Fabrizio De André – Sito Ufficiale

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Fabrizio De André – Sito Ufficiale
BOLERO TELETUTTO – 20 GENNAIO 1974
Fabrizio De André
un timido che parla a milioni di persone
Lo accusano di essere un individuo scorbutico che disprezza il pubblico. Non è così: De
André è affetto da eccezionale timidezza e il suo colloquio con la gente riesce ad
averlo soltanto attraverso le sue canzoni.
Parlare di Fabrizio De André in Italia e come parlare di Georges Brassens in Francia o
di Bob Dylan in America. Un fenomeno musicale che ha radici ben profonde in quel
mondo di cantautori che negli anni '60 iniziavano i primi passi. Ne sono rimasti pochi
della vecchia leva e Fabrizio De André rimane tuttora tra i più seguiti e apprezzati.
Personaggio strano e difficile, De André ha introdotto nel mondo della musica leggera
un nuovo modo di esporre, in musica e in parole, i lati e la realtà della vita. Ha elevato
cioè le parole della cosiddetta «canzonetta» al rango di racconto-poesia, un filone
antichissimo che ha rinnovato e che è oggi sfruttato da molti cantautori.
Fabrizio ha scritto molte canzoni che di anno in anno hanno consolidato sempre più il
suo successo; La Ballala del Michè, La Guerra di Piero, Bocca di rosa, Via del campo,
La leggenda di Natale, il pescatore e la conosciutissima Canzone di Marinella che,
grazie anche alla splendida interpretazione di Mina, è stata un vero successo.
Una chiacchierata con Fabrizio De André non è un'impresa facile; un giorno è a Milano,
un giorno è a Roma e cosi via senza sosta. Oltre a questo ci si mette anche il suo
carattere decisamente chiuso, schivo verso qualsiasi forma di pubblicità. Perciò, mi
sono armato di molta pazienza e finalmente dopo vari tentativi senza esito, l'ho
sorpreso in una sala d'incisione milanese dove sta registrando alcuni provini per il suo
prossimo disco. Approfitto della pausa di lavoro e notando la sua distensione...
momentanea lo trascino nella conversazione.
Fabrizio, molti dicono che sei il cantante più discusso, più scontroso, più
introverso e forse il più odiato nel mondo della musica leggera. Cosa ne
pensi?
«Per quanto mi conosco e dalle amicizie che ho, anche nello stesso ambiente di lavoro,
dove le gelosie sono di facile presa, rifiuto questi giudizi così poco veri. Purtroppo alle
volte la mia timidezza viene fraintesa come un atteggiamento di antipatico distacco, il
che non è vero. Che io sia discusso come autore lo considero un fatto decisamente
positivo, uno stimolo continuo a migliorarmi, naturalmente entro i limiti del possibile.»
Pur ammirando la tua produzione dicono però che sia ispirata in senso
letterario ai famosi cantautori francesi tipo Brel e Brassens.
«Tutti noi credo abbiamo delle origini e radici culturali dalle quali difficilmente
riusciamo a staccarci per tare di noi delle persone completamente autonome. All'inizio
l'ispirazione mi è venuta forse dagli autori che hai citato. Poi ho preso la mia strada e
ora penso che ciò che dico sia esclusivamente mio.»
Della vecchia leva dei cantautori alla quale appartieni, tutti hanno lasciato
Genova, patria di questo filone musicale. Da Lauzi a Bindi, da Paoli a Paolo
Villaggio. Ognuno in cerca di brillanti affermazioni. Perché tu al contrario sei
rimasto fedele alla tua città?
«Non parliamo di fedeltà; diciamo più semplicemente che sono attaccato a certe
abitudini.»
Però proprio per il tuo lavoro sei obbligato a viaggiare spesso e quindi la tua
famiglia rimane sola; non è un comportamento egoistico?
«Direi di no, perché dovunque io piazzassi le tende, finirei per lasciare la famiglia sola
dato che il mio tempo lo devo dividere tra Roma e Milano. Non è comunque un
problema questo, perché i genovesi da tempo immemorabile sono dei viaggiatori e le
loro famiglie abituate ad aspettarne il ritorno.»
E tuo figlio? Non lo porti mai con te?
«Vorrei poterlo fare, ma ti immagini che allegria sarebbe per lui assistere per ore e ore
a suo padre impegnato in sala d'incisione? L'ho fatto una volta, perché
improvvisamente gli era venuto il desiderio di conoscere il Duomo di Milano. Gliel'ho
fatto vedere proprio tutto, guglia per guglia, si e divertito un mondo. A lui riservo il
sabato e la domenica, ma purtroppo mi accorgo che non sempre io riesco a
interessarlo. Sono tutt'altro che un cattivo padre, gli voglio un gran bene, ma non mi
riesce sempre di adeguarmi ai suoi meravigliosi undici anni.»
S'interessa alla tua vita artistica?
«Malgrado l'età è un ragazzo con i piedi ben piantati a terra. Fino a poco tempo fa era
pericolosamente orgoglioso di avere un padre celebre; ora è perfettamente convinto
che il mio è un mestiere normale, non peggiore e non migliore di tanti altri.»
Ma in famiglia come sei veramente?
«Fattelo dire da mia moglie e da mio figlio. Io, come tutti, sarei prodigo di
giustificazioni. È chiaro comunque che come padre e come marito non manco di
difetti.»
Ti piace mangiar bene?
Sorridendo risponde: «È sempre meglio che mangiar male, non ti pare?»
So che non vuoi che si dica che ti sei fatto una casetta in Sardegna dove
spesso vai a rifugiarti...
«Oramai l'hai detto e tanto vale che ne parliamo. La Sardegna rappresenta per me il
ritorno a una vita di libertà, soprattutto fisica, la stessa che facevo da bambino in
campagna durante lo sfollamento per la guerra; è un richiamo costante dovuto a un
forte residuo di sensazioni infantili, quasi un ritorno alle origini insomma.»
Il ruolo del "professore" non gli va a genio
Si dice che bevi molto, Fabrizio. È vero?
«È vero, credo di bere molto di più di una persona che beva normalmente. Per me è
uno stimolante, una forza che mi aiuta a lavorare e a pensare meglio. Alle volte,
invece, mi aiuta addirittura a non pensare. Ma tu che mi domandi perché bevo, tu ci
hai mai provato?»
Sorvolo e proseguo con le domande.
Per quanto riguarda il lavoro è cambiato qualcosa tra il tuo primo LP e il tuo
nuovo disco "Storia di un impiegato"?
«Un cambio totale. Se prima mi ispiravo alla letteratura, con Storia di un impiegato ho
inteso rivelare esattamente il mio pensiero, il mio modo di sentire le cose. Un
chiarimento per tutti, anche per i critici.»
Molti dicono che tutto quello che produci non sia completamente farina del
tuo sacco, è vero?
«Tu credi che i grandi autori che sono all'estero e che hai citato lavorino da soli? Tutti
lavoriamo in "équipe" e io mi avvalgo di ottimi collaboratori come Giuseppe Bentivoglio
e Nicola Piovani. Con tutto il rispetto e le dovute proporzioni, vorrei ricordarti che
anche Gesù Cristo aveva dei collaboratori: addirittura dodici!»
E dei tuoi concorrenti più diretti, vedi Guccini, La Neve, De Gregori,
Vecchioni, ti ritieni un po' maestro?
«Li considero soltanto uomini che fanno il mio stesso mestiere. Non mi reputo il
maestro di nessuno, io!»
Il contenuto e gli stessi versi dei tuoi testi, soprattutto quelli del tuo ultimo
disco, ti sembrano comprensibili a tutti?
«Da quanto ho avuto occasione di leggere nelle lettere inviatemi da studenti e operai,
ad esempio, direi che chi ha voluto capire il discorso lo ha capito perfettamente.»
Puoi comunque spiegare in quattro parole il contenuto di questo testo?
«E’ la simbolica storia di un impiegato che ascoltando una canzone francese ispirata ai
drammatici giorni della contestazione studentesca a Parigi, nel maggio '68, decide di
opporsi al sistema che l'ha ridotto simile a un robot, preparando con le sue stesse
mani una bomba che dovrà lanciare durante un trattenimento. Naturalmente sbaglia,
la bomba va a scoppiare in tutt'altro posto. Arrestato e chiuso in cella ripensa a
quanto ha fatto, convenendo alla fine che il suo gesto era a priori sciocco e inutile,
perché non è certo il gesto isolato che può modificare le cose nel mondo.»
E vero che sei pieno di complessi?
«Te ne potrei regalare parecchi.»
Fabrizio, tu regolarmente rifiuti il pubblico di massa: no alla televisione, no
alle manifestazioni. Perché assumi questo atteggiamento verso la gente che
in fondo compera i tuoi dischi?
«Non faccio spettacoli perché non sono un uomo da spettacolo, perché non considero
Io spettacolo un mestiere adatto a me ed io desidero innanzitutto non vergognarmi
mai di quello che faccio. E poi credo che piacere o non piacere al pubblico non sia una
questione di muscoli facciali. Per quanto riguarda i miei dischi, essi vengono immessi
sul mercato come i formaggini, con la differenza che i formaggini non è che prima li
assaggi e poi, se ti piacciono, li comperi; i miei dischi invece uno li può ascoltare
liberamente e poi decidere se è il caso di portarseli a casa o meno.»
Improvvisamente nella sala si sente la voce dell'altoparlante: è il richiamo dell'
arrangiatore Gian Piero Reverberi per De André che viene invitato ad accomodarsi in
sala di registrazione. Dopo pochi attimi il De André “ufficiale”, il De André che
affascina, polemico e signorile come sempre, è davanti alla macchina che registra. Lo
saluto, dalla cabina di regia, ma non mi vede.
Si è ormai isolato con la sua musica, tra i suoi mille pensieri.
Damilo Maggi