Resoconto Attività Parlamentari

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Resoconto Attività Parlamentari
Attività Parlamentare
Raccolta delle interrogazioni presentate alla
Camera e al Senato e al Parlamento europeo
n. 38/2014
2014
INDICE
CAMERA ............................................................................................................................................ 3
Risposta del Sottosegretario per l’Ambiente e la tutela del territorio e del mare, Barbara Degani,
all’interrogazione sulla situazione di inquinamento ambientale dell'area compresa tra
Maccarese e Palidoro del comune di Fiumicino .......................................................................... 3
Interrogazioni a risposta immediata in Commissione sullo sversamento di idrocarburi nel
fiume Arrone, anche a causa di alcuni furti di cherosene dall'oleodotto dell'ENI di
Maccarese (Roma) ......................................................................................................................... 6
Interrogazione a risposta immediata in VI Commissione sull’uso di strumenti tracciabili per
effettuare pagamenti in ogni ambito ............................................................................................ 9
Interrogazione a risposta scritta sul polo petrolchimico di Gela e sulla strategia di Eni .......... 11
Risposta del Viceministro dello sviluppo economico, Claudio De Vincenti, all’interrogazione
sulle questioni relative alla possibile presenza di petrolio derivante da sabbie bituminose
presso la raffineria Saras di Sarroch .......................................................................................... 11
Interrogazione a risposta immediata sulle iniziative per la nomina in tempi rapidi dei
presidenti delle autorità portuali scaduti e in scadenza e per la verifica di eventuali
incompatibilità dei presidenti in carica ..................................................................................... 14
Interrogazione a risposta scritta sulla nomina del presidente dell'autorità portuale
di Trieste ........................................................................................................................................ 15
Risposta del Viceministro dello sviluppo economico, Claudio De Vincenti, all’interrogazione
sull’estensione delle agevolazioni sui costi dell'energia agli impianti di riciclaggio ............... 16
Risposta del Viceministro dello sviluppo economico, Claudio De Vincenti, alle interrogazioni
sullo stato di attuazione dei Protocolli di intesa Italia-Serbia in materia di energia .............. 18
SENATO ............................................................................................................................................ 27
Interrogazione a risposta in 8ª Commissione permanente sull'incompatibilità di ruoli all'interno
dell'autorità portuale di Napoli e sulle concessioni demaniali nel porto di Napoli ............... 27
Interrogazione a risposta scritta sullo sversamento di idrocarburi nel fiume Arrone, anche a
causa di alcuni furti di cherosene dall'oleodotto dell'ENI di Maccarese (Roma) .................. 31
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CAMERA
Risposta del Sottosegretario per l’Ambiente e la tutela del territorio e del mare, Barbara Degani,
all’interrogazione sulla situazione di inquinamento ambientale dell'area compresa tra
Maccarese e Palidoro del comune di Fiumicino, presentata da DAGA (M5S) n. 5-04021.
Lo stato di emergenza ambientale che si è creato per le fuoriuscite di combustibile liquido
dall'oleodotto della Società Eni, tratta Civitavecchia-Pantano di Grano, nei giorni 6 e 7 novembre
ultimo scorso e che ha interessato due siti nel comune di Fiumicino, il primo in prossimità del Rio
Palidoro, località Passoscuro e il secondo a tre chilometri più a sud in località «Maccarese», ha visto
impegnate le istituzioni locali e centrali, al fine di arginare i danni ambientali conseguenti agli
eventi, da imputarsi, verosimilmente, a un tentativo di furto di kerosene ad opera di ignoti.
Infatti, nell'immediatezza dei fatti, la Capitaneria di Porto di Roma, al fine di acquisire i primi
elementi di valutazione, ha inviato proprio personale per verificare l'effettivo sversamento del
prodotto e, congiuntamente ai Vigili del fuoco, ha provveduto alla messa in sicurezza dell'area
interessata, constatando nel contempo la presenza dei tecnici dell'ENI che hanno riparato il danno
che causava la fuoriuscita del kerosene. Peraltro, lo sversamento di tali ingenti quantità di
cherosene, nelle acque del fiume Arrone e del rio Palidoro, che ha interessato anche terreni destinati
a produzioni agroalimentari non può non determinare un'incidenza negativa, significativa e
misurabile, sulle risorse naturali tutelate dall'ordinamento. In relazione alla rilevanza dell'accaduto e
al potenziale pericolo per l'ambiente, il Ministro dell'ambiente ha ritenuto di coadiuvare le iniziative
già in atto dando disposizioni al Comando dei Carabinieri per la Tutela Ambientale e al Reparto
Ambientale Marino del Corpo Capitanerie di Porto affinché procedessero ai necessari accertamenti,
acquisendo la pertinente documentazione, con particolare riferimento alla gestione e manutenzione
dell'oleodotto ed al relativo sistema di sicurezza, anche avvalendosi, eventualmente, del supporto
tecnico dell'ISPRA. Le attività intraprese, sia a livello locale che per iniziativa del Ministero
dell'ambiente, sono finalizzate ad avere a disposizione tutti gli elementi di conoscenza e valutazione
sulle cause del sinistro e sugli effetti dell'inquinamento sul suolo, sulle acque superficiali e
sotterranee, sugli habitat e sulle specie protette. L'ENI, peraltro, in qualità di proprietario
dell'oleodotto ha reso la comunicazione prevista dall'articolo 242 del decreto legislativo n. 152 del
2006, rappresentando che a seguito dell'evento ha provveduto ad una serie di attività per mettere in
sicurezza e bonificare i luoghi. In tal modo, le due aree interessate, Palidoro e Maccarese, risultano
essere state immediatamente messe in sicurezza ponendo fine alla fuoriuscita di carburante poche
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ore dopo le rispettive effrazioni e le quantità sversate sono state contenute attraverso l'utilizzo di
panne di sbarramento e assorbimento. Le attività di contenimento sono completate e si sta
procedendo al ripristino attraverso l'assorbimento del carburante e la sua concentrazione per
facilitarne l'aspiramento. L'Eni ha completato sabato scorso le attività di riparazioni dell'oleodotto
presso i siti interessati. Non sono mancati gli accertamenti dell'ARPA al fine di monitorare le
matrici ambientali sia delle acque superficiali che del suolo/sottosuolo e rifiuti. I relativi campioni
sono stati rimessi ai laboratori interni della stessa ARPA per le relative analisi chimiche.
Le prime stime provvisorie, fornite dall'Eni, parlano di circa 40 tonnellate di kerosene sversati a
seguito di furti sulla condotta. Le autorità locali che hanno immediatamente attivato tutte le azioni
di competenza, compresa l'istituzione di una «Unità di crisi», sono coscienti che non sarà un lavoro
breve e che superata l'emergenza ancora in corso, si dovrà iniziare a lavorare subito sugli interventi
di bonifica. Circa la dinamica dell'evento non vi è dubbio, allo stato, che l'intero sforzo finanziario
finalizzato sia alla realizzazione degli interventi di bonifica che di quelli di ripristino ambientale
saranno a carico dell'ENI, quale proprietario della condotta. Allo stato risultano emanate dalle
autorità locali due ordinanze del sindaco di Fiumicino che rimarranno in vigore fino al termine
dell'emergenza, concernenti il divieto di pesca in tutti i corsi d'acqua e torrenti all'interno della
riserva statale del litorale romano, il divieto di caccia in tutto il comune, il divieto di utilizzare, per
qualunque uso e in qualunque modo compreso l'abbeveraggio degli animali e l'innaffiamento dei
campi coltivati, in tutti i fiumi, corsi d'acqua e canali di scolo ricadenti nel perimetro della riserva
statale nel comune medesimo. Il Ministero dell'ambiente non mancherà di fornire il massimo
supporto alle istituzioni locali affinché si possa al più presto ripristinare Io stato naturale dei luoghi
a salvaguardia della salute umana e dell’habitat naturale, e non mancherà di costituirsi parte civile
qualora gli eventi lo richiedessero. Per completezza di trattazione si rappresenta che la vicenda,
attualmente, è anche oggetto di indagine da parte del Nucleo Operativo Ecologico dei Carabinieri di
Roma e della Capitaneria di Porto, coordinati dalla Procura della Repubblica di Civitavecchia.
Di seguito il testo dell’interrogazione.
— Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
il giorno 5 novembre alcuni cittadini nel Comune di Fiumicino hanno segnalato un'ingente
fuoriuscita di cherosene dalle tubature dell'oleodotto Eni, in un'area compresa tra Maccarese e
Palidoro e non distante dalla sede locale dell'Ospedale Pediatrico Bambin Gesù; tale fuoriuscita di
carburante, secondo un rapporto ufficiale della società Eni, sarebbe stata conseguenza di danni
causati alle tubature durante un tentativo di furto del combustibile destinato all'aeroporto di
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Fiumicino; in prossimità dell'area in oggetto si trova l'oasi WWF di Macchiagrande e la riserva
naturale statale del litorale romano nella quale vi sono zone di alto valore naturalistico, tra cui tre
siti Habitat Natura 2000 e aree IBA (Important Birds Area), e che i sistemi idrici, le connessioni
ecologiche, le risorse trofiche, le specie presenti (animali e vegetali) sono elementi in continua
interazione e vitale connessione tra il sito di interesse comunitario, la zona di protezione speciale e
la Riserva naturale statale del litorale romano, i quali svolgono un ruolo di fondamentale
importanza per le specie che si trovano in questo ambito territoriale nelle loro diverse fasi del ciclo
biologico; il danno ecologico causato dal cherosene è attualmente estremamente rilevante e
destinato a peggiorare nelle prossime ore se si considera che il combustibile, riversatosi nel Rio Tre
Cannelle e da qui nel fiume Arrone e nel Rio Palidoro, ha già contaminato decine di ettari di terreno
destinato all'agricoltura e si è già riversato nel mar Tirreno dove sta causando un disastro
ambientale
di
immani
proporzioni
a
carico
della
flora
e
della
fauna
locale;
secondo dichiarazioni della Lipu onlus: «... sono centinaia gli animali trovati morti, impregnati di
idrocarburi, nei canali di Maccarese e del Villaggio dei Pescatori. Moltissimi aironi, cormorani,
anatre, così come decine e decine di pesci, che galleggiano morti nei canali...», che «l'area è
vastissima ed è presumibile che le vittime saranno ancora di più» e che «... l'area è
straordinariamente importante per le sue produzioni agricole di qualità, ma anche di assoluto valore
naturalistico, anche perché zona di sosta di uccelli migratori, che in questo periodo svernano lungo
il litorale romano e si cibano di pesci e altri piccoli animali nei canali di Maccarese»;
la sostanza inquinante si sta diffondendo anche nella rete dei canali di irrigazione, ponendo a grave
rischio di contaminazione persino altre aree agricole limitrofe con conseguente alterazione dei
prodotti alimentari ivi prodotti e, quindi, con pericolo per la salute dei consumatori;
già nel febbraio 2014, sempre in prossimità dell'area in oggetto, si è verificata un altro grave
disastro ambientale causato dalla fuoriuscita di rifiuti speciali ospedalieri dall'inceneritore di Ponte
Malnome di proprietà dell'azienda Ama e dalla fuoriuscita di idrocarburi provenienti da una
raffineria locale; sono evidenti gli enormi danni già arrecati al sistema idrico, alle falde acquifere e
alla catena alimentare dell'area in oggetto, nonostante l'intenso lavoro portato avanti in questi giorni
dai volontari del WWF e della Lipu –:
quali azioni intenda intraprendere per limitare ulteriormente i danni in un'area di così rilevante
valore ecologico ed agricolo e quali strumenti immediati intenda utilizzare perché si proceda alla
bonifica ambientale delle zone già oggetto di disastro. (5-04021)
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Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
sullo sversamento di idrocarburi nel fiume Arrone, anche a causa di alcuni furti di cherosene
dall'oleodotto dell'ENI di Maccarese (Roma)
MARIASTELLA BIANCHI (PD)
— Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'economia e
delle finanze. — Per sapere – premesso che:
uno sversamento di cherosene da un serbatoio di carburante dell'ENI avvenuto il 6 novembre 2014 a
nord del comune di Fiumicino ha contaminato il Rio Tre Cannelle e, da Palidoro a Maccarese, la
rete interna di canali agricoli e di bonifica che irrigano i campi e che confluiscono nel fiume Arrone
fino alla sua foce presso il Villaggio dei pescatori di Fregene. Un disastro ambientale ed ecologico
che sta avendo un impatto devastante per l'ecosistema della riserva e delle oasi naturalistiche del
litorale romano e per le aree coltivate; l'onda di cherosene ha inquinato decine di ettari di terreni
agricoli
e le aree naturalistiche della zona, facendo strage
di animali e specie protette. Oltre alla
moria di pesci lungo i canali della zona numerosi altri animali, tra cui testuggini, gallinelle d'acqua,
germani reali, garzette, nutrie, sono stati trovati morti nelle perlustrazioni dei volontari del Wwf e
della Lipu nei canali di Maccarese. Il carburante finito nei corsi d'acqua ha infatti intaccato la catena
alimentare: i predatori che si nutrono dei pesci o degli animali morti ingerendo a loro volta quantità
letali di carburante; c’è molta preoccupazione anche per la falda acquifera della zona che potrebbe
essere stata raggiunta dal combustibile filtrato dal terreno; inoltre, l'ondata di maltempo prevista per
i prossimi giorni potrebbe aumentare la portata del danno. Un innalzamento delle acque, infatti,
potrebbe spargere ulteriormente il cherosene nelle zone circostanti aumentando il raggio dell'area
colpita, oltre a far defluire le carcasse degli animali e il cherosene anche verso il mare;
l'allarme è scattato in ogni caso anche negli altri comuni costieri del litorale romano, poiché chiazze
oleose trasportate dalle correnti marine sarebbero già arrivate a Ladispoli e Cerveteri. L'Eni ha
diminuito la pressione d'esercizio sulla linea per ridurre la fuoriuscita di cherosene. Al momento si
sta operando per chiudere la perdita, nel frattempo sono state posizionate panne galleggianti per
assorbire il carburante sversato nell'Arrone; a quanto risulta, rimane qualche incertezza sulla causa
che ha provocato la fuoriuscita di cherosene originata dal deposito dell'Eni collocato a monte del
corso d'acqua, vicino allo svincolo dell'autostrada. La fuoriuscita che ha prodotto l'imponente
contaminazione è stata causata da un tentativo di furto di carburante finito male, come segnalato
anche dalla stessa società Eni. Alcuni organi di stampa hanno paventato, però, un possibile guasto
dell'oleodotto, che da Civitavecchia arriva a Fiumicino, viste le grandi proporzioni del danno –:
quali
iniziative di competenza si intendano assumere, con somma urgenza, al fine di verificare la
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situazione ambientale dei luoghi e l'impatto che lo sversamento di carburante avuto sulle aree
agricole e sulle oasi naturalistiche della zona del litorale romano nonché la loro eventuale
compromissione, in particolare nell'area del fiume Arrone e nella zona di costa adiacente alla sua
foce;
se il Governo non ritenga necessario verificare l'entità della fuoriuscita di cherosene dall'impianto
ed assumere iniziative per far luce sulle cause che hanno permesso il determinarsi di un così grave
incidente;
se non si ritenga opportuno verificare se siano state attivate tutte le necessarie procedure di
controllo e sicurezza dell'impianto e quali misure ed azioni siano state attivate o siano da attivare in
futuro per il ripristino ambientale e la messa in sicurezza dei siti interessati, oltre che per dare
sostegno alle comunità colpite da questo disastro ambientale. (5-04007)
ZARATTI (SEL)
— Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'economia e
delle finanze. — Per sapere – premesso che:
il 6 novembre 2014 la società ENI ha reso noto, mediante comunicato alla stampa, la fuoriuscita in
località Palidoro nel comune di Fiumicino (Roma) di kerosene Jet A-1 per aviogetti, dall'oleodotto
Civitavecchia-Pantano;
la perdita di kerosene sarebbe stata causata da un tentativo compiuto da ignoti di effrazione per
sottrarre il carburante dalla condotta che parte da Civitavecchia e arriva a Fiumicino come
dichiarato dallo stesso sindaco della città aeroportuale e confermato dalla stessa società ENI;
lo sversamento di greggio, altamente infiammabile ed inquinante, ha interessato il fiume Arrone e il
Rio Palidoro, il corso d'acqua che sfocia direttamente nella costa a nord della Capitale e gran parte
della rete capillare dei canali agricoli e di bonifica, con gravissimi ed ingenti danni ambientali alla
fauna ittica ed all'intero ecosistema faunistico protetto della riserva naturale di Maccarese;
centinaia di carcasse di uccelli morti, pesci e nutrie sono stati rinvenute nelle ore successive sulle
spiagge e ai piedi dei canali e dei corsi d'acqua, tanto che al fine di scongiurare qualsiasi rischio alla
salute e igiene pubblica, con un'ordinanza sindacale è stato disposto il divieto di utilizzo delle acque
del fiume Arrone, lungo tutto il tratto che dal casello di Fregene dell'autostrada A12 RomaCivitavecchia arriva alla foce e del Rio Palidoro dall'altezza dell'attraversamento della medesima
arteria e fino alla foce;
fortissima è la preoccupazione che i gravissimi danni riscontrati nell'immediato succedersi
dell'evento siano solo l'inizio di un disastro e di un dissesto ancor più ampio, con possibile
compromissione a più livelli della catena alimentare –:
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se il Governo sia già in grado di valutare e riferire sulle esatte circostanze che hanno determinato il
gravissimo disastro ambientale prodotto dallo sversamento di kerosene descritto in premessa, quali
siano state le misure adottate dalla società Eni per contenere e bloccare immediatamente la
fuoriuscita del carburante e quali azioni, per quanto di competenza, intenda assumere il Governo
perché siano adottate immediate misure per eliminare gli effetti dannosi già prodotti o potenziali e
si possa prevenire il pericolo di ulteriore danno all'ambiente e all'intero sistema agricolo del
territorio. (5-04008)
SALTAMARTINI (NCD)
— Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'economia e
delle finanze. — Per sapere – premesso che:
da alcuni giorni, sembra a causa di alcuni tentati furti di cherosene da parte di ignoti, dall'oleodotto
gestito dall'ENI in località Maccarese nel comune di Fiumicino è iniziato lo sversamento di ingenti
quantità di idrocarburi nel fiume Arrone, nel Rio Palidoro e nei limitrofi canali di irrigazione;
ad oggi non è stato possibile ancora accertare la quantità di sostanze inquinanti che si sono riversate
nei corsi d'acqua della zona e stabilire, da un lato l'entità dei danni causati all'ecosistema pluviomarino, e dall'altro se le contromisure adottate da ENI siano da considerare efficaci e sufficienti;
parrebbe che l'evento inquinante abbia già causato la morte di migliaia di volatili e pesci,
destabilizzando gravemente l'ecosistema della zona, con la possibile, ove non probabile, grave
compromissione della catena alimentare del sistema naturale locale; le tubazioni dell'oleodotto
interessato dai danni scorrono a cielo aperto in diversi punti del loro percorso, tanto da essere stati
oggetto di tre tentativi di furto in pochi giorni e tali eventi suscitano seri dubbi all'interrogante sulla
efficacia delle procedure di sicurezza; l'intervento delle istituzioni, in particolare quelle locali, è
apparso poco tempestivo, tanto che l'ordinanza su Arrone Rio Palidoro sembra sia stata firmata a
ben tre giorni dal primo sversamento e a 24 ore dal secondo –:
quali siano state le effettive cause dell'incidente e se vi siano state responsabilità o ritardi dell'ENI
nella gestione della sicurezza degli impianti prima e dell'emergenza poi;
se siano note le ragioni del ritardo nel dare l'allarme e nel prendere gli opportuni provvedimenti al
fine di mettere in sicurezza l'area interessata;
quali iniziative siano state messe in campo per garantire il minor impatto possibile sull'ecosistema e
la sicurezza dei cittadini-consumatori;
quali iniziative intenda assumere il Governo per evitare il ripetersi di tali fatti che alcuni organi di
stampa hanno definito come ecologicamente disastrosi. (3-01150)
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TIDEI (PD)
— Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
lo sversamento di cherosene (JET A1) causato dagli eventi verificatisi all'oleodotto che collega il
deposito costiero ENI Spa di Civitavecchia con il deposito costiero di pantano di Grano (Roma), in
data 6 novembre 2014, in prossimità del Rio Palidoro, e il giorno seguente in prossimità del fiume
Arrone; a seguito di tale sversamento il sindaco del comune di Fiumicino ha emesso due ordinanze
(n. 155 del 08 novembre 2014 e n. 156 del 10 novembre 2014) con le quali, dati i reali rischi
ambientali e di salute pubblica, ha imposto il divieto di utilizzare per qualsiasi uso e in qualunque
modo, le acque, nei tratti specificamente indicati nelle summenzionate ordinanze, del fiume Arrone
e del rio Palidoro. Tali ordinanze hanno esteso il divieto agli allevatori di far abbeverare il proprio
bestiame al pascolo in libertà nei suddetti fiumi e nei suddetti tratti fluviali, così come il divieto di
caccia e pesca nelle aree ricadenti all'interno del perimetro della riserva statale del Litorale Romano,
nel comune di Fiumicino; il sindaco del comune di Fiumicino ha, altresì, annunciato, la
convocazione, per il giorno di martedì 11 novembre 2014, presso gli uffici comunali di un'unità di
crisi alla presenza di ENI, Capitaneria di porto, Polizia Locale, Arpa Lazio, Asl Sanitaria e
Veterinaria, Protezione Civile, Vigili del Fuoco, WWF, Lipu, Guardia Forestale, Polizia
Provinciale, forze dell'ordine ed enti e società intervenute nell'incidente; il Ministro dell'ambiente e
della tutela del territorio e del mare ha dato disposizione al Nucleo Operativo Ecologico (NOE) dei
Carabinieri di procedere ai necessari accertamenti sulle aree colpite, avvalendosi del supporto
tecnico dell'Ispra –:
se e quali iniziative il Ministro intenda adottare affinché si intervenga in maniera adeguata per
l'immediata bonifica e qualificazione delle numerose aree interessate dal disastro ambientale anche
acquisendo alimenti in merito alle iniziative di Eni, di cui al Governo è azionista di riferimento;
se non intenda, con il coinvolgimento delle istituzioni locali e delle autorità competenti, intervenire
presso la società Eni spa, controllata dallo Stato, affinché quest'ultima provveda ad adottare misure
urgenti atte ad eliminare gli effetti dannosi già procurati all'ambiente e a prevenire i rischi di
ulteriori pregiudizi, gravi, all'ecosistema. (5-03997)
Interrogazione a risposta immediata in VI Commissione:
sull’uso di strumenti tracciabili per effettuare pagamenti in ogni ambito
CAUSI (PD)
— Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
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nel corso del seminario sulla lotta all'evasione che si è svolto il 6 novembre presso la Commissione
finanze alla Camera, il direttore dell'Agenzia delle entrate ha delineato le nuove strategie da
applicare per il prossimo futuro per il contrasto all'evasione fiscale; nel corso dell'audizione è
emersa la necessità sia di favorire la semplificazione degli adempimenti e la conseguente
correttezza dei comportamenti fiscali, sia di modernizzare gli attuali studi di settore, in funzione del
rafforzamento della «compliance» e di una diversa e moderna relazione tra Fisco e contribuenti per
ricostruire un rapporto di fiducia; tra le possibili riforme rientrerebbe anche la disciplina dell'abuso
del diritto, ritenuta necessaria per dare maggiori certezze al sistema tributario e alle imprese;
al fine di garantire il contrasto dei fenomeni evasivi ed elusivi più complessi, l'Agenzia delle entrate
ha auspicato la concreta possibilità di utilizzo delle informazioni di natura creditizia, finanziaria e
assicurativa in possesso di autorità ed enti che svolgono attività di controllo e di vigilanza;
in tale quadro si rende prioritario incentivare l'uso di strumenti tracciabili per effettuare pagamenti
in ogni ambito, con un'attenzione particolare proprio alle attività che si rivolgono al consumatore
finale in modo da rafforzare le funzioni di selezione dei contribuenti da sottoporre a controllo sulla
base di significativi indici di maggior rischio di evasione; il Direttore dell'Agenzia delle entrate ha
sottolineato inoltre che la diffusione della tracciabilità, oltre ad essere un deterrente all'evasione,
può comportare concreti vantaggi ai cittadini per la riduzione dei rischi e degli oneri connessi
all'uso del contante; nell'ambito dell'attuazione dell'articolo 9 della legge delega fiscale di cui alla
legge 11 marzo 2014, n. 23, che prevede il rafforzamento dell'attività conoscitiva e di controllo e la
completa tracciabilità delle operazioni, secondo quanto dichiarato dal direttore dell'Agenzia delle
entrate, sarà necessario l'abbandono di alcuni strumenti, risultati inefficaci (come i misuratori fiscali
e le ricevute fiscali), attraverso l'estensione del meccanismo della cosiddetta fatturazione
elettronica, ora operativa solo nei confronti della pubblica amministrazione, anche ai rapporti tra le
imprese, con il vantaggio di minori oneri per le imprese ed il progressivo abbandono di controlli
massivi sul territorio da parte dell'Amministrazione finanziaria; è stata anche avanzata l'ipotesi di un
diretto collegamento telematico fra i registratori di cassa delle imprese della distribuzione e
l'amministrazione fiscale, con conseguente superamento della natura fiscale dello scontrino;
di queste ipotesi, nei giorni successivi, la stampa ha ampiamente parlato, anche diffondendo
l'informazione che il Governo starebbe già selezionando le piattaforme tecnologiche per i nuovi
collegamenti telematici dei registratori di cassa –: se quest'ultima notizia risponda al vero e, se la
risposta è positiva, quali siano le nuove tecnologie sottoposte al vaglio dell'implementazione e come
si intenda assicurare la possibilità di un trasparente confronto concorrenziale fra i diversi sistemi
oggi esistenti sul mercato. (5-04016)
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Interrogazione a risposta scritta:
sul polo petrolchimico di Gela e sulla strategia di Eni
CANCELLERI (M5S)
— Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e
del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
dal 1965 il polo petrolchimico di Gela, sovrasta la vita della cittadina siciliana, che con il suo
groviglio di tubi è diventato un cancro di fuoco e cemento che inquina l'aria, l'acqua, la terra, il
mare, e a Gela come a Taranto, si muore di tumore più della media nazionale;
da fonti giornalistiche si apprende che lo stabilimento di Gela diventerà la Green Rafinery e della
volontà dell'ENI di riconvertire gli stabilimenti di Gela per la trasformazione dell'olio di palma in
biodiesel;
le coltivazioni della palma da olio sono la prima causa di disboscamento delle foreste
dell'Indonesia. Habitat naturali di tigri ed oranghi che vengono distrutti da incendi finalizzati a
«ripulire» centinaia di ettari da destinare a colture intensive di palme. Il fumo provocato dagli
incendio, arriva ad appestare l'aria rendendola irrespirabile da Sumatra a Singapore e persino in
Malesia. Alcune ricerche riportate dalla BBC hanno dimostrato che, il fumo proveniente dagli
incendi delle foreste del Sumatra, ha portato ad ammalarsi almeno 20 milioni di persone;
si potrebbe ricavare biodiesel dagli oli esausti, praticamente materia prima a costo zero e a
chilometro zero, oppure si potrebbero coltivare in Sicilia tutti quei vegetali da cui si ricavano
carburanti, come la canapa (biodiesel ed etanolo di canapa) o la colza. Si potrebbero sfruttare anche
gli escrementi degli animali o il compost da cui ricavare metano, oltre che ad usufruire in maniera
più efficiente dell'energia solare e di quella eolica; e il Ministero dell'economia e delle finanze ha il
controllo di fatto in Eni spa in forza della partecipazione detenuta sia direttamente sia
indirettamente tramite Cassa depositi e prestiti spa (CDP spa), per un totale del 30,10 per cento –:
se i Ministri interrogati vista anche la percentuale che è in possesso dello stato, non ritengano
necessario intervenire per far sì che l'Eni trovi altre soluzioni per mantenere vivo lo stabilimento di
Gela. (4-06833)
Risposta del Viceministro dello sviluppo economico, Claudio De Vincenti, all’interrogazione sulle
questioni relative alla possibile presenza di petrolio derivante da sabbie bituminose presso la
raffineria Saras di Sarroch, presentata da SENALDI (PD) n. 5-03807.
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Con riferimento alla richiesta di chiarimenti, presentati dall'Interrogante, in merito all'arrivo presso
la raffineria Saras di Sarroch in Sardegna di un carico di petrolio derivante da sabbie bituminose,
attraverso la petroliera «Minerva Gloria», (primo carico di petrolio da sabbie bituminose in Europa)
e della conseguente richiesta di informazioni sull'impatto dell'utilizzo di tale combustibile, sulle
prestazioni di efficienza dei presidi di abbattimento delle sostanze inquinanti, della citata raffineria
Saras e se si sia verificato un incremento delle emissioni in atmosfera ed un incremento dei residui
di produzione, conseguente a tale utilizzo, questo Ministero, anche a seguito della acquisizione di
specifiche informazioni presso la Società interessata, chiarisce quanto segue.
La proposta del 2011 della Commissione europea di mettere al bando il petrolio greggio pesante tra
cui quello estratto dalle sabbie bituminose è stata profondamente modificata a seguito del
completamento dell’impact assessment di questa misura, condotto dalla stessa Commissione UE
che, pur confermando la loro maggiore intensità di carbonio rispetto ai greggi convenzionali, ne
riduce l'impatto a valori molto più contenuti. Tuttavia la Commissione europea, nella sua recente
proposta di regolamentazione di questa materia, continua a tener conto della maggiore intensità di
carbonio dei greggi pesanti includendone il relativo valore nel calcolo dell'intensità di carbonio per
benzina e diesel. Il processo di raffinazione dei greggi pesanti è identico a quello dei greggi
convenzionali e, nelle raffinerie europee e in quelle italiane in particolare, soggette alla più severa
legislazione ambientale a livello mondiale, la lavorazione dei greggi pesanti non genera alcun
aumento di emissioni inquinanti tradizionali. Per quanto riguarda la CO2, il processo può richiedere
un modesto maggior consumo di energia che naturalmente determina un corrispondente minimo
aumento delle emissioni di CO2. Queste ultime, in ogni caso, restano rigorosamente all'interno delle
quote di emissioni assegnate alle singole raffinerie sulla base della direttiva europea sull’Emission
Trading System. Per quanto riguarda il petrolio ricevuto dalla Saras con la nave «Minerva Gloria» a
Sarroch, si tratta di un greggio pesante che presenta un grado API di 19 e caratteristiche chimico
fisiche del tutto analoghe a quelle dei greggi pesanti con gradi API simili, provenienti dal Medio
Oriente o da altre regioni mondiali. Il greggio della petroliera «Minerva Gloria» è stato quindi preso
in carico dalla Raffineria di Sarroch impiegando le stesse identiche infrastrutture utilizzate per gli
altri greggi (stessi serbatoi e stessi impianti) e lavorato, in miscela con altri greggi, attraverso il
tipico processo di lavorazione Saras, senza generare alcun impatto ambientale addizionale nella fase
industriale. Non si tratta quindi di un greggio «diverso» da quelli che Saras normalmente tratta ed il
suo impiego non ha peggiorato l'efficienza dei sistemi di abbattimento delle emissioni in raffineria e
non ha dato luogo ad alcun aumento delle emissioni in atmosfera nel territorio di Sarroch.
Inoltre il sito di Sarroch della Saras mette in atto un sistema di prevenzione contro i rischi
ambientali, anche in materia di trasporto di petrolio via mare, certificato dalla registrazione
12
volontaria Emas (Eco-Management and Audit Scheme) e dalla Iso «14001:2004». La Saras tra
l'altro, ben prima che diventasse obbligo di legge, ha scelto di permettere l'attracco a Sarroch solo a
navi con il doppio scafo, a maggior tutela dell'ambiente marino.
Di seguito il testo dell’interrogazione.
Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
è in corso di definizione in sede europea una nuova bozza di proposta relativa alla Fuel Quality
Directive (FQD), la direttiva europea finalizzata alla conseguire una riduzione del 6 per cento delle
emissioni dei carburanti per trasporti entro il 2020 anche attraverso il blocco dell'impiego dei
carburanti derivati da «petrolio sporco», ovvero da fonti non convenzionali, il cui processo
estrattivo
è
altamente
impattante
in
termini
di
emissioni
di
gas
climalteranti;
il 23 febbraio 2012 il Comitato tecnico del Consiglio dei Ministri dell'ambiente, si è espresso sulla
proposta della Commissione europea di mettere al bando il petrolio estratto dalle sabbie bituminose
in base alla direttiva sulla qualità dei carburanti (2009/30/CE) che vuole l'immissione sul mercato
europeo soltanto di carburanti fossili che prevedono l'opportunità di generare meno emissioni di
carbonio (carbon intensive); il carburante derivato dalle sabbie bituminose (tar sand), secondo le
tabelle contenute nella direttiva, redatte sulla base di studi scientifici, in special modo su quello
dell’International Food policy research institute, sarebbe del 22 per cento più inquinante di altri
combustibili, avendo un'intensità di carbonio pari a 107 gr megajoule di carburante, contro gli 87,5
gr dei tradizionali (secondo la società di consulenza IHS Cambridge Energy research
associates sarebbe invece del 10-20 per cento) ed è caratterizzato da una peggior qualità e potere
calorifico; numerosi organi di stampa, sia italiani che stranieri, riportano notizie circa l'arrivo di un
primo, carico di petrolio da sabbie bituminose in Europa e precisamente in Sardegna –:
se il Ministero dello sviluppo economico sia a conoscenza dell'arrivo presso la raffineria di Sarroch
in Sardegna di un carico di petrolio derivante da sabbie bituminose attraverso la petroliera Minerva
Gloria, primo carico di petrolio da sabbie bituminose in Europa;
se l'utilizzo di un combustibile così diverso e di bassa qualità possa peggiorare le prestazioni di
efficienza dei presidi di abbattimento delle sostanze inquinanti della raffineria di Sarroch
inficiandone il rendimento e quindi causando un incremento delle emissioni in atmosfera ed un
incremento dei residui di produzione. (5-03807)
13
Interrogazione a risposta immediata:
sulle iniziative per la nomina in tempi rapidi dei presidenti delle autorità portuali scaduti e in
scadenza e per la verifica di eventuali incompatibilità dei presidenti in carica
TULLO e altri (PD)
— Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
le autorità portuali, a norma dell'articolo 6 della legge n. 84 del 1994, hanno compiti fondamentali
di indirizzo, programmazione, coordinamento, promozione e controllo delle operazioni portuali,
nonché delle attività commerciali ed industriali esercitate nei porti; hanno poteri di
regolamentazione e di ordinanza, anche per la sicurezza dei porti e nella gestione dei rischi di
incidenti connessi alle attività portuali; alle autorità portuali spetta anche la manutenzione ordinaria
e straordinaria delle parti comuni nell'ambito portuale, ivi compresa quella per il mantenimento dei
fondali; ad esse è attribuita anche la funzione essenziale di affidamento e controllo delle attività
dirette alla fornitura a titolo oneroso agli utenti portuali di servizi di interesse generale, anche non
coincidenti né strettamente connessi alle operazioni portuali; le autorità portuali di Ancona,
Augusta, Cagliari, Catania, Gioia Tauro, Napoli, Olbia e Piombino sono rette da un commissario
straordinario nominato dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti; autorità portuali di porti
importanti come Trieste sono in scadenza; i commissariamenti vengono rinnovati a scadenza, in
alcuni casi per anni, mentre non si procede alla nomina del presidente che, a norma di legge, deve
essere preceduta dall'individuazione della terna su cui ricercare l'intesa con le regioni interessate;
non si procede allo scioglimento dell'autorità portuale di Manfredonia commissariata sin
dall'istituzione, in quanto priva dei requisiti di movimentazione merci previsti dalla legge; da notare
che Manfredonia (istituita con legge n. 350 del 2003) e Trapani (con decreto del Presidente della
Repubblica 2 aprile 2003) sono state messe in liquidazione e successivamente soppresse,
rispettivamente, con il decreto del Presidente della Repubblica del 5 ottobre 2007 e con il decreto
del Presidente della Repubblica del 12 ottobre 2007; paradossale è la situazione dell'autorità
portuale di Ancona dove la nomina proposta ha già ricevuto il parere favorevole delle competenti
Commissioni di Camera e Senato nel dicembre del 2013; ciò nonostante l'autorità portuale di
Ancona è tuttora guidata da un commissario e non si procede alla nomina del presidente;
il decreto-legge n. 133 del 2014 «sblocca Italia», all'articolo 29, prevede l'adozione, con decreto del
Presidente del Consiglio dei ministri, entro 90 giorni dalla legge di conversione, di un piano
strategico nazionale della portualità e della logistica, che dovrà provvedere, con il parere delle
competenti Commissioni parlamentari, anche alla razionalizzazione, al riassetto e all'accorpamento
delle autorità portuali esistenti, comunque in applicazione dei principi dettati dalla legge n. 84 del
14
1994, che prevede la soppressione delle autorità portuali in caso di perdita dei requisiti specifici in
materia di volume dei traffici del relativo porto –:
se non ritenga opportuno attivare tutte le iniziative necessarie e le procedure previste dalla legge per
nominare in tempi rapidi i presidenti delle autorità portuali scaduti e in scadenza – che governano
un terzo dei porti italiani, tra cui importantissimi scali come Gioia Tauro, Napoli e porti come
Trieste (in scadenza) – disponendo, nel contempo, un'urgente verifica di eventuali incompatibilità
dei presidenti in carica. (3-01158)
Interrogazione a risposta scritta
sulla nomina del presidente dell'autorità portuale di Trieste
PRODANI (M5S)
— Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
è prevista a metà gennaio 2015 la scadenza del mandato del presidente dell'autorità portuale di
Trieste, Marina Monassi; la nomina — stabilita all'articolo 8 della legge n. 84 del 1994 che
istituisce le autorità portuali — avviene con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti
previa intesa con la regione interessata, nell'ambito di una terna di esperti «di massima e
comprovata qualificazione professionale nei settori dell'economia dei trasporti e portuale» designati
dalla provincia, dai comuni e dalle camere di commercio competenti territorialmente;
la terna deve essere comunicata al Ministro tre mesi prima della scadenza del mandato;
nel caso del rinnovo del presidente dell'autorità portuale di Trieste la terna, che doveva essere
composta entro il 19 ottobre 2014, è stata indicata senza rispettare le scadenze previste per gli
organi triestini competenti: mentre Zeno D'Agostino (comuni) e Nereo Marcucci (provincia) sono
stati segnalati in tempo, Antonio Guerrieri è stato indicato dalla camera di commercio solo il 4
novembre 2014, con ben due settimane di ritardo; il porto di Trieste costituisce un unicum nel
quadro normativo nazionale, essendo un porto franco riconosciuto dal trattato di pace di Parigi
(1947),
successivo
alla
seconda
guerra
mondiale,
e
disciplinato
dall'allegato
VIII;
la validità degli articoli da 1 a 20 di quest'ultimo, che regolano il funzionamento e lo status di porto
Franco, è stata riconosciuta dal punto cinque del successivo Memorandum di Londra (1956)
sottoscritto dall'Italia con la Jugoslavia, il Regno Unito e gli Stati Uniti; il successivo trattato di
Osimo del 1975 ha definito i confini tra Italia e Jugoslavia cristallizzando la separazione territoriale
stabilita nel memorandum, senza intaccare in nessun modo le prerogative dei punti franchi;
esistono interpretazioni giuridiche opposte sull'interpretazione del punto 5 del memorandum di
Londra: secondo alcuni esperti gli articoli da 1 a 20 dell'allegato VIII devono essere applicati
15
letteralmente, secondo altri bisogna considerare lo spirito generale delle norme contenute;
l'articolo 18 dell'allegato VIII, riferito alla procedura di nomina del direttore del porto di Trieste,
organo oggi inesistente ma assimilabile al presidente dell'autorità portuale, al comma 2 stabilisce
che questi non debba essere cittadino italiano o jugoslavo; nel rispetto della normativa vigente sulle,
Autorità Portuali — la legge n. 84 del 1994 all'articolo 6, comma 12, fa salva la disciplina vigente
per i punti franchi del porto di Trieste — e dell'articolo 18 dell'allegato VIII del trattato di Parigi,
sarebbe opportuno che la terna per la scelta del candidato a presidente dell'autorità triestina fosse
composta da esperti stranieri –:
se il Ministro interrogato intenda adottare le iniziative del caso per garantire che il presidente
dell'autorità portuale di Trieste sia scelto da una terna di nominativi di esperti stranieri, circostanza
che consentirebbe di seguire i dettami stabiliti dall'allegato VIII del trattato di pace a garanzia
dell'unicità
dello
scalo
giuliano
e
nel
rispetto
della
normativa
nazionale
vigente;
se, in vista dell'annunciata riforma del sistema portuale italiano, s'intenda valorizzare la specificità
del porto franco di Trieste garantendo l'applicazione delle disposizioni presenti negli articoli da 1 a
20 dell'allegato VIII summenzionato. (4-06788)
Risposta del Viceministro dello Sviluppo economico, Claudio De Vincenti, all’interrogazione
sull’estensione delle agevolazioni sui costi dell'energia agli impianti di riciclaggio, presentata da
Senaldi (NCD) n. 5-03334
Con l'atto in esame l'Onorevole Interrogante chiede una valutazione sull'opportunità di allargare la
platea dei soggetti energivori beneficianti delle agevolazioni di cui all'articolo 39 del decreto-legge
n. 83 del 2012 anche con riguardo agli impianti di riciclaggio per il riuso di rifiuti, in particolare di
materie plastiche. Al riguardo, si segnala che in data 1 luglio 2014 sono entrate in vigore le Linee
guida adottate dalla Commissione europea il 9 aprile 2014 in materia di aiuti di stato a favore
dell'ambiente e dell'energia ai sensi delle quali saranno valutate da parte della stessa Commissione
le misure introdotte dagli Stati membri in riduzione dei costi energetici a favore delle imprese
energivore. In particolare, le citate Linee guida individuano un elenco di attività che possono essere
ammesse a beneficiare degli sconti sugli oneri di sistema per il finanziamento delle fonti di
produzione rinnovabili. Le attività industriali ritenute ammissibili dalla Commissione sono
riconducibili
esclusivamente
al
settore
manifatturiero
e
al
settore
estrattivo.
Alla luce di quanto sopra esposto, non si ritiene percorribile l'inclusione delle imprese che operano
nel settore di riciclaggio per il riuso di rifiuti tra i potenziali beneficiari della misura di riduzione dei
16
costi elettrici di cui al richiamato articolo 39 del decreto-legge n. 83 del 2012, in quanto la
previsione sarebbe incompatibile con gli orientamenti comunitari.
Di seguito il testo dell’interrogazione.
Al
Ministro
dello
sviluppo
economico.
—
Per
–
sapere
premesso
che:
con la delibera del 3 ottobre 2013, n. 43772013/R/EEL l'AEEG dispone che le imprese
consumatrici aventi le caratteristiche indicate dall'articolo 3, comma 1, del decreto 5 aprile 2013
(ovvero che abbiano utilizzato, per lo svolgimento della propria attività, almeno 2,4 gigawatt/ora di
energia e che il rapporto tra il costo effettivo dell'energia utilizzata e il valore del fatturato,
determinato ai sensi dell'articolo 5, non sia risultato inferiore al 2 per cento) e con codice ATECO
prevalente riferito ad attività manifatturiere (da 10.xx.xx a 33.xx.xx) possono registrarsi come
imprese a forte consumo di energia e quindi aventi diritto ad agevolazioni sugli oneri di sistema
elettrico; le attività manifatturiere comprese dai codici ATECO contemplati nella delibera
dell'AEEG sono incluse tutte le attività di «trasformazione fisica o chimica di materiali».
L'alterazione, la rigenerazione o la ricostruzione sostanziale dei prodotti sono in genere considerate
attività manifatturiere, sia che il nuovo prodotto sia finito, sia che si tratti di un semilavorato
destinato ad un'ulteriore attività manifatturiera. Tuttavia il riciclaggio dei materiali di scarto, ossia la
trasformazione di questi in materie prime secondarie, è classificato all'interno del gruppo 38.3
(«Recupero dei materiali»). Nonostante implichi nella quasi totalità dei casi trasformazioni fisiche o
chimiche, questo processo non è considerato attività manifatturiera. La conseguenza diretta di ciò è
che la famiglia dei codici ATECO «38» comprende sia i semplici recuperatori dei rifiuti, sia i
cosiddetti «riciclatori» di rifiuti, i quali assommano nella propria attività anche quella di
«trasformatori» della materia prima secondaria ottenuta con le operazioni di recupero dei rifiuti.
Tutti questi soggetti sono stati esclusi dalla scelta ministeriale di limitare l'accesso alle agevolazioni
sui
costi
dell'elettricità
alle
imprese
aventi
codice
ATECO
tra
il
10
e
il
33;
ciò nonostante gli impianti di recupero/riciclaggio di rifiuti «energivori», ovvero per i quali
ricorrono le condizioni suddette enunciate all'articolo 3, comma 1, del decreto 5 aprile 2013, ben
possono rientrare nei provvedimenti di cui trattasi per le seguenti motivazioni: tali «riciclatori»
sostengono una spesa energetica che in alcuni casi arriva a rappresentare più del 20 per cento del
fatturato complessivo dell'azienda, di conseguenza non riescono a competere con i costi dell'energia
sostenuti dai loro «competitor» oltralpe (in alcuni casi i costi sono pari alla metà di quelli praticati
in Italia). Si aggiunga poi che imprese di questo tipo consentono di diminuire l'utilizzazione (e ove
ricorra anche l'importazione) di materia prima vergine necessaria alla realizzazione di taluni beni (il
17
caso più diffuso sono gli imballaggi), provvedendo poi al trattamento dei rifiuti evitano che i
medesimi vengano avviati allo smaltimento –:
se il Ministero dello sviluppo economico intenda valutare di assumere iniziative se del caso
normative, per quanto di competenza, per l'allargamento della platea dei soggetti «energivori»
beneficianti di siffatte agevolazioni anche con riguardo agli impianti di riciclaggio per il riuso di
rifiuti in particolare di materie plastiche. (5-03334)
Risposta del Viceministro dello sviluppo economico, Claudio De Vincenti, alle interrogazioni sullo
stato di attuazione dei Protocolli di intesa Italia-Serbia in materia di energia, presentate da
COLLETTI (M5S) n. 5-02298 e CARERSCIA (PD) n. 5-03002.
In via preliminare, si ritiene utile fornire alcuni elementi di contesto, inerenti il quadro in cui furono
redatti gli accordi del 2009 e del 2011 fra Italia e Serbia. In tale periodo il target comunitario del 17
per cento del consumo interno lordo da fonti rinnovabili assegnato all'Italia per il 2020 appariva,
alla luce degli scenari allora disponibili, difficile da raggiungere pur sfruttando l'intero potenziale
disponibile sul territorio nazionale. L'Italia aveva, dunque, considerato di fare ricorso a partner
internazionali al fine di raggiungere gli obbiettivi e non incorrere in sanzioni comunitarie. Tale
opzione era chiaramente delineata nel Piano Nazionale per le Energie rinnovabili allora redatto
dall'Italia e approvato da Bruxelles. Tuttavia, la crescita impetuosa della produzione da fonti
rinnovabili e il contemporaneo calo dei consumi registrati negli ultimi anni, ha consentito al nostro
Paese di raggiungere una quota da fonti rinnovabili del 13,5 per cento già al 2012, con un
conseguente marcato anticipo rispetto alla tabella di marcia individuata dalla UE. Si ipotizza oggi
che, al 2020, l'Italia potrà raggiungere e superare l'obiettivo assegnato. La crescita della produzione
da fonti rinnovabili ha comportato, d'altronde, un significativo incremento degli oneri di
incentivazione, il cui costo in bolletta ha oggi quasi pareggiato il prezzo della commodity. Ne è
conseguito un significativo incremento dei costi dell'energia per cittadini e imprese, solo
parzialmente mitigato dagli effetti positivi indotti sui prezzi dell'energia dall'aumento della
produzione da fonti rinnovabili (peak shaving). È chiaro che un prezzo dell'energia alto è un
elemento particolarmente critico in una fase di stagnazione del PIL in cui si rende vieppiù
necessario innescare processi di ripresa dell'economia. Partendo da tale considerazione, declinata in
dettaglio nella Strategia Energetica Nazionale (SEN) adottata nel 2013, il Governo è intervento per
ridurre il livello degli incentivi alle fonti rinnovabili in Italia, proponendone una razionalizzazione
complessiva. Ciò si è reso possibile anche grazie ai positivi segnali sui costi delle tecnologie, in
rapida decrescita e sempre più vicine alla così detta «grid parity». Oggi, dunque, il valore
18
richiamato dagli On.li Interroganti (155 euro/MWh) può apparire dissonante, specialmente se
confrontato con le condizioni attualmente previste nel nostro Paese. Tale valore va però confrontato
con le condizioni vigenti all'epoca, ma soprattutto, va ribadito che tale livello di incentivazione era
stato previsto dall'Italia al solo fine di non incorrere in sanzioni comunitarie che sarebbero risultate
ben più onerose. In altri termini, il riferimento per giudicare tale valore deve, in ogni caso, essere la
sanzione comunitaria in caso di deficit e non il livello di incentivazione necessario per la
realizzazione di impianti a fonti rinnovabili. Si tratta, peraltro, di un principio stabilito dalla
legislazione italiana in materia, sulla base della quale è stato redatto l'accordo del 2011. Infatti, la
disposizione di legge richiamata nelle interrogazioni in esame (articolo 36, comma 2, del decreto
legislativo n. 28 del 2011) prevede la possibilità di riconoscere con DPCM un incentivo più elevato
e/o duraturo rispetto a quello nazionale, solo previa comparazione fra gli oneri economici
conseguenti al riconoscimento dell'incentivo stesso e gli effetti economici – in termini di sanzioni –
correlati al mancato raggiungimento degli obiettivi e solo nel caso in cui tale ultimo onere
economico risultasse di entità maggiore del primo. La stessa attuazione dell'accordo del 2011, in
effetti, è subordinata all'emanazione di tale decreto. Ciò detto, in risposta al quesito relativo
all'emanazione del DPCM previsto dall'articolo 36, comma 2 del decreto legislativo n. 28 del 2011,
quindi, si può chiarire che il Governo si muoverà sulla linea appena esposta, nel pieno rispetto della
normativa di settore, riconoscendo i 155 euro/MWh solo in caso di deficit dell'Italia rispetto agli
obbiettivi UE. Nel caso, invece, l'Italia resti in linea con gli obbiettivi assegnati, permarrà l'accordo
del 2009 che prevede il servizio di ritiro dedicato da parte del GSE, con conseguente
riconoscimento del prezzo medio di mercato. In ogni caso, al fine di dissipare ogni dubbio in
proposito, si rende noto che sia il DPCM che l'Accordo, inclusivo della lista definitiva degli
impianti, saranno comunque notificati alla Commissione Europea per la verifica di compatibilità
con le disposizioni comunitarie, ivi incluse quelle previste per gli aiuti di stato.
Relativamente alla realizzazione del cavo sottomarino Italia-Montenegro, si rappresenta che tale
interconnessione si inserisce in un piano generale di collegamento strutturale tra il sistema elettrico
italiano ed il sistema elettrico dei Balcani, che consentirà il collegamento con le reti di Romania,
Albania, Bosnia Herzegovina, oltre che con la Serbia. Il cavo è inserito nel Piano di Sviluppo
decennale della Rete di Trasmissione Nazionale approvato dall'Autorità per l'energia elettrica il gas
ed il sistema idrico e dal Ministero dello Sviluppo Economico e fa parte dei Progetti di Interesse
Comune (PCI) approvati a Bruxelles nel dicembre 2013 Regolamento N. 1391/2013, per i quali è
possibile chiedere anche un finanziamento a livello comunitario. La realizzazione del cavo va,
quindi, inquadrata in un processo di progressiva interconnessione dei mercati elettrici europei volto
alla riduzione del prezzo dell'energia per i cittadini e le imprese. Vanno, inoltre, ridimensionate le
19
preoccupazioni espresse sull'uso privato di tale interconnessione, in quanto lo stesso Accordo del
2011 prevede che l'assegnazione della capacità di interconnessione della quota italiana sarà
effettuata mediante una procedura pubblica svolta da Terna, se pur con priorità di assegnazione
all'energia prodotta da fonti rinnovabili nell'ambito di progetti comuni ai sensi della Direttiva
2009/28/CE. Anche in questo caso nel pieno rispetto delle disposizioni di legge vigenti e, in
particolare,
dell'articolo
40
del
decreto
legislativo
n. 93
del
2011.
Per quanto riguarda infine lo stato dei lavori, si precisa che per quanto riguarda la costruzione di
impianti idroelettrici in Serbia risultano espletati solo alcuni progetti delle opere da parte delle
società italiane e serbe interessate.
Di seguito i testi delle interrogazioni.
CARRESCIA (M5S)
Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere –
premesso che:
nel marzo 2009, il Ministro pro tempore dello sviluppo economico Claudio Scajola ha firmato i
protocolli d'intesa con il Ministro dell'energia serbo Petar Skundric, per cooperare alla costruzione e
alla concessione di impianti idroelettrici, termici, reti di interconnessione con l'Italia, la Serbia ed i
Paesi confinanti e allo sviluppo di fonti rinnovabili, anche ai fini del conseguimento degli obiettivi
nazionali per il calcolo della quota di emissioni stabilita dall'Unione europea. Nel piano di azione
nazionale presentato dall'Italia alla Commissione europea nel luglio 2010, è previsto infatti che
dall'area dei Balcani siano importati 6 TWh (terawattora) all'anno, attraverso il cavo con la rete
montenegrina;il primo protocollo ha ad oggetto la realizzazione dell'interconnessione fisica tra Italia
e Serbia con la posa di un cavo sottomarino di 390 chilometri di lunghezza, in corrente continua,
con portata fino a un GW (giga watt), per collegare il Montenegro e l'Italia, al costo di un miliardo
di euro a carico di Terna (quindi a carico delle bollette elettriche italiane). I lavori di questa
interconnessione sono da poco cominciati sulla terraferma italiana, vicino a Villanova (Pescara), in
Abruzzo;il secondo protocollo prevede per il chilovattora prodotto da impianti da fonte rinnovabile
realizzati in Serbia il ritiro dell'energia elettrica da parte del GSE (gestore servizi energetici) a
prezzo fisso. Il protocollo dispone altresì che gli stessi impianti realizzati in Serbia siano costruiti da
una società mista al 51 per cento di proprietà della società italiana Seci Energia (gruppo Maccaferri)
e per il 49 per cento di proprietà della società statale serba Eps (elektroprivreda Srbije). Gli
investimenti che saranno attivati a fronte dell'accordo sono di circa 800 milioni di euro per la
costruzione delle centrali sui fiumi Ibar e Drina, oltre a quelli già previsti di 775 milioni per
20
l'interconnessione
Italia-Montenegro
che
sarà
realizzata
da
Terna;
il 25 ottobre 2011 è stato firmato dal Ministro pro tempore Paolo Romani un accordo che aggiorna
quelli firmati nel marzo e nel novembre 2009, stabilendo le condizioni, anche tariffarie, in base alle
quali saranno costruiti gli impianti idroelettrici allora individuati la cui realizzazione, dopo il
recepimento della direttiva europea sulle fonti rinnovabili, viene inquadrata nell'ambito di un
«progetto comune» tra Italia e Serbia. Sulla base di tale accordo, l'energia che sarà prodotta dalle
centrali idroelettriche realizzate da investitori italiani e serbi sarà destinata al consumo nel mercato
italiano, verso il
quale sarà
convogliata
garantendone il
transito a lungo
termine
sull'interconnessione elettrica tra Serbia e Montenegro e, da questa, verso l'Italia attraverso
l'elettrodotto già programmato; come riferisce l'articolo pubblicato il 6 febbraio 2014 sul sito della
rivista on line «Qualenergia» intitolato «Elettricità rinnovabile dalla Serbia. Accordo poco
trasparente da 12 miliardi?», a firma di Alessandro Codegoni, nel 2011 il ministro Romani dichiarò
che: «Su questi progetti convergono due interessi reciproci: quello italiano di investire sullo
sviluppo di progetti congiunti per contribuire al raggiungimento al 2020 dell'obiettivo del 17 per
cento di energia da rinnovabili fissato in ambito europeo, e quello dei Paesi dell'area balcanica di
sviluppare le loro fonti interne, rafforzando al contempo la cooperazione industriale e la loro
integrazione nel sistema europeo»; l'articolo 36 del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28, infatti,
ai fini del conseguimento degli obiettivi nazionali, detta i criteri in base ai quali è incentivata
l'importazione di elettricità da fonti rinnovabili proveniente da Paesi extra Unione europea sulla
base di accordi internazionali. In particolare, al comma 1, si prevede che gli accordi di importazione
(effettuata su iniziativa di soggetti operanti nel settore energetico), dovranno conformarsi ai
seguenti criteri:
a) il sostegno consiste nel riconoscimento, sull'energia immessa nel sistema elettrico nazionale, di
un incentivo di pari durata e di entità inferiore rispetto a quello riconosciuto in Italia alle fonti e alle
tipologie di impianti da cui l'elettricità viene prodotta nel paese terzo, in misura fissata negli accordi
tenendo conto della maggiore producibilità ed efficienza degli impianti nei Paesi terzi e del valore
medio di incentivazione delle fonti rinnovabili in Italia;
b) le modalità di produzione e importazione devono assicurare che l'elettricità importata
contribuisce al raggiungimento degli obiettivi italiani in materia di fonti rinnovabili;
c) sono stabilite le necessarie misure che assicurino il monitoraggio dell'elettricità importata per le
finalità di cui all'articolo 36; il comma 2 del medesimo articolo consente che con decreto del
Presidente del Consiglio dei ministri si possa stabilire un valore dell'incentivo diverso da quello
previsto alla lettera a), salvaguardando gli accordi già stipulati e contemperando gli oneri economici
conseguenti al riconoscimento dell'incentivo stesso e gli effetti economici del mancato
21
raggiungimento degli obiettivi. Non risulta al momento che sia stato emanato alcun provvedimento
attuativo del comma 2;
secondo quanto riportato nell'articolo sopra indicato, «I serbi stimano il costo totale del progetto in
oltre 2 miliardi di euro, che sarebbero però recuperati da loro e dai loro soci privati italiani, grazie
alla disponibilità dell'ex governo Berlusconi di pagare l'elettricità importata, e qui sta la questione,
ben 155 euro/MWh – Megawattora – (per confronto il costo medio dell'elettricità italiana in Borsa
Elettrica è stato di 63 euro/MWh nel 2013), grazie al pagamento di una tariffa omnicomprensiva
che la produzione da nuovi impianti idroelettrici riceverebbe in Italia. Visto che l'import dalla
Serbia legato a questo progetto potrebbe arrivare a un massimo di 6 TWh l'anno (quasi il 2 per
cento dei consumi italiani), l'Italia, oltre al costo del collegamento sottomarino, potrebbe sborsare
ogni anno, e per 15 anni, circa 930 milioni di euro per importare l'elettricità balcanica, di cui la metà
o più come sovrapprezzo rispetto ai costi di mercato, contribuendo notevolmente a un ulteriore
rialzo del costo della nostra elettricità, senza neanche i vantaggi degli incentivi spesi nei confini
nazionali»;
con riferimento a quanto da ultimo si sostiene nell'articolo, occorre inoltre considerare che in Italia
vi è un eccesso di capacità produttiva nel settore elettrico italiano che dovrebbe protrarsi fino al
2020 e che non rende comprensibili le motivazioni di un accordo per l'importazione di energia;
a parere degli interroganti:
a) non è chiaro perché in un momento in cui molte centrali a ciclo combinato presenti sul territorio,
che possono produrre certamente a meno di 155 euro al MWh, restano ferme per eccesso di capacità
rispetto alla domanda, dovrebbe essere opportuno aggiungere ulteriori importazioni di energia. Nel
2012 il fattore di carico medio degli impianti a ciclo combinato non cogenerativi è sceso sotto le
2.000 ore (equivalenti a piena potenza), pari a circa il 22 per cento, mettendo in pericolo l'equilibrio
economico-finanziario delle società che li detengono, mentre i cicli combinati cogenerativi, che
godono di priorità di dispacciamento e di un migliore rendimento energetico totale, funzionano a
livello più soddisfacente, mediamente 4.700 ore nel 2012 (54 per cento), anche se sensibilmente
inferiore al passato. Tale situazione ha spinto il legislatore ad individuare forme di sostegno per il
settore, tramite l'introduzione del meccanismo del capacity payment;
b) i contenuti dell'accordo del 2011 sono in contrasto con:
1) i criteri di attribuzione degli incentivi all'elettricità prodotta da fonti rinnovabili in Paesi extra
Unione europea previsti al comma 1, lettera a), dell'articolo 36 del decreto legislativo n. 28 del
2011, prevedendo per l'energia elettrica importata dalla Serbia un incentivo di entità maggiore di
quello riconosciuto alla produzione di energia elettrica da fonte idraulica in Italia;
2) le previsioni di cui alla lettera b), tenuto conto che gli obiettivi di produzione italiani da fonte
22
rinnovabile sono sostanzialmente raggiunti grazie al contributo degli impianti idroelettrici, eolici e
fotovoltaici realizzati in Italia;
3) le disposizioni di cui al comma 2, poiché trattandosi di un incentivo più elevato rispetto a quello
riconosciuto in Italia ai sensi del comma 1, sarebbe stato opportuno procedere all'emanazione di un
decreto del Presidente del Consiglio dei ministri per definire un diverso valore dell'incentivo da
attribuire; appare irragionevole che l'Italia si sobbarchi, oltre al costo di oltre 2 miliardi per la
realizzazione del collegamento sottomarino, anche la spesa di 930 milioni di euro all'anno per 15
anni per importare l'elettricità balcanica, di cui la metà o più come sovrapprezzo rispetto ai costi di
mercato in una situazione di surplus di produzione elettrica e di obiettivi di produzione di energia
elettrica da fonte rinnovabile al 2020 praticamente già raggiunti, contribuendo, inoltre, ad un
ulteriore
rialzo
del
costo
dell'elettricità
per
i
cittadini
italiani;
appare illogico proseguire le importazioni di energia rinnovabile, in un momento in cui le centrali
italiane a ciclo combinato restano ferme per eccesso di capacità rispetto alla domanda, cosa che ha
indotto il Governo ad introdurre il meccanismo del capacity payment; appare infine estremamente
grave, dopo aver distrutto l'intero settore industriale operante nel settore fotovoltaico italiano,
azzerando il «conto energia» in ragione dei costi eccessivi sostenuti in bolletta, attribuire un
incentivo di 12 miliardi di euro a operatori privati per la realizzazione di impianti in Serbia che non
necessitano di incentivi, anziché incrementare ancora la produzione sul territorio nazionale di
energia
verde,
con
le
evidenti
ricadute
economiche,
occupazionali
e
fiscali
–:
se il Governo non intenda attivarsi al fine di arrivare all'emanazione del decreto del Presidente del
Consiglio dei ministri di cui all'articolo 36, comma 2, del decreto legislativo n. 28 del 2011, al fine
di prevedere che il valore dell'incentivo per l'energia elettrica prodotta dagli impianti in Serbia sia
conforme ai dettami di cui al comma 1;
se l'uso riservato al gruppo privato, costituito dalla società Maccaferri e dai partner serbi, di un
nuovo elettrodotto che prevede un investimento pubblico di oltre 2 miliardi di euro per un periodo
di 15 anni sia in contrasto con la normativa comunitaria;
se il Governo non intenda assumere alla luce delle considerazioni esposte in premessa, ogni
iniziativa di competenza per rivedere tale azzardo che sembra all'interrogante produrre soltanto
costi per l'Italia e utili per la parte privata. (5-02298)
CARRESCIA (PD)
Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
nel 2009 tra il Ministro pro tempore dello sviluppo economico, Claudio Scajola, e il Ministro
23
dell'energia della Repubblica della Serbia, furono sottoscritti due protocolli d'intesa per cooperare
alla costruzione e alla concessione di impianti idroelettrici, termici, reti di interconnessione tra
Italia, Serbia ed i Paesi confinanti, oltre che allo sviluppo di fonti rinnovabili, anche ai fini del
conseguimento degli obiettivi nazionali per il calcolo della quota di emissioni stabilita dall'Unione
europea;
il Piano di azione nazionale presentato dall'Italia alla Commissione europea nel luglio 2010,
prevedeva, infatti, l'importazione dall'area dei Balcani di 6 TWh (terawattora) all'anno, attraverso
un cavo sottomarino di interconnessione con la rete montenegrina; il primo protocollo ha, appunto,
ad oggetto la realizzazione dell'interconnessione fisica tra Italia e Serbia attraverso la posa, tra il
Montenegro e l'Italia, di un cavo sottomarino di 390 chilometri di lunghezza, in corrente continua,
con portata fino a un GW (giga watt), per un costo di 1 miliardo di euro a carico di Terna, ovvero a
carico delle bollette elettriche italiane; lo stato di avanzamento dei lavori di quest'opera nel 2012,
secondo l'Amministratore delegato di Terna, era del 3 per cento che corrisponde alla realizzazione
delle opere propedeutiche alla costruzione dell'elettrodotto in prossimità di Villanova (Pescara);
il secondo protocollo prevedeva:
a) il ritiro dell'energia elettrica prodotta da impianti da fonte rinnovabile realizzati in Serbia da parte
del
GSE
(gestore
servizi
energetici)
a
prezzo
fisso
per
chilowattora;
b) la costruzione degli impianti realizzati in Serbia da parte di una società mista, al 51 per cento di
proprietà della società italiana Seci Energia (Gruppo Maccaferri) e al 49 per cento di proprietà della
società statale serba Eps (Elektroprivreda Srbije) per investimenti previsti pari a circa 800 milioni di
euro per la costruzione delle centrali sui fiumi Ibar e Drina che si aggiungono agli oltre 775 milioni
già previsti per l'interconnessione Italia-Montenegro;
il 25 ottobre 2011 il Ministro pro
tempore Paolo Romani, ha firmato un nuovo accordo, che ha aggiornato quelli firmati nel 2009 ed
ha stabilito le condizioni, anche tariffarie, in base alle quali dovevano essere costruiti gli impianti
idroelettrici allora individuati, la cui realizzazione, dopo il recepimento della direttiva europea sulle
fonti rinnovabili, è stata inquadrata nell'ambito di un «progetto comune» tra Italia e Serbia;
secondo informazioni risalenti al 2011, l'Italia in conseguenza dell'accordo, oltre al costo del
collegamento sottomarino, potrebbe sborsare circa 12 miliardi di euro in 15 anni, per importare
l'elettricità balcanica, di cui la metà o più come sovrapprezzo rispetto ai costi di mercato con il
rischio
evidente
di
un
ulteriore
rialzo
del
costo
della
bolletta
elettrica;
gli accordi sottoscritti dal Ministero dello sviluppo economico sono stati oggetto di un'inchiesta
giornalistica pubblicata il 6 febbraio 2014 sul sito della rivista on line Qualenergia;
nell'articolo si fa rilevare come, mentre per i serbi permane l'interesse ad andare avanti, l'Italia ha
praticamente già conseguito l'obiettivo 2020 grazie all'esplosione di produzione solare, eolica e
24
biomasse autoctone; i serbi stimano, inoltre, che il costo totale del progetto, oltre 2 miliardi di euro,
sarà largamente recuperato dalla società serba e dai soci privati italiani, grazie alla disponibilità
dell'allora Governo Berlusconi di pagare l'elettricità importata ben 155 euro/megawattora, a fronte
di un costo medio dell'elettricità italiana quotata dalla Borsa Elettrica, di 63 euro/megawattora nel
2013; si aggiunga che in Italia, nel frattempo, si è manifestato un eccesso di capacità produttiva nel
settore elettrico che dovrebbe protrarsi fino al 2020 e che rende difficilmente comprensibili le
motivazioni
di
un
accordo
per
l'importazione
di
ulteriore
energia;
non appare chiaro, in definitiva, perché in un momento in cui molte centrali a ciclo combinato
presenti sul territorio nazionale, in grado di produrre energia a prezzi inferiori a 155 euro al
megawattora restano ferme per eccesso di capacità produttiva, l'Italia debba pagare, a prezzi molto
alti, ulteriori importazioni di energia; tale situazione, d'altra parte, ha spinto il legislatore ad
individuare forme di sostegno per il settore, tramite l'introduzione del meccanismo del capacity
payment;
i protocolli sottoscritti tra Italia e Serbia discendono dalla normativa contenuta nell'articolo 36 del
decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28, che, ai fini del conseguimento degli obiettivi nazionali,
fissa i criteri in base ai quali è incentivata l'importazione di elettricità da fonti rinnovabili
proveniente
da
Paesi
extra
Unione
europea
sulla
base
di
accordi
internazionali;
in particolare, al comma 1, si prevede che gli accordi di importazione debbano conformarsi a criteri
delineati dalle lettere a), b) e c), quali il riconoscimento, sull'energia immessa nel sistema elettrico
nazionale, di un incentivo di pari durata e di entità inferiore rispetto a quello riconosciuto in Italia
alle fonti e alle tipologie di impianti da cui l'elettricità viene prodotta nel paese terzo, in misura
fissata negli accordi tenendo conto della maggiore producibilità ed efficienza degli impianti nei
Paesi terzi e del valore medio di incentivazione delle fonti rinnovabili in Italia; modalità di
produzione e importazione volte ad assicurare che l'elettricità importata contribuisca al
raggiungimento degli obiettivi nazionali in materia di fonti rinnovabili; le necessarie misure che
assicurino il monitoraggio dell'elettricità importata; il comma 2 dell'articolo 36, consente, inoltre,
che con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri si possa stabilire un valore dell'incentivo
diverso da quello previsto al comma 1, lettera a), salvaguardando gli accordi già stipulati e
contemperando gli oneri economici conseguenti al riconoscimento dell'incentivo stesso e gli effetti
economici del mancato raggiungimento degli obiettivi; il decreto del Presidente del Consiglio dei
ministri non risulta ancora emanato; alla luce di quanto sopra esposto i contenuti dell'accordo del
2011 appaiono in contrasto con l'articolo 36 laddove:
a) i criteri di attribuzione degli incentivi all'elettricità prodotta da fonti rinnovabili in Paesi extra
Unione europea previsti al comma 1, lettera a), prevedono per l'energia elettrica importata dalla
25
Serbia un incentivo di entità maggiore rispetto a quello riconosciuto alla produzione di energia
elettrica da fonte idraulica in Italia;
b) per quanto riguarda la lettera b), gli obiettivi di produzione italiani da fonte rinnovabile grazie al
contributo degli impianti idroelettrici, eolici e fotovoltaici realizzati in Italia sono già stati raggiunti
e
non
dovrebbero
potersi
prevedere
incentivi
a
fonti
rinnovabili
all'estero;
c) in presenza di un incentivo più elevato rispetto a quello riconosciuto in Italia, sarebbe stato
necessario procedere all'emanazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri previsto
dall'articolo
2,
per
definire
un
diverso
valore
dell'incentivo
da
attribuire;
nel corso dell'audizione avvenuta il 31 marzo 2014 nell'ambito dell’«Indagine conoscitiva sulla
strategia energetica nazionale e sulle principali problematiche in materia di energia»,
l'Amministratore delegato di Terna Spa, ha dichiarato che il più volte citato accordo non è stato una
scelta di Terna ma del Ministero dello sviluppo economico ed ha ammesso che esiste una
controindicazione riguardante l'accordo, in termini di aggravamento del costo in bolletta per l'Italia
«visto che a un paese limitrofo, la Serbia, si destinano incentivi legati ai certificati verdi» –:
se, ed entro quali termini, il Governo, intenda emanare il decreto del Presidente del Consiglio dei
ministri previsto dall'articolo 36, comma 2, del decreto legislativo n. 28 del 2011, al fine di stabilire
che il valore dell'incentivo per l'energia elettrica prodotta dagli impianti in Serbia sia conforme ai
dettami di cui al comma 1 di tale norma, ovvero adottare altri atti che evitino rialzi nelle bollette a
carico dei cittadini e delle imprese;
se, in particolare, il Ministro sia al corrente dello stato di avanzamento dei lavori, quale parte degli
investimenti sia già stata realizzata e quante siano le risorse impegnate fino ad oggi, anche al fine di
ridiscutere l'accordo di cui in premessa per evitare ulteriori danni alle realtà produttive nazionali.
(5-03002)
26
SENATO
Interrogazione a risposta in 8ª Commissione permanente (Lavori pubblici, comunicazioni):
sull'incompatibilità di ruoli all'interno dell'autorità portuale di Napoli e sulle concessioni
demaniali nel porto di Napoli
CIOFFI e altri (M5S)
- Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti - Premesso che:
la situazione del porto di Napoli continua a destare preoccupazione per la criticità manifestata nella
realizzazione del grande progetto "Porto di Napoli" e per la continua perdita di traffico commerciale
dei contenitori;
il Ministro in indirizzo ha rinnovato la gestione commissariale della stessa autorità portuale,
confermando nel ruolo per altri 6 mesi il professor Francesco Karrer, rendendo doveroso, da parte
degli interroganti, di ritornare ad esaminare, con la massima attenzione le eventuali incompatibilità
di alcuni ruoli ricoperti;
con un precedente atto di sindacato ispettivo (4-02414) sono stati chiesti dei chiarimenti sulla
struttura organizzativa dell'autorità portuale e specificamente sulla composizione dell'organico in
forza e sulle modalità di assunzione adottate per verificare il rispetto dell'art. 97 della Costituzione
relativamente agli enti pubblici non economici, in cui rientrano anche le autorità portuali per le
quali è obbligatorio il concorso pubblico, nonché sulla regolarità delle procedure di assegnazione
delle concessioni pluriennali sulle aree demaniali marittime portuali a Napoli;
considerato che:
la legge n. 114 del 2014 (legge di conversione del decreto-legge n. 90 del 24 giugno 2014 in vigore
dal 18 agosto 2014) ha aggravato le regole di incompatibilità nell'attribuzione di incarichi
dirigenziali o direttivi o cariche in organi di governo della pubblica amministrazione a soggetti in
quiescenza. Tale divieto, introdotto con il decreto-legge n. 95 del 2012, convertito, con
modificazioni, dalla legge n. 135 del 2012 (art. 5, comma 9), ora con la legge n. 114 del 2014 è
divenuto assoluto;
il nuovo disposto dell'articolo 6 del decreto-legge 90 prevede che "All'art. 5, comma 9, del decretolegge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, le
parole da «a soggetti, già appartenenti ai ruoli delle stesse» fino alla fine del comma sono sostituite
dalle seguenti: «a soggetti già lavoratori privati o pubblici collocati in quiescenza. Alle suddette
amministrazioni è, altresì, fatto divieto di conferire ai medesimi soggetti incarichi dirigenziali o
27
direttivi o cariche in organi di governo delle amministrazioni di cui al primo periodo. Incarichi e
collaborazioni sono consentiti, esclusivamente a titolo gratuito e per una durata non superiore a un
anno, non prorogabile né rinnovabile, presso ciascuna amministrazione. Devono essere rendicontati
eventuali rimborsi di spese, corrisposti nei limiti fissati dall'organo competente dell'amministrazione
interessata". Il comma 2 dello stesso articolo 6 recita: "Le disposizioni dell'art. 5, comma 9, del
decreto-legge n. 95 del 2012, come modificato dal comma 1, si applicano agli incarichi conferiti a
decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto";
risulta agli interroganti che al commissario dell'autorità portuale di Napoli, professor Francesco
Karrer (nato il 30 gennaio 1942), è stata concessa una proroga di altri 6 mesi per l'incarico
conferitogli il 30 aprile 2014 nonostante egli sia in quiescenza, abbia ben 72 anni e l'incarico sia
remunerato senza tener conto del divieto assoluto imposto dalla legge n. 114 del 2014;
a parere degli interroganti ad oggi la mancata nomina del presidente dell'autorità portuale è
sicuramente un male, ma da leggere in subordine rispetto ad elementi decisamente più gravi che
hanno compromesso la capacità competitiva dello scalo napoletano in un momento di grandi
cambiamenti nel settore dello shipping mondiale, che vede nel Mediterraneo un'area di grande
interesse per l'aumento dei traffici commerciali marittimi;
con delibera n. 30 del 28 luglio 2011 al punto 3.3.2 "Carenze di controllo per il monitoraggio dei
piani di impresa" l'autorità portuale, presieduta da Luciano Dassatti, faceva intendere che l'attività
dell'ente, per quanto riguarda la gestione delle concessioni demaniali, fino a quel preciso momento,
in violazione al dettato della legge n. 84 del 1994 e successive modificazioni, era stata improntata
solo al controllo del pagamento dei canoni demaniali e alla gestione delle manutenzioni delle
infrastrutture portuali e delle parti comuni. Inoltre neanche la riscossione dei canoni demaniali era
stata seguita con la dovuta attenzione, visto che i concessionari presenti nel porto di Napoli hanno
prodotto nel tempo mancati versamenti, con relativo danno per l'erario, per più di 20 milioni di
euro. Il rilascio delle concessioni demaniali, ai sensi dell'art. 18 della legge n. 84 del 1994, impone
il rispetto di una procedura di evidenza pubblica che prevede, tra l'altro, specifiche indicazioni sulle
modalità di pubblicizzazione per la raccolta di eventuali istanze in concorrenza. Su questo tema
specifico diversi articoli di stampa mettono in risalto più volte l'assegnazione di importanti
concessioni demaniali marittime nel porto di Napoli disattendendo la regolarità procedurale
richiesta. Lo stesso professor Francesco Karrer ha dichiarato alla stampa, sabato 18 ottobre 2014,
che le concessioni, rilasciate nel porto di Napoli, sono a dir poco creative (si veda "la Repubblica"
del 18 ottobre 2014);
l'autorità portuale di Napoli, nella suddetta delibera, completa il citato punto 3.3.2 scrivendo che
rientrano tra i propri compiti anche la verifica delle attività di rendicontazione dei concessionari,
28
misurando il grado di conservazione dei requisiti che hanno determinato il rilascio delle stesse
concessioni. Come recita il comma 8 dell'articolo 18 della legge n. 84 del 1994: "L'autorità portuale
o, laddove non istituita, l'autorità marittima sono tenute ad effettuare accertamenti con cadenza
annuale al fine di verificare il permanere dei requisiti in possesso al momento del rilascio della
concessione e l'attuazione degli investimenti previsti nel programma di attività di cui al comma 6,
lettera a)";
l'autorità portuale di Napoli, con delibera n. 7 del 27 febbraio 2012, fissa successivamente anche il
modello per eseguire questi controlli per cui intendere l'omissione degli stessi fino a quella data. Se
così fosse nel porto di Napoli sarebbero stati violati i principi portanti dell'articolo 18 della legge n.
n. 84 del 1994;
sul punto il disposto legislativo articolo 18, comma 6, della legge n. 84 del 1994 stabilisce che ai
fini del rilascio della concessione in un porto è richiesto che i destinatari dell'atto concessorio: a)
presentino, all'atto della domanda, un programma di attività, assistito da idonee garanzie, anche di
tipo fideiussorio, volto all'incremento dei traffici e alla produttività del porto; b) possiedano
adeguate attrezzature tecniche ed organizzative, idonee anche dal punto di vista della sicurezza a
soddisfare le esigenze di un ciclo produttivo ed operativo a carattere continuativo ed integrato per
conto proprio e di terzi; c) prevedano un organico di lavoratori rapportato al programma delle loro
attività;
in ciascun porto l'impresa concessionaria di un'area demaniale deve esercitare direttamente l'attività
per la quale ha ottenuto la concessione, pertanto non può essere al tempo stesso concessionaria di
altra area demaniale nello stesso porto, a meno che l'attività per la quale richiede una nuova
concessione sia differente da quella di cui alle concessioni già esistenti nella stessa area demaniale,
e non può svolgere attività portuali in spazi diversi da quelli che le sono stati assegnati in
concessione. Su motivata richiesta dell'impresa concessionaria, l'autorità concedente può
autorizzare l'affidamento ad altre imprese portuali, autorizzate ai sensi dell'articolo 16 della legge n.
84 del 1994, dell'esercizio di alcune attività comprese nel ciclo operativo;
l'autorità portuale o, laddove non istituita, l'autorità marittima sono tenute ad effettuare accertamenti
con cadenza annuale al fine di verificare il permanere dei requisiti in possesso al momento del
rilascio della concessione e l'attuazione degli investimenti previsti nel programma di attività di cui
all'articolo 18, comma 6, lettera a), della legge n. 84 del 1994;
in caso di mancata osservanza degli obblighi assunti da parte del concessionario, nonché di mancato
raggiungimento degli obiettivi indicati nel programma di attività di cui al comma 6, lettera a), senza
giustificato motivo, l'autorità portuale o, laddove non istituita, l'autorità marittima revocano l'atto
concessorio;
29
il responsabile anticorruzione risulterebbe avere più ruoli tra loro incompatibili tra cui: avvocato
dell'ente dello staff del presidente dell'autorità portuale incompatibile con qualsiasi altro incarico
dirigenziale nell'ente stesso in quanto quella dell'avvocato dell'ente stesso è un'attività che deve
essere caratterizzata da una sostanziale estraneità rispetto all'apparato amministrativo così come è
previsto dall'art. 23 della legge n. 247 del 2012; dirigente dell'area Affari legali, giuridici e
contrattuali incompatibile, tra l'altro, ai sensi dell'art. 12 del decreto legislativo n. 39 del 2013, con il
suo incarico di componente dell'organo di indirizzo nell'ente stesso; responsabile per la prevenzione
della Corruzione e per la Trasparenza incompatibile, tra l'altro, ai sensi della legge n. 190 del 2012,
con la dirigenza di un settore quale l'area Affari legali, giuridici e contrattuali in cui è incardinato
l'ufficio Appalti, Contratti ed Economato che rappresenta un settore a rischio di corruzione;
considerato inoltre che a quanto risulta agli interroganti:
2 tra le più importanti società terminaliste di container operanti nel porto di Napoli risulterebbero
essere la Conateco SpA e la Soteco Srl;
entrambe le società risulterebbero avere lo stesso amministratore delegato, come da visura
ordinaria; in Conateco SpA gli amministratori sono 2 e con deleghe diverse. Altresì il suddetto
amministratore risulterebbe anche rappresentante degli imprenditori nel comitato portuale
dell'autorità; in particolare la Soteco Srl ha una compagine societaria composta al 40 per cento da
Conateco SpA, al 30 per cento dalla Europe Terminal N.V. e al 30 per cento dalla Trielle Srl;
per gli amministratori tra le incompatibilità relative ricorre quella secondo cui un amministratore
non può esserlo in più società concorrenti. Tale disposizione, però, può essere superata da
un'autorizzazione rilasciata dall'assemblea dei soci;
considerato infine che:
il ruolo dell'autorità portuale è fondamentale per lo svolgimento delle attività di controllo anche
internamente alla propria organizzazione,
si chiede di sapere:
se il Ministro in indirizzo intenda adottare le opportune iniziative al fine di verificare le
incompatibilità relative all'incarico del professor Francesco Karrer e in caso affermativo quali
misure urgenti intenda assumere per eliminare situazioni potenziali di conflitti di interesse nonché
le incompatibilità esistenti internamente all'autorità portuale di Napoli in alcuni ruoli dirigenziali;
quali azioni di propria competenza intenda intraprendere al fine di controllare l'eventuale
assegnazione di concessioni pluriennali da parte dell'autorità portuale su aree demaniali marittime
portuali di Napoli in assenza di programmi di attività, come richiede l'articolo 18, comma 6, lettera
a), della legge n. 84 del 1994 e, qualora fosse riscontrata, quali iniziative intenda avviare per
scongiurare tale grave forma di inadempienza;
30
quali iniziative, qualora sia provata la mancata verifica annuale da parte dell'autorità portuale di
Napoli dei dovuti controlli, intenda adottare per porvi rimedio ed accertare la permanenza dei
requisiti richiesti al momento del rilascio delle concessioni e l'attuazione degli investimenti previsti
nel programma di attività, come disposto dal richiamato art. 18, comma 8 della legge n. 84 del
1994;
quali misure, nell'ambito delle proprie attribuzioni e relativamente alle società Conateco SpA e
Soteco Srl, concessionarie su aree demaniali marittime del porto di Napoli, voglia adottare per
assicurarsi che l'autorità portuale di Napoli abbia vigilato fin dall'inizio sull'assegnazione delle
concessioni demaniali nonché per accertare l'indipendenza tra le 2 società, tenuto conto dei forti
legami tra le 2 compagini societarie e l'elevato rischio di condizionamento reciproco;
come intenda infine procedere per il ripristino della regolarità delle concessioni delle aree banchine
interne al porto di Napoli.
(3-01397)
Interrogazione a risposta scritta:
sullo sversamento di idrocarburi nel fiume Arrone, anche a causa di alcuni furti di cherosene
dall'oleodotto dell'ENI di Maccarese (Roma)
DE PETRIS (SEL)
- Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare - Premesso che:
l'onda di cherosene che da qualche giorno scende lungo il rio Tre Cannelle a Maccarese nel comune
di Fiumicino (Roma) fino al mare rappresenta l'ennesimo esempio di disastro ambientale
annunciato e sottovalutato;
le associazioni ambietaliste Lipu e WWF intervenute prontamente per arginare la strage di animali
hanno segnalato l'estrema gravità della situazione: cormorani, gallinelle, germani reali, testuggini
d'acqua, nutrie sono le specie tra le più colpite, oltre a numerosi pesci. L'imponente contaminazione
ha interessato non solo l'oasi di Maccarese, un'area di svernamento importantissima per
innumerevoli uccelli migratori ma anche un'estesissima area agricola, dove la sopravvivenza
dell'ecosistema è in gravissimo pericolo;
lo sversamento del cherosene nel fiume Arrone è un durissimo colpo all'ambiente naturale, notevoli
sono i danni, in termini di perdita di biodiversità e di compromissione degli habitat. Colpita in
particolar modo l'oasi naturale della foce Arrone, area di estremo valore, sia per qualità ambientale
che di testimonianza storica del paesaggio originario, realizzata qualche anno fa dal WWF;
31
due sono, al momento, le ipotesi sulle cause del disastro originato da un deposito di cherosene
collocato a monte del corso d'acqua, vicino allo svincolo dell'autostrada Civitavecchia-Fiumicino: la
società ha attribuito il fenomeno a 2 tentativi di furto di cherosene ma, date le proporzioni del
danno, è lecito sospettare invece un possibile collasso strutturale dell'oleodotto;
finora i carabinieri e i vigili del fuoco hanno riscontrato che il punto in cui si è verificata la
fuoriuscita di carburante si trova a un metro e mezzo sotto terra, il che fa presumere che ignoti
avrebbero tentato di allacciarsi alla condotta per rubare carburante causandone la rottura, in due
punti, uno a Palidoro, nei pressi dell'ospedale "Bambino Gesù" e l'altro vicino a Torre in Pietra;
un primo allarme, lanciato nei giorni scorsi, è stato probabilmente sottostimato come pure un ritardo
si è verificato nell'avvio degli interventi di bonifica. Il sindaco di Fiumicino, il 9 novembre 2014, ha
emesso un'ordinanza per sospendere l'irrigazione dei campi e nonostante la gravità della situazione
gli interventi di recupero ambientale adottati dall'Arpa Lazio e dall'Eni, gestore del tratto di
oleodotto, si sono limitati alla semplice disposizione di barriere per rallentare l'onda,
si chiede di sapere:
quali verifiche urgenti il Ministro in indirizzo intenda promuovere per il controllo dello stato attuale
delle acque, del mare, dei canali di irrigazione e il monitoraggio dei terreni agricoli e da pascolo
nonché dell'intera oasi naturale;
quali iniziative intenda intraprendere per accertare la vera causa dell'incidente e per verificare se
l'Arpa regionale e l'Eni abbiano realmente attuato tutte le procedure previste per impedire lo
sversamento del cherosene fino al mare e il conseguente inquinamento dell'intera area colpita, e
qualora venissero accertate inadempienze quali iniziative intenda porre in essere al fine di
sanzionare i responsabili;
se, per quanto di competenza, intenda adottare tempestivamente un provvedimento a carico dei
responsabili del danno all'ambiente per constringerli in solido alla bonifica e al ripristino della
condizione ambientale preesistente;
al netto di eventuali responsabilità penali o per dolo o colpa grave, quali iniziative urgenti intenda
intraprendere coinvolgendo il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali e le sue
articolazioni, in particolare il Corpo forestale dello Stato, al fine di eseguire una reale stima dei
danni alla fauna e alla flora e una valutazione delle misure atte al ripristino delle condizioni
dell'ecosistema naturale anche prevedendo, se necessario, lo stanziamento di adeguate risorse
finanziarie;
quali iniziative urgenti intenda assumere, anche coinvolgendo le altre amministrazioni e i soggetti
interessati, al fine della messa in sicurezza e della riqualificazione ambientale di tutta l'area colpita
dallo sversamento di cherosene e dalla conseguente contaminazione al fine di arrivare in tempi
32
rapidi alla bonifica dell'intera area ottemperando al proprio dovere di tutela dell'ambiente e della
salute dei cittadini, anche prevedendo l'impiego di adeguate risorse finanziarie;
quali iniziative intenda intraprendere per innalzare il livello di attenzione e per assicurare il costante
monitoraggio ambientale delle aree di elevato valore ambientale e paesaggistico.
(4-02979)
33