Leggi le prime pagine del libro.

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Leggi le prime pagine del libro.
Rafael Bernal
IL COMPLOTTO MONGOLO
Traduzione di Andrea Ghezzi
La Linea
I
A
lle sei del pomeriggio si alzò dal letto. Infilò le scarpe
e mise la cravatta. In bagno si gettò un po’ d’acqua
sulla faccia e pettinò i capelli, corti e scuri. Non c’era motivo
di radersi. Non aveva mai avuto una barba folta e poteva
tranquillamente farsela una volta ogni tre giorni. Completò
la toletta con un po’ d’acqua di colonia Yardley, ritornò nella stanza da letto e prese dal comodino la quarantacinque.
Controllò che il caricatore fosse al suo posto, con una cartuccia inserita nella camera di scoppio. Afferrò un panno e
con cura lucidò la semiautomatica; terminata l’operazione la
fece scivolare nella fondina che gli cadeva dalla spalla. Poi
prese il coltello a scatto, verificò che funzionasse a dovere e
lo nascose nella tasca dei pantaloni. Infine si infilò la giacca
di gabardine beige e indossò un cappello dall’ampia tesa.
Così vestito ritornò in bagno a specchiarsi. La giacca
era nuova e il sarto aveva fatto un buon lavoro, doveva ammetterlo; quasi non si notava la forma della pistola sotto il
braccio, giusto sopra il cuore. Meccanicamente, mentre si
guardava allo specchio, passò le dita su quella protuberanza.
Senza la pistola si sentiva nudo. Un giorno l’Avvocato, nella
cantina dell’Opera, aveva definito quel sentimento null’altro
che un complesso di inferiorità; come al solito l’Avvocato era
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sbronzo e, in ogni caso, che vada al diavolo l’Avvocato! La
quarantacinque era una parte di sé, di Filiberto García; una
sua parte, esattamente come lo erano il suo nome e il suo
passato. Fottuto passato!
Si diresse nel salottino. Il piccolo appartamento era immacolato e i mobili di Sears quasi nuovi. Quel “nuovo” era
uno stato determinato dal loro sostanziale inutilizzo: poche
erano le persone che gli facevano visita e non aveva altra ragione di impiegarli. Si sarebbe potuto trattare dell’appartamento di una persona qualunque o dell’alloggio di un albergo di media categoria. Non vi si trovava niente di personale;
non c’erano quadri, né fotografie, né libri, né una sedia che
sembrasse più usata di un’altra e neppure una bruciatura di
sigaretta o l’impronta di un bicchiere sul tavolino basso che
stava al centro della sala. Aveva pensato spesso a quei mobili,
l’unica cosa che possedeva a parte l’automobile e un po’ di
denaro che aveva messo al sicuro. Quando si era trasferito
dalla pensione, una delle tante dove aveva vissuto, li aveva
acquistati da Sears. I primi che gli avevano offerto. Li aveva
lasciati disposti nel modo esatto in cui erano stati collocati
dal facchino che li aveva trasportati, lo stesso che si era anche preso la briga di montare le tende.
Dannati mobili! Eppure è difficile vivere in un appartamento senza mobili, com’è difficile che l’acquirente di un
intero condominio non vada poi ad abitare in uno degli appartamenti. Entrambe le cose erano infatti successe.
Si fermò di fronte allo specchio della consolle della sala
e si aggiustò la cravatta di seta di un rosso brillante, della
stessa brillantezza del fazzoletto di seta nero che portava nel
taschino. Un fazzoletto che profumava sempre di Yardley.
Controllò le unghie e le trovò smaltate e in ordine.
Quello che stonava, a cui però non v’era rimedio, era una
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cicatrice sulla guancia. Ma nemmeno il gringo che gliela aveva lasciata poteva ormai trovare rimedio alla precoce dipartita. Una perfetta simmetria! Che si fotta il gringo! Era troppo
scaltro per lasciarsi vincere dalla lama di un pugnale? Non lo
era stato altrettanto con il piombo. Arrivò il suo giorno lì a
Juárez. O meglio, la sua notte. E quella vicenda deve essere
da monito a quanti tentino di fregare altri cristiani col favore
delle tenebre. Non c’è modo di anticipare il sorgere del sole
alzandosi prima dell’alba. Trucchetti da imbecilli. Per quel
gringo non ci sarebbe più stato un nuovo giorno.
Il viso scuro era inespressivo, la bocca era come ingessata e conosceva il movimento solo quando doveva parlare.
L’unico guizzo d’espressione animava i grandi occhi verdi a
mandorla. A Yurécuraro, quando era piccolo, lo chiamavano
il “gatto” e una donna, a Tampico, lo aveva apostrofato “la
mia tigre mansueta”.
Fottuta tigre mansueta!
Benché gli occhi si prestassero all’impiego di un tale nomignolo, il resto del volto, in particolare la piega della bocca,
non spingeva a tanto le persone.
Sulla soglia del palazzo il portiere lo salutò con piglio
marziale:
– Buon pomeriggio, Capitano.
Questo bifolco si ostina a darmi del capitano perché indosso una giacca di gabardine, un cappello texano e un paio
di mocassini. Se mi vedesse con una valigetta mi chiamerebbe dottore. Che si fottano dottori e capitani!
La sera cominciava a colorare di grigio sporco la calle
Luis Moya, mentre il traffico, come al solito a quell’ora, diventava insopportabile. Optò allora per muoversi a piedi. Il
Colonnello lo aveva convocato alle sette. Aveva tempo. Si
diresse verso avenida Juárez e voltò a sinistra, in direzione
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del Caballito. Poteva passeggiare con calma. Aveva tempo.
Per tutta la mia fottuta vita ho avuto tempo. Uccidere non è
un lavoro che ne occupa molto, soprattutto da quando abbiamo preso l’abitudine alle leggi, all’ordine e al governo.
Durante la Rivoluzione era tutta un’altra cosa, ma allora ero
giovane. Ero agli ordini del generale Marchena, uno dei tanti
generali di secondo piano. Proprio per questo un giorno un
avvocatucolo di Saltillo si azzardò a dire che il generale era
un miserabile sconosciuto. Non so se lo abbia ripetuto nella
tomba. Non mi piace quel tipo di battute. Può andare un
racconto vivace, ma quanto all’ironia, bisogna saperla fare
con gusto, bisogna sapere che cos’è il rispetto e rispettare
Filiberto García e i suoi generali. Fottute battute!
Chi lo conosceva sapeva che non amava le battute. Le sue
donne lo imparavano molto presto. Solo l’Avvocato, quando
era sbronzo, si permetteva di scherzare. È che a quel dannato Avvocato non gli interessa poi tanto vivere. Quando sganciarono la bomba atomica in Giappone mi chiese, facendosi
serio di fronte a tutti: “Da collega di lavoro, che cosa pensa
del presidente Truman?”. Nella cantina quasi nessuno rise.
Non era una novità. Quando sono lì sono ben pochi a farlo,
e se gioco a domino il solo rumore che si sente è quello delle
tessere che cadono sul marmo. È quello il modo di giocare
a domino, ed è così che ci si comporta tra uomini. Lo sanno bene anche i cinesi di calle de Dolores. Si fanno il loro
pokerino senza tante chiacchiere e, soprattutto, senza sparare stupidaggini. Pedro Li e Juan Po non hanno mai saputo
niente di me. Per loro io sono solamente l’onolevole signol
Galcía. Si impicchino quei musi gialli! Si divertono a fare gli
gnorri, impassibili e onniscenti. E se uno prova a darsi delle arie, lo guardano con assoluta innocenza, indovinandogli
perfettamente la povertà scritta nella sua faccia da affama16
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to. Conosco i loro traffici. Il gioco d’azzardo e l’oppio. Ma
ricambio il silenzio. Se i cinesi vogliono fumare oppio, che
lo fumino. E se i giovani vogliono la marijuana, non è affar
mio. Fu quello che dissi al Colonnello quando mi mandò a
Tijuana a caccia di un gruppo di trafficanti che trasportavano marijuana oltre il confine. Alcuni erano messicani, altri
gringo e due di loro non lo andranno più a raccontare. Ciononostante i messicani continueranno a esportare marijuana
negli Sati Uniti e i gringo continueranno a fumarsela, in barba alla legge. I loro poliziotti pare diano molta importanza al
rispetto della legge. La mia opinione è che la legge sia una di
quelle cose messe lì per i coglioni. E ho l’impressione che i
gringo lo siano tutti. Con la legge non si va da nessuna parte.
L’Avvocato, malgrado la sua acutezza per codici e codicilli,
vegeta nella cantina, scroccando bicchieri a destra e a manca. “Qualunque problema tu abbia, sta certo che lui te ne
tira fuori”. Non ho problemi di quel tipo. Solo una volta mi
ci sono trovato dentro, e in quell’occasione ho imparato la
lezione. Per freddare il prossimo è consigliabile avere un ordine. Ma ero fuori di me e ho sparato di mia iniziativa. Avevo
la ragione dalla mia, ma non gli ordini. E quando, in ritardo,
li ho dovuti richiedere, mi hanno fatto calare le braghe per
essere perdonato. Ho imparato. Correvano i tempi del generale Obregón, avevo vent’anni. Nel frattempo ne ho aggiunti
una quarantina e ho risparmiato qualche soldo, non molto
ma a sufficienza per i miei vizi. Esperienza e leggi, si fottano
entrambe! Per ogni cosa c’è una legge. E c’è sempre qualcuno che chiama “dottore, dottore!”. A non contare più nulla
sono io. Si tolga di mezzo vecchio coglione. A che università
ha studiato? Che tipo di scuola ha fatto? No, per fare questo
lavoro c’è bisogno di un titolo. Prima bisognava avere le palle, ora basta un titolo. Orecchie basse e baciare le chiappe,
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ecco quello che si deve fare. Senza, l’esperienza non vale un
tubo. Qui si costruisce il Messico nuovo, i vecchi sono pregati di chiudersi al cimitero. Lei non è più necessario. Lei serve
solo a fare morti, pulciosi morti di seconda categoria. Oggi
il Messico sta progredendo. Se ne va sempre più avanti sulla
strada del progresso. Lei è della leva passata. Ormai con le
pallottole non si risolve nulla. Chi si ricorda più che la Rivoluzione l’hanno fatta a colpi di fucile? Fottuta Rivoluzione!
Noi siamo il futuro del Messico e voi non siete altro che una
zavorra. Stia buono lì, non ci secchi fino a che non avremo
ancora bisogno di lei. Fino a che non avremo bisogno di un
altro morto. Lei solo questo sa fare. Stiamo costruendo il
Messico dei bar da aperitivo, non quello delle cantine che
entusiasmano esclusivamente voi vecchi. E in questi locali
moderni non ci si può entrare certo con la quarantacinque
e nemmeno con il vestito di gabardine e il cappello texano.
Men che meno con i mocassini. Tutto questo può andare
nelle cantine, per la vecchia guardia che, anche se ha vinto
la Rivoluzione, è stata liquidata dalla storia. Dannata Rivoluzione! Ora con i loro sorrisi sotto ai baffetti corti, chiedono:
“Lei è esistenzialista?”, “Le piace l’arte figurativa?”, “No, le
devono piacere ancora i calendari Galas1”. E che c’è di male
nei calendari Galas, dico io. Niente, però in questo modo
non si può pensare di costruire il nuovo Messico. La faremo
chiamare quando avremo bisogno di un altro cadaverino.
Cristosanto, come ci hanno fatto le scarpe questi ragazzetti!
Il Colonnello non ha nemmeno quarant’anni e siede dove
I calendari Galas, in voga a partire dagli anni ’30 del Novecento, erano
espressione della cultura popolare. Rappresentavano scene della vita quotidiana,
motivi lirici legati alla campagna, alla religione, alla storia nazionale, i divi dello
spettacolo e e dello sport.
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siede. Colonnello e dottore. Fottuto Colonnello! Solo con
i cinesi ci si sta bene, ormai. Quelli hanno rispetto dei loro
vecchi. Sono gli anziani a comandare. Che se ne vadano alla
malora, i musi gialli e i vecchi!
Il Colonnello vestiva di cashmere inglese. Aveva camicie
cucite su misura e scarpe inglesi. Aveva partecipato a molti
congressi internazionali di polizia e letto molti libri sull’argomento. Gli piaceva mettere a punto nuovi sistemi di indagine. Di lui si diceva avesse una generosità tanto grande che
se uno gli domandava l’ora, nemmeno quella gli dava! Aveva
mani lunghe e affusolate, come quelle di un artista.
– La prego, entri García.
– Ai suoi ordini, Colonnello.
– Si può sedere.
Il Colonnello accese una Chesterfield. Non offriva mai e
tirava il fumo con tutta la forza dei polmoni, quasi ne temesse lo spreco.
– Ho un incarico per lei. Potrebbe trattarsi di una sciocchezza, ma occorre che si prendano le precauzioni del caso.
García non disse nulla. C’era un tempo per ogni cosa.
–Non so se quest’incarico si concilia con i suoi gusti,
García, ma non ho altri a cui affidarlo.
Con avidità si rimise in bocca la sigaretta e ne lasciò fuoriuscire lentamente il fumo, come se gli dispiacesse esaurirlo.
– Lei sa dei cinesi di calle de Dolores.
Non era una domanda. Era un’affermazione. Il dannato
Colonnello, oltreché dottore, guai a dimenticarlo, conosce
molte cose, più di quelle che uno potrebbe credere. Pur di
non separarsi da un’informazione, riesce a non dimenticare
il più insignificante dettaglio. Dannato Colonnello!
– In alcune circostanze lei ha già lavorato con la FBI. Di
sicuro loro non la amano e non saranno contenti che le or19
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dini di lavorare un’altra volta insieme. Ma la dovranno sopportare. Non voglio che abbia altri problemi con i colleghi
americani. Dovete collaborare, è un ordine. Intesi?
– Sì, Colonnello.
– Non voglio scandali né morti, salvo quelli che non si
possano assolutamente evitare. In effetti, quanto a quest’ultima limitazione, non sono del tutto convinto che lei sia la
persona più indicata.
– Io sono a disposizione, Colonnello.
Il Colonnello si alzò in piedi e si avvicinò alla finestra.
Da lì non c’era proprio niente da vedere tranne il pozzo luce
dell’edificio.
Fottuto Colonnello! Non voglio morti, dice, ma fa chiamare me. E a me vengono a chiamare sempre per la stessa
ragione, perché vogliono morti e vogliono anche che le loro
manine ne escano pulite. È stato proprio per il ribrezzo dei
morti che hanno decretato la fine del tempo delle pallottole
e hanno inaugurato quello delle leggi. Alcune volte, però, la
legge sembra non essere ugualmente efficace e allora si ricordano di me. Ai bei tempi era più facile. Fate fuori quel miserabile. L’ordine era questo. Ed era sufficientemente chiaro e
facile da intendere. Ma ora siamo assai più istruiti, gente di
cultura. Non vogliamo i morti, o almeno, si ha vergogna di
dare l’ordine di farli. Si accenna appena alla questione, per
evitare il peso della responsabilità. Benvenuti nel tempo dei
problemi di coscienza. Fottuta coscienza! È come se tutti
fossero diventati improvvisamente schizzinosi e le magagne,
quelle piccole increspature del candore del mondo, sorgono
solo quando si decide di incaricare qualcuno degli sporchi
lavoretti.
Il Colonnello, che continuava a guardare attraverso la finestra, aggiunse:
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– In Messico solo tre persone sono al corrente della cosa.
Due di loro hanno letto il fascicolo d’archivio che la riguarda
e ritengono che non sia la persona giusta per questo caso.
Dicono che più che un investigatore della polizia lei è un
assassino professionista. Il terzo, invece, la appoggia. Il terzo
sono io.
Il Colonnello si girò per ricevere il meritato ringraziamento. Filiberto García non disse una parola. C’era un tempo per tutto. Il Colonnello continuò:
– L’ho proposta per questa indagine perché lei conosce
bene i cinesi, siede ai loro tavoli da poker e copre i locali
dove fumano l’oppio. Perciò mi immagino che lei si sia guadagnato da un pezzo la loro fiducia e che possa muoversi tra
loro con sufficiente libertà. Inoltre, come le ho detto, lei ha
avuto già modo di lavorare con la FBI.
–Sì.
– Uno dei due uomini che si oppongono alla sua nomina
passerà stasera per conoscerla. Lei, al contrario, non ha motivo di saperne il nome. La avverto che questa persona non
nutre dubbi solo sulle sue qualità investigative, ma anche
sulla sua lealtà al governo e alla Repubblica.
Fece una pausa, come se aspettasse una protesta da parte
di García. Magari vuole che gli risponda che non è vero, ma
i discorsi su lealtà e patriottismo preferisco tenermeli per la
cantina, non quando si tratta di lavorare sul serio. Che si
fotta la lealtà!
– C’è un’altra cosa. Lei dovrà collaborare anche con un
agente russo, García.
Gli occhi verdi gli si sgranarono impercettibilmente.
–So che questa combinazione può sembrarle bizzarra,
ma l’uomo che passerà qui stasera, se lo riterrà opportuno,
le spiegherà la ragione.
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García estrasse una Delicado e l’accese. Siccome non c’era un posacenere nei paraggi, rimise il fiammifero nella confezione. Il Colonnello spinse un posacenere sullo scrittoio
nella sua direzione.
– Grazie, Colonnello.
– Io credo, García, che lei sia un uomo leale verso il governo e verso il Messico. Ricordo bene che è stato nelle fila
del generale Marchena durante la Rivoluzione, e poi, dopo
quell’incidente con quella donna, è entrato nella polizia statale di San Luis Potosí. E quando il generale Cedillo provò a
ribellarsi, lei gli si oppose. È stato di grande aiuto al governo
federale anche all’epoca dei problemi del Tabasco. Ha ben
operato sulla frontiera e il suo contributo si è rivelato fondamentale quando i cubani avevano costituito quell’organizzazione segreta.
Certo, un lavoro di capitale importanza. Uccisi sei poveri
diavoli, gli unici sei appartenenti a una grande organizzazione comunista per la liberazione delle Americhe. Volevano
liberarle partendo dalla loro capanna nelle foreste di Campeche. Sei giovani coglioni che giocavano a fare gli eroi con
due mitragilatori e qualche pistolina. Morirono, non si ebbero ripercussioni internazionali e i gringo erano tutti contenti perché avevano potuto fotografare le loro mitragliatrici, incluso una che era di fabbricazione russa. Il Colonnello
aveva giustificato quella missione con la flagrante violazione
della sovranità nazionale che quei tizi stavano ponendo in
serio pericolo. Che si fotta la sovranità! Sarà stato pure vero,
di sicuro da morti non violavano più nulla. Aveva aggiunto,
se non fosse stato abbastanza, che avevano infranto le leggi
per la concessione dell’asilo. Che se ne vadano all’inferno le
leggi! Seguite a ruota dalla malaria che mi sono beccato in
quella giungla.
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