intervista a Elie Wiesel

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intervista a Elie Wiesel
PROGETTO LA NOTTE
Incontro con Elie Wiesel
Video-intervista di Archivio Zeta
a cura di Gianluca Guidotti, Enrica Sangiovanni e Marc Fleishhacker
Boston - 25 Ottobre 2001
I - "Tacere è proibito, parlare è impossibile" il conflitto tragico tra Parola e Silenzio è alla base della
sua riflessione. Che cosa significa il Silenzio e che importanza dare alla Parola che mantiene in vita la
Memoria per il futuro dell'umanità?
Siamo di fronte ad una tragedia che per la prima volta nella storia sfida il linguaggio. Quando uno di
noi, passato attraverso la tragedia, è invitato a parlare dice che non può, però deve. Non ci sono
parole per dire, per trasmettere una realtà quale era la nostra. Là il nemico è riuscito a spingere la
crudeltà e la morte alla fine, oltre i limiti del linguaggio. E così siamo impotenti ma ancora cerchiamo.
Alcuni storici, pochi, sciocchi, immaturi, credono di poter spiegare l’Evento. Semplicemente perché
conoscono i fatti e i numeri e le dichiarazioni degli ufficiali tedeschi. Anche se qualcuno prendesse
tutti i documenti nel mondo e li leggesse e ripetesse tutti, non potrebbe capire.
Alcuni aspetti di questa tragedia vanno oltre la comprensione. Forse Dio, io spero che Dio
comprenda: anche se ancora non sono certo che abbia compreso. Ancora, tutto ciò che abbiamo sono
le parole e il silenzio tra le parole. Così prendiamo un po’ di silenzio, poche parole e parliamo.
II - In “Le Mal et l’exil” lei ha detto, “Auschwitz è la fine, Hiroshima l’inizio…ma rischiamo di avere
altre Hiroshima.” Dove, in questo percorso di tragedia, dovremmo collocare l’11 settembre 2001?
Probabilmente l‘11 settembre va collocato nel mezzo; e se non stiamo attenti, se dimentichiamo troppo
presto, allora un’altra Hiroshima è possibile, non un altro Auschwitz, ma un’altra Hiroshima.”
Forse c‘era così tanto odio in quegli anni, in quei tempi, in quegli eventi che si ha ancora un “fall-out”.
Così come parliamo di precipitazione radioattiva possiamo parlare di precipitazione di odio. E
cinquant’anni dopo siamo testimoni di questa precipitazione e questo “fall-out” o queste ceneri d’odio
ancora brucianti, sono sparse da fanatici che credono di avere Dio dalla loro parte. E credono che Dio
sia diventato un loro complice, un complice di assassinio e assassino. Come possono coinvolgere Dio
in un assassinio?
Ma l’11 settembre è una data importante perché circa 6000 persone sono state uccise solo perché si
trovavano là, soltanto perché erano là. Ebrei, Cristiani, Musulmani, giovani, vecchi, ricchi e poveri,
uomini e donne. Erano là e per questo sono morti. E io credo che tutto il mondo civile debba
mobilitarsi con tutti gli sforzi possibili e tutte le energie per combattere il terrorismo. Il terrorismo ora
è il nemico. Il nemico dell’ l’umanità.
III - Nel romanzo “L’Oublié” lei parla del morbo di Alzheimer. La paura della perdita della memoria
attraversa gran parte delle sue opere. Questa terribile malattia sembra una metafora dei nostri tempi
in cui troppo spesso odio e violenza vincono. Come può l’uomo, dopo L’Evento, continuare a ripetere
gli errori e le atrocità del passato?
Che ne è dell’umanità che non impara dal passato? Vorrei saperlo. La questione è che la natura umana
non può essere cambiata così rapidamente. Probabilmente non nell’arco di una sola generazione, e
nemmeno in un secolo. Perciò siamo sedotti dal male, siamo tentati da ciò che è impuro. E quando
quella tentazione prende il potere allora siamo in pericolo.
La minaccia per questa generazione, questo secolo, i giovani di oggi, i bambini, è il fanatismo, l’odio,
l’odio razziale, l’odio religioso, l’odio etnico, l‘odio culturale. E l’odio è come un cancro, quando c’è è
difficile fermarlo perché contagia da cellula a cellula, da arto ad arto, da persona a persona fino alla
morte.
Sì, oggi abbiamo dei nemici che credono che il loro essere uomini consista nel potere di uccidere.
Devono essere fermati, una volta ancora.
IV - Ne “La Notte”, per la prima volta, lei parla con disperazione del Silenzio di Dio, della Sua Eclissi.
Come descriverebbe il suo percorso spirituale? A che punto si trova oggi in quel percorso?
Tutte le domande che avevo durante e dopo la guerra sono ancora lì e sono aperte; non ho trovato
alcuna risposta.
Prima della guerra il mio rapporto con Dio era quello di un vero religioso. Ero religioso perfino durante
la Guerra; pregai. Ero arrabbiato ma nonostante la rabbia, pregai, ogni giorno.
Dopo la guerra, quando arrivai in Francia, ridiventai molto religioso. Allora è giunta la crisi. Volevo
una risposta, mi era necessaria una risposta da parte di Dio, non l’ho avuta. Poi, anni dopo, decisi che
era arrivato il tempo di fare la pace con Dio e dirGli: guarda Signor Dio abbiamo litigato per troppo
tempo, facciamo pace. Così abbiamo fatto la pace, spero, almeno da parte mia; ma questo non significa
che ho rinunciato alle mie domande, no, le mie domande sono ancora qui.
Ma non posso abbandonare Dio. Mi era talmente vicino, era in me, nei miei genitori,nei miei nonni.
Così cerco di continuare a seguire la loro strada, nel loro rispetto.
V - Ne “Le chant des morts” lei ha scritto che “Ad Auschwitz è morto non solo l’uomo, ma anche
l’idea dell’uomo.” Dopo essere passato attraverso “Le mal absolu”, ha ancora fiducia nell‘uomo?
Nel Bene?
Non si può concepire Auschwitz con Dio, né senza Dio. E quindi ci troviamo davanti ad un dilemma.
Che fare allora? Continuiamo a farci questa domanda e rispondiamo che non si può concepire
Auschwitz avendo fiducia nell’uomo e neppure senza. Dov’era l’umanità in quegli anni? E’ troppo
facile dire che tutto è Dio. E gli uomini?
Auschwitz non è sceso dal cielo. E’ stato concepito dall’uomo, edificato dall’uomo, reso efficiente
dall’uomo. E’ stato frutto dell’uomo. Spesso di uomini intelligenti; alcuni anche colti, e ben educati.
Allora perché educare? Io sono un educatore. Perché credere nella cultura? Io sono un scrittore.
Non ho una vera risposta. Tutto quello che posso dire è: qual è l’alternativa? Andare contro l’umanità?
Non posso farlo, tradirei me stesso.
Allora lavoriamo, e cerchiamo di dare un significato alle cose che ancora non ne hanno. Ma lo
facciamo sempre per l’umanità, non contro.
VI - “La Notte” è stato scritto originariamente in lingua Yiddish, poi pubblicato in francese, e oggi lei
è un cittadino americano. A Sighet si parlava ungherese
ora è Romania.. In che lingua pensa? In che lingua sogna?
Io penso in francesce perché è stata la lingua che ho imparato quando ero adolescente durante gli anni
della formazione, era la lingua di quando ho scoperto i primi romanzi, i primi libri di filosofia,
psicologia e letteratura.
Sogni...stranamente sogno a seconda degli eventi storici che ho attraversato. Se sogno della mia
infanzia è in yiddish. Se sogno della mia vita in America è in inglese, se sogno di Israele è in ebraico,
o in francese per quanto riguarda il mio lavoro. Le mie lingue seguono il mio viaggio e la mia
geografia. E di volta in volta cambio lingua nel corso dello stesso sogno, se passo di paese in paese e
improvvisamente non sono più a Parigi ma in Israele, allora non so più che cosa sto
dicendo…beninteso unicamente in sogno...
Ma io scrivo in francese. E’ una lingua molto strana, ed è una lingua alla quale non piacciono cose
strane. E’ troppo razionale, troppo cartesiana e quello che scrivo a volte tratta il misticismo, che è tutto
tranne che cartesiano. Ma a me piacciono le difficoltà, come si può vedere.
VII - Durante la Dichiarazione d'Indipendenza dell'India, Gandhi, di fronte al terribile conflitto tra
musulmani e indù, disse: “Occhio per occhio, e tutto il mondo sarà cieco.” Oggi in Medio Oriente
siamo ancora una volta a confrontarci con il problema della Memoria? Gran parte del mondo ha
perso di vista le origini di questo conflitto? In mezzo a tanta sofferenza qual è la strada verso la pace?
Non ho mai vissuto in Israele, ma mi sento vicino a Israele. Non vivo a Gerusalemme ma
Gerusalemme vive in me. Così qualsiasi cosa accada là mi colpisce profondamente. Ultimamente
sono triste; vado avanti con il cuore pesante. Non so quando sarà raggiunta la pace e con ogni fibra del
mio cuore voglio la pace. C'è già stata abbastanza sofferenza, abbastanza lacrime, abbastanza
funerali...è abbastanza.
Ho perso gran parte della mia speranza l’anno scorso quando Yasser Arafat, capo dell’Autorità
Palestinese, ha respinto le concessioni molto generose dell’allora primo ministro Barak; così generose
che tutti in Israele erano stupefatti per quelle concessioni.
E Arafat ha detto: no. Se le avesse accettate, adesso ci sarebbe uno Stato Palestinese, con l’aiuto di
Israele e del mondo intero, e non ci sarebbe lo spargimento di sangue che c’è adesso. Ma lui le ha
respinte.
Allora la domanda per molti di noi è: significa che lui non vuole Israele? Che semplicemente non
vuole Israele? Quindi non è una questione di geografia o di territorio o di politica, semplicemente non
vuole Israele. Se è così dove stiamo andando?
E allora mi sforzo per inventare una speranza, deve esserci speranza.
Forse quello che sta accadendo adesso in America, con il mondo intero che sta cercando di respingere il
terrore, può darsi che dia anche a lui la forza di respingere il terrore tra i suoi. E una volta fermato il
terrore, sono convinto che il popolo israeliano, il governo israeliano saranno generosi e accetteranno
qualche sacrificio per costruire la pace con i Palestinesi.
VIII - In questi anni l’Europa ha conosciuto gli orrori della Bosnia e del Kosovo. Che cosa dovremmo
insegnare ai nostri figli affinché la fine dei genocidi diventi realtà e non solo un sogno?
Ho visitato i Balcani, sono stato là, sono stato a Sarajevo, sono stato in Bosnia durante i massacri.
Ricordo che giravo chiedendo alle persone, “Perché fate questo? Perché tutto questo odio?” E là,
davanti al mio sconcerto, alla mia paura, al mio disincanto, hanno evocato il potere della memoria. E
dicevano, “Che significa, mio nonno è stato ucciso o umiliato da suo zio, dal suo prozio, come posso
dimenticarlo?” E a causa di fatti successi duecento anni prima, combattevano uno contro l’altro,
ammazzandosi reciprocamente.
Io credo che la memoria sia un rimedio contro l’odio, ma loro usano la memoria per spargere odio.
E’ un problema di cultura. Penso che adesso la situazione sia migliorata perché alcuni dei politici che
hanno commesso i massacri si trovano ora a L’Aia, affronteranno la corte e verranno puniti, spero
come meritano.
Le cose si sono calmate. Significa che non succederà più? Siamo ottimisti. Speriamo per tutti i
bambini che la smettano con questa assurda pratica con la quale si sono divertiti per generazioni:
uccidere.
Che c’è di grande nell’uccidere? Non c’è gloria in quel gesto. Non si rendono conto che non esiste
gloria nell’uccidere? Gran cosa essere in grado di uccidere uomini, donne e bambini, civili senza
difesa. Che c’è di grande in tutto questo?
Spero che capiranno.