Variazioni relative del livello del mare e vulnerabilità delle pianure

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Variazioni relative del livello del mare e vulnerabilità delle pianure
No. 2 , Ottobre 2007
Variazioni relative del livello del mare e vulnerabilità delle
pianure costiere italiane.
F. ANTONIOLI E S. SILENZI
INDICE
1 Introduzione
4 Le cause delle variazioni del livello marino
5 Variazioni a scala globale
7 Variazioni a scala regionale
13 Le misure attuali e le previsioni sul futuro
livello marino
17 Lo stato delle coste
18 La valutazione del rischio da ingressione
marina
22 Considerazioni conclusive
24 Bibliografia
Quaderno a cura di Forese Wezel con la collaborazione di Carlo Doglioni.
Messa in rete a cura di Alessandro Zuccari & Paolo Conti.
Sito web della SGI: http://www. socgeol. it
Gli Autori sono i soli responsabili delle opinioni, osservazioni e idee espresse in questo Quaderno.
© 2007 Società Geologica Italiana
Variazioni relative del livello del mare e vulnerabilità delle pianure costiere
italiane
Fabrizio Antonioli* e Sergio Silenzi**
* ENEA, Via Anguillarese 301, 00123 Roma (Italy) [email protected]
**Unità Cambiamenti Climatici Globali e Studi Costieri – ICRAM, Via Casalotti 300, 00166 Roma (Italy)
[email protected]
1. Introduzione
Fra gli effetti che il riscaldamento globale in corso avrà sulla società umana, il previsto
sollevamento del livello marino ricopre un ruolo di fondamentale importanza potendo
modificare l’attuale assetto delle coste, dei suoi habitat e, in definitiva, delle attività e delle
infrastrutture che contribuiscono al benessere ed alla sussistenza sociale di questo
particolare ambiente occupato dall’uomo.
Per poter prevenire effetti catastrofici, od anche solo mantenere un livello di benessere e di
sussistenza adeguati, diviene strategico poter comprendere quali scenari climatici e
morfologici aspettano le nostre coste nel futuro.
In tal senso ricostruire le diverse componenti che concorreranno a definire il livello del mare in
un dato settore costituisce la base per la programmazione e la difesa del territorio dal
cambiamento globale atteso: l’adattamento al clima del futuro.
Com’è noto il livello del mare è sempre stato protagonista di oscillazioni di varie entità e
velocità nella storia della Terra. Queste variazioni sono dipese sia da cause astronomiche
(Antonioli et al., 2004) che dalla tettonica la cui intensità e significato variano regionalmente.
Tuttavia, il riscaldamento in atto potrà comportare un’accelerazione senza precedenti negli
attuali trend di sollevamento (fig. 1).
Fig. 1 - Confronto fra la quota del solco di battente e la concentrazione di CO2 atmosferica del Tirreniano ed attuale lungo
la costa del Golfo di Orosei (Sardegna).
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Oggi ci troviamo forse al culmine di un lungo periodo interglaciale caldo, che è iniziato circa
9000 anni fa e che ha visto il livello marino sempre sollevarsi, nonostante la radianza solare
(W/m2) media sulla superficie terrestre sia diminuita (fig. 2). Seppure sia noto come da circa 4
mila anni lo scioglimento dei ghiacci, e quindi il loro contributo all’eustatismo, sia quasi
cessato, a causa dei movimenti isostatici le coste italiane hanno continuato e continueranno a
subire passivamente movimenti negativi che appaiono come una risalita relativa del mare (fig.
3). Nel prossimo futuro questi movimenti si sommeranno a quelli eustatici dovuti al
riscaldamento climatico che sta consistentemente riattivando il progressivo scioglimento delle
coltri glaciali.
Tutto ciò avrà delle ripercussioni notevoli sulla maggior parte delle aree costiere, in particolar
modo nelle zone con coste basse e intorno ai delta dei fiumi.
Fig. 2 - Variazioni del livello del mare e dell’insolazione del Pleistocene medio, Pleistocene superiore e dell'Olocene (tratta
da Silenzi et al., 2004).
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Fig. 3 - L’aspetto della piscina d’età Romana (2 ka BP) di Torre Astura (Lazio) misurata da Lambeck et al., 2004.
2. Le cause delle variazioni del livello marino
Nel corso delle ere geologiche il livello del mare ha sempre subito delle oscillazioni (fig. 4).
Tutte queste variazioni possono essere connesse sia a cause geologiche, astronomiche e
climatiche che vanno sotto il nome di eustatismo: sono il risultato di variazioni che
interessano l’intero globo a cui vanno sommate variazioni locali che differiscono, anche
sensibilmente, da settore a settore. Fra le cause geologiche globali vi sono i cambiamenti
della forma degli oceani, l’accelerazione nell’espansione delle dorsali oceaniche, il
cambiamento nella distribuzione dell'acqua oceanica (variazioni climatiche con formazione o
fusione delle coltri glaciali). L’eccentricità dell’orbita della Terra attorno al sole, l’oscillazione
dell’obliquità dell’asse di rotazione terrestre e i suoi moti di precessione sono i fattori
dominanti le oscillazioni eustatiche fondamentali.
Le variazioni a scala continentale o regionale dipendono principalmente dalle variazioni
glacio-idro-isosatiche, dalla tettonica, dalle variazioni nella forza di gravità, dalla subsidenza
e, negli ultimi secoli, dalle cause antropiche.
A scala locale sono inoltre possibili variazioni di breve periodo (giornaliero, mensile, annuale)
prevalentemente correlate a cause meteomarine e meteorologiche (maree, venti
predominanti, variazioni di pressione atmosferica). Queste oscillazioni sono tutt'altro che di
lieve entità, e possono comportare innalzamenti del livello del mare anche di alcuni decimetri,
come nel caso delle acque alte a Venezia.
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Fig. 4 – Variazioni del livello marino a scala globale durante gli ultimi 550 milioni di anni (in blu: dati Exxon Corporation;
riferimenti in Global Warming Art. In rosso: Hallam & Cohen, 1989).
2.1 Variazioni a scala globale
Cause geologiche
I fenomeni geologici che determinano variazioni nel livello del mare sono principalmente
connessi alla tettonica delle placche (quali le emissioni laviche sottomarine e l'espansione o
la subduzione dei fondali oceanici): il movimento delle zolle sul pianeta ed i fenomeni
associati determinano variazioni della forma e, quindi, della capacità volumetrica, dei bacini
oceanici. Per esempio la rapida formazione di nuova litosfera oceanica determina una minore
profondità dell’oceano; infatti più la litosfera è giovane, più è calda e quindi meno densa,
generando per isostasia una minore batimetria e un minore volume oceanico. Questo
comporta un innalzamento del livello del mare. Inoltre, vi sono gli effetti che l’oscillazione del
livello delle acque hanno sulla conformazione delle terre emerse e sommerse (ad esempio
subsidenza costiera a scala continentale e regionale, gli aggiustamenti reologici della
litosfera, la termo-isostasia, la glacio-isostasia, la sedimento-isostasia, gli accumuli di
sedimenti, ecc.).
Modificazioni climatiche di lungo periodo
Le modificazioni climatiche globali che agiscono sulle decine e le centinaia di migliaia di anni
sono essenzialmente innescate dalle variazioni periodiche dei parametri dell'orbita terrestre
(Milankovitch, 1938; Hayas et al., 1976; Adem, 1989). Sono, infatti, questi che controllano
l'intensità dell'insolazione che giunge sulla superficie del pianeta.
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Gli effetti delle modificazioni climatiche sulle variazioni del livello marino riguardano
principalmente i cambiamenti tra volumi relativi di acqua e ghiaccio, che avvengono per
accrescimento o fusione delle coltri glaciali. Le variazioni del livello marino così indotte
possono raggiungere i 140 m in
10 mila anni (fig. 2). Queste
oscillazioni
vengono
anche
definite
variazioni
glacioeustatiche (termine di valore
storico proposto per la prima
volta da Maclaren nel 1842).
Cambiamenti climatici consistenti, come quelli che avvengono nel passaggio da un periodo glaciale ad uno interglaciale,
comportano anche variazioni di
temperatura, di salinità e di
pressione dell'acqua oceanica,
con relativi cambiamenti di
densità e quindi di volume. I
cambiamenti di livello marino
indotti da una variazione di
temperatura sono generalmente
limitati (al massimo qualche
metro di differenza tra un periodo
glaciale ed un periodo interglaciale), ma possono essere
percepibili (qualche decimetro)
se un cambiamento climatico si
produce in tempi brevi, come sta
accadendo in questi ultimi anni a
causa del riscaldamento globale
in corso.
La teoria di Milankovitch ed i Fig. 5 - Variazioni di Eccentricità (E), Obliquità (O), Precessione (P) e
processi che regolano i cicli combinazione dei loro effetti (E+O+P) durante gli ultimi 800 ka BP (da
Bradley, 1999, modificata). Nella curva in basso è rappresentata, per la
glaciali
65°N, la variazione di insolazione estiva durante gli ultimi 400
Come visto, le più importanti latitudine
ka BP. La sua corrispondenza con la curva EOP dimostra che la
modificazioni del clima che variazione dei parametri orbitali influenza la quantità di radiazione solare
determinano variazioni del livello che raggiunge la superficie terrestre (da Silenzi et al., 2004).
marino sono connesse ai così
detti cicli glaciali. Fu per primo il naturalista scozzese James Croll (Croll, 1875) a suggerire
che le fluttuazioni climatiche degli ultimi 2 milioni di anni fossero il risultato dei lentissimi
movimenti che la Terra descrive nello spazio e nella rotazione intorno al Sole. La teoria fu
rielaborata da Milutin Milankovitch intorno al 1930 (Milankovitch, 1930; Milankovitch, 1941) e
successivamente discussa e affinata da numerosi Autori (vedi ad es.: Berger, 1978; Berger,
1988; Berger et al., 1992; Crowley & Kim, 1994; Hays et al., 1976; Imbrie & Imbrie, 1980;
Imbrie et al., 1992, 1993; Laskar, 1999; Muller & McDonald, 1997; Santer et al., 1993).
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Secondo la teoria di Milankovitch, a causa dell’attrazione gravitazionale che i corpi del
sistema solare esercitano sul nostro pianeta, l’orbita della Terra viene continuamente
modificata dai cicli della precessione degli equinozi, dell’obliquità dell’eclittica e
dell’eccentricità dell’orbita.
Sulla base delle leggi astronomiche che descrivono tali variazioni e ipotizzando l’atmosfera
terrestre ferma, Milankovitch formulò un modello matematico in grado di calcolare la variazione di radiazione solare che ha raggiunto la Terra, alle diverse latitudini, negli ultimi 600000
anni, spiegando così l’alternarsi nel passato di periodi più caldi e periodi più freddi (fig. 5).
La combinazione dei tre cicli astronomici, incidendo principalmente sull’insolazione estiva
dell’Emisfero Boreale, dove si concentrano la maggior parte delle terre emerse, determina il
passaggio da fasi glaciali a interglaciali con periodi di circa 100 mila anni.
Attualmente la Terra sta attraversando un periodo caldo o interglaciale, l’Olocene, noto anche
come stadio isotopico 1, che è iniziato circa 10mila anni fa. Questo periodo segue ad una
fase glaciale in cui, circa 22 ka BP, il mare si trovava oltre i -130 m sotto il livello attuale. Le
prime testimonianze dell’alternanza di fasi glaciali ed interglaciali nel mare si è avuta
analizzando il rapporto fra gli isotopi stabili dell'ossigeno contenuta nei resti fossili di
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organismi marini (δ O, che descrive l'abbondanza relativa fra gli isotopi O e O ad
esempio in un carbonato, come nel guscio di molluschi e foraminiferi. Tale rapporto isotopico
non è casuale, ma è fortemente dipendente dalla temperatura dell'ambiente; Urey, 1948;
Emiliani, 1954, 1977; Shackleton, 1974, 1977, 1988; Shackleton & Opdyke, 1973. Per l’uso
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del δ O su organismi marini: Wefer & Berger, 1991), in grado di registrare nel proprio guscio
lo stato climatico del periodo in cui vivevano. E’ per questo che tali fasi climatiche, grosso
modo corrispondenti ai cicli di Milankovitch, vengono chiamate stadi isotopici e sono indicate
con numeri crescenti andando indietro nel tempo (fig. 6).
Lo stadio 1 corrisponde all’Olocene; analogamente con i numeri dispari vengono indicati i
periodi interglaciali del passato, mentre con i numeri pari si individuano le fasi glaciali. Lo
stadio 2 (o LGM : Last Glacial Maximum) corrisponde all’ultimo periodo glaciale il cui picco
più freddo è avvenuto 22.000 anni fa (22 ka).
2.2 Variazioni a scala regionale
Variazioni glacio-idro-isosatiche
Come osservato nel paragrafo precedente, le variazioni descritte dai cicli di Milankovitch
hanno portato la Terra di 22000 anni fa (massimo acme dell’ultimo periodo glaciale) ad
essere ricoperta da enormi coltri glaciali, spesse anche oltre 4000 metri. Nelle nostre regioni,
l’estensione dei ghiacci comprendeva una vasta porzione del nord Europa e delle principali
catene montuose, quali le Alpi (fig. 7).
La formazione o la fusione delle calotte glaciali induce sulla crosta terrestre movimenti
verticali come risposta al carico rappresentato dall’accrescimento delle coltri o
dall’alleggerimento dovuto al loro scioglimento.
Questi fenomeni agiscono a scala planetaria e, a causa della viscosità del mantello terrestre,
perdurano per lungo tempo anche dopo la fine della causa che li ha indotti. Così, per esempio, benché la maggior parte della calotta che ricopriva la Scandinavia durante l'ultimo periodo glaciale sia sparita da oltre 8000 anni, alcune porzioni costiere della Penisola Scandinava
continuano ad innalzarsi glacio-isostaticamente alla velocità di quasi 20 mm/anno; una
costante subsidenza continua a predominare in una vasta regione contigua a quella della
calotta. Essa comprende la maggior parte delle coste del Mediterraneo, Italia inclusa
(Lambeck e Johnston, 1995).
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Fig. 6 - Le variazioni dei parametri orbitali inducono cambiamenti nella quantità di calore che raggiunge la superficie
terrestre (grafico in alto):
modellando gli effetti sul clima in termini di variazione del volume dei ghiacci (grafico centrale) si può ottenere l’andamento teorico dei cicli glaciali, registrato nel rapporto fra isotopi stabili dell’ossigeno (δ18O; grafico in basso) degli organismi fossili depositatesi sui fondali oceanici (tratto da Paillard, 1998). Paragonando l’andamento dei grafici si deduce come
ad un incremento significativo dell’insolazione corrisponda una rapida diminuzione del volume dei ghiacciai, passando da
un periodo glaciale ad uno interglaciale. La scala dei tempi, espressa in migliaia di anni, mette in risalto la ciclicità climatica
glaciale/interglaciale, con periodo di ritorno di circa 100 mila anni. I picchi climatici sono denominati Stadi Isotopici: nella
figura, i numeri nei riquadri in basso indicano l’alternanza delle fasi glaciali ed interglaciali registrate sulla Terra nell’ultimo
milione di anni. Si può notare come i numeri dispari (box bianchi) rappresentino le fasi calde-interglaciali, mentre quelli
pari indicano le fasi fredde (box neri).
Lo Stadio 1 corrisponde all’Olocene: è la fase di relativa stabilità climatica che stiamo attualmente vivendo e che è piuttosto
recente (ultimi 8/7 ka BP). L’Olocene è successivo all’ultimo periodo glaciale che ha interessato la Terra: il livello del mare
durante lo stadio 2, occorso solo 22 mila anni fa, era a circa -120 m.
Lo stadio 3, seppure ha similitudini con un periodo caldo-interglaciale, a causa della combinazione fra i parametri orbitali
non corrisponde al ciclo dei 100 mila anni descritto da Milankovitch e non ha visto un riscaldamento ed un livello del mare
simile ad un vero periodo interglaciale; per questo è indicato in figura come assimilabile ad un periodo freddo.
Lo Stadio 5, generalmente riportato in letteratura come l’ultimo interglaciale prima dell’attuale, ha visto il livello del mare
salire di 6 metri sopra l’attuale; anche la temperatura 125 mila anni fa era più elevata di oggi.
Questo effetto, che tende ad essere trascurabile verso l'equatore, va sotto il nome di glacioisostasia, ed è stato descritto fra i primi da Farrell e Clarck (1976).
La componente idro-isostatica è, invece, connessa alle variazioni del fondale marino dovute
all'incremento (o decremento) della colonna d'acqua, a sua volta causato dello scioglimento
(accrescimento) dei ghiacci in conseguenza del riscaldamento (raffreddamento) globale.
Questo effetto produce un massimo valore di subsidenza all'interno dei bacini oceanici, con
un conseguente sollevamento delle zone continentali.
Tutte le zone circumpolari sono quindi soggette a forti fenomeni di glacio-isostasia, con
sollevamenti fino a 200 metri nel corso degli ultimi 10.000 anni; alle medie latitudini
(Mediterraneo) vengono sommate le componenti glacio e idro mentre alle basse latitudini
(Equatore) si riscontrano principalmente i risentimenti crostali dovuti alla idro-isostasia.
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Fig. 7 - Carta geomorfoloca Italiana (Climex maps, Vai & Cantelli., 2004) durante l’ultimo periodo Glaciale (22 ka cal BP).
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L'effetto glacio-idro-isostatico per il Mediterraneo centrale (Lambeck e Johnston, 1995;
Lambeck e Bard, 2000), e quindi per la penisola italiana (Lambeck et al., 2004 a), si traduce
in un processo di subsidenza con tassi variabili da Nord a Sud, con ordini di grandezza
compresi tra 0.2 e 0.8 mm/anno (Lambeck et al. 2004a, Antonioli et al., 2007b) che
corrispondono alla sommatoria tra la componente glacio- e quella idro-isostatica.
Nel Mediterraneo, infatti, l'effetto principale connesso alla risalita del livello del mare consistite
in un abbassamento della superficie del fondale marino avvenuta durante e dopo la
deglaciazione (Lambeck et al., 2004 a).
Una prova di quanto sta accadendo è data dal rinvenimento e dalla misura di reperti
archeologici sommersi quali le piscine di allevamento di pesci costruite dai Romani 2000 anni
fà in buona parte delle coste Mediterranee. Tali marker archeologici, misurati in aree
tettonicamente stabili e ben correlati con il livello marino (le peschiere erano realizzate in
corrispondenza dell’intervallo di marea) si trovano attualmente nel Tirreno alla quota di circa
-1.35 m (Lambeck et al., 2004b). Il livello eustatico del mare di 2 ka BP era però solo di circa
12 cm più basso dell’attuale: la maggior parte dei movimenti rilevati in questo settore sono
quindi isostatici.
Appare evidente, perciò, che la conoscenza delle variazioni glacio-idro-isostatiche del
passato e di quelle attualmente in corso lungo la penisola italiana, sia fondamentale nel
computo delle variazioni relative del livello marino che, a loro volta, dovranno essere
rappresentate da curve locali in connessione alle diverse caratteristiche geologiche e
reologiche di quel settore. La necessità di considerare la peculiarità di ogni area spiega la
difficoltà di avere una singola curva che possa descrivere il fenomeno variazione del livello
marino a scala mondiale.
Movimenti verticali
A scala locale una componente fondamentale nel computo delle variazioni relative del livello
marino è fornita dall'entità degli eventuali movimenti tettonici, recenti ed attivi. Se pure non si
tratta di variazioni dovute ad oscillazioni climatiche, il loro effetto, nel computo della
vulnerabilità delle coste, assume una grande importanza (Pirazzoli, 1991).
Negli studi sui movimenti verticali costieri, lungo le coste del Mediterraneo è stato possibile
utilizzare marker geologici e biologici attribuiti all'ultimo periodo interglaciale, lo stadio
isotopico 5.5 (denominato anche Tirreniano e datato, come acme caldo, circa 125 ka BP),
essendo conosciuta la quota eustatica del livello di stazionamento del mare durante tale
periodo (pari a 7±1 m sul livello del mare attuale). Una discussione esaustiva sull’attribuzione
altimetrica del massimo eustatico Tirreniano è in Nisi et al. (2003a). E’ così possibile
quantificare l’entità dei movimenti verticali costieri misurando la quota attuale delle forme di
deposito e di erosione tirreniane. In altre parole, misurando la differenza fra la quota attuale di
affioramento (Z) e quella paleoeustatica (+7 metri), si può quantitativamente definire l'entità
media della componente verticale delle dislocazioni degli ultimi 125 ka BP, secondo la
relazione (Z – 7)/125 (espressa in mm/anno) (Antonioli et al., 2000; Bordoni e Valensise,
1998; Nisi et al., 2003a, Ferranti et al., 2006).
Nella figura 8, vengono riportati i movimenti verticali rilevati per le aree costiere italiane.
Appare chiaro come estese aree costiere in Toscana, tutta la Sardegna, il Lazio meridionale,
nonché porzioni della Sicilia occidentale possono considerarsi sostanzialmente stabili. Il Friuli,
il Veneto e L’Emilia-Romagna sono invece aree in subsidenza tettonica. Fra i principali settori
attualmente in sollevamento vi sono la Calabria e la Sicilia orientale. Per il Quaternario
recente una review delle coste italiane è contenuta in Ferranti et al. (2006).
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Fig. 8 - I movimenti verticali, espressi in mm/anno, sulle coste italiane ottenuti utilizzando diversi marker Tirreniani (da
Ferranti et al., 2006).
Da tali osservazioni si può facilmente dedurre come nelle aree costiere site in zone
tettonicamente attive per la presenza di terremoti, vulcani e altri movimenti dovuti alla
tettonica delle placche (nel bacino Mediterraneo lo scontro tra Africa ed Europa si manifesta
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con spostamenti orizzontali dell’ordine di circa 4-6 mm), si instaurino movimenti tettonici di
sollevamento od abbassamento i cui tassi oscillano fra -1 mm/anno (Amorosi et al., 2004) e
+2.4 mm/anno (Doglioni, 1994; Antonioli et al 2003; Carminati et al., 2003; Ferranti et al.,
2007; fig. 9).
Fig. 9 - Fasce di Balanidi (organismi intertidali) che, (in base alla datazione circa 1.8 ka cal BP in questo caso) testimoniano
consistenti sollevamenti nella zona costiera di Scilla.
La subsidenza nelle pianure costiere può essere correlata sia a cause naturali (per es. al
costipamento dei sedimenti), sia connessa con le attività antropiche (bonifica idraulica,
estrazione di fluidi, sfruttamento degli idrocarburi). A titolo di esempio, l'abbassamento del
piano campagna della fascia costiera emiliano-romagnola ha fatto registrare tassi di
subsidenza che hanno raggiunto i 70 mm/anno (delta del Po; Carminati e Martinelli, 2002), di
cui quelli riconducibili ad attività umane, per estrazione di gas ed emungimento di acqua,
sono pari a 10-30 mm/anno (Bonsignore e Vicari, 2000).
Cause antropiche
L’utilizzo delle risorse e del territorio, sotto i suoi molteplici aspetti, sono considerate fra le
cause principali delle oscillazioni del livello marino recenti e, soprattutto, future.
Infatti, l'espansione termica degli oceani e lo scioglimento dei ghiacciai hanno subito
un'accelerazione legata alla massiccia immissione nell'atmosfera di gas serra (fig. 10). Inoltre,
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Fig. 10 - Andamento della CO2 nell’atmosfera a partire dall’inizio degli anni ’90 (dati NOAA). Nel 1750, periodo preso
come riferimento pre-industriale, la concentrazione del gas era pari a circa 270 ppm (parti per milione).
alcune attività come il sovra-sfruttamento delle falde idriche, lo sfruttamento di giacimenti
metaniferi, l'escavazione di inerti per l'edilizia, le bonifiche idrauliche possono causare
abbassamenti del suolo e quindi un aumento relativo del livello del mare e dei fenomeni
erosivi. L'azione dell'uomo entra quindi a far parte delle cause determinanti le variazioni del
livello del mare, probabilmente con un impatto maggiore rispetto alle dinamiche naturali di
almeno un ordine di grandezza (Pirazzoli, 2000).
3. Le misure attuali e le previsioni sul futuro livello marino
Come visto, sono molteplici le componenti che concorrono a determinare le variazioni del
livello marino, spesso con effetti peculiari di una singola area o regione.
Questo determina una grande incertezza nella quantificazione dell'attuale e della futura
tendenza del livello degli oceani ed ancor più nel Mediterraneo, dove si sovrappongono le
difficoltà connesse a valutare la tendenza di un bacino semichiuso e con dinamiche idrauliche
e idrogeologiche peculiari. Tuttavia, la comunità scientifica internazionale è pressoché
unanimemente concorde nell’affermare che l’incremento dei gas serra sta modificando il
clima del pianeta in modo tale da innescare una risalita del livello del mare su scala globale.
Gli scenari individuati dai modelli per l’ultimo decennio sono stati addirittura superati dai fatti:
il mare (a livello globale) è risalito con tassi superiori a quanto ci si attendeva qualche anno fa
(fig. 11).
Se si rivolge lo sguardo a 2000 anni fa, si può ricostruire come il livello relativo del mare in
questo lasso di tempo, nelle aree tettonicamente stabili del Mediterraneo centrale, sia risalito
di circa 1.3/1.4 metri. Di questo sollevamento solo 12 cm sono dovuti allo scioglimento dei
ghiacciai mentre il resto è stato causato dal riaggiustamento glacio-idro-isostatici (Lambeck et
al., 2004a). Questi 12 cm si sono però aggiunti solo negli ultimi 100 anni circa, come
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Fig. 11 - Comparazione fra i modelli di previsione futura degli scenari IPCC 2001 (banda grigia), che partono dal 1990, e il
trend reale del sollevamento del livello marino (ridisegnata da Rahmstorf et al., 2007). Quest’ultimo dato è stato
determinato elaborando serie mareografiche (dal 1990, in rosso) e dati da satellite (dal 1993, in blu); tutti i dati sono corretti
per la glacio-isostasia.
Dalla figura si può vedere come le previsioni IPCC sottostimano abbondantemente ciò che è realmente avvenuto. Seppure
tali misure, come ben indicato dagli Autori, non considerano le variazioni decennali a causa della brevità del periodo
osservato, i dati satellitari evidenziano un tasso di risalita del mare di +3.3 ±0.4 mm/anno per il periodo 1993-2006.
probabile conseguenza del progressivo riscaldamento globale. Così, negli ultimi 2 secoli, da
quando cioè sono disponibili misure strumentali e, successivamente, i dati da satellite, il
livello del mare mostra di aver subito una risalita media complessiva (isostasia ed eustatismo)
di circa 1-1.5 mm/anno. Scendendo nel dettaglio, la media mondiale dei mareografi (centinaia
di stazioni in tutto il mondo alle quali è stata sottratta la componente isostatica) mostra, per gli
ultimi 50 anni, un valore di 1.8 mm/anno (Church et al., 2004; dati mareografici sono
scaricabili dal sito http://www.pol.ac.uk/PSMSL).
La media globale del sollevamento del livello degli oceani ottenuto dal satellite Topex
Poseidon (meno di 10 anni di registrazioni) mostra un trend di 3 mm/anno (Cazenave e
Nerem, 2004); non appare chiaro se tale incremento (rispetto alla media di 1.8 mm/anno dei
mareografi) sia dovuto ad un recente accelerazione o sia associato ad una ciclicità
decennale.
Le previsioni di quanto si alzerà il livello marino nel prossimo futuro (anno 2100) sono basate
sulle ricostruzioni paleoclimatiche, sui dati mareografici, sulle variazioni storiche della
temperatura media della Terra, sulle masse di ghiaccio potenzialmente in scioglimento e
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sull'effetto dell'espansione termica degli oceani connesse al riscaldamento globale.
Il recente rapporto dell’IPCC del 2007 (IPCC: Intergovernmental Panel on Climate Change,
organo tecnico-scientifico del WMO, World Meteorological Organization, e UNEP, United
Nations Environment Programme; ha come compiti lo studio dei cambiamenti climatici in atto,
lo sviluppo di scenari futuri, la definizione della vulnerabilità dei sistemi naturali e sociali,
nonché stabilire le strategie di adattamento e di mitigazione) mette in evidenza come la
temperatura media globale è prevista aumentare nel 2100 fra 1.1° e 6.4°C (nel rapporto del
2001 - IPCC, 2001 - questo range era compreso fra 1.4° e 5.8 °C) secondo i diversi scenari di
emissione considerati e, quindi, a seconda dei possibili modelli di sviluppo socio-economico
mondiale. Anche il livello globale del mare è previsto sollevarsi, per lo stesso periodo, tra
+0.18 e +0.59 metri (nel rapporto 2001 la previsione era compresa fra +0.09 e +0.88 metri;
fig. 12).
Fig. 12 - Le proiezioni del sollevamento del livello marino per i prossimi 100 anni riportate nei rapporti IPCC del 2001
(curve in blu) e del 2007 (box neri).
Nel Mediterraneo, la complessa fisiografia e la presenza di condizioni meteorologiche
peculiari, nonché il bilancio idrogeologico negativo (dal mare evapora più acqua di quanta ne
arriva dai fiumi) potranno contribuire a determinare un sollevamento del livello marino
compreso fra il 50% ed il 100% di quello globale (Mikis N. Tsimplis, comunicazione
personale).
Alle dinamiche sopra esposte vanno aggiunte, come evidenziato in precedenza, le
componenti locali. Il Mediterraneo è un’area tettonicamente attiva: lungo le coste italiane i
movimenti tettonici di sollevamento od abbassamento hanno tassi negativi di 1 mm/anno o
positivi fino a 2.4 mm/anno (Amorosi et al., 2004, Antonioli et al 2003, Ferranti et al., 2007).
Quad. SGI 2 (2007): 15
Antonioli F. & Silenzi S. Variazioni relative del livello del mare e vulnerabilità delle pianure costiere italiane
Data la complessità dei fenomeni climatici, geologici e tettonici che interessano le coste della
Terra, utilizzare per il Mediterraneo soltanto le proiezioni elaborate a livello globale, come, per
esempio, quelle fornite nelle relazioni dall’IPCC, per definire i futuri rischi di inondazioni
marine, è estremamente limitante. È necessario, invece, prendere in considerazione una
valutazione comprensiva delle regioni interessate che includa i dati paleoclimatici, i movimenti
idro-isostatici differenziali, quelli dovuti a subsidenza o sollevamento, e l’eventuale
accelerazione attesa per il futuro in seguito alle variazioni del clima.
In tal senso, il mareografo è uno strumento di grande utilità per la comprensione del
sollevamento relativo del mare a livello locale: tutti i movimenti verticali della costa vengono
infatti sommati in un unica registrazione (fig. 13).
Fig. 13 - Comparazione fra le registrazioni mareografiche di Palermo (record blu) e Messina (record verde); in rosso sono
indicati i valori residuali di Messina rispetto a Palermo. La registrazione di Messina evidenzia il sollevamento della costa
prima del catastrofico terremoto del 28 Dicembre del 1908, e la subsidenza cosismica e postsismica occorsa durante e dopo
l’evento.
Purtroppo lungo le coste italiane pochi sono i mareografi funzionanti da oltre 100 anni
(Genova, Trieste, Venezia); il resto della rete mareografica nazionale fornisce comunque dati
Quad. SGI 2 (2007): 16
Antonioli F. & Silenzi S. Variazioni relative del livello del mare e vulnerabilità delle pianure costiere italiane
molto interessanti permettendo la registrazione dei sollevamenti o abbassamenti verticali e,
soprattutto, del sollevamento eustatico. Per comprendere quale contributo possono fornire le
serie storiche dei più recenti mareografi alla comprensione del sollevamento del livello
marino, bisogna osservare che i cicli di carattere non eustatico nel Mediterraneo hanno
periodi decennali: per registrare i trend in corso è perciò necessario avere registrazioni di
almeno 20 anni. E' così auspicabile la fattiva implementazione della rete nazionale (come in
essere), con stazioni che ricoprano estensivamente il territorio italiano. Tali dati, infatti, non
possono essere sostituiti dalle misure satellitari che sono relative alle variazioni in mare
aperto e non costiere, con queste ultime ben più rilevanti per formulare ipostesi di
adattamento. I dati mareografici, inoltre, sono particolarmente affidabili anche in aree attive,
come comprovano le correlazioni con i dati di mobilità verticale da osservazioni geologiche
(long-term) (Antonioli et al., 2007a). Ovviamente, a sua volta, l’interpretazione delle misure
mareografiche necessita di essere comparata con i dati geologici, soprattutto quando i
movimenti verticali, come nel caso di eventi sismici, hanno periodi di ritorno superiori a quelli
di registrazione del dato strumentale.
4. Lo stato delle coste
Le ricerche di carattere interdisciplinare degli ultimi anni hanno messo in evidenza come gran
parte delle aree costiere del pianeta (quasi l’80% di tutte le spiagge esistenti) stia subendo
fenomeni di erosione. Tale fenomeno è sia connesso alla risalita del livello del mare, dovuta
allo scioglimento delle coltri glaciali, alla subsidenza, e all’espansione termica delle masse
oceaniche come conseguenza del cambiamento climatico in atto, sia all’uso sconsiderato del
territorio costiero operato dall’uomo negli ultimi lustri (distruzione dei sistemi dunali,
imbrigliamento dei fiumi, costruzione di opere aggettanti, pulizia delle spiagge e pressione
turistica eccessiva, ecc.). L’effetto antropico può così produrre sull’erosione costiera effetti
similari, se non addirittura superiori, ai movimenti del mare.
Nei prossimi decenni l’accelerazione recente del sollevamento del livello marino potrebbe
essere ancora più rilevante, con effetti devastanti sui sistemi costieri.
Come discusso, il rapporto prodotto dall’IPCC nel 2007 individua scenari dove l’innalzamento
marino del prossimo secolo, per sole cause climatiche, potrà superare il mezzo il metro
rispetto al livello attuale. Le conseguenze di questi fenomeni, tutt’altro che improbabili, sugli
ecosistemi e le popolazioni rivierasche sono facili da immaginare: se un innalzamento delle
acque di 1 solo centimetro può comportare l’arretramento della linea di riva anche di 1 metro,
il sollevamento marino previsto dal report potrebbe potenzialmente sconvolgere l’assetto
costiero di molti paesi del mondo.
Tale rischio, che può essere definito come la Perdita economica, ambientale o sociale attesa
in conseguenza della risalita relativa del livello medio del mare (una review sulle diverse
definizioni di Rischio applicabili alle coste è contenuta in Silenzi et al., 2003) è la
conseguenza dell’interazione tra la presenza di elementi antropici e fenomeni di diversa natura: al riscaldamento globale e all'eustatismo, si uniscono la subsidenza, l’alterazione dei sistemi naturali litoranei, lo smantellamento degli apparati dunari e la realizzazione di opere aggettanti quali i porti. Per comprendere la rilevanza del problema sul territorio nazionale è utile ricordare che degli oltre 7500 km di litorale italiano, il 47% è rappresentato da coste alte e/o
rocciose e il 53% da spiagge; di queste ultime il 42% circa è attualmente in erosione (tab. 1).
Molte delle coste oggi non ritenute in erosione, lo sono solo in conseguenza della realizzazione di opere di difesa che, a partire dal 1907, con la “Legge per la difesa degli abitati
Quad. SGI 2 (2007): 17
Antonioli F. & Silenzi S. Variazioni relative del livello del mare e vulnerabilità delle pianure costiere italiane
Tabella 1 - Estensione dei tratti costieri bassi e sabbiosi lungo le regioni italiane. La percentuale sullo intero territorio delle
spiagge attualmente in erosione è significativamente alta: oltre il 42%.
I dati sono tratti dal Libro sullo Stato dei Litorali Italiani (Augelli et al., 2007) edito dal GNRAC. Un attento quadro sulle
recenti tendenze evolutive dei tutti i litorali italiani può essere ricavato dall’Atlante delle Spiagge Italiane ed edito dal CNR.
L’atlante, riporta dati compilati fra il 1981 e il 1995.
Regione
Liguria
Toscana
Lazio
Campania
Calabria
Sicilia
Sardegna
Basilicata
Puglia
Molise
Abruzzo
Marche
Emilia Romagna
Veneto
Friuli-Venezia
Totale Italia
Estensione della
costa (km)
466
442
290
480
736
1623
1897
56
865
36
125
172
130
140
111
7569
Coste basse
(km)
94
199
216
224
692
1117
459
38
302
22
99
144
130
140
76
3952
Tratti in erosione
(km; %)
31 (33)
77 (39)
117 (54)
95 (42)
300 (43)
438 (39)
195 (42)
28 (74)
195 (65)
20 (91)
50 (50)
78 (54)
32 (25)
25 (18)
10 (13)
1681 (42)
dall’ erosione marina”, hanno alterato gli ambienti e le dinamiche geologiche di molti litorali.
Ad esempio la costruzione di porti lungo i litorali sabbiosi ha contribuito ad interrompere i
flussi sedimentari lungo costa, magnificando l’erosione in alcune aree e comportando
l’avanzamento di alcuni tratti di litorale a ridosso di tali strutture (fig. 14).
5. La valutazione del rischio da ingressione marina
Il protocollo di Kyoto, oltre ad individuare come fondamentale la riduzione delle emissioni di
gas serra (mitigazione del cambio climatico) suggerisce ai governi mondiali di intraprendere
delle adeguate politiche di adattamento, cioè di ridurre gli impatti attraverso la prevenzione
degli effetti negativi dei cambiamenti in atto e futuri. Sulle coste tali indicazioni si traducono
nella pianificazione del territorio in relazione al sollevamento del mare (rischi lenti, 50-100
anni) ed all’intensificarsi degli eventi estremi (rischi veloci, 5-15 anni).
Seppure il Mediterraneo non sia fra i settori più a rischio per le popolazioni, ha un’alta vulnerabilità degli ecosistemi costieri e subisce un’accelerata erosione dei litorali.
Le coste mediterranee (46000 km) e sopratutto quelle nazionali (7500 km) presentano, in
relazione al rischio di allagamento da parte del mare, alcuni fattori negativi rispetto a molte
altre aree del mondo:
1) la presenza di limitate escusioni mareali (mediamente 30-40 cm con l’unica eccezione del
nord Adriatico dove si superano i 100 cm) ha consentito un pericoloso avvicinamento alla
linea di riva del tessuto urbano e di qualsiasi attività antropica;
2) lungo le coste mediterranee è ormai chiaro che gli effetti del sollevamento eustatico sono
magnificati dai movimenti isostatici, tettonici e di subsidenza antropica; tale effetto viene
ulteriormente amplificato dalla presenza di un certo numero di aree costiere depresse, cioè
già oggi sotto il livello del mare.
Quad. SGI 2 (2007): 18
Antonioli F. & Silenzi S. Variazioni relative del livello del mare e vulnerabilità delle pianure costiere italiane
Fig. 14 - Il tratto di costa presso Terracina (Lazio meridionale) dove si può osservare l’influenza di opere aggettanti sul
trasporto solido litoraneo: netta è la differenza della profondità della spiaggia sopra e sotto corrente. Vista verso SE.
In controtendenza rispetto al sollevamento globale degli oceani, appare invece mitigante
l'attuale tasso eustatico (senza quello isostatico e/o tettonico) di risalita dei mari Italiani (circa
1.05 mm/anno Lambeck et al., 2004b): questo infatti risulta essere minore rispetto a quello
globale (1.8 mm/anno, Church et al., 2004).
Nella mappa delle aree costiere Italiane potenzialmente a rischio di fig. 15 (Antonioli e Leoni,
2007); vengono riportate in rosso le quote vicine allo zero m slm, in arancione quelle fino a
+2m, in giallo fino a +5 m. Tale mappa è basata su un DEM a 20 metri; si può osservare
2
come le zone che presentano le problematiche maggiori, cioè con molti km di superficie
intorno a quota zero, si trovano soprattutto nel Nord Adriatico. Sono comunque molti i settori
nazionali che mostrano aree con coste basse già oggi a rischio di essere allagate nei
2
prossimi 100 anni sulle coste Tirreniche e Ioniche: in totale circa 4500 km .
I valori minimi di innalzamento eustatico (riscaldamento superficiale e scioglimento dei
ghiacci) ipotizzati in questa mappa per la fine del 21° secolo, e pari a + 0.22 m, provengono
dal report UE "Impact assesment" pubblicato il 10 gennaio 2007. Le cifre sono arrotondate al
secondo decimale. I movimenti attuali (espressi in mm/anno) sono dati dalla somma dei valori
isostatici (Lambeck et al., 2004a), più quelli tettonici (Ferranti et al., 2006) e quelli eustatici
per l'Italia (Lambeck et al., 2004b; pari a 1.02 mm/anno). Per l’area del Po e Venezia è stato
inserito un valore medio. A questi numeri vanno aggiunti quelli di costipazione del suolo per
emungimento di acqua e gas.
Le valutazioni ed i numeri che scaturiscono dalla Mappa delle aree costiere a rischio sono da
considerarsi come fase preliminare di uno studio che dovrà essere ben più dettagliato, ma
sono utili ad evidenziare come Amministrazioni Regionali o Provinciali, prima di prendere in
considerazione eventuali ipotesi di adattamento, debbano effettuare indagini di dettaglio nonQuad. SGI 2 (2007): 19
Antonioli F. & Silenzi S. Variazioni relative del livello del mare e vulnerabilità delle pianure costiere italiane
ché valutazioni sul comportamento naturale delle coste al variare del livello del mare: questa
risposta può essere molto diversa a seconda delle caratteristiche fisiche locali come l’ampiezza delle spiagge, la portata solida dei fiumi, la presenza o meno di dune costiere, la presenza ed il verso di correnti marine, la presenza di opere di difesa, gli impatti antropici, ecc.
Fig. 15 - Mappa delle aree a rischio lungo le coste italiane (da Antonioli & Leoni, 2007). I centimetri di sollevamento relativo del mare attesi per il 2100 sono stati calcolati considerando i valori minimi IPCC di sollevamento eustatico e sommandoli con quelli tettonici e isostatici calcolati per le aree in oggetto.
Quad. SGI 2 (2007): 20
Antonioli F. & Silenzi S. Variazioni relative del livello del mare e vulnerabilità delle pianure costiere italiane
Come evidenziato ne Lo stato dei litorali italiani (Aucelli et al., 2006), edito nel 2006 per i tipi
di Studi Costieri dal Gruppo Nazionale per le Ricerche sull’Ambiente Costiero, molte delle
oltre 30 pianure costiere italiane rappresentano aree ad elevato valore naturalistico e
paesaggistico, e sono sedi di attività produttive di rilevanza nazionale. L’incremento atteso
della frequenza e dell’intensità dei fenomeni estremi (alluvioni, mareggiate, ecc.) e
l’accelerazione della risalita del livello marino e dei fenomeni erosivi comporteranno perdite di
territorio, di infrastrutture e di beni economici.
Nelle metodologie volte alla gestione di aree esposte a rischio ambientale esistono numerosi
approcci metodologici; in tal senso sempre più di frequente vengono utilizzati metodi
multidisciplinari che consentono l’integrazione di dati scaturiti dall’analisi storica ed attuale
dello stato del territorio, con l’individuazione e la quantificazione della frequenza,
dell’intensità, della distribuzione spaziale e temporale degli eventi naturali potenzialmente
distruttivi. Contemporaneamente, vengono prese in considerazione le interferenze e le
sinergie tra questi parametri e le attività dell’uomo.
Nel tentativo di valutare la vulnerabilità di un litorale, le scienze geologiche hanno un ruolo
fondamentale sia per l’analisi della geomorfologia e delle caratteristiche sedimentologiche dei
litorali, sia per lo studio dei processi evolutivi che, nel corso del tempo, hanno strutturato
morfologicamente e stratigraficamente gli attuali assetti.
Alcuni degli approcci metodologici per la valutazione della vulnerabilità costiera per gli scenari
del 2100 hanno interessato, negli ultimi anni, i settori costieri della Toscana settentrionale
(Mar Ligure; Silenzi et al., 2002 e 2003; Nisi et al., 2003b), della pianura Pontina (Lazio, Mar
Tirreno; Parlagreco et al., 2007a; fig. 16) e dell’area della foce del fiume Sangro (Abruzzo,
Mar Adriatico; Parlagreco et al., 2006 e 2007b).
Più correlati ai rischi veloci, a titolo esemplificativo di una moltitudine di studi realizzati ed in
corso vi sono studi effettuati in Veneto (Fontolan et al., 2001), Emilia Romagna (Simeoni et
al., 2003a), Abruzzo (Progetto SICORA), Sicilia e Campania (Progetto Interreg IIIc
MESSINA).
Nel settore adriatico, studi effettuati lungo la fascia costiera emiliano-romagnola hanno
evidenziato come la componente subsidenziale antropogenica magnificherà il computo del
sollevamento relativo del livello marino, comportando un effetto sull’arretramento della linea di
riva: rispetto al 15% di territorio che si trovava sotto il livello del mare già alla fine degli anni
’80, nel 2020 le aree depresse potrebbero raggiungere il 48% dell’intera fascia costiera
(Simeoni et al., 2003b).
Attualmente questi approcci metodologici sono in corso di applicazione in siti pilota
nell’ambito del progetto italiano FISR VECTOR (Vulnerabilità delle Coste e degli ecosistemi
marini italiani ai cambiamenti climatici e loro ruolo nei cicli del carbonio mediterraneo; il
progetto interessa la Laguna di Grado e Marano in Friuli, i Fiumi Torbido, Amusa, Allaro e
Precariti in Calabria, il Fiume Sele in Campania, il Fiume Ombrone in Toscana) e nell’abito
del progetto europeo Interreg IIIc Beachmed-e MedPlan (Lazio meridionale e Emilia
Romagna). Nel progetto Vector, in particolare, verranno carotati sondaggi con l’obiettivo di
raggiungere il livello cosiddetto Tirreniano per calcolare con precisione i tassi dei movimenti
verticali.
Quad. SGI 2 (2007): 21
Antonioli F. & Silenzi S. Variazioni relative del livello del mare e vulnerabilità delle pianure costiere italiane
Fig. 16 - Esempio di elaborazione per la valutazione della vulnerabilità costiera: nella carta, in relazione a diversi scenari di
previsione del sollevamento del livello marino attesi per il 2100, sono state perimetrate, con colori diversi, le zone che
potrebbero venire a trovarsi sotto la quota 0 m (da Parlagreco et al., 2007).
La rappresentazione cartografica investiga la pianura costiera fra il Promontorio del Circeo e Terracina visibile nella figura
14. In quest’area le opere di emungimento idraulico per la bonifica dei terreni paludosi hanno portato alla costipazione dei
depositi costieri recenti, amplificando i futuri effetti del sollevamento marino.
6. Considerazioni conclusive
La comunità scientifica internazionale è ormai unanimemente d’accordo nel considerare il
cambiamento climatico del pianeta non solo in atto, ma come principalmente connesso
all’alterazione degli equilibri naturali da parte dell’uomo. Tale riscaldamento avrà
conseguenze anche sul mare, aumentandone il livello e la frequenza degli eventi estremi.
Ciò, molto verosimilmente, potrà provocare l’accelerazione dei processi erosivi e notevoli
danni, in termini economici e di qualità della vita, alle popolazioni rivierasche.
La peculiare conformazione geografica rende l’Italia, con oltre 7500 km di coste e numerose
pianure costiere, particolarmente vulnerabile ai cambiamenti globali. Come suggerito dal
Protocollo di Kyoto, è comunque possibile adattare il territorio al clima del futuro. In ambito
costiero ciò potrà trarre vantaggio da una pianificazione territoriale in grado di tener conto dei
diversi gradi di rischio.
Le Scienze della Terra forniranno un contributo fondamentale per la valutazione di quelle
Quad. SGI 2 (2007): 22
Antonioli F. & Silenzi S. Variazioni relative del livello del mare e vulnerabilità delle pianure costiere italiane
componenti che devono essere considerate per determinare con realistica approssimazione i
possibili scenari di sollevamento del mare in una località, ovvero: eustatismo, espansione
termica, distribuzione delle masse d'acqua, movimenti verticali, glacio-idro-isostasia,
subsidenza (geologica ed antropica).
Anche se appare curioso, le conoscenze dei movimenti relativi dei mari Italiani dovute a
cause isostatiche e tettoniche sono abbastanza note, i motivi della discrepanza tra Oceani e
Mare Mediterraneo, ma soprattutto l’eventuale accelerazione della risalita del mare in
quest’ultimo vanno invece studiate con un dettaglio tale da poter modellare gli eventi attesi
nel prossimo secolo. Nel frattempo, però, sulla base della situazione topografica di numerose
aree costiere italiane, è indispensabile iniziare a programmare strategie di adattamento locali
al 2100. In tal senso l’Italia si trova molto indietro rispetto ad altri Paesi.
Infatti, fra le ipotesi ad oggi più accreditate per l’adattamento al livello del mare del futuro per
le coste italiane, vi sono i ripascimenti delle spiagge. Questi interventi, che hanno un carattere
d’efficacia temporale limitato non “risolvendo” il problema erosione, devono essere
affiancati da una corretta gestione e programmazione del territorio. Per esempio le opere
ingegneristiche sulla costa devono essere pensate, o riadattate, considerando che la linea di
riva, e quindi il livello del mare, si muovono e si muoveranno nel futuro con modalità diverse
da luogo a luogo.
Inoltre, molte delle strutture esistenti sono state realizzate quando l’evidenza del cambio
climatico non era ancora stata considerata: molte di esse, fra pochi anni, non risponderanno
più alle esigenze per cui sono state costruite.
La capacità delle Istituzioni di far proprie con sollecitudine le informazioni e le previsioni
scaturite dal mondo della ricerca attiva nel campo degli studi costieri, sarà fondamentale per
adattare per tempo il territorio, passando dall’ambito dell’emergenza a quello della
prevenzione e minimizzando, quindi, gli impatti sulle attività produttive, sui beni e sul
paesaggio.
Quad. SGI 2 (2007): 23
Antonioli F. & Silenzi S. Variazioni relative del livello del mare e vulnerabilità delle pianure costiere italiane
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