Pinocchio» and Its Adaptations, a cura di M
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Pinocchio» and Its Adaptations, a cura di M
«Bollettino '900», 2010, n. 1-2, <http://www3.unibo.it/boll900/numeri/2010-i/> François Bouchard Dalla tragedia al dramma: gli esordi teatrali di Massimo Bontempelli Sommario I. I primi rapporti con il mondo editoriale II. La tragedia Costanza III. Il dramma La piccola I. I primi rapporti con il mondo editoriale Anche in anni giovanili, e in fase di apprendistato, prima di abbracciare il mestiere di letterato a tempo pieno dal 1910 in poi, Massimo Bontempelli si mostra attento a promuovere la propria produzione sia narrativa che poetica. Ne testimonia la contabilità delle recensioni alla prima raccolta di novelle, Socrate moderno1, in una delle prime lettere rivolte a Angelo Fortunato Formíggini il 9 giugno 1908 («Del Socrate sono uscite sinora 80 recensioni...») insieme alla richiesta di informazioni su un ignoto recensore bolognese («Lessi su un giornale di Buenos Aires un bell'articolo sul Socrate, firmato "G. Giacomo Guglielmini" e datata da Bologna. Vorrei ringraziarlo, ma non ne so il recapito»2). E, diventato autore della casa editrice modenese due anni dopo, espone in una lettera dall'andamento concitato, scritta «mentre un idiota legge il terribile episodio di Attilio Regolo», la campagna di promozione che ha concepita per il volume delle Odi3 appena pubblicato: «Io mi accingo in ispirito a seguire la tua raccomandazione di darmi a tutt'uomo alla diffusione delle Odi. Per ora aspetto le risposte di Genova e Bologna quanto alle letture. - Ma bisogna mandare in giro annunzi. Il «Bollettino '900», 2010, n. 1-2, <http://www3.unibo.it/boll900/numeri/2010-i/> bollettino è un'altra cosa: - io persisto a credere che bisogni mandare intorno gli estratti della prefazione, con l'indice. - Ma tu dici di sì, e poi fai quel che ti pare: e non riesco a capire la tua ostilità a questo facile mezzo. Bada che fino a ora non abbiamo fatto niente di più di quel che si fa per qualunque libro. - Del tuo estratto, mandare 500 copie ai 500 abbonati ai Profili; - una decina di copie a tutti i librai cui mandi le Odi; - poi a tutti i circoli di lettura, società simili, università popolare (sic); - a tutti i giornali letterari o no, anche se hanno o hanno avuto anche il libro; - poi io ne manderei molti a molti privati, firmandoli, etc. etc. Questo era da fare anche prima, s'era detto di farlo: - invece tu hai abolito del tutto la réclame preventiva. - Ora si può fare lo stesso: i tempi della prefazione van bene; - aggiungi l'indice. In 1/2 giornata te ne stampano più che vuoi [...]. Ti dico tutto questo; ma tu mi scriverai di sì, e poi non lo farai. - Il bollettino non è una réclame speciale: i bollettini difficilmente si leggono: sul bollettino si è distratti da altre cose. Ti prego dunque, e ti riprego: fa' questi estratti, numerosissimi, con l'indice del libro. Ma subito: se no poi verrà troppo tardi. Se non lo vuoi fare dimmi che non lo vuoi fare. - Lo farò io per mio conto. Va bene? Io ho già scritto 6 cartoline ad alcuni di quelli cui mandammo ivi il volumetto. - Bada che mancano anche alcuni dei critici grossi, come Borgese e simili, ai quali metterai solo la tua firma, ma che debbono averlo subito. - Sii largo con i giornali di provincia, i quali riprodurranno il trafiletto che tu mandi, il che giova tale quale come un articolo vero: anche più. Oggi vedrò tutte le recensioni di Amori4 e di Socrate moderno, per vedere se abbiamo dimenticato qualche nome utile: - e te li manderò. Non rispondermi, che hai poco tempo: ma fa queste benedette prefazioni con l'indice. - A me mandane 200. Se non li fai dimmelo subito che li faccio io. «Bollettino '900», 2010, n. 1-2, <http://www3.unibo.it/boll900/numeri/2010-i/> Mi pare che non abbiamo più mandato a stampare il cartello per le vetrine dei librai».5 Lettera lunga, questa, che si organizza intorno alla ripetizione assillante di un motivo unico ogni volta amplificato, quello della «prefazione con l'indice» da mandare in giro per le redazioni, le librerie, a abbonati e critici, nell'intento di promuovere il primo volume della nuova collana di poesia fondata da Formíggini. Con questo atteggiamento tra l'operoso e l'imperioso, e questa volontà di trattare alla stregua di un prodotto di comune smercio una raccolta poetica, per di più di gusto classicheggiante, Bontempelli omette accuratamente di prendere in considerazione la specificità dell'opera. Mentre glielo ricorda Angelo Fortunato Formíggini nella sua lettera del 23 aprile,6 in cui si mostra così scorato da dichiararsi propenso a rinunciare a pubblicare poesia («Non so se pubblicherò altri versi, ma se ricadrò nell'errore non darò una copia gratis a nessuno») per svariati motivi: giornali muti tranne «Il Risorgimento» di Lecce, volumi mandati in servizio stampa finiti sulle bancarelle, libri rimasti invenduti dai librai e, paradossalmente, l'intera edizione esaurita («ho mandato in giro tutto quanto»). Invece il fallimento di vendita delle Odi non intacca la fiducia di Bontempelli nella pubblicità. Così, quando in un contesto decisamente diverso, il 18 novembre 1926, Arnoldo Mondadori, suo editore dal 1924, si lamenta con lui per il carattere «già pubblicato» dei testi che gli consegna,7 Bontempelli ribatte, per giro di posta, polemicamente, contestando i termini medesimi della strategia promozionale adottata dall'editore nei suoi confronti: «E pensa anche, perdio, che con la réclame che mi si è fatta in questi 2 o 3 anni, un editore che mi avesse curato personalmente avrebbe fatto un affare - mentre tu mi hai menato avanti col gregge, valendoti soltanto della «Bollettino '900», 2010, n. 1-2, <http://www3.unibo.it/boll900/numeri/2010-i/> poderosa organizzazione generale della tua casa. Questa è la realtà. Anche recentemente, invece d'affrontare quel problema facile (del lanciarmi in modo particolare) tu mi hai scritto che sono un autore per le élites. Questo è l'errore tuo di partenza. Bisognava vedere la corrispondenza che avevo per le mie novelle nel '24 e '25; e bisogna vedere come tutta la gioventù viene verso me, - per capirmi editorialmente. Tu mi hai capito letterariamente per il tuo buon gusto: non mi hai capito editorialmente».8 Ormai, la ristampa da Mondadori di sei opere narrative e una teatrale 9 nell'arco di due anni viene registrata come un dato di fatto il cui pregio è azzerato dalla mancata promozione che avrebbe dovuto accompagnarla. A questo si aggiunge l'occasione persa dalla pubblicazione della Donna dei miei sogni,10 raccolta nuova anche se composta di novelle uscite sul «Corriere della Sera» tra il 1923 e il 1925, per le quali Bontempelli avrà avuto «la corrispondenza» di cui mena vanto, emanazione della «gioventù» che lui rivendica come suo pubblico d'elezione, tra cui trovare interlocutori e seguaci. Allo scrittore «élitario», lui contrappone un'altra immagine di sé: quella del poeta che ha da essere creatore di miti («La funzione prima e fondamentale del poeta è l'invenzione di miti, che poi si allontanino da lui e da ogni legame con la sua persona, e diventino patrimonio comune degli uomini e come cose della natura»11) oltreché inventore di tipi («I poeti veri, come creano dei miti o favole, così inventano dei tipi, che poi girano per la memoria e il linguaggio degli uomini in una loro vita perfettamente autonoma, indipendente dall'opera scritta. Rocambole è un tipo, è una parola del vocabolario, anche per coloro che non hanno letto Ponson du Terrail»12). Ora, tale pretesa che si consegue mediante il raggiungimento di un ampio pubblico, sancisce una scelta di poetiche che troveranno la loro piena espressione al termine della vicenda della rivista «900». Cahiers d'Italie et d'Europe con la serie «Bollettino '900», 2010, n. 1-2, <http://www3.unibo.it/boll900/numeri/2010-i/> dei romanzi iniziata da Il figlio di due madri,13 cui Bontempelli aveva cominciato a lavorare già nel 1923.14 II. La tragedia Costanza Questa insistenza sulla necessità di promuovere l'opera letteraria secondo modalità che Bontempelli adegua man mano all'evoluzione della sua posizione istituzionale non è solo la spia dell'inserimento dell'autore in una società sottoposta ad una accelerazione dei processi di modernizzazione, come risulta dal 1915 in poi, quando si trasferisce da Firenze a Milano dove frequenta un ambiente dominato da figure come F.T. Marinetti, Margherita e Cesare Sarfatti e l'editore Umberto Notari. Ha anche una origine più remota se già nel 1905, mentre la sua carriera sia di letterato che di docente era ancora agli albori, lui manifesta la stessa preoccupazione intorno alla tragedia Costanza,15 terza sua opera pubblicata.16 Allora professore di scuola media a Cherasco, caporedattore del «Piemonte», deve fare i conti con una posizione «periferica e decentrata» (S. Cigliana17) che lo induce a cercare appoggi fuori dalla cerchia ristretta delle riviste dell'area piemontese o ligure a cui collabora. In tale contesto si inserisce il sodalizio con Emilio Bodrero che, ben inserito nelle istituzioni culturali romane, dall'inizio lo sostiene recensendo il volume delle Egloghe nel 1904 e fornendogli nomi e recapiti dei redattori più autorevoli a cui mandare l'opera. E quando Costanza esce in volume, Bontempelli lo prega di una recensione («...esaudisci il mio [desiderio], che tu parli di Costanza, bene o male, s'intende, ma a lungo e su un buon giornale. Te ne prego veramente: ho bisogno di venderla. E se puoi parlane presto»18). Mentre sollecita nel contempo Federico De Maria, cui si era legato in occasione della fondazione della rivista palermitana «La Fronda» il 25 maggio 1905 («Frattanto vi mando questa mia Costanza raccomandandola non alla vostra clemenza, ma alla vostra attenzione, nella speranza che «La Fronda» voglia occuparsene particolarmente» 19). «Bollettino '900», 2010, n. 1-2, <http://www3.unibo.it/boll900/numeri/2010-i/> Lungi dall'ideare specifiche strategie promozionali come nel 1910, Bontempelli si accontenta allora di ricercare l'ausilio di interlocutori maggiormente addentro all'ambiente giornalistico per un intervento puntuale che risulterà per lo più deludente. La tragedia, ambientata nella campagna romagnola, inscena i luttuosi casi del duca di San Roberto e dei suoi figli al termine della ritirata di Garibaldi da Roma mentre, privato del suo esercito e della moglie Anita, morta alla Mandriola, il Generale tralascia Venezia, meta proclamata prima della partenza dalla piazza del Vaticano, e intraprende il nuovo viaggio clandestino verso la Maremma e gli stati Sardi. Tutto divide il vecchio feudatario, pronto a definirsi «avanti che padre, cittadin, cristiano e suddito»,20 dal condottiero agile, sgusciante, inafferrabile («... ha corso ieri ed oggi, e sento / ch'è passato di qui, l'han visto...» (p. 25), riferisce Antonio, servitore ligio ai dettami del padrone). Arroccato nel proprio podere, il primo organizza i suoi contadini alla stregua di una milizia nell'attesa trepida del secondo, del «tristo / bandito, infestator di terre, ladro / delle strade, ribelle ebro, Giuseppe / Garibaldi» (p. 14) che, appena si è allentata la vigilanza, irrompe sulle sue terre, accompagnato da «tre soli compagni» con cui rasenta una cascina, salta una siepe e si dilegua nel nulla. Ma questa guerra fatta in casa dal duca non deriva da soli motivi ideologici: dietro la caparbia ostilità del legittimista, fedele al «santo Pontefice e signore», si nasconde la rivalità del padre nei confronti di quello che gli è stato preferito anni prima dal figlio, Marcello. La passione politica scopre un suo risvolto personale nelle memorie familiari che il duca evoca in apertura del primo atto, mentre crede Garibaldi lontano o catturato. E con questo breve cedimento, tradisce un atteggiamento ambiguo nei confronti del figlio assente («...or già da qualche tempo / egli torna al mio cuor...» p. 17), che oscilla tra senso di colpa («...io non so s'egli sia morto, o ancora / vivo forse a nutrir la sua vendetta / contro la forsennata ira paterna...» p. 18) e rinnovata asprezza («Ma se il sapessi «Bollettino '900», 2010, n. 1-2, <http://www3.unibo.it/boll900/numeri/2010-i/> ancora qui, devoto / ancora a Garibaldi, ancora armato / contro lo stato e il suo signore, / ah ti giuro che ben saprei raccogliere / questa poca energia che va sfuggendo, / per maledirlo come in quel funesto / giorno della sua fuga...» pp. 18-19). Nella casa dove vigila un pugno di contadini armati, si aggira la figlia del duca, Costanza, anche lei in balia del dubbio. Tentenna combattuta tra voglia e paura di sapere del fratello fuggito in America; tra voglia e paura di fare il nome di Marcello agli uomini del padre, semmai riuscissero a raggiungere uno dei compagni di Garibaldi. Finché le si palesa Gianni, «anima primitiva, ma educata dalla vita laboriosa e dal secreto fervore dell'iniziato» (p. 11) - così lo definisce l'autore nelle iniziali «note sulle persone» - che, nella stessa notte, riesce a introdurre nascostamente l'esule presso Costanza, nella casa dove sta quello che lui definirà come «il sol nemico interno, / in questa terra di liberi».21 E le si scopre un fratello trasformato che, consapevole della morte incombente, si mostra disposto ad accoglierla con gratitudine.22 Ma anche un fratello che si è allontanato dalla cerchia degli affetti familiari in cui si aggira tuttora Costanza per aderire a un'altra figura dell'autorità, fortunosa e eroica insieme. E lei non sbaglia reagendo dispettosamente all'entusiastica devozione di Marcello per Garibaldi: «...è quegli [Garibaldi] la tua luce, il tuo / vero pensiero, la tua casa. Io, noi... / ci siam trovati sulla strada sua, / così!...» (p. 66) Al fascino di Garibaldi, Marcello deve - lo confessa - di aver superato la nostalgia iniziale per la casa e la sorella. Solo tornando dall'America è riuscito ad accomunare Costanza, Italia e Garibaldi, come altrettanti punti di riferimento («le tre mie stelle / ch'io seguitavo salutando ancora / le quattro stelle della Croce» p. 67) nel viaggio verso l'emisfero boreale. Tre termini che ne escludono un quarto, il padre, la cui rimozione («...e pensar che la casa era nemica...» p. 67) dà adito alla celebrazione di quello che gli è subentrato, con la narrazione di parte delle vicende vissute in Italia. Il primo passaggio a Ravenna alla volta di Roma, senza aver modo di «Bollettino '900», 2010, n. 1-2, <http://www3.unibo.it/boll900/numeri/2010-i/> contattare Costanza, i combattimenti appena accennati, la repubblica romana mai nominata come tale, e la ritirata, dall'arringa di Garibaldi a piazza del Vaticano fino alla morte di Anita. Ed a questa travagliata marcia dell'esercito è dedicata l'essenziale del racconto di Marcello: il lento suo incedere, il suo sbriciolarsi tra i pericoli e le insidie, il susseguirsi delle traversie, delle diserzioni, delle perdite, lungo un itinerario che si delinea attraverso lo snocciolarsi puntiglioso della toponomastica: le città, le valli, il mare Adriatico e San Marino, prima meta dell'incompiuto viaggio, e prospettato punto di passaggio verso Venezia, altra repubblica ridotta a semplice nome nelle rimembranze del fratello incurante di affermare opinioni politiche in sintonia con quelle del Generale. 23 Da San Marino, sciolti dal loro impegno i garibaldini, la spedizione riprende con pochi, compreso Marcello che si lascia sfuggire un'altra occasione di raggiungere la sorella. Ma per poco: l'imbarco a Cesenatico, l'incontro con la squadra austriaca, l'approdo forzato, la morte di Anita allontanano definitivamente Venezia dall'orizzonte dei profughi. E rimasto sulla terra di Romagna, gli si offre l'occasione di contribuire alla salvezza del Generale sfruttando la propria conoscenza di «ogni campo, ogni siepe, ogni sentiero» (p. 78) pur rivedendo la sorella. E così fa, messo Garibaldi in salvo, con l'aiuto di Gianni, che lo asseconda, lui e un suo compagno, nel suo abboccamento notturno con Costanza: lungo colloquio in cui, oltre a riandare agli anni trascorsi e le vicende vissute, Marcello riesce a convincerla della giustezza della propria scelta, prima di dover fuggire di fronte al pericolo. Esclusa dai giochi della guerra e della politica, non rimane a Costanza che presenziare all'alba al rendiconto degli eventi notturni fatto al duca dal suo fido factotum Antonio: Gianni prigioniero, uno scappato, l'altro ferito a morte da un colpo di fucile e lasciato nella casa di Menico, là dove furono visti passare Garibaldi e i suoi il giorno prima. E in questo groviglio di notizie frammentarie, le tocca cercare quella che riguarda il fratello senza niente rivelare al padre ottuso quanto sospettoso. Il quale s'impenna, «Bollettino '900», 2010, n. 1-2, <http://www3.unibo.it/boll900/numeri/2010-i/> interroga («Costanza! / Che hai? Che sai? Dimmi, t'impongo, subito: / che cos'hai dunque?» p. 89) e a stento si acquieta. Anzitutto quando gli viene portato Gianni, con cui sconfina nella prepotenza becera di chi perde il senso dei limiti, e deve essere richiamato alla realtà da altri. Ma la rivelazione arriva dai tentativi subdoli di Costanza per strappare una informazione da Gianni all'insaputa del padre. Il quale chiedendo il confronto con il ferito costringe Antonio a rivelare il suo stato di moribondo e a identificarlo inequivocabilmente come Marcello. Con questo suscita, insieme allo sgomento del padre, la furiosa disperazione di Costanza: «Dio / Signore, io non ho più padre, fratello / io non ho più: non ebbi mai la madre: / non ho più vita... e... maledico...» (p. 100). Questa maledizione riecheggia l'evocazione sconsolata che Costanza fa della propria infanzia ad apertura del quinto e ultimo atto, nel paesaggio quotidiano che è suo, ormai tinto a lutto.24 Il monologo di lei che piange il fratello scomparso viene interrotto prima da Antonio, e poi dal padre moribondo che, supplice, la prega di ascoltarlo ed accogliere la sua giustificazione. E tentenna nel trovare gli argomenti adatti, tra le testimonianze del proprio affetto per il figlio e l'attenuante di una educazione ideologicamente rigida. Niente comunque che riesca a commuovere Costanza, né ad attrarre il suo sguardo. Finché non accetta la propria responsabilità e, spogliandosi di ogni difesa, si accontenta di chiederle perdono: «Fui vile, fui duro; / ma tu perdona al vecchio tuo, che muore / implorandoti» (p. 110). E il duca lo ottiene in un abbraccio che si conclude con la morte. Consolatoria risulta la chiusa della tragedia: al padre implacabile, che, chiuso in una sfera ideale, ha sostituito l'incertezza delle relazioni umane con la certezza del dogma politico, s'impone una realtà complessa: quella della Storia in atto, che viene attuata non solo da «ignoti» - come lui definisce sprezzante i garibaldini -, ma anche da famigli e parenti. Così dilegua, insidiata e corrosa dall'interno, l'utopia reazionaria in cui credeva «Bollettino '900», 2010, n. 1-2, <http://www3.unibo.it/boll900/numeri/2010-i/> di poter vivere. Anche se dal fallimento, lui non trae nessun ammaestramento all'infuori del necessario ricorso all'umiltà per riconquistarsi Costanza prima di morire quasi borghesemente, con la certezza di raggiungere l'altro figlio, morto per colpa sua, di cui invoca il nome, mostrando di adeguarsi al credo funebre ottocentesco che tende a concepire l'aldilà come luogo di ricomposizione finale della famiglia. III. Il dramma La piccola Con questa catastrofe convenzionale, la tragedia sconfina nel dramma, genere in cui Bontempelli si cimenta con la seconda sua opera teatrale, La piccola, che viene rappresentata al teatro Manzoni di Milano il 10 febbraio 1915, dalla compagnia Talli-Melato-Giovannoni con esiti contrastati. «Serata di battaglia e di ardenti discussioni. Da un pezzo una commedia non suscitava tanto calore di sostenitori, tanta vivacità di oppositori» commenta Renato Simoni sul «Corriere della Sera»,25 mentre l'anonimo recensore del «Secolo» annota: «tre chiamate agli attori dopo il primo atto; dopo il secondo , nonostante i contrasti, una agli attori e due all'autore; una chiamata agli attori, assai contrastata, alla fine».26 Ma questi contrasti sono perlopiù riconducibili al terzo atto dell'opera rappresentata e alla sua macchinosità («Il pubblico che aveva fin qui seguito l'autore attraverso le vicende del dramma con crescente simpatia, a questo punto comincia ad abbandonarlo, e l'abbandono diventa definitivo al terzo [atto]» 27). Sicché il dramma viene corretto nella versione stampata l'anno successivo,28 com'è facile riscontrare dai commenti dei recensori. Rimane immutata la situazione iniziale ambientata nella Roma del primo Novecento: diplomatico di stanza a Parigi, Federico torna dopo nove anni di assenza a casa Palmieri dove è accolto festosamente dal padrone di casa e dalla figlia Elena, fanciulla esaltata cui il padre perdona tutti i capricci. L'unica stonatura in questa ospitalità corale viene da Giovanni, il fidanzato di Elena, il quale rivela a Federico di aver sempre saputo il suo segreto: la «Bollettino '900», 2010, n. 1-2, <http://www3.unibo.it/boll900/numeri/2010-i/> storia d'amore clandestina con Matilde, la madre di Elena morta poco dopo la sua partenza. Nonostante il giovane gli chieda con pacata supponenza di andar via,29 Federico si lascia coinvolgere suo malgardo nella quotidianità di Elena, accettando un invito in campagna cui si sottrae Giovanni. E al ritorno a Roma, lei gli rivela prepotente il suo amore, 30 suscitando lo sgomento dell'ospite, consapevole del tranello in cui si è impigliato. A questo punto, la versione recitata propone un finale da melodramma. Incapace di reggere alle insistenze della ragazza, Federico cerca riparo all'ombra della morta e «grida a Elena il terribile segreto».31 Di rimbalzo, a chiusa del secondo atto, la piccola inorridita urla al padre appena accorso la sconcertante verità, che lascia ben poco adito ad ulteriori svolgimenti: «Quest'uomo è stato l'amante di tua moglie».32 Eppure, nel terzo atto, si ritrovano tutti i personaggi, compreso il fidanzato, in una sospensione dell'intreccio. «Quale soluzione ci può essere per un così mostruoso nodo?» si chiede Renato Simoni nel suo articolo. E al suggerimento di Federico - «Ci vorrebbe un fatto nuovo» -, Elena ribatte: «Eccolo il fatto nuovo», e si uccide piantandosi nel petto un piccolo pugnale.33 Episodio che si attira il commento scettico del recensore: «"Ecco il fatto nuovo", grida Elena uccidendosi. Ma è invece un fatto vecchio, che non è veramente drammatico perchè non è una conseguenza, ma una scappatoia, non è una soluzione, ma una facilitazione».34 Nella versione a stampa del dramma invece, Bontempelli ovvia alle riserve della critica e del pubblico rimaneggiando sia la fine del secondo atto che il terzo. Alla confessione di Federico del «terribile segreto», la quale porta a una prematura catastrofe, subentra il subdolo ricorso al ritratto della defunta, che il diplomatico chiama a garantire la sua promessa di «Bollettino '900», 2010, n. 1-2, <http://www3.unibo.it/boll900/numeri/2010-i/> allontanarsi definitivamente da Elena.35 Ed è proprio l'incongruo procedimento, e la forma stessa del giuramento, a destare i sospetti della ragazza che, nel gesto di Federico, vede tramutarsi il ricordo della madre compianta in quello mai cancellato di un'amante.36 E per questa nuova consapevolezza, lei respinge duramente Federico chiedendo al padre accorso di cacciarlo via. Un padre sgomento, che di fronte ai due rimane combattuto tra fiducia nell'amico e sospetto per l'atteggiamento in cui li ha sorpresi. Difficile per lui accedere alla verità che ha fulminato la figlia ormai prostrata. Ma questa è la via che gli rimane da percorrere nel terzo atto; dal candore fanciullesco alla conoscenza delle insidie del mondo. E come il duca supplice in Costanza («Vedi; son io; sono venuto, vedi? / son io, tuo padre: t'ho pregata tanto, / ti sei negata! O mia Costanza, figlia / mia, figlia, dimmi, e che t'ho dunque fatto / per lasciarmi così?» 37), Palmieri implora la figlia («Sono io, sono il babbo. Proprio, non volevi vedermi? Ma io non potevo resistere. Elena, piccola mia, parlami, guardami. Ti perdono, ma parlami; non farmi più stare così»38). Però la prima tappa gliela fa fare Giovanni accompagnandolo al cospetto di Elena. Il fidanzato che sa di non esserlo più si premura solo di non rivelare troppo della vicenda e degli antefatti: solo lo stretto necessario, quel che basti a esser inteso dalla ragazza. E lei gli viene incontro, confessando smaniosa la propria passione per Federico.39 Ma Palmieri inebetito rimane in balia dell'oscuro dubbio che lo assilla: «Sento che qualche cosa mi sfugge, lo sento proprio come una cosa, che non si vede nel buio, non si capisce cos'è ma c'è...».40 E per arrivare a questa cosa che lui percepisce confusamente, tartassa la figlia: la prega, la sprona a parlare, a sfogare il proprio dolore. Si avvantaggia del minimo appiglio, sfrutta ogni cedimento, trova anche in un baleno il tono imperioso che era del duca di San Roberto («Voi pensate, tutti e due, qualche cosa che non so. Dimmelo, Elena, te lo comando!... »41). A sua volta finisce «Bollettino '900», 2010, n. 1-2, <http://www3.unibo.it/boll900/numeri/2010-i/> coll'appellarsi alla memoria della defunta, suscitando in Elena uno scatto di gelosia con cui lei rivela al padre il segreto originale. E di fronte alla verità, la ragione di Palmieri vacilla e si perde in una torpida definitiva ottusità.42 Come il duca, Palmieri cade al cospetto della figlia, incapace di reggere alla rivelazione di una realtà insopportabile perché mai affrontata. Sia il ritorno del figlio nei panni del nemico politico che la rivelazione dell'adulterio passato bastano a sconvolgere l'ordine precario di un mondo fermo, che aspira solo alla stabilità, alla conservazione di sé stesso (Costanza), o alla ripetizione e alla riproduzione del passato ( La piccola). Un mondo astorico e una utopia domestica che anticipano quelli di Vita e morte di Adria e dei suoi figli e di Gente nel tempo, in cui la volontà di un singolo individuo impone una specifica scansione del tempo ad un intero gruppo familiare, precipitandolo poi nel baratro.43 Note: 1 M. Bontempelli, Socrate moderno, novelle, Torino, S. Lattes & C., 1908. 2 Lettera manoscritta senza data, la cui busta porta il timbro postale da Ancona, 9 giugno 1908. È conservata nel fondo Formíggini, Archivio Editoriale Formíggini, Biblioteca Estense di Modena. Sul carteggio Bontempelli-Formíggini, si veda di F. Bouchard, Les Années d’apprentissage de l’écrivain: Massimo Bontempelli et Angelo Fortunato Formíggini, «Rassegna Europea di Letteratura Italiana», 32, dicembre 2008, pp. 111-123. 3 M. Bontempelli, Odi, Modena, A. F. Formíggini, 1910. 4 Si tratta del secondo volume di novelle di M. Bontempelli, uscito lo stesso anno (Amori novelle, Torino, S. Lattes & C., 1910). 5 Lettera autografa, datata «14 aprile [1910]». 6 Copia dattiloscritta datata «Modena 23 aprile 1910». 7 «Caro Bontempelli, / so che tu attendi il solito acconto di 5.000 lire per il manoscritto della Donna del Nadir, ma ti prego di considerare soltanto questo: fino ad ora noi abbiamo pubblicato: Eva ultima, che è una ristampa; La donna dei miei sogni e Nostra «Bollettino '900», 2010, n. 1-2, <http://www3.unibo.it/boll900/numeri/2010-i/> Dea, che erano già stati pubblicati in riviste e giornali; abbiamo rilevato e rilanciato i quattro volumi già editi dal Vallecchi; dobbiamo stampare il Neosofista Primo spettacolo Primi racconti raccolte tutte di materiale già pubblicato. Tu ci mandi ora La donna del Nadir che è anch’esso composto di scritti già noti. La morale di tutto questo è che tu ci dai gli originali, noi li stampiamo e ti diamo gli anticipi, ma i volumi stampati restano poi, com’è inevitabile, in magazzino. [...] / Ma ciò che più conta e più mi dispiace e più ti nuoce, è che fin quando tu non ci avrai dato un’opera originale, cioè assolutamente inedita, noi non potremo fare il lancio che di te e della tua opera io voglio fare» (Lettera datata «Milano, 18 novembre 1926», conservata dalla Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Fondo Arnoldo). 8 Lettera autografa datata «Roma 21 novembre 1926», stessa ubicazione. 9 Mondadori ristampa nel 1924 Eva ultima (Roma, Stock, 19231) e, nel 1925, ripropone Sette savi (Firenze, Baldoni, 19121; già ripreso da Vallecchi nel 1922), La vita intensa (Firenze, Vallecchi, 19201), La vita operosa (Firenze, Vallecchi, 19211), Viaggi e scoperte seguiti da La scacchiera davanti allo specchio che riunisce in un unico volume Viaggi e scoperte (Firenze, Vallecchi, 19221), La scacchiera davanti allo specchio (Firenze, Bemporad, 19221), e Nostra Dea («Comoedia», 10 aprile 1920). 10 M. Bontempelli, La donna dei miei sogni e altre avventure moderne , Milano, Mondadori, 1925. 11 Id., La donna del Nadir, Milano, Mondadori, 1928, p. 200-201. Questo passo non figura nella prima edizione dell’opera. 12 Ivi, p. 198 [Roma, La terza pagina, 19241, p. 92]. 13 Pubblicato nel 1929 a Roma dalle Edizioni "900" Sapientia, che erano subentrate alla società editrice La Voce nella pubblicazione della rivista dal fascicolo 5 (autunno 1927). 14 Una testimonianza sulla genesi dell’opera la porta Simona Cigliana riproducendo questa breve cronologia scritta da Bontempelli in calce a un foglio di appunti attinenti al romanzo: «1° appunti – marzo 1923 /, / cominciato 5-6 aprile 1926 /, / tentato di riprendere 20 febbraio 1928 /, / ripreso 12 agosto 1928 (da pp. 33)» (in M. Bontempelli, Il bianco e il nero, a cura di S. Cigliana, Napoli, Guida, 1987, p. 225). 15 Massimo Bontempelli, Costanza. Tragedia, Torino, Tipografia Editrice del «Piemonte», Mensio, Raselli e C., 1905. 16 Ha già pubblicato Egloghe (Torino-Genova, Renzo Streglio, 1904) e Verseggiando. Intermezzo di rime (Palermo, Sandron, 1905). 17 S. Cigliana, Una lunga avventura, in «L’Illuminista», V, 2005, nn. 13-14-15, pp. 118. 18 A questa lettera da Cherasco, il 17 settembre 1905, fa seguito un’altra, senza data ma del 1906 circa, dall’Aquila, in cui Bontempelli chiede a Bodrero di intervenire di persona «Bollettino '900», 2010, n. 1-2, <http://www3.unibo.it/boll900/numeri/2010-i/> (per «il nome che Bodrero ha nel "mondo" giornalistico romano») presso il capocomico Ettore Berti. Cfr. S. Cigliana (a cura di), A Emilio Bodrero (1903-1939), in «L’Illuminista», V, 2005, nn. 13-14-15, pp. 25-26. 19 La lettera, datata da Cherasco, il 17 settembre 1905 (come quella rivolta a Bodrero allo stesso scopo) sortisce un suo effetto: F. De Maria recensisce la tragedia sul quotidiano palermitano «L’ora» il 4 gennaio 1906, in un articolo in cui esprime serie riserve sull’opera. Bontempelli lo ringrazia due giorni dopo: «Grazie della tua recenzione, bella e onesta recensione di avversario artistico che sa amorosamente intendere quello che nell’arte è fuori e al di sopra di ogni scuola». Cfr. A.M. Ruta (a cura di), Lettere a Federico De Maria, in «L’Illuminista», cit., pp. 299-300. 20 M. Bontempelli, Costanza, cit., p. 19. D’ora in avanti, segneremo la pagina tra parentesi nel corpo del saggio. 21 «...ah come intesi / tutto l’ardore della mia Romagna, / tutto il sangue dei miei, Costanza: e quanto / strazio veder che il sol nemico interno, / in questa terra di liberi, fosse / proprio qui, questa casa, queste mura / ove tu eri, questi quattro miseri / contadini ingannati!» (Ivi, p. 78). 22 «Morte / non m’è nemica. In tanti affanni, sempre / m’ha risparmiato al tempo che morire / sarebbe stato doloroso troppo, / senza un saluto! Ora sarebbe troppo / dolce!» (Ivi, p. 63). 23 «E ci stavam foschi e abbattuti, in dubbi, / in ansie, quando si sparge una voce / che il Generale abbia deciso: – uscire, / restare armati, e volgerci all’Adriatico, / e raggiunger Venezia; e San Marino / era fra i punti di passaggio.» ( Ivi, p. 68). 24 «...Ero bambina, e m’han portata in questa / pianura morta, ed è morta mia madre, / qui, fra quest’aria piena d’ogni lutto». Ivi, p. 102. 25 Renato Simoni, La piccola. Dramma in tre atti di Massimo Bontempelli, in «Corriere della Sera», 11 febbraio 1915; ripreso con alcune mende («Da un pezzo una commedia non suscitava tanto calore di difese, tanta vivacità di opposizioni.») in Cronache della ribalta 1914-1922, Firenze, G. Barbèra editore, 1927. 26 «La Piccola» di Massimo Bontempelli, in «Il Secolo», 11 febbraio 1915. 27 Ibid. 28 M. Bontempelli, La piccola, dramma in tre atti, Milano, Istituto Editoriale Italiano, 1916. La rielaborazione del testo è stata notata da Barbara Nuciforo Tosolini nel breve capitolo che dedica alla Piccola in Il teatro di parola. Massimo Bontempelli, Padova, Liviana, 1976, pp. 18-20. 29 «E ora lei... lei è tornato qui, appena ha potuto, senza sapere perché: glie lo riconosco; proprio come il delinquente ritorna, senza sapere perché, sul luogo del delitto. Ma badi, «Bollettino '900», 2010, n. 1-2, <http://www3.unibo.it/boll900/numeri/2010-i/> badi che non ne nascano altri mali. Quali? Non so. Parla in me una specie di chiaroveggenza strana... Mi creda, dunque: vada via!» (M. Bontempelli, La piccola, cit., p. 29). 30 «Brucio da tanti anni per te: da quando ti ricordavo lontano, ed ero sicura che non ti avrei riveduto mai più. Ma il destino ti spingeva a me. Sei venuto a Roma, perché? Per amarmi. Non lo sapevi? Ora lo sai!» (Ivi, p. 41). 31 La Piccola di Massimo Bontempelli, in «Il Secolo», cit. 32 Renato Simoni, Cronache della ribalta, cit., p. 65. 33 Ibid.: «Che può avvenire ora? [...] Quale soluzione ci può essere per un così mostruoso nodo? La violenza contro il superstite, dopo tant’anni? L’odio contro l’adultera, ora che tutto è spento di lei e intorno a lei? "Ci vorrebbe un fatto nuovo", mormora Federico. Ed Elena che sente, dice: "Eccolo il fatto nuovo", e si uccide, piantandosi nel petto un piccolo pugnale». 34 Ivi, p. 68. 35 «Ti respingerò sempre, come ora. Non mi vedrai più. Lo prometto a lei, a questa ombra sacra. Lo prometto a Matilde...» (M. Bontempelli, La piccola, cit., p. 42). 36 Ibid.: «Che cos’hai detto? Perchè l’hai nominata? Tu, tu l’hai nominata, l’hai chiamata, tu... Matilde... Federico! Guardami. (Sempre più forte) Non lei, me! Guarda! Non puoi?... Ma allora, allora... [...] Tu, tu? L’amavi, sì. E... anche lei? anche lei? Era questo? era questo?». 37 Id., Costanza, cit., p. 107. 38 Id., La piccola, cit., p. 46. 39 «Ebbene: ve lo dico, a faccia a faccia: qualche cosa di me se n’è andato, per sempre, con lui. Ve lo nomino io, non ho paura: Federico. Sì, l’ho amato, come una pazza. E lo amo. Vedete (A Giovanni) che davvero non abbiamo più nulla da dirci». Ivi, p. 47. 40 Ivi, p. 48. 41 Ibid. Da mettere a confronto con questa battuta del duca: «Ma che hai? tu sembri ascondere / un’angoscia ed un’ansia, ch’io... Costanza! / Che hai? Che sai? Dimmi, t’impongo, subito: / che cos’hai dunque?» (Id., Costanza, cit., p. 89). 42 Id., La piccola, cit, p. 51: «Ah no... no, questo no... Hai detto questo? Ma non è vero, non è... è... Elena, ripeti... (Elena s’è abbattuta a terra. Palmieri corre a lei, gridando e barbugliando) ripeti quello che hai detto...Federico... e Matilde... Di’, dunque, parla... parla... (Quasi la tocca con le mani) muori, ma parla!... (Pausa. Elena rimane immota. Palmieri, spaventato, si scosta. Con voce strozzata) No, no, cos’ho detto?... niente, niente... Ho sognato una cosa... (Si abbatte macchinalmente sulla poltrona, e parla «Bollettino '900», 2010, n. 1-2, <http://www3.unibo.it/boll900/numeri/2010-i/> sommesso, divagando, con qualche risata falsa) Mi pareva che ci fosse Elena... invece sei tu... eh, eh... vieni un po’ qua... Uh, quanto ho dormito! e dormo ancora?...». 43 Nello stesso anno 1915, il 14 maggio, Bontempelli faceva rappresentare nello stesso teatro Manzoni di Milano un’altra opera teatrale, Santa Teresa, mai pubblicata. Di questo lavoro inedito, è conservato il testo manoscritto, datato del 1913, nell’archivio Massimo Bontempelli alla Getty Foundation a Los Angeles (Box 23 «Theater Manuscripts 19051935», Series II, Manuscripts 1904-1959). Riproduciamo nella sezione Testi rari la recensione che Renato Simoni pubblicò sul «Corriere della Sera» il 15 maggio 1915. Bollettino '900 - Electronic Journal of '900 Italian Literature - © 2010 <http://www3.unibo.it/boll900/numeri/2010-i/Bouchard.html> Giugno-dicembre 2010, n. 1-2 Questo articolo può essere citato così: F. Bouchard, Dalla tragedia al dramma: gli esordi teatrali di Massimo Bontempelli, in «Bollettino '900», 2010, n. 1-2, <http://www3.unibo.it/boll900/numeri/2010-i/Bouchard.html>.