Lo “sviluppo sostenibile” come strumento di management

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Lo “sviluppo sostenibile” come strumento di management
MANAGEMENT & SOSTENIBILITA’
Ivan Ciceri,
Paolo Terni
(*) P. Terni, consulente Festo,
si occupa di dinamica dei
sistemi, complessità,
comportamenti organizzativi e
strumenti di gestione e governo
aziendale. In particolare,
sul tema “sostenibilità”,
ha sviluppato un percorso
di formazione al ruolo di
eco/ mobility manager”.
([email protected])
I. Ciceri, consulente free lance
si occupa di sviluppo
sostenibile, dinamica dei
sistemi e strategie di
innovazione per le aziende
([email protected]).
(1) Errore di cui iniziamo
a renderci conto nel momento
in cui la qualità dell’aria
impone alle autorità di
prendere provvedimenti
restrittivi nei confronti della
mobilità dei singoli cittadini
e delle merci, con un notevole
impatto sulla operatività
della movimentazione.
Lo “sviluppo sostenibile” come
strumento di management
In questo articolo esploreremo
l’applicazione della “sostenibilità”
alle pratiche di gestione aziendale.
Cosa c’è di interessante nel concetto
di “sviluppo sostenibile” per le aziende?
Cosa differenzia lo “sviluppo sostenibile”
dalle altre strategie di management
consolidate? Lo sviluppo sostenibile è
in grado di offrire ritorni in termini di
profitto, vantaggio competitivo, valore
per gli azionisti o in qualche altra forma
tangibile? Cercheremo di dare una
risposta a queste domande.
In primo luogo, è bene intendersi sui termini.
Parole come “sostenibile” sono spesso usate a sproposito e caricate di significati impropri.
Per approccio sostenibile si intende un modello di
sviluppo che rimedi all’errore logico della teoria capitalistica: infatti, quest’ultima assegna “valore” ai
vari stadi del processo di lavorazione industriale e
della vendita dei beni, dimenticandosi però di farlo per il primo input nella catena di trasformazione:
le risorse naturali(1).
Considerandole come un bene “gratuito” e disponibile per tutti, questo modo di pensare ha
di fatto introdotto tutta una serie di costi ambientali, sociali, e gestionali che solo ora, a causa del “ritardo” nel loop sistemico delle conse-
guenze, ci troviamo a pagare.
Una strategia che abbia come presupposto una assegnazione di valore critico all’utilizzo ottimale delle risorse naturali automaticamente consente, a chi
la adopera, di collocarsi con un atteggiamento realistico e proattivo in una situazione economica di
scarsità / criticità delle risorse.
Non è un caso che il Dow Jones Sustainability Group
Index, che censisce il portfolio delle aziende che si
ispirano a questi principi, nel periodo 1995-2000 abbia avuto una crescita del 36,1%, meglio del Dow
Jones Global Index.
Passando al concreto della realtà aziendale, applicare una strategia di “sviluppo sostenibile” vuol dire creare nuove fonti di valore partendo da un migliore utilizzo delle risorse naturali.
Questo è possibile farlo:
1 - migliorando la produttività delle risorse naturali
2 - ridisegnando i processi produttivi ispirandosi a
modelli biologici
3 - cambiando i modelli di business
4 - reinvestendo nel “capitale naturale”.
Questi interventi si traducono in valore aggiunto per
l’azienda nelle seguenti aree:
❑ creazione di nuove opportunità
❑ controllo dei costi
❑ preferenza del consumatore
❑ riduzione dei rischi.
Vediamo quindi di fare alcune considerazioni, punto per punto.
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MANAGEMENT & SOSTENIBILITA’
1 - Migliorare la produttività
delle risorse naturali
L’obiettivo è quello di eliminare gli sprechi di energia, acqua, materie prime e di tutti gli altri input del
processo industriale.
Possiamo individuare due strategie fondamentali per
raggiungere quest’obiettivo:
1 - “Whole-System Design” (“Progettazione Sistema
Integrato”): adottare un approccio che consideri i sistemi industriali nel loro complesso piuttosto che come un insiemi di parti;
2 - utilizzo sistematico di tecnologie innovative: rimpiazzare le vecchie tecnologie industriali con nuove
tecnologie basate su processi e materiali naturali.
Whole-System Design e Lean Manufacturing
“Persone che sembrano aver avuto nuove idee spesso hanno semplicemente smesso di avere vecchie
idee”.
La “vecchia” idea sostiene che realizzare un risparmio nell’utilizzo delle risorse e ridurre emissioni e
sprechi sia eccessivamente costoso. Del resto, venti anni fa si pensava che migliorare la qualità fosse costoso; dieci anni fa si pensava lo stesso sull’applicazione delle misure di sicurezza.
La “nuova” idea sostiene invece che risparmiare risorse sia economicamente vantaggioso.
L’antidoto universale alle pratiche di spreco (tempi
morti, prodotti difettosi e magazzino) e all’utilizzo non
ottimale delle risorse è rappresentato dal lean thinking.
Il lean thinking è un metodo che “aggredisce” il problema da quattro angolazioni diverse: creare un flusso continuo (1) di valore , così come è definito dal cliente (2), secondo la quantità e i tempi (3) richiesti dal
cliente, alla ricerca costante della perfezione (4), che
altro non è che l’eliminazione dello spreco (di risorse e di energie).
Tutti e quattro gli elementi sono essenziali al lean
thinking.
Per esempio, se un organizzazione adotta tecniche
lean e quindi il flusso di beni scorre più veloce, ma i
beni prodotti non sono richiesti dal mercato, il risultato è ancora una situazione di spreco.
Ogni risultato ottenuto su uno dei quattro fronti del
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IL CASO FESTO
L’approccio Festo alla Lean Production, realizzata con successo nello stabilimento Festo di
Rohrbach, segue i 5 passaggi delineati da Womack e Jones nel loro libro Lean Thinking: Banish
Waste and create Wealth in Your Corporation.
1 - Definire precisamente il valore partendo dalla prospettiva del consumatore finale in termini di uno specifico prodotto con specifiche caratteristiche offerto in un preciso momento
ad un certo prezzo. Nella catena del valore ciascuna entità coinvolta (società diverse o dipartimenti diversi di una stessa società) deve essere in grado di definire il valore che la riguarda dato dal proprio appartenere alla catena del valore stesso (profitto, carriere, utilizzo di sistemi produttivi esistenti). Non sempre invece ciascuna di queste entità è in grado
di definire il valore da essa prodotto per il consumatore finale.
2 - Identificare l’intero flusso di valore per ciascun prodotto ed eliminare lo “spreco”.
Il flusso di valore è dato da tutte le azioni specifiche necessarie per portare uno specifico
prodotto attraverso tre fasi: definizione del prodotto; information management; trasformazione
fisica. Identificare il flusso del valore spesso significa scoprire molte situazioni di spreco, quali passaggi non necessari o passaggi all’indietro.
3 - Realizzare i restanti passaggi necessari per la creazione di valore. Realizzare i passaggi
di flusso di valore significa lavorare su ciascun progetto, ordine e prodotto in modo continuo dall’inizio alla fine in modo tale che non ci siano attese, sprechi di tempo o scarti. Ciò
di solito richiede l’introduzione di nuove metodologie di organizzazione e di tecnologia e l’eliminazione di macchinari monumentali la cui grande scala richiede un un’operatività in modalità batch/push .
4 - Progettare e fornire ciò che il cliente vuole solo quando il cliente lo vuole. Lasciare che
sia il consumatore finale a “tirare” la produzione.
5 - Cercare la perfezione. Non c’è fine al processo di miglioramento e nella tensione di offrire un prodotto che tenda a coincidere con ciò che il consumatore effettivamente vuole. Si
tratta di un circolo virtuoso: una definizione più precisa di valore mette alla prova i passaggi nel flusso di valore e rivela lo spreco e dare valore al flusso consente sempre di manifestare le forme di spreco nascoste.
“lean thinking” rinforza il lavoro sugli altri, proprio perché si tratta di un intervento sistemico per eccellenza,
dove tutte le variabili sono interrelate fra loro: facendo
scorrere il flusso più velocemente si palesa lo “spreco” all’interno del flusso di valore. E più forte si “tira”e più gli impedimenti al flusso si rivelano e possono
quindi essere rimossi.
Squadre dedicate ad ogni prodotto in dialogo diretto con i clienti, come avviene per lo stabilimento Festo
di Rohrbach, in Germania, trovano sempre il modo
di specificare il valore più accuratamente. Dire che
il flusso è “tirato (pull)” continuamente dal cliente si-
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IL CASO INTERFACE
Applicando l’approccio whole-system si può ottenere anche di più, come è dimostrato dal seguente esempio. Interface
Corporation è una multinazionale che produce moquette. Nel nuovo impianto di Shanghai un liquido doveva circolare
attraverso un circuito standard di pompaggio simile a quello usato in quasi tutte le altre industrie del gruppo. Una rinomata società di ingegneria ha disegnato il progetto che richiedeva un totale di 95 cavalli di potenza. Ma prima che la
costruzione incominciasse, un ingegnere di Interface si accorse che due semplicissime modifiche avrebbero ridotto la
potenza richiesta a soli 7 cavalli, quindi con una riduzione di energia richiesta del 92 %. Il nuovo progetto costava meno da costruire, non richiedeva nuova tecnologia e funzionava meglio. Come è possibile che due modifiche di progettazione ottengano un risparmio di 12 volte nella potenza richiesta? In primo luogo, si sono scelti tubi di diametro maggiore che creano molto meno attrito rispetto a tubi più stretti e quindi richiedono meno energia di pompaggio. Il progettista originale aveva scelto dei tubi più stretti perché il costo maggiore di tubi più grossi non sarebbe stato giustificato dall’energia di pompaggio risparmiata. Ma l’ingegnere di Interface ottimizzava l’intero sistema considerando non
solo il costo più alto dei tubi più grossi ma anche il costo più basso del sistema di pompaggio necessario. Le pompe, i
motori, i controlli dei motori e le componenti elettriche potevano infatti essere molto più piccole dal momento che non
vi era meno attrito: il costo globale diminuiva. Quindi scegliere tubi grandi e pompe piccole piuttosto che tubi piccoli e
pompe grandi costava comunque meno anche senza contare i futuri risparmi energetici.
La seconda miglioria consisteva nel ridurre ancora di più l’attrito usando tubi corti e dritti invece che tubi lunghi e curvi. Questo è possibile stendendo prima i tubi e poi posizionando le varie cisterne, bollitori e tutto l’equipaggiamento
che va collegato. I progettisti normalmente prima piazzano in modo arbitrario l’equipaggiamento produttivo e poi collegano il tutto con i tubi. Ma la dislocazione casuale obbliga i tubi a fare numerose curve che aumentano di molto l’attrito. Coloro i quali stendono i tubi non se ne preoccupano dal momento che sono pagati ad ore e più il lavoro è contorto e complesso più guadagnano. Inoltre i tubi diritti sono più facili da isolare e si isolano meglio evitando la dispersione di calore.
Questo piccolo esempio ha grandi implicazioni per due motivi. In primo luogo il pompaggio è la principale applicazione dei
motori e i motori usano di solito tre quarti di tutta l’energia di un’industria. Inoltre i circuiti di pompaggio di Interface mostrano come dei piccoli cambiamenti nella mentalità di progettazione possono condurre a grandi risparmi di risorse.
Il modo di pensare whole-system può aiutare i manager a trovare i piccoli cambiamenti che permettono grandi risparmi e questi cambiamenti costano poco, sono gratis o addirittura meglio che gratis perché rendono l’intero sistema più
economico da costruire.
gnifica che niente viene prodotto a monte se a valle
qualcuno non lo richiede. È l’opposto dell’approccio
“push” seguendo il quale si produce grandi quantità
di beni in anticipo basandosi sulle previsioni di domanda. Cosa sempre più difficile da fare in un mercato sempre più interconnesso e quindi imprevedibile.
Il vecchio sistema è talmente incorporato nelle organizzazioni che per applicare la lean manufacturing
è necessaria una completa destrutturazione e riorganizzazione del proprio approccio (anche mentale)
alle logiche produttive.
Tecnologie innovative
Già oggi sono disponibili a buon prezzo parecchie tecnologie innovative che consentono di realizzare processi industriali in modo più efficiente e con un minimo impatto ambientale.
Le barriere alla realizzazione di processi “lean” a questo punto sono più di natura culturale che economica
o tecnica.
Prendiamo ad esempio quella che è stata il paradigma dell’industrializzazione, l’industria automobilistica: il prodotto medio di tale industria non è di certo efficiente!
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MANAGEMENT & SOSTENIBILITA’
Solo l’1% dell’energia consumata dall’automobile è
usata per muovere colui che guida l’auto - che poi
sarebbe la ragione d’essere del veicolo; infatti, in
media, solo il 15 - 20% dell’energia generata dalla
combustione di carburante nel motore raggiunge
le ruote per la trazione (il resto si perde nel motore stesso e nella trasmissione); di questo 15-20%,
poi, solo una piccola parte serve per “muovere” il
guidatore (intorno al 5%); il resto serve per muovere la massa dell’automobile…. un vero spreco, insomma!
Già da un paio d’anni il Rocky Mountain Institute
ha sperimentato la fattibilità della Hypercar, un auto che integra le migliori tecnologie esistenti e che
arriva a ridurre i consumi fino all’85% e la quantità
di materiale usato per produrre le auto fino al 90%!
2 - Ridisegnare i processi produttivi
ispirandosi a modelli biologici
(Closed-loop Manufacturing)
Il closed-loop manufacturing è un metodo per creare nuovi prodotti e processi senza sprechi. Il concetto principale che anima questo approccio è che
lo “spreco”/“prodotto di scarto” di un processo industriale può essere materia prima di un altro processo industriale.
Adottando tale metodo, ogni output o torna nell’ecosistema come fonte di “cibo” per altri processi naturali/organici, oppure viene inserito in un altro ciclo produttivo.
Infatti, se è vero che l’efficienza a livello di singola
azienda può generare considerevole valore, ancor
maggiore è la potenzialità se la logica viene applicata a più aziende che collaborano tra loro (a questo proposito si pensi all’opportunità offerta dal sistema dei distretti industriali italiani). Gli scarti di
un’azienda possono diventare input per un’altra. Un
management integrato di scarti e risorse può tagliare i costi di trasporto, i costi ambientali ed i costi connessi con gli sprechi.
La closed-loop manufacturing non è una semplice teoria. In alcuni Paesi sono già state prese iniziative per
incoraggiare le aziende a pensare in questi termi38 - Sistemi & Impresa N.3 - Aprile 2002
ni. In Germania, ad esempio, molte aziende sono per
legge responsabili dei loro prodotti, anche quando
sono diventati “rifiuti”.
Per l’Italia si pensi alle strategie recentemente adottate da Merloni.
Tornando alla dimensione aziendale: Interface,
azienda che si occupa di rivestimenti interni, utilizza
un nuovo materiale di propria invenzione per la pavimentazione, il Solenium, il quale può essere completamente riciclato in un nuovo prodotto identico. La strategia verde di Interface non solo ha guadagnato il plauso degli ambientalisti, ma si è anche
rivelata una strategia remunerativa. Dal 1993 al 1998,
le entrate sono più che raddoppiate, i profitti sono
più che triplicati e il numero di dipendenti è aumentato del 73%.
La Collins Pine Companies, che basa le sue attività
sulla lavorazione del legno, ha ridotto di 8 milioni
di litri il consumo annuale d’acqua semplicemente recuperando la condensa dalle proprie caldaie
industriali, con un semplice sistema di tubazioni che
ha consentito un risparmio di 25.000 US$ per anno(2).
3 - Cambiare i modelli di business
(Solutions-based Business Models)
Non basta cambiare modo di produrre: per sfruttare appieno le opportunità offerte da un approccio sostenibile, occorre anche avere un modello di
business che articoli queste possibilità e capitalizzi
su di esse.
La stessa Interface di cui abbiamo parlato poco sopra, ha costruito il proprio modello di business partendo da una semplice considerazione: i clienti vogliono camminare sulla moquette, vogliono vedere la moquette in casa, ma non necessariamente
possederla. Considerando poi che la pavimentazione va cambiata ogni 10 anni per via dell’usura e
semplicemente inviata in discarica, Interface ha deciso di interrompere questo ciclo improduttivo trasformandosi da una società che vende e installa moquette ad una società che fornisce servizi di pavimentazione. Con il programma Evergreen Lease,
(2) “The Natural Step”
newsletter, autunno 1999
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IL CASO IKEA
Dopo una rapida espansione, negli anni ‘80 la crescita dell’IKEA si arrestò quando toccò un “muro”, una “barriera” che
non era stata prevista in quanto nessun sistema di bilancio o di forecasting aveva voci per incasellare il fenomeno. Questo
“limite” era rappresentato da una serie di domande che i clienti iniziarono a fare; domande tipo: “le lampade alogene
causano il cancro?”: oppure: “le vostre librerie sono fatte con legno proveniente da foreste tropicali?”; “quali materiali usate per lucidare i vostri mobili?”. Queste domande rappresentavano una maggiore consapevolezza dei consumatori sulle tematiche ambientali - e non avere risposte sufficientemente buone era un costo.
Si è calcolato, ad esempio, che solo il caso, emerso in una serie di documentari TV, dell’elevata tossicità dei materiali
utilizzati per rendere lucido il legno dei mobili Ikea abbia portato ad un costo per l’azienda di più di 10 milioni di dollari in mancate vendite.
Contemporaneamente, sotto lo scrutinio costante dei media e dei legislatori, emersero altri problemi: la quantità di formaldeide impiegata nei prodotti Ikea risultò superiore a quanto ammesso dalla legge danese, con conseguente denuncia,
cattiva immagine, ed un calo di vendite del 20%.
A questo si aggiunsero le critiche e le campagne stampa dove l’Ikea si trovò sotto accusa, via via, per lo spreco di materiali di imballaggio, per l’uso eccessivo di plastiche PVC, e per la maniera non ecologica con cui venivano prodotti i cataloghi.
Si trattava di tutta una serie di problemi nuovi che non coinvolgevano solo aspetti tecnici, ma anche legali e di immagine presso i consumatori; l’unica cosa certa, però, era che questi problemi avevano un effetto concreto sul bilancio.
L’azienda si avvalse allora dei protocolli indicativi forniti dall’organizzazione non governativa e no profit “The Natural
Step”.
Costruendo su questi, elaborò un programma di formazione a tappeto per tutti i dipendenti, dove venivano formulate
le linee guida di ogni prodotto IKEA: costruito utilizzando al minimo sostanze estratte dalla terra, nessun danno all’ambiente
durante la fase di produzione, assenza nel prodotto di sostanze chimiche non naturali e non biodegradabili, minimo impatto ambientale nell’utilizzo del prodotto, reintegrazione delle risorse (naturali ed umane) là dove venivano prese.
Questi principi divennero poi delle parole chiave che dovevano essere applicabili ad ogni prodotto Ikea:
❑ Riciclabile
❑ Biodegradabile
❑ Differenziabile
❑ Naturale
❑ Di lunga durata
❑ Di qualità
❑ Efficiente (in uso e in produzione)
❑ Riutilizzabile.
I benefits per l’Ikea di questo processo di cambiamento culturale sono stati:
- La creazione di una consapevolezza e cultura “della sostenibilità” a tutti i livelli.
- La definizione di una identità aziendale basata su principi base di rispetto ambientale.
- La costruzione di una immagine “environmentally friendly” per i consumatori, e conseguente aumento vendite.
- La ri-analisi dei processi aziendali che ha portato ad individuare parecchie aree di miglioramento ed innovazione.
- Un quadro di riferimento per incoraggiare i dipendenti a trovare soluzioni innovative e a fare quei piccoli passi che presi insieme danno la misura del cambiamento aziendale.
“Sostenibilità è la parola chiave per il futuro… non è sufficiente essere amici dell’ambiente - dobbiamo adattarci ad esso.” - Anders Moberg, Presidente, IKEA
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Interface non vende più moquette ma un “servizio
di pavimentazione”: con il pagamento di una tariffa mensile, Interface garantisce di mantenere il pavimento del cliente in ordine e pulito.Ispezioni mensili controllano e rimpiazzano le parti rovinate.
Inoltre “affittare” la pavimentazione può rappresentare un vantaggio fiscale per il cliente, dal momento che è una spesa deducibile dalle tasse. Il risultato è che il cliente ottiene un servizio migliore
e più economico che al produttore costa molto meno fornire.
Il cambiamento di Interface verso la fornitura di un
servizio piuttosto che la vendita di un prodotto, è
cambiamento fondamentale rispetto al modello tradizionale seguito dalla maggior parte delle aziende
manifatturiere, che ancora guardano ai loro business
come macchine per produrre e vendere prodotti quindi più prodotti si vendono e meglio è.
In realtà ogni modello che spreca risorse spreca denaro. In ultima analisi, questo modello tradizionale non sarà in grado di competere con un modello
di servizio che enfatizza la soluzione dei problemi
e che prevede la costruzione di relazioni di lunga
durata con i clienti piuttosto che semplicemente fare e vendere prodotti (solutions economy).
Interface non è la sola: Schindler (ascensori) affitta “servizi di trasporto verticali”, Dow Chemical e
Safety-Kleen vendono servizi invece che vendere solventi, perché così facendo si possono usare gli stessi solventi diverse volte abbassando i costi. La divisione Carrier di United Technologies, il più grande produttore mondiale di condizionatori d’aria, sta
spostando il proprio business dalla vendita di condizionatori alla “fornitura di servizi di comfort”. Fare
condizionatori più duraturi e più efficienti può compromettere le vendite future ma fornisce ai clienti
ciò che loro cercano: il comfort migliore al prezzo
più basso. Carrier sta andando oltre: insieme ad altre società progetta e costruisce edifici più efficienti
che necessitano meno aria condizionata. Carrier
sarà pagata per fornire un certo livello di comfort
a prescindere dal modo in cui il comfort viene fornito. Quindi i profitti più alti deriveranno dalla fornitura delle soluzioni migliori piuttosto che dalla
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vendita di più prodotti. Il comfort con poca o niente aria condizionata (per mezzo di edifici meglio disegnati o altre soluzioni) funziona meglio e costa meno di comfort con molta aria condizionata, quindi
Carrier sarà stimolata a trovare margini di profitto
nel migliorare queste aree.
Lo spostamento verso un modello di business basato sui servizi consente dei vantaggi non solo per
coloro i quali partecipano al business, ma in generale per tutta l’economia. Infatti un’economia basata
sul flusso di servizi riduce la volatilità e la ciclicità
proprie dei mercati di beni introducendo al contrario un’economia più stabile basata su contratti
anche pluriennali di fornitura di servizi.
4 - Reinvestire in natural capital
Il fondamento del capitalismo è il prudente re-investimento dei guadagni in capitale produttivo. I “natural capitalists”, coloro che seguono un “approccio
sostenibile” e che hanno aumentato la produttività
delle risorse, chiuso i circuiti di produzione e spostato i loro business verso modelli basati sulla fornitura di servizi, hanno ancora un obiettivo da raggiungere: restaurare, sostenere ed espandere la più
importante forma di capitale - il loro habitat naturale e la risorsa biologica di base.
Quando un’azienda manifatturiera si accorge che un
suo fornitore di componenti chiave non riesce a soddisfare le richieste e a smaltire gli ordini, prende delle immediate iniziative per evitare che la produzione debba essere fermata.
L’ecosistema è un fornitore di componenti chiave per
la vita del pianeta e incomincia a non essere più capace di smaltire gli ordini.
Il fallimento nel proteggere e nel reinvestire nel capitale naturale può colpire i ricavi di un’azienda indirettamente. Molte società stanno scoprendo che
la percezione del pubblico della responsabilità ambientale, o la sua mancanza, può influire sulle vendite. Ad esempio, MacMillan Bloedel, indicata dagli
attivisti ambientalisti come azienda inquinante, ha
perso quasi il 5% delle vendite da un giorno all’altro quando fu rifiutata come fornitore da Scott Paper
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IL CASO RONDECO
La società svedese Rondeco ha trasformato un vecchio cementificio in un impianto per lo smaltimento di rifiuti
e la produzione di compost. Come si è giunti alla creazione di un business molto redditizio partendo da diverse
situazioni problematiche.
La quantità di rifiuti solidi urbani prodotti in Europa è in costante crescita, le discariche non rappresentano più
una soluzione adeguata (come dimostrato anche dai recenti fatti di cronaca in Italia) ed infine l’Unione Europea
richiede che in 8 anni le discariche di rifiuti biodegradabili siano ridotte del 50% rispetto i livelli del 1995. Infine
l’inquinamento da fertilizzanti chimici e l’impoverimento del suolo sono problemi sempre più riscontrati.
L’industria del cemento è in crisi, negli ultimi anni abbiamo assistito al crollo della domanda di cemento. In Europa
vi sono diversi cementifici non più competitivi.
L’unica soluzione sembrerebbe essere quella di incrementare sensibilmente le quantità prodotte per contenere
i costi. Inoltre i cementifici inquinano e sono quindi necessari robusti investimenti per abbattere le emissioni
inquinanti. Anche a voler smantellare i vecchi impianti cementifici bisogna considerare che i costi di smantellamento di un cementificio sono molto elevati. Due ingegneri svedesi hanno fondato Rondeco una società per convertire i vecchi forni di cementifici in grandi unità di compostaggio. L’idea iniziale di Rondeco era semplicemente quella di applicare il processo ad un vecchio cementificio a sud di Stoccolma. Nel 1996 l’idea si è evoluta e il
concetto ZERI (ZERO EMISSIONI) è stato introdotto in Rondeco riuscendo ad implementare un circolo virtuoso
economico per l’intera area.
Usando il forno del vecchio cementificio si può produrre compost a prezzi e qualità competitivi rispetto i fertilizzanti sintetici mentre costruire un impianto di questo tipo ex novo risulterebbe troppo costoso.
Ci guadagnano tutti: il cementificio risparmia sui costi di dismissione, la città aumenta la vita delle sue discariche e i coltivatori comprano compost a prezzi competitivi. Il nucleo dell’operazione è il forno del cemento. E’ un
tunnel lungo 80 metri, di acciaio spesso 5 centimetri, ruotante, ben chiuso: è l’elemento centrale del processo
di compostaggio. L’uso del forno da cemento per il compostaggio permette di processare 300 o anche 1000 tonnellate al giorno per materiale non assortito.
Una nuova unità di compostaggio di quelle dimensioni costruita ex novo e non potrebbe mai contare sulla qualità e l’infrastruttura offerta da un ex cementificio: molo, silos per materie prime e prodotti finiti, stazioni di pesatura e nastri trasportatori. Una normale unità di compostaggio ben difficilmente potrebbe permettersi una tale infrastruttura. In aggiunto ai rifiuti solidi urbani il forno può accogliere anche le acque reflue. L’integrazione
del fango nel forno aiuta la fase di compostaggio aggiungendo acqua e principi nutritivi ai rifiuti domestici. I rifiuti dopo una scelta iniziale vengono caricati nel forno composter.
Il composter è formato da 3 compartimenti e la mistura resta un giorno in ciascun comparto. L’attività microbiologica
scompone il materiale organico in compost in 3 giorni senza aggiunta di calore né di sostanze chimiche. Durante
il secondo giorno la temperatura del processo raggiunge i 70 gradi centigradi.
Dal momento che non vengono utilizzate nel processo operazioni di spezzettamento i materiali non biodegradabili escono intatti dal composter. Questo permette di separare i materiali non biodegradabili e di utilizzarli successivamente per essere riciclati. Il compost deve poi maturare per un periodo di 6 settimane dopo di che viene seccato ed è pronto per essere venduto. Il progetto di Rondeco va oltre: una grande serra riscaldata sarà costruita, infatti la fase di compostaggio genera calore e diossido di carbonio (utilizzabile ad esempio per coltivazione di pomodori).
Il progetto Rondeco è un esempio di come il natural capitalism possa rappresentare un’efficiente metodologia
utile per risolvere situazioni critiche e realizzare nuove e redditizie opportunità di business.
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MANAGEMENT & SOSTENIBILITA’
e Kimberly-Clark. Spesso queste azioni degli ambientalisti servono ad introdurre un approccio sostenibile nelle aziende prese di mira, come è successo per la Home Depot, la Sony e la Burger King,
prese di mira dal Rainforest Action Network e poi
rivoltesi ad organizzazioni non-governative e di consulenza per cambiare le proprie practices e non essere più oggetto di boicottaggio ed altre forme di
pressione.
Numerosi studi dimostrano che le società all’avanguardia nell’implementare cambiamenti che aiutano a proteggere l’ambiente tendono a guadagnare
dei vantaggi sproporzionati rispetto alle società percepite come irresponsabili su queste tematiche.
Molti analisti ritengono che un forte impegno ambientale rappresenti un indicatore affidabile di profittabilità.
Non solo: integrare lo sviluppo sostenibile con l’analisi dei rischi permette di arrivare ad un risk management a 360°. Un’azienda può infatti ridurre le
perdite evitabili uscendo dai business che considera
non sostenibili.
In una situazione in cui le società competono per i
talenti migliori, le società con valori fondamentali
forti, come è il caso delle aziende che hanno abbracciato l’approccio sostenibile, hanno maggiori
possibilità di attrarre e trattenere i migliori individui.
Si riscontra spessissimo che quando la visione di una
società è in linea con quella del lavoratore, l’organizzazione guadagna in performance e innovazione.
Valori, comunicazione e innovazione: questi sono gli
elementi necessari alla trasformazione.
In sintesi, sebbene molte aziende ancora non si
preoccupino dell’impatto ambientale delle loro attività, è ormai dimostrata la profittabilità di un approccio sostenibile. La società di consulenza
Arthur D. Little ha condotto ricerche su un gruppo
di business leader americani ed europei e ha trovato che l’83% di loro è già convinto di poter ottenere valore reale di business implementando un approccio di sviluppo sostenibile alla strategia e alle
operations.
Basta dare un’occhiata ai nomi e ai contenuti dei
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più importanti programmi di cambiamento aziendale realizzati negli ultimi tempi: ad esempio, “l’Iniziativa di Integrazione della Sostenibilità”, programma lanciato dalla Nike il 30 agosto 1999 e concluso
con successo nel maggio 2000, e che ha coinvolto
100 fra i più influenti leader e manager dell’azienda; questo progetto nasce dal successo del N.E.A.T.
(Nike Environmental Action Team), un team con il
compito di coordinare azioni globali relative all’ambiente - i suggerimenti del Team hanno portato ad un risparmio di 4.5 milioni di dollari l’anno,
senza contare i benefici di immagine dovuti ad altre iniziative relative al packaging ed al riciclo dei
prodotti(3).
Rimane il problema di come fare, di come applicare tutto questo in pratica.
Ormai anche per l’implementazione esistono delle
strategie già consolidate e sperimentate con successo.
Si pensi al “The Natural Step” (vedi anche riquadro
dedicato al “caso Ikea”); si tratta di una organizzazione non governativa e no-profit che si dedica al
diffondere una cultura della sostenibilità presso
aziende ed enti pubblici e governativi.
Condensando i dati scientifici che sono alla base della necessità di una strategia sostenibile in 4 principi di semplice assimilazione:
1 - Le sostanze estratte dalla crosta terrestre non devono aumentare in modo sistematico nell’ambiente;
2 - Le sostanze prodotte dall’uomo non devono aumentare in modo sistematico nell’ambiente;
3 - Le basi fisiche per la produttività e la diversità
della natura non devono essere sistematicamente
deteriorate;
4 - Deve esserci un uso giusto ed efficiente delle risorse nel rispetto del soddisfacimento dei bisogni
di tutte le persone), gli incontri delle comunità locali con TNS offrono ai partecipanti un’occasione di
riflessione sulle loro pratiche di business e sulle possibilità di costruire una rete di attività integrate sostenibili sul territorio.
È anche un occasione di interiorizzare un framework
che serva da bussola nel disegnare specifiche soluzioni che vadano verso la sostenibilità.
(3) The Natural Step newsletter,
primavera 1999