Occhiopi occhio pi n n

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Occhiopi occhio pi n n
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pinOcchiopinocchio
NEL PAESE DEI BEI OCCHI
Fabian Negrin
orecchio acerbo
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Il paese dov’era nato Occhiopin si chiamava Villette Barbecue. Era uno di quei posti in mezzo al nulla, senza alcuna caratteristica degna di nota. Non lo si sarebbe potuto chiamare città,
né tanto meno campagna. Forse non era nemmeno un vero e proprio luogo.
Era soltanto un posto qualsiasi.
Se ne possono vedere a centinaia di posti così mentre si va in macchina dalla città verso la
campagna, oppure dalla campagna verso la città. Tutto quello che si vede in mezzo -né carne
né pesce, troppe case per essere campagna e troppi terreni per essere città- può dare un’idea
del paese dov’era nato Occhiopin.
Io, lo giuro, non ho assolutamente niente contro quei postacci. Tuttavia ho notato che spesso la gente che ci abita ha in testa due sole ambizioni: primo Vivere in famiglia fingendo di essere felice, secondo Sforzarsi di essere in tutto e per tutto uguali agli altri. Due cose da evitare,
a costo di andar a vivere sotto i ponti.
Villette Barbecue era proprio così, pieno di belle famigliole occupate a sorridersi a vicenda.
- Signora Testacoda! Ha notato che giornata straordinariamente fantastica?
- Certo, signora Perbacco! Meravigliosamente prodigiosa!
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Il suo babbo andava oltre. Oh sì, lui era il re dei conformisti. Contento come una gallina della sua villetta bifamiliare, la macchina tirata a lucido parcheggiata davanti al grazioso giardino, la cantina (lui la chiamava taverna) adibita a falegnameria. A destra e a sinistra, come fra
gli specchi di un ascensore, la stessa scena ripetuta all’infinito. Il medesimo squallido spettacolo per chilometri e chilometri. Puagh!
E anche Occhiopin era cresciuto avendo in testa le Due Ambizioni. Era sempre stato un bel
bambino: occhi chiari e pelle bianca come latte scremato. Tutto a posto, insomma. La sola
cosa che lo distingueva era una certa intensità dello sguardo, e forse è proprio da quello sguardo che partì la voglia di nuove esperienze, di cose insolite, uniche. In poche parole, la voglia
di essere lui il solo lui a essere lui, non so se mi spiego. Così aveva cominciato a chiedersi il
perché di ogni cosa.
- E perché bisogna lavare la macchina ogni sabato?
- E perché andiamo sempre a fare la spesa all’iper?
- E perché non si può avere un po’ di pancia?
I vicini cominciarono a guardarlo di sbieco.
Poi, quando Occhiopin si truccò gli occhi di rosa, cominciarono a prenderlo in giro chiamandolo Occhiopink, perché pink in inglese vuol dire rosa. Alla fine avvertirono la Fata Turchina,
che da sempre vegliava affinché nessuno uscisse dai ranghi.
Così una notte la Fata gli appioppò una bella punizione…
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Il mattino dopo, svegliandosi da sogni agitati,
Occhiopin si trovò mutato in un mostruoso burattino di legno.
A fatica scese dal letto. Vorrei vedere te camminare con due gambe di legno! Immagina il dolore alle ginocchia! Lo sforzo del povero cuore per pompare il sangue nelle venature del legno! Guardandosi allo specchio Occhiopin vide il suo volto trasformato in una stupida maschera che sorrideva come prendendolo in giro.
Cercò di piangere, ma dai suoi occhi uscì solo una densa goccia di resina.
- Fata Maledetta! Maledetta Fata! - urlò con tutte le sue forze.
Per la disperazione cominciò a tirare calci e pugni a tutti gli oggetti che aveva intorno. Spaccò
la sveglia nel preciso momento in cui la lancetta abbandonava le otto per indicare le sette.
Sentendo il frastuono, il padre urlò:
- Cos’è questo fracasso, Occhiopin?
- Guarda cosa sono diventato, babbo! Guarda! Sono un mostro!
- Mi spiace tanto che tu sia nei guai, figliolo. Se hai bisogno di aiuto, sono in salotto.
E fu così che, per la prima volta in vita sua, picchiò il padre, e lo mandò al tappeto. Accipicchia com’era diventato forte! Forse l’aveva ammazzato?
Si caricò il vecchio sulla schiena e uscì di casa.
Era domenica presto, e ormai tutti erano andati a letto. Nessuno lo vide allontanarsi dal paese verso la spiaggia. Arrivato cominciò a nuotare verso il mare aperto portandosi dietro il padre. Strano, non aveva mai imparato a nuotare, ma adesso galleggiava benissimo. Nuotava all’indietro, coi piedi in avanti e la testa puntata verso la spiaggia. In mezzo al mare trovò una
balena che dormiva con la bocca aperta.
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Prese il vecchio e lo depositò fra le gigantesche mascelle del cetaceo.
Si sentì triste, perché nonostante il padre si fosse sempre dimostrato una persona insignificante, incapace del minimo aiuto, era pur sempre il suo babbo.
Ritornò verso riva andando sempre al contrario, e, una bracciata dietro l’altra, ritrovò il buonumore. Anzi, adesso si sentiva felice come mai lo era stato prima. Motivi non gliene mancavano. Era diventato forte, aveva imparato a nuotare e, liberatosi del padre, non doveva più
sciupare la sua esistenza in quello sciatto paese. Ma, soprattutto, era diventato unico. Occhiopin! Il solo burattino al mondo a saper fare tutte quelle belle cose!
Tuttavia, come dice un cantante del quale ho dimenticato il nome, la tristezza non ha fine,
ma la felicità sì. Appena mise un piede sulla sabbia, si rese conto che il suo corpo aveva subito una nuova metamorfosi. Era diventato un asino!
Che fosse la punizione della Fata Turchina per aver tolto di mezzo il babbo?
- Non fartene un cruccio, vecchio mio, non è colpa tua. Vivere in questo postaccio riduce qualunque persona a un asino - rispose ai suoi pensieri un altro asino che era sulla spiaggia.
Occhiopin lo guardò sorpreso e ribatté:
- Beh! Neanche tu mi sembri messo bene.
- Sì, ma sto per porvi rimedio, amico. Vado al Paese dei Bei Occhi, io.
- Sarebbe? - chiese Occhiopin.
- Un luogo come non l’hai mai visto - rispose l’asino. - Seguimi, vecchio mio, tornerai come nuovo.
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Nel Paese dei Bei Occhi i due asini
impararono a usare gli occhi in modo nuovo.
Dove Occhiopin era nato, a Villette Barbecue, le persone guardavano ma non sapevano vedere. Mi spiego meglio. Guardavano una cosa, e ne scorgevano soltanto il prezzo. Guardavano qualcuno, ma facevano caso solo ai vestiti. Guardavano le nuvole senza notare come cambiassero colore a seconda della luce. E con supremo sforzo d’intelligenza, alla fine dicevano:
“Forse piove”. La realtà sfuggiva loro da sotto il naso.
Nel Paese dei Bei Occhi, Occhiopin imparò a vedere la bellezza che si annida nelle cose del
mondo. Al principio gli fu molto difficile, perché per anni era stato addestrato a fare il contrario: ad ammirare la bruttezza che ricopre le cose. Al suo paese la gente adorava le schifezze. Tutti passavano le serate davanti alla televisione gridando “Bello! Bello!” a ogni porcheria
che appariva sullo schermo. Dovette dunque disimparare tutto. E piano piano ripulirsi gli occhi da tutte quelle bruttezze che vi si erano appiccicate.
Quando finalmente uscì dal Paese dei Bei Occhi, era tornato a essere un burattino di legno.
Ovunque andasse, la sua vista spaziava per il mondo come una lente d’ingrandimento, e metteva in rilievo la bellezza e la verità, che poi sono quasi la stessa cosa.
- Ben trovato, amico, e grazie di tutto - disse al ragazzo che aveva incontrato sulla spiaggia sotto le sembianze di un asino.
- Ben trovato, Occhiopin, la bellezza sia con te - rispose l’altro allontanandosi nella direzione
opposta.
La strada si stendeva bianca verso l’infinito, e la brezza gli soffiò fra i capelli dandogli il benvenuto nel mondo.
Ma era destino che la Fata Turchina non lo lasciasse in pace.
Vedendolo così contento della sua condizione di burattino, che in realtà avrebbe dovuto essere una punizione, la fata andò su tutte le furie.
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- Occhiopin! Cosa credi di fare? - disse.
- E a te che te ne importa?
- Attento a come parli, moccioso.
- Va’ via, zombi, che puzzi peggio di un formaggio pieno di mosche e vermi!
La fata diventò rossa come un tramonto. Fece una mossa fatata e gli ficcò dentro la testa di
legno un grillo parlante.
- Ahh! Maledetta! Levami questa cosa dalla testa! Ahhhh! - urlò Occhiopin.
La Fata Turchina però non aveva ancora finito. Acciuffandolo per il collo, lo appese a un albero.
- Vedrai che lassù l’aria fresca ti schiarirà le idee, brutto maleducato.
E subito il grillo parlante cominciò a martellargli il cervello:
- Rilassati, Occhiopin. Non preoccuparti di nulla. Sii felice. La storia va indietro, non avanti.
Non pensare a nulla. Fatti una posizione. Sposati. Fa’ dei figli. I figli sono l’allegria della casa.
Ah, casa, dolce casa!
Quella sfilza di stupidaggini rimbombava nella testa di Occhiopin e non lo lasciava pensare.
Il nodo alla gola lo soffocava.
Restò lì appeso tutta la sera, e poi anche il pomeriggio.
Ma dopo il mattino, appena giunta la notte, due ombre venute dal nulla lo tirarono giù.
- Amici, non so come ringraziarvi - disse Occhiopin.
Ma i due, che erano molto timidi, si stavano già allontanando correndo all’indietro.
Lui, malridotto com’era, non riuscì a inseguirli.
- La bellezza sia con voi! - urlò Occhiopin.
Ma le loro sagome si erano già dileguate.
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Si era fatto un’altra volta giorno.
Il burattino continuò lungo la bianca strada tenendosi la testa fra le mani.
- Compera. Acquista. Consuma. Spendi. Uniformati. Ubbidisci - proseguiva imperterrito il grillo.
- Basta! Basta!! Ti prego, lasciami in pace!
Per sua fortuna incontrò una volpe e un gatto seduti all’ombra.
- Sembra che tu abbia un gran mal di testa, burattino - disse la volpe.
- Possiamo fare qualcosa per te? - chiese il gatto.
- Sto impazzendo! Ho un grillo parlante dentro il cervello.
- Ah, il Grillo! Conosciamo quell’idiota. È il tirapiedi della morta turchina.
- C’è un solo modo per farlo tacere. Vieni con noi.
Il gatto e la volpe portarono Occhiopin in un campo, dove lo aiutarono a scavare una buca.
Poi gli chiesero di ficcarci la testa.
- Questo è il Campo dell’Oro Zecchino - lo informò il gatto.
- Crescono monete d’oro: l’unica cosa che fa tacere quell’avido grillo - continuò la volpe.
- Fra poco starai meglio, caro Occhiopin - promisero i due.
In effetti poco dopo il grillo si zittì, e Occhiopin poté tirar fuori la testa.
- Vi ringrazio di cuore, signori. Ma come fate a sapere il mio nome? Mi ricordate due ombre
che ho già incontrato - disse il burattino.
Abbozzando un sorriso il gatto e la volpe si allontanarono, perché erano molto timidi.
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Rimase in campagna, spostandosi qualche volta in città per andare al cinema.
Riusciva a vedere la bellezza ed era felice.
Ma non riuscì a nascondersi alla Fata Turchina per molto.
- Arrivederci, ragazzaccio.
- Ancora tu! Accidenti!
- Sono venuta a riprenderti, bambino.
- Non sono un bambino, ma un burattino vero.
- Ti riporterò a Villette Barbecue.
- Non ci provare! Sto andando da tutt’altra parte. Vado lontano, io!
- Cosa c’è che non va in quel paese? È troppo banale per il signorino? - ruggì la fata.
- Beh! Tanto per cominciare, a Villette Barbecue non c’e nemmeno un posto dove comprare un
libro - rispose Occhiopin.
Ma la Fata gli aveva teso una trappola. Non appena Occhiopin diceva qualcosa in cui credeva veramente ZAC! il suo naso si rimpiccioliva.
- Tutti gli abitanti non parlano che di soldi e di calcio.
ZAC! ancora più piccolo.
- Le donne sono completamente rimbecillite dalla moda. Non ce n’è una che non si tinga i capelli per paura di quelli bianchi.
ZAC! Un malizioso sorriso comparve sul volto della Fata Turchina. Il naso di Occhiopin era
completamente sparito, ma lui non se ne rendeva ancora conto.
- I bambini sono cretini, col cervello in poltiglia per tutte le stupidaggini che sentono.
ZAC! Dove prima c’era il naso apparve un buco.
- Ah, ahh, ahhh, aaaahhhhhh! - rise la Fata a crepapelle
- È vero! È vero! È tre volte vero! Villette Barbecue fa schifo! - urlò.
ZAC! ZAC! ZAC! Dove prima c’era un buco apparve un cratere. Occhiopin capì quel che gli era
successo e si portò le mani al volto.
- Raccontando la verità, bambino mio, non si arriva lontano. E tu poi, ah ah ah! non vedi più in
là della punta del tuo naso, ah ah ah! - rise la Fata Turchina.
Il burattino cadde per terra in ginocchio, singhiozzando.
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Tornò a casa per la strada bianca che attraversava i campi.
Vide come se fosse l’ultima volta i fiumi scorrere verso la cima delle montagne, le uova entrare nelle galline, i paracadute gialli simili a funghi volare dal vecchio aerodromo di campagna su su fino agli aerei. E tutte le altre cose che amava.
Gli venne in mente una poesia che aveva sognato al Paese dei Bei Occhi:
Si rigira la Terra nel suo letto
scaraventandoci nel buio.
E chiudo gli occhi ma è notte anche lì,
fino a che il sogno divampi
e la Terra si rigiri ancora.
Aprì la porta di casa.
Il padre era là che guardava la tv, come se non fosse mai morto. Anzi, sembrava addirittura essere ringiovanito.
- Arrivederci, figliolo. C’è qualcosa in forno se hai fame.
- Arrivederci, babbo, grazie, ma col buco che mi ritrovo in faccia non so se riesco a mangiare.
- Cavoli, figliolo! Sembra che un treno merci ti abbia dato il bacio della buonanotte! Spero solo che tu non ti sia fatto vedere così dai vicini.
- Tanto ormai lo sanno tutti che la Fata Turchina mi ha preso il naso.
- Ah ah ah ah ha! Comunque non ti serviva: non hai mai avuto fiuto per gli affari.
Ridendo, il padre si alzò e andò a fare le parole crociate in giardino. La tv continuava da sola
la stessa, identica, insopportabile tiritera del Grillo. C’era da pensare che, per il puro piacere
di continuare a disturbarlo, il Grillo fosse finito dentro la tv.
- Ama solo te stesso. Non sei nessuno. Amati. Odiati. Comprami - ripeteva.
Occhiopin pensò che questo doveva essere un nuovo grillo, molto più grande dell’altro, invisibile, tranne che per quell’unico occhio di vetro quadrato.
- Ma tu sei un Super Grillo? - sussurrò il burattino alla tv.
- Amami - ordinò l’apparecchio.
Occhiopin lo spense spaventato! Con naso o senza naso, in quella casa non ci poteva restare!
Col primo pretesto sarebbe filato via.
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Dopo mezzogiorno, arrivò la mattina.
- Vado a scuola, babbo. Torno presto - disse, prendendo l’unico libro che c’era in casa.
- Così sfigurato? Meglio che tu rimanga qui ad aiutarmi a fare il cambio di stagione. La primavera sta finendo e presto verrà l’inverno.
- Allora vado un momento a leggere in giardino. Torno subito - disse Occhiopin stringendo la
maniglia della porta.
- Ah, figliolo, sei irrecuperabile. Te lo chiedo per l’ultima volta: resta a casa.
- Va bene babbo, lascio il libro qui. Prendo una boccata d’aria fresca e torno prima che tu possa dire
- disse il burattino aprendo la porta.
- Forse ti sembro una persona sciocca, figliolo, e forse lo sono. Ti assicuro, però, che tu sei messo molto peggio - sentenziò il padre, mentre lo prendeva per un braccio e chiudeva la porta.
- Beh, sì! Mi manca il naso - indicò il burattino.
- Quello è niente - rispose il babbo.
- Vuoi dire che sono di legno?
- Voglio dire che per essere uno di noi ti mancherà sempre la cosa più importante: saper raccontare una bugia come si deve - spiegò il padre facendolo sedere sul divano. - Aspettami qui.
Scese in cantina.
- Sai, stavo pensando di farmi fare un caminetto in salotto - gli urlò da là sotto.
- Ottima idea, babbo - rispose Occhiopin.
Poi il padre risalì con un’accetta in mano.
- Penso che avrò proprio bisogno di legna - disse guardandolo. - Mi dispiace, figliolo.
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C’è un terreno abbandonato nel paese dov’è nato Occhiopin.
Lì una mattina il padre scaraventa un vecchio ceppo.
Arriva la notte, viene il tramonto, poi mezzogiorno, e dopo la mattina giunge di nuovo la notte. E così trascorre il tempo finché, arrivato il momento, il ceppo comincia a ringiovanire.
Una goccia di linfa inizia a scorrere nelle rinsecchite venature del legno e il ceppo si stiracchia, allargando i rami come se si svegliasse da un lungo sonno. Mentre i tarli si affrettano a
chiudere i buchi del tronco, timidamente spunta una gemma verdolina, poi un’altra, più decisa. In un attimo sbocciano fiori e frutti dorati. Con un balzo TRAC! il tronco si mette in piedi. Traballa un po’, ma poi le radici penetrano nella terra nera e lo fissano al suolo.
Il ceppo si trasforma in un grosso albero di cachi.
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Racconta che una volta è stato un bambino triste, poi un burattino felice, e pure un asino.
Malgrado l’assurdità della storia, un gruppo di bambini di Villette Barbecue si riunisce ogni
giorno sotto la sua fronda. Vogliono ascoltarlo parlare di quel luogo diverso, del Paese dei Bei
Occhi. Dove il tempo va in avanti e non indietro. Dove la gente è capace di vedere la bellezza delle cose del mondo. E dove la tv c’è, ma se non danno Popeye la si lascia spenta.
All’inizio neppure io prendo la cosa troppo sul serio. Ma poi l’orologio della piazza smette veramente di girare all’indietro, e un uovo esce da una gallina, e poi anche…
Ma per tutte le balene! Possibile! Anche il mio orologio si è messo a girare in avanti?
?airots atseuq ni àredeccus asoC
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Premio Andersen 2004 Miglior produzione editoriale “fatta ad arte”
© 2006
Fabian Negrin
© 2006
orecchio acerbo s.r.l.
viale Aurelio Saffi, 54
00152 Roma
www.orecchioacerbo.com
Grafica
orecchio acerbo
finito di stampare
nel marzo 2006
da Edisegno s.r.l.
Roma