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DEL CONVEGNO: FOCUS SULLE PRASSI APPLICATIVE DELLA MEDIAZIONE FAMILIARE NEL PROCESSO – BARI 31.01. 2014 ATTI “L’UFFICIO DI MEDIAZIONE FAMILIARE: L’ESPERIENZA DEL TRIBUNALE DI LAMEZIA TERME” – SPUNTI DI RIFLESSIONE SUL PRINCIPIO DI “COLLABORAZIONE” Un’esperienza particolare nel panorama italiano è stata quella di Lamezia Terme, che ha offerto un esempio di “collaborazione” tra le istituzioni locali, al fine di ricomporre, attraverso la “mediazione familiare”, il nucleo centrale della società: “la famiglia”. Tutto nasce quando il Dott. Giuseppe Spadaro (attuale Presidente del Tribunale per i Minorenni di Bologna), viene nominato il 06.07.2007 Presidente della Sezione Penale del Tribunale di Lamezia Terme, dopo un’esperienza novennale fatta presso il Tribunale per i Minorenni di Catanzaro. Il suo inserimento avviene all’indomani dell’entrata in vigore della legge sull’affidamento condiviso n.54/06, che nonostante, le attese, viene di fatto scarsamente applicato, posto che in molti Tribunali italiani, sono frequenti i casi in cui il giudice consente ancora l’omologazione di affidamenti esclusivi concordati tra le parti (circa il 53%) senza che vi siano indicate le ragioni di pregiudizio a carico del genitore da escludere. Nelle pronunce giudiziali inoltre, ancora si leggono termini quali: <<genitore convivente, affidatario o prevalente>> a dimostrazione che nonostante il dettato normativo, nulla nei fatti è cambiato. Lamezia Terme è la terza città della Calabria per numero di abitanti e le cause di separazione e divorzio promosse presso il Tribunale, sono per lo più di natura giudiziale. Il problema che da subito si pone è quello del perché non si è data applicazione all’istituto della 1 “mediazione familiare” che trovava il suo fondamento giuridico proprio nella L. 54/06, che introducendo nel c.c. l’art. 155 sexies al comma 2° testualmente statuiva: <<Qualora ne ravvisi l’opportunità, il giudice, sentite le parti e ottenuto il loro consenso, può rinviare l’adozione dei provvedimenti di cui all’art. 155 per consentire che i coniugi, avvalendosi di esperti, tentino una mediazione per raggiungere un accordo, con particolare riferimento alla tutela dell’interesse morale e materiale dei figli>>. Il Dott. Spadaro era quindi convinto che la sede naturale della mediazione familiare dovesse essere proprio l’udienza presidenziale e che i presupposti imprescindibili per la sua applicazione dovessero essere: 1) la valutazione dell’opportunità da parte del giudice (attraverso l’indice di conflittualità delle parti); 2) l’ascolto delle parti (intese in senso sostanziale e non processuale); 3) il consenso delle parti (senza il quale il processo regredirebbe). La Mediazione familiare pertanto, doveva assurgere ad arte della Maieutica, il cui maestro era Socrate che la utilizzava con i suoi interlocutori per sollecitarli a conoscere se stessi. La funzione del giudice nell’udienza presidenziale doveva quindi, essere quella maieutica, che consisteva nel fare riattivare le risorse delle parti, farle responsabilizzare, renderle consapevoli. Il Giudice nell’udienza presidenziale deve quindi cambiare l’angolo di prospettiva dal quale guardare al problema, rappresentato dal primario e preminente interesse del minore, unico paradigma al quale fare riferimento in ossequio alla L. 54/06. L’affidamento condiviso nei casi di separazione fra coniugi è ancora poco diffuso e non del tutto recepito nel nostro paese e purtroppo il ricorso alla mediazione familiare non è sempre suggerito dal giudice. 2 Il Dott. Spadaro ritiene quindi che giudici ed avvocati debbano farsi promotori e sostenitori del cambiamento, che ormai ha tutto l’aspetto di un’emergenza sociale. Ci si deve rendere conto, che lo strumento per rendere effettivo l’affidamento condiviso è la mediazione familiare, quale mezzo prioritario della risoluzione dei conflitti di coppia. Tuttavia, l’unica garanzia di funzionamento è la “collaborazione tra i protagonisti del processo”, gli avvocati in primis, che sono i primi professionisti a cui si rivolge la coppia in crisi, è quindi questo un professionista “privilegiato”, se la mediazione avverrà dipenderà da lui. Ma la “collaborazione” dovrà esserci anche tra mediatori ed avvocati e spesso questa è resa difficile dalla diffidenza e scetticismo degli avvocati. Tale “collaborazione” dovrà invece essere attiva. Anche i giudici sono responsabili della scarsa divulgazione della mediazione familiare per non avere utilizzato lo strumento che costituisce il fondamento giuridico della mediazione familiare, l’art. 155 sexies co. 2 c.c.. In conclusione il mediatore familiare, si inserisce nel percorso della risoluzione del conflitto familiare, in “collaborazione” e non in antagonismo con gli altri protagonisti del processo (parti, avvocati, giudici), ma secondo il Dr. Spadaro, per il successo della mediazione familiare in Italia è necessario che tutti questi protagonisti abbiano una cultura giuridica europea. In Gran Bretagna per esempio, vi sono uffici di mediazione all’interno del Tribunale, in Svizzera invece, la mediazione familiare è pubblica ed istituzionalizzata, in Italia invece, è privata con costi a totale carico dell’utenza. Ed è proprio guardando all’esperienza internazionale ed europea che il 10 novembre 2007 in un’aula penale del Tribunale di Lamezia Terme, il Presidente della 3 Sezione Penale, presenta un progetto per: <<l’ORGANIZZAZIONE DI UN SERVIZIO DI MEDIAZIONE FAMILIARE ALL’INTERNO DEL TRIBUNALE DI LAMEZIA TERME” il quale da subito viene considerato un vero e proprio strumento di utilità sociale. L’obiettivo che si vuole raggiungere è quello di tutelare l’interesse morale e materiale dei figli (anche maggiorenni) di coppie separate e/o divorziate che sono vittime del conflitto coniugale. Per la realizzazione del servizio, viene stipulata una convenzione (A’LOGON) tra: il Tribunale di Lamezia Terme, l’Ordine degli Avvocati di Lamezia Terme, il dipartimento di scienze giuridiche dell’Università della Calabria, il Comune di Lamezia Terme, la Diocesi di Lamezia Terme, per l’istituzione di una rete di sostegno e di mediazione alle famiglie in crisi. Tutti i partecipanti alla rete s’impegnano a dare effettiva attuazione all’indissolubilità del vincolo genitoriale, promuovendo una conoscenza più profonda delle coppie che fruiscono dei servizi, risvegliando le capacità e le potenzialità più profonde di ognuno (art. 1 della Convenzione). Inoltre, ogni sei mesi, i partecipanti alla rete, s’incontreranno per confrontarsi sulle esperienze maturate e le scelte organizzative (art. 12 della Convenzione). L’ufficio di mediazione familiare nasce all’interno del Tribunale, a piano terra, in un ambiente riservato ed accogliente, senza elementi di disturbo dall’esterno, formato da due stanze, l’una per l’attesa dei coniugi e l’altra per la mediazione vera e propria, dotata di un tavolo rotondo e quattro poltroncine con una linea telefonica con segreteria. Il servizio è gratuito. La scelta della collocazione in tribunale è data almeno da tre ordini di ragioni: 1) per motivi pratici, poiché la coppia che viene inviata in mediazione ha così la possibilità da subito di procedere, 4 senza dover peregrinare presso altri enti o strutture; 2) perché l’ufficio costituisce un ausilio funzionale alla magistratura, che in tal modo possiede un efficace strumento in procedimenti delicati come quelli di separazione e divorzio; 3) la gratuità del servizio. Il presupposto per poterne usufruire è la presentazione di una domanda di separazione o di divorzio presso il Tribunale di Lamezia Terme. In sede di udienza presidenziale, il Presidente ex art. 155 sexies co. 2 c.c., valuta la conflittualità della coppia, l’impossibilità della stessa di prevedere decisioni condivise sui figli e la mediabilità, in presenza di tutti e tre i requisiti, differisce l’adozione dei provvedimenti di cui all’art. 155 c.c.; la relativa ordinanza, viene trasmessa via fax dalla cancelleria del Presidente direttamente all’ufficio di mediazione. I mediatori contattano le parti e fissano un primo incontro informativo ed esplorativo, nel quale illustrano le finalità della mediazione e presentano le regole di comportamento, in tale incontro viene sottoscritto il consenso e vengono compilati due questionari, l’uno contenente le aspettative e l’altro i bisogni e le questioni prioritarie da risolvere. Gli incontri possono essere video-filmati per essere utilizzati come feed back dagli operatori. Gli incontri successivi sono circa sei a cadenza settimanale o quindicinale. La mediazione utilizzata è quella parziale, ovvero affronta tutti i problemi attinenti ai figli, ma se vi sono aspetti economici e patrimoniali che possono costituire motivo di conflitto, vengono affrontati anche quelli. La mediazione se viene raggiunto un accordo termina con un memorandum d’intesa che costituisce l’oggetto dell’accordo di separazione consensuale. A soli 18 giorni dall’istituzione dell’ufficio di mediazione, cominciano ad essere emanati dal Presidente Dr. Spadaro le prime ordinanze che 5 fanno chiarezza su alcuni aspetti fondamentali della mediazione familiare. In particolare con l’ordinanza del 28 novembre 2007, viene estesa la mediazione familiare al procedimento di cessazione degli effetti civili del matrimonio, non soltanto per l’esplicito richiamo fatto dall’art. 4 della L. 54/06 delle norme ivi contenute (e quindi dell’art. 155 sexies co. 2 c.c.) anche ai procedimenti di scioglimento, cessazione degli effetti civili del matrimonio e nullità, ma anche perché la funzione del Presidente nella fase sommaria del divorzio è identica a quella della separazione; l’interesse tutelato è sempre lo stesso, ovvero la tutela morale e materiale dei figli. Con la successiva ordinanza del 05 dicembre 2007 il Dr. Spadaro interviene poi sulla qualificazione giuridica dei mediatori familiari, chiarendo che poiché il dettato normativo (art. 155 sexiex c.c.) gli ha considerati “esperti”, ha voluto attingere così facendo, a figure professionali già esistenti nel mondo giuridico e quindi agli “ausiliari” del giudice ex art. 68 c.p.c.. Inoltre quella dei mediatori familiari non può essere una figura giuridica ex novo, poiché la giurisprudenza costituzionale è ormai conforme nel ritenere che l’individuazione di nuove figure professionali deve essere riservata allo stato ex art. 117 cost.. Nell’ordinanza suddetta, viene richiamata una sentenza del Tribunale di Bari del 21.11.00 con la quale il mediatore familiare era stato qualificato ausiliario atipico ex art. 68 c.p.c., atipicità data proprio, dalla totale indipendenza rispetto all’organo giudiziario che aveva fornito l’incarico. Ad ulteriore conferma dell’ausiliarità della figura del mediatore familiare e del fatto che lo stesso, non possa essere parificato al consulente tecnico, viene richiamata la giurisprudenza dei giudici napoletani, che avevano rigettato il reclamo di un mediatore familiare 6 avverso i provvedimenti con i quali i comitati per la revisione dell’albo dei periti e dei consulenti tecnici del Tribunale di Napoli, avevano respinto le sue domande di iscrizione nei rispettivi albi. Andava infatti, considerato consulente tecnico, colui che ha una specifica competenza tecnica ed è organizzato in albi o collegi professionali, riferisce al giudice affinchè questi, possa basare la sua decisione, sulla consulenza tecnica. Cosa ben diversa dal mediatore familiare che non potrà relazionare alcun chè al magistrato, dovendo dare l’unica informazione circa: l’accordo raggiunto o l’accordo non raggiunto o l’accordo in itinere. Il mediatore familiare non deve dare alcuna motivazione al magistrato, neppure se il percorso di mediazione viene volontariamente sospeso da una parte. Con una successiva ordinanza del 11 marzo 2010, il Dott. Spadaro applica la mediazione familiare ad un accordo di separazione consensuale. I coniugi infatti, si erano accordati sul mantenimento dell’unica figlia minore di anni 10, prevedendo però l’affidamento esclusivo alla madre. In sede di udienza presidenziale, il Presidente aveva esercitato quella funzione maieutica che aveva permesso al padre della minore di comprendere l’importanza della bigenitorialità, affinchè fossero conservati rapporti equilibrati e continuativi con entrambi i genitori e di tentare attraverso il percorso di mediazione familiare, di rivedere l’accordo sottoscritto, relativamente al profilo dell’affidamento congiunto. Con ulteriore ordinanza del 07 aprile 2011, la mediazione familiare viene applicata ad una domanda di cessazione degli effetti civili del matrimonio che vedeva una madre voler recuperare il suo rapporto genitoriale con dei figli maggiorenni, anche in tal caso, la tutela dell’interesse morale e materiale dei figli, andava salvaguardato e raggiunto con un percorso 7 di mediazione familiare. L’ufficio di mediazione familiare presso il Tribunale di Lamezia Terme, nell’85 % dei casi trattati, ha condotto le coppie a stipulare accordi condivisi, mentre solo il 10% delle coppie ha interrotto il percorso di mediazione a causa dell’elevata conflittualità emersa tra le parti, il restante 5% delle coppie, ha invece rinunciato ad intraprendere un percorso di mediazione per non averne compreso il significato. L’ufficio di mediazione familiare è composto da cinque esperti, scelti da un elenco tenuto dal Comune di Lamezia Terme, sono esperti che hanno frequentato un corso di almeno due anni, un training e 20 h di supervisione, ciascuno ha un incarico di 3 ore alla settimana (escluso i mesi di luglio ed agosto), le tariffe applicate sono quelle orarie degli psicologi (minimo € 60 h e massimo € 120 h) determinate in € 90 h, che comporta un costo totale complessivo annuo, per gli operatori ammontante ad € 43.200,00. I costi di gestione del servizio (telefono, luce, riscaldamento, materiale di cancelleria) ammontano invece a circa € 7.000,00 annui, pertanto, il costo totale annuo del servizio ammonterebbe all’incirca ad € 50.000,00, il cui finanziamento è a carico del Ministero di Grazia e Giustizia e della Regione Calabria. La filosofia ispiratrice dell’intero progetto è quella promossa e diffusa dal Mahatma Gandhi : “Dobbiamo diventare il cambiamento che vogliamo vedere”, filosofia costruita su tre principi indissolubili : la non violenza, la tolleranza e l’autodeterminazione. Tutto il progetto sopra descritto, è imperniato su di un principio fondamentale, quello della “collaborazione”. E’ fuori dubbio che sul territorio nazionale, quella di Lamezia Terme è l’unica esperienza concreta che ha visto l’applicazione della 8 mediazione familiare al processo. Non esistono in tutta Italia, esperienze paragonabili e questo perché di fatto, non vi è alcuna collaborazione tra le parti che si occupano del conflitto familiare. Il fallimento della mediazione familiare è stato soprattutto determinato dagli avvocati. Nel percorso di mediazione familiare infatti, i coniugi non sono accompagnati dai loro avvocati agli incontri e quindi non hanno dei consigli giuridici immediati per aiutarli a prendere le loro decisioni, benché possono sempre consultare il loro avvocato tra una decisione e l’altra. Questa sfasatura dei tempi e la mancanza dell’avvocato agli incontri di mediazione familiare, comportano spesso, una mancanza di sintonia tra l’attività di consulenza dell’avvocato che viene lasciato al di fuori del processo di mediazione familiare e gli obiettivi che persegue il mediatore della coppia. Una volta usciti dalla stanza di mediazione i coniugi devono necessariamente consultarsi con i loro difensori, ciascuno dei quali conserverà una sua linea difensiva ed avrà una prospettiva totalmente diversa del problema, metterà in dubbio gli accordi raggiunti, autonomamente dai coniugi nella stanza di mediazione, inducendo purtroppo, i coniugi stessi a ritornare a discutere o meglio a confliggere. Il risultato inevitabile sarà il fallimento della mediazione. A volte si avrà addirittura l’impressione che siano gli avvocati stessi a necessitare dell’opera di un mediatore. Quante volte, infatti, accade che il conflitto della coppia degenera e finisce per travolgere anche i tecnici del diritto, gli avvocati, trasformando la separazione o il divorzio in una vera e propria macchina da guerra. Anche il mediatore familiare inoltre, che ha l’unico e fondamentale 9 compito di riattivare la comunicazione tra le parti in conflitto, proprio per il suo ruolo imparziale e neutrale, per le sue competenze strettamente afferenti la ripresa del dialogo, non potrà indirizzare il suo aiuto verso alcuna meta ed a volte il suo intervento, apparirà sterile, in ordine ad una serie di aspetti del conflitto, che resteranno comunque irrisolti. E’ solo aprendo gli orizzonti e guardando all’esperienza internazionale ed europea che sono riuscita a comprendere i limiti o le c.d. “briglie” di questo strumento, pure così necessario, che è la mediazione familiare. Ho compreso che essa da sola, non poteva essere sufficiente a risolvere il conflitto familiare, accanto ad essa vi doveva essere la “collaborazione” di tutti i protagonisti che si interessavano al conflitto. Primo tra tutti, l’avvocato. Da un’esperienza di mediatore familiare sono passata quindi a quella di professionista collaborativo e da subito ho percepito il cambio di prospettiva e/o di paradigma. Nella pratica collaborativa (metodo di risoluzione interdisciplinare dei conflitti familiari tramite negoziazioni ragionate e costruttive) gli avvocati che rappresentano una parte, s’impegnano a rispettare i principi che regolano questo modo di risoluzione dei conflitti, s’ impegnano a cooperare e lavorare insieme in maniera trasparente e costruttiva. Tra le figure necessarie del processo collaborativo vi è proprio quella del c.d. coach che può essere un mediatore familiare ed è solo nel processo collaborativo che si realizza quella sinergia e quella “collaborazione attiva” tra l’avvocato ed il mediatore che permette alle parti in conflitto, di essere aiutate a decidere autonomamente del loro futuro. Il mediatore familiare nel processo collaborativo ha un ruolo 10 fondamentale per supportare le parti nella individuazione dei problemi e nella gestione delle emozioni, nel raggiungimento degli obiettivi, per rendere una comunicazione più efficace, per sviluppare le capacità negoziali. Oltre a questo, il mediatore familiare aiuta altresì ad incrementare il funzionamento della squadra, a svolgere il ruolo di “decodificazione” tra le parti, i loro avvocati e gli altri professionisti del team, mantenendo l’attenzione sugli obiettivi. Il ruolo del mediatore familiare nella pratica collaborativa è quindi rivolto all’intero sistema è focalizzato al presente ed è rivolto al futuro, la sua funzione è quella di portare i coniugi a separarsi con rispetto. Posso concludere dicendo che soltanto nella pratica collaborativa ogni professionalità è valorizzata, perché l’avvocato può finalmente sedere accanto al mediatore familiare e può cooperare con lo stesso, per il raggiungimento dell’obiettivo comune: l’autodeterminazione dei coniugi in conflitto, per la risoluzione rispettosa della crisi coniugale, tutelando l’interesse delle generazioni a venire: i figli. Avv. Daniela Angelini (Mediatore Familiare – Professionista Collaborativo) 11