La figura del serpente in alcuni momenti della storia della filosofia
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La figura del serpente in alcuni momenti della storia della filosofia
Ernesto Riva La figura del serpente in alcuni momenti della storia del pensiero occidentale intervento al Congresso su "Il serpente e le sue immagini", Torino 14 e 15 dicembre 1985 Potrei cominciare con una affermazione quasi polemica, provocante: gli animali, e in particolare i serpenti, non interessano molto ai filosofi. Come dice Morus, "la filosofia del secolo XX è estranea agli animali. Essa non è né pro né contro, ma, ciò che è peggio, è neutrale"1. Da che cosa dipende questa neutralità? Le risposte sono molteplici: l'uomo ha oggi poca dimestichezza con gli animali; vive in città dove gli animali sono confinati negli zoo o tenuti nei salotti di casa. Quel che interessa, all'uomo d'oggi, è soprattutto la macchina, qualcosa che egli stesso ha costruito, che può usare a suo piacimento, che conosce fin nelle sue più piccole parti e sa cosa aspettarsi da essa. Paradossalmente, però (ma neanche tanto), quanto più l'uomo si allontana dall'animale, tanto più cerca di avvicinarselo: ed ecco allora teorie, come la sociobiologia, che evidenziano la completa o quasi identità tra uomo e animale (nulla di nuovo, per carità: già i materialisti del '700 dicevano più o meno lo stesso), mentre, da un punto di vista - se vogliamo - più "sentimentale", ecco il sorgere dei movimenti ecologisti, le società protettrici degli animali, le lotte contro la vivisezione ecc. Sembra quasi che l'uomo cerchi di riparare quello che ha fatto nei secoli precedenti, distruggendo intere specie e modificando l'equilibrio naturale di molte zone del nostro pianeta. E' forse con questa malafede, con questa sorta di "coscienza sporca" che l'uomo si accinge, oggi, a studiare gli animali, finalmente, così come sono, nel loro ambiente, lasciando da parte tutte le disquisizioni si quanto istinto o intelligenza abbiano, se posseggano oppure no un'anima immortale e simili. Verso l'animale e, in particolare, verso il serpente, l'uomo ha un atteggiamento non univoco. In tutte le civiltà il rapporto tra uomo e animale è in primo luogo un problema di classificazione, che pone la questione ancora più vasta dell'appartenenza dell'uomo alla natura: è il problema della animalità, che è collegato al problema dell'origine dell'uomo, delle sue eventuali differenze con gli animali e col resto della natura. Il problema uomo-animale è prima di tutto un problema di definizione e di essenza. Che cos'è l'uomo? Che cos'è l'animale? In che cosa si distingue l'uomo dall'animale? E, ancor prima, l'uomo si distingue realmente dall'animale? Non è comunque questo il momento di rispondere a simili interrogativi e vengo invece, finalmente, al nostro argomento. Il serpente rappresenta l'ambivalenza di ogni manifestazione. Esso ha caratteristiche sia positive che negative. E' l'ambiguità per eccellenza. Il serpente cambia la pelle ed è quindi simbolo di rigenerazione, di vita. Ma ha un rapporto anche con la terra, col sottosuolo, gli inferi, col fuoco, col fallo: è dunque una immagine polivalente, di una realtà che è infera-sessuale-generativa. Platone, alle origini della filosofia, non è tenero con essi: intendo, i serpenti. Nel Timeo (91e-92b) ci dice che quegli uomini che in vita non si sono giovati della filosofia e non hanno contemplato la natura del cielo, sono puniti e nella loro reincarnazione curveranno a terra le membra anteriori e avranno le teste allungate. Quegli esseri poi, "ancora più stolti" - dice Platone, che distendono tutto il corpo a terra, gli dèi li hanno generati senza piedi e striscianti perché non hanno più bisogno di piedi e non interessa loro contemplare la verità. Siete avvisati, dunque! Cercate di occuparvi di filosofia, altrimenti ... Aristotele dedicò molte opere agli animali e del serpente, in particolare, egli parla da scienziato, da acuto osservatore e non da letterato o da mitologo come aveva fatto Platone. Per questo non dice nulla di più di quello che ognuno di noi (che viviamo molti secoli dopo) oggi sa per averlo studiato a scuola. E' dunque poco importante? Tutto il contrario. Visto che da lui prende avvio la prima classificazione "scientifica" degli animali, che ha resistito, in pratica, fino all'Ottocento. Usare ancora oggi, almeno in parte, dei concetti pensati 2300 anni fa, indica quanto geniale fosse la mente 1 cfr. Morus, Gli animali nella storia della civiltà, trad. it. Einaudi, Torino 1956, p. 370. che li ha concepiti. I serpenti sono secondo Aristotele degli animali sanguigni (così Aristotele chiamava i vertebrati), sono ovipari, con polmoni e così via. Aristotele, come ho già detto, ci dà di essi una descrizione, la fenomenologia, direi, di quelle simpatiche bestiole. Come abbiamo visto finora, la considerazione dell'animale e del serpente in particolare è vista, nella storia del pensiero, sotto due aspetti diversi: uno che potremmo definire più letterario, mitologico, e che ha comunque una sua giustificazione, e un altro, che è più descrittivo, scientifico, ed anch'esso ha la sua ragion d'essere. Possiamo dire che tutti i pensatori, quando hanno parlato di animali, hanno scelto l'uno o l'altro modo di affrontare il problema. Montaigne, Bayle e Comte sono esempi del primo tipo. Descartes, Lamettrie, Buffon, Darwin sono del secondo tipo. Ma andiamo avanti o, se volete, torniamo indietro, e al pensiero ebraico-cristiano. Col cristianesimo abbiamo il primo distacco netto da tutti gli altri esseri viventi. Certo, i Greci parlavano dell'uomo come dell'animal rationale (tranne Eraclito: per lui l'uomo è l'unico animale privo di ragione), ma per ebrei e cristiani l'uomo è "immagine di Dio", mentre le altre creature ne sono soltanto il "vestigio" 2. L'uomo è quindi in possesso di un'anima immortale mentre gli animali ne sono privi3. Su questo sono d'accordo quasi tutti: c'è il solito bastian contrario che in questo caso si chiama Scoto Eriugena, il quale sosteneva non soltanto l'immaterialità dell'anima delle bestie, ma pensava anche che essa - anima - continuasse a vivere dopo la morte dell'animale. Però si ricordi che è l'eccezione che conferma la regola. Il destino dell'uomo è comunque molto legato a quello degli animali. Per il pensiero ebraicocristiano è per colpa dell'uomo se gli animali sono nello stato in cui si trovano. Dipende dunque dall'uomo fare qualcosa per essi. San Paolo ci dice che "la creazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio". Essa "geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto". Tuttavia sarà un giorno "liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio" (cfr. Romani, 8,19-22). Questo lascia per lo meno intuire che, in un mondo trasformato da Dio, gli animali stessi avranno il loro posto, postulando così una relazione tra la glorificazione dell'uomo salvato e la natura sensibile che l'ha aiutato nell'opera della salvezza4. Altro il cristianesimo non dice o, meglio, non gli interessa dire molto di più. Anche se nella Bibbia troviamo una classificazione quasi scientifica degli animali, essa è in realtà molto semplice. Essi sono divisi in quattro gruppi, a seconda di come si muovono, e cioè quadrupedi, uccelli, rettili e pesci (Gn 1,26; 9,2; Lv 2,46; Dt 4,16-18). I rettili, in particolare, insieme ad altre specie animali, sono definiti nell' Antico Testamento impuri e quindi non devono essere mangiati (Lv 11,41). La Bibbia ci dice ancora che il mondo animale fu creato negli ultimi due giorni della creazione: nel quinto Dio creò gli animali dell'acqua e gli uccelli; nel sesto furono creati tutti gli animali terrestri ed i rettili. Dunque i nostri cari serpenti fanno parte dell'ultimo giorno della creazione. Il serpente ha un significato tutto particolare, come è ben noto, per l'ebraismo ed il cristianesimo. Esso ha caratteristiche, come ho accennato all'inizio sia positive che negative. Vediamo prima le negative: esso è una delle immagini del diavolo, la personificazione del male e del maligno (cfr. anche ad es. Apocalisse, 12,9; 20,2). Certo l'uomo attuale se ne ride del diavolo e dei suoi compari; il mondo d'oggi sembra aver tolto di mezzo il demonio e le sue immagini, e quindi anche il serpente. Ma non è così! Come diceva Romano Guardini, "le realtà più potenti sono le più silenziose"5, dunque non prendiamolo sottogamba. il demonio, come è noto, è un angelo decaduto. Il nome in ebraico per designare un tipo di angeli, i serafini, è saraf, che, guarda caso, è uno dei termini per "serpente". La parola sembra derivi da una 2 cfr. Tommaso d'Aquino, Summa theologiae, I, q. 93, a 1-2; q. 35 a 2 ad 3 cfr. S. Th., 1, q. 75 a 3). 4 Cfr. D. Grasso, L'uomo, gli animali e il buon Dio in "Famiglia cristiana", anno LII, n. 28, 11/7/1982. Cfr. anche Paolo De Benedetti, Gli animali amici di Dio in "Jesus", febbraio 1980, pp. 58-63; e Idem, in "Jesus", aprile 1980, pp. 48-49. 5 cfr. Romano Guardini, Il Signore, trad. it. Vita e Pensiero, Milano 1977, 7^ ed., p. 68. 3 radice che significa "bruciare", ed il nome fu dato al serpente probabilmente per il suo morso bruciante e l'infiammazione che ne deriva. Il serpente ha poi rapporti con l'acqua, la fertilità, la distruzione. Come simbolo di fertilità e promessa di vita, il serpente sostiene il ruolo di tentatore e seduttore. E' ben noto come, nel paradiso terrestre, il serpente seduca l'uomo per mezzo della donna, la personificazione della fertilità (Gn cap. 3°). Ma Eva, colei che è sedotta e poi seduttrice, per il pensiero ebraico-cristiano viene da subito considerata come colei che sarà la "nemica" per eccellenza del serpente. Da Eva nascerà infatti il seme del "leone", che vincerà l'antico serpente (cfr. Apocalisse, cap. 12°). Il serpente non è quindi del tutto un simbolo negativo. Il suo aspetto positivo lo troviamo ad es. in Numeri, cap. 21, quando Mosè fa costruire un serpente di bronzo affinché quelli che erano stati morsi da serpenti, guardando quell'immagine, potessero guarire. Tale episodio verrà interpretato più tardi, dai Padri della Chiesa, come immagine del Cristo crocifisso, colui che muore per salvare l'umanità (cfr. Gv 3,14). Altro esempio lo abbiamo nella descrizione della pace messianica, come ci dice Isaia al cap. 11°, quando il bambino "metterà la mano nel covo di serpenti velenosi" e "il lattante si trastullerà sulla buca dell'aspide"(cfr. Is 11,8). Dunque il serpente è sì immagine del diavolo, ma solo in certi contesti. Per il resto, Satana - ma è un altro discorso - è una vera e propria realtà che agisce, definita come l'oppositore, il menzognero, l'omicida. Tali immagini sono rimaste ben impresse, ben vive nella coscienza della civiltà occidentale fino ai nostri giorni, e di questo potrà parlare meglio la psicoanalisi. Dopo il cristianesimo, mi spiace dirlo, i filosofi non si sono praticamente più occupati dei serpenti (ma non degli animali in generale). C'è sì Alberto Magno, col suo De animalibus, ma è ricopiatura di Aristotele. Prima di lui, c'è Plinio con la sua Storia naturale e con tutti i bestiari da lui derivati, ma insomma sono per lo più fantasie (Plinio parla ad es. nel libro 8° della lotta tra serpenti ed elefanti o cita varie parti del corpo del serpente che sono adoperate per vari rimedi). Quando i filosofi successivi hanno parlato di animali lo hanno fatto, in generale, soltanto per ribadire la superiorità dell'uomo su di essi (cfr. ad es. Descartes) oppure per affermare l'esatto contrario, e cioè che l'uomo è, in un certo senso, il peggiore degli animali oppure che non è per nulla diverso da essi (si vedano Montaigne e Rorarius, nel suo Quod animnalia bruta ratione utantur melius homine). Per quanto ne so, bisogna arrivare fino a Nietzsche e quindi alla fine dell'Ottocento per vedere di nuovo la figura del serpente assurgere, per così dire, a dignità filosofica. Anche lui però ne parla nel modo che ho definito prima letterario, mitologico. Diciamo, in primo luogo, che anche per Nietzsche l'uomo è l'uomo e l'animale è l'animale. Egli afferma che "l'uomo è una corda tesa tra la bestia e il superuomo" (Così parlò Zarathustra, prologo, 4) e ciò indica per lo meno una diversità tra i due tipi di esseri. Il serpente è poi preso da Nietzsche come simbolo di intelligenza, ed è, insieme all'aquila (simbolo dell'orgoglio), l'animale di Zarathustra. Ma è pur sempre - si badi - un animale. Infatti, da animale qual è, non riesce comunque a comprendere la dottrina dell'eterno ritorno: per esso, semplicisticamente, tale dottrina indica che "tutto ritorna" e gli sfugge dunque il carattere selettivo ed anche "terribile" che Nietzsche gli attribuiva. Così il s erpente fa dell'eterno ritorno una specie di "chiacchiericcio", una "canzone da organetto". Zarathustra, perciò, se vuole annunciare la verità dell'eterno ritorno, deve rivolgersi a qualcun altro, ad un'altra immagine o simbolo: sarà infatti il leone (che rappresenta la distruzione di tutti i valori, il nichilismo), il quale però si trasformerà, a sua volta, nel bambino, che invece è visto da Nietzsche come il preannuncio del superuomo (o oltreuomo, direbbe Vattimo). E con la lettura di questo brano di Nietzsche, concludo il mio intervento. Da Così parlò Zarathustra, parte 1^, capitolo intitolato "del morso della vipera"...