La voce di chi resta - Associazione Maria Bianchi
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La voce di chi resta - Associazione Maria Bianchi
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI TORINO FACOLTA’ DI SCIENZE POLITICHE DIPLOMA UNIVERSITARIO IN SERVIZIO SOCIALE ABSTRACT LA VOCE DI CHI RESTA Il gruppo di auto e mutuo aiuto come strumento per l’elaborazione del lutto Relatore: prof.ssa Elena Allegri Relatore: prof.ssa Laura Nardi Candidata: Mariateresa Buscarino Anno Accademico 1998-1999 Introduzione Il lutto, nella realtà odierna, è vissuto come un fatto privato che presto deve scomparire nell’ombra. Chi si trova ad elaborare una perdita rischia di incorrere in gravi situazioni sia in termini di salute che di disagio psico-sociale. Fattori significativi circa la reazione alla perdita, sui quali è quasi impossibile intervenire, sono certamente la causa di morte, l’eventuale possibilità di prepararsi all’evento, la qualità della relazione con il defunto. Tuttavia altre variabili influiscono sull’elaborazione del lutto: la presenza di un sostegno sociale, di una rete di supporto esterno, di un contesto familiare caratterizzato da una comunicazione aperta, dalla flessibilità dei ruoli coperti da ciascuno e dalla stima e dal sostegno reciproci. Rispetto a questi ultimi elementi, il gruppo di auto e mutuo aiuto può rappresentare una ricca risorsa, offrendo al familiare uno spazio di ascolto e di espressione, che gli permette di attraversare la sofferenza e raggiungere un diverso e rinnovato equilibrio. Una dimensione spazio-temporale, peculiare per la presenza di un clima di fiducia e per la parità dei membri, dedicata al ricordo della persona estinta e alla comprensione delle emozioni provate e dei comportamenti agiti, assume una maggiore importanza se si pensa alla distanza emotiva che cresce intorno alla persona in lutto e alla quasi totale assenza di qualsiasi forma di intervento da parte dei servizi di supporto ospedalieri o territoriali. Motivazioni personali Non è facile descrivere e riassumere le motivazioni che hanno determinato la scelta di questo tema. La difficoltà risiede nella poca abitudine a parlare della morte, come se non esistesse, e nel timore di scoprire e definire emozioni profonde. Questa tesi in realtà vorrebbe trattare della vita, la vita di chi ha perduto una persona cara e la vita che ha significato proprio perché esiste la morte: se fosse eterna scivolerebbe via senza badare a se stessa e nessuno avrebbe la consapevolezza del suo infinito valore. Guerina1 un giorno ha scritto: 1 Guerina Pace ha vissuto fino al 3 Novembre ’98; a 23 anni è morta di leucemia e ci ha lasciato alcune pagine del suo diario che sono state raccolte nel libro: Guè è viva . 2 “La mia vita ora è più difficile di altri momenti della mia esistenza, ancora breve, ma finchè avrò voi, avrò la forza di andare avanti: io voglio tornare alla mia famiglia (…) guarita, con la solita allegria e voglia di vivere. Da quando sono malata ho imparato un sacco di cose: una è quella di apprezzare comunque la vita perché è il dono più grande ed unico che abbiamo mai avuto. La vita è tutti i giorni, quelli brutti e quelli belli, quelli in cui stai bene e quelli in cui stai male, tocca a te migliorarla, a volte, bisogna apprezzare quello che si ha e non piangere per quello che non si ha o si è perso, anche se era qualcosa di molto caro. Tutto ciò è faticoso e nessuno può darci la forza, dobbiamo ogni giorno scavare dentro di noi e racimolare tutto quel che si può. (…)” La sua esperienza ha costretto tanti a ricordare, a definire le proprie sofferenze e a pensare: questo lavoro è anche una riflessione personale. L’attenzione è rivolta alle persone che perdono qualcuno di importante e che devono cercare una ragione o il coraggio per continuare a vivere senza limitarsi a sopravvivere. Si è scelto di analizzare il punto di vista di “chi resta” avendo come esempio Carmen e Michele, genitori di Annalisa2 . Hanno sempre sottolineato la solitudine che si è creata intorno a loro sin da poco tempo dopo l’incidente: leggono negli occhi di chi li ascolta l’imbarazzo e la paura che il discorso possa cadere sulla loro giovane figlia. Nessuno sembra essere abbastanza coraggioso da poter vedere un pianto o da poter lasciarsi andare ad un ricordo passato. Unica eccezione è rappresentata da altri genitori che, a loro volta, hanno perduto un figlio e che i genitori di Annalisa hanno conosciuto al cimitero. L’idea dello strumento del gruppo di auto e mutuo aiuto a favore dei familiari in lutto nasce proprio dall’esperienza di queste due persone, che hanno saputo trovare dentro di loro la forza per reagire e che hanno cercato intorno alla loro solitudine uno spazio autentico dove essere capiti fino in fondo. 2 Annalisa Vangi muore a 19 anni nel Luglio del ’96 a causa di un incidente stradale. 3 Analisi teorica del processo di elaborazione del lutto Nella prima parte si è cercato di delineare la situazione della persona in lutto tramite l’apporto di diversi contributi teorici, al fine di comprenderne la complessità; il concetto di “perdita” è stato affrontato e scomposto sia allargandone il significato alla sfera sociale e alle dinamiche relazionali, grazie all’approccio sistemico, sia quale esperienza “intrapsichica”, grazie al modello psicoanalitico. In seguito si sono presi in esame anche i contributi di coloro che hanno studiato il processo di elaborazione del lutto dopo l’osservazione diretta di casi clinici. Si sono individuati i fattori determinanti per una buona elaborazione e si è arrivati a distinguere tra una reazione fisiologica ed una patologica al lutto. Il processo di elaborazione della perdita vede il susseguirsi non lineare di diverse fasi. Lo shock iniziale permette alla persona di negare l’accaduto e, nel momento in cui la realtà si fa strada nella sfera percettiva, cresce una forte rabbia, incredibile proprio perché non esiste un vero colpevole verso cui indirizzarla. L’etologia spiega la fase di protesta come funzionale ad apportare energia agli estremi tentativi di ricerca e recupero del defunto; disillusa questa possibilità, la persona in lutto deve attraversare il suo dolore. Arrivare all’accettazione di una diversa realtà e all’interiorizzazione della relazione e dell’esperienza vissuta con chi si è perso, spesso significa dover superare una fase depressiva. Analisi delle realtà operative sul territorio La seconda parte ha tentato di evidenziare l’utilità del gruppo di auto e mutuo aiuto a favore della persona in lutto. Dopo una prima analisi più generale e teorica di tale strumento, si è passati a ricercare ed esaminare le realtà esistenti sul territorio nazionale volte in questa direzione: a) “Gruppo psicologico per i familiari in lutto” attivato dalla “Lega contro i tumori” di Cuneo; 4 b) “Gruppo di elaborazione di lutto” presso l’ART (Associazione Paulo Parra per la Ricerca sulla Terminalità), a Bettola (PC); c) Gruppo “Betania” di Clés, nella provincia di Trento; d) “Gruppo di ascolto per i familiari dei pazienti oncologici” presso il “Circolo Shanti” a Mestre (VE); e) Gruppo “Fuori dal buio” di Bari. Tali esperienze sono state comparate sulla base di una griglia di osservazione che ha permesso di evidenziare le seguenti variabili: area dei partecipanti, approccio metodologico ( approccio teorico di riferimento, figura e funzioni del conduttore, momento in cui è stato proposto il gruppo, norme del gruppo, accesso dei partecipanti, tipo di perdite presenti, processo di elaborazione del lutto, tematiche affrontate, tempo previsto per il termine del progetto), valutazione dei risultati, programmazione. Dalla comparazione è stato possibile osservare una comune variabilità, sia in riferimento alle età dei partecipanti che alle loro condizioni socio-culturali . Ad eccezione di una sola realtà, tutte si connotano per la presenza di un conduttore di formazione psicologica; tuttavia è stata più volte sottolineata l’importanza di uno specifico percorso formativo in merito alle tematiche dell’elaborazione del lutto, nonché di un’esperienza relativa alla conduzione di gruppi di auto e mutuo aiuto, a prescindere dal ruolo professionale svolto. Per alcuni sembra essere rilevante anche aver vissuto l’elaborazione di una perdita a livello personale. La presenza del conduttore non ha significato la creazione di un gruppo di terapia, poiché il suo ruolo ha visto principalmente una funzione di facilitazione della comunicazione. Tra le esperienze prese in esame, si è osservata una spaccatura determinante, in merito all’omogeneità/eterogeneità della causa di morte del familiare. Se il gruppo è stato rivolto ai familiari di pazienti in fase terminale, ha avuto inizio prima del decesso, perseguendo sia l’obiettivo di preparazione all’evento della perdita che di raggiungimento di un nuovo equilibrio e di una “sana” comunicazione all’interno del sistema familiare. Diversamente, la caratteristica di eterogeneità circa la causa della morte, ha visto partire il gruppo dopo l’evento luttuoso; i conduttori di queste esperienze hanno riconosciuto una maggiore difficoltà ad elaborare il lutto in caso di morte improvvisa del proprio caro, in rapporto, 5 invece, a chi abbia seguito il familiare per il periodo di malattia in fase terminale ed abbia così avuto la possibilità di esprimersi, di salutare e di lasciare andare via. Altra differenza significativa è apparsa essere l’attributo di chiusura/apertura del gruppo in merito all’entrata di nuovi partecipanti. I gruppi chiusi si sono distinti anche per la fissazione di un termine della loro esistenza; in merito, la decisione della data è stata lasciata agli stessi membri, affinchè potessero assumere una maggiore consapevolezza, controllo e responsabilità sul percorso di crescita svolto insieme. Per tutte le realtà analizzate è stato possibile riconoscere le potenzialità del gruppo di auto e mutuo aiuto dall’evoluzione delle tematiche emerse: se inizialmente i familiari in lutto si sono concentrati sulla descrizione-idealizzazione delle persone perdute e sui ricordi ad essi legati, progressivamente hanno affrontato le difficoltà di relazione del presente e le eventuali ambivalenze di rapporto con il defunto. Gli argomenti si sono orientati alle nuove aspettative verso il futuro. I conduttori hanno osservato visibilmente un netto miglioramento dei partecipanti: maggiore attenzione e cura alla propria persona, atteggiamento mimico più sereno, creazione di rapporti sociali con l’esterno. La valutazione dei risultati raggiunti, per alcune esperienze, si è articolata anche con la somministrazione di un questionario ai membri da parte del conduttore. La programmazione di tali realtà ha visto la realizzazione di un progetto scritto solo per due di esse. Perché il self-help? L’ultima parte ha voluto delineare un’ipotesi progettuale sia grazie ad una riflessione sulle realtà incontrate, che ai contributi teorici evidenziati all’inizio del lavoro. Si è cercato di indicare come un operatore sociale possa dare ascolto ai bisogni dell’elaborazione del lutto e quali elementi significativi si dovrebbero considerare. Si è riflettuto sulla mancanza di intervento a favore dei familiari in lutto da parte dei servizi sociali ospedalieri o territoriali. Forse, in merito al contesto ospedaliero, la risposta risiede proprio nella definizione medesima di azienda ospedaliera quale luogo di cura del paziente, definizione che non considera l’ambito familiare intorno alla persona malata e che, pertanto, non prevede, in genere, interventi in termini preventivi rispetto alla salute psico-fisica di chi è vicino al 6 morente. Sia l’ospedale che il servizio territoriale, davanti alla necessità di fornire un supporto alle persone in lutto, sono fermati anche da vincoli di ordine culturale: il tema della morte è ancora un “tabù” e spaventa l’idea di gestire e di confrontarsi con le emozioni e le paure ad essa legate. Dallo studio realizzato nella prima parte, emerge che un’esperienza di lutto non elaborata è causa di somatizzazioni, sindromi depressive, comportamenti maniacali, disagio psicosociale, difficoltà relazionali. Intervenire in tal senso, significherebbe agire in termini preventivi, quando i servizi, al contrario, seguono principalmente un’ottica riparatoria, più che volgersi alla programmazione, e quando l’organizzazione degli stessi si caratterizza per la rigidità della sua struttura e la resistenza al cambiamento. In effetti, perseguire obiettivi di prevenzione rispetto alle conseguenze di una perdita, significherebbe aprirsi al territorio, guardando oltre all’insieme degli utenti seguiti, e collaborare con le altre agenzie, pubbliche e private, presenti nella stessa area di competenza. Considerando tali ostacoli è possibile notare che, non a caso, tutte le realtà di gruppo di auto e mutuo aiuto a favore dei familiari in lutto, che per questa tesi sono state analizzate, sono legate ad associazioni a carattere volontario e che sono gestite e sostenute da persone fortemente motivate. Forse, proprio la totale dimenticanza del bisogno di elaborare la perdita, da parte dei servizi pubblici volti alla persona, ha spinto i privati a trovare e creare gli strumenti per dare supporto a chi è in lutto. Questo, tuttavia, non significa che il settore pubblico non possa o non debba provare a superare i limiti sopra evidenziati, nel momento in cui si propone obiettivi di benessere per i cittadini e per la comunità locale. Il gruppo di auto e mutuo aiuto non dovrebbe essere presente in alternativa ad un’attività del servizio pubblico, ma complementare ad essa. Agire seguendo politiche di self-help permetterebbe di “liberare energie sommerse”3 presenti nella comunità, di conferire maggiore autonomia e responsabilità alla persona portatrice del problema, a partire dalla definizione medesima di esso, di rispondere con flessibilità alla complessità del bisogno, superando i confini tra le diverse istituzioni interessate. Il settore pubblico assumerebbe, muovendosi in questa direzione, un ruolo principalmente promozionale piuttosto che tecnico: tecnico nel momento in cui si pone come obiettivo l’empowerment della persona 3 Cfr in Tognetti Bordogna M. (1998), pag.52 . 7 in lutto, promozionale quando, contemporaneamente, contribuisce alla diffusione di una nuova cultura orientata al benessere e alla prevenzione. La figura dell’assistente sociale può essere fondamentale nella pianificazione e nell’attivazione di tali iniziative, rivestendo la funzione di rilevazione e traduzione dei bisogni della comunità ed essendo in contatto sia con il livello politico che con le organizzazioni presenti sul territorio. Dopo una specifica formazione e con la collaborazione di un supervisore, il suo ruolo potrebbe allargarsi eventualmente anche alla conduzione nei gruppi come facilitatore della comunicazione. Considerazioni conclusive Questi mesi di lavoro hanno permesso di rivivere i sentimenti, di dare loro una definizione ed un significato. Approcciarsi al tema della morte e della separazione ha preteso uno studio a “piccoli sorsi”, poiché ad ogni passo sono emerse profonde emozioni con cui confrontarsi. E’ stata un’occasione per rimettersi in discussione. Non si può andare oltre e superare l’idea e la paura della morte semplicemente nascondendola: negarla implica non riconoscere la vita e non esserne consapevoli fino in fondo. E’ sicuramente frequente che non ci si ponga il problema sino a quando non lo si veda davanti ed incombente, ma la perdita, intesa in un senso più ampio, è una costante della vita e diventa indispensabile riuscire ad elaborarla se si vuole accettare una situazione di cambiamento ed adattarvisi nuovamente: la perdita di una relazione importante, di un lavoro, di una casa, della salute, della giovinezza, della capacità di procreare, dei figli che crescono e si staccano dal “nido”. Questo assume ancora più significato per chi si appresti a svolgere una professione di aiuto e debba imparare a “leggere tra le righe”, a cogliere nei silenzi le preoccupazioni dell’altro: non significa necessariamente essere interpretativi, ma non aver il timore di vedere la sofferenza, fuori e dentro di sè. 8 RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI ANAPACA (Associazione Nazionale Assistenza Psicologica Ammalati di Cancro), (1995), Volontariato. Necessità di un metodo, Officine Grafiche Subalpine, Torino; A.a.V.v. 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