Untitled - Rizzoli Libri

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Jeffery Deaver
L’uomo del sole
Traduzione di Valentina Ricci
Rizzoli
Proprietà letteraria riservata
© 1993 by Jeffery Wilds Deaver
© 2013 RCS Libri S.p.A., Milano
ISBN 978-88-17-06438-5
Titolo originale dell’opera:
The LeSSon of heR DeATh
Prima edizione: ottobre 2013
Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, ambientazioni e accadimenti sono frutto dell’immaginazione dell’autore o sono utilizzati a scopo
narrativo. Qualsiasi analogia con eventi, situazioni o persone reali, vive o
morte, è del tutto casuale.
Realizzazione editoriale: Librofficina, Roma
L’uomo del sole
A Carla Norton
prima parte
Profilo
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A ogni chilometro, il suo cuore fuggiva un po’ più lontano.
La bambina, nove anni, era seduta sul sedile del passeggero e faceva correre il dito sulla pelle rovinata del bracciolo beige. La brezza che entrava dal finestrino le soffiò in
faccia una ciocca di capelli biondi. Lei li scostò e sollevò lo
sguardo sull’uomo al volante della macchina: aveva una
espressione seria e guidava con gli occhi fissi sulla strada,
puntati oltre il muso bianco dell’automobile.
«Ti prego» mormorò la bambina.
«No.»
Lei intrecciò le mani in grembo.
Forse avrebbe potuto saltare giù al primo semaforo
rosso.
Forse, se lui avesse rallentato abbastanza…
Si chiese se si sarebbe fatta male a buttarsi fuori dall’auto in corsa. Immaginò se stessa mentre rotolava nell’erba
alta che cresceva sul ciglio della strada, il freddo e l’umido
della rugiada sul viso e sulle mani.
E poi? Dove sarebbe andata?
Il clic della freccia interruppe il filo dei suoi pensieri e
trasalì come se avesse udito uno sparo. L’automobile rallentò e sobbalzò mentre si immetteva nel vialetto d’ingresso.
Quando la piccola vide il basso edificio di mattoni capì di
non avere più speranze.
L’auto si fermò, i freni emisero un lamento.
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«Dammi un bacio» disse l’uomo chinandosi su di lei e
slacciandole la cintura di sicurezza.
La bambina si aggrappò alla striscia di nylon come se
fosse un’ancora di salvezza e disse: «Non voglio. Ti prego».
«Sarah.»
«Solo per oggi? Per favore…»
«No.»
«Non lasciarmi qui.»
«Avanti, scendi.»
«Non sono pronta!»
«Fa’ del tuo meglio.»
«Ma io ho paura.»
«Non c’è motivo di aver…»
«Ti prego!»
«Sarah.» La voce dell’uomo si indurì. «Io sarò qui vicino,
a Blackfoot Pond.»
Lei non sapeva più cosa dire. Aprì la portiera, ma non si
mosse.
«Dammi un bacio.»
La bambina si allungò e sfiorò la guancia del padre con
un bacio frettoloso, poi scese. Rimase in piedi nella fredda
aria primaverile che odorava del gas di scarico dell’autobus della scuola, fece tre passi verso l’edificio, guardò la
macchina che si allontanava. D’un tratto le venne in mente il Garfield di peluche attaccato al finestrino posteriore
della station wagon dei suoi. Ricordò il momento in cui
l’aveva appeso, quando aveva leccato le piccole ventose
prima di farle aderire al vetro. Chissà perché, le venne da
piangere.
Forse suo padre l’avrebbe guardata dallo specchietto,
avrebbe cambiato idea e sarebbe tornato a prenderla.
Ma l’auto svanì oltre la collina.
Sarah si girò ed entrò nell’edificio. Strinse al petto il
cestino del pranzo e percorse il corridoio trascinando i pie12
di. I bambini che le passavano accanto erano tutti alti come
lei, ma lei si sentiva più piccola.
Minuscola, debole.
Si fermò davanti all’aula della terza, sbirciò dentro. Inspirò profondamente, avvertendo sulla pelle il caldo formicolio della paura. Esitò solo un attimo. Poi si fece strada
riluttante tra la folla di bambini urlanti che correvano nella
sua direzione.
Notò il foglietto a nemmeno dieci metri dal punto in cui
la notte precedente avevano trovato il corpo.
Era infilzato sullo stelo di una rosa selvatica del colore
del sangue rappreso e fluttuava nel vento umido inviando
il suo messaggio nella fioca luce del mattino.
Bill Corde si diresse verso il pezzo di carta passando
attraverso un groviglio di ginestre, giovani aceri e duri rami
di forsizia.
Come avevano fatto a non vederlo?
Si graffiò il polpaccio su un arbusto e imprecò a bassa
voce, senza rallentare il passo.
Corde era alto quasi un metro e novanta, i capelli corti
dello stesso grigio dei gatti certosini, nonostante non avesse
ancora compiuto quarant’anni. Era pallido perché quella
primavera era riuscito ad andare a pescare soltanto due volte. Aveva un fisico asciutto, sebbene la cintura dei pantaloni mettesse in evidenza un accenno di pancetta; del resto,
l’unica ginnastica che si concedeva ultimamente era qualche partita di softball. Quel mattino, come sempre, la camicia della sua uniforme era pulita e inamidata e i pantaloni beige esibivano una piega perfetta.
Corde aveva il grado di tenente ed era un detective.
Ripensò a come il luogo gli era apparso meno di dodici
ore prima, alla luce delle torce degli agenti e a quella ancor
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meno affidabile del primo quarto di luna. Aveva ordinato ai
suoi uomini di setacciare l’area. Erano poliziotti giovani e
severi (quelli che avevano ricevuto un addestramento di tipo
militare), oppure giovani e arroganti (i diplomati all’accademia di polizia statale), ma tutti quanti erano ansiosi di far
bene.
Guida in stato di ebbrezza, eccesso di velocità e violenze domestiche: quelli erano i loro cavalli di battaglia. Conoscevano le armi grazie alle battute di caccia della stagione autunnale, non certo in virtù dell’assidua frequentazione del poligono di tiro di Higgins, e tutto ciò che sapevano
sugli omicidi l’avevano imparato dalla tivù. Però avevano
ricevuto l’ordine di passare al setaccio la scena del crimine
e l’avevano fatto con tenacia e senso del dovere.
Ma nessuno di loro aveva individuato il foglietto di carta verso cui Bill Corde si stava facendo largo tra i cespugli
irti di spine.
Oh, povera ragazza…
…che giace ai piedi di una diga profonda tre metri.
…che giace in questo gelido lago di fango ed erba bassa e
fiori azzurri.
…che porta la riga da una parte e ha la faccia lunga e la
gola tumefatta. Le sue labbra sono carnose. A ogni lobo porta tre sottili cerchi d’oro. Ha le dita dei piedi magre e lunghe,
con le unghie dipinte di rosso scuro.
…che giace supina, le braccia incrociate sul petto, come se
qualcuno l’avesse già preparata per la cassa. La camicetta rosa
a fiori è abbottonata fino al collo. La gonna, rimboccata sotto
le cosce, le copre appena le ginocchia.
«Abbiamo il suo nome. Jennie Gebben, studentessa.»
La notte precedente Bill Corde si era accovacciato – il
ginocchio aveva schioccato – e si era chinato sul viso di lei.
Lo spicchio di luna color madreperla si specchiava nei suoi
giovani occhi color nocciola non ancora vitrei. Aveva sentito
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