Pdf Opera - Penne Matte

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Pdf Opera - Penne Matte
La soluzione non è l'Oriente Il piede continuava a fargli male. Al centro della caviglia, con tempi irregolari e imprevedibili, gli rimbalzava un dolore che Max non faceva fatica a definire "giusto". A svegliarlo era stato il plin di risposta, riprodotto in ogni stanza da altoparlanti indefinibili per numero e posizione: un suono secco e insopportabile. Decise di fare in fretta: il timer stava per scattare. Simile, per funzionamento ma non per dimensioni, ai cartelloni delle partenze e degli arrivi delle grandi stazioni, era appeso in alto, sulla parete accanto alla porta: unico strumento vintage di quell'appartamento. I muri, bianco ospedale, sembravano fatti di mattoni, calcestruzzo e vernice. Erano schermi, quadrati impercettibili che trasmettevano quello che Ambiente voleva. Per il resto la casa non era dotata di molte altre cose: un letto, una chaise longue senza braccioli e un cucinino. Non c'erano fuochi, solo piastre a induzione azionate dai comandi che Max poteva richiamare sull'avambraccio. Le utilizzava quando decideva di farsi una tisana in attesa di sapere cosa gli avrebbe riservato Ambiente. Il cibo arrivava sempre alla stessa ora: compariva in contenitori ermetici sull'ampio piano d'appoggio accanto alle piastre. Caldo, fragrante, gustoso. Mai abbondante. Chi lo portava e come arrivava era impossibile saperlo. C'era un'unica porta d'accesso. Non di uscita. Perché da quel posto non si poteva scappare. L'unico compito da eseguire era osservare i minuti sul timer e commentare. Collegarsi in rete e aggiungere contenuti, rispondere a post e raccogliere quanto gli altri avevano voglia di condividere. La porta aveva uno spioncino elettronico: uno schermo rettangolare, sdraiato sul lato lungo. Riproduceva sempre la stessa scena: un pianerottolo stretto e profondo che conduceva a un'altra porta. Pochi centimetri sotto l'occhio bionico una frase, scritta su un foglio a quadretti: "La soluzione non è l'Oriente, ma poter scegliere di andarci a piacimento". Max non ricordava quante volte aveva stracciato quel fottuto pezzo di carta. Inutile: ogni mattina, al suo risveglio, lo ritrovava lì. E con lui quel consiglio osceno. Il ragazzo stese il braccio destro, aprì il palmo della mano e piegando le quattro dita per due volte consecutive, richiamò l'aria verso di sé. Comparve l'ologramma di una tastiera e sulla parete di fronte venne proiettata la risposta. Qualche ora prima aveva postato una canzone che in quei giorni, secondo i suoi calcoli, avrebbe compiuto quarant'anni. Qualcuno sotto il video si era firmato così: "E' una canzone di merda, di un autore di merda. E tu sei uno sfigato di merda". Max sospirò, picchiettò un "D'Altronde" e fece partire il video a tutto volume, lasciandosi cadere sulla chaise longue. "...così poi aspetteremo il weekend, convinti che sarà il migliore dei weekend". Come rispondendo alle parole della canzone, il timer reagì in maniera allegra: un rincorrersi di flap-­flap-­flap che lo portò al punto di partenza. In quel momento si palesò Cap, il suo gatto. Completamente nero, aveva una striscia di peli bianchi all'attaccatura della zampina destra, simile a una fascia da capitano. Particolare che ne aveva propiziato il nome. Ambiente si premurava di fornire a ogni Utente un animale domestico per combattere la solitudine. A lui era capitato Cap. Sembrava sapesse leggergli il pensiero, al contrario di Ambiente. O almeno così sperava Max. Altrimenti il suo piano non poteva riuscire. -­‐ Vorrei che amassi me, quanto ami quel gatto -­‐ La scritta apparve sulla parete, insinuandosi come un serpente tra i sassi. Silenziosa, rossa, corsiva. Max la chiamava "la voce", sebbene non avesse suono. Era Ambiente. Il Capo. Il Sistema o forse semplicemente il Potere. Era impossibile distinguerne il sesso eppure Max era convinto fosse una donna. Per come s'ingelosiva, per come pensava, per come lo incalzava, lo riprendeva e lo giudicava. Per come lo comandava. -­‐ Non mi stai leggendo -­ continuò innervosendosi un poco -­‐ lo percepisco dalle sinapsi. Sono di colore grigio quando sono spente, sai? Diventano blu quando mi leggi -­ -­‐ Non credo sarà mai possibile -­‐ l'aveva interrotta. -­‐ Dici? -­‐ aveva insinuato Ambiente, facendo correre la sua scritta corsiva lungo le pareti, come per circondarlo. Una luce rossa aveva cominciato a lampeggiare, seguita da una musica ruffiana, diabetica e invadente. Max sapeva benissimo di cosa si trattava: il sesso programmato. A intervalli imprevedibili, Ambiente costringeva gli Utenti a sfogare i propri più bassi istinti masturbandosi davanti agli schermi. Sui monitor apparivano immagini di persone che si toccavano ansimando. Max non aveva mai creduto che la sua figura comparisse in altri appartamenti (se mai ce ne fossero stati). Sapeva che era una creazione di Ambiente. Un altro modo per umiliarlo, legarlo, annientarlo. Eppure non poteva fare a meno di recitare la sua parte. Così si slacciò i pantaloni del pigiama. Mentre le sue mani scendevano, la sua mente volò sulla spiaggia di un'isola greca sulla quale aveva camminato un'estate lontana anni luce. Su quella sabbia bianca, lo sapeva con certezza, aveva lasciato la sua serenità. * * * La decisione era arrivata improvvisa. Come generata dai tuoni riprodotti dagli altoparlanti. Raggomitolato in posizione fetale ascoltava il rumore di un temporale di fine agosto. Era il modo con cui Ambiente cercava di consolarlo: richiamare un ricordo d'infanzia che lo facesse sentire al sicuro. Senza troppe difficoltà il suo pensiero da ossessivo (Perché è capitato a me? Perché non muoio?) si era trasformato in un piano preciso. Era successo il giorno in cui aveva perso in maniera definitiva il controllo della sua vita. Il giorno in cui era diventato proprietà di Ambiente. Il giorno in cui aveva deciso di non rispettare l'ordine muto del timer. Ambiente si era subito insospettita: -­‐ Che fai? -­‐ -­‐ Nulla -­‐ aveva risposto Max. -­‐ Non starai facendo quello che penso? -­‐ Nessuna risposta. -­‐ Bene. Complimenti -­‐ aveva chiosato aggiungendo l'emoticon di due mani impegnate in un applauso. Allo scoccare dell'ultimo flap, il timer si era fermato per un istante infinito. Era stata l'incertezza di un momento: aveva sfarfallato come era solito fare ed era tornato al punto di partenza. Max aveva osservato la scena in silenzio. E poi si era lasciato andare ad un suono gutturale che voleva riassumere un "Tutto qua?". Soltanto la notte avrebbe scoperto le conseguenze del suo gesto: sul piano d'appoggio del cucinino aveva trovato una scatola viola. La introduceva un bigliettino: "Una bella cosa". Al suo interno c'era una mano. Le cinque piccole dita di un bambino. * * * Sdraiato a terra ancora preda dello sforzo di un orgasmo costretto, Max allungò la mano alla ricerca dei pantaloni del pigiama. Ne aveva abbastanza. Non poteva aspettare oltre. Senza fretta si avvicinò alla porta e staccato il foglio di carta, si diresse verso la cucina. -­‐ Caaaap -­‐ chiamò. Il gatto arrivò di corsa, come se conoscesse i piani del suo padrone. Max accese la piastra e la portò al massimo della potenza. Poi ci poggiò sopra il foglio che reagì trasformandosi in una fiamma di colore blu. Non sarebbe durata a lungo, bisognava alimentarla. Si tolse il pigiama e lo lanciò sul fuocherello, poi corse in camera: le lenzuola avrebbero completato il tutto. Fu in quel momento che gli allarmi scattarono. -­‐ CHE FAI?! -­ scrisse Ambiente. -­‐ Me ne vado, cazzo! Sono un uomo libero! -­‐ rispose Max che, impugnato il bollitore, corse nudo verso la porta. Per far saltare la maniglia ci vollero centinaia di colpi, ma alla fine la serratura cedette. Cap gli balzò in braccio, dandogli l'ultima stilla di coraggio necessaria per affrontare il futuro. Il corridoio che gli si parava davanti era lo stesso che lo spioncino gli aveva mostrato mille volte. Stretto e lungo con in premio una nuova possibilità. Almeno in quello la casa era stata sincera. Il gatto miagolò piano quando Max poggiò la mano sulla nuova maniglia, infilandogli le unghie nel braccio. La porta scattò docilmente. Il timer, che sembrava attenderlo, lo salutò con il solito flap. Al centro della stanza la chaise longue ruotava su se stessa mentre più avanti le piastre erano pronte all'utilizzo. D'istinto Max corse a guardare sotto lo spioncino: il foglio era lì. Come se fosse stato appena attaccato: "La soluzione non è l'Oriente -­‐ gli ricordava -­‐ ma poter scegliere di andarci a piacimento". Cap gli cadde dalle braccia prima che Max si schiantasse a terra. Aveva dato fuoco a tutto quello che possedeva, aveva sfidato Ambiente, per avere in premio lo stesso identico destino. Respirò profondamente. Richiamò l'aria a sé col movimento secco delle quattro dita e poi cercò una frase da postare. La spalla sinistra gli faceva un male cane, così, si pizzicò la pelle per capire l'origine del dolore. All'altezza del tricipite gli era comparsa una scritta. Un tatuaggio. "Memento". Max lo scrisse in maiuscolo, condividendolo col resto del mondo. Poi nudo, sdraiato a terra, aspettò che il timer sfarfallasse di nuovo.