Ricomincio da capo – (The Groundhog Day, 1993, Harold Ramis
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Ricomincio da capo – (The Groundhog Day, 1993, Harold Ramis
Ricomincio da capo – (The Groundhog Day, 1993, Harold Ramis, Usa, 103 minuti) scheda di Andrea Monda [pubblicato sul n.1/2005 di Religione Scuola Città rivista per la scuola della diocesi di Roma] “Ricomincio da capo” è titolo italiano di un film americano: “The Groundhog Day”, ovvero “Il giorno della marmotta”. Per una volta la traduzione italiana è stata felice, perché coglie il senso del film che può essere efficacemente espresso da questi versi di Cesare Pavese: “L'unica gioia al mondo/è cominciare./È bello vivere/ perchè vivere/ è cominciare,/sempre ad ogni istante”. Ma partiamo dall’inizio. In effetti è davvero difficile “sganciare” la trama dal commento. Come trama, ridotta all’essenziale, si potrebbe dire che è la storia di un uomo (Phil Connors) che si trova, per uno strano scherzo del destino, a vivere sempre lo stesso giorno. Le lancette del tempo si sono fermate al 2 febbraio e per mesi, anzi anni, da lì non si muovono. Solo quando Phil scoprirà l’amore, quello vero, profondo, puro, riuscirà a “spezzare le catene del tempo” e a dare un senso, una direzione di marcia, alla sua vita stagnante. Ma vediamo meglio come si sviluppa questa commedia ad un tempo divertente ma anche molto profonda (senz’altro la migliore prova per un regista “di genere” come Harold Ramis). Un mondo senza domani Phil Connors (l’ottimo attore Bill Murray, “scoperto” da Hollywood nella sua seconda giovinezza) è un meteorologo di una rete televisiva americana. Si trova, per la quarta volta consecutiva, a dover fare un servizio sulla tradizionale festa del 2 febbraio a Punxusatawney in Pennsylvania. Questa festa è chiamata appunto “il giorno della marmotta” perché prevede che una grossa marmotta (che, attenzione, si chiama proprio “Phil, il meteorologo”) debba uscire dalla sua tana e “annusare la sua ombra” per poi rientrare. Dal suo comportamento, e dalle sue smorfie, i “giudici” incaricati dal paese, alla presenza di tutto il villaggio raccolto nella piazza della marmotta, capiranno se l’inverno è ancora lungo o si può prevedere una primavera precoce. Strane coincidenze delle tradizioni: anche in Italia c’è qualcosa del genere applicato proprio al 2 febbraio, festa della Candelora (lo rivela il vecchio detto “se c’è il sole a Candelora, dell’inverno siamo fora, se piove e tira vento, dell’inverno siamo dentro”). Il tema delle “previsioni” e della prevedibilità della vita è infatti centrale. Phil, l’umano Phil, non è affatto contento di tornare per il solito noioso servizio da effettuare, per il quarto anno consecutivo, a Punxusatawney. Ci viene presentato come un tipo scorbutico e “primadonna”, snob e arrogante, soprattutto con i suoi “sottoposti”, cioè la piccolissima troupe che lo accompagna per il servizio: Larry, buono e goffo cameraman e Rita, carina giovane e gioviale produttrice (l’attrice Andie MacDowell). Tra l’altro Phil deve e vuole tornare subito a New York dove il giorno dopo stipulerà un nuovo contratto con un’altra, più grande, emittente televisiva e quindi considera quella trasferta in Pennsylvania come un’ultima noiosa “pratica” da archiviare. E’ insofferente soprattutto verso il caloroso ma anche pacchiano ambiente del paesino di Punxusatawney che vive “in fibrillazione” questa piccola festa, unico momento di “vita” e celebrità del paese nel corso dell’anno. Se queste sono le premesse, si intuisce subito che per Phil Connors l’obiettivo è tornare subito a casa, lasciandosi dietro le spalle, appena possibile, la chiassosa sagra paesana così come la vecchia emittente televisiva. E invece accade proprio l’imprevedibile: una tormenta, non prevista nemmeno da Phil, blocca l’intera troupe a Punxusatawney per la notte e quando Phil si risveglia, è, di nuovo… il 2 febbraio! Phil si trova costretto a rivivere quella giornata (infernale) per la seconda volta. Sconvolto e spaesato Phil vive per la seconda volta il suo “giorno della marmotta” e torna a dormire, per poi svegliarsi… al 2 febbraio! Lo scherzo del destino diventa un incubo, e dei peggiori. Phil viene preso dall’angoscia e si rifiuta di girare il servizio. Quelli della troupe non lo capiscono: solo lui infatti è cosciente di questo “blocco” del tempo a cui è sottomesso; per gli altri è tutto normale. A questo punto cerca aiuto, ma Rita è diffidente a causa del carattere sarcastico e così “poco gentile” del “vecchio” Phil. Rita però è una donna buona, pura e priva di malizia e alla fine cerca comunque di aiutarlo. Phil ottiene una visita medica e poi una psichiatrica: il primo aiuto non può che essere la scienza. Ma non c’è nessun risultato: lo stralunato psichiatra (interpretato dallo stesso regista) rinvia l’inizio della cura.. a domani! Il problema è tutto lì: Phil vive in un mondo senza domani. A questo punto il film scorre veloce facendo capire che quel 2 febbraio si ripete per il malcapitato Phil per settimane, mesi, anni e Phil, per uscire dal labirinto kafkiano in cui si trova, come si suol dire, “le prova tutte”. Pregi e difetti di un incubo All’inizio è preda dell’angoscia, non capisce quello che gli sta succedendo. Poi il suo forte egoismo lo spinge a cercare i vantaggi di quella situazione: se non c’è domani, questo è l’ultimo giorno della mia vita, pensa Phil e questo può avere i suoi aspetti positivi. La sequenza è molto divertente: vediamo Phil che si prodiga in tutte le trasgressioni possibili, di qualsiasi regola, morale e fisica. Ecco Phil che mangia fino all’inverosimile, commentando che questa situazione “sta cominciando a piacermi” (lui che all’inizio odiava tutto di quel luogo e di quel giorno); ecco che con l’automobile si mette a calpestare tutte le regole del codice della strada; eccolo che prova a flirtare con tutte le ragazze più carine del paese (con Nancy, arriva anche cinicamente a promettersi sposo fedele; tanto domani si ricomincia tutto da capo!); eccolo che, con estrema facilità (ha assistito a questa scena centinaia di volte), esegue un furto al vagone postale; eccolo che “deve” sfruttare tutti quei soldi nell’arco delle 24 ore (domani si ricomincia!) e quindi lo vediamo che passa una “notte brava” vestito da cowboy e “in sella” ad una sfarzosissima cadillac. C’è una specie di sorda disperazione in tutti questi eccessi (peraltro mostrati allo spettatore sotto il profilo più comico), come se Phil volesse “provocare il destino”, vedere fino a che punto l’uomo può spingersi, ricercare una via d’uscita o, in mancanza di questa, un modo per sfruttare la situazione e “godersela”. Ma restare bloccati nel tempo e nello spazio è anche, soprattutto, angosciante. Phil assapora il fiele di una situazione molto simile all’inferno: una vita senza storia, senza dinamismo, che non procede in nessuna direzione. Il “non-senso” assoluto. Phil scopre l’angoscia, quella radicale: se tutto è uguale la vita è un inferno. A questo punto tanto vale morire. Phil si suicida, per poi scoprire che anche quella non è una fuga. Nonostante la morte violenta (si va a schiantare con un camion in un burrone), Phil non muore definitivamente e si risveglia il giorno dopo, che è sempre il 2 febbraio. Lo vedremo “morire” nei modi più strambi: nella vasca da bagno provocandosi una scossa elettrica mortale, buttandosi dal cornicione di un palazzo… E’ interessante che la prima volta che decide per il suicidio, quella del camion, Phil rapisca il suo “omonimo” roditore, la marmotta e i due muoiano insieme in un abbraccio mortale. In realtà c’è un’identificazione tra i due, che l’omonimia sottolinea: Phil si sente come quella marmotta, i cui giorni scorrono uno uguale all’altro, chiuso nella sua tana da cui non vuole uscire e dalla quale viene prelevato solo per “dare spettacolo”. Anche Phil è rintanato nel suo io. E’ l’io senza il sé (di cui parlano tanti autori, da Pareyson a Marcel), è il contrario del “processo cumulativo” di cui parla il teologo Lonergan nella sua ricostruzione del concetto di “bene” (esso è infatti, secondo il gesuita canadese, “storico e cumulativo”, non è una linea retta ma una spirale, aperta che procede in avanti, ma non lo fa meccanicamente, come per inerzia). Questo bene, frutto di un’iniziativa autonoma dell’uomo, delle sue scelte libere e liberanti, quando si realizza segna le persone, lascia tracce, non solo private ma anche negli altri, nella comunità. Uscire dalla propria tana, quotidianamente C’è bisogno però di una “molla”, di qualcosa che spinga l’uomo a “ricominciare da capo”, a ricominciare dal sé (facendo morire l’io). E così avviene nel film: ad un certo punto, infatti, le cose cambiano. Il giorno rimane sempre lo stesso, il fatidico 2 febbraio, ma cambia il modo in cui Phil lo affronta. “Non è importante ciò che accade nella vita” diceva San Giovanni della Croce, ”ma come noi affrontiamo ciò che accade”. Cosa avviene? Phil si innamora. Ma veramente, non superficialmente. La dolce Rita, con la sua “pulizia”, interiore ed esteriore, incuriosisce il cinico e indurito Phil che, per la prima volta, smette di essere concentrato tutto su se stesso. Phil inizia a corteggiare Rita. E Rita, senza premeditazione, ma con la naturalezza dell’amore, di fatto comincia una specie di “pedagogia” nei confronti di Phil, tesa a purificare i suoi sentimenti. All’inizio di questo lungo ed estenuante corteggiamento (perché ogni giorno Phil deve ricominciare da capo) Phil dice semplicemente a Rita. “Mi interessi”. E’ significativo: Phil smette di osservare “il proprio ombelico” e comincia a guardarsi intorno e così facendo scopre l’altro, scopre che l’altro è interessante. Vengono in mente le parole di Etty Hillesum (scritte durante la prigionia nel lager!): “La vita è così curiosa e sorprendente e infinitamente ricca di sfumature: a ogni curva del suo cammino si apre una vista del tutto diversa. La maggior parte delle persone ha nella propria testa idee convenzionali su questa vita. Dobbiamo avere il coraggio di abbandonarle, dobbiamo osare il gran salto nel mondo e allora, allora sì che la vita diventa infinitamente ricca e abbondante, anche nei suoi più profondi dolori” e, accanto a queste, una frase tratta dal racconto L’attesa di Borges: “Non c’è un giorno, neppure di carcere o d’ospedale, che non porti una sorpresa, che non sia, controluce, una rete di minime sorprese”. Phil si rende conto ben presto che la sua vita è come quella di un carcerato eppure riuscirà (dopo un lungo e faticoso cammino) a capire che, proprio in quella condizione penosa, riesce a cogliere la luce che brilla in ogni piega anche minima della sua vita. In questo senso il personaggio di Rita è fondamentale, una specie di stella polare che guida gli incerti passi di Phil (sotto questo aspetto il film rivela alcuni punti di contatto con The Truman Show, già precedentemente presentato su questa rivista). Il primo approccio verso Rita è del tutto cerebrale e anche cinico: studiare l’avversario per trovare i suoi punti vulnerabili. E’ un corteggiamento ma assomiglia ad un assedio. Lui la lascia parlare per cercare di sapere tutte le informazioni possibili, utili per raggiungere il suo obiettivo: possederla (così come ha fatto in precedenza con le ragazze del paese). Ma Rita resiste, questa dialettica tra “resistenza e resa” (per citare Bonhoeffer) fa parte della natura dell’amore. La resistenza è dura, per entrambi le parti: quando Phil le dice “ti amo” lei risponde: “sei innamorato solo di te stesso” che in quel momento corrisponde ancora alla verità. E quando Phil fa un primo tentativo di approccio fisico volano gli schiaffi accompagnati dalla battuta di lei: “Non mi conosci nemmeno!”. L’altro è sempre un mistero, da accogliere. Phil è ancora invece “troppo meteorologo” e non accetta l’inesauribile alterità e imprevedibilità dell’altro, cerca ancora delle scorciatoie. Il mistero è imprevedibile Il suo problema in effetti è legato al suo mestiere: Phil è un meteorologo, uno che vive facendo le previsioni. Uno per cui tutto deve essere prevedibile, nulla lasciato al caso. E’ buffo in questo senso l’incontro con il vecchio amico di scuola Ned, che è un assicuratore, in fondo lo stesso mestiere e verso cui Phil prova un profondo fastidio fino al punto di prenderlo a pugni. In realtà questo aspetto ci permette una prima riflessione: l’uomo da una parte cerca sempre il controllo di tutta la sua vita, ma alla fine questo controllo assoluto non lo appaga mai. Ha bisogno anche di “sciogliersi”, di perdersi in un abbraccio di amore cioè di apertura all’altro, di abbandonarsi alla fede. Ha bisogno di pregare. Lo dice bene lo scrittore inglese C.S.Lewis: “nessuno prega per un’eclissi”. Un’eclissi è appunto un fatto meteorologico, un fatto che non interpella la nostra capacità di speranza, un fatto che ci scivola in modo epidermico. Ma ci sono altri fatti, più profondi, che sono quelli che danno senso alla nostra vita. Anche Phil scoprirà la forza liberante della preghiera. "L'uomo ha sempre trovato naturale adorare qualche cosa” scrive Chesterton nel saggio “L’uomo eterno,”…Egli si sente più libero quando è legato, si sente più alto quando si inchina…se non può pregare è come imbarazzato se non può inginocchiarsi è come in ceppi.”. E lo scoprirà nel dolore. La lenta pedagogia di Rita lo ha preparato, ed è ormai quasi pronto per guardare gli altri e il mondo con altri occhi, cogliere il mistero che lo circonda e che lo inabita. Gli manca ancora qualcosa: l’esperienza della morte, non quella fittizia che ha spavaldamente sperimentato nei suoi finti suicidi, ma la morte dell’altro, di chi gli sta accanto, di chi gli sta a cuore. E’ molto indicativa questa dinamica per cui Phil, nel momento in cui veramente incomincia ad amare Rita ecco che Phil incomincia anche a notare gli altri, con altri occhi, pieni di affetto e di com-passione. E incomincia anche a notare il mondo: “solo Dio può fare un albero”, osserva e, subito dopo, nei confronti dell’amore che Rita dimostra nei suoi confronti, afferma: “non sono degno”… quanta strada ha fatto l’arrogante Phil! L’amore verso Rita lo porta ad accostarsi agli altri con amore e generosità. A Larry, il goffo cameraman prima sempre bersagliato da battute sarcastiche, Phil arriva a offrirgli la colazione cercando anche di instaurare un rapporto, una relazione che non sia solo limitata alla fredda formalità del lavoro; gli dice: “noi non parliamo mai” (lasciandolo senza parole) e, conseguentemente, anche il servizio televisivo (rifatto mille e mille volte) verrà finalmente realizzato perfettamente, con una dose di umanità e di poesia che commuoverà tutto il paese. Il giorno perfetto Arriva un bel giorno che quel 2 febbraio sarà vissuto da Phil in modo perfetto. Ma Phil deve prima “morire”. E’ questo il cammino, l’unico, per la resurrezione. Dovrà morire innanzitutto rinunciando a Rita, o, meglio, rinunciando ai suoi schemi, alle sue “idee convenzionali” (avrebbe detto la Hillesum) su di lei: una bella donna, facile preda delle sue brame. Nella vita vera quella che davvero realizza la persona umana, Phil finalmente l’ha capito, nulla è facile e nessuno è preda, oggetto del desiderio e del possesso di qualcun altro. Il “vecchio” Phil, egoista e infantile, deve morire per far nascere l’uomo nuovo di paolina memoria. E’ tenerissimo la scena in cui Phil si addormenta tra le braccia di Rita, “rinunciando” alla sua lussuria. Ma non basta. Si sveglierà ancora “chiuso” nel suo 2 febbraio. Deve ancora fare un passo in avanti. Deve amare non solo Rita, ma anche gli altri, il prossimo. Sotto questo aspetto questa commedia si rivela un “dramma” grandioso che vede Dio protagonista: è come se Dio avesse preso in mano “le redini della vita” di Phil e lo obbligasse a un esercizio di lenta purificazione. Dio dice a Phil: ecco, ti rifaccio vivere ogni volta lo stesso giorno finché non lo vivi come si deve, come merita la tua natura di origine divina perché tu sei unico Phil, unico e irripetibile e finché non sarai “degno di te” io non ti mollo. Quell’incubo infernale del 2 febbraio è in realtà il modo misterioso della Grazia che permette la salvezza e la santificazione di Phil. E Phil alla fine lo capisce. Si rende conto che il tempo è una catena, a volte insopportabile, ma è anche un “giogo leggero”, un’occasione da riempire di bene e di bontà. E così decide di riempire le sue uniche, ultime 24 ore. Ecco che vediamo Phil che incomincia a sfruttare i talenti: s’iscrive a scuola di musica e diventa un pianista magistrale, si esercita come scultore del ghiaccio con risultati sorprendenti (e il ritratto di Rita che scolpisce è un momento davvero romantico). E poi, soprattutto, incomincia a fare del bene. A tutti, ad ognuno dei paesani di Punxusatawney, il villaggio una volta tanto detestato. E qui si inserisce l’episodio del barbone, una specie di film dentro il film. C’è un vecchio barbone all’angolo della strada che chiede l’elemosina. All’inizio del film, nel primo dei mille 2 febbraio ai quali assistiamo, Phil (e con lui tutti gli spettatori) nemmeno lo nota. E’ quello che succede spesso anche nella vita di tutti i giorni ad ognuno di noi (in questo senso il film si rivela, pur nel suo impianto “fantastico”, una pellicola di profondo realismo). I poveri spesso sono come una “macchia di colore” nel nostro panorama quotidiano, non sono soggetti che riescono ad attirare il nostro sguardo; magari gli diamo anche la nostra elemosina (come fa Phil), ma non li guardiamo in faccia, non incrociamo il nostro sguardo con il loro, non li fissiamo negli occhi… forse per paura. Sta di fatto che anche Phil non “vede” il barbone che, tutti i giorni, all’angolo di quella strada, gli tende la mano. Lo incontra, ma non lo vede. Una sera però, per caso, Phil si trova in una strada secondaria, un vicolo buio e sporco e lì si imbatte proprio in quel vecchio barbone che, steso sul selciato, rantola di dolore, agonizzante. Phil non ci pensa un attimo (siamo ormai quasi al termine della sua lenta “pedagogia”), prova compassione per il vecchio e lo porta all’ospedale dove però il vecchio morirà. Di fronte alla morte di quel vecchio a cui si è affezionato, Phil si ribella “Non è possibile!” dice. E l’infermiera: “E’ morto, a volte succede, la gente muore”. “Non oggi”, controbatte Phil. E così lo rivediamo il giorno dopo (che è sempre il 2 febbraio) prendersi cura tutto il giorno del vecchio, accogliendolo, nutrendolo, eppure…eppure, il fatto della morte non si può cancellare: ogni giorno, arrivata la sera, il vecchio muore. Per Phil ogni sera il dolore cresce, assomiglia al supplizio di Prometeo al quale ogni giorno l’aquila mangiava il fegato. Anche Phil, come Prometeo, nel momento dell’ennesima morte del vecchio, alza lo sguardo al cielo ma non per “rubare il fuoco agli dei” ma per innalzare una silenziosa preghiera. E’ la scena più intensa del film, quella più esplicitamente religiosa. C’è, nel dolore di Phil quasi la rabbia per non essersi accorto in tutti quei giorni precedenti della morte del vecchio. C’è sempre qualcuno che muore, ogni giorno, accanto a noi, e noi non ce ne prendiamo cura. A questo punto, dopo essere “morto” insieme al vecchio, Phil è davvero cambiato. Incomincia a curarsi degli altri, di tutti, a darsi senza alcuna riserva, a riempire la sua giornata (ha solo 24 ore, ma quante cose si possono fare in quell’arco di tempo!) di opere di bene. Nel finale di questa giornata perfetta Phil è diventato un “eroe” del paese, il “re” della festa e Rita non può (né ormai vuole) resistergli. Nel momento dell’abbraccio d’amore con Rita, Phil sembra accettare il ritmo della vita che vuol dire crescita, che vuol dire morte, che è fatto di piccoli momenti di morte che conducono alla vita e recita i versi “A dispetto del mio domani, sono felice perché ti amo”. L’amore è il segreto della vita, se lo si coglie il tempo non esiste, le sue gabbie si spezzano, la sua “ruota” implacabile smette di girare ineluttabile. E infatti, finalmente, il giorno cambia: Phil e Rita si svegliano al 3 febbraio, al termine di una “lunghissima giornata”, tutti e due insieme e insieme provano quei sentimenti di meraviglia, gratitudine e stupore senza i quali la vita appare come un assurda routine priva di senso. Un film pieno di spunti Da cinque anni io faccio vedere alle classi del triennio questo film che viene puntualmente molto apprezzato dagli studenti, anche per il tono leggero e divertente. Agli studenti chiedo poi di scrivere un commento al film, dandogli anche qualche spunto sotto forma di domanda del tipo “di cosa parla il film? Che tipo è il protagonista? Come cambia dall’inizio alla fine del film? Che tipi sono gli altri personaggi? Qual è il messaggio principale del film? Perché abbiamo visto questo film nell’ora di religione?”. A quest’ultima domanda voglio rispondere io, adesso. Come nel caso di The Truman Show, anche Ricomincio da capo è un film che esplicitamente non chiama praticamente mai in causa Dio ed è privo di riferimenti diretti alla religione o alla spiritualità. Ma un’opera d’arte si può chiamare religiosa o cristiana a prescindere dal suo soggetto e, può sembrare strano, anche a prescindere dalle intenzioni dell’artista (su questo argomento ha scritto pagine molto illuminanti il teologo Karl Rahner nei primi anni ’60 in alcuni articoli e saggi che meriterebbero la ripubblicazione). Ricomincio da capo è un film che movendo al sorriso lo spettatore lo spinge a riflettere su una vasta gamma di problemi e a muoversi all’interno di un orizzonte che, come ogni orizzonte che si rispetti, rinvia sempre a qualcosa di più grande, ad una dimensione posta “al di là”. Alcuni spunti che scaturiscono dal film sono stati già accennati ed evidenziati. Ma ce ne sono altri; per esempio uno spunto molto interessante è quello del rapporto tra Natura e Storia. Il giorno che si ripete sempre uguale è immagine efficace della concezione “naturalistica” del tempo, il tempo come cronos che porta con sé immutabilità e morte. E’ l’eterno ritorno dell’identico dei Greci e della loro visione circolare del tempo. A questa visione si contrappone quella lineare che troviamo nella Bibbia. La Bibbia racconta una “storia” e non una storia qualsiasi ma la Storia della Salvezza. Per l’uomo della Bibbia c’è un riscatto, c’è una redenzione, una via di fuga da un’esistenza altrimenti segnata dal Fato ineluttabile. Il tempo non è solo crònos ma è kairòs. L’uomo non è solo un essere naturale ma è un essere storico. Viene alla mente un antico detto africano che recita: “Nel tempo in cui Dio creò tutte le cose, il sole creò. Il sole nasce, muore e ritorna. Le stelle creò: le stelle nascono, muoiono e ritornano. L’uomo creò. L’uomo nasce, muore e non ritorna più”. Viene da pensare alla figura di Abramo che esce dalla sua terra e non vi fa ritorno. E’ lui il vero uomo che realizza se stesso, al contrario del greco Ulisse il cui viaggio alla fine è solo un ritornare. L’uomo per il cristiano è creatura, cioè viene “strappato” dal Nulla e condotto verso la pienezza dell’Essere. Nella dimensione cristiana non c’è alcun ritorno, alcuna nostalgia. La storia di Phil evidenzia perfettamente questa duplice dimensione. All’inizio è tutto chiuso in se stesso e ha come paura di aprirsi, cerca sicurezze e “luoghi conosciuti”: per lui l’amore è solo seduzione, non è mettersi in gioco, non è accettare anche di dipendere dall’altro. Piano piano la sua “conversione” lo porterà ad accettare la grande sfida dell’amore, ad abbandonarsi a quel “salto” (letteralmente “mortale”) che però costituisce il raggiungimento della propria realizzazione, attraverso la fede e l’amore. L’essere chiusi nel tempo è come essere chiusi dentro il labirinto. Scrive in proposito Elias Canetti che il “segreto” è “trovare il cammino attraverso il labirinto del proprio tempo, senza soccombergli, ma anche senza saltarne fuori”. Nei tentativi di suicidio che Phil attua c’è ad un tempo la voglia di soccombere e di saltare fuori dal labirinto della vita che appare come un nonsenso. Ricomincio da capo essendo un racconto su di un’esistenza segnata dal non-senso, dalla mancanza di una direzione, rappresenta una bella occasione per parlare del tema del senso della vita. E’ infatti facile “calare” e applicare la vicenda di Phil alla quotidiana esistenza di ogni uomo, anche di ogni studente. Questo film non è una “favola” ma qualcosa di molto realistico. C’è in questo senso una battuta formidabile del film, quando Phil descrive ad alcuni abitanti del paese la sua situazione di essere bloccato in una vita sempre uguale e si sente rispondere: “Mi sembra il ritratto della mia vita”. Phil non è un personaggio di una fantasia, è ogni uomo. Com’è la nostra vita? Pensiamo alla vita degli studenti. Non è forse vero che ogni giorno lo studente “fa sempre le stesse cose”? Ci si alza, ci si veste e si va, più o meno svogliatamente, verso la scuola dove la routine è purtroppo la regola. Esiste l’orario settimanale delle lezioni e tutte le settimane scorrono uguali, grigie. Quando un professore per un motivo qualsiasi si assenta creando una “falla” nell’organizzazione, si arriva a fare festa: la catena del cronos si è spezzata a favore del kairòs. Il film ci insegna però che le “falle” sono all’ordine del giorno, basta vederle, basta saper ricominciare ogni giorno da capo, come se fosse il primo giorno di vita, il primo della creazione. Se questo è lo spirito allora ogni istante che passa è un’occasione di felicità. Scrive Michael Ende che “Solo chi lascia il labirinto può essere felice, ma soltanto chi è felice può uscirne”. I nostri ragazzi (come noi adulti) cercano la felicità ma la cercano spesso nei posti sbagliati: nelle cose, nei beni, nell’”avere” e rischiano di spegnere il loro “essere”, la loro capacità di amare, di donarsi, di “perdersi” e di rinunciare. Rischiano di non cogliere il kairòs, la Grazia, la chiamata alla felicità più autentica e vitale. La poetessa polacca, premio Nobel, Wyslawa Szymborska esprime così questa fede nella vita”: “Non c’è vita che almeno per un attimo non sia immortale. La morte è sempre in ritardo di quell’attimo”. Un ultimo spunto, più prettamente etico. La condizione in cui si trova Phil lo costringe all’umiltà. Alla fine l’arrogante Phil capirà che oltre all’amore è l’umiltà la chiave per uscire fuori dal labirinto. La ripetitività del giorno è simbolo del doversi muovere per “tentativi”, proprio come un’artista (è questa una delle grandi lezioni offertaci dalla riflessione estetica del filosofo italiano Pareyson) anche l’uomo deve “formarsi”, formare e definire la propria opera d’arte che è la sua vita. Il che vuol dire imparare a “vedere” (Phil piano piano si accorge degli altri, di Rita, di Larry, del barbone…), ma anche a “ri-vedere”, a “rivedersi” per migliorare. Ne L’Azione, Maurice Blondel scriveva che “La maggior parte degli uomini si dà da fare per vedere quanto hanno ragione, invece bisogna darsi da fare per vedere in che cosa abbiamo torto”. Phil esce dal guscio dell’egocentrismo e, spostando il proprio baricentro (e questo spostamento è assai “duro”), riesce a vedere dentro se stesso e a correggersi. Solo facendo così potrà prendere la strada della perfezione e dell’eccellenza riuscendo alla fine a dare il meglio di se stesso. Duro cammino di purificazione (ma raccontato con humour e concretezza) Ricomincio da capo offre lo spunto anche per una riflessione sulla santità che non è una condizione di partenza (i santi non sono degli alieni), ma di arrivo, una conquista quotidiana, perché la vita è un processo cumulativo dove ogni piccola scelta, ogni minimo istante contribuisce alla composizione dell’intera “opera”. Santità e bellezza della vita, quella vita che è bella perché “L'unica gioia al mondo/è cominciare./È bello vivere/ perchè vivere/ è cominciare,/sempre ad ogni istante”: tutti temi che per adolescenti, per persone in crescita, risultano quanto mai interessanti e importanti.