intesa, Ron era stato sincero per il suo bene, eppure, chissà perché, ora si sentiva più nullità di quanto già non fosse. Il solo fatto che
ne stessero parlando gli provocava quella reazione. Il ragazzo non sapeva bene se essere deluso o sollevato da quel diniego, per cui tornò ad occuparsi di Harry. Questi scrollò le spalle e guardò Harshwood come a dire “è una scelta sua, no?”, quindi gli rimise i
piedi davanti al volto e riprese a leggere con una certa nonchalance. Del resto ormai
quello più abituato a quel trattamento era lui.
Passò qualche altro minuto, finché Ron non parlò di nuovo con aria assente mentre, steso sulla schiena, fissava il soffitto.
“In effetti, se proprio vuoi, c’è qualcosa che mi potrebbe far comodo… ti andrebbe di farmi un massaggio?”
“penso di sì…” fece Tom, lanciando un’occhiata ad Harry.
“Per me va bene” sorrise tranquillo quest’ultimo, allontanandogli le proprie estremità dalla faccia “direi che per stasera siamo a posto, sono stanco e non ho più voglia
di ripassare!”
Ron non aveva mentito, si disse Harshwood pochi minuti dopo. Avvicinatosi al
suo letto, gli aveva appena sfilato le scarpe e già l’aria era pervasa da un odore inteso e
pungente, molto più forte del solito. Ad ogni modo, non era certo il caso di darlo a ve27
dere: cominciò a massaggiare delicatamente mentre l’altro, gli occhi chiusi, si rilassava.
I calzini colorati a righe che il giovane aveva ancora indosso erano fradici e in
breve resero bagnate e scivolose anche le mani di Tom, ma questi continuò a lavorare
imperterrito. Si sentiva quasi schiacciato da quell'odore eppure non poteva fare a meno di provare un’insana, indefinita forma di riconoscenza per quello che gli era concesso fare e che nessun altro al di fuori di quella stanza sarebbe venuto a sapere. Senza
rendersene conto, Harshwood cominciò a strusciare forte anche tutto il viso sui piedi
caldi e sudati che aveva davanti, affondandoci dentro quasi come a coccolarli.
Dopo alcuni secondi Tom ricevette un colpetto in faccia. Ron lo stava fissando, le
sopracciglia alzate e una buffa smorfia sul viso, a metà tra il disgustato e il compassionevole. Anche Harry stava osservando la scena tutto interessato e per sdrammatizzare
esclamò indulgente "ehi! Pensavo che i massaggi si facessero con le mani!"
"già..." convenne Ron un po' imbarazzato, per poi rivolgersi a Tom "senza offesa
amico, devo ammettere che è piacevole da sentire ma fa un po' senso da vedere... insomma, sento l’odore io da qui!!! Non ti fa schifo?" Tom lo guardò.
“Se anche fosse, non mi lamenterei mai, lo sapete… e poi, hai detto che ti rilassa
no?” fu la timida risposta. Ron sorrise.
“Sicuro?”.
“Si” stavolta la risposta fu più sicura e Ron scrollò le spalle.
“Come vuoi allora… in ogni caso, sono troppo stanco per impedirtelo” sorrise,
poi, bonariamente, quindi si distese nuovamente e richiuse gli occhi, mentre
Harshwood, entusiasta, ricominciava da dov’era rimasto.
Più passava il tempo, più era palese che al rosso il "massaggio" non spiaceva affatto. Ormai in uno stato di dormiveglia e solo semi-cosciente, Ron muoveva i piedi come a cercare il viso di Tom, difficile dire se si ricordasse che questi era ancora lì in ginocchio davanti al suo letto. Gli solleticava il volto con le dita odorose, sfregandogli le
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guance, le calze che bloccavano il respiro al poveretto ogni volta che si soffermavano
troppo sul naso o sulla bocca.
All’inizio Harshwood apprezzò molto la cosa ma col passare dei minuti il suo
"amico", ormai addormentato, gli stava praticamente pestando la faccia nel sonno,
quasi come fosse un comodo cuscino caldo e le più semplici necessità, come il respirare, gli divennero più complicate.
“Direi che non serve più Tom, sta dormendo come un sasso” intervenne Harry a
un certo punto, mettendo fine a quel supplizio, quindi aggiunse “meglio che vai a lavarti però, se non vuoi avere lo stesso odore… notte!”
“Buonanotte…” gli sorrise di rimando l’altro, quindi lasciò la stanza e sparì come
di consueto giù per la scala a chiocciola del dormitorio.
________
La mattina dopo, notò Harry con stupore, non un solo granello di polvere copriva
le scarpe che aveva abbandonato la sera prima sul freddo pavimento della stanza. Erano rimaste esattamente dove le aveva lasciate dopo essersele tolte, eppure sembravano
quasi nuove: la suola, il tallone, il collo, la linguetta, tutto era stato diligentemente lavato.
“Le mie scarpe erano pulitissime stamattina…” sussurrò il nostro eroe con aria
seria a Tom, dopo averlo preso in disparte in un angolo prima di entrare in Sala Grande per la colazione.
“Beh, dovresti essere contento no? Mi sembrava che ne avessero bisogno” scherzò l’altro. Fece per rientrare ma Harry lo trattenne.
“Non sono sciocco. Tu mi hai sentito ieri sera. Non le avrai mica…? Che schifo.”
Era quasi arrabbiato.
Harshwood si voltò, lo fissò calmo dritto negli occhi per qualche secondo, quindi
sorrise.
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“Sono un mago o no? Per certe cose si può usare anche una bacchetta magica, ci
ho dato un tocco prima di uscire, mi ero alzato presto. Non mi avrebbero assegnato
quale tuo assistente, se non me la sapessi cavare con qualche magia, no?”.
“Io… ok” fece quindi Harry un po’ imbarazzato, in fondo era rimasto il ragazzo
buono di sempre. “scusami, non volevo essere brusco è che...” si schiarì la voce “...beh,
non importa.... A quanto pare ci sai fare con gli incantesimi, potrebbe essermi utile impararlo, ti va d’insegnarmi?” l’altro sorrise e aspettò qualche secondo prima di rispondere cortese.
“Sicuro... con molto piacere...” poi l’espressione sul volto di Harry cambiò e all’entusiasmo iniziale si sostituì un più incerto:
“Anzi, sai che ti dico Tom?” gli disse mentre Tom si allontanava.
“Ci ho ripensato. Non ho voglia di farmelo insegnare, ho già fin troppo da fare…potresti usare quell’incanto anche sulle altre scarpe e sugli stivali da Quidditch se
oggi pomeriggio passi su in stanza? Ci perdo sempre troppo tempo a pulirmeli da solo,
se mi dai una mano ci portiamo avanti e stasera abbiamo più tempo per giocare! Voglio dire, per studiare… ciao, buona giornata!”
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C A P I TO LO 4
“Eccovi finalmente!”
Harry e Ginny raggiunsero i loro amici al tavolo dei Grifondoro per la cena. Il ragazzo si sedette un po’ imbarazzato mentre lei sorrideva tranquilla.
“Dov’eravate finiti?” chiese Ron con la bocca piena, come al solito. Harry aveva le
mani sudate e azzardò un:
“Uhm... beh, noi... veramente eravamo... abbiamo...”
Lei lasciò balbettare il suo ragazzo per qualche secondo prima di alzare gli occhi
al cielo, esasperata, e prendere la parola:
“Siamo andati a fare una passeggiata...”
Ron parve soddisfatto dalla risposta, era fin troppo concentrato sul cibo, Hermione invece guardò l’amica alzando un sopracciglio.
Era sempre la stessa storia, pensò Harry, non c’era modo di tenerla all’oscuro di
niente. Quelle due chiacchieravano di tutto e la cosa un po’ lo infastidiva. Le vide scambiarsi uno sguardo d’intesa e pregò che Hermione non condividesse mai le confidenze
della sua ragazza con Ron. Come avrebbe potuto guardarlo in faccia se avesse saputo
che alla sua innocente sorellina piaceva fargli dei servizietti di bocca nel bagno fuori
uso del secondo piano?
“Capisco...” fu il solo commento di Hermione che sorrise a Harry, facendolo arrossire. Ron come al solito non si era accorto di niente e il ragazzo tirò un sospiro di
sollievo. Ringraziò il cielo per l’ingenuità dell’amico e cominciò a riempirsi il piatto.
“Ginny! Delton e Plowright lo stanno facendo di nuovo!” si voltarono tutti a guardare una biondina del terzo anno che indicava il fondo del tavolo, dove due ragazzini
del primo si stavano tirando del cibo.
La ragazza si tirò indietro i lunghi capelli rossi, terribilmente scocciata. Si alzò,
sfoggiando uno sguardo omicida e così fece Hermione:
“Stavolta vengo anch’io. Voglio vedere cosa dicono davanti a un prefetto e al caposcuola!” disse minacciosa.
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“Dai sono ragazzini, non ci andate troppo pesante!” provò speranzoso Ron, ma le
due ragazze già filavano verso i due malcapitati, senza più ascoltarlo.
“Poveretti...” bofonchiò il rosso scrollando le spalle, quindi si rivolse ad Harry:
“Allora, pronto per il match di sabato, capitano?”
“Si, mi sento in forma, tu?” fu la risposta e Ron annuì entusiasta.
“Sei passato in camera prima di cena?”
Harry scosse il capo.
“No, perché?”
“I nostri stivali da Quidditch luccicano come appena comprati, sai?” ridacchiò il
rosso. Anche Harry accennò un sorriso:
“Beh, Tom è stato di parola!”
“Già, chissà come ha fatto a farli venire così bene…”
Harry scrollò le spalle.
“Dice che usa un incantesimo, l’ha usato già sulle mie scarpe da ginnastica
stamattina...sembra che ci sappia fare, pensa che io invece l’ho rimproverato, sinceramente credevo me le avesse leccate…” Ron fece un’espressione disgustata.
“Che schifo, sto pure mangiando!!!”
“Già…” concordò Harry. I due si guardarono perplessi per qualche secondo, poi
Ron disse:
“Però se ci pensi, fosse anche vero, non sarebbe poi così strano visto il personaggio...”
I due ragazzi si voltarono a guardare Tom, seduto in un angolo in fondo al tavolo
dei Serpeverde. Era solo, evidentemente non socializzava un granché.
“Beh, io gli ho solo chiesto se gli andava di pulirmi le scarpe, ha iniziato lui no?
Forse è meglio che non sappia come fa...” rifletté Harry, per poi mettere a tacere i suoi
sensi di colpa “...basta che non lo faccia davanti a me!” concluse.
Ron ridacchiò, per poi commentare:
“Comunque devo ammettere che tutta questa storia non mi dispiace... non vedo
l’ora di farmi fare un altro bel massaggio!!!”
“Non intendi pestargli la faccia, vero?” chiede Harry divertito.
“Beh, allora tu che glieli fai leccare direttamente!?” rispose Ron a tono.
“Hey! E’ stato lui a volerlo!” continuò Harry sulla difensiva.
“Certo… a te però non spiace affatto, o sbaglio?” insistette Ron con un sopracciglio alzato. Harry lo guardò con aria complice, poi cedette.
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“Beh… non me lo sarei mai lasciato fare prima, ma da quando lo fa devo ammettere che è una sensazione gradevole sentire la sua lingua tra le dita, e poi a lui piace,
quindi…” lasciarono cadere l’argomento proprio mentre le loro dolci metà rientravano
dopo aver ridotto in lacrime gli sfortunati primini che avevano rimproverato.
Rientrarono in camera piuttosto tardi, dopo aver passato qualche ora a ‘passeggiare’ con le rispettive fidanzate. Tom era seduto sul lustrissimo pavimento della stanza, appena li vide sorrise e si alzò:
“Padron Harry, Padron Ron! Bentornati!” li salutò tutto contento.
“ ‘Sera Tom!” risposero tranquilli i due mentre apprezzavano con lo sguardo l’ordine che ora regnava sovrano nell’ambiente.
“Ho finito di scrivere i vostri saggi di Erbologia, ve li ho già messi nelle cartelle.”
disse loro zelante.
“Grande, che velocità!” si complimentò Ron. Harry fece altrettanto, quindi disse:
“Suppongo che tu ora voglia essere premiato, no?”
Harshwood abbassò lo sguardo imbarazzato ma sorrideva:
“Beh...” disse loro e i due ridacchiarono, cominciando a mettersi comodi.
“A proposito, gli stivali sono perfetti, amico! Immagino non ti dispiaccia fare lo
stesso con le nostre scarpe…” gli chiese Harry e Tom fece un’espressione un po’ stupita:
“O.. Ok... nessun problema” disse non troppo convinto.
“Perfetto!” fece quindi Ron togliendosi quelle che indossava e così fece il suo amico. Tom li guardò colpevole e impaurito da ciò che si aspettavano.
“Devo farlo… adesso?” chiese, un leggero tremore nella voce.
I due ragazzi si guardarono e parvero soppesare la risposta, certamente pensando alla conversazione che avevano avuto a cena.
“No, ti conviene farlo ogni mattina, direi...” gli rispose Harry “...mentre noi dormiamo, tanto tu ti svegli sempre presto, no?” concluse e vide Tom tirare un sospiro di
sollievo e sorridere.
“Certo padroni”
“Dai, stasera comincia da me” sorrise quindi Ron “il massaggio di ieri mi è proprio piaciuto, ne vorrei uno... identico”
Harshwood annuì e s’inginocchiò ai piedi del suo letto ma non gli sfuggì l’occhiata d’intesa che i due giovani si scambiarono, prima di affondare la faccia nei calzini di
Ron.
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“Sei proprio sicuro di non voler venire?” chiese Harry
“Non posso, te l’ho detto, se non imparo questo capitolo a memoria Hermione mi
fa fuori sul serio, l’hai sentita a cena, no?” sentì Ron rispondere “tu e Ginny divertitevi
però, poi raccontami com’era.”
“Ok… Tom, fai il bravo e fagli buona compagnia, ok?”
Il ragazzo tentò un debole “Si padrone” ma le sue parole uscirono attutite e completamente incomprensibili. I due ragazzi ridacchiarono, quindi sentì Harry aggiungere preoccupato
“Ogni tanto però lascialo respirare Ron!!!”
Il buio che gli premeva intorno si allentò mentre Ron gli scostava leggermente i
piedi dalla faccia, quanto bastava perché il naso e gli occhi di Harshwood gli fossero visibili. Il viso del rosso lo guardava dall’alto sorridente.
“A me sembra fin troppo contento!” Era sdraiato sotto la sua scrivania, il suo magro corpo entrava preciso tra le gambe della sedia e la testa era alloggiata proprio sotto
i piedi di Ron. La luce scomparve di nuovo dopo pochi istanti, mentre in sottofondo
Harry borbottava:
“Tipico...” prima di uscire dalla camera.
“Ok amico. Considerato i tempi delle feste in sala comune abbiamo almeno tre o
quattro ore tutte per noi, così io posso studiare e tu... divertiti!!!”
Di nuovo la sua risposta riverberò muta sotto il cotone umido dei calzini del suo
padrone.
Ron amava quella posizione. Da qualche settimana aveva cominciato a farcelo stare ogni volta possibile e Tom usciva da queste sessioni provato e sempre più distrutto.
Non che non apprezzasse tutto quello che i due ragazzi facevano per lui, insomma erano stati così disponibili a capire il suo problema e ad aiutarlo senza cacciarlo in un mare di guai. Come poteva non essergli grato. Però era esausto, in tutti i sensi. Ormai leccava le loro scarpe ogni mattina, ogni volta con l’ansia che lo scoprissero, naturalmente. Faceva i loro compiti, il loro bucato, puliva il casino che infestava la loro camera e
in più doveva fare il suo corso di studi se non voleva rimanere indietro. Dormiva forse
quattro o cinque ore per notte, a volte anche meno, per ottemperare a tutti i suoi impegni e il suo fisico, semplicemente, non reggeva più. Certo il ministero gli aveva fatto ca-
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pire molto chiaramente che il suo incarico primario era quello di ‘assistere’ Harry Potter, però avrebbe voluto diplomarsi anche lui un giorno.
Harshwood inspirava a fondo l’odore di Ron. I piedi gli puzzavano terribilmente,
come al solito. Ma questo non gli pesava, ormai il loro odore era come parte di lui. Il
problema era che il suo padroncino, una volta assorto, amava strusciarglieli sulla faccia di continuo. Non soffici carezze, s’intende, quasi lo pestava. Aumentava la pressione dal tallone alle dita, poi con la pianta del piede gli schiacciava ora il naso, ora la bocca o gli occhi. Apparentemente incurante di lui. Era faticoso per Tom, la faccia gli doleva e non poco ma come fare a dirglielo? Come poteva lamentarsi di qualcosa dopo che
era stato lui ad insistere perché gli permettessero di farlo. Era un circolo vizioso. Non
voleva lamentarsi per non perdere la loro amicizia (e i loro piedi), ma soprattutto per
non deluderli. Eppure come poteva andare avanti così?
No, doveva resistere.
“mmmmm...” gli sfuggì un lamento. Ron l’aveva schiacciato più forte e non era
riuscito a trattenersi. Il rosso manco se ne accorse, continuando a studiare e a massaggiarsi i piedi su quello che era diventato il suo stuoino personale e Tom tirò (mentalmente) un sospiro di sollievo, non voleva disturbarlo.
Non sapeva come avrebbe fatto a reggere per altre tre ore, come gli era stato prospettato. Aveva la faccia già tutta indolenzita.
Tra l’altro aveva sempre più difficoltà a respirare, gli mancava ossigeno: Ron difficilmente gli lasciava il naso libero per più di qualche istante alla volta, per poi ricominciare a giocarci.
Passavano i minuti. Tom non si rendeva conto di quanto il tempo scorresse velocemente, era difficile là sotto, immerso in quell’odore, ormai così familiare e gradito,
ma allo stesso tempo ‘regalatogli’ con tanta forza. Ad un tratto Ron smise di muoversi
e Harshwood ringraziò il cielo per la tregua. I secondi correvano e, se da un lato la faccia si riposava, dall’altro adesso la provvigione d’aria era completamente tagliata fuori.
Non riusciva a respirare, i piedi di Ron non glielo permettevano e il giovane non se ne
rendeva conto, completamente immerso nello studio. Dopo forse una ventina di secondi, arrivato al limite Tom dette un paio di colpi di tosse, per attrarre la sua attenzione.
I piedi non si mossero affatto ma arrivarono le parole di Ron:
“Tom! Cerca di far silenzio là sotto, mi distrai, così!”
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Il ragazzo si sentì morire, se non avesse respirato immediatamente sarebbe soffocato di sicuro. Scosse la testa di lato mugolando qualcosa ed accolse l’ossigeno nei polmoni non appena Ron gli tolse i piedi dalla faccia. Adesso lo guardava dall’alto della sedia, con l’aria un po’ accigliata.
“Si può sapere cosa c’è?” Tom prese altre due boccate d’aria prima di rispondergli. Che poteva fare?
“Padron Ron...” cominciò prendendola alla lontana “...tu lo sai quanto mi piace il
tuo odore...” e l’altro gli sorrise.
“Beh, mi sembra evidente, amico!”
“E’ la cosa che aspetto ogni giorno, poter servire te e padron Harry la sera quando rientrate, per me è tutto...” ma con un’altra risatina Ron tagliò corto.
“Si certo Tom, lo so! Dai ora non farmi perdere tempo, continua ad annusare in
silenzio, che io ho da fare!” gli aveva quasi coperto la faccia nuovamente ma Tom riuscì a fermarlo di nuovo.
“Padron Ron!”
“Cosa?!!” stavolta fu un po’ più sgarbato. Tom ingoiò prima di rispondergli. C’era
una sola cosa che poteva fare per non soffocare.
“Padron Ron, vedi, quello che volevo dire era che... beh il tuo odore mi piace così
tanto che vorrei poterteli leccare, come faccio con padron Harry.” Ron sorrise comprensivo dall’alto. Scrollò le spalle.
“Beh, perché no! A Harry piace, quindi perché non provare.” si sfilò le calze e gli
appoggiò i piedi, stavolta nudi sulla faccia stanca.
“Sono un paio di giorni che non faccio la doccia ma a te non dispiace, no?”
Harshwood tirò fuori la lingua e cominciò a leccare. Il sapore era estremamente forte e
per poco non gli venne un conato di vomito.
“No padron Ron... affatto...” gli rispose tra una leccata e l’altra.
“Ottimo! Allora, è buono anche il sapore?” Tom leccava, ad occhi chiusi, grato al
ragazzo per averglielo permesso anche se quei piedi erano veramente molto, molto
sporchi.
“Buonissimo padron Ron, grazie!” mentì solerte Tom. Ron scosse la testa.
“Lo sai, quando ti ho visto farlo con Harry mi faceva un po’ schifo invece non mi
dispiace affatto.”
“Mi fa piacere, padrone, per me è così bello!” Ron sorrise e stette a guardarlo per
un paio di minuti a lavare ogni centimetro dei suoi piedi luridi. Poi tornò a lavoro.
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“Hehe! Beh, io ricomincio a studiare Tom, tu puoi leccare per... almeno un altro
paio d’ore direi, quindi non voglio più sentirti, ok? Non sono neanche a metà capitolo!”
“Certo Padron Ron, scusami, non ti disturbo più, te lo giuro.” Tom sentì una risatina:
“Bravo Tom!” e il pestaggio era ricominciato. I piedi, adesso inumiditi dalla sua
saliva gli scivolavano sulla faccia e la lingua anche se la pressione che il rosso metteva
per sentirlo sotto le sue piante era comunque inferiore a prima. Ora almeno poteva respirare ed era ciò che importava.
Harry dette un ultimo bacio a Ginny, prima di vederla correre su per le scale del
dormitorio femminile. Si era davvero divertito, anche se l’avevano fatto ballare per ore
e adesso, nonostante non avesse sonno, avvertiva un bel po’ di quella stanchezza sulle
gambe e ai piedi. Era tardi e il castello era in assoluto silenzio. Salì le scale togliendosi
il maglione, aveva fatto una gran sudata. Entrò in camera. Ron era al suo posto, dove
l’aveva lasciato, solo che dormiva. Appoggiato allo schienale della poltrona con la bocca semi aperta e le gambe distese sotto la scrivania, il libro di pozioni abbandonato sul
tavolo. Anche Tom non si era mosso e Harry lo guardò scuotendo la testa.
“Ron!” lo chiamò mentre si avvicinò alla scrivania “Hey Ron!” l’amico si svegliò:
“Oy, Harry!” gli disse sbadigliando.
“Finito di studiare?” Ron annuì, stiracchiandosi.
“Ho finito verso mezzanotte, poi ho chiuso gli occhi un attimo e... che ore sono?”
“Quasi l’una.” l’amico si stiracchiò ancora un po’, poi Harry lo vide abbassare lo
sguardo e chiedere tra il divertito e lo stupito:
“Sei ancora al lavoro?” Harry non sentì alcuna risposta e Ron si voltò sorridendogli:
“Che ingordo, mi ha leccato i piedi per tipo tre ore di fila…” a questo punto sentì
la voce di Tom provenire da sotto la scrivania.
“Beh, ho pensato che ti rilassasse e non volevo svegliarti...” Harry sorrise mentre
si gettava a sedere sulla poltrona. Ron si stiracchiò di nuovo, con un gran sbadiglio.
“Davvero molto rilassante, sei stato bravissimo… ora però me ne vado a letto…”
estrasse i piedi da sotto scrivania e si alzò dalla sedia grattandosi la pancia. S’incamminò verso il letto. Harshwood non si mosse dal suo posto. Il rosso si avvicinò ad Harry e
gli sorrise bisbigliandogli:
“Avevi ragione, li lecca proprio bene, figo!”
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Harry annuì, quasi certo che l’altro avesse sentito il distratto commento del suo
amico. Poi lo vide scomparire sotto le lenzuola dando la buonanotte.
“Hey Tom, che ci fai ancora là sotto, vieni qui.” disse quindi a voce bassa, anche
se Ron aveva già cominciato a ronfare beato.
“Si padron Harry...” lo vide scostare la sedia adagio, per potersi alzare. Fece i
quattro o cinque passi necessari per raggiungerlo poi, prevedibilmente gli s’inginocchiò davanti a sfilargli le scarpe.
“Sono un po’ fangose...” disse Tom mentre Harry lo osservava.
“Si, siamo usciti in giardino e la terra doveva essere un po’ bagnata...” fu la distratta risposta. Il ragazzo lo guardò un po’ imbarazzato, poi abbassò di nuovo gli occhi.
“Eh già...” gli disse sommessamente. Poi si schiarì la voce e gli sfilò le calze. Harry aveva i piedi letteralmente in fiamme, umidi e indolenziti ed accolse con piacere il
refrigerio che l’aria della stanza gli regalò. Tom glieli appoggiò sul fitto tappeto prima
di piegarsi automaticamente in avanti a baciarglieli. Prima il collo, poi le dita, poi di lato.
“Hai sudato molto alla festa...” gli disse. Harry sorrise:
“Altroché, amico... sarai contento...”
“Molto Padron Harry” fu la prevedibile risposta.
“Immaginavo...”
“Ti sei divertito?” chiese poi il ragazzo.
“Si, molto, Colin e Seamus avevano portato...” cominciò a raccontargli quello che
lui e i suoi amici avevano fatto mentre l’altro continuava a baciargli i piedi, rannicchiato per terra, come una specie di animaletto ammaestrato. Continuava a fargli un certo
effetto vederlo lì, era davvero patetico, eppure sembrava non stesse bene da nessun’altra parte. Ormai passava molto più tempo ai loro piedi che in qualunque altra posizione, beato, felice e contento come una Pasqua e loro, inutile negarlo, si erano piacevolmente abituati a tutto questo. Continuava a baciarli dolcemente, carezzandoli come ad
adorarli mentre Harry gli raccontava una festa a cui lui non era neanche stato invitato.
Quand’ebbe finito:
“Sono felice che tu ti sia divertito padrone.” Harry incrociò le braccia dietro la testa e sospirò soddisfatto della serata. I baci continuarono per diversi minuti. Il padroncino muoveva i piedi per farsi baciare la pianta oltre che il dorso e Tom lo assecondava, il tutto senza scambiarsi una singola parola. Piacevole, senz’altro, ma Harry sapeva
che c’era qualcosa di meglio che poteva avere, bastava chiedere.
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“Tom? Sei stanco?” gli chiese dopo un po’. Tom lo guardò senza alzarsi, tirando
su soltanto la faccia.
“Beh, un po’...” cominciò, poi si corresse “...ma posso continuare Padron Harry...”
Il giovane sorrise al suo animaletto servizievole.
“Bene. Allora sdraiati a terra e voltati.” gli disse ed Harshwood ubbidì ritrovandosi a pancia all’aria con il viso tra i suoi piedi a guardarlo, in attesa. Harry gli fece l’occhiolino con aria complice, quindi gli posò un piede sulla faccia, aggiungendo solamente:
“Lecca.” sentì la lingua arrivare prontamente a lavare il sudore e la fatica raccolti
in una serata di meritati divertimenti.
“Molto meglio!” pensò e si aggiustò sulla poltrona socchiudendo gli occhi con un
sorriso sulle labbra.
Tom era in piedi, in mezzo alla stanza. La luce che filtrava dalle tende gli dava abbastanza visibilità da poter vedere i suoi padroncini a letto, dormivano nella grossa.
Erano le due passate e lui era completamente sfatto. Gli faceva male la faccia, la
testa e aveva un sonno tale da poter svenire e crollare sul pavimento. Eppure stava lì a
guardarli, con le lacrime che gli scendevano sulle gote. La decisione era presa.
Non ce la faceva più. Non poteva continuare neanche un altro giorno, non era più
possibile. Le emozioni che gli vorticavano dentro erano una tempesta di sensi di colpa
e rimpianti. Singhiozzava in silenzio per non svegliarli. Non avrebbe potuto dare loro
delle spiegazioni, del resto era un vigliacco, lo era sempre stato. Aveva ottenuto tutto
ciò che le sue perverse voglie potevano chiedere, eppure ora doveva rinunciare a tutto.
“Addio” disse soltanto, poco più di un sussurro. Dopodiché uscì dalla camera,
senza guardarsi indietro.
39
C A P I TO LO 5
I sensi di colpa iniziarono a farsi sentire già mentre scendeva i primi gradini delle scale, eppure ad Harshwood bastarono un paio di minuti per scendere ed abbandonare la
sala comune, completamente vuota a parte un paio di ragazzini del terzo anno addormentatisi sulle poltroncine davanti al camino.
“Cosa ho fatto?”
Il pensiero si faceva sempre più martellante e il giovane non riusciva a capacitarsi della propria stupidità.
In poche settimane, non solo era diventato amico di quelli che per molti a scuola
erano idoli, ma aveva anche soddisfatto voglie da tempo tanto remote quanto perverse.
Che tutto ciò avrebbe avuto un prezzo lo aveva sempre saputo, eppure Tom si era
sempre guardato dal porre limiti, confidando comunque nel loro buonsenso.
Ingenuità, questa, che col passare dei giorni aveva spinto Harry e Ron a trattarlo
quasi come un semplice oggetto. Il tutto sempre (o quasi) in modo cortese, non poteva
certo dire che lo trattassero male. Semplicemente, si erano talmente abituati ad essere
serviti e riveriti da non notare più quanto lui si sfinisse per loro da mattina a sera, tutti
i giorni. Riguardo alle serate, aveva ormai imparato a passarle in silenzio, la faccia
spiaccicata nel buio sotto le loro piante sudate (se non sporche) o soffocata dal cotone
bagnaticcio dei loro calzini. Per la colazione era anche peggio: in genere era lo sporco
delle scarpe, leccato in fretta all’alba mentre dormivano. Prima o poi lo avrebbero scoperto, era solo questione di tempo.
A parte loro, non aveva alcun altro su cui poter contare. Non aveva fatto altre conoscenze e all’interno della sua Casa non era certo visto di buon occhio: a Serpeverde,
un amico di Harry Potter era a dir poco un ospite indesiderabile.
L’istinto principale era quello di tornare indietro, finire il lavoro in sospeso e scusarsi in tutta umiltà, per poi riprendere il suo posto sul pavimento. Eppure, il dolore
alla faccia pesta e l’unticcio dei piedi di quei due che ancora bruciava nelle narici gli ricordavano che non avrebbe potuto resistere ancora per molto, al massimo una settima40
na o poco più. La media dei suoi voti era già crollata e la stessa sorte sarebbe presto
toccata anche ai suoi padroncini: sempre più stanco, Tom a malapena riusciva a finire
i loro saggi.
Una volta diventato inutile, che ne sarebbe stato di lui? La loro strana amicizia
sarebbe sopravvissuta?
Harshwood temeva troppo la risposta e si odiava per la propria codardia: non
aveva lasciato neppure un biglietto, eppure a ciascuno di loro aveva portato via di nascosto un paio di calzini usati, non era neanche riuscito a separarsene.
Il ragazzo passò parecchio tempo vagando per i corridoi bui, quando decise di
scendere nei sotterranei della sua Casa era ormai l’alba. Era deciso a recuperare le sue
cose ed andarsene già di prima mattina, si sarebbe cercato un lavoro altrove. Del resto,
si ripeteva, tutto quello che gli era successo era solo colpa sua.
Fatta la valigia, ficcò alla rinfusa le sue ultime cose nella tracolla che usava a lezione e diede un ultimo sguardo al proprio dormitorio, era pronto a partire.
Anche la sala comune dei Serpeverde era immersa del silenzio, tetra e pesante
nell’arredo.
Nell’ambiente regnava un’atmosfera ovattata: la luce delle poche lampade presenti sembrava perdersi negli ampi tendaggi color smeraldo ed i passi di Tom risuonavano appena, attutiti dalla moquette.
Aveva percorso solo pochi metri quando improvvisamente, passando di fianco ad
una poltrona, inciampò in qualcosa e finì maldestramente disteso sul pavimento. La
tracolla cadde insieme al proprietario e si aprì, sparpagliando il suo contenuto tutto intorno. Confuso e dolorante, il giovane fece per rialzarsi quando un colpo secco sul fianco lo fece letteralmente piegare in due.
“Bene bene ... cosa abbiamo qui? Dove scappa il galoppino dei Grifondoro?”
Un altro ragazzo torreggiava su Harshwood, lo sguardo divertito mentre contemplava dall’alto la vittima cui aveva appena fatto lo sgambetto e tirato un calcio. Era un
Serpeverde che Harshwood conosceva di vista, doveva chiamarsi Danny Peters o qualcosa del genere. Piuttosto alto e con le spalle larghe, aveva i capelli color nero pece e
gli occhi insolitamente azzurri, tanto belli quanto freddi. A giudicare dal viso fresco,
proporzionato ed estremamente attraente era più giovane di Tom, doveva essere del
quinto o forse sesto anno.
“Non sono affari tuoi ... e non sono il galoppino di nessuno!!!” sibilò furibondo
Tom rialzandosi, anche se la menzogna lo fece avvampare. Quella situazione era sem41
plicemente assurda, non si sarebbe lasciato maltrattare da un bulletto qualunque, non
stavolta.
Peters non si scompose affatto, al contrario ridacchiò indicando qualcosa sul pavimento.
“Se lo dici tu ... a me sembri proprio il loro cagnolino e forse a giudicare da QUELLE non mi sbaglio ehehe”
Harshwood seguì il gesto con lo sguardo e sentì il cuore perdere un colpo. Tra le
altre cose, dalla sua tracolla erano usciti anche i calzini lerci di Harry e Ron, dall’inequivocabile color scarlatto e ricamati ciascuno con un leone rampante.
Fu un attimo. Tom si scagliò coraggiosamente contro Peters in un impeto di orgoglio, ma bastarono pochi colpi di quest’ultimo per costringerlo nuovamente a terra. A
quanto pareva, resistere era del tutto inutile.
“lo sai, se proprio ci tieni posso anche pestarti e riempirti di calci fino all’ora di
colazione ...” minacciò il ragazzo a voce bassa, mentre Harshwood lo fissava terrorizzato “ma non è questo che mi interessa ... beh, non ora. Voglio solo sapere un paio di cose da te, poi potrai andartene ... anche se dubito che lo farai ...”
Detto questo, estrasse fulmineo la bacchetta e la puntò contro la nullità che aveva appena atterrato.
Un incantesimo Legilimens, tanto banale quanto perfettamente eseguito: del tutto impreparato, Tom si vide costretto a condividere i ricordi di ogni singolo gioco perverso degli ultimi anni mentre il suo aggressore se li gustava tutti in anteprima.
“uuuh, davvero MOLTO interessante... schiavetto” ghignò Danny alla fine, trionfante.
“Io... ti prego...” si ritrovò suo malgrado a piagnucolare Tom, in ginocchio e più
disperato che mai “non devi dirlo a nessuno!”
“Bah...” Peters si chinò tutto serio, finché i loro visi non furono a pochi centimetri di distanza “penso che al massimo lo racconterò ad un paio di amici...” vide l’altro
sbiancare e ridacchiò “anche ad un altro po’ di gente, se decidi di andartene ... ma lascio a te la scelta. A me basta che tu faccia solo tutto quello che voglio, non mi sembra
molto ehehe”
Harshwood non disse nulla. Semplicemente, chinò il capo e sospirò solo “grazie”.
Pur odiandosi per essere così arrendevole, consegnarsi ad un ragazzo tanto bello quanto determinato lo faceva sentire innaturalmente tranquillo. Tutto sommato, si disse,
poteva andare decisamente peggio.
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“Bravissimo...” commentò tutto contento l’altro, allungando una mano e scompigliandogli i capelli quasi fosse un simpatico animale domestico “meglio tornare a letto
schiavetto, sarai impaziente di cominciare!”
“uff... devo proprio alzarmi?”, si ritrovò a pensare Danny Peters al suo risveglio
poche ore più tardi.
Il tepore delle morbide coperte che gli carezzavano il corpo nudo e la lingua del
suo nuovo ‘amico’ che gli solleticava amorevolmente le estremità erano un piacere cui
non voleva proprio rinunciare tanto presto.
Sorrise, tenne gli occhi chiusi e si lasciò coccolare per un’altra decina di minuti,
poi quando fu soddisfatto diede un colpetto col piede. Sentì un leggero lamento, doveva aver colpito Tom al volto, eppure
passarono un paio di secondi che il giovane riprese a baciargli il tallone.
“Hey, può bastare, sono sveglio ... molto gentile!” commentò sarcastico il ragazzo, quindi lasciò che l’altro si stendesse a terra, usandolo come scendiletto senza troppi complimenti. Tutto sommato, pensò, gli stava quasi facendo un favore: era una fantasia che Harshwood aveva da tempo ma non aveva mai avuto il coraggio di proporre
ai suoi vecchi padroncini.
Tom lo seguì a quattro zampe fino alla porta del bagno, per poi distendersi davanti a quest’ultima.
“Ecco qua” fece Danny eccitato come un bambino, prendendo un paio di vecchie
infradito e lasciandole davanti al volto del suo nuovo tappetino “io ora entro e mi faccio una doccia, quando esco voglio che siano tutte pulite, intesi? Se vuoi scendere a fare colazione con me, le scarpe le puoi sempre fare dopo in pausa pranzo ok?”
“Quanto è bello visto da qui ...” si ritrovò a pensare con folle riconoscenza Tom,
mentre Peters gli sorrideva, lo calpestava e si richiudeva la porta alle spalle. Per Danny, la pacchia era iniziata.
Aveva parecchio freddo.
Fu la prima cosa che Harry notò al suo risveglio, mentre la luce del mattino gli feriva gli occhi chiari.
Si era addormentato in poltrona, senza alcuna coperta addosso e ancora vestito
con l’uniforme della sera prima, il mantello doveva averlo gettato da qualche parte appena rientrato in camera.
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I piedi, nudi e appoggiati sul pavimento, non gli dolevano più dopo il trattamento notturno ma li sentiva gelidi come due pezzi di ghiaccio.
Un po’ impacciato, il ragazzo si stiracchiò, quindi diede un’occhiata all’orologio
da polso che aveva appoggiato sul comodino. Sgranò gli occhi e imprecò.
“Ron! Sveglia, muoviti, siamo in ritardo bestiale!”
Da dietro le cortine di velluto rosso emerse un suono indistinto, ma era chiaro
che l’altro aveva capito.
Avevano già perso la colazione e se non si fossero dati una mossa sarebbero arrivati a lezione con un ritardo quantomeno imbarazzante. Eppure, notò Harry mentre si
davano una sistemata alla meno peggio, c’era anche dell’altro che non andava nella
stanza.
Nessuno li aveva svegliati, i vestiti del giorno prima non erano stati portati via e i
loro appunti erano ancora sparpagliati sulla scrivania, senza essere stati riordinati. Per
fortuna, almeno il loro saggi sembravano finiti, anche se un po’ frettolosamente a giudicare dalla scrittura.
“Uff...” borbottò con disappunto Ron mentre, ancora intontito, rovistava tra le
sue cose “volevo rimettermi i calzini di ieri per divertirmi con Tom stasera, ma non li
trovo! ”
“Dai, non fare il cretino” lo ammonì l’amico, cercando di apparire almeno indignato o disgustato “abbiamo pure l’allenamento di Quidditch oggi pomeriggio!”
“Lo so ...appunto!”
Finirono di rivestirsi in pochi minuti, quindi uscirono dal dormitorio in tutta fretta. Anche ad Harry mancavano dei calzini e le scarpe di entrambi erano rimaste impolverate così come le avevano lasciate la sera prima.
“Strano però...” osservò poi Ron a voce bassa e con l’aria corrucciata, mentre camminavano spediti in un corridoio ormai completamente deserto “che il nostro amico
abbia deciso di battere la fiacca ieri sera eh? Non ha fatto praticamente niente!!!”
“è restato lì sotto per tre ore mentre dormivi, lo chiami niente?!?” ribatté invece
l’altro, stavolta con tono più deciso “... scommetto che nessuno starebbe al suo posto,
nemmeno per mille galeoni!”
“In effetti hai ragione” si arrese il rosso con aria colpevole, quindi bisbigliò “spero solo di non averlo pestato troppo, non dice mai se gli dà fastidio e a volte mentre
studio me ne dimentico...”
“Tra l’altro” aggiunse Harry, ora un po’ preoccupato per Harshwood “dopo che ti
sei messo a dormire è rimasto due ore anche con me, avevo voglia di rilassarmi un
po’... stavolta abbiamo proprio esagerato amico...”
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“Può darsi...” commentò l’amico, sorridendo e alzando le spalle “ ... tutti hanno
bisogno di un po’ di riposo e qualche giorno di pausa se lo merita eccome, poveraccio
... peccato non ce l’abbia detto prima però, sono un po’ in ansia per i nostri saggi, speriamo li abbia scritti bene come al solito!”
Erano arrivati, la porta dell’aula era già chiusa. “Già” concluse Harry secco, la mano sulla maniglia e ora vagamente scocciato dalla piega che la giornata aveva preso “sarà meglio!”
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