SCHEDA LIBRI - Comune di Grosseto

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SCHEDA LIBRI - Comune di Grosseto
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I libri del “laboratorio popolare”
LABORATORIO POPOLARE DI STORIA POLITICA, ECONOMICA E SOCIALE
CONTEMPORANEA
- viale Europa, 65 - 58100 Grosseto
- cell. 3382904087 – tel. 0564/22740 - mail : [email protected]
GLI ARNESI DEL SAPERE: I LIBRI CHE DIVENTERANNO … EVENTI
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Recensione 2
Recensione 3
CLUB BILDERBERG. GLI UOMINI CHE COMANDANO IL
MONDO
DOMENICO MORO
ALIBERTI –
Collana: yahoopolis. Guide postmoderne
171
€ 11,90
2013
Scheda n. 53/2013
GIORNO: 07/12/2013 SABATO ORE: 16,30 – GROSSETO
Luogo: Sala Cesvot (La Casa dei Diritti) - Via Ginori 17/19 GROSSETO
Incontro con l’autore vedi programma (link)
Non è al momento disponibile per il prestito (ordinato)
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I libri del “laboratorio popolare”
LABORATORIO POPOLARE DI STORIA POLITICA, ECONOMICA E SOCIALE
CONTEMPORANEA
- viale Europa, 65 - 58100 Grosseto
- cell. 3382904087 – tel. 0564/22740 - mail : [email protected]
DETTAGLIO
AUTORE: DOMENICO MORO
Domenico Moro è nato a Roma nel 1964. È laureato in sociologia. Collabora con quotidiani e riviste nazionali
ed è autore di diversi volumi di carattere economico, politico e militare. Negli ultimi anni ha pubblicato il
Nuovo Compendio del Capitale.
PRESENTAZIONE
Non sono pochi i premier e i banchieri centrali che, prima di diventare tali, sono entrati a far parte del
Bilderberg o della Trilaterale. Tra questi, Draghi e Monti. L'esistenza di queste organizzazioni pone questioni
decisive come quella del controllo democratico sui processi decisionali pubblici. È possibile gestire le sfide
della mondializzazione con forme di coordinamento composte da élites ristrettissime? Élites selezionate solo
in virtù della propria enorme ricchezza, che appartengono a pochi Paesi, non sono elette da nessuno né
delegate da alcuna autorità pubblica, agiscono in modo segreto e sono ispirate al dogma del mercato
autoregolato. Le recenti vicende dell'euro dimostrano quanto una gestione affidata a ristrette élites
mercatistiche sia portatrice di caos. L'obiettivo di questo libro è analizzare l'organizzazione internazionale
delle élites transnazionali, le basi economiche del loro potere, gli orientamenti e i modi attraverso i quali
riescono a influenzare gli altri livelli di potere, a partire dagli Stati-nazione.
LA STORIA DEL CLUB BILDERBERG A FIRMA DI DOMENICO MORO
LA CUPOLA DEL BIG BUSINESS CHE VUOL RADDRIZZARE IL MONDO
Fonte ilmanifesto.it – 17/09/2013 – Accedi alla pagina web originale – Autore: Donatello Santarone
Un «think thank» per il libero mercato composto da uomini d'impresa, finanzieri e esponenti politici
Lo studio dell'economista Domenico Moro (Club Bilderberg. Gli uomini che comandano il mondo, Aliberti, pp.
172, euro 14) si sofferma sull'analisi di due organizzazioni transnazionali, il Club Bilderberg e la Commisione
Trilaterale, che raccolgono la crema del capitalismo mondiale e orientano le politiche degli Stati nazionali e
degli organismi internazionali, quali la Commissione Europea, la Bce, il Fmi, la Banca mondiale, il Wto. Il
Club Bilderberg nasce nel 1954 in Olanda e prende il nome dall'albergo in cui i suoi membri si riunirono la
prima volta. Risponde alla necessità, dopo la seconda guerra mondiale, di espandere il modello del
capitalismo Usa nel mondo e di contrastare, oltre l'Urss, l'avanzata del socialismo nei paesi del Terzo mondo
e nelle stesse società industrialmente avanzate. I partecipanti sono cooptati in virtù del loro potere e
ricchezze, non rispondono ad alcuna autorità pubblica o privata, sono accomunati dal credo del mercato
autoregolato, provengono in gran parte dagli Usa e dall'Europa occidentale.
Moro analizza con dovizia di particolari le provenienze nazionali dei partecipanti agli incontri annuali, le
biografie, i principali settori di impiego (banche, imprese, mass-media ecc.) e i molteplici legami con i
decisori politici, i padroni e gli amministratori delegati di grandi corporation, i banchieri e i finanzieri di mezzo
mondo. Insieme ai big delle maggiori imprese e finanziarie internazionali (Royal Dutch Shell, Bp, Pfizer,
Alcoa, Nestlé, Unilever, Coca-Cola, Nokia, Barclays, Rothschild, Goldman Sachs, Zurich Insurance e molte
altre), l'autore dedica ampio spazio alle presenze italiane nel Club Bilderberg che ha visto nel corso degli
anni la partecipazione della famiglia Agnelli, di Franco Bernabè, Tommaso Padoa-Schioppa, Mario Monti,
Enrico Letta, Romano Prodi. La presenza di quest'ultimo, commenta l'autore, è «significativa di quanto il
Bilderberg sia capace di mettere insieme figure conservatrici e progressiste... L'elemento dominante è
l'adesione alla prevalenza del mercato autoregolato sull'intervento statale. Non a caso Prodi fu l'artefice del
progressivo smantellamento dell'Iri e della privatizzazione delle banche e dell'industria di Stato, nonché di
provvedimenti di liberalizzazione in molti settori».
Molto significativa è, inoltre, la presenza di rappresentanti del settore della conoscenza (università, thinktank, centri di ricerca, società di consulenza legale e commerciale) e del mondo della comunicazione
(proprietari di network e giornalisti). Si tratta, per dirla con Gramsci, di un ramificato sistema egemonico che
serve a sostenere sul piano ideologico le politiche volte alla massimizzazione dei profitti del capitale
transnazionale.
A questa «internazionale capitalista», farà seguito nel 1973 la nascita della Commissione Trilaterale, su
iniziativa di Henry Kissinger. La Trilaterale nasce in un momento storico, gli anni Settanta, caratterizzato da
una forte crisi di egemonia economica, culturale e politica del capitalismo occidentale, incalzato dalle
conquiste sociali e civili di operai e studenti, dall'ascesa dei paesi del Terzo mondo di orientamento
antimperialista, dalla sconfitta americana in Vietnam. A differenza del Bilderberg, nota Moro, la Trilaterale
allarga la partecipazione dei suoi membri alla Triade del capitalismo mondiale (Nord America, Europa
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I libri del “laboratorio popolare”
occidentale, Giappone) e diffonde pubblicamente i contenuti del dibattito interno. Tra i temi più discussi
ricordiamo quello su «La crisi della democrazia», alla base dell'incontro annuale di Tokio del 1975, in cui tre
intellettuali «organici» all'organizzazione, Samuel P. Huntington, Michel Crozier e Joji Watanuki, dichiarano
che l'Occidente non può più sopportare un'eccessiva domanda di partecipazione dal basso da parte dei
cittadini. Come scrive Huntington, «il funzionamento efficace di un sistema democratico richiede, in genere,
una certa dose di apatia e di disimpegno da parte di certi individui e gruppi». Un'idea non nuova, commenta
Moro, che ne rintraccia la paternità in un politologo americano, W. H. Morris, che nel 1954 scrisse un articolo
intitolato proprio Elogio dell'apatia, che naturalmente va riferito all'apatia delle classi subalterne che meglio
farebbero a contenere le loro richieste, evitando un'alta partecipazione al voto, lotte troppo radicali e,
ovviamente, nefaste utopie rivoluzionarie.
DOMENICO MORO: CLUB BILDERBERG - GLI UOMINI CHE COMANDANO IL MONDO
Fonte blog.alibertieditore.it – 18/07/2013 – Accedi alla pagina web originale – Autore: Alexander Höbel
Sul Gruppo Bilderberg e organismi affini è fiorita in questi anni una letteratura di taglio "complottistico" che,
per quanto attraente per molti lettori, di fatto non favorisce una reale comprensione del fenomeno. In una
direzione diversa va invece il libro di Domenico Moro (Club Bilderberg. Gli uomini che comandano il mondo,
Aliberti 2013), che colloca la questione in un quadro più ampio, quello dell'attuale fase della storia del
capitalismo e delle dinamiche della lotta di classe; Moro insomma affronta il problema da un punto di vista
marxista.
Se il titolo e il cuore del libro riguardano il Club Bilderberg (cui si aggiunge la più giovane Trilateral), sullo
sfondo ci sono questioni più complessive, il ruolo delle élite (e del "ritorno delle élite" parla anche l'ultimo
libro di Rita di Leo), i caratteri dell'attuale oligarchia capitalistica trans-nazionale, le forze di classe in campo
e gli scontri in atto sul piano globale, la questione della democrazia e della sua crisi.
Se partiamo da quest'ultimo punto, non possiamo che partire dalla straordinaria avanzata della "democrazia
organizzata", della partecipazione popolare e dei partiti di massa, che riguardò molti paesi e l'Italia in modo
particolare negli anni Sessanta e Settanta. Fu allora che la domanda sociale crescente trovò sbocchi politici
e anche legislativi nella costruzione del Welfare State e in quelle riforme (riforme vere, ben diverse dalle
controriforme degli ultimi decenni) che determinarono il progresso sociale e civile, tra gli altri, del nostro
paese. La costruzione dello Stato sociale - forma peraltro del salario indiretto - e le conquiste salariali vere e
proprie, accanto al generale spostamento nel rapporto di forza tra le classi nella società, nella politica e nelle
istituzioni rappresentative (dunque nello Stato stesso), misero dunque in allarme le classi dominanti, che
proprio negli anni Settanta (apice della loro difficoltà sul piano mondiale) avviarono la loro micidiale
controffensiva, dotandosi di strumenti nuovi, quali appunto la Commissione trilaterale. E non a caso, uno dei
primi documenti di questa struttura, fu quel testo sulla "crisi della democrazia" che Domenico Moro cita
ampiamente, opera di quel Samuel Huntington che diventato famoso in anni recenti per la sua pseudo-teoria
dello "scontro di civiltà", e di Michel Crozier, il quale individuava il pericolo principale nei partiti comunisti, a
partire da quelli europei, "le sole istituzioni rimaste nell'Europa occidentale la cui autorità non venga messa
in dubbio" (p. 119).
Da allora, nel dibattito pubblico, la governabilità iniziava a prendere il posto della rappresentanza, fino a
sostituirla quasi del tutto, giungendo a quello svuotamento delle istituzioni rappresentative e alla
conseguente apatia politica di massa che oggi sono davanti ai nostri occhi.
Il libro di Moro, peraltro, mostra come quella controffensiva fosse iniziata ancora prima, negli anni Cinquanta;
gli anni più duri della guerra fredda, quelli della nascita di Gladio e della rete Stay-behind, e appunto del Club
Bilderberg, fondato nel 1954 da esponenti del grande capitale come David Rockefeller. E non a caso,
l'anticomunismo e la lotta al blocco sovietico sono al centro dei primi incontri del Club. Ma che cosa è
dunque il Gruppo Bilderberg? Secondo la definizione che ne dà Domenico Moro, è "il luogo dove il capitale
finanziario si incontra con la politica internazionale" (p. 72), e infatti al suo interno troviamo finanzieri,
proprietari e dirigenti di corporation, grandi manager privati e pubblici, uomini politici, accademici, giornalisti.
Ed è molto interessante il meccanismo descritto nel libro, quello delle "porte girevoli", per cui un ministro (o,
nel caso degli USA, un segretario di Stato) si ritrova poi al vertice di una multinazionale, o magari ne aveva
fatto parte prima (tipici i casi di Dick Cheney, Donald Rumsfeld e molti altri esponenti dell'amministrazione
Bush), mentre grandi manager pubblici come Romano Prodi dopo aver portato avanti massicce
privatizzazioni si ritrovano presidenti del Consiglio o ai vertici dell'Unione europea, o ancora uomini come
Mario Draghi passano da presidente del Comitato economico e finanziario del Consiglio della UE a direttore
generale del Ministero del Tesoro italiano, per poi diventare vicepresidente della Goldman-Sachs, infine
governatore della Banca d'Italia e infine presidente della Banca centrale europea.
Ed è inquietante il dato - documentato da Moro - per cui per il Club Bilderberg sono passati tutti i ministri
delle Finanze italiani degli ultimi anni, due governatori della Banca d'Italia e almeno due presidenti del
Consiglio, tra cui quello attualmente in carica.
La commistione e lo scambio continuo tra settori diversi dell'oligarchia è a sua volta il riflesso di un intreccio
sempre più stretto fra grandi corporation, Stati e organismi sovranazionali. Quella che compare sulla scena è
dunque una nuova classe dominante, quella che Leslie Sklair chiama "classe capitalistica transnazionale",
una definizione ripresa in Italia da Luciano Gallino (La lotta di classe dopo la lotta di classe, Laterza 2012) e
che anche Domenico Moro fa propria e sviluppa, descrivendo attraverso alcuni dei suoi principali esponenti
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I libri del “laboratorio popolare”
una classe, che oltre che nel Club Bilderberg e nella Trilateral trova luoghi di coordinamento e "camere di
compensazione" anche in altri organismi, come il World Economic Forum di Davos.
Questa classe - il libro lo mette bene in luce - ha vari punti di forza: la grande omogeneità ideologica, una
forte capacità di egemonia attraverso think-tank e mass-media, e infine appunto quel carattere transnazionale che ha spiazzato il movimento operaio. E però ha anche rilevanti punti deboli. Come osserva
l'Autore, infatti, la complessità del quadro e la stessa molteplicità della sua composizione e dei suoi interessi
pongono seri limiti "alla sua capacità di controllare il processo sociale complessivo e soprattutto di
organizzare un ordine mondiale" stabile (p. 131). Non a caso, la potenza ancora egemone, quella
statunitense, attraversa una crisi grave, che ha finora superato grazie al signoraggio del dollaro e alla sua
stessa collocazione nel mercato mondiale; ma non è più in grado di svolgere il suo ruolo, e quindi è sempre
più spesso indotta all'uso della forza militare, attuando quello che alcuni studiosi hanno definito un "dominio
senza egemonia", per non parlare della crisi di legittimità che si è aperta ormai esplicitamente. E non a caso
il restringimento degli spazi democratici continua, all'interno degli Stati nazionali e grazie alle cessioni di
sovranità ad organismi sovranazionali privi di ogni legittimazione.
D'altra parte, Moro osserva come questa classe abbia potuto portare avanti il suo programma anche grazie
alla globalizzazione, alla mondializzazione del ciclo produttivo, dei mercati e dell'economia in generale, che
ha messo in seria difficoltà il movimento dei lavoratori, che fino ad allora aveva contrastato l'avversario sul
terreno nazionale, ottenendo risultati non irrilevanti.
Se questo è vero, è chiaro che i versanti su cui agire sono almeno due: la difesa degli spazi di sovranità
nazionale rimasti e la ricostruzione di spazi di sovranità popolare sulle decisioni più rilevanti;
l'internazionalizzazione della risposta, dell'organizzazione e della strategia del movimento operaio che
incredibilmente - nato internazionalista - proprio su questo terreno è rimasto indietro. Su entrambi i fronti - e
su quello di una nuova lotta per la democrazia - il fronte che si può costruire è molto ampio, a patto che ci si
doti degli strumenti di analisi e controffensiva ideologica e culturale, e di organizzazione politica e sindacale,
adeguate; in sostanza a patto che il movimento dei lavoratori riacquisti una sua autonomia strategica. Lo
slogan "voi 1%, noi 99%" sebbene ingenuo e per certi versi sbagliato, segnala che si sta facendo strada una
nuova consapevolezza della contrapposizione di interessi tra la stragrande maggioranza della popolazione e
oligarchie sempre più ristrette, uno dei punti essenziali della riflessione di Marx.
Su questa strada, i comunisti e gli anticapitalisti in generale hanno praterie davanti a sé, o se si preferisce un
oceano dentro al quale devono reimparare a nuotare. Per farlo devono però tornare a orientarsi attraverso
un serio lavoro di analisi. Il libro di Domenico Moro offre in tal senso un contributo importante.
BILDERBERG: DI COSA DISCUTONO GLI UOMINI CHE COMANDANO IL MONDO
Fonte blog.alibertieditore.it – 18/07/2013 – Accedi alla pagina web originale – Autore
Il seguente estratto dal saggio Club Bilderberg. Gli uomini che comandano il mondo di Domanico Moro
ripercorre i temi trattati durante gli incontri avvenuti dalla metà degli anni Cinquanta ad oggi.
Le conferenze del Bilderberg, che come detto sono annuali, sono state, tra 1954 e 2012, sessanta. Nel 1976
l’incontro previsto non si è tenuto, mentre nel 1957 si sono tenuti due incontri.
Come è risaputo i contenuti e le conclusioni dei dibattiti non sono resi noti, invece sono noti i temi attorno ai
quali i membri del comitato direttivo e gli altri invitati sono chiamati a interloquire. Cercheremo quindi di fare
una analisi dei contenuti dei temi, che per ogni singolo incontro vanno da una media di 4 per incontro degli
anni Cinquanta a una media di 12 del decennio 2000. È difficile trovare un tema – sociale, politico,
economico, scientifico – che non sia stato affrontato in questo lungo periodo dalle conferenze del Bilderberg.
Tuttavia, nel corso dei decenni il focus sugli argomenti è cambiato in base ai problemi concreti che il
processo storico ha presentato. Ciononostante, è possibile individuare la ricorrenza e la prevalenza di certi
argomenti non solo nei singoli decenni, ma anche nel periodo complessivo di attività.
Gli incontri degli anni Cinquanta sono dominati dal clima storico caratterizzato da tre grandi aree tematiche:
in primo luogo la guerra fredda, e collegati a questa, i problemi posti dalla decolonizzazione e dalla
ricostruzione dell’Europa dal punto di vista economico e militare. La preoccupazione per la minaccia
rappresentata dall’espandersi dell’Urss e del comunismo in Europa e nei Paesi del Terzo mondo usciti dal
colonialismo, specialmente in Asia orientale, è il tema principale e ricorrente ad ogni incontro sia con
riferimenti diretti sia con riferimenti alla Nato, agli armamenti (con particolare attenzione a quelli atomici) e
alla sicurezza dell’Europa. I temi degli incontri sono significativi in tal senso: «Atteggiamento da tenersi verso
l’Urss ed il comunismo» (Olanda, 1954), «Infiltrazione comunista in vari Paesi occidentali» (Francia, 1955),
«La campagna comunista per la sovversione politica o il controllo dei Paesi recentemente emancipati
dell’Asia» e «Le cause dell’emergere di blocchi antioccidentali, specie all’Onu» (Danimarca, 1956). A questo
si collega l’attenzione per il rinsaldamento del blocco atlantico: «I meccanismi politici ed economici all’interno
della comunità occidentale sono adeguati?» (1957, Italia), «nazionalismo e neutralismo come fattori di
disturbo all’interno dell’alleanza occidentale» (1957, Usa), «La cooperazione economica occidentale»
(Inghilterra, 1958), «Unità e divisioni nella politica occidentale» (Turchia, 1959).
Gli incontri degli anni Sessanta riflettono cambiamenti importanti. In primo luogo, l’evolversi dei rapporti con
l’Urss, caratterizzati dall’alternarsi di colloqui (durante la politica di distensione di Kruěčëv nel 1962-1968) e
nuove tensioni. Significativi i seguenti titoli: «Apparenti cambiamenti nel mondo comunista», «Possibili
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I libri del “laboratorio popolare”
cambiamenti dell’Urss verso l’Occidente» (Usa, 1964), «Atteggiamenti contrastanti entro il mondo
Occidentale verso l’Urss e gli altri Paesi comunisti alla luce dei recenti eventi» (Danimarca, 1969). Molto
interessante è la nuova centralità dei rapporti economici tra Usa ed Europa, collegati al boom economico
europeo, allo sviluppo del mercato comune e all’internazionalizzazione dell’economia: «Le implicazioni per
l’unità occidentale dei cambiamenti nella forza economica relativa di Stati Uniti ed Europa Occidentale» e
«Quali iniziative sono richieste per generare un nuovo senso di leadership e direzione all’interno della
comunità occidentale? (Canada, 1961), «Le relazioni tra Usa ed Europa alla luce delle negoziazioni per
l’entrata della Gran Bretagna nel Mercato Comune» (Francia, 1963), «Cooperazione monetaria nel mondo
occidentale (Italia,1965), «Il gap tecnologico tra America e Europa con speciale riferimento agli investimenti
americani in Europa», (Inghilterra, 1967).
Nelle tematiche degli incontri degli anni Settanta è evidente il riflesso dell’instabilità da cui sono attraversate
in quel periodo le società occidentali al loro interno, a causa di una forte conflittualità del lavoro e delle
giovani generazioni, specie nelle università, e di difficoltà economiche date dall’inflazione e dalla crisi
economica e monetaria. Emergono, in risposta, elementi di ristrutturazione e di ripensamento dell’economia
mista, che verranno ripresi a breve dalla offensiva neoliberista della Thatcher, premier britannico dal 1979, e
successivamente da Reagan, «Inflazione: le sue implicazioni economiche, sociali e politiche» (Turchia,
1975), «Il futuro delle economie miste nelle democrazie occidentali» (Inghilterra, 1977), «La struttura della
produzione e del commercio: le conseguenze per i Paesi occidentali industrializzati» (Usa 1978), «La
presente situazione monetaria internazionale e le sue conseguenze per la cooperazione mondiale» (Austria
1979). Ma l’attenzione all’instabilità all’esterno e ai rapporti sempre più conflittuali con le periferie è
altrettanto forte. È in questo periodo che sono messi a tema dal Bilderberg la crisi del ruolo di leadership
degli Usa, il Medio oriente e il conflitto arabo-israeliano: «La possibilità di un mutamento del ruolo americano
nel mondo e le sue conseguenze», «La domanda del Terzo mondo di ristrutturazione dell’ordine mondiale e
le implicazioni politiche di questo atteggiamento» (Inghilterra, 1977), «Le implicazioni dell’instabilità in Medio
Oriente e in Africa per il mondo occidentale» (Austria, 1978).
Negli anni Ottanta le tematiche si concentrano su tre temi, il confronto con l’Urss alla luce delle sue
modificazioni interne, le difficoltà delle economie avanzate, e i destini dell’Europa unita, inseriti all’interno del
rapporto tra America e Europa. All’inizio del decennio la domanda posta dal Bilderberg è: «Quale dovrebbe
essere la politica occidentale verso l’Urss negli anni Ottanta?» (Svizzera, 1981), e ci si chiede in proposito
quali alternative scegliere, «Relazioni Est-Ovest: contenimento, distensione, o confronto» (Canada, 1983) e
cosa significhi la nuova era – la cosiddetta glasnost – aperta da Gorbaciov: «L’Unione Sovietica sotto
Gorbaciov: implicazioni di politica estera» (Scozia, 1986). Ma a tenere banco sono anche i problemi
dell’economia, dalle «Tendenze della disoccupazione nelle democrazie industrializzate» (Svezia 1984), al
protezionismo, che ricorre in ben quattro incontri e alla crescita del debito pubblico, che comincia a farsi
sentire e che ricorre in tre incontri. Infine, sin dall’inizio del decennio riemerge il tema delle difficoltà di
coordinamento e delle divergenze nel rapporto tra Europa e America. Tema che si fa più vivo soprattutto a
proposito di una nuova possibile sovranità europea, che è messa al centro dell’ultima conferenza del
decennio, in Spagna nell’89, con una domanda che anticipa il futuro: «Una più grande unione politica e
monetaria europea: sovranità europea?»
Negli anni Novanta si ha una proliferazione di tematiche, mentre in precedenza le conferenze del Bilderberg
ruotavano attorno a due o tre questioni principali. La dissoluzione dell’Urss e dei Paesi socialisti scompagina
il quadro generale, dando luogo al moltiplicarsi delle aree problematiche da affrontare. Oltre ai problemi
connessi con l’instabilità nell’Europa orientale, cui si lega la questione di quale debba essere il futuro della
Nato ed il suo allargamento a Est, emergono problemi nuovi e molteplici. Tra questi, l’Unione monetaria
europea e l’ulteriore allargamento ed integrazione dell’Unione europea, la minaccia fondamentalista
islamica, il ruolo delle nuove operazioni di peacekeeping, il Sud Africa, la Corea del Nord, la riunificazione
della Germania, la globalizzazione del commercio, il ruolo del Wto e la della Banca mondiale, la Cina, della
quale ci si comincia a chiedere dove stia andando, eccetera. Sintetizzando, al centro delle conferenze degli
anni Novanta c’è la necessità di gestire le crisi e le contraddizioni della nuova fase di globalizzazione dei
mercati e la definizione di un nuovo ordine mondiale.
Anche negli anni 2000 prosegue la proliferazione dei temi in discussione che triplicano rispetto agli anni
Cinquanta. Possiamo, però, sintetizzare le conferenze del Bilderberg in tre macro aree: le minacce e i
problemi della globalizzazione dei mercati delle merci e dei capitali, le aree di tensione nei Paesi islamici e le
modifiche al ruolo mondiale di Usa e Ue. La globalizzazione riguarda il ruolo del Wto, «Globalizzazione sotto
minaccia: la strada per andare avanti del Wto» (Belgio, 2000), la finanza (anche alla luce della crisi dei
subprime nel 2007) «Affari correnti: mercato dei capitali: rischi e opportunità dei private equity e degli hedge
fund» (Turchia, 2007) e «Gestire la turbolenza finanziaria» (Usa, 2008), il protezionismo «La minaccia
crescente del protezionismo» (Usa, 2008). Il tema dell’energia (dipendenza energetica e la sostenibilità)
ricorre in 2 incontri, mentre viene sollevata per la prima volta in 2 incontri la questione del cambiamento
climatico (Turchia, 2007). La questione terrorismo viene sollevata in 5 incontri, 2 volte in relazione al cyber
terrorismo, una in relazione ai movimenti terroristici in Medio oriente (Canada, 2006), una in relazione alle
conseguenze della «guerra al terrore» (Usa, 2002), una sui suoi aspetti (Francia, 2003). Il Medio Oriente
ricorre 7 volte in 6 incontri, la Russia in 6 incontri, l’Iraq 5 volte in 4 incontri, l’Afghanistan in 4 incontri, l’Iran
in 3, e il Pakistan in 2. La capacità del Bilderberg di focalizzare sulle questioni più importanti con un certo
anticipo è dimostrata dalla del tutto nuova frequenza con cui ricorre il tema Cina, presente in ben 5 incontri,
soprattutto in relazione al mercato mondiale. I titoli proposti agli invitati alla discussione sono significativi di
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I libri del “laboratorio popolare”
una percezione della Cina come fattore di grande cambiamento e finanche di nuova minaccia: «L’ascesa
della Cina: il suo impatto sull’Asia e sul mondo» (Svezia, 2001), «Commercio: l’effetto Cina» (Usa, 2002),
«La Cina sta cambiando il mondo?» (Italia, 2004), «Russia e Cina: nuovi imperialismi» (Grecia, 2009). Infine,
riemergono con forza i problemi connessi con la maggiore integrazione e l’allargamento della Ue, cui si
aggiunge la nuova conflittualità tra Europa e Usa, accentuatasi con Bush, «Come possono Europa e Usa
affrontare insieme i problemi comuni?» (Germania, 2005), «Europa e Usa interessi comuni e contrastanti»
(Turchia, 2007), «Dopo Bush, il futuro delle relazioni Ue-Usa» (Usa, 2008). E, infine, la ridefinizione del ruolo
degli Usa come leader nell’ambito di un nuovo ordine mondiale, «Un nuovo ordine: gli Stati Uniti e il mondo»
(Grecia, 2009).
Negli ultimi tre incontri, i temi sono stati 13 nel 2010 e 14 nel 1011 e 2012. L’incontro del 2010 tenutosi a
Sitges in Spagna, e si è focalizzato particolarmente sulla riforma della finanza, la crisi dell’euro, la cyber
technology, l’energia, il Pakistan, l’Afghanistan, i problemi dell’alimentazione mondiale, il riscaldamento
globale, i social network, e le relazioni Usa-Ue. L’incontro del 2011 si è tenuto a Saint-Moritz in Svizzera e si
è confrontato con i problemi della crescita economica. In particolare: il ruolo e le responsabilità dei Paesi
emergenti, la sicurezza economica e nazionale nell’epoca digitale, l’innovazione tecnologica («Innovazione
tecnologica nei Paesi occidentali: stagnazione o promessa?), le sfide che la Ue deve affrontare, i problemi
dell’euro («Un euro sostenibile: implicazioni per le economie europee»), le sfide interne, regionali e globali
della Cina, la connettività e la diffusione del potere, le tensioni demografiche. L’incontro del 2012, a Chantilly
in Usa, ritorna sul cyber spazio e la sua regolamentazione, e la Cina. Inoltre aggiunge Putin, il che fare con
l’Iran, l’instabilità in Medio Oriente, la geopolitica dell’energia. Ma soprattutto si rafforzano i dubbi sulla
gravità della crisi anche in relazione ai debiti pubblici e commerciali in cui si dibattono molti Paesi avanzati e
soprattutto in relazione alla tenuta dell’euro, come si vede dai titoli seguenti: «È realizzabile una crescita
sostenuta?», «Sostenibilità dell’euro e sue conseguenze» e «Squilibri, austerità e crescita», cui si collega,
significativamente, l’interrogativo su «Il futuro della democrazia nei Paesi sviluppati».
Possiamo raggruppare i titoli tematici delle conferenze Bilderberg nelle seguenti quattro macro-aree
principali in ordine di frequenza e importanza: a) minacce dirette all’Occidente e alla stabilità (comunismo,
Urss, Cina, Paesi medio-orientali, terrorismo, eccetera), b) questioni inerenti al rapporto tra Usa e Europa
occidentale, c) problemi economici (crisi, inflazione, protezionismo, globalizzazione, finanza, euro, eccetera)
d) questioni militari (Nato, armi nucleari e proliferazione nucleare, peacekeeping). A queste macro-aree
principali si aggiunge una molteplice varietà di altri temi (energia, democrazia, ambiente, nuove tecnologie,
eccetera), che sono maggiormente presenti negli ultimi quindici anni. Il tema della minaccia all’Occidente,
considerato come un’area con interessi e caratteristiche simili, è sempre presente, maggiormente negli anni
Cinquanta, Sessanta e Ottanta e in misura minore negli anni Settanta e Novanta, per ripresentarsi con
maggiore intensità negli anni 2000, solo che col tempo cambia la minaccia che dal comunismo e dal’Urss
diventa multiforme, Medio-Oriente, Islam, terrorismo, Iran, Cina. Il tema del coordinamento tra Usa e Europa
e i temi economici sono ovviamente sempre presenti, ma, per quanto riguarda i temi economici, in modo più
accentuato negli anni Settanta, nei Novanta e negli ultimi appuntamenti, cioè in coincidenza con le crisi più
importanti, specie in relazione alle crisi finanziari e monetarie. In definitiva, il Bilderberg riflette l’andamento
del processo storico, con una certa capacità di anticipare fenomeni ancora in fieri, come nel caso dell’ascesa
economica e politica della Cina
PERCHÉ HA VINTO IL CLUB BILDERBERG
Fonte espresso.repubblica.it – gg/mm/aaaa – Accedi alla pagina web originale – Autore. Francesco Colonna
Al netto di ogni complottismo, le élite che si riuniscono (anche) in questa associazione hanno finito per
influenzare, a dir poco, le democrazie. Un nuovo libro ne racconta caratteristiche, strategie e protagonisti (30
aprile 2013) Fino a un paio di anni fa in pochi parlavano di gruppo Bilderberg e Commissione Trilaterale. E
quei pochi venivano facilmente tacciati di complottismo (non sempre a torto, per la verità). Gli eventi
successivi hanno però cambiato le cose, almeno in Italia.
Nell'ultimo anno e mezzo il Parlamento e i partiti si sono indeboliti, i decreti-legge hanno sempre più spesso
sostituito l'attività legislativa delle Camere, il ruolo della presidenza della Repubblica si è espanso come mai
era avvenuto e sono stati scelti due premier (Mario Monti ed Enrico Letta) che sono membri o habituée del
gruppo Bilderberg.
E tutto questo è successo in un periodo nel quale i paradigmi auspicati dalla grande finanza internazionale,
cioè proprio dai membri del Bilderberg e della Trilaterale (avvicinamento al sistema presidenzialista,
finanziarizzazione dell'economia, liberismo e libero scambio senza barriere, politiche di austerità, lenta
erosione dei salari e dello Stato sociale) sono diventati in buona parte esplicito programma di governo.
Oggi insomma diventa difficile sostenere che le riunioni semi-segrete di queste due organizzazioni (e un
discorso simile si potrebbe fare per le centinaia di associazioni e think thank liberal-conservatori sparsi per il
mondo) non influiscano pesantemente sui destini delle democrazie. E diventa perciò necessario
occuparsene.
E' quanto fa il giornalista e studioso Domenico Moro con il saggio, in uscita il 2 maggio, 'Club Bilderberg. Gli
uomini che comandano il mondo' (edito da Aliberti, euro 14).
Chi cerca nelle 176 pagine del libro rivelazioni clamorose su qualche piano segreto resterà deluso. Chi
invece vuole sapere dettagliatamente che cosa sono, come funzionano, di che cosa discutono e da chi sono
composte queste due organizzazioni nelle quali confluiscono leader politici, capi militari, boiardi di Stato,
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I libri del “laboratorio popolare”
esponenti delle grandi famiglie della finanza internazionale, top manager delle multinazionali, troverà tutto
quanto gli serve.
Se infatti le riunioni di questi due organismi sono a porte chiuse, non sono affatto segreti location, date, temi
e partecipanti agli incontri. E, nel caso della Trilaterale, pubblici sono persino i resoconti - anche se non
sappiamo fino a che punto fedeli - del dibattito tra i partecipanti.
Il libro di Moro non si limita però a descrivere l'attività dei due organismi. Ma cerca anche di rispondere alle
domande che la loro esistenza pone. E si tratta di domande di enorme portata.
Le ultime vicende italiane, compreso la nomina dell'«uomo Bilderberg» Enrico Letta alla presidenza del
Consiglio, indicano infatti che «la realtà sembra essersi adattata al programma della Trilaterale. La
governabilità (...) è diventata il principio regolatore della democrazia, mentre i vecchi partiti organizzati delle
classi subalterne sono progressivamente scomparsi o si sono trasformati. Allo stes-so tempo lo Stato si è
ritirato dall'economia e l'integrazione europea è andata avanti, concretizzandosi nella realizzazione della
moneta unica».
In altri termini: gli eventi ci dimostrano sempre di più che i piani e i progetti del Bilderberg e della Trilaterale,
che poi altro non sono che i disegni, anche legittimi, della classe dominante, si stanno sempre di più
realizzando.
Questa situazione è accettabile? Fino a che punto si può definire ancora "democratica" una società nella
quale i posti di potere sono in mano a poche ma potentissime lobby?
E ancora, si chiede il libro, «èlites selezionate solo in virtù della propria enorme ricchezza, che appartengono
a pochi Paesi, non sono elette da nessuno né delegate da alcuna autorità pubblica, agiscono in modo
segreto e sono ispirate al dogma del mercato autoregolato» sono in grado di guidare l'intera società oppure,
come mostra la gravissima crisi dell'Eurozona, non finiscono poi per portare caos?
Forse, viene da rispondere, dobbiamo ripensare la nostra democrazia. I potenti della terra, infatti, hanno
tutto il diritto di riunirsi e fare lobby. Ma uno Stato deve essere abbastanza forte da mediare tra i diversi
interessi e non farsi imporre la linea da nessun organismo di parte. Anche se è potente e si chiama
Bilderberg.
L’OLIGARCHIA MONDIALE: IL CLUB BILDERBERG. INTERVISTA A DOMENICO MORO
Fonte confini.blog.rainews24.it – 07/06/2013 – Accedi alla pagina web originale – Autore
Come ogni anno si tiene il tradizionale incontro del Club “Bilderberg”. Quest’anno si tiene a Watford, una
cittadina alle porte di Londra. All’ordine del giorno ci sono occupazione, crescita, nazionalismo e populismo,
big data. Sul fronte geopolitico si parlerà di Medio Oriente, Africa e cyberguerra, tema salito nell’agenda
dell’informazione mondo. Gli argomenti caldi di questo nostro periodo. Per l’Italia ci sono l’amministratore
delegato di Telecom Franco Bernabé; l’amministratore delegato di Intesa San Paolo Enrico Tommaso
Cucchiani; la giornalista Lilli Gruber , Mario Monti e Alberto Nagel (ad di Mediobanca).
Il “summit” termina domenica. Per capire un po’ di più del “Club Bilderberg” abbiamo intervistato il sociologo
Domenico Moro. Autore di un interessante saggio, pubblicato dalla casa Editrice Aliberti, dal titolo: “Club
Bilderberg. Gli uomini che comandano il mondo”.
Moro, sul club Bilderberg in questi anni si è costruita una letteratura “complottistica” e perfino esoterica. Lei
cerca di farne , invece, una analisi strutturale. Qual è il nodo centrale della sua analisi?
Il nodo essenziale è costituito dal collegare Bilderberg e la trilaterale ai rapporti sociali esistenti a livello
mondiale, alla struttura economica, e soprattutto all’esistenza di una nuova classe capitalistica
transnazionale. Bilderberg e la trilaterale sono organizzazioni internazionali che rispecchiano il carattere di
questa nuova classe capitalistica, di questa nuova classe borghese. Infatti all’interno del Bilderberg sono
rappresentate le imprese multinazionali sia nella loro attività produttiva sia nella composizione del capitale e
troviamo soggetti che siedono in consigli d’amministrazione di banche, imprese industriali, assicurative di
paesi diversi.
Veniamo al club : qual è la sua “connotazione” ideologica e qual è la sua composizione “sociologica”?
Per quanto riguarda la connotazione ideologica si tratta di un club che ha come obiettivo quello di facilitare le
attività delle grandi imprese, quindi la sua ideologia è quella neoliberista basata sul mercato autoregolato,
sulle privatizzazioni, sul ritiro dello stato dalla attività economica, sulla riduzione del Welfare state. In
sostanza l’ideologia è abbastanza coerente con quello che sta accadendo in Europa: autonomia della BCE
dai ministri del tesoro. Come abbiamo visto da pochi documenti di questi organizzazioni l’obiettivo era quello
di ridurre il livello di democrazia raggiunto negli anni 70. C’è un libro Crozier e Huntington che è il rapporto di
una delle prime riunioni della Trilaterale nella quale si parlo della crisi della democrazia, si die che c’è un
eccesso di partecipazione, che produce un aumento della domanda dello stato verso i servizi. Noi oggi
vediamo che questi elementi negativi viene applicato attraverso il processo di unificazione europea, che
avrebbe potuto contribuire ad eliminare questo eccesso di democrazia specie in Francia a e Italia dove il
partito operaio era molto forte.
Per la composizione sociologica anche questa è interessante: ci sono tre settori più importanti: gli agenti del
capitale: manager e proprietari di grandi imprese e di banche o assicurazioni, per esempio nell’incontro che
si sta tenendo oggi in Inghilterra abbiamo 29 rappresentanti del settore industriale, 8 del settore mass media
e 28 delle banche; poi 36 politici, di alta levatura che nei singoli stati ricoprono ruoli essenziali, oppure politici
a livello sovranazionale, per esempio politici europei. Barroso partecipa; o politici a livello internazionale; un
terzo settore che comprende esponenti del mondo cultural vicino al mondo liberista, intellettuali appartenenti
a società di consulenza, università, finanziati da fondazioni, questi sono 28. Quindi abbiamo tre grandi gruppi
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I libri del “laboratorio popolare”
che ci fanno dire che gli incontri del Bilderberg sono l’incontro di politici e intellettuali e grandi imprenditori.
Quindi è il momento in cui questi soggetti si riuniscono per definire linee guida di indirizzo dell’economia e
della politica.
Parlando delle dinamiche interne al club usa una metafora: quelle delle “porte girevoli”. Lo può spiegare in
breve?
Le “porte girevoli” sono un sistema per cui questi esponenti di questa elite transnazionale passano da un
settore all’altro: abbiamo parlato dei tre settori, però questa non è una divisione netta, perché ci sono
persone che passano da un settore all’altro: pensiamo a Monti che è passato da consigli d’amministrazione
alla politica, ma anche all’università, è stato preside della Bocconi. Le porte girevoli sono diffuse in America,
dove si passa da un settore all’altro con una certa frequenza.
Nel suo libro parla anche della “Trilaterale”. Una organizzazione “gemella” del “Bilderberg”. Qual è
l’organizzazione più opaca?
L’organizzazione più opaca è sicuramente il Bilderberg perché di questo sappiamo relativamente poco.
Sappiamo i partecipanti e gli argomenti di cui si discute, ma non permette la partecipazione di giornalisti, se
non di quelli che lui invita personalmente. Mentre la Trilaterale produce libri, documentazioni e rapporti,
anche se pure lei non permette ai giornalisti di partecipare. Entrambe le organizzazioni hanno questa loro
capacità di essere molto riservate, soprattutto perché si basano sul sistema della cooptazione.
Nel “Bilderberg” sono presenti personalità appartenenti a schieramenti di destra e di sinistra. Come è
possibile una simile “coabitazione”?
È possibile questa coabitazione proprio perché il mondo della politica si sta adeguando sempre più al
modello americano, fondato su un bipartitismo bipartisan. Cioè secondo molti studiosi il sistema americano è
come se fosse governo da uno stesso partito con due ali: l’ala-sinistra e un’ala di destra, però appartenenti
come ad uno stesso partito. Queste due ali convergono poi sugli elementi fondamentali determinanti, sulle
scelte di economia, di politica internazionale, con delle sfumature, però c’è una tendenza ad una
convergenza bipartisan, dovuta a d un sistema elettorale maggioritario, quindi le posizioni politiche vengono
schiacciate verso il centro che è moderato, che esprime gli interessi di un establishment economico più forte.
Ecco in Europa si sta realizzando, anche in paesi come l’Italia, questo stesso modello, in virtù delle
modificazioni delle leggi elettorali che tendono a far convergere al centro al politica. Quindi non meraviglia
questo fatto. Anzi, anche la sinistra social-democratica hanno aderito al pensiero neoliberista e si sono fatte
promotrici delle trasformazioni dell’economia europea.
Quello che emerge dalla lettura del libro è l’influenza del “Bilderberg” nella politica occidentale. In che modo
avviene questo e qual è un esempio di questa influenza?
L’esempio di questa influenza è la deregolamentazione delle attività delle banche e delle attività finanziarie.
Per esempio nel Bilderberg ci sono esponenti del gruppo dei 30, che sono i maggiori banchieri a livello
mondiale tra cui Trichet e Draghi. In passato ha esplicitato l’indicazione che bisognava deregolamentare il
mercato dei prodotti finanziari e le regolamentazioni introdotte dopo la crisi del 29, come quella che
separava le banche di investimento dalle banche di raccolta del risparmio. Separazione portata avanti
proprio per la crisi del 29. Il ritorno della banca universale è il prodotto di queste logiche portate avanti da
queste organizzazioni, il gruppo dei 30, che poi è collegato al Bilderberg. Ma anche l’euro, i processi di
privatizzazione. Si tratta di linee guida che vengono elaborate, pensate in gruppi come al trilaterale, il
Bilderberg, e molti altri. Non si tratta di cupole di tipo mafioso, ma si tratta di un network di persone
importanti che tendono a portare avanti politiche coerenti con alcuni aspetti di fondo del modo di produzione
capitalistico-mondiale, per ridurre ostacoli alla mobilità del capitale mondiale.
Dopo la lettura del libro si pongono alcuni interrogativi sulla democrazia occidentale. Per lei sono
oligarchiche. Quali sono le vie di uscita dalle tendenze Oligarchiche?
La via d’uscita è quella di ristabilire una democrazia effettiva, che non si basi sulla governabilità, cioè come
subalternità del governo della nazione all’interesse di pochi, perché la governabilità non vuol dire efficienza.
Quindi la governabilità come è stata intesa negli ultimi vent’anni non vuol dire efficienza. Noi dobbiamo
rafforzare il potere del parlamento. Negli ultimi vent’anni si è fatto uso dei decreti legge in maniera
sconsiderata. La politica ha perso credibilità perché non è riuscita a risolvere problemi dei cittadini. I politici
hanno pensato soprattutto agli affari delle grandi imprese, delle grandi banche. Il problema vero è la
subalternità dei politici ai pochi. La vera casta è quella di soggetti che prendono 5-6milioni all’anno e
incidono sulle scelte dei governi. Ci vuole un ruolo maggiore del Parlamento e delle organizzazioni di massa,
bisogna portare avanti una maggiore partecipazione del livello di base dei cittadini.
Bisogna poi aggiungere che il Bilderberg viene accusato di essere una cupola che gestisce il uovo ordine
mondiale, in realtà non esiste un ordine mondiale, perché la realtà attuale, del capitalismo nazionale e
transazionale non è una realtà di ordine ma di caos, infatti gli interessi di questa nuova classe capitalistica
portano a creare instabilità in tutto il mondo, ad esempio distruggendo gli stati, quindi è fuorviante pensare
ad un nuovo ordine mondiale gestito da poche persone, queste poche persone hanno una grande influenza,
il problema è che per fare i loro interessi creano tutt’altro che un ordine mondiale, ma una destabilizzazione
e anche una tendenza al conflitto armato, per esempio l’attacco alla Libia e alla Siria, gestito da nazioni
come Francia e Inghilterra, che hanno interessi economici in Libia.
CHE COSA È IL BILDERBERG - COMPLOTTISMO O ANALISI DELLA CLASSE DOMINANTE?
Fonte sinistrainrete.info – gg/mm/aaaa – Accedi alla pagina web originale – Autore: Domenico Moro
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I libri del “laboratorio popolare”
1. UNA DIFFUSA MA NON MOLTO STRANA PASSIONE PER I COMPLOTTI
Tra il 6 e il 9 giugno si tiene in Inghilterra il 61esimo degli incontri che annualmente, a partire dal 1954,
vengono organizzati dal Gruppo Bilderberg. Su questa riunione si è manifestata da parte dell’opinione
pubblica una attenzione maggiore del solito. Del resto, degli ultimi due presidenti del Consiglio dei ministri,
Monti ne è stato a lungo un dirigente, mentre Enrico Letta vi è stato invitato nel 2012. Entrambi, poi, hanno
fatto parte della organizzazione sorella più giovane, la Trilaterale, come anche Marta Dassù, un tempo
lontano intellettuale di area Pci e più di recente sottosegretario con Monti e viceministro con Letta agli esteri,
a capo del quale c’è la Bonino, inviata al Bilderberg nel passato. Quest’anno la presenza italiana non sarà
numerosa ma di livello: Monti, Bernabé di Telecom, Nagel di Mediobanca, dal dopoguerra sempre al centro
del sistema di potere del capitalismo italiano, Cucchiani di Intesa, prima banca italiana, Rocca di Techint e la
giornalista Gruber.
A suscitare la curiosità del pubblico sul Bilderberg contribuiscono l’alone di mistero che lo circonda, dovuto
alla segretezza sui contenuti dei dibattiti, e la presenza del gotha economico e politico di Usa ed Europa
Occidentale. La ragione principale, però, è riconducibile alla sempre più diffusa percezione di impotenza da
parte del “cittadino comune” nei confronti di una economia e di una politica che sfuggono persino alla sua
comprensione. La maggiore crisi economica dalla fine della Seconda guerra mondiale, il potere astratto dei
mercati finanziari, la stessa vicenda dei debiti pubblici e dell’euro, con le conseguenze devastanti sulle
condizioni di vita di centinaia di milioni di lavoratori, favoriscono la sensazione dell’esistenza di forze oscure
e incontrollabili. Una testimonianza di questo stato psicologico di massa può essere individuata nella fortuna
di romanzi alla Dan Brown e di innumerevoli saggi su massoneria, sette segrete, tra cui gli Illuminati (che
vengono collegati al Bilderberg), e chi più ne ha più ne metta. In un clima siffatto ed in assenza di un
pensiero critico strutturato e diffuso, è facile attribuire le cause di quanto avviene all’esistenza di complotti e
di gruppi che, come una specie di grande “cupola”, reggono un <<nuovo ordine mondiale>>.
Il problema è che questo tipo di approccio limita la comprensione della natura e del ruolo di organizzazioni
come il Bilderberg e la Trilaterale. E, in definitiva, anche la consapevolezza della loro pericolosità, perché è
facile derubricare le critiche a colore giornalistico o a fantasie di qualche inguaribile complottista. Già negli
anni ’50 il sociologo Wright Mills, studiando l’élite statunitense, avvertiva che la storia americana non può
essere ridotta a una serie di cospirazioni, sebbene ciò non voglia dire che le cospirazioni non esistano. Del
resto, aggiungiamo noi, si possono ordire tutti i complotti che si desiderano, ma, se non c’è una base
oggettiva e materiale su cui agire, è difficile che si possa avere successo. Ad ogni modo, per dirla con Wright
Mills, bisogna capire che il potere delle élite si fonda su fattori impersonali. Tali fattori sono costituiti dal
modo di produzione capitalistico e dalla relazione tra struttura economica e sovrastruttura politico-statale
della società. Lo scadimento nel complottismo è favorito anche dall’abbandono nella teoria sociologica e
economica dello studio delle classi sociali e, in particolare, della classe dominante. Come ho cercato di
chiarire nel mio libro, Il Club Bilderberg. Gli uomini che comandano il mondo, lo studio di questo gruppo e
della Trilaterale va collocato all’interno dell’analisi della classe dominante capitalistica e delle forme
organizzative che le sono proprie. E, dal momento che ogni classe e le sue forme organizzative riflettono,
pur in modo non meccanicistico, i mutamenti della struttura economica, rientra nell’analisi del capitalismo
contemporaneo.
2. UNA NUOVA FORMA TRANSNAZIONALE DI CAPITALE E DI CAPITALISTI
Dunque, che cosa è il Bilderberg? Il Bilderberg è una delle organizzazioni, tra le più importanti, della classe
capitalistica transnazionale. Con la mondializzazione degli anni ‘90, il capitale ha completato il
raggiungimento della sua fase transnazionale. Quello transnazionale è il livello apicale del capitale nel suo
stadio di evoluzione superiore e maggiormente puro, visto che la caratteristica specifica del capitale è la
estrema mobilità settoriale e territoriale, in cui sia l’attività di investimento sia la sua stessa composizione
proprietaria sono multinazionali. Ad esempio, nelle prime 30 imprese tedesche solo il 37% del capitale è in
mano a tedeschi. Caratteristica principale di questa classe è l’estrema interconnessione, non solo tra banche
e imprese, come Hilferding con Il capitale finanziario aveva già rilevato cento anni fa, ma anche tra settori
economici diversi, e soprattutto tra capitali di diversa provenienza nazionale. Gli stessi consigli
d’amministrazione sono interconnessi, grazie alla presenza dei cosiddetti interlocker, top manager e azionisti
che siedono contemporaneamente in diversi consigli d’amministrazione. Questi soggetti sono come i nodi di
una rete; non a caso alcuni studiosi definiscono il Bilderberg come un network. Del resto, come ha ricordato
Gramsci, la forma organizzativa tipica del capitale non è certo quella del partito organizzato (anche se ha la
necessità di egemonizzare i partiti di massa per imporsi), ma quella del gruppo informale. Dunque, se il
capitale è strutturalmente interconnesso su base transazionale, anche i suoi agenti, i capitalisti, lo sono. Di
conseguenza, anche la loro organizzazione tipica non può che essere internazionale. Il Bilderberg, la
Trilaterale, l’Aspen Institute rappresentano la concretizzazione di questo tipo ideale. In particolare, il
Bilderberg è l’organizzazione di una parte di un settore specifico di questa borghesia, quello atlantico, che fa
riferimento alla Nato. Non è un caso: gli Usa e l’Europa occidentale sono due aree fortemente interconnesse
tra loro ed egemoni. I giapponesi e gli orientali sono stati tenuti fuori dal Bilderberg. Per coinvolgerli, senza
annacquare il carattere atlantico del Bilderberg, negli anni ’70 fu creata la Trilaterale, che spesso comprende
le stesse personalità europee, statunitensi e canadesi del Bilderberg alle quali, oltre a quelle giapponesi,
ogni anno si aggiungono quelle di nuovi Paesi asiatici. Naturalmente l’integrazione sovrannazionale non
deve essere confusa con l’esistenza di una sorta di supercapitalismo o di Impero alla Negri privo di
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I libri del “laboratorio popolare”
contraddizioni. Il capitale non sarebbe tale se non fosse molteplice e ineguale nel suo sviluppo e, quindi, se
non ci fosse una concorrenza tra capitali. La fase transnazionale non è neanche la fase della fine degli statinazione, per lo meno di quelli più forti e imperialisti. È la fase dell’aumento della concorrenza tra capitali, tra
aree valutarie e tra Stati. Così come è la fase della accentuazione della lotta di classe, quella del capitale
contro il lavoro salariato.
3. CHE COSA È QUALE E QUAL È LA FUNZIONE DEL BILDERBERG: LA NUOVA OLIGARCHIA
Qual è, allora, la funzione del Bilderberg? Ad aiutarci a rispondere è la composizione del suo comitato
direttivo e, meglio ancora, la composizione degli invitati ai suoi meeting. Nel comitato direttivo prevalgono
esponenti della finanza e dell’industria, in quanto lo statuto prevede che politici in carica non possano farvi
parte. Diversa è la situazione nei meeting annuali. Quest’anno i 138 partecipanti ufficiali, possono essere
divisi in tre categorie principali. La prima è quella che fa riferimento agli agenti diretti del capitale, cui
appartengono ben 65 personalità, di cui 28 afferenti a società finanziarie (banche, assicurazioni, società
d’investimento), 29 a oligopoli e monopoli industriali (energia, estrazioni minerarie, metalmeccanica, chimicafarmaceutica, informatica, ecc.), e 8 a grandi network editoriali della Tv e della carta stampata. La seconda è
quella della politica e delle istituzioni statali o interstatali con 38 persone. Si tratta di personaggi di
primissimo piano, tra cui primi ministri, ministri dell’economia e degli esteri, membri della Commissione
europea, tra i quali il presidente Barroso e Viviane Reding, vice presidente e commissario europeo alla
giustizia, e di organismi sovrannazionali, come Christine Lagarde dell’Fmi. Infine, abbiamo 28 persone che
appartengono a think tank (10), università (12), centri di ricerca e società di consulenza globali. Quasi tutti
questi istituti sono legati a grandi corporation, parecchi sono statunitensi ed appartengono all’area
neoconservatrice. Si tratta, per dirla alla Gramsci, del “meglio” dell’intellettualità organica al capitalismo
internazionale.
La funzione del Bilderberg è, quindi, quella di riunire alcuni tra gli esponenti di punta del capitale mondiale
con i principali decision maker politici. La presenza di queste due categorie contemporaneamente legittima
l’idea che le riunioni siano l’occasione di definire linee guida generali da implementare con decisioni politiche
a livello nazionale e sovrannazionale. A quali principi si ispirino queste linee guida è facile intuirlo,
conoscendo l’orientamento dei think tank e dei personaggi che intervengono. Possiamo poi fare riferimento a
quei pochi materiali fatti uscire dalla Trilaterale come “Crisi della democrazia” di Crozier e Huntington, che,
criticando l’eccesso di democrazia degli anni ‘70, prefigurava quanto abbiamo visto realizzarsi in Italia e in
Europa negli ultimi venti anni. I principi di fondo sono quelli che sono diventati egemoni negli ultimi 30 anni a
partire dal il tatcherismo e dalla reaganomics: mercato autoregolato, autonomia delle banche centrali,
riduzione del welfare, privatizzazioni, deregolamentazione del settore bancario, dei mercati finanziari e del
mercato del lavoro e soprattutto “governabilità”, eretta a principio assoluto del funzionamento della
“democrazia”.
4. PERCHÉ LA CLASSE TRANSNAZIONALE VINCE
Il Bilderberg è molto più connesso alla trasformazione in senso oligarchico delle istituzioni democratiche e
rappresentative occidentali che a congiure e complotti. È abbastanza ridicolo pensare che una
organizzazione di questo tipo si metta ad organizzare cospirazioni o complotti contro questo o quello. A
meno che l’implementazione delle politiche di cui abbiamo parlato non la si voglia definire un complotto. In
questo modo, però, perderemmo uno degli aspetti più importanti, cioè l’individuazione del perché e dei
meccanismi attraverso cui l’élite transnazionale riesce a vincere. Riesce a vincere, soprattutto, grazie al fatto
che è espressione dei rapporti di produzione capitalistici allo stadio transnazionale. Ciò vuol dire che vince
perché è interconnessa ed integrata, molto di più di quanto i suoi avversari, il movimento operaio e i
movimenti antimperialisti, riescano ad essere. E perché è capace di mettere in atto quello che Gramsci
definiva esercizio dell’egemonia. Non è un caso che accanto ai produttori di ideologie neoconservatrici,
come i think tank, partecipi agli incontri del Bilderberg anche una nutrita pattuglia di imprenditori e operatori
dell’industria della diffusione delle idee e delle opinioni. La forza e la pervasività di questa capacità
egemonica è dovuta, infine, soprattutto alla integrazione tra agenti diretti del capitale e politici appartenenti
sia al centro-sinistra che al centro-destra, compresa la sinistra verde e la socialdemocrazia europea.
Quest’anno tra i partecipanti spicca Stefan Löfven, neosegretario del partito socialdemocratico svedese e ex
leader del sindacato dei metalmeccanici, invitato, come da prassi, dal membro svedese del comitato
direttivo, Jacob Wallenberg, l’Agnelli svedese. Il vero problema non è la corruzione di basso livello dei politici
o il finanziamento pubblico ai partiti, come pretendono i fustigatori della “casta”. La vera corruzione del
sistema politico e dei partiti tradizionali risiede nell’integrazione dei vertici politici all’interno della borghesia
transnazionale. Infatti, spesso non è possibile distinguere con nettezza tra agenti politici, intellettuali ed
economici del capitale transnazionale. Gli stessi individui, come nel sistema Usa della “porte girevoli”,
passano con disinvoltura dai consigli d’amministrazione ai governi nazionali alle organizzazioni
sovrannazionali ai centri ideologici e viceversa, come nel caso di Mario Monti e Mario Draghi.
Concludendo, non è possibile capire il Bilderberg e le altre sue organizzazioni sorelle se non recuperiamo e
non attualizziamo la categoria di modo di produzione e la relazione struttura-sovrastruttura. Non si tratta di
una esigenza solamente scientifica, ma soprattutto politica, senza la quale non può essere fondato alcun
durevole processo di ripresa democratica. In sintesi, possiamo definire il Bilderberg come l’organizzazione
della nuova classe borghese transnazionale, nella forma del network. Una organizzazione funzionale allo
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scopo sia di essere camera di compensazione delle contraddizioni intercapitalistiche, interstatali e tra
Europa e Usa sia soprattutto di esercitare l’egemonia sul resto della società attraverso l’elaborazione, la
condivisione ideologica tra i vari settori di questa borghesia e l’implementazione nei sistemi politici di linee
guida generali. Il risultato di questo attivismo non è però alcun “nuovo ordine mondiale”, bensì il caos, come
possiamo osservare nelle cronache di ogni giorno. Il dato più importante su cui riflettere, alla fine, è che il
capitale transnazionale produce destabilizzazione e divaricazione delle contraddizioni a tutti i livelli.