Factoring e cessione dei crediti Dieci anni dopo la legge 52
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Factoring e cessione dei crediti Dieci anni dopo la legge 52
Factoring e cessione dei crediti Dieci anni dopo la legge 52 A cura di Giorgio Burchi e Alessandro Carretta ATTI DEL CONVEGNO 19 febbraio 2001 Indice Introduzione di Giorgio Burchi Il factoring a dieci anni dalla legge 21 febbraio 1991, n.52 di Giorgio De Nova Pag. 01 Pag. 03 Il factoring nella prospettiva europea ed internazionale di Aldo Frignani Pag. 09 Il factoring e le prospettive di riforma della legge fallimentare di Luciano Panzani Pag. 22 Tavola Rotonda La legge 52: ancora un oggetto misterioso? Introduzione di Roberto Ruozi Pag. 32 Factoring e legge 52: un traguardo o una tappa? di Piero Schlesinger Pag. 34 La legge 52 e la natura giuridica del factoring di Gustavo Visentini Pag. 38 Le finalità della legge 52 e la realtà operativa del factoring di Edoardo Ricci Pag. 42 La giurisprudenza dopo la legge 52 di Alberto Porro Pag. 44 La legge 52 e la prassi contrattuale di Renato Clarizia Pag. 49 Conclusioni di Giorgio De Nova Pag. 52 Il testo della legge 52/91 Gazzetta Ufficiale Serie generale n. 47 del 25.2.1991 Pag. 54 Giorgio Burchi Presidente Assifact Amministratore Delegato Mediofactoring S.p.A. Renato Clarizia Professore Straordinario di Istituzioni di Diritto privato nell’ Università Roma Tre Giorgio De Nova Professore Ordinario di Diritto civile nell’ Università degli Studi di Milano Aldo Frignani Professore Ordinario di Diritto privato della Comunità europea nell’ Università degli Studi di Torino Luciano Panzani Presidente del Tribunale di Alba Alberto Porro Avvocato in Milano Edoardo Ricci Professore Ordinario di Diritto fallimentare nell’ Università degli Studi di Milano Roberto Ruozi Presidente Onorario Assifact Professore Ordinario di Economia delle aziende di credito nell’ Università Bocconi di Milano Piero Schlesinger Professore Ordinario di Istituzioni di Diritto civile II nell’ Università Cattolica di Milano Gustavo Visentini Professore Ordinario di Diritto commerciale nell’ Università Luiss di Roma Introduzione di Giorgio Burchi Desidero rivolgere un caloroso benvenuto a tutti presenti ed esprimere un vivo ringraziamento agli autorevoli relatori e partecipanti alla tavola rotonda, che hanno accolto con entusiasmo l’invito loro rivolto dalla Associazione che qui rappresento. Molti invitati non hanno potuto essere presenti per precedenti impegni. In particolare desidero citarne due, il Presidente del Senato Senatore Nicola Mancino, che è stato uno dei promotori e primo firmatario della legge 52, ed il Ministro dei Lavori Pubblici Onorevole Nerio Nesi, che ha dato un notevole contributo alla diffusione dell’ intermediazione finanziaria non bancaria in Italia. Un ringraziamento particolare va al Gruppo Intesa, che ci ospita e che ha collaborato all’organizzazione del convegno, insieme alla Segreteria di Assifact, al prof. Giorgio De Nova che, oltre ai partecipare ai lavori di oggi, ha svolto il prezioso ruolo di coordinatore scientifico del convegno, ad al Segretario Generale dell’ Associazione, Prof. Alessandro Carretta. La ricorrenza del decennale della legge 52 ci offre l’opportunità di effettuare una verifica sull’attualità dei contenuti della normativa, di stabilire quali contributi essa ha offerto all’evoluzione del settore e di valutare, infine, se la stessa legge 52 si sia dimostrata aderente alle esigenze degli operatori del factoring. Il factoring italiano continua ad occupare una posizione di vertice nel panorama mondiale, mantenendo una quota di mercato di circa il 15% e si può dire che la sua corsa verso nuovi traguardi, almeno sotto il profilo dei volumi di attività, sembra lontana dall’ essere conclusa. Il mercato italiano ha dimostrato una eccellente vitalità anche nel corso del 2000: il volume d’affari ha fatto registrare un tasso di crescita del 25% rispetto all’anno precedente. Il settore è in continua evoluzione ; in questi ultimi anni sono stati riqualificati i prodotti, raffinati gli strumenti e le modalità di distribuzione. Se il factoring è stato introdotto e si è sviluppato principalmente come fonte di finanziamento si va da tempo sempre più affermando la tendenza ad apprezzarne la componente relativa ai servizi che rimangono, in prospettiva , un fattore di sicuro successo del settore. L’abolizione delle restrizioni ai movimenti di capitali e la globalizzazione in atto nell’economia hanno aperto nuove possibilità operative, nuovi mercati; esse impegnano anche le società di factoring in un notevole sforzo per soddisfare le esigenze della clientela. L’introduzione dell’ Euro consoliderà il mercato unico ma le difformità normative e regolamentari non faciliteranno lo sviluppo della nostra attività. Pag. 1 Mi auguro quindi che anche il nostro settore possa essere parte attiva nel processo di integrazione europea e che questo convegno rappresenti una favorevole occasione per stimolare l’avvio di una azione concertata che porti ad uniformare le normative a livello comunitario. Tale iniziativa non potrà che favorire una maggiore presa di coscienza da parte degli operatori, che dovranno essere pronti a raccogliere la sfida competitiva che il mercato unico impone. Per quanto riguarda l’attività associativa, ASSIFACT, Associazione italiana per il factoring, fin dalla sua costituzione, avvenuta nel 1988, si è proposta di rappresentare per le proprie Associate e per i terzi interessati all’attività di factoring un riferimento istituzionale ed operativo nel governo delle opportunità e dei problemi conseguenti alla crescita del mercato ed all’evoluzione della normativa. Vale la pena di ricordare che le attuali Associate rappresentano in pratica la totalità del mercato del factoring tradizionale, di matrice bancaria, anche attraverso la presenza di alcune importanti banche, che svolgono direttamente attività di factoring, ed una quota assai significativa del mercato cosiddetto "finalizzato", di matrice industriale. In particolare, la rappresentanza degli interessi della categoria e la fornitura di servizi agli Associati hanno sempre costituito ambiti rilevanti dell’ attività dell’ Associazione. Tra le iniziative di rilievo si segnalano il progetto e-Fact ed il sito Web associativo, che mirano a costituire una comunità virtuale del factoring, rivolti a favorire una tempestiva ed efficiente circolazione di materiali ed informazioni con le Associate e con potenziali clienti. In prospettiva, appare opportuno sviluppare, in particolare, il sistema delle relazioni con i soggetti promotori dell’ attività di factoring e con la clientela finale, il cui fabbisogno di conoscenze sullo strumento appare sicuramente ancora insoddisfatto. A tale proposito e’ stato avviato dall’ Associazione un nuovo progetto di comunicazione, con priorita’ alle iniziative rivolte a target particolari di destinatari (quali, ad esempio, enti pubblici e soggetti interessati alla cessione dei crediti da appalti), che saranno poste in essere principalmente con la diffusione di appositi materiali associativi e l’ organizzazione di convegni e giornate di studio. Sono certo che l’impegno che ha caratterizzato l’organizzazione del convegno e la presenza di relatori così autorevoli daranno vita ad un incontro vivo ed interessante che consentirà a tutti coloro che comunque operano nell’ambito della nostra attività di trarre utili e proficui suggerimenti. Ed ora la parola ai relatori, protagonisti del dibattito che ha condotto a suo tempo all’approvazione della legge 52, che hanno il compito di fare il punto sulla fattispecie della cessione dei crediti d’impresa e sui termini di applicazione della legge, ponendo in evidenza i punti fermi dell’ attuale legislazione ed alcuni profili di miglioramento, che potrebbero risultare utili per favorire un ulteriore sviluppo del factoring nel nostro Paese. Pag. 2 Il factoring a dieci anni dalla legge 21 febbraio 1991, n. 52 di Giorgio De Nova 1. Verso la legge n. 52/1991 1.1 Il quadro d’insieme All’inizio degli anni ottanta come si presenta il quadro della regolamentazione del sistema finanziario? E’ ancora in vigore la legge bancaria del 1936. E’ in corso la discussione sul “se e come” disciplinare gli intermediari finanziari non bancari (la seconda direttiva europea, che include fra l’altro il factoring tra le attività ammesse al mutuo riconoscimento è del 1989). E’ il momento della fioritura dell’ atipico e dei contratti atipici. Vengono presentati più progetti per la disciplina legislativa del leasing, nessuno dei quali andrà a buon fine. A Roma, presso la sede dell’ Unidroit, si sta elaborando il testo di una convenzione sul factoring internazionale (sarà sottoscritta a Ottawa nel 1988). In Italia il factoring viene attuato ricorrendo alla cessione dei crediti, dettata dal codice civile. Ma la disciplina degli artt. 1260 e seguenti de codice civile poco aiuta il factoring, almeno nella interpretazione che ne viene data: a) la cessione dei crediti in massa non è esclusa, ma non è disciplinata; b) la cessione dei crediti futuri non è disciplinata e la giurisprudenza la ammette solo a condizione che al momento della cessione sia già stato stipulato il contratto fonte dei crediti futuri; c) il divieto convenzionale di cessione è valido, per espressa previsione dell’ art. 1260, 2° comma cod. civ.; d) la cessione è opponibile ai terzi e al fallimento solo se notificata per ufficiale giudiziario (così interpreta la giurisprudenza di quegli anni il requisito della notificazione di cui agli artt. 1265 e 2914 del codice civile). Quanto ai crediti verso la Pubblica Amministrazione, la normativa vigente richiede la forma dell’ atto pubblico o della scrittura privata autenticata per la cessione, la notificazione per ufficiale giudiziario, l’adesione o il riconoscimento della cessione da parte della Pubblica Amministrazione. 1.2. La bozza di disegno di legge sul «contratto di fattorizzazione» Alla fine del 1982 una commissione di studio nominata da tre primarie società di factoring (Ifitalia, Factorit e Creditfactoring) ultimava i propri lavori. Il testo elaborato, di 19 articoli, si divideva in due titoli, l’uno dedicato al «contratto di fattorizzazione obbligatorio» (intendendosi per tale il contratto che obbliga il cedente ad offrire in cessione i propri crediti), l’altro dedicato al «contratto di fattorizzazione Pag. 3 traslativo» (intendendosi per tale il contratto che trasferisce i crediti anche futuri, con effetto dal loro venire ad esistenza). Il progetto prevedeva, ai fini dell’ opponibilità ai terzi, in sostituzione della notificazione, il deposito del contratto presso un apposito ufficio da istituirsi presso la Camera di Commercio (deposito facoltativo per il factoring c.d. obbligatorio, e invece obbligatorio per il factoring c.d. traslativo). Pur non disciplinando il factoring in modo completo e organico, questo testo si preoccupava di definire il nuovo contratto e di affrontare alcuni problemi della sua disciplina (l’esclusiva, la forma, la durata, il recesso, i rapporti con il fallimento e così via). I due aspetti più rilevanti della bozza di progetto erano il nuovo sistema di pubblicità e la previsione del contratto di factoring traslativo (anche di crediti futuri). Sottoposto all’esame pubblico in un convegno a Roma il 28 gennaio del 1983, il progetto suscitò attenzione, ma attirò anche non poche critiche, in particolare riguardo alla definizione del contratto e alla mancata previsione del requisito della professionalità dell’ attività del factor. 1.3. La bozza di disegno di legge sulla cessione di crediti di impresa. I rilievi critici, da un lato, e l’esperienza negativa vissuta nel frattempo dai progetti di disciplina legislativa del leasing, dall’ altro – queste, credo, le principali ragioni – indussero la commissione incaricata dalle tre società finanziarie – alle quali si erano nel frattempo aggiunte la Barclays Factoring e la Heller Factor – a cambiare strada e ad elaborare una bozza di disegno di legge non più sul «contratto di fattorizzazione», ma sulla «cessione dei crediti di impresa». In codesta bozza, di otto articoli, si introduceva il pagamento anticipato da parte del cessionario come criterio di opponibilità ai terzi, e più in generale si prefigurava il testo attuale. Alla fine del 1983 la nuova bozza fu sottoposta alla discussione di un ristretto collegio di esperti esterni, dei quali ho avuto la fortuna di fare parte. La decisione di limitare l’oggetto della disciplina alla cessione dei crediti di impresa accolse il generale consenso ed anzi indusse a suggerire di depurare la bozza di alcune disposizioni residue, che esulavano dal limitato oggetto prescelto: in particolare una disposizione sulle obbligazioni delle parti. Dai suggerimenti svolti in quella sede nacque una seconda bozza, che nella primavera del 1984 fu oggetto di un secondo incontro tra la commissione e gli esperti esterni. Di qui una terza e finale bozza, in sei articoli, che esce dalle commissioni di studio per divenire il disegno di legge n. 882 comunicato alla Presidenza in data 26 luglio 1984, per iniziativa dei senatori Lipari, Vassalli, Costi, Mancino e De Cinque ed Pag. 4 intitolato - con la sostituzione, per ragioni non chiare, di «acquisto» a «cessione»«Disciplina dell’ acquisto di crediti di impresa (Factoring)». Di qui nasce, infine, la legge 21 febbraio 1991, n. 52, dal titolo «disciplina della cessione dei crediti d’impresa». Dall’ excursus sui lavori preparatori della bozza di legge emerge una prima considerazione di sintesi. In un primo tempo fu tentata la via della disciplina del contratto di factoring, in un secondo momento si ritenne più opportuno di fronte alle difficoltà emerse predisporre una legge sul pi ù limitato (e insieme più generale) tema della cessione dei crediti di impresa. 2. La legge n. 52/1991 La legge si è posta due obiettivi principali: a) b) sancire espressamente la possibilità di cessione di crediti anche futuri; facilitare l’opponibilità della cessione ai terzi, ed in particolare al fallimento del cedente. Il legislatore ha intenzionalmente evitato di affrontare non solo i problemi attinenti alla disciplina del contratto di factoring, ma anche quelli attinenti alla cessione dei crediti. In particolare, non ha voluto affrontare tre problemi: a) quello della cessione di crediti alla Pubblica Amministrazione; b) quello dell’ opponibilità al factor del divieto di cessione del credito pattuito tra creditore e debitore; c) quello dell’ efficacia delle dichiarazioni del debitore ceduto. La nuova normativa offre quattro innovazioni: a) consente la cessione in massa dei crediti presenti e futuri anche se non è ancora stato stipulato il contratto da cui sorgeranno, alla sola condizione che tale contratto sia stipulato entro 24 mesi, e che sia indicato il debitore ceduto (art. 3); b) prevede come naturale negotii la garanzia del cedente della solvenza del debitore ceduto (art. 4); c) individua, nel pagamento con data certa (di una parte) del corrispettivo, un nuovo criterio di opponibilità (art. 5); d) prevede una disciplina fallimentare speciale (art. 6, 7). Prevede poi un albo: oggi confluito negli elenchi di cui all’art. 106 e all’art. 107 T.U.B. 3. Alcuni effetti della legge 52 3.1. La prassi contrattuale successiva. Entrata in vigore la nuova legge, si è posto il problema dell’ adeguamento dei vecchi contratti alla nuova disciplina. Pag. 5 A livello associativo vi è stato un notevole impegno in tal senso, sino all’elaborazione di un contratto-tipo. Più tiepide le singole imprese di factoring, un po’ per inerzie organizzative, un po’ perché non tutte erano disposte ad accedere alla costruzione del factoring come contratto che prevede la cessione con causa vendendi, in cui il factor è debitore del corrispettivo (e non un creditore che attende la restituzione di un finanziamento). 3.2. La giurisprudenza successiva. Per lungo tempo la giurisprudenza sulla nuova legge è stata molto scarsa. Per di più le corti si sono orientate ad escludere l’applicazione della legge n. 52/1991 ai vecchi contratti (così Trib. Genova, 17 luglio 1991, Giur. comm., 1992, II, 286; App. Genova, 19 marzo 1993, Trade Factoring c. Fall. Nuova Imps), e il Tribunale di Genova ha proposto una lettura riduttiva della nuova legge, sostenendo che essa non si applicherebbe ai contratti di factoring riconducibili al mandato (Trib. Genova, 17 ottobre 1994, Giur. comm. 1995, II, 697; Trib. Genova, 1° aprile 1999, Gius, 2000, 62). Solo alcune sentenze applicavano la nuova legge, nella parte relativa alla disciplina speciale del fallimento (Trib. Torino, 20 giugno 1915, Nuova Tecno Sistemi c. Epson; Trib. Milano, 20 marzo 1997, BBTC, 1999, II, 64). Solo di recente la giurisprudenza della Corte di Cassazione ha avuto modo di statuire che il factoring ha causa vendendi, ed è soggetto alla disciplina della legge n. 52/1991 (Cass. n. 4654/2000, e Cass. 18 gennaio 2001, n. 684), così rifiutando la lettura restrittiva del Tribunale di Genova. Occorre piuttosto osservare che nel decennio dell’ entrata in vigore della legge n. 52/1991 la giurisprudenza sulla cessione dei crediti di diritto comune ha affrontato e risolto alcuni nodi problematici. Così la Corte, con sentenza 12 maggio 1998, n. 4774, Centro Sviluppo Leasing c. Montepaschi Factor (una sentenza a me particolarmente cara, perché è una «mia» sentenza, dato che difendevo il factor) ha statuito che «l’opponibilità a terzi della cessione del credito non presuppone che la relativa notifica al debitore ceduto venga necessariamente eseguita a mezzo ufficiale giudiziario, costituendo quest’ultima una semplice “species” (prevista esplicitamente dal codice di rito per i soli atti processuali) del più ampio “genus” costituito dalla notificazione intesa come attività diretta a produrre la conoscenza di un atto in capo al destinatario. Ne consegue che, tanto ai fini di cui all’art. 1264, quanto a quelli di cui ai successivi art. 1265 e 2914 n. 2 c.c., la notificazione della cessione (così come il correlativo atto di accettazione), non identificandosi con quella effettuata ai sensi dell’ ordinamento processuale, costituisce atto a forma libera, non soggetto a particolari discipline o formalità». Nello stesso senso ha poi deciso Cass. 27 settembre 1999, n. 10668, in Contratti, 2000, 357. Pag. 6 Sugli obblighi di informazione del debitore ceduto, e sull’efficacia delle dichiarazioni del debitore ceduto la giurisprudenza è invece ancora alla ricerca di un punto fermo. Sul piano soggettivo, vi è stata dapprima una modificazione dell’ art. 1, e poi la “trasmigrazione” delle società di factoring dall’ elenco ad hoc agli elenchi di cui all’art. 106 e 107 T.U.B. Interessante notare quanto prevede l’art. 5, Dm. Tesoro 6 luglio 1994. Nel definire la nozione di attività nei confronti del pubblico, l’art. 5 esclude in linea di principio le operazioni intragruppo: ma l’esclusione non opera «in ipotesi di attività di finanziamento connessa con operazioni di acquisto di crediti da parte di società del gruppo ma vantati nei confronti di soggetti non appartenenti al gruppo». In tema di crediti verso la Pubblica Amministrazione l’art. 26.5 della Merloni aveva fatto sperare nella soluzione di tutti i problemi connessi alla natura della controparte, così disponendo: «Le disposizioni di cui alla legge 21 febbraio 1991, n. 52, sono estese ai crediti verso le pubbliche amministrazioni derivanti da contratti di appalto di lavori pubblici, di concessione di lavori pubblici e da contratti di progettazione nell’ambito della realizzazione di lavori pubblici». Si era infatti potuto pensare che il richiamo alla legge n. 52/1991 comportasse il superamento delle pastoie formali della cessione dei crediti verso la Pubblica Amministrazione. Ma l’art. 115 del Regolamento della Merloni (d.p.r. 21 dicembre 1999, n. 554) ha di fatto risolto solo alcuni problemi del rapporto con la Pubblica Amministrazione, con la disciplina che segue: «Art. 115 (Cessione del corrispettivo d’appalto) 1. Ai sensi dell’ articolo 26, comma 5, della Legge, le cessioni di crediti vantati nei confronti delle amministrazioni pubbliche a titolo di corrispettivo di appalto possono essere effettuate dagli appaltatori a banche o intermediari finanziari disciplinati dalle leggi in materia bancaria e creditizia, il cui oggetto sociale preveda l’esercizio dell’ attività di acquisto di crediti di impresa. 2. La cessione deve essere stipulata mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata e deve essere notificata all’amministrazione debitrice. 3. La cessione del credito da corrispettivo di appalto è efficace ed opponibile alla pubblica amministrazione qualora questa non la rifiuti con comunicazione da notificarsi al cedente ed al cessionario entro quindici giorni dalla notifica di cui al comma 2. 4. L’amministrazione pubblica, al momento della stipula del contratto o contestualmente, può preventivamente riconoscere la cessione da parte dell’ appaltatore di tutti o di parte dei crediti che devono venire a maturazione. 5. In ogni caso, l’amministrazione ceduta può opporre al cessionario tutte le eccezioni opponibili al cedente in base al contratto di appalto». Ulteriore richiamo alla legge n. 52/1991 si trova in tema di normativa sulla cartolarizzazione. L’art. 13, 3° comma, l. 23 dicembre 1998, n. 448, nel disciplinare la cessione e cartolarizzazione dei crediti INPS, statuisce espressamente che «alla cessione non si Pag. 7 applica l’art. 1264 del codice civile e si applica l’art. 5 della legge 21 febbraio 1991, n. 52». Norma per vero non chiara, perché l’art. 1264 cod. civ. riguarda l’efficacia della cessione nei confronti del debitore ceduto, mentre l’art. 5 della legge n. 52/1991 riguarda l’efficacia della cessione nei confronti dei terzi. Credo che si sia voluto (malamente) dire che la cessione diventa efficace verso i terzi non con la notificazione, bensì con il pagamento con data certa. La legge sulla cartolarizzazione del 30 aprile 1999, n. 130 non richiama, invece, la legge n. 52/1991. Tuttavia la società cessionaria, prevista dalla legge n. 130/1999, sembra avere i requisiti previsti dall’ art. 1 legge n. 52/1991, sicché si pone il problema dell’ applicabilità della legge n. 52/1991 alla cessione finalizzata alla cartolarizzazione: problema di non facile soluzione, sia per quanto riguarda la cessione dei crediti pretesi (che l’art. 1 della legge n. 130/1999 sembra ammettere senza limiti, neppure quello dei due anni quanto al periodo entro il quale deve essere concluso il contratto ponte), sia per quanto riguarda le due speciali discipline fallimentari dell’ art. 4 legge n. 130/1999 e degli artt. 6 e 7 l. n. 52/1991. Anche la direttiva 2000/35/CE del 29 giugno 2000, relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, interessa il factoring. 4. Prospettive e conclusioni A distanza di 10 anni dall’ entrata in vigore della legge n. 52/1991, a mio parere si possono trarre alcune conclusioni, e tracciare alcune linee prospettiche. Quanto alle conclusioni, mi pare sia stata felice la scelta di dettare una disciplina della cessione dei crediti di impresa, e non del factoring, lasciando alla autonomia delle parti disegnare le obbligazioni delle parti; il problema della disciplina dei soggetti è stato assorbito dal testo unico del credito; il riconoscimento esplicito della cessione dei crediti in massa e anche futuri ha rappresentato un importante momento di chiarezza; l’introduzione di un nuovo modo per rendere opponibile ai terzi la cessione ha perso significato, da quando la Cassazione è giunta a riconoscere che ogni forma di comunicazione rende opponibile la cessione ai terzi; la disciplina speciale fallimentare dovrà tener conto della riforma generale in itinere. Quanto alle prospettive, a mio parere vi è ancora qualche problema da risolvere, a suo tempo accantonato (la cessione dei crediti nei confronti della Pubblica Amministrazione, la non opponibilità al factor del divieto convenzionale di cessione); e soprattutto vi è la necessità di coordinare la legge n. 52/1991 con la normativa legale sopravvenuta (cartolarizzazione) e in corso di elaborazione (attuazione della direttiva sui pagamenti). In sintesi, si è fatto, con la legge n. 52/1991, qualcosa di utile. Ancora rimane del lavoro da svolgere. Pag. 8 Il factoring nella prospettiva europea ed internazionale di Aldo Frignani 1. Regole domestiche, esigenze del commercio internazionale, difficoltà di sviluppo della lex mercatoria Da almeno un secolo si è constatato che le regole nazionali dedicate al commercio internazionale sono inadeguate per i bisogni dello stesso; questo lamento è valido ancora nel XXI secolo nonostante gli indubbi progressi compiuti verso un diritto commerciale uniforme. Le esigenze del commercio internazionale implicano, prima ancora che velocità dei traffici, scarse formalità e semplicità dei comandi e divieti, delle regole uniformi in tutto il mondo. La lex mercatoria nel suo senso più ampio ha prodotto benemeriti frutti nel perseguire gli obiettivi sopra enunciati ( si pensi, ad esempio, agli INCOTERMS, ai crediti documentari, ecc.), tuttavia ha incontrato un ostacolo impenetrabile di fronte alle regole nazionali inderogabili in quanto radicate nella cultura giuridica ultracentennale dei vari ordinamenti ( si vedano le norme sul fallimento, quelle della tutela dei terzi in buona fede, ecc.). E’ qui dunque che la tecnica delle convenzioni internazionali di diritto uniforme rivela la sua funzione insostituibile, come più volte ribadito a livello UNCITRAL. Quanto detto sopra vale , in modo particolare, per i “crediti commerciali”, il veloce e sicuro smobilizzo (oltre che tempestivo pagamento) dei quali rappresenta una delle più sentite esigenze del commercio internazionale. A provare questo bastino pochi cenni: la raccomandazione della Commissione Europea n.95/198 del 12.5.1995 sui tempi di pagamento nelle transazioni commerciali, il cui articolo 2 richiede agli Stati iniziative atte a favorire tecniche di recupero dei crediti, quali il factoring.; ad essa si aggiunge poi il “grido di dolore” contenuto nel considerando n. 11 della direttiva del Parlamento e del Consiglio n.2000/35 del 29 giugno 2001, nel quale si lamenta che “non si è avuto alcun miglioramento nella situazione dei ritardi di pagamento dopo la raccomandazione del 12 maggio 1995” e si ribadisce al considerando n.9 che “ Le differenze tra le norme in tema di pagamento e le prassi seguite negli Stati membri costituiscono un ostacolo al buon funzionamento del mercato interno”2. 2. La concorrenza per dettare regole di diritto uniforme (Uncitral contro Unidroit) La concorrenza tra i legislatori del diritto uniforme si è fatta sentire anche qui, come era già successo nel caso della vendita internazionale, tra la convenzione di 1 Destinata ad essere recepita entro l’8 agosto 2000; vedine testo e commento di FAUCEGLIA in Contratti, 2001, 307 2 Sui danni derivanti da queste diversità si legga il considerando n.10: “Tale situazione limita notevolmente le transazioni commerciali tra gli Stati membri....L’applicazione di norme sostanzialmente diverse alle operazioni interne e a quelle transfrontaliere comporterebbe la creazione di distorsioni alla concorrenza”. Pag. 9 diritto uniforme dell’ Aja del 1964, che ha perso, e quella di Vienna del 1980, che ha sbaragliato la prima. La corsa all'unificazione sta ormai assumendo i connotati di un" ingorgo": tutti lavorano sul codice europeo dei contratti, tutti lavorano sul franchising, le migliori menti si dedicano alle "securities" ed alla cessione dei crediti. Questa concorrenza può essere deleteria quando si scelga lo stesso strumento (la convenzione) e l’oggetto sia totalmente o anche solo parzialmente sovrapponibile: eccetto infatti il caso in cui l’una sopprima del tutto l’altra, si porrà il difficile problema dei rapporti tra due strumenti di pari livello nell’ambito delle fonti. 2.1. La Convenzione UNIDROIT sul factoring internazionale. Con la legge 14 luglio 1993, n. 260, entrata in vigore il 1° maggio 1995, anche l’Italia ha ratificato la Convenzione UNIDROIT sul factoring internazionale3. Con l’entrata in vigore fra i primi sette Paesi ratificanti si è realizzato così un progetto, iniziato nel lontano 1974 dall’ UNIDROIT (Istituto Internazionale per l'Unificazione del Diritto Privato), diretto alla predisposizione di un testo che potesse comprendere le questioni più rilevanti sorte nell'operazione di factoring a livello inter-statuale 4. A. Nozione di factoring. La Convenzione prevede una definizione molto particolare, più vicina ad una descrizione di un fenomeno di tipo economico che non ad una nozione in senso stretto come inteso dai Paesi di civil law 5. Ai fini dell’ applicazione della Convenzione, il contratto di factoring è quello concluso tra un fornitore ed un factor, in base al quale: a) il primo può o si impegna a cedere al factor crediti sorti dalla vendita di beni (esclusi quelli per uso personale o familiare); b) il factor deve svolgere due fra queste funzioni 6: i) finanziamento; 3 Ai sensi dell’ art. 14.1, la Convenzione entrava in vigore sei mesi dopo il deposito del terzo strumento di ratifica; essa è ora in vigore nei seguenti Paesi: Francia, Germania, Lettonia, Italia, Nigeria, Ungheria. Per un primo diffuso commento v. FERRARI ,Il factoring internazionale(Commento alla Convenzione Unidroit sul factoring internazionale), Padova, 1999. 4 A questo riguardo, anche per un interessante approfondimento delle vicende che hanno caratterizzato i lavori preparatori della Convenzione, cfr. soprattutto CASSANDRO SULPASSO, Il factoring internazionale ed il progetto UNIDROIT, in MUNARI (cur.), Sviluppi e nuove prospettive della disciplina del leasing e del factoring in Italia, Milano, 1988, 26 e ss. 5 FRIGNANI, L’avan-progetto di legge uniforme su certi aspetti del factoring internazionale (Unidroit 1982), in Riv.dir.civ.,1983,97 (ora raccolto in FRIGNANI, Factoring, Leasing, Franchising, Venture capital, Leveraged Buy-Out, Hardship clause, Countertrade, Cash & Carry, Merchandising, Know-How, Securitization, 6°ed., Giappichelli, Torino, 1996, 72. 6 Il termine neutro “funzioni” è usato al posto di “servizi”: ciò è stato fatto per tener conto di quei compiti svolti dal factor , divenuto titolare dei crediti, nel proprio interesse. Cfr., ad esempio, DE NOVA, La Convenzione UNIDROIT sul factoring internazionale: il testo finale del progetto, in Riv. It. leasing, 1986, 799. Pag. 10 ii) gestione dei crediti; iii) incasso dei crediti; iv) garanzia contro l'eventuale inadempimento del debitore; c) la cessione deve essere comunicata ai debitori. La definizione è volutamente ampia perché scopo dichiarato della Convenzione è quello di ampliare il più possibile i tipi di factoring, frutto della prassi, ai quali essa si applica. Si può osservare innanzitutto che è sorprendente l'uso del potestativo "può" (cedere al factor). E' noto che in diritto italiano il contratto di factoring viene costruito o in termini di contratto obbligatorio (cui corrisponde esattamente la formula della convenzione di diritto uniforme "doit céder" o "will assign") o come contratto ad effetti reali: "cede" (a questa costruzione non corrisponde il "peut" o "may" della Convenzione). In una delle versioni precedenti era utilizzata l'espressione "il fornitore deve cedere", che era sembrata troppo restrittiva, in quanto non consentiva di applicare la Convenzione ai contratti che rappresentavano anche atto di cessione dei crediti (il che era possibile negli ordinamenti di derivazione francese, e non in quelli di derivazione tedesca); ma la soluzione della Convenzione ha concesso una "facoltà" ai fornitori (di cedere i crediti) che non dovrebbe rappresentare l'ipotesi più comune. Non notification factoring. Per l'art. 1.2 c deve trattarsi di una cessione in cui è previsto l'onere della comunicazione al debitore ceduto. Nel testo approvato a Ottawa è caduto il requisito che la comunicazione fosse per iscritto. Rimane dunque fuori dall’ ambito di applicazione il non notification factoring 7. Negli ordinamenti domestici questo tipo di factoring, pur diffuso, è soggetto a norme diverse (in particolare, ma non solo, per quanto concerne l'efficacia della cessione nei confronti di debitori ceduti): per esempio, esso non è regolato dallo U.C.C.; mentre in moltissimi ordinamenti (Italia, Inghilterra ecc.) il debitore potrebbe pagare al creditore originario liberandosi dall’ obbligazione. Soprattutto si voleva evitare di allargare la Convenzione fino ad applicarla ad una serie di transazioni bancarie internazionali, dove (forse) impropriamente si usa la nozione di "factoring", in quanto i crediti sono ceduti al solo fine di garanzia (e pertanto senza alcuna funzione economica). Sono esclusi i crediti che derivano da vendite di beni destinati ad uso personale, familiare o domestico. La formulazione sta ad indicare che deve trattarsi di crediti derivanti da attività d'impresa non solo per il fornitore, ma anche per l'acquirente dei beni. La formula si trova in Francia nell'art. 1 della Legge Dailly. A questa stregua una casa editrice che venda i libri a rate difficilmente potrebbe cedere i suoi crediti ai fini della Convenzione, a meno che essi siano strumentali all’impresa 7 Questa forma, ancora in uso in alcuni paesi, darebbe luogo a troppi problemi, se praticata nel factoring internazionale, per l’applicazione di norme di diritto interno divergenti; da altri questa forma è chiamata undisclosed factoring (cfr. SCHMITHOFF, Export Trade, VIII ed, Londra, 386). Pag. 11 dell’ acquirente. La limitazione ai rapporti "impresa-impresa" è voluta dalla convenzione stessa. L'uso del termine "funzioni" al posto di "servizi" (che ancora inquina la prassi contrattuale italiana e che irrobustisce la opinione che tende a risolvere il factoring in mandato all'incasso) è quanto mai opportuno poiché indica lo scopo economico dell’ operazione, mentre i servizi a favore del fornitore mal si concilierebbero con la pretesa del factor di gestire i crediti come propri e nel proprio esclusivo interesse. Infine si specifica che quanto stabilito per la vendita di beni si deve applicare anche alla prestazione di servizi (art. 1.3.). B. Ambito di applicazione (art. 2). La Convenzione si applica ai rapporti di factoring nel caso in cui il fornitore, il debitore ceduto ed il factor abbiano il loro stabilimento in Stati contraenti, oppure se il contratto di vendita e quello di factoring siano soggetti alla legge di uno Stato contraente8. Tuttavia, l'applicazione della Convenzione può essere esclusa ma solo in toto, da un accordo tra il factor e il cedente oppure tra il cedente e il debitore 9. Il carattere internazionale del contratto è stabilito con riferimento alla Convenzione di Vienna; infatti la Convenzione UNIDROIT si applica solo quando fornitore e debitore hanno i loro stabilimenti o centri operativi in Stati diversi e tutte le tre parti hanno i loro centri operativi in Stati contraenti oppure sia il contratto di vendita che quello di factoring sono disciplinati dalla legge di uno Stato contraente. Dunque la qualifica di internazionalità è riflessa, non derivando da elementi di internazionalità afferenti il contratto di factoring in sé stesso, bensì al rapporto di compravendita sottostante. Rientrano nel campo di applicazione della Convenzione sia il “two factor system” che il “direct import” e il “direct export” factoring. La norma di cui all’art. 2.1 lett. a) conduce all’applicabilità diretta della convenzione nel senso che quando sussistono i requisiti rationae materiae e di internazionalità essa si applica direttamente se tutte le parti hanno la propria sede d’affari in Stati concorrenti. C. Crediti futuri. L'art. 5 regola il caso della cessione dei crediti futuri, disponendo che il factoring è valido, anche se il contratto non individua i crediti, a condizione che essi siano determinabili in base al contratto stesso; inoltre, non è necessario un ulteriore atto di cessione per trasferire i crediti futuri. Si è così accolta una soluzione in glese in base alla quale si superava il principio dell’ intrasferibilità dei diritti di credito proprio 8 La Convenzione si applica ai rapporti di factoring derivanti da contratti di fornitura tra le parti aventi lo stabilimento in Paesi differenti e che sono al contempo Stati contraenti; oppure quando il contratto di fornitura e quello di factoring sono regolati dalla legge di uno Stato contraente (cfr. SALINGER, Special Considerations For International Factoring, in AA.VV, Factoring Law and Practice, London, 1991, 268). 9 Per un esame delle problematiche sottese a tale norma cfr. ancora SALINGER, Special Considerations, cit., 268. Pag. 12 della common law per mezzo dell’ equitable agreement, con la conseguenza che il cessionario acquistava titolo diretto nei confronti del debitore. Dunque la norma rende possibile il trasferimento anche dei crediti futuri in quanto vengono descritti in modo sufficiente da far ritenere che il contratto vi si applichi e li contempli; non è ammessa la cessione dei crediti la cui identificazione rimanga incerta. Rilevanti sono gli aspetti di novità della norma per molti ordinamenti nazionali. Quanto agli effetti della cessione di crediti futuri, che sono trasferiti al momento della nascita, senza che sia necessario un nuovo atto di trasferimento, nell'ordinamento italiano una soluzione del genere è ammessa in quanto il contratto si strutturi come contratto ad effetti reali e non come obbligatorio. La normativa uniforme è quindi assai vicina a quella attualmente vigente in Italia (lg. n. 52 del 21.2.1991). D. Patto di incedibilità. L'art. 6 affronta uno dei punti più dibattuti nel corso dell’ elaborazione del progetto, quello di opponibilità al factor del divieto di cessione dei crediti previsto dal contratto tra fornitore e debitore. Il testo redatto dal gruppo di studio del 1982 decideva per l'inopponibilità del patto al factor cercando di imporre a livello internazionale la regola che lo Ucc (sec. 9.318.4) aveva imposto negli Stati Uniti e che da lì si era estesa in Canada. Varie delegazioni governative facevano peraltro osservare che la regola costituiva una grave deroga al principio della autonomia delle parti 10 e ne chiedevano l'eliminazione. I sostenitori della opposta opinione facevano osservare che la regola della inopponibilità avrebbe facilitato lo sviluppo del factoring internazionale, che il divieto convenzionale è contenuto nelle condizioni generali di contratto delle grandi imprese (in genere committenti) ed imposto alle piccole imprese (in genere loro fornitori) e che l'impedire l'accesso al factoring ai piccoli creditori sarebbe stato per loro un grave handicap non comparabile con lo svantaggio che da esso sarebbe derivato ai grandi debitori. In seguito a vivaci discussioni è stato fissato il principio secondo cui la cessione al factor è efficace nonostante il patto di incedibilità. La regola è stata tuttavia temperata dal fatto che la cessione non è efficace nei confronti del debitore, 10 La resistenza alla regola della inopponibilità basata sul fatto che essa violerebbe il principio della libertà contrattuale delle parti mi pare la esagerazione ad arte di un pericolo inesistente. Benché io sia stato sempre piuttosto tiepido nei confronti di norme a tutela del c.d. contraente debole, soprattutto quando si tratta di un imprenditore, devo tuttavia ricordare che molti ordinamenti nazionali, che ancora accolgono la regola della opponibilità del divieto di cessione (quali ad es. l’Italia e la Germania: par. 399 BGB), sono pieni di norme imperative che limitano la libertà delle parti a vantaggio di una sola di esse, senza che ciò abbia mai fatto gridare allo scandalo per contrarietà alla autonomia delle parti. Mi limito qui a citare per l’Italia le norme inderogabili sulla vendita con riserva di proprietà e per la Germania la AGBG del 1976, applicabile in base al par. 12, anche ai contratti tra imprenditori. Per il travaglio che in Italia ha portato all’attuale formulazione dell’ art. 1260, comma 2, rinvio a DE NOVA, Il patto di incedibilità del credito e l’art. 4 del progetto Unidroit sul factoring internazionale, in Riv. It. Leasing, 1986, 5. Pag. 13 se lo Stato ove egli ha sede ha espresso la riserva a norma dell’ art. 1811. La norma è stata infine rivista con l'inserimento dell’ ultimo comma dell’ art. 6 della Convenzione che sancisce il rispetto della buona fede: di conseguenza, viene prevista una responsabilità da parte del fornitore - cedente nei confronti del debitore. La conclusione è stata un compromesso che comunque si avvicina alle soluzioni statunitensi 12, pur ripescando un obbligo di buona fede fra fornitore e debitore nel caso di una cessione nonostante il patto di incedibilità. E. Accessori del credito. L'art. 7 si occupa del trasferimento al factor, oltreché del credito, degli altri diritti derivanti dal contratto di fornitura (di beni o servizi). Nella Convenzione il principio sembra essere quello per cui il credito si trasferisce "nudo" e spetta alla volontà delle parti (nello stesso contratto o con atto separato) provvedere al trasferimento 13.La norma, comunque, facilita la circolazione internazionale dei crediti14. La norma nei Paesi di civil law è diversa: come regola generale il credito si trasferisce con gli accessori (privilegi, garanzie reali e personali, ecc.) (v. l'art. 1263 c.c. it.). Si ritiene però che la norma sia derogabile. E' ovvio inoltre che questa regola vale solo tra le parti, perché nei confronti dei terzi è lasciata ai singoli legislatori la facoltà di dettare regole diverse. F. Efficacia della cessione nei confronti del debitore ceduto. L'art. 8 disciplina gli obblighi del debitore nei confronti del factor. Egli deve pagare al factor solo se si verificano due condizioni, una positiva, l'altra negativa. La prima consiste nella comunicazione della cessione, proveniente dal fornitore oppure anche dal factor, ma dietro potere conferitogli dal fornitore, che deve identificare in modo ragionevole i crediti ceduti, specificare il factor al quale o per conto del quale il debitore dovrà pagare, riferirsi a crediti nascenti da un contratto concluso prima o al momento in cui essa è data. La condizione negativa è che il debitore non abbia conoscenza di un diritto prevalente di un terzo: nella sua stringatezza l’espressione non mancherà di provocare dubbi interpretativi, volti soprattutto a stabilire il grado di diligenza richiesto al debitore per accertare quando la pretesa del terzo costituisca un "diritto" che prevale su quello del factor (è incerto se si dovrà ricorrere al criterio della "buona fede", che il testo precedente si sforzava almeno di menzionare). Secondo l’Explanatory Report, l’art. 8.1 è fonte, per il debitore, di un vero e proprio obbligo di 11 Come ha fatto la Francia: cfr: BERAUDO, Le nouveau droit de crédit-bail internationale et de l’affacturage internationale (1er mai 1995), in Sem. jur., 1995, chr 185. 12 Su cui FRIGNANI, Quando il legislatore affronta il factoring, ora raccolto nell’op.cit., 105. 13 In merito si veda già FRIGNANI, Il factoring: modelli europei e convenzione di diritto uniforme, in Atti del Convegno: Factoring ed Impresa: due realtà a confronto, Torino, 16 novembre 1989, ora in ID., Factoring, Leasing ..., cit., 111. 14 Così ZACCARIA, Il factoring internazionale, in Stud. iur., 1996, 9. Pag. 14 verifica del rispetto delle modalità della comunicazione15. Secondo noi si tratta più propriamente di un onere, la mancata osservanza del quale comporta che il debitore abbia pagato male al (presunto) cessionario. La seconda condizione non si rinviene nel diritto italiano (art. 1264 c.c.), che offre una regola sicura solo per la doppia cessione dello stesso credito (ipotesi dell’ art. 1265 c.c.). Quanto alla forma della comunicazione, si dice solo che deve avvenire per iscritto (comprendendo ogni mezzo di telecomunicazione che consenta la riproduzione in forma materiale)16, saltando così completamente gli arcaici riferimenti alla “notifica” che tanto hanno affaticato i giuristi di alcuni paesi (in primis l’Italia) G. Eccezioni opponibili al factor. L'art. 9 disciplina le eccezioni che il debitore può opporre al factor: egli può azionare tutti i mezzi di difesa che avrebbe avuto se a chiedergli il pagamento fosse il fornitore (art. 9, primo comma). La regola, di origine legislativa o giurisprudenziale, si trova in molti ordinamenti (Italia, Belgio, Francia, ecc.)17. L'art. 9, secondo comma, riguarda la compensazione: il debitore può opporre in compensazione al factor tutti quei diritti esistenti e che avrebbe potuto far valere contro il fornitore, al momento della comunicazione della cessione. La norma, che deroga al disposto dell’ art. 1248, comma 2°, c.c. it. è tratta dal diritto inglese 18 e si inquadra nella filosofia generale del progetto di non mettere il debitore in una posizione né migliore né peggiore di quella in cui si troverebbe se il credito non fosse stato fattorizzato19. H. Diritto del debitore di ripetere il pagamento. L'art. 10 affronta un delicato problema di rapporti tra fornitore e debitore, da un lato, e tra debitore e factor, dall’ altro. L'art. 10 afferma il principio secondo cui il debitore deve agire - in caso di inadempimento del contratto di vendita -contro il fornitore non contro il factor. L'art. 10.2 soggiunge che il debitore può, tuttavia, recuperare quanto ha pagato al factor, se quest'ultimo non ha corrisposto alcunché al fornitore, o se lo ha fatto pur essendo a conoscenza della mancata esecuzione del contratto di vendita (ed in quei limiti). Quest'ultima precisazione, richiesta dai rappresentanti della Germania e dell’ Austria si allinea ad una regola comune ai 15 In questo senso, si v. CALZOLAIO, Il factoring in Europa, Milano, 1997, 138. Cfr. REBHANN, DasUnidroit Ubereinkommen über das internationale Factoring (Ottawa 1988), in Rabels Zeit., 1989, 612. 17 Per il Belgio v. App. Bruxelles 24 febbraio 1977; Juge de Paix Etterbeek, 5 febbraio 1979 (altre citazioni in CALZOLAIO, Il factoring in Belgio e in Italia: spunti per una comparazione, in Riv. It. Leasing, 1994, 64); per la Francia App. Paris 26 giugno 1958; Cass. 9 maggio 1977. 18 Business Computers Ltd. v. Anglo - African Leasing Ltd., (1977) All ER, 741. Mentre il suddetto limite temporale non esiste per le ragioni di compensazione basate sullo stesso contratto dal quale è sorto il credito: The Government of Newfoundland v. Newfoundland Railway Co., (1888) 13 A.C., 199. 19 In senso conforme, di recente, FERRARI, Principi generali inseriti nella convenzione internazionale di diritto uniforme: l’esempio della vendita, del factoring e del leasing internazionali, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1997, 672. 16 Pag. 15 paesi della famiglia romano-germanica secondo la quale in caso di mancata esecuzione l'acquirente ha diritto alla restituzione del prezzo oltreché ai danni. Il primo comma è sistematicamente coerente, secondo l’autonomia del negozio di cessione del credito rispetto al contratto dalla cui esecuzione è nato il credito, mentre le eccezioni del secondo comma mirano a facilitare al debitore la possibilità di azione in restituzione, quando ciò non danneggi il factor (di cui è giustamente sanzionata la malafede, ma salvaguardato l’affidamento incolpevole). I. Cessioni successive. L'art. 11 si comprende se si tiene presente che per la Convenzione il carattere internazionale del factoring sussiste già per il fatto che il contratto di vendita è internazionale (art. 2): la Convenzione è dunque applicabile anche se il fornitore e il factor oppure il debitore e il factor sono dello stesso Paese. L'art. 11 è volto, appunto, ad estendere l'applicazione della Convenzione anche al caso, frequente, per non dire tipico, in cui il credito viene ceduto dall’ esportatore ad un factor del proprio Paese (export factor) e dall’ export factor ad un factor del Paese dell’ importatore (import factor). Degno di nota l'art. 11.2, che tiene conto della prassi corrente, in cui al debitore ceduto viene notificata solo la cessione dell’ import factor, e non la cessione dal fornitore all'export factor. Questa è la norma che ci saremmo aspettati di trovare all'inizio della convenzione, perché introduce la figura normale in una operazione di factoring internazionale e cioè il quarto soggetto: accanto al fornitore, al debitore ceduto ed al factor del fornitore, di solito c'è il factor del Paese del debitore ceduto a cui il primo factor ha ceduto il credito. La seconda cessione è regolata dalle norme della prima cessione con riferimento agli artt. da 5 a 10, mentre gli artt. da 8 a 10 si applicano come se il cessionario medesimo fosse l’impresa di factoring20. Si è lasciata però la possibilità che il primo contratto di factoring impedisca una nuova cessione del credito (art. 12): della contrarietà di questa norma con il concetto stesso di factoring internazionale e con tutti gli obiettivi della convenzione non c'è tuttavia chi possa dubitare. L'art. 12 esclude l'applicazione della Convenzione alle cessioni successive che siano proibite dal contratto di factoring. L. Questioni ancora aperte. La completezza della Convenzione di diritto uniforme è stata compromessa dalla volontà dei rappresentanti governativi di giungere ad un testo generalmente accettabile. 20 Per un più ampio commento, si v. CORTESI, Il Factoring Internazionale.... , a cura di FERRARI, cit., sub art.11, 355 ss. Pag. 16 A dire il vero, il risultato non è stato quello sperato anche perché, dopo l'iniziale costituzione di un Comitato di studio formato dai migliori esperti della materia, si è insediata una Commissione di esperti governativi (dal 1981 al 1987) che ha preferito diplomaticamente realizzare una bozza con un minimum accettato ed accettabile da tutti. Tale documento è stato presentato alla Conferenza finale, tenuta ad Ottawa nel maggio 1988, che, dopo alcune piccole modifiche, ha approvato il testo finale, aperto alla firma degli Stati partecipanti a partire dal 28 maggio 1988 21. Per questo motivo sono rimaste aperte alcune questioni, anche molto importanti, riguardanti la disciplina del factoring22: la Convenzione non tratta il delicato problema dell’ efficacia della cessione nei confronti dei terzi, nonostante la presenza di efficaci sistemi di pubblicità nei Paesi del Nord America23. Non sono stati regolati i rapporti tra i factors e i loro clienti preferendo non violare l'autonomia contrattuale delle parti. Infine, la materia fallimentare è stata ritenuta troppo complessa per cui fin da subito si è preferito non porre mano ad una materia così delicata24. In conclusione, la Convenzione di Ottawa, pur con i limiti sottolineati e con i troppi rinvii al diritto privato internazionale, costituisce uno strumento normativo importante per lo sviluppo del factoring internazionale25. Il prezzo tuttavia è alto: per un verso sono riemerse soluzioni tipicamente nazionali (il che non è in linea con il perseguimento dell’ unificazione dei diritti), per un altro verso si è dovuto rinunciare a disciplinare alcuni punti (per esempio quello sulla opponibilità ai terzi, con grande rammarico della business community) sui quali 21 Per un approfondimento delle questioni più rilevanti oggetto di vivaci dibattiti e discussioni vedi REISMAN, The Uniform Commercial Code and the Convention on International Factoring, 22 UCC Law Journal, 1990, 320 e ss. 22 Sull’insieme dei problemi che la Convenzione ha lasciato senza soluzione vedi DE NOVA, Il progetto UNIDROIT di Convenzione sul factoring, in Dir. Comm. Int., 1986, 716. 23 Per citare il problema sul quale si è soffermata più a lungo l’attenzione dei redattori, si pensi a chi dovrebbe prevalere (priority) nei conflitti fra factor e terzi (escluso il debitore), ma qui ci si è scontrati con contrasti troppo difficili a risolvere: tra dare preferenza alla parte più bisognosa di tutela (come fa la giurisprudenza canadese in materia di sale-agents); oppure priorità a chi per primo iscrive in pubblici registri (come avviene negli Stati Uniti con lo UCC), oppure prevalenza a chi notifica per primo (come avviene in Italia, ex art. 1265 c.c.). Il dibattito impinge qui nel cosiddetto “diritto di sequela”( droit de suite, tracing) che tocca regole ed istituti talmente radicati e peculiari ai singoli ordinamenti (il trust, i privilegi, la riserva di proprietà ecc.) (v. in Inghilterra, Aluminium Industrie Vaassen BV v. Romalpa Aluminium Ltd., (1976) 2 All ER 552; ed il dibattito su di essa tra GOODE, The Right to Trace and its Impact on Commercial Transaction, in 92 Law Q. Rev., 1976, 547; e McNAUGHTON, Priorities in Equitable Trace Rights and Assignments of Books Debts, ivi, 1980, 90), il cui cambiamento avrebbe significato uno scossone troppo forte. Si pensi qui solo alle difficoltà che incontrano, in sede Cee, i lavori per giungere ad una direttiva (da tutti auspicata) sulla vendita con riserva di proprietà. Ci si era resi conto che c’erano ancora tre grossi problemi sul tappeto: proteggere il terzo acquirente in buona fede; rapporto tra factor e fallimento; liberare il debitore che paga in buona fede: solo all’ultimo problema si è data risposta nell’art. 8. Agli altri due problemi, nella diversità delle norme nazionali, che evidenziano principi opposti e non conciliabili o nell’impossibilità di modificare principi generali (in tema di contratti bancari, di procedure fallimentari ecc.) solo per il factoring, non si è saputo trovare risposta e la soluzione è rimasta fuori dalla normativa uniforme. Cfr. GOODE, in Unification, 102; GAVALDA, Perspectives et réalités juridiques de la Convention dite d’affacturage, in JCP, 21 settembre 1989, n. 38. 24 Cfr. FRIGNANI-BELLA, Il factoring: la nuova legge italiana in Giur.it., 1991,IV,481 ,ora raccolto nell’op.cit., 539 e ss. 25 Per il punto di vista dei redattori della convenzione MONACO, Due recenti Convenzioni in materia di commercio internazionale, in Documenti Giustizia, 1988, n. 12, 26; PANZERA, Brevi note in tema di “factoring” internazionale, in Giur. It,. 1993, IV, 349. Pag. 17 le delegazioni governative non sono state pronte a rinunciare alle soluzioni tradizionali "domestiche". 2.2. Il progetto di convenzione UNCITRAL sulla cessione dei crediti nel commercio internazionale. I lavori dell’ UNCITRAL prendono avvio nel 1992, 4 anni dopo la firma della Convenzione di Ottawa, ma prima ancora che quest’ultima entrasse in vigore26. I lavori sono stati affidati ad un gruppo di lavoro sulle International Contract Practices che nella 23° sessione tenutasi a Vienna nel dicembre del 2000 ha preparato il testo definitivo da sottoporre alla 34° sessione dell’ UNCITRAL, prevista a Vienna nel luglio del 2001. Il progetto di convenzione sulla cessione dei crediti nel commercio internazionale contiene 47 articoli, più altri 9 con le regole sull'opponibilità (priority) che sono in un allegato. Per quanto riguarda il campo di applicazione, la convenzione si applicherà alla cessione di crediti internazionali (quando cedente e debitore sono situati in Stati diversi) o alla cessione internazionale di crediti (quando cedente e cessionario sono situati in Stati diversi) (artt.1 e 3). L’art. 4 enumera le cessioni escluse dal campo di applicazione della convenzione, e cioè : le cessioni per scopi personali, famigliari o domestici;27 mediante titoli di credito, e quelle fatte come parte di un trasferimento di azienda. Sono anche esclusi certi tipi di crediti in ragione della loro natura od origine: ad esempio transazioni di borsa, depositi bancari, lettere di credito o garanzie autonome ed altri ancora (derivanti da cessioni di mobili registrati, ecc.). La nozione di crediti cui si applica la convenzione è fornita implicitamente dall’ art.2: si tratta del diritto al pagamento di una somma di denaro derivante da un contratto (inclusa la prestazione di servizi); rimangono dunque fuori i crediti derivanti da responsabilità extracontrattuale, i crediti nei confronti del fisco, ecc....28 In sostanza le cessioni possono riguardare: - tutti i crediti presenti e futuri, - uno o più crediti, - porzioni di crediti, - interessi indivisi sui crediti29 (artt.2 lett. a, 9.1) . Si stabilisce poi opportunamente che la creazione di diritti sui crediti a titolo di garanzia è considerata come una cessione (art.2) 26 Forse non c'era metodo migliore per affossarla;era avvenuta la stessa cosa con la Convenzione di Vienna rispetto alla Convenzione dell’ Aja sulla vendita internazionale). 27 Questa esclusione è anche nella Convenzione di Ottawa 28 La spiegazione è che i titolari di tali crediti normalmente non sono finanziati: cfr.BRINK,Die UNCITRAL-Konvention über internationale Forderungsabtretung, relazione al Forum “Factoring 2000, tenutosi a Berlino il 27 settembre 2000, § 8.1 29 “Undivided interests in receivables “ nel testo inglese (che è la lingua di lavoro), BRINCK,op.cit., traduce con “ungeteilte Zinsansprüche an Forderungen. Pag. 18 La forma della cessione è stata oggetto di ampie discussioni: non essendosi trovato accordo né su una norma sostanziale uniforme, né su un unico criterio di diritto internazionale privato, si fa riferimento ai requisiti formali dello Stato del cedente, o di qualsiasi altra legge applicabile in virtù delle norme di diritto internazionale privato (art.8), precisandosi però che per "iscritto" (ai sensi della, e quando la Convenzione lo richieda) deve intendersi qualsiasi forma per cui l'informazione sia leggibile da un terzo (includendo perciò i messaggi elettronici)(art. 5,lett. c)30 Per quanto riguarda l'incedibilità dei crediti, nulla la convenzione dice sui divieti o limitazioni statali alla cessione dei crediti, mentre essa prende una decisa posizione sull'incedibilità pattuita contrattualmente, disponendo all'art. 11 che "Una cessione di un credito è efficace nonostante qualsiasi accordo tra l'originale o successivo cedente e il debitore o qualsiasi successivo cessionario, che limiti in qualsiasi modo il diritto del cedente di trasferire i suoi crediti". Sotto questo profilo il raggio di cedibilità dei crediti è molto più ampio rispetto alla Convenzione di Ottawa, la quale prevedeva la possibilità di una dichiarazione in senso contrario degli Stati ( art.6.2)31. Del resto l'inefficacia del patto di incedibilità si inserisce in un filone di tendenza recente negli Stati che da più tempo regolavano la cessione: cito, ad esempio, la Germania che con l'introduzione del § 354 a nell' HGB ha dichiarato l’inefficacia di ogni divieto contrattuale di cessione nei rapporti tra commercianti. Alla regola dell’ inefficacia del patto si sottraggono i c.d. “contratti di finanziamento” (art.11.3, lett. a) 32: ma non è facile comprenderne la ragione, una volta deciso che anche ad essi si applichi la convenzione, perché anche gli enti finanziatori potrebbero aver bisogno di fattorizzare i loro crediti e non è stato dimostrato che la loro cessione ponga il debitore in una situazione deteriore rispetto a quella dei debitori in base ad altri tipi di contratto. L’art. 12 stabilisce che con la cessione del credito si trasferiscano altresì le garanzie ad esso inerenti, senza bisogno di alcun specifico atto di trasferimento (è una conseguenza automatica degli effetti sull’accessorio del trasferimento del principale). Per quanto riguarda la notificazione, si è convenuto che essa (l’art. 5, lett. d la riconduce alla semplice “comunicazione”) non è necessaria per rendere efficace la cessione inter partes; essa però ha lo scopo di rendere più facile che il pagamento sia fatto al cessionario. La notificazione può essere fatta dal cedente o dal cessionario o da ambedue congiuntamente, dovrà essere per iscritto e contenere l’indicazione dei crediti ceduti, del cessionario e della persona alla quale il pagamento dovrà essere fatto (art. 15)33. 30 Qui il riferimento è all'art.6 della Legge Modello UNCITRAL sul Commercio Elettronico Fino ad ora fra i sette Stati ratificanti, Francia ed Ungheria hanno fatto tale riserva 32 Financial services, Finanzverträge, la nozione si riferisce alle transazioni su futures, options, swaps, sindacati di prestiti, polizze finanziarie-assicurative e simili 33 La norma si discosta da quella convenuta nella Convenzione di Ottawa, secondo la quale la comunicazione per iscritto deve essere fatta dal cedente, oppure anche dal cessionario ma in rappresentanza del cedente (art. 8.1 lett.a) 31 Pag. 19 Gli artt. 17 e 23 sono dedicati al debitore, la cui situazione giuridica (ed economica) non può essere cambiata per effetto della cessione, che è una res inter alios acta. Le istruzioni di pagamento, che possono essere contenute nella comunicazione della cessione, oppure inviate in seguito dal solo cessionario (art. 15.1), possono cambiare la persona, l’indirizzo o il conto sul quale si deve effettuare il pagamento, ma non possono modificare la moneta di pagamento stabilita nel contratto originale, né lo Stato nel quale debba avvenire il pagamento stesso eccetto che esso sia lo Stato cui appartiene il debitore, cambiamento che sarebbe tutto a suo vantaggio. L’art.19 stabilisce che nel caso in cui il debitore riceva comunicazione di cessioni successive si libererà se pagherà conformemente all’ultima cessione notificatagli e se la comunicazione gli perviene dal cessionario esso ha facoltà di chiedergli, entro un tempo ragionevole, di fornirgli la prova della avvenuta cessione e che, in mancanza di tale prova, egli potrà liberarsi pagando al cedente. Il debitore, salvo patto contrario contenuto nel contratto originario, potrà opporre al cessionario tutte le difese, incluso il diritto di compensazione che avrebbe potuto far valere nei confronti del cedente( così gli artt. 20 e 21). Nessuna regola di diritto uniforme è stata proposta per il caso di più cessionari dello stesso credito, essendosi la Convenzione limitata a rinviare alla legge dello Stato del cedente (art.24). Il problema dell’ efficacia della cessione dei crediti nei confronti dei terzi non ha ancora trovato una soluzione che raggiungesse una larga maggioranza e pertanto si è pensato di regolare questi rapporti in un allegato alla Convenzione, nel quale sono previste tre regole alternative: la prima è basata sulla anteriorità della cessione; la seconda sulla anteriorità della notificazione al debitore; la terza è basata su un pubblico registro nel quale iscrivere le cessioni. Agli Stati ratificanti sarebbe data la facoltà di optare per una delle soluzioni previste. Com’è evidente non si tratta in alcun modo di una norma uniforme, ma di un semplice rinvio alle situazioni nazionali e pertanto la Convenzione sul punto non apporterebbe alcun progresso (allegato alla Convenzione, artt.1-9). 3. Considerazioni comparatistiche conclusive tra la Convenzione UNIDROIT e il progetto di convenzione UNCITRAL. Nonostante nelle ultime riunioni degli esperti sia stata abbandonata l’idea originaria che la futura Convenzione UNCITRAL dovesse prevalere su qualsiasi altra convenzione nella materia, è prevedibile che l’approvazione di questa segnerà un triste destino per la Convenzione UNIDROIT, il cui ritmo di ratifiche si è già spento man mano che i lavori UNCITRAL progredivano (è la stessa sorte toccata alla Convenzione dell’ Aja rispetto a quella di Vienna sulla vendita internazionale). Se si mettono a raffronto i due testi, la prima osservazione , oltre il numero degli articoli ed il dettaglio delle regole della Convenzione Uncitral, è che la maggior parte delle regole fondamentali sono uguali, benché la tecnica redazionale UNIDROIT sia migliore di quella UNCITRAL. Pag. 20 Quanto all’ambito di applicazione si osserva un rapporto di species a genus : mentre infatti la Convenzione UNIDROIT disciplina solo il factoring, quella UNCITRAL intende abbracciare tutte le cessioni di credito, quale che sia lo scopo che perseguono o il tipo contrattuale nel quale si iscrivono, e così vi sono incluse le operazioni di securitization, come pure altre forme di finanziamenti internazionali. Ma la maggior ampiezza del contenuto ha dovuto essere pagata con un più esteso rinvio alle norme di diritto internazionale privato. Inoltre, mentre Ottawa richiede l’internazionalità dei crediti, la convenzione Uncitral si applica anche ai crediti nazionali, in quanto rileva solo l’internazionalità della cessione degli stessi. Quanto poi alla natura dello strumento giuridico adottato, mentre la Convenzione di Ottawa può essere esclusa dalle parti, quella UNCITRAL è vincolante ( ciò costituisce una limitazione alla libertà delle parti che neppure Vienna aveva ritenuto di imporre). In questo contesto rimarrebbe irrisolto il problema se , nel caso uno Stato le ratificasse entrambe, l’esclusione ad opera delle parti della Convenzione di Ottawa renda applicabile automaticamente la Convenzione UNCITRAL oppure le regole domestiche ( la soluzione corretta però dovrebbe essere la prima) . Pag. 21 Il factoring e le prospettive di riforma della legge fallimentare. di Luciano Panzani 1. La legge 52 ed il factoring Com’è noto la legge 21 febbraio 1991, n. 52, ormai in vigore da dieci anni, non ha disciplinato compiutamente il contratto di factoring pur regolando la cessione in massa di crediti d’impresa, anche futuri. Accanto alle norme introdotte dalla legge sono rimasti in vigore gli artt. 1260 e ss. c.c. ed è stata lasciata la possibilità agli operatori di compiere operazioni di factoring con l’utilizzo dei formulari correnti ed il ricorso alla cessione di tipo codicistico. La nuova legge non opera la qualificazione del contratto di factoring, ma prevede la cessione dei crediti d’impresa attraverso un contratto con causa di scambio con il quale un imprenditore trasferisce verso corrispettivo tutti i propri crediti, già sorti nell’esercizio della propria attività commerciale o non ancora sorti, purché derivanti da contratti da stipulare entro un periodo di tempo non superiore ai ventiquattro mesi ( artt. 1 e 3). Si dà così fondamento normativo alla cessione in massa dei crediti futuri ( art. 3, comma 2). La nuova cessione opera in un ambito più ristretto di quella codicistica sia perché entrambi i contraenti debbono essere imprenditori ed il cessionario deve avere un particolare assetto organizzativo sia perché essa deve avere ad oggetto crediti pecuniari derivanti da contratti stipulati dal cedente nell’esercizio dell’ impresa. La legge 52/91 ha disciplinato compiutamente, a condizione che le parti avessero regolato la cessione nel rispetto dei requisiti previsti dall’ art. 1, l’efficacia della cessione nei confronti dei terzi, la revocatoria fallimentare dei pagamenti, l’opponibilità della cessione al fallimento del cedente, il recesso del curatore del fallimento del cedente dal rapporto pendente ( artt. 5-7 legge 52/91). A giudicare dalle massime di giurisprudenza pubblicate sulle riviste e sul CED della Cassazione la legge 52/91 non ha avuto ampia applicazione o quantomeno ha dato luogo ad un modesto contenzioso davanti al giudice. In dieci anni, infatti, la Cassazione ha avuto modo di pronunciarsi su problemi di rilevanza fallimentare soltanto poche volte1 ed anche le decisioni dei giudici di merito non sono moltissime. Va sottolineato che in parte tutto ciò si spiega con il fatto che i contratti di factoring non sempre rientrano nella previsione della legge 52/91. Un robusto filone giurisprudenziale, sostenuto soprattutto dal Tribunale di Genova, sostiene che sovente i negozi stipulati dalle parti non sono assimilabili alla disciplina della legge in parola, perché lungi dal presentare una causa vendendi, sono caratterizzati dalla causa mandati. In particolare è stato considerata ostativa all’applicazione della legge 52/91 la previsione di interessi sui versamenti anticipati dal factor, privi di ogni ragione se le anticipazioni sono una parte del prezzo del credito ceduto, il compenso a titolo di commissione per il servizio di gestione e 1 Cfr. Cass. 12 novembre 1999, n. 12539, in Foro It., 2000, I, 102; Cass. 12 maggio 1998, n. 4774, in Foro It., 1998, I, 2114. Pag. 22 riscossione del credito ed i rimborsi spese per il medesimo servizio che nell’ipotesi di vendita, il factor renderebbe a se stesso2. Ne segue che, pur se l’art. 1 della legge individua chiaramente la causa del negozio nella causa vendendi, nella cessione cioè di crediti pecuniari dietro corrispettivo, diverse decisioni di giudici di merito affermano che il contratto di factoring ha causa gestoria e che la legge 52/91 non è applicabile, traendone la conclusione che esso si scioglie in caso di fallimento ai sensi dell’ art. 78 l. fall. Si esclude tra l’altro l’applicabilità della disciplina del mandato in rem propriam, a prescindere da ogni questione in ordine alla configurabilità del fallimento come giusta causa di recesso, che consente comunque al curatore di sciogliersi dal rapporto. Ciò ovviamente quando non si ritenga applicabile l’art. 7, comma 2, della legge 52/91 che consente sì al curatore di recedere dalle ce ssioni stipulate dal cedente limitatamente ai crediti non ancora sorti alla data della sentenza dichiarativa, ma gli fa obbligo di restituire al cessionario il corrispettivo pagato al cedente per tali cessioni. 2. I progetti di riforma della legge fallimentare I progetti di legge delega per la riforma della legge fallimentare, il progetto governativo ed il progetto del gruppo parlamentare DS, non si occupano espressamente del contratto di factoring e neppure della cessione dei crediti in massa. Tali progetti tuttavia riformano tutta la materia concorsuale prevedendo da un lato una procedura rimessa all’iniziativa del debitore, sostitutiva dell’ amministrazione controllata e del concordato preventivo, diretta, ma non necessariamente, al risanamento dell’ impresa in crisi, e dall’ altro una procedura di insolvenza, sostitutiva dell’ attuale fallimento, che si apre su iniziativa del debitore, dei creditori, del pubblico ministero o d’ufficio. Il progetto ministeriale prevede una procedura di crisi ed una d’insolvenza. La prima si fonda su uno stato di squilibrio patrimoniale, economico o finanziario tale da determinare il pericolo d’insolvenza. Può essere avviata su istanza del solo debitore, cui rimane di regola affidata la gestione dell’ impresa. Questi deve proporre un piano di risanamento dell’ impresa e di estinzione delle obbligazioni di durata non superiore ai due anni. Gli effetti dell’ ammissione alla procedura non sono diversi da quelli oggi stabiliti per l’amministrazione controllata ed il concordato preventivo: divieto di azioni esecutive individuali, inefficacia degli atti di acquisto di diritti di prelazione, sospensione degli interessi sui crediti chirografari. I creditori sono chiamati ad esprimere il loro voto sul piano, sia pure nella forma del silenzio-assenso. Ai fini del voto i creditori possono essere ripartiti per classi, in modo che il voto contrario di una classe non pregiudichi l’approvazione del piano. E’ previsto un giudizio di omologazione della proposta, come è oggi stabilito per il concordato preventivo. 2 Cfr. da ultimo in questo senso Trib. Genova 10 agosto 2000, Banca Carige spa c. Fall. Tecno Elettrica Industriale srl, inedita; Trib. Genova, 10 gennaio 2000, n. 4, Banca Carige spa c. Fall. Luce Quattro srl, inedita. In senso contrario tuttavia cfr. Cass. 9 marzo 2000, n. 4654, inedita. Pag. 23 Il progetto Ds prevede analogamente, sempre su istanza del solo debitore, una procedura di ristrutturazione delle passività. Il presupposto oggettivo per l’ammissione alla procedura è costituito sia dalla temporanea difficoltà di adempiere alle proprie obbligazioni sia dallo stato d’insolvenza attuale od imminente. Con formula diversa ( come si è detto il progetto ministeriale considera il pericolo d’insolvenza) si cerca di anticipare l’ingresso dell’ imprenditore in procedura nella consapevolezza che il ritardo nel ricorrere alle soluzioni concorsuali costituisce una delle cause dell’ insuccesso di amministrazione controllata e concordato preventivo. La prosecuzione dell’ attività non costituisce un requisito fondamentale per il progetto Ds, che è diretto più alla composizione dell’ insolvenza che al salvataggio dell’ impresa nella convinzione che esso dipenda più che dalle scelte legislative, dal mercato e dalle sue esigenze. E’ quindi possibile che vi sia continuazione parziale o totale dell’ attività, anche al fine di soddisfare i creditori con gli utili che ne derivano. Vi possono invece essere cessazione totale o parziale dell’ impresa, cessione totale o parziale del patrimonio, fusioni o scissioni, conferimenti di beni in società esistenti o di nuova costituzione, aumenti di capitale, cessione di rapporti giuridici in blocco anche con assunzione di responsabilità esclusiva del cessionario e, più in generale, ogni operazione che sia diretta a massimizzare il patrimonio del debitore. Questo lungo inventario di soluzioni, tratto dall’ esperienza concreta desumibile dalle prassi seguite nei casi sempre più frequenti di composizioni stragiudiziali delle crisi d’impresa, indica la volontà del legislatore di assicurare in ogni modo il soddisfacimento dei creditori secondo il metodo di volta in volta più idoneo a massimizzare il realizzo del patrimonio del debitore, ne possa o meno derivare la prosecuzione dell’ attività in capo all’imprenditore in crisi od in capo ad un terzo. Nello stesso modo è ammissibile qualsiasi proposta di ristrutturazione delle passività quanto a scadenze, tasso d’interesse, presenza di garanzie reali o personali. I creditori privilegiati possono essere pagati in percentuale e per i creditori chirografari non sono previste percentuali minime. I pagamenti possono avvenire anche con l’attribuzione di azioni, quote od obbligazioni anche convertibili in azioni. Per il resto il progetto Ds ricalca le soluzioni proposte dal progetto ministeriale. La proposta, cui deve essere allegata una situazione patrimoniale certificata, è oggetto di una pronuncia di ammissibilità da parte del tribunale ed è soggetta al voto dei creditori, previa formazione di uno stato passivo della procedura. La gestione del patrimonio rimane di regola al debitore. Il voto viene espresso nelle forme del silenzio assenso ed è suddiviso per classi. Il giudice può superare con il suo provvedimento il voto contrario di una classe purché vi sia l’approvazione della maggioranza delle classi e la classe o le classi dissenzienti non ricevano pregiudizio dal piano rispetto a quanto potrebbero conseguire in caso di liquidazione concorsuale. Anche in questo progetto è previsto un giudizio di omologazione. Il sindacato del giudice è limitato al controllo della regolarità della procedura e dell’ approvazione dei creditori. La relazione al progetto ministeriale chiarisce peraltro di non aver attribuito al giudice poteri maggiori. Il progetto Ds precisa espressamente che l’omologazione ha efficacia sdebitatoria per il debitore per quanto egli non sia tenuto Pag. 24 a corrispondere ai creditori in forza del piano di ristrutturazione. Le ipotesi di annullamento e risoluzione sono analoghe a quelle oggi previste in caso di concordato preventivo. Il progetto governativo all’art. 2 lett. o prevede che il governo sia delegato a “disciplinare gli effetti dell’ apertura della procedura sui rapporti giuridici preesistenti, prevedendo, in particolare, la facoltà del debitore di sciogliersi da determinati rapporti, con l’autorizzazione degli organi della procedura, quando la loro prosecuzione pregiudichi l’attuazione del piano”. Analogamente l’art. 3, comma 4, lett. e del progetto DS prevede la “continuazione dell’ esecuzione dei contratti pendenti alla data della presentazione della domanda, salvo che gli organi della procedura ne autorizzino lo scioglimento se essi sono contrari all’interesse dei creditori, coordinando con la nuova disciplina le disposizioni vigenti in materia di rapporti di lavoro subordinato”. Entrambi i progetti dunque consentono agli organi della procedura di crisi o ristrutturazione delle passività di sciogliersi dai rapporti in corso vuoi quando la loro prosecuzione pregiudichi l’attuazione del piano ( progetto governativo) vuoi quando essa sia contraria all’interesse dei creditori ( progetto DS), interesse che può essere individuato sia nella necessità di garantire la prosecuzione dell’ attività d’impresa sia di consentirne l’alienazione o liquidazione nelle condizioni ottimali. E’ evidente che nel caso del factoring, ove vi sia stata cessione di crediti futuri, non ancora venuti ad esistenza al momento dell’ apertura della procedura concorsuale, la prosecuzione dell’ attività d’impresa potrebbe essere pregiudicata dalla continuazione del rapporto. Gli organi della procedura non avrebbero interesse a continuare la produzione se il prezzo dei beni o servizi prodotti dovesse essere incassato dal factor, in virtù dei negozi posti precedentemente in essere dall’ imprenditore in bonis. Nella specie l’art. 7, comma 2, della legge 52/91 non potrebbe trovare applicazione, perché esso si riferisce esclusivamente al fallimento e dunque nel nuovo sistema alla procedura d’insolvenza, non alla procedura di crisi o di ristrutturazione delle passività. E’ indubbio che si potrebbe discutere se la cessione in massa dei crediti futuri abbia già determinato il trasferimento in capo al cessionario non del credito ( che in ipotesi non sarebbe ancora venuto ad esistenza al momento dell’ apertura della procedura concorsuale), ma di un’aspettativa giuridicamente tutelata, trasferimento idoneo ad impedire lo scioglimento da parte degli organi della procedura. E sotto questo profilo si riproporrebbero tutte le questioni già dibattute da dottrina e giurisprudenza, ivi compresa la qualificazione del rapporto come caratterizzato dalla causa vendendi o dalla causa mandati. Va peraltro sottolineato che entrambi i progetti di riforma sottolineano la necessità che la procedura sia diretta al soddisfacimento dei creditori, soddisfacimento che è assicurato dal risanamento ove possibile ovvero dall’ alienazione dell’ impresa a terzi in grado di proseguire l’attività ovvero ancora dalla sua liquidazione. Nel progetto ministeriale il soddisfacimento dei creditori è soltanto uno degli obiettivi tutelati; nel progetto DS si tratta dell’ obiettivo esclusivo. Entrambi i progetti prevedono la possibilità di accordi con i creditori, diretti a rimuovere Pag. 25 l’insolvenza, anche mediante il pagamento dei crediti in forme concordatarie con efficacia sdebitatoria. In questa prospettiva occorre considerare che il factor sarà di regola creditore per le anticipazioni effettuate sui crediti già oggetto di cessione e potrà avere interesse, almeno in taluni casi, a raggiungere accordi con l’imprenditore in crisi e con gli organi della procedura, accordi nell’ambito dei quali potrà essere pattuita la prosecuzione del rapporto di factoring, eventualmente anche tramite una rinegoziazione delle condizioni già in essere. La possibilità per gli organi della procedura di sciogliersi dai rapporti pendenti non dovrà dunque essere valutata in termini punitivi per il factor, ma come uno degli aspetti della trattativa che di regola verrà avviata con il ceto creditorio per consentire la prosecuzione dell’ attività o la liquidazione dell’ impresa nelle condizioni ottimali. D’altra parte, va sottolineato, ove non vi sia prosecuzione dell’ attività d’impresa i crediti futuri non verranno ad esistenza ed anche in caso di mancato scioglimento degli organi della procedura dal rapporto, non si verificherà alcun effetto traslativo per il factor. Questi dunque potrà avere interesse a trattare con gli organi della procedura una rinegoziazione dei termini del contratto incentivando la prosecuzione dell’ attività sia in capo all’imprenditore tornato in bonis sia in capo ad un terzo che si renda cessionario dell’ impresa in crisi. 3. Le procedure d’insolvenza Nella procedura di insolvenza entrambi i progetti di riforma non si occupano specificamente del factoring. Entrambi prevedono come regola generale la sospensione dei rapporti pendenti, con facoltà per il curatore di sciogliersi ( progetto governativo, art. 2, lett. pp; progetto DS, art. 4, comma 6). Si pone in questo caso il problema se il dettato dell’ art. 7, comma 2, della legge 52/91 sia compatibile con la nuova disciplina. In termini generali si potrebbe osservare che l’affermazione che tutti i rapporti pendenti sono oggetto di sospensione e consentono al curatore lo scioglimento e la mancata previsione di un diritto del contraente in bonis di ottenere la restituzione di quanto versato all’imprenditore in bonis in moneta non fallimentare, sia incompatibile con la disciplina speciale dettata dall’ art. 7, comma 2. In senso contrario militano tuttavia numerosi argomenti, che dovrebbero sicuramente essere tenuti presenti dal governo al momento della redazione del testo del decreto legislativo delegato. Da un lato il principio della sospensione generalizzata non può valere per quei rapporti che per loro intrinseca natura sono non suscettibili di prosecuzione; dall’ altro il progetto DS prevede diverse ipotesi di deroga. Si stabilisce infatti la “possibilità di discipline differenziate per l’ipotesi in cui sia disposta la continuazione dell’ attività d’impresa” nonché la “previsione di una specifica disciplina del contratto di locazione finanziaria”. Nella prima ipotesi è evidente che la situazione è molto simile a quella della procedura di ristrutturazione delle passività, si che può ammettersi la regola opposta: il rapporto prosegue, salvo che gli organi della procedura ritengano che ciò sia in contrasto con gli interessi dei creditori. La previsione poi di una specifica disciplina per il leasing, può aprire la strada a regole differenziate anche per il factoring. Pag. 26 Resta tuttavia il rilievo che la regola dettata dall’ art. 7, comma 2, della legge 52/91 appare ben poco giustificabile sul piano razionale. Anche ammettendo che essa si fondi sulla costruzione del rapporto tra cedente e cessionario come fondato sulla causa vendendi per cui il cessionario è creditore del prezzo versato a fronte di crediti futuri che è destinato a non incassare, resta infatti il rilievo che la disciplina generale concorsuale prevede sempre che il creditore che è tale in forza di una fattispecie di indebito oggettivo debba concorrere sull’attivo della procedura insieme agli altri creditori. Va anzi osservato che l’art. 72, ult. comma, l.fall. prevede nel caso di vendita immobiliare con preliminare trascritto che in caso scioglimento dal contratto da parte del curatore l’acquirente abbia diritto di far valere il proprio credito al passivo, fatto salvo il privilegio stabilito dall’ art. 2775 bis c.c. La norma, com’è noto, è stata introdotta nel 1996 con il D.L. 669/96 convertito in legge 28 febbraio 1997, n. 30. In questo caso il legislatore ha dettato un trattamento di favore per il promissario acquirente, ma l’ha fatto attraverso la previsione di una nuova ipotesi di privilegio, senza derogare alla disciplina generale del concorso. Il particolare favor per il factor previsto dall’ art. 7, comma 2, della legge 52/91 è pertanto di difficile giustificazione ed a mio avviso non dovrebbe essere mantenuto in sede di riforma. Va piuttosto considerato che l’art. 4, comma 6, lett. c del progetto DS prevede la “generalizzazione del privilegio di cui all’articolo 72, quinto comma, della legge fallimentare a tutte le ipotesi di scioglimento di contratti che presentino identità di ragioni”. Se venisse accolta l’indicazione offerta dal progetto dovrebbe prevedersi un privilegio a favore del factor per il credito relativo alle anticipazioni effettuate sui crediti relativi a cessioni per le quali il curatore ritiene di sciogliersi dal contratto, privilegio da far valere su quanto incassato dalla curatela a fronte dei crediti ceduti. Confesso di nutrire dei dubbi sull’opportunità dell’ estensione del privilegio suggerita dal progetto DS. Nel caso del preliminare di vendita di immobile, infatti, il privilegio è suggerito da evidenti esigenze equitative. La rigorosa attuazione della par condicio si è infatti dimostrata sempre meno comprensibile da parte dei cittadini e l’acquisizione degli immobili oggetto di compromesso all’attivo della procedura senza indennizzo è stata considerata un sacrificio ingiustificato dei diritti di chi già aveva versato in gran parte il prezzo. Non è dubbio comunque che questa esigenza equitativa sia in conflitto con il principio generale della par condicio, che il legislatore della riforma non mostra di voler abbandonare. Nel caso del factoring o di altre vicende contrattuali questa esigenza equitativa mi pare meno forte. Per converso la previsione del privilegio speciale potrebbe far venir meno la convenienza per il curatore a sciogliersi dal contratto, convenienza che è legata in genere alla prosecuzione dell’ attività d’impresa ed alla possibilità di un suo risanamento. L'art. 7, 2° e 3° comma, non consente al curatore di sciogliersi quando la cessione abbia ad oggetto crediti già venuti ad esistenza al momento del fallimento. Ciò peraltro è del tutto comprensibile. Anche nel caso della vendita l'art. 72, ult.co., l.fall. esclude il diritto del curatore di sciogliersi dal contratto quando già il compratore abbia acquistato la proprietà del bene compravenduto. Nel caso della cessione quando il credito sia venuto ad esistenza prima del fallimento, l'effetto Pag. 27 traslativo proprio del negozio si è realizzato e pertanto il credito è ormai nella titolarità del cessionario, che può legittimamente disporne ed incassarlo, anche se nelle more sia intervenuto il fallimento del cedente, salva beninteso la disciplina dell’ opponibilità della cessione. Non vi sono motivi per ritenere che questa regola non possa essere mantenuta in sede di riforma. 4. Il profilo della revocatoria La legge 52/91 regola la materia della revocatoria, dettando una disciplina di favore per il factor. Il pagamento effettuato dal debitore ceduto al cessionario non è soggetto a revocatoria ai sensi dell’ art. 67 l.fall. La revoca può essere proposta dal fallimento del debitore ceduto nei confronti del cedente qualora il curatore provi che egli conosceva lo stato d’insolvenza del debitore ceduto alla data del pagamento al cessionario. Ed è fatta salva la rivalsa del cedente nei confronti del cessionario quando questi abbia rinunciato alla garanzia della solvenza del debitore, garanzia che l’art. 4 della legge 52/91 considera come un effetto naturale del contratto, in deroga al disposto dell’ art. 1267 c.c. Negli anni ‘90 il legislatore ha introdotto alcune esenzioni al regime della revocatoria fallimentare, come ad esempio in materia di cartolarizzazione dei crediti bancari. In questa stessa prospettiva ed in termini più generali i progetti di riforma della legge fallimentare riducono notevolmente l’ambito di applicazione della revocatoria nelle procedure concorsuali. Uno dei profili qualificanti dei progetti di riforma è anzi rappresentato da una sostanziale revisione della disciplina della revocatoria fallimentare. Da molte parti si è criticato l’ingiustificato rigore della normativa oggi vigente, fondato sull’esigenza di assicurare il rispetto della par condicio, ma tale da creare serie ripercussioni nel mondo economico, mettere in crisi il principio della certezza degli atti giuridici già compiuti anche in ragione della retrodatazione del periodo sospetto in caso di consecuzione di procedure, creare intorno all’imprenditore in crisi una sorta di cordone sanitario, giustificato dal timore delle revocatorie, che impedisce il successo dei tentativi di ristrutturazione e di composizione amichevole dell’ insolvenza. Il progetto governativo mantiene immutata la disciplina della revocatoria degli atti a titolo gratuito e degli atti considerati dall’ art. 67, co. 1 l.fall. riducendo il periodo sospetto alla metà. Tra gli atti revocabili, secondo la Relazione al progetto, possono ritenersi compresi, pur se non espressamente menzionati, i pegni, le anticresi, le ipoteche volontarie, ma non le ipoteche giudiziali. Il progetto esclude la revocabilità dei pagamenti non anormali e prevede che gli altri atti a titolo oneroso siano revocabili, se posti in essere nei sei mesi anteriori all’apertura della procedura, se il creditore era a conoscenza dello stato d’insolvenza ed a condizione che si tratti di negozi posti in essere al fine di favorire alcuni creditori in danno di altri. Si chiede dunque la prova dell’ esistenza in capo al debitore di un vero e proprio dolo in senso penalistico. Non a caso la Relazione al progetto dichiara che ci Pag. 28 si è ispirati alla disciplina della bancarotta preferenziale3. Si è insomma aderito alla teoria indennitaria della revocatoria in quelle che sono le sue più rigorose conclusioni. Il progetto Ds adotta una disciplina sostanzialmente analoga, salvo la previsione espressa dell’ inefficacia delle ipoteche giudiziali iscritte nei sei mesi anteriori all’apertura della procedura. Esso stabilisce tuttavia che nella valutazione del carattere anormale di atti e pagamenti, di cui viene mantenuta la revocabilità, si debba tener conto delle prassi commerciali in uso per rapporti analoghi. Afferma l’irrevocabilità degli atti a titolo oneroso e dei pagamenti di debiti liquidi ed esigibili salvo quando siano stati effettuati allo scopo di favorire alcuni creditori in danno di altri, nell’arco dei sei mesi anteriori. Più in generale, con norma programmatica, esso precisa che va salvaguardata l’esigenza di stabilità dei rapporti giuridici e che occorre per la revocabilità dell’ atto il pregiudizio per i creditori, eventualmente costituito anche dall’ accresciuta difficoltà di soddisfacimento ( art. 4, co. 5, lett. a). Il progetto Ds prevede inoltre la riduzione dei termini di prescrizione delle azioni revocatorie ad un anno e l’applicazione di tale termine anche alla revocatoria ordinaria se posta in essere nell’ambito della procedura concorsuale ( art. 2, co. 3, lett. d, sub iii). Ciò con il duplice obiettivo di abbreviare i tempi della procedura e di garantire maggiore certezza ai rapporti giuridici in atto. Tecnicamente la disciplina dettata dal progetto Ds appare preferibile sia per l’opportuna previsione della revocabilità delle ipoteche giudiziali sia per la parificazione degli atti ordinari a titolo oneroso ai pagamenti ai fini della revocabilità. La diversa disciplina prevista dal progetto governativo sembra infatti ingiustificata4 non essendo facilmente individuabile una differente ratio che impedisca di accomunare le due fattispecie. Va invece sottolineato che il progetto Ds, pur attenuando sensibilmente il rigore dell’ azione revocatoria, introduce opportunamente ipotesi di revocatoria aggravata per i casi in cui può ritenersi sussistente una presunzione di frode ( art. 4, co. 5 lett. f e g). Si stabiliscono quindi agevolazioni probatorie nel caso di atti posti in essere nei confronti di soggetti legati da rapporti di partecipazione, coniugio, parentela od affinità, salva la più rigorosa disciplina della revocatoria aggravata in materia d’insolvenza di gruppo. Analogamente si prevede una revocatoria aggravata dal punto di vista dell’ elemento soggettivo e del periodo sospetto per gli atti che siano configurabili come generale appropriazione dei valori dell’ azienda, quali l’affitto dell’ azienda o di un ramo di essa, la licenza di brevetto o di altri beni immateriali, la cessione dei beni aziendali dissimulata al fine di eludere l’applicabilità dell’ art. 2560, co. 2, c.c. Al convenuto è riconosciuta la possibilità di sottrarsi a revocatoria quando provi che si è trattato di atti non sproporzionati e che non hanno arrecato pregiudizio ai creditori. 3 Cfr. Relazione al progetto governativo, p. 22. In proposito G. Lo Cascio, Il progetto di legge delega per la riforma delle procedure concorsuali: prime riflessioni, in Fallimento, 2001, 121 e ss. 4 Pag. 29 E’ evidente che l’esclusione dei pagamenti in generale dalla revocatoria, comporta che l’attuale previsione dell’ art. 6 della legge 52/91 resti sostanzialmente assorbita dalla nuova normativa. Quello che oggi è un regime eccezionale, criticato in dottrina sia per il suo carattere speciale, sia perché appare irrazionale ammettere la revoca nei confronti del cedente anziché nei confronti del cessionario, con riferimento oltretutto per quanto concerne la scientia decoctionis al momento del pagamento effettuato dal debitore ceduto al cessionario, cioè ad un momento in cui il cedente si è ormai spogliato del credito e non ha più interesse a tenersi al corrente delle condizioni in cui versa il debitore ceduto, diviene una disciplina di carattere generale. I pagamenti in quanto tali non sono più revocabili. Anche immaginando che l’art. 6 della legge 52/91 venga meno per abrogazione espressa o per incompatibilità con le nuove norme, non vi è spazio per la revoca di pagamenti effettuati dal debitore ceduto. Resta naturalmente la possibilità che la revocatoria venga esperita con riguardo non al pagamento in sé considerato, ma all’atto di cessione o al contratto di factoring. Sotto questo profilo peraltro l’art. 6 della legge 52/91 non viene in esame e gli atti oggetto di revoca andranno valutati come negozi dispositivi, non come atti estintivi del debito. Sotto questo profilo, come si è detto, entrambi i progetti conservano la revocabilità degli atti anormali considerati dal primo comma dell’ art. 67. Qui peraltro non vi è contrasto tra la disciplina dettata dalla legge 52/91 e le previsioni dei progetti di riforma. Rimarranno le questioni già agitate e discusse sino ad oggi, come ad esempio se possano essere oggetto di revoca i singoli atti di cessione, o se essi invece, rappresentando effetti traslativi automatici del contratto di factoring disciplinato dall’ art. 1 della legge 52/91 ( il credito si trasferisce in capo al cessionario non appena viene ad esistenza) siano intangibili. Sotto questo aspetto non mi pare che il factoring necessiti di una disciplina particolare, anche se il progetto DS consente in materia di revocatoria possibilità di dettare norme speciali per situazioni e rapporti che presentino un rilevante e comprovato grado di specificità (art. 4, comma 5, lett. h). 5. L’opponibilità della cessione Gli artt. 5 e 7, comma 1, della legge 52/91 affrontano anche il tema dell’ opponibilità della cessione nei confronti dei terzi. In generale la cessione regolata dalla legge speciale è opponibile ai terzi quando il cessionario abbia pagato in tutto od in parte il corrispettivo della cessione ed il pagamento abbia data certa. Tuttavia la cessione non è opponibile al fallimento del cedente se il curatore prova che il cessionario conosceva lo stato d’insolvenza del cedente quando ha eseguito il pagamento, purché tale pagamento sia stato eseguito nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento e prima della scadenza del credito ceduto. Nella specie non è questione di revoca della cessione, ma di opponibilità della stessa al fallimento del cedente. Tuttavia sul piano pratico gli effetti dell’ inopponibilità sono i medesimi della revoca, perché il cessionario non potrà trattenere Pag. 30 le somme eventualmente percepite a fronte del credito ceduto e dovrà rimetterle al curatore. Il progetto di riforma governativo all’art. 2, lett. Nn, fa carico al legislatore delegato di sancire “l’osservanza delle formalità di legge sull’opponibilità degli atti ai terzi”. Sotto tale profilo si pone il problema del rapporto tra la disciplina generale in tema di opponibilità degli atti, per la quale la riforma non introduce modifiche al regime attualmente vigente, e la norma speciale contenuta nell’art. 7, comma 1, della legge 52/91. E’ un nodo che dovrà essere sciolto dal legislatore delegato. Va peraltro considerato che la norma speciale, come s’è detto, pur essendo relativa all’opponibilità della cessione, tocca un tema sostanzialmente affine quanto agli effetti alla revoca. Si è visto che la riforma prevede una sostanziale revisione della disciplina della revocatoria, che viene in sostanza limitata agli atti e negozi considerati dall’ art. 67, primo comma, legge fall. Ci si può domandare se in questa prospettiva la regola dettata dall’ art. 7, comma 1, legge 52/91 non sia troppo rigida e restrittiva. Ritengo di no. Il regime speciale previsto dall’ art. 5 della legge in tema di opponibilità in deroga alla regola generale stabilita dall’ art. 1265 c.c., regime giustificato dalla macchinosità della disciplina prevista dall’ art. 1265 che mal si attaglia alla cessione dei crediti in massa, comporta che venga regolata anche l’opponibilità della cessione al fallimento. E come si è detto inefficacia dell’ atto a seguito di revoca ed inopponibilità dell’ atto sono concetti diversi. La circostanza che la revocatoria venga ridisciplinata dalla riforma in termini meno rigorosi di quanto sia oggi previsto, non comporta necessariamente una revisione delle regole relative all’opponibilità. Pag. 31 Tavola rotonda “La Legge 52: ancora un oggetto misterioso?” Introduzione di Roberto Ruozi Il mio contributo al dibattito sulla legge 52 ed il factoring, che riguarda soprattutto gli amici giuristi qui convenuti, è certamente assai limitato e circoscritto al punto di vista, che è per me più consueto, dell’ economia degli intermediari finanziari. Per molto tempo, e probabilmente anche al momento di avvio del dibattito che ha poi condotto alla legge 52, è risultato evidente come il concetto di factoring fosse stato in pratica importato sulla scorta di esperienze maturate in un contesto, quello anglosassone, assai diverso dal nostro anche sotto il profilo economico, oltre che giuridico. Il factoring si presentava inoltre come un’operazione complessa, di non facile identificazione sul piano economico, che trovava riscontro in manifestazioni operative spesso poste in essere con finalità differenti, ove le funzioni svolte dal factor si combinavano con difformi modalità. In questo senso le imprese di factoring sono state nel tempo, più o meno propriamente, accostate alle banche, alle imprese di assicurazione, addirittura ad intermediari di tipo commerciale, non essendo, in altre parole chiaro il concetto di intermediario finanziario non bancario. D’altro canto il factoring presentava proprie caratteristiche con un elevato grado di novità rispetto alle singole funzioni di cui esso era composto. Si pensi, a tale proposito, ai criteri di valutazione del rischio, che appaiono da sempre, in linea di principio, segnatamente diversi da quelli bancari tradizionali. Come si presenta oggi la situazione del comparto del factoring ? Quest’ultimo è ormai uno strumento consolidato nell’ambito del sistema economico e finanziario del nostro Paese. Esso è presente da più di trent’anni e viene utilizzato, direttamente o indirettamente, da centinaia di migliaia di imprese. Negli ultimi anni il factoring ha fatto registrare profondi cambiamenti, che hanno riguardato sia la regolamentazione che il mercato. Dal primo punto di vista esso è stato oggetto di un’intensa attività legislativa e regolamentare, relativa, ad esempio, alla trasparenza delle operazioni finanziarie, alla redazione dei bilanci, al recepimento della seconda Direttiva banche, al testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia. L’insieme dei provvedimenti suddetti ha profondamente innovato il quadro normativo del sistema finanziario, con riferimento soprattutto agli intermediari finanziari non bancari, che sono passati in tempi assai brevi da una situazione di Pag. 32 sorveglianza solo indiretta, o al limite da una totale assenza di controlli, ad una incisiva ed articolata regolamentazione prudenziale ed informativa, relativa ai principali profili dell’ attività svolta. Ciò ha costituito una novità di rilievo anche per il settore del factoring, che peraltro, si è presentato con le carte in regola, vista anche la natura primaria dei soggetti promotori delle iniziative di factoring nel nostro Paese, anche se privo di una cultura della regolamentazione, che potrà solo formarsi con il tempo e con la maturazione delle prime esperienze. Dal secondo punto di vista, si è accentuata la tendenza ad esercitare un factoring “completo”, che da una parte costituisce la via corretta per assicurare la sopravvivenza del settore in un contesto di progressiva despecializzazione delle banche, ma dall’ altra parte comporta uno sforzo non indifferente di riconversione della domanda, forse ancor oggi non abituata a riconoscere ed a trarre vantaggio dai diversi servizi impliciti nell’operazione di factoring. L’attività di factoring è quindi oggi, e sempre di più sarà in prospettiva una professione peculiare, ad elevata specializzazione. In questo senso, la regolamentazione – compresa, a mio giudizio, anche la legge 52 –, riconoscendo e rispettando alcune importanti peculiarità del factoring, ha dato anch’essa un impulso significativo alla tendenza ad una più marcata caratterizzazione del prodotto, tale da mettere in evidenza le differenze rispetto ai prodotti finanziari tradizionali. Pag. 33 Factoring e legge 52: un traguardo o una tappa? di Piero Schlesinger L’interrogativo che questa Tavola rotonda pone ai relatori è se la legge 52/1991 sia ancora un oggetto misterioso. Non avrei esitazioni nel dare una risposta pienamente tranquillizzante, nel senso che a me quella normativa non pare affatto un oggetto misterioso. Riterrei, peraltro, che il vero quesito sia un altro: vale a dire se la legge citata vada considerata “un traguardo”, ovvero abbia rappresentato una semplice tappa lungo un percorso che va ancora completato. Ed a questa domanda parimenti non avrei esitazioni nella risposta, nel senso che si è trattato certamente solo di una tappa, di per sé non in grado di risolvere i numerosi problemi che agitano il mondo del factoring. E sia ben chiaro, non certo perché ci si riprometteva un risultato più completo che poi – per distrazione o negligenza – la legge 52/91 non sarebbe stata capace di conseguire, bensì perché , con piena consapevolezza, si è mirato a risolvere soltanto talune specifiche questioni (le più urgenti) e non si è affatto avuto la pretesa di esaurire la disciplina di questo complesso strumento negoziale, tanto è vero che la legge neppure mai spende il nome del factoring (o qualche similare denominazione, eventualmente ricavata da pedestri traduzioni). Tutti sappiamo che con questa tecnica contrattuale che ci viene dal mondo anglosassone si possono perseguire funzioni diverse, volta a volta, a seconda dei casi, cumulabili ovvero suscettibili di essere pattuite in via autonoma. La prima funzione è quella di procurare all’imprenditore che vi faccia ricorso un’ assistenza sul piano dei “servizi”: da quello della amministrazione di una massa di crediti (specie quando, trattandosi di elevati blocchi di pratiche omogenee, come ad es. nel caso di vendite rateali, la gestione dei crediti si appalesi costosa e complessa), a quello dell’ incasso, alle singole scadenze, dei vari importi dovuti dai debitori, fino alla eventuale assicurazione contro il rischio di insolvenze. Si tratta, dunque, di tipiche prestazioni di un mandatario, che non necessariamente esigono, a favore del factor, la cessione del credito, che, ove sia stipulata, assume soprattutto rilevanza al fine di legittimare pienamente il cessionario ad atti di gestione del rapporto, ma non a trattenere a proprio vantaggio gli importi degli eventuali incassi, che restano di competenza del cedente, mentre al factor spetteranno solo i singoli corrispettivi pattuiti per i vari servizi prestati. La seconda funzione – che quasi sempre si accompagna alla prima, ma ne resta concettualmente del tutto distinta ed autonoma – riguarda l’anima finanziaria dell’ operazione e comporta la concessione di “anticipazioni” sulle scadenze. Qui si realizza, in pratica, un vero e proprio servizio bancario, con la concessione di finanziamenti, garantiti dai crediti dell’ imprenditore verso i suoi debitori, crediti che proprio perciò vengono ceduti al factor, il quale rientra dalla sua esposizione per compensazione, via via che procede agli incassi dei crediti acquistati. In questa fattispecie si affaccia il problema della validità di trasferimenti di diritti a scopo di garanzia. Pag. 34 Infine la terza funzione è quella classica relativa ad una mobilizzazione dei crediti, secondo la prassi tipica dei c.d. “contratti di liquidità”, con la vendita del credito, che dunque esce dal patrimonio del cedente per diventare pure economicamente (e non soltanto sul piano della mera legittimazione formale) di pertinenza del factor. In questo caso la forma che pienamente risponde allo scopo del contratto è la cessione c.d. pro soluto, ossia con l’intera assunzione del rischio della solvenza del debitore a carico del cessionario e con l’intero e definitivo scarico di ogni rischio dalle spalle del cedente. Ciò postula un attento monitoraggio del c.d. “merito” del credito, in modo che il prezzo che viene concordato per la vendita del credito corrisponda ad una corretta stima del valore effettivo del credito, tenendo conto della sua scadenza, del tasso di interesse, del rischio di insolvenza e di qualsiasi ulteriore elemento idoneo ad incidere sul corrispettivo della cessione. La vendita del credito può anche essere pattuita, come si suole dire (sebbene impropriamente), pro solvendo, ossia continuando ad accollare al cedente il rischio della solvenza del debitore ceduto, nel senso che in caso di mancato incasso del credito il cessionario possa ottenere la risoluzione della vendita e la restituzione del prezzo pagato al cedente (ove sia già stato pagato): si tratta di pattuizione non del tutto congruente con l’effetto traslativo immediato del diritto oggetto della cessione, ma tuttavia neppure con esso addirittura incompatibile. Da notare che, mentre in caso di cessione pro soluto, di regola il cessionario assume a proprio carico altresì la integrale amministrazione e gestione dei crediti acquistati, in caso di cessione pro solvendo possono ricorrere entrambe le ipotesi, o di passaggio della amministrazione e gestione dei crediti ceduti in capo al cessionario ovvero di conservazione in capo al cedente di tutta l’attività di gestione ed incasso dei crediti ceduti. Il punto delicato riguarda il fatto che mentre le anticipazioni (relative alla funzione finanziaria dell’ operazione) possono variare nel loro ammontare e non sono necessariamente correlate al valore dei crediti ceduti al factor, il “prezzo” di cessione di un credito costituisce un elemento essenziale di un contratto traslativo ed obbedisce pertanto alla regola della necessaria determinatezza o determinabilità, ai fini della validità della cessione (art. 1346 c.c.). La diversa rilevanza delle due operazioni emerge nettissima considerando che a fronte di “anticipazioni” – che comportano la costituzione di un debito del cedente nei confronti del factor – per un verso si producono interessi a carico del beneficiario di tali anticipi e, per altro verso, l’incasso del credito ceduto legittima il cessionario a trattenere quanto riceve, mercé una operazione di compensazione, che determina l’estinzione del debito sorto con l’anticipazione; invece, a fronte della “vendita” del credito, il pagamento del prezzo, quand’anche anticipato rispetto alla scadenza del credito ceduto e quindi all'incasso di quest’ultimo dal debitore, non comporta affatto il sorgere di un debito del cliente verso il factor il quale, pertanto, per un verso non riscuote interessi e, per altro verso, quando ottiene dal debitore ceduto il pagamento del debito, trattiene l’incasso non in forza di una compensazione, bensì in quanto, essendo divenuto il vero titolare del credito, non solo formalmente, ma pure sostanzialmente ed economicamente, riceve quel che è dovuto proprio a lui. Orbene, rispetto alle tre funzioni ricordate ed evidenziate, la legge 52 del 1991 ha preso in considerazione soltanto quella traslativa, il caso di vera e propria Pag. 35 “vendita” di crediti pecuniari di una impresa, caso per il quale ha disposto una serie di privilegi a favore del cessionario. Il problema, peraltro, sta nella circostanza che quella presa in considerazione dalla legge non è affatto l’ipotesi più frequente per la quale si fa ricorso al factoring, il cui utilizzo avviene prevalentemente per le altre due funzioni menzionate. La fattorizzazione, intesa come vera e propria definitiva vendita dei crediti ceduti, è l’ipotesi residuale, i casi più frequenti riguardano gli scopi di ottenere servizi di amministrazione, incasso e assicurazione dei crediti ovvero di ottenere anticipi finanziari, anche a costo di dover affrontare oneri per interessi. Ma rispetto a queste finalità la legge 52 non è di alcun ausilio e lascia perciò il contratto senza alcuna disciplina tipica. Da qui il dubbio, che tende a porsi alla giurisprudenza – sia pure, per fortuna, tutto sommato in un numero di casi ristretto, il che significa che per lo più l’autonomia privata funziona bene ed evita il sorgere di contenziosi spiacevoli – se la “Disciplina della cessione dei crediti di impresa” (come suona la rubrica della legge 52) sia applicabile, con tutti i suoi privilegi, in ogni caso di contratto di factoring, ovvero se sia necessario negarne l’applicazione quando il concreto negozio evidenzi una volontà delle parti non indirizzata ad una vera “vendita” dei crediti dell’ imprenditore, bensì r ivolta o ad un “mandato” o ad una operazione meramente finanziaria (conseguimento di semplici “anticipi” rispetto al tempo previsto per l’incasso dei crediti ceduti). A mio avviso, perciò, è indispensabile completare l’opera avviata con la legge del 1991 e giungere ad una disciplina che regoli la fattorizzazione in tutti i suoi aspetti e non soltanto con riguardo alla funzione traslativa considerata con la legge 52. Fra l’altro ci troviamo di fronte ad uno di quei contratti che esigono una disciplina unitaria a livello comunitario, non essendo ammissibile che le normative nazionali continuino a condurre a soluzioni differenziate per problematiche identiche, finendo al dare rilievo determinante alla nazionalità dei contraenti. Ci si deve augurare, quindi, che possa intervenire al più presto una regolamentazione di questo importante strumento negoziale valida per tutta l’Europa. Ma nel frattempo? Credo che la contraddizione di contratti che parlano di vendita dei crediti, ma contemporaneamente fanno decorrere a favore dell’ apparente acquirente interessi per il versamento di un “prezzo”, che dovrebbe invece essere di definitiva pertinenza del venditore, vada superata, se non si vuole correre il rischio di spingere la giurisprudenza ad orientarsi verso un’abituale rettifica della qualificazione giuridica attribuita dalle parti al contratto, sostituendo all’etichetta di “vendita” del credito quella di “mandato” o di anticipazione finanziaria. Quanto viene versato a titolo di prezzo non dovrebbe essere produttivo di interessi e non dovrebbe richiedere, per restare definitivamente attribuito al cedente, un meccanismo compensativo; inoltre dovrebbe essere sempre possibile accertarne una precisa e sufficiente determinazione o, quanto meno, determinabilità. Se si vuole continuare a considerare, in modo separato dal prezzo, la concessione di “anticipi”, produttivi di interessi a favore del cessionario, ciò non è di certo incompatibile con una contestuale vendita del credito, ma occorre che i relativi versamenti – gli “anticipi” da un lato e il “prezzo” dall’ altro – restino chiaramente distinti e regolati in modo congruente con le rispettive caratteristiche e funzioni. Ciò che allo stato, francamente, non credo proprio che avvenga in modo adeguato. Pag. 36 Sarebbe dunque necessario, a mio avviso, una attenta revisione dei formulari relativi ai contratti di factoring, impostata sulla chiara identificazione dei criteri di determinazione del “prezzo” dei crediti ceduti al factor, il cui versamento al cedente non dovrebbe essere produttivo di interessi, ricollegabili soltanto ad eventuali “anticipi”, ma a condizione che le qualificazioni come “prezzo” o come “anticipo” siano regolate senza contraddizioni o confusioni, evidenziando in modo accettabile e senza distorsioni le rispettive caratteristiche e le relative conseguenze, giuridiche ed economiche. Pag. 37 La legge 52 e la natura giuridica del factoring 1 di Gustavo Visentini Il factoring “oggetto misterioso”?. Non ritengo che il factoring, e da tempo non lo ritengo, indichi un contratto, bensì un’operazione d’impresa, di un’impresa specializzata, che si realizza attraverso diversi modelli di contratto; è quello che, mi sembra, ha già detto il Prof. Schlesinger, descrivendo il contenuto dei singoli contratti. Certamente il factoring, come operazione, presenta degli elementi caratteristici di riconoscimento: è un’operazione economica di prestazione di servizi, di gestione di credito, di finanziamento mediante l’anticipazione sulla riscossione del credito. Questo è il punto economico comune, che oggi sempre più va articolandosi intorno alla gestione del credito, rispetto al passato che vedeva una focalizzazione sul finanziamento, in presenza di un sistema di vincoli bancari oggi non esistenti. Se si prende la giurisprudenza, la dottrina, le vicende contrattuali, dal codice civile Napoleonico ad oggi, ci accorgiamo che il problema della qualificazione giuridica di operazioni si è presentato di frequente e non ha nulla di nuovo rispetto ad oggi. Di fronte a queste situazioni si pensa spesso che sia la novità del caso di specie che impone al giurista un ragionamento diverso dal passato. Basta pensare all’epoca in cui si sono prospettati la vendita a rate, il noleggio e tutti i contratti di borsa, novità che sono molto simili a quelle attuali. In realtà, vi è una costante di fronte alle operazioni che la pratica inventa, una costante di comportamento nella giurisprudenza, che dapprima tende ad accettare il “nuovo” apparente nelle operazioni, così come presentato dalle parti, ma successivamente impone la sostanza del rapporto, che viene quindi inquadrato nel sistema preesistente. Il metodo per affrontare la qualifica del contratto atipico è quello di ricercarne il collocamento nell’ordinamento, o meglio di cercare disposizioni applicabili, perché alla fine vi sono comunque sempre elementi atipici, di ritrovare le disposizioni applicabili mediante la ricostruzione dei dispositivi, al di là del nome. Nel caso del factoring, qual è la fonte dei dispositivi? Io ho preso questi moduli, che sono moduli standard assai comuni e derivano dalla modulistica suggerita dall’ associazione. Mi pare innanzi tutto che vada posta una netta distinzione tra quel contratto che, a mio avviso, possiamo chiamare normativo, contratto quadro, e le singole operazioni, i singoli contratti. Nella dottrina e nella giurisprudenza qual è il criterio del contratto normativo ? Ciò ancora oggi non emerge con piena nitidezza, probabilmente anche perché il concetto di norma è emerso nel diritto pubblico con qualche chiarezza solo negli ultimi 50 anni. 1 Trascrizione dell’ intervento a cura della Segreteria del convegno Pag. 38 Se noi oggi assumiamo che norma è il dispositivo avente contenuto generale ed astratto, il contratto possiamo chiamarlo normativo quando presenta questa caratteristica; manca la generalità rispetto alla norma di legge perché vale solo tra le parti e non opera nei confronti dei terzi. Allora il dispositivo di un contratto può presentare contenuto normativo volto ad imporre quel contenuto in un futuro contratto (era la nozione di contratto normativo di Messineo e della dottrina dell’ epoca); in termini più ampi ricondurrei al contratto normativo, e mi pare che la prassi oggi sia in questo senso, anche quel contratto che contiene quel dispositivo che impone, obbliga la conclusione di futuri contratti, oppure quello che automaticamente, al verificarsi della fattispecie concreta, fa scattare, come fattispecie astratta normativa, l’esecuzione reale del contratto (il trasferimento del bene,…). Se leggo questi moduli, allora, scorgo la presenza di un contratto normativo che impone la conclusione di un futuro contratto, un preliminare che potrebbe essere ricondotto a un preliminare normativo ( le due fattispecie preliminare e normativo non sono fra loro in contraddizione, se si aderisce alla mia precedente definizione di contratto normativo). In tutti i moduli che ho avuto modo di vedere dal contratto nasce un vincolo per il cedente a proporre i crediti; lo stesso elenco non è una ricognizione che determina l’automatico trasferimento del credito, perché il cessionario si riserva comunque la valutazione e l’accettazione. Vi è quindi un obbligo di fare la proposta da parte del cedente, ma una riserva del cessionario d’accettare; quindi il contratto si conclude soltanto nei casi concreti, quell’altro, quello generale, il quadro, è il contratto normativo. I contratti che dispongono in ordine al trasferimento del credito si presentano secondo tre tipologie: Il pro-soluto viene presentato secondo questa articolazione: cessione del credito e rischio in capo del cessionario; assunzione da parte del cessionario dell’ obbligo di gestione a fronte di un compenso; pagamento da parte del cessionario del prezzo al momento della riscossione dei crediti o entro 180 giorni dalla scadenza; eventuali anticipazioni sulle quali decorrono gli interessi. Questa è la ricostruzione nominale che danno le parti, però mi pare che il trasferimento del rischio determina il trasferimento di proprietà in senso pieno; che il pagamento di un compenso per la gestione del credito è privo assolutamente di causa se fosse così costruita l’operazione, perché io gestisco il credito nel mio interesse, in quanto sono proprietario e “titolare” del rischio. Quindi il pagamento alla scadenza del credito, raro perché di solito c’è l’anticipo, non è altro che un pagamento posticipato della vendita attuale; mi pare quindi che sia una vendita di credito a tutti gli effetti. Abbiamo poi la cessione pro-solvendo. E’ uguale come costruzione a quella precedente che ho detto, ma abbiamo due casi: senza anticipo e con anticipo. Senza anticipo delle somme, manifesta, mi pare chiaramente il contenuto gestorio, l’interesse di gestione cioè il contenuto di un mandato, di un mandato che, Pag. 39 dovendo essere in nome proprio, richiede il trasferimento del bene, un trasferimento del bene in proprietà formale, fiduciaria (si potrebbe dire) per causa di mandato, frequente in tanti altri settori in tanti altri campi, ma il contenuto è quello di gestire il credito, tanto che ti pago per questo. Quando vi è l’anticipo, la caratteristica, la causa di finanziamento, mi sembra che divenga dominante. La gestione diventa ora la gestione del bene che ho in garanzia, e quindi diventa non tanto un mandato nell’interesse proprio o del mandante, ma direi direttamente una gestione del bene dato in garanzia. La legge 52 non mi sembra misteriosa sotto questo profilo, perché dà all’operazione lo stesso nome che gli dà il codice civile, e cioè cessione, poi specifica “contro corrispettivo”. Le parole descrivono la cessione e il corrispettivo, ma non qualificano il contratto come nel codice civile; a me pare che la legge 52 copra le operazioni di cessioni aventi quelle caratteristiche di impresa eccetera, che, come aveva detto De Nova all’inizio, assumono i casi del factoring, come il più frequente, ma possono anche riguardare altre operazioni che rientrano nella definizione dell’ articolo 1. Sotto questo profilo direi che è tecnicamente corretta. Quanto al contenuto avrei più dubbi sulle singole disposizioni, che abbiano una reale portata rispetto al diritto comune; credo che in parte alcune di queste derivino sia dalla situazione di scarsa chiarezza all’epoca in cui l’operazione è nata, sia dalle svariate articolazioni dell’ operazione. In particolare, la cessione di crediti futuri, per esempio, come la giurisprudenza ha avuto modo poi di precisare, è possibile purché il rapporto che genera il credito già esista. Le legge 52 era nata dalle esigenze, in quel momento molto forti anche per altri contratti, di avere al più presto possibile una collocazione ove inserire le nuove operazioni, rendendole “tipiche”. Lo ha fatto con cautela perché non ha regolato il contratto, bensì alcune situazioni che si vengono a determinare di fronte a questo effetto della cessione, secondo me correttamente, con un’impostazione che si imporrà sempre più nelle relazioni internazionali, cioè quella della fortissima autonomia privata, sulla base di alcuni principi. Il consiglio è quindi quello di non dare nessuna regolamentazione ai contratti, e di non fare nuovi contratti tipici, destinati a morire nel tempo. Tutta la disciplina dei contratti bancari è già morta, è utile mantenerla perché genera dei principi, ma pensare di risolvere i propri problemi facendo un nuovo contratto tipico di fronte ad una realtà che cambia di continuo è sbagliato, è illusorio ed è dannoso. A mio avviso occorre lavorare molto sui principi e non su contratti specifici. In tale contesto è opportuno che si sviluppi una autodisciplina, magari associativa? Nel mondo verso il quale stiamo andando tale tendenza può essere pericolosissima, perché può essere giudicata contraria alla concorrenza. I contratti tipo possono essere cioè accusati di ledere i principi della concorrenza. La vicenda recente degli interessi bancari è veramente curiosa, perché si è manifestato un rischio dell’ intero sistema, come se fosse una sola banca, e questo è stato in particolare molto sentito dall’ estero; molti colleghi hanno rilevato la vulnerabilità di un sistema, quale quello italiano, fortemente concentrato e reso Pag. 40 compatto da comportamenti “tipici”, in relazione a fatti comuni di questa portata, originati da contratti comuni. Il ruolo delle associazioni, a mio giudizio, deve essere quello di aiutare a mettere in luce il diritto comune che sta nascendo, di far “decantare” i principi di sistema. Le singole imprese devono infine tenere conto che un elemento di valutazione da parte del mercato e quindi un elemento di concorrenza sarà sempre di più la qualità giuridica del loro contratto, che quindi potrà, anzi dovrà essere personalizzato, sia pure sulla base di principi generali condivisi. Pag. 41 Le finalità delle Legge 52 e la realtà operativa del factoring 1 di Edoardo Ricci La domanda è se la legge sulla cessione dei crediti d’impresa sia ancora un oggetto misterioso. La mia risposta è: ho francamente l’impressione di sì. Facciamo un passo in dietro, e ritorniamo un momento all’epoca eroica nella quale questo testo di legge è stato elaborato. Che cosa avevano in mente i creatori di questo testo, a mano a mano che si veniva formando sotto i loro occhi e come frutto delle loro fatiche; che cosa avevano in mente questi demiurghi probabilmente illusi? Avevano in mente che l’attività del cosiddetto factor meritasse di essere aiutata, ma avevano essi, del factor, una visione edulcorata, forse santificata. Essi non lo vedevano come un pezzettino di una banca e un finanziatore, o uno semplicemente che vende servizi; lo vedevano soprattutto come un vero e proprio esperto di mercato, tale da poter consigliare il proprio cliente in merito alle forniture possibili ed agli sbocchi di mercato, secondo il modello, tanto per intenderci, del factor americano o anglosassone, destinato ad assistere il cliente dal punto di vista finanziario, ma non secondo principi di affidamento bancario, bensì secondo principi di affidamento mercantile, in altre parole. Non doveva il factor assistere la persona, il cedente, diciamo così, patrimonialmente solido, doveva favorire il cedente che lavorava bene e il cui patrimonio stava nel suo mercato, ancorché non fosse solido dal punto di vista patrimoniale. Nel sistema finanziario, già orientato a finanziare le imprese più solide, c’era bisogno di una figura professionale nuova, che non fosse il fratello minore della banca. Per favorire la creazione di questa figura professionale, occorreva dargli la sicurezza che quando ha comprato un credito questo sia davvero suo. Quale era il nemico di questa nuova figura professionale? Il fatto che il credito fosse considerato come un bene “fuori commercio”, da trasformare invece in un bene commerciabile, trasferibile al factor, che doveva quindi essere protetto. Dietro questa apparente disciplina di favore per il cessionario che si trova nella legge, c’è in realtà una proposta civilistica di più ampio respiro, c’è l’insoddisfazione verso una disciplina della cessione del credito che considera la cessione del credito come un atto extra - ordinem mentre si pensava che dovesse diventare un atto più che ordinario. Naturalmente questo presupponeva, però, che questa nuova figura professionale qualche responsabilità se la prendesse; vale a dire, che i crediti se li comprasse - e chi si compra un credito lo paga, il che vuol dire che doveva parlare in termini di prezzo, non in termini di finanziamento per ricavarne degli interessi - e doveva prevedere che il prezzo fosse pagato ad una certa data utile per il cliente e non dopo che, in ipotesi, l’incasso fosse stato eseguito, perché altrimenti il factor diventava un amministratore o un mandatario. E se una volta pattuito il pagamento del prezzo ad una certa data c’era poi l’opportunità di anticiparlo, non si doveva 1 Trascrizione dell’ intervento a cura della Segreteria del convegno Pag. 42 applicare degli interessi sull’anticipazione del prezzo, ma se mai anticipare un pò il prezzo, diminuendolo con il criterio dello sconto. Il factor doveva inoltre sviluppare una crescente vocazione ad assumersi il rischio di insolvenza, perché doveva diventare un esperto di mercato, con specifiche specializzazioni, e non un factor unico per un cliente, rivolto ad un servizio finanziario, analogo a quello bancario. Questa era l’ottica della legge, ed era un ottica ottimistica che secondo me non è stata capita. Nella mia ingenuità visionaria, quando lavoravo nella elaborazione di queste norme, soprattutto per quanto attiene l’aspetto fallimentaristico, pensavo che la complessa modulistica di questi contratti di factoring che anticipavano le future cessioni, a poco per volta avrebbe abbandonato i contenuti preesistenti, per avvicinarsi ad altri modelli, da me all’epoca consigliati, in ossequio alle nuove professionalità del factor ed all’indipendenza dagli schemi bancari. Le cose sono andate diversamente ed il factoring è diventata una attività parabancaria, con la prevalenza di una cultura bancaria che ha indotto il factoring a rimanere quello che era: un’attività di finanziamento e di servizio. A mio avviso, ecco perché la giurisprudenza, guardando quello che avviene, sovente afferma che non si applica la legge 52. Non si tratta di un atteggiamento negativo della giurisprudenza; dal mio punto di vista è il factor che ha mancato clamorosamente la propria funzione. Quale conclusione si deve trarre? Diceva Schlesinger: il factoring è un oggetto non misterioso, la legge 52 è una tappa. È ottimista Schlesinger, secondo me allo stato attuale non è nemmeno una tappa. Potrebbe essere uno strumento definitivo per un factoring fatto in una certa maniera ma è poco significativo per il factoring di oggi, in una parte significativa dei casi. Concordo con Vicentini: perché tipizzare il contratto di factoring inteso come un insieme di moduli che peraltro non affrontano le reali funzioni del factoring? Non vedo nessuna ragione per tipizzare una attività che è un’attività di gestione: c’è il mandato, è un’attività di finanziamento, ci sono già le regole le si combinano tutte insieme. Al massimo possono sorgere problemi di disciplina uniforme di certi aspetti, di contrasto di leggi e così via. Occorre chiedersi in sostanza se gli sforzi compiuti per predisporre la legge 52 sono stati ripagati: a mio giudizio, come ho cercato di dimostrare, sicuramente no. Pag. 43 La giurisprudenza dopo la legge n. 52 di Alberto Porro Prima di ricordare le più significative sentenze che sono state emesse dopo l’entrata in vigore della legge, vorrei fare una osservazione preliminare di carattere generale. Anzi, mi pongo e Vi pongo una domanda preliminare: con la nuova legge il contenzioso è aumentato o diminuito? Perché una legge oltre ad avere una funzione di risoluzione in un senso o nell’altro delle insorgenti controversie ha anche, a mio avviso, una funzione silente, nascosta, che è quella di ridurre, di far da barriere al contenzioso. La mia personale esperienza professionale, che è anche opinione di altri legali che si occupano nella aule di factoring, è che la legge sia servita a sfoltire il contenzioso. Questa conclusione l’ ho tratta non tanto dalle sentenze di merito e di cassazione, che per la verità sono state di scarso numero in questi dieci anni come anche nei precedenti, ma soprattutto dalle minori contestazioni dei giudici fallimentari in sede di verifica crediti, che è la sede che la sempre originato il maggior numero di giudizi. Mi pare a questo proposito di poter affermare che, in particolare, gli artt. 5 e 7 della legge sono serviti a ridurre in maniera significativa le possibilità dei giudici fallimentari di contestare alle società di factor l’opponibilità della cessione quando il cessionario abbia pagato in tutto o in parte il corrispettivo della cessione ed il pagamento abbia data certa. Se non fosse che per questo aspetto, la legge ritengo che abbia raggiunto lo scopo principale che ci eravamo prefissi. Un giudicato molto importante è la sentenza della Cassazione, Sez. I, 12 maggio 1998 n. 4774 in causa Centro Sviluppo Leasing / Monte Paschi Factor, nella quale il Monte Paschi era assistito dai Prof. Irti e De Nova, che ha stabilito che l’opponibilità ai terzi della cessione del credito non presuppone che la relativa notifica al debitore ceduto venga necessariamente eseguita a mezzo Ufficiale Giudiziario e ciò sia ai fini dell’ art. 1264 c.c. quanto a quelli dei successivi artt. 1265 e 2914 c.c. in quanto la notificazione della cessione (così come il correlativo atto di accettazione) costituisce un atto a forma libera, non soggetto a particolari discipline o formalità. Ha trovato così autorevole conferma la tesi espressa dalle lontane decisioni della Corte d’Appello di Trieste 28/4/1960, Corte d’Appello di Bologna 25/2/1967, Tribunale di Roma 25/11/1967 e Tribunale di Milano 29/9/1952, e da una parte della dottrina (Punzi, Satta, Minoli, Barassi), secondo cui per notificazione si deve intendere qualsiasi attività diretta a produrre conoscenza, dovendosi così interpretare l’espressione notificazione in un senso più ampio di quello di notificazione processuale. Pag. 44 Esprimo qui la mia personale soddisfazione per l’abbandono da parte della Corte Suprema della tendenza ad estendere il rigorismo formale delle notificazioni previste dal codice civile. Per questa tesi mi sono più volte battuto in giudizio e nella IV Edizione del mio libro. Un altro aspetto è il quasi totale silenzio della giurisprudenza di questi dieci anni sul tema della qualificazione del contratto di factoring. Tale silenzio equivale, a mio avviso, ad una implicita adesione alla tesi che attribuisce al negozio di factoring, secondo la nuova legge, la natura di negozio di scambio. Natura di scambio che, a mio avviso, è indiscutibile sia quando la cessione è pro-soluto, sia quando sia pro-solvendo, sia anche quando si abbia, in questo secondo caso, risoluzione della vendita del credito in caso di insolvenza del debitore ceduto. Risoluzione che fa assumere al negozio l’aspetto di una operazione creditizia. Le uniche pronunce, a quanto mi consta, sulla natura del factoring sono quelle del Tribunale di Genova in data 17/7/1991 e 17/10/1994, nelle quali tale Tribunale ritorna ostinatamente nella sua tesi del factoring avente natura di mandato, affermando che la legge 21/2/1991 n. 52 non avrebbe operato una qualificazione del contratto di factoring, ed avendo previsto la cessione dei crediti d’impresa come un contratto dalla trasparente causa di scambio, avrebbe un ambito di applicazione più ristretto rispetto alla cessione codicistica sotto il profilo sia soggettivo che oggettivo.Naturalmente l’opinione ci trova assolutamente dissenzienti. Il Tribunale di Genova non ha potuto non riconoscere che la qualificazione data dalla legge era quella del negozio di scambio, ma per poter tenere in piedi la propria tesi del mandato ha inventato che la cessione dei crediti d’impresa attraverso un contratto dalla trasparente causa di scambio avrebbe un ambito di applicazione più ristretto rispetto alla cessione codicistica sotto il profilo sia soggettivo che oggettivo. La sentenza di Genova, così come la dottrina conforme (Alpa, Semino, De Sensi), giustifica la sua tesi per il fatto che il factoring realizza un contenuto contrattuale complesso comprendente una pluralità di funzioni. Il che è esatto, a mio avviso, ma non si deve confondere, come fa la sentenza che si critica, la funzionecausa con la funzione-motivo. Che vi siano motivi diversi di finanziamento e di gestione questo non basta per vanificare la causa di scambio che caratterizza il negozio. Non so se la sentenza del Tribunale di Genova sia stata o meno appellata. Mi limito a ricordare che la Corte d’Appello di Genova nella più volte commentata sentenza Trade Factoring / Nuova Impa, nella quale ho avuto la soddisfazione di essere professionista della parte vincente, si è espressa diversamente dal Tribunale, e pur affermando che la qualificazione del contratto non può essere risolto una volta per tutte in via di astratta generalizzazione, ma caso per caso, esaminando il modulo contrattuale elaborato dall’ autonomia negoziale delle parti, ha deciso per l’inapplicabilità dell’ art. 78 L.F. che prevede lo scioglimento del supposto rapporto di mandato, e per la conseguente infondatezza della pretesa di restituzione dei crediti riscossi prima della dichiarazione di fallimento. Pag. 45 E mi fermo qui, perché non voglio aprire la discussione sulla qualificazione causale del factoring che ha visto i partecipanti a questa tavola rotonda combattere in campi avversi. Non è questo il luogo per riaccendere il dibattito per stabilire se abbia ragione Clarizia (causa di finanziamento) o De Nova (causa di scambio) o Frignani (contratto normativo e preliminare) o il sottoscritto che nell’ultima versione di un libro ha abbandonato la tesi della causa mista per abbracciare quella unitaria del negozio di scambio, che non subisce mutazioni nel pro-soluto, mentre nel prosolvendo, in caso di insolvenza del debitore ceduto comporterebbe la risoluzione della vendita del credito. Mi pare solo di dover sottolineare che la legge n. 52/91, pur con la sua aperta enunciazione di una causa di scambio, non ha esaurito la possibilità di ulteriori frammentazioni dottrinarie o giurisprudenziali, anche se, a mio avviso, dovrebbe averne ridotto il campo. Tra le sentenze interessanti segnalo quella recente della Corte d’Appello di Catania n. 263/99 depositata l’8 settembre 1999, in riforma della sentenza del Tribunale, in causa Ifitalia (da me assistita) / Fallimento Itin (già Tecnam). Il punto interessante è quello degli effetti della risoluzione di diritto del contratto da cui sorgono i crediti (per inadempimento del cedente) sui crediti ceduti.Si trattava, nella specie, di contratto di appalto (subappalto per la precisione), ma i principi espressi dalla Corte possono valere per tutti i contratti. Per la Corte la pretesa creditoria della società di factoring non può essere paralizzata dalla risoluzione del contratto, poiché le eccezioni opponibili dal debitore ceduto al cessionario sono quelle che investono l’originaria validità del contratto (nullità, annullabilità), e quelle rivolte a far valere modifiche del credito, queste ultime solo ove avvenute prima che il debitore avesse avuto conoscenza della cessione.Se dopo la cessione intervengono fatti che incidono sulla entità, esigibilità o estinzione del credito, la loro efficacia deve essere considerata in relazione alla “nuova situazione soggettiva” (ovvero la sostituzione del cedente con il factor) che si è stabilita in dipendenza della cessione. Quindi per la Corte la risoluzione di diritto (che è una facoltà negoziale, e quindi, a stretti termini, un atto di disposizione del credito), ove dichiarata con atto posteriore alla notizia della cessione di credito, è inopponibile al factor. La risoluzione di diritto è quindi pienamente operativa tra cedente e debitore ceduto, ma non è opponibile al factor-cessionario. A seguito della risoluzione, operano quindi gli effetti restitutori di cui all’art. 1458 c.c., ma l’eventuale credito restitutorio e risarcitorio del debitore ceduto (soggetto che ha subito l’inadempimento del cedente), non può essere opposto in compensazione al credito del factor, in quanto esso è nato a seguito della risoluzione, e quindi dopo la notizia della cessione. Questo è a mio parere l’aspetto più importante ed innovativo della sentenza. Non manca peraltro anche una conferma della “causa vendendi” della cessione di credito nel factoring; per la Corte il factoring è, in effetti, una convenzione Pag. 46 complessa inquadrabile in una vera e propria forma di cooperazione nella gestione dei crediti d’impresa, ma si ritiene che il momento della cessione dei crediti (presenti e futuri, e quindi non i singoli atti di cessione, ma la convenzione contenuta in un contratto), sia prevalente sulle altre funzioni, cosicché si deve senz’altro far riferimento alla disciplina della cessione di crediti e non a quella del mandato. Tra le altre sentenze da ricordare segnalo le seguenti. La sentenza della Cass. Civ. Sez. I, 12/11/1999 n. 12539, che ha stabilito che l’esenzione dalla revocatoria prevista a favore dell’ impresa di factoring, in base all’art. 6 della Legge n. 52/91 non trova applicazione allorché tanto il pagamento quanto la dichiarazione di fallimento siano intervenuti prima della entrata in vigore della legge stessa. La sentenza del Tribunale di Milano, 20/3/1997 in Banca Borsa Tit. cr. 1999, II, 64, che ha stabilito che la disposizione di cui all’art. 7 comma 3 della Legge n. 52/91, secondo la quale il factor ha diritto alla restituzione in prededuzione del corrispettivo pagato al cedente successivamente fallito, costituisce norma di stretta interpretazione, applicabile solo in presenza dei requisiti di cui al comma 2 della medesima legge (recesso del Curatore dalle cessioni di credito, relativamente a crediti non ancora sorti alla data della sentenza dichiarativa). In ogni altra ipotesi di anticipazione effettuata dal factor, il credito non godrà di prededuzione, applicandosi i principi generali in materia di vendita di cosa futura. La sentenza del Tribunale di Torino 20/6/1995 in Gius 1995, 3583, che ha stabilito che la revocatoria fallimentare prevista dall’ art. 6 della Legge n. 52/91 può essere esperita alla condizione che sussista una causa estintiva dell’ obbligazione consistente in un pagamento, non ricorrendo tale ipotesi allorquando il ceduto compensi un proprio debito con un corrispondente credito nei confronti del cessionario. La sentenza della Corte d’Appello di Milano 25/1/1994 in causa Fincantieri / CBI Factor, la quale, in una fattispecie in cui il debitore ceduto ha eccepito al factor di non essere debitore perché il materiale ordinato al cedente non era stato consegnato o non era conforme agli ordini, mentre il factor opponeva che il debitore ceduto aveva accettato la cessione dopo la consegna della merce e non aveva mai eccepito di non essere debitore, ha dichiarato irrilevanti la deduzioni del debitore dirette a dimostrare la non effettuazione delle forniture, stante la presenza della dichiarazione che la cessione concerneva forniture regolarmente eseguite e l’impegno di effettuare il pagamento direttamente alla società cessionaria. La Corte ha stabilito che tale dichiarazione non costituiva confessione ma semplice riconoscimento titolato di debito.Tale riconoscimento impedisce al debitore ceduto di dare la prova che le forniture non erano state eseguite. La sentenza della Corte Suprema Sez. I, 18/10/1994 n. 8497 in causa Sud Factoring / Salotti Natuzzi, riportata nella rivista Contratti n. 1 del 1995, con nota favorevole di De Nova. Nella vertenza in questione si trattava di una cessione di crediti anche futuri nella quale il debitore ceduto si era impegnato a segnalare alla cessionaria tutti i fatti e le circostanze che potessero ridurre o annullare i pagamenti dovuti alla cessionaria. Il rapporto fino ad un certo punto ha avuto regolare Pag. 47 esecuzione, ma ad un certo momento il debitore aveva comunicato di nulla dovere per altre fatture emesse per errore. La società di factoring lamentava di non essere stata tempestivamente informata dal debitore sull’insussistenza dei crediti ed ha chiesto il risarcimento dei danni. La Corte ha ritenuto che il debitore ceduto non poteva dirsi inadempiente all’obbligo di informazione assunto, in quanto il factor faceva affidamento per concedere le anticipazioni sull’attestazione da parte del debitore ceduto che il credito fosse esistente ed esigibile, non già sulla circostanza che il debitore non avesse fatto informazioni negative sui crediti. Segnalo infine una recentissima sentenza della Corte d’Appello di Firenze n. 1628, depositata il 27/9/2000 e notificata il 18/1/2001 in causa Ifitalia / Fallimento Icoma, inedita. La Corte ha stabilito che è possibile impugnare ex art. 98 L.F. il provvedimento di ammissione al passivo tutte le volte in cui esso sia difforme da quanto richiesto e quindi non solo nel caso di crediti esclusi o ammessi con riserva (nella fattispecie il Tribunale di Prato aveva escluso un credito di cui era stata chiesta l’ammissione in via condizionale). Inoltre la Corte ha stabilito che ai fini della opponibilità al fallimento di una cessione di crediti vantati verso la P.A. e sottoposti alla disciplina speciale, non è necessaria l’accettazione della P.A., mentre tale accettazione è necessaria per agire nei confronti della P.A. stessa. Ha inoltre ritenuto che, ove la P.A. abbia accettato la cessione anche dopo il fallimento, deve pagare il credito al cessionario e non al fallimento del cedente. Concludendo, mi pare che si possa dire che la scarsità della giurisprudenza del periodo considerato non sia dovuta a insufficienza della mia ricerca e che può essere quindi condivisa la mia opinione sulla buona accoglienza della legge in questione da parte della magistratura giudicante, a meno che, dato i notori tempi lunghi per l’uscita delle sentenze, non ci riserbino nel prossimo futuro qualche sorpresa. Pag. 48 “La legge 52 e la prassi contrattuale” di Renato Clarizia Il mio intervento si propone di valutare quale impatto ha avuto la legge n. 52 sulla modulistica contrattuale e se, in particolare, siano individuabili differenze tra i contratti utilizzati prima della legge e quelli successivi. Prima, però, mi sia consentito, anche se velocemente, di riprendere quanto detto dal prof. Schlesinger a proposito della portata della legge n. 52. Egli ci ha ammonito che trattasi solo di una tappa, che oggi la tematica va ripresa e riguardata nell’ottica comunitaria, esprimendo, pertanto, un giudizio di valore che non è certo di critica. Invero, conviene ricordare che - anche in ragione delle osservazioni a suo tempo avanzate proprio dal prof. Schlesinger - abbandonammo l’originario progetto di scrivere una legge onnicomprensiva sul factoring, che si facesse carico cioè di tutte le problematiche soggettive ed oggettive, e focalizzammo l’attenzione soltanto su quei profili rivelatisi problematici nella operatività quotidiana e che rischiavano di limitarne o addirittura comprometterne lo sviluppo. Piuttosto quindi di scrivere un testo completo ed organico che si sarebbe arenato in Parlamento oppure la cui ratio originaria sarebbe stata stravolta nel lungo iter alle due Camere, si presentò un articolato breve ed incisivo che risolveva importanti problemi operativi. Nessuna velleità, dunque, di approvare una legge sul modello angloamericano, nessuna velleità di coprire anche quei punti che si riteneva sarebbero potuto emergere in futuro! Oggi potrebbe essere utile rivedere l’intera materia alla luce dell’ esperienza fin qui maturata e delle prospettive di sviluppo, armonizzando l’operazione con la normativa comunitaria. In una tale ottica, dunque, non posso non condividere l’opinione del prof. Schlesinger che la legge n. 52/1991 è stata solo una tappa nel cammino che ci deve portare ad una più sistematica integrazione con il modello anglosassone. Nell’affrontare il tema del mio intervento devo dare atto innanzitutto al settore del factoring ed all’associazione di categoria dell’ importante opera di standardizzazione che sono riusciti a realizzare a livello di modulistica contrattuale. Infatti, il testo delle condizioni generali di contratto suggerito da ASSIFACT costituisce un utile riferimento, del quale si avvalgono, in misura maggiore o minore, tutti gli operatori del settore. Si è così creata una condivisione generale delle principali clausole contrattuali, di quelle “portanti” e ciò può costituire anche una importante difesa di fronte ad una giurisprudenza non sempre attenta alle peculiarità dell’ istituto. Se scorriamo la modulistica contrattuale, risalta subito evidente il collegamento con la legge n. 52/1991. Se tale collegamento è testuale nelle premesse che richiamano espressamente la nostra legge accanto alla disciplina codicistica della cessione dei crediti, ancora più se ne esalta la compenetrazione Pag. 49 dalla struttura stessa del contratto: la peculiare qualità del factor e del cliente (cedente), la peculiare tipologia dei crediti ceduti, la garanzia di solvenza del cedente, la previsione degli anticipi, l’efficacia reale del trasferimento dei crediti futuri e in massa, l’assenza di previsione di servizi a carico del factor. Dai testi contrattuali a me sembra che appaia con evidenza la funzionalizzazione dell’ operazione al finanziamento del cedente, la prevalenza della causa di finanziamento su ogni altra, anche quella di scambio. E’ vero, infatti, che talvolta dalla lettura dei contratti è dato evincere l’esistenza di altre “cause” (di scambio appunto, gestoria, ecc.) e ciò -come vedremo- porta ad una certa ambiguità che sarebbe il caso, come ammoniva Edoardo Ricci, di rimuovere. In verità la giurisprudenza non sembra aver abbandonato completamente quel dibattito sulla causa dell’ operazione -di scambio o gestoria- che divideva la dottrina prima della legge n. 52/1991; ma sono proprio i contratti che talvolta continuano ad alimentare una tale discussione, laddove richiamano la normativa sul mandato pur su una struttura contrattuale solidamente fondata sulla causa vendendi e di finanziamento. E’ come se gli operatori non avessero il coraggio di liberarsi da vecchi schemi concettuali, temendo di utilizzare quelle opportunità vantaggiose che loro offre la normativa della legge n. 52/1991. E’ indubbio, comunque, che la modulistica oggi diffusa sul mercato riproduce l’operazione di factoring italiana, così come disciplinata da lla legge n. 52/1991: l’inesistenza di qualsiasi riferimento a servizi aggiuntivi e/o alternativi che il factor italiano sarebbe in grado di svolgere ribadisce la peculiarità degli operatori nazionali rispetto a quelli anglosassoni. Sotto tale profilo può rappresentare una sfida o addirittura un’esigenza quella di adeguarsi agli standards degli operatori stranieri, in particolare di quelli dell’ Unione europea. Ma torniamo ai contratti. E’ ovvio che l’aver modellato i contratti sulla disciplina della legge n. 52/1991 significa che si tratta di una regolamentazione che pende a favore del factor: ho sempre riconosciuto che la n. 52/1991 è una legge moderatamente corporativa e ovviamente il fatto che le condizioni generali di contratto siano predisposte dal factor aumenta siffatto favore. In particolare mi riferisco alla normativa che regola convenzionalmente il recesso del factor, la possibilità di revoca e riduzione dei crediti approvati, oppure che prevede che in assenza di una specifica dichiarazione del debitore di esistenza del credito ritengono siffatta esistenza possa inferirsi dal suo silenzio, successivamente alla notifica dell’ intervenuta cessione. E sono questi, d’altro canto, i principali profili sui quali la giurisprudenza ha prevalentemente fermato la propria attenzione. Orbene, io penso che tali profili debbano oggi essere rimeditati dal settore e dall’ associazione che esso esprime, stimolando gli operatori a rivedere in un’ottica di maggiore equilibrio talune previsioni contrattuali fortemente orientate a favorire il factor. Mi rendo conto che, non essendo il cliente cedente un consumatore, non trovano applicazione le norme degli artt. 1469bis-sexies del codice civile in tema di Pag. 50 clausole abusive, ma non possiamo neanche ignorare che ormai si tende sempre più ad individuare una sorta di statuto del cliente - non importa se consumatore oppure no - degli intermediari finanziari, con la previsione di specifiche tutele a favore di quest’ultimo. E’ importante, cioè, che prima di vederci bersaglio di una giurisprudenza oltremodo severa nei nostri confronti oppure di provvedimenti legislativi fortemente penalizzanti (in una logica talvolta dettata da semplice demagogia), si provveda ad eliminare privilegi eccessivi e a ridurre posizioni di vantaggio, talvolta inutili oltre che ingiustificati. In conclusione, con uno sguardo al futuro, direi che è necessario da un lato che la modulistica si adegui ai possibili mutamenti del ruolo del factor in un’ottica non più limitata ai confini nazionali ma aperta almeno a quelli dell’ Unione europea e dall’ altro che si ponga mano ad una revisione del contenuto dei contratti, prestando maggiore attenzione alle ragioni del cliente-cedente, secondo quelle istanze ormai generalmente avvertite, a livello contrattuale, nel mondo degli intermediari finanziari. Pag. 51 Conclusioni1 di Giorgio De Nova In primo luogo, desidero sottolineare come, a mio parere, la scelta di portare avanti una legge su alcuni aspetti della cessione dei crediti d’impresa, anziché sul factoring, si sia rivelata in effetti adeguata, anche in considerazione dei temi discussi nel corso della tavola rotonda. In secondo luogo, ritengo utile porre in evidenza, per concludere, il ruolo svolto ed i profili di attualità dei singoli articoli della legge 52. L’art. 1 e l’art. 2, attualmente sostituito dal Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia per quanto attiene alla normativa soggettiva, hanno svolto, a mio giudizio adeguatamente, la funzione loro assegnata. L’art. 3, relativo alla cessione di crediti futuri e di crediti in massa, ancora oggi svolge una funzione molto importante, visto che la giurisprudenza, che pur non ha avuto molte occasioni di occuparsi della legge 52, ha tratto conforto da questa per affermare che la cessione dei crediti futuri e dei crediti in massa è ammissibile e frutto di un’operatività “fisiologica”, che considera a tutti gli effetti, come già sottolineava Ricci, i crediti come un bene “commerciabile”. L’art. 4, in tema di garanzia di solvenza, afferma un principio già presente nei contratti ed ha quindi un ruolo tutto sommato secondario, che potrebbe essere svolto appunto direttamente dalla contrattualistica, seguendo anche i suggerimenti di Clarizia e Visentini. L’art. 5, relativo all’efficacia nei confronti dei terzi, affronta un tema di rilievo, ripreso dalle note sentenze della Cassazione, come ricordava Porro. Forse potrebbe valere la pena, in sede di possibili proposte di integrazione di questo testo normativo, di precisare meglio i contenuti dell’art. 5, seguendo il senso delle sentenze suddette. Non dimentichiamo che la parola notificazione viene interpretata dalla giurisprudenza, dato che non è scritto “notificazione con ufficiale giudiziario”. Potrebbe questa essere l’occasione anche per chiarire, ove fosse necessario, che la comunicazione può avvenire anche mediante più moderne tecnologie di trasmissione delle dichiarazioni, connesse allo sviluppo della firma digitale. Gli art. 6 e 7 della legge sono probabilmente prossimi ad essere superati, perché è difficile pensare che il loro ruolo continui anche di fronte ad una più generale riforma della legge fallimentare. In conclusione, alcuni dei contenuti della legge 52 mantengono la propria validità e sono ancora importanti per il settore del factoring, alcuni altri hanno svolto il loro ruolo, ma sono destinati con tutta probabilità a perdere di importanza. 1 Trascrizione dell’ intervento a cura della Segreteria del convegno Pag. 52 Credo infine che sia il caso di chiedersi se non si debbano riprendere, in una prospettiva di miglioramento della normativa, altri temi che sono stati a suo tempo abbandonati, perché si ritenevano non maturi o di difficile trattazione. In particolare, mi riferisco ai crediti verso la pubblica amministrazione, che dovrebbero essere a tutti gli effetti considerati anche loro un “bene in commercio” e non, invece, un bene vincolato nella sua cedibilità da così tanti limiti, ed al profilo della cedibilità dei crediti, o meglio dell’opponibilità ad un terzo del divieto patrizio di cessione, che costituisce un vincolo che oggi forse deve essere rimesso in discussione. Alcuni contenuti di rilievo potrebbero dunque ulteriormente “migliorare” la legge 52, probabilmente ancora in un’ottica pragmatica della soluzione di problemi che l’operatività ci pone, piuttosto che nell’ambizione di una disciplina del contratto nella sua completezza, ed in prospettiva comunitaria, come anche Schlesinger suggeriva. Pag. 53 25-2-1991 GAZZETTA UFFICIALE DELLA REPUBBLICA ITALIANA Serie generale – n. 47 LEGGI, DECRETI E ORDINANZE PRESIDENZIALI LEGGE 21 febbraio 1991. n. 52. Disciplina della cessione dei crediti d'impresa. La Camera dei deputati ed il Senato della Repubblica hanno approvato: IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA PROMULGA la seguente legge: 3. La cessione in massa dei crediti futuri può avere ad oggetto solo crediti che sorgeranno da contratti da stipulare in un periodo di tempo non superiore a ventiquattro mesi. 4. La cessione dei crediti in massa si considera con oggetto determinato, anche con riferimento a crediti futuri, se è indicato il debitore ceduto, salvo quanto prescritto nel comma 3. Art. 1. Art. 4. Ambito di applicazione Garanzia di solvenza 1. La cessione di crediti pecuniari verso corrispettivo è disciplinata dalla presente legge, quando concorrono le seguenti condizioni: 1. Il cedente garantisce, nei limiti del corrispettivo pattuito, la solvenza del debitore, salvo che il cessionario rinunci, in tutto o in parte, alla garanzia. a) il cedente è un imprenditore; b) i crediti ceduti sorgono da contratti stipulati dal cedente nell’esercizio dell’impresa; c) il cessionario è una società o un ente, pubblico o privato, avente personalità giuridica, sempre che, in ogni caso , l’oggetto sociale preveda anche l’acquisto di crediti impresa, e il cui capitale sociale o il fondo di dotazione non sia inferiore a dieci volte il capitale minimo previsto le società per azioni. 2. Resta salva l’applicazione delle norme del codice civile per le cessioni di credito prive dei requisiti di cui al comma 1. Art. 2 Albo delle imprese che esercitano l’attività di cessione dei crediti 1. E’ istituito presso la Banca d’Italia un albo delle imprese che esercitano l’attività di cessione dei crediti di impresa ai sensi della presente legge. La Banca d’Italia esercita la vigilanza sul corretto svolgimento della suddetta attività, anche al fine di impedire l’impiego di denaro, beni o utilità, di provenienza illecita. 2. Nel termine di sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge il Ministro del tesoro provvede con proprio decreto a disciplinare l’iscrizione all’albo di cui al comma 1 e la cancellazione dal medesimo, i contenuti e le modalità della vigilanza, nonché le relative sanzioni amministrative. 3. Il cessionario dei crediti di impresa di cui alla presente legge è tenuto all’osservanza dell’ obbligo di certificazione del proprio bilancio annuale. Art. 3. Cessione di crediti futuri e di crediti di massa 1. I crediti possono essere ceduti anche prima che siano stipulati i contratti dai quali sorgeranno. 2. I crediti esistenti o futuri possono essere ceduti anche in massa. Art. 5. Efficacia della cessione nei confronti di terzi 1. Qualora il cessionario abbia pagato in tutto o in parte il corrispettivo della cessione ed il pagamento abbia data certa, la cessione è opponibile: a) agli altri aventi causa del cedente, il cui titolo di acquisto non sia stato reso efficace verso i terzi anteriormente alla data del pagamento; b) al creditore del cedente, che abbia pignorato il credito dopo la data del pagamento; c) al fallimento del cedente dichiarato dopo la data del pagamento, salvo quanto disposto dall’articolo 7, comma 1. 2. È fatta salva per il cessionario la facoltà di rendere la cessione opponibile ai terzi, nei modi previsti dal codice civile. 3. È fatta salva l’efficacia liberatoria secondo le norme del codice civile dei pagamenti eseguiti dal debitore a terzi. Art. 6. Revocatoria fallimentare dei pagamenti del debitore ceduto 1. Il pagamento compiuto dal debitore ceduto al cessionario non è soggetto alla revocatoria prevista dall’articolo 67 del testo delle disposizioni sulla disciplina del fallimento del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa, approvato con regio decreto 16 marzo 1942, n. 267. Tuttavia tale azione può essere proposta nei confronti del cedente qualora il curatore provi che egli conosceva lo stato di insolvenza del debitore ceduto alla data del pagamento al cessionario. 2. È fatta salva la rivalsa del cedente verso il cessionario che abbia rinunciato alla garanzia prevista dall’articolo 4. Pag. 54 25-2-1991 GAZZETTA UFFICIALE DELLA REPUBBLICA ITALIANA Art. 7. Fallimento del cedente 1. L’efficacia della cessione verso i terzi prevista dall’articolo 5, comma 1, non è opponibile al fallimento del cedente, se il curatore prova che il cessionario conosceva lo stato di insolvenza del cedente quando ha eseguito il pagamento e sempre che il pagamento del cessionario al cedente sia stato eseguito nell’anno anteriore, alla sentenza dichiarativa di fallimento e prima della scadenza del credito ceduto. 2. Il curatore del fallimento del cedente può recedere dalle cessioni stipulate dal cedente, limitatamente ai crediti non ancora sorti alla data della sentenza dichiarativa. Serie generale – n. 47 Sono altresì revocati, se il procuratore prova che l’altra parte conosceva lo stato d’insolvenza del debitore, i pagamenti di debiti liquidi ed esigibili, gli altri a titolo oneroso e quelli costitutivi di un diritto di prelazione per debiti contestualmente creati, se compiuti entro l’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento. Le disposizioni di questo articolo non si applicano all’istituto di emissione, agli istituti autorizzati a compiere operazioni di credito su pegno, limitatamente a queste operazioni, e agli istituti di credito fondiario. Sono salve le disposizioni delle leggi speciali». ______ LAVORI PREPARATORI Senato della Repubblica (atto n. 383): Presentato dal sen. MANCINO ed altri il 4 agosto 1987. Assegnato alla 2a commissione (Giustizia), in sede deliberante, il 1° ottobre 1987, con pareri delle commissioni 1a, 6 a e 10°. Esaminato dalla 2a commissione e approvato il 17 dicembre 1987. Camera dei deputati (atto n. 2115): 3. In caso di recesso il curatore deve restituire al cessionario il corrispettivo pagato dal cessionario al cedente per le cessioni previste nel comma 2. La presente legge, munita del sigillo dello Stato, sarà inserita nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. E’ fatto obbligo a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge dello Stato. Data a Roma, addì 21 febbraio 1991 COSSIGA Assegnato alla II commissione (Giustizia), in sede referente, il 13 gennaio 1988, con pareri delle commissioni VI e X. Esaminato dalla IIa commissione, in sede referente, l’ 8 febbraio 1989. Assegnato nuovamente alla IIa commissione, in sede legislativa, il 28 febbraio 1989. Esaminato dalla Ila commissione, in sede legislativa, il 1°, 8 marzo 1989; 6, 15 novembre 1989 e approvato, con modificazioni, il 9 gennaio 1991. Senato della Repubblica (atto n. 383/B): Assegnato alla 2a commissione (Giustizia), in sede deliberante, il 23 gennaio 1991, con parere della commissione 6a. Esaminato dalla 2° commissione e approvato il 12 febbraio 1991. 91G0089 ANDREOTTI, Presidente del Consiglio dei Ministri Visto, il Guardasigilli: MARTELLI ______ NOTE AVVERTENZA: Il testo della nota qui pubblicato è stato redatto ai sensi dell’art. 10, comma 3, del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 1985, n. 1092, al solo fine di facilitare la lettura delta disposizione di legge alla quale è operato il rinvio e della quale restano invariati il valore e l’efficacia. Nota all’ art.6: - L’art. 67 del testo delle disposizioni sulla disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell’ Amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa, approvato con R.D. n. 267/1942. è il seguente: «Art. 67 (Atti a titolo oneroso, pagamenti, garanzie). – Sono revocati, salvo che l’altra parte provi che non conosceva lo stato d’insolvenza del debitore: 1) gli atti a titolo oneroso compiuti nei due anni anteriori alla dichiarazione di fallimento, in cui le prestazioni eseguite o le obbligazioni assunte dal fallito sorpassano notevolmente ciò che a lui è stato dato o promesso: 2) gli atti estintivi di debiti, pecuniari, scaduti ed esigibili non con danaro o con altri mezzi normali di pagamento, se compiuti nei due anni anteriori alla dichiarazione di fallimento; 3) i pegni, le anticresi e le ipoteche volontarie costituiti nei due anni anteriori alla dichiarazione di fallimento per debiti preesistenti non scaduti: 4) i pegni, le anticresi e le ipoteche giudiziali o volontarie costituiti entro l’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento per debiti scaduti. 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