493-498 Case records - Recenti Progressi in Medicina

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493-498 Case records - Recenti Progressi in Medicina
Vol. 100, N. 11, Novembre 2009
Pagg. 493-498
Case Records
dell’Istituto di Fisiologia Clinica del CNR
Fondazione G. Monasterio - Regione Toscana
“Comunicare meglio per curare meglio”
Cardiotossicità da chemio- e radioterapia
Vera Srebot1, Francesco Sbrana1, Alessio Maffei2, Marco Solinas3, Daniele Rovai1
Riassunto. Viene descritto il caso di un paziente di 55 anni con dislipidemia come unico
fattore di rischio cardiovascolare e pregresso trattamento chemio e radioterapico per linfoma di Hodgkin (stadio 2b), che ha sviluppato una precoce cardiopatia ischemica, con
andamento ingravescente, seguita da una valvulopatia mitro-aortica e da una iniziale pericardite costrittiva. Viene discusso il ruolo della chemio e della radioterapia nello sviluppo di queste complicanze multiple.
Parole chiave. Aterosclerosi coronarica, chemioterapia, pericardite costrittiva, radioterapia, valvulopatia.
Summary. Cardiotoxicity induced by chemo- and radiotherapy.
The authors describe the case of a 55-year old patient, with dyslipidemia as single cardiovascular risk factor, who previously underwent chemo and radiotherapy for Hodgkin
lymphoma (stage 2b). The patient developed early coronary atherosclerosis followed by
aortic and mitral valve disease and initial constrictive pericarditis. The role of chemo and
radiotherapy in the development of cardiovascular disease, in particular valvular and
pericardial disease, is discussed.
Key words. Chemotherapy, constrictive pericarditis, coronary atherosclerosis, radiotherapy, valvular heart disease.
Introduzione
La chemioterapia associata alla radioterapia è
una procedura diffusa ed efficace nel trattamento
delle malattie linfoproliferative come il linfoma di
Hodgkin (LH). Questa combinazione terapeutica garantisce – soprattutto nei soggetti trattati nelle fasi precoci della malattia – una sopravvivenza libera
da recidive superiore allo 85%. Tuttavia, il prezzo
da pagare a lungo termine è un incremento delle
complicanze cardiovascolari, che sono, in questi pazienti, la terza causa di morte dopo la recidiva neoplastica, primitiva o secondaria al trattamento.
Il coinvolgimento cardiaco è conseguente all’utilizzo di farmaci chemioterapici come le antracicline, dotati di cardiotossicità, e alla necessità di
irradiazione del mediastino, con inevitabile esposizione delle strutture cardiache agli effetti lesivi
delle radiazioni ionizzanti. Il danno da radioterapia può interessare tutte le strutture cardiache:
dalle coronarie all’endocardio valvolare, al miocardio, al pericardio, fino al sistema di conduzione,
mentre il danno da antracicline tende ad alterare
strutturalmente il miocardiocita, favorendo così il
processo fibrotico.
Presentiamo il caso di un paziente precedentemente sottoposto a chemio e radioterapia per LH.
1
Istituto di Fisiologia Clinica e Fondazione Toscana Gabriele Monasterio, Pisa; 2Dipartimento di Medicina Interna, Università, Pisa; 3Ospedale del Cuore, Fondazione Toscana Gabriele Monasterio, Massa.
Pervenuto il 16 ottobre 2009.
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Recenti Progressi in Medicina, 100, 11, 2009
Descrizione del caso
Il paziente, di 55 anni, è giunto alla nostra osservazione per astenia, dispnea per sforzi ordinari e semiortopnea. Come unico fattore di rischio cardiovascolare
“classico” era presente una dislipidemia. All’anamnesi
patologica remota veniva riportato all’età di 32 anni un
LH a deplezione linfocitaria a sede sopradiaframmatica (stadio IIb), trattato inizialmente con chemioterapia
(incluse antracicline) e successivamente con radioterapia a mantellina ad alte dosi. In seguito il paziente sviluppava ipotiroidismo post-attinico, per il quale veniva
intrapresa terapia sostitutiva. Nel 2005 veniva posta
diagnosi di ischemia miocardica silente, trattata con
angioplastica e posizionamento di stent a carico dell’arteria discendente anteriore; in tale occasione veniva
riscontrata l’occlusione di un ramo marginale della circonflessa e di un ramo postero-laterale della coronaria
destra; la frazione di eiezione (FE) del ventricolo sinistro era conservata (50%). Il paziente godeva apparente buona salute fino al 2008, quando iniziava a presentare dispnea per sforzi ordinari o di poco superori e tosse. L’elettrocardiogramma mostrava un blocco di branca sinistra, precedentemente assente, e l’ecocardiogramma una disfunzione sistolica del ventricolo sinistro (FE 35%), associata ad insufficienza valvolare mitralica severa.
Nel marzo 2009 il paziente veniva ricoverato in ambiente ospedaliero con evidenza di occlusione ostiale
della coronaria destra e restenosi intrastent della discendente anteriore (oltre alla occlusione del primo ramo marginale e del ramo postero-laterale, già note).
Veniva quindi effettuata una angioplastica con posizionamento di stent della coronaria destra e della discendente anteriore; la procedura era complicata da
trombosi acuta, che veniva trattata con trombo-aspirazione, somministrazione di trombolitico in coronaria
ed infusione sistemica di abciximab. Un controllo ecocardiografico confermava la disfunzione ventricolare
sinistra (FE 35%) ed una insufficienza valvolare mitralica di grado moderato.
Il mese successivo, per peggioramento della dispnea
che compariva anche per sforzi ordinari o inferiori all’ordinario, veniva effettuata una valutazione ambulatoriale presso il nostro Istituto, nel corso della quale veniva consigliato uno studio di risonanza magnetica cardiaca (RM) in cine e con contrasto per la quantizzazione delle valvulopatie e lo studio della vitalità miocardica. La RM in cine confermava la notevole dilatazione
del ventricolo sinistro, la disfunzione sistolica moderata, l’insufficienza mitralica moderata e mostrava una
insufficienza aortica di grado lieve-moderato, in assenza di segni di pericardite costrittiva (figura 1). L’osservazione tardiva dopo mezzo di contrasto metteva in evidenza esiti di necrosi subendocardica nel territorio di
perfusione della coronaria destra (figura 2), con vitalità conservata in tutti gli altri segmenti del ventricolo
sinistro. Nello stesso periodo un elettrocardiogramma
da sforzo sottomassimale risultava negativo per ischemia miocardica inducibile. All’eco-Doppler carotideo
non erano presenti lesioni emodinamicamente significative. In previsione di correzione cardiochirurgia dei
difetti valvolari, seguiva ricovero presso questo Istitu-
to. Durante la degenza, l’insufficienza valvolare mitralica (figura 3) ed aortica (figura 4) venivano giudicate di
grado severo all’ecocardiogramma, che metteva in evidenza, oltre alla disfunzione sistolica del ventricolo sinistro, una disfunzione diastolica con pattern restrittivo, e una ipertensione polmonare lieve. Allo studio emodinamico venivano confermati i reperti ecocardiografici; il cateterismo destro (figura 5) e i reperti emodinamici (tabella 1) erano indicativi di un alterato riempimento diastolico, suggerito dalla tendenza alla equalizzazione delle pressioni di riempimento fra le cavità destre e sinistre. La coronarografia (figura 6 a pag. 497)
mostrava la pervietà degli stent precedentemente impiantati in assenza di stenosi significative sui principali rami coronarici.
Alla luce dei dati clinici e strumentali, dopo un confronto con il paziente e con il cardiochirurgo, il paziente
veniva inviato in cardiochirurgia per essere sottoposto
ad un intervento di sostituzione valvolare. Il rischio peri-operatorio veniva stimato di grado elevato, dati il coinvolgimento valvolare multiplo, la disfunzione ventricolare sinistra, la lieve ipertensione polmonare, la sospetta costrizione pericardica e una probabile fibrosi mediastinica, attesa in base alla precedente esposizione alle
radiazioni ionizzanti1.
Il paziente veniva sottoposto a intervento di sostituzione valvolare aortica con bioprotesi CarpentierEdwards pericardica n. 25 e di sostituzione valvolare
mitralica con bioprotesi Carpentier-Edwards porcina n.
27. Al fine di mantenere la continuità ventricolo-anulare, e quindi di preservare la funzione sisto - diastolica del ventricolo sinistro, la sostituzione mitralica veniva effettuata con conservazione dell’intero apparato
sottovalvolare. In sede intra-operatoria il pericardio appariva ispessito e fibrotico, e veniva confezionata una
finestra pleuro-pericardica. In toto, la durata della circolazione extracorporea era di 220 minuti e il tempo di
clampaggio aortico di 150 minuti, entrambi adeguati
alla procedura. Data la durata e la complessità dell’intervento, non veniva effettuata la plastica tricuspidalica.
Il decorso post-operatorio era caratterizzato da bassa portata, disfunzione biventricolare e insufficienza respiratoria, che ha richiesto svezzamento dalla circolazione extracorporea tramite contropulsatore intra-aortico, terapia con inotropi e ventilazione meccanica prolungata. La degenza successiva era regolare ed il controllo ecocardiografico mostrava una severa disfunzione ventricolare sinistra (FE 28%). In seguito, il paziente ha progressivamente ripreso l’attività fisica ordinaria
in modo asintomatico, ed attualmente avverte dispnea
soltanto durante la marcia in salita. Un controllo ecocardiografico eseguito circa tre mesi dopo l’intervento
ha mostrato un lieve recupero della funzione ventricolare sinistra (FE 35%) e la normalizzazione della pressione sistolica polmonare. Prima dell’intervento, il compenso era garantito da una dose giornaliera di 100 mg
di furosemide mentre adesso viene mantenuto con una
dose giornaliera di 25 mg di furosemide. In base al recupero della funzione ventricolare sinistra verrà stabilita l’indicazione alla terapia resincronizzante ed all’impianto di un defibrillatore.
V. Srebot et al.: Cardiotossicità da chemio- e radioterapia
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Figura 1. Risonanza magnetica in cine: si noti la severa dilatazione del ventricolo sinistro.
Figura 2. Risonanza magnetica con acquisizione tardiva dopo mezzo di contrasto: la freccia indica gli esiti di una necrosi
subendocardica nel territorio di perfusione della coronaria destra.
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Figura 3. Vena contracta su valvola mitrale al Color Doppler.
Figura 5. Pressione ventricolare destra al cateterismo cardiaco.
Figura 4. Pressure half time (PHT) della velocità del rigurgito aortico al Doppler continuo, indicativo di una insufficienza di
grado severo.
Discussione
Il caso presentato mette in evidenza la relazione fra trattamento chemio- e radioterapico e danno cardiovascolare. Tra i chemioterapici utilizzati
nel nostro paziente quelli con il più alto indice di
cardio-tossicità a lungo termine sono le antracicline. Il loro effetto è dose dipendente. È stato infatti osservato che la doxorubicina ad un dosaggio cumulativo inferiore di 300 mg/m2 porta a cardiotossicità, a venti anni dal trattamento, nel 10% dei casi. Se la dose cumulativa è superiore a 550 mg/m2
l’effetto cardiotossico è atteso nel 26% dei casi2,3.
Questi farmaci possono indurre cambiamenti della pressione arteriosa, trombosi, alterazioni elettrocardiografiche, aritmie, miocarditi, pericarditi, infarto miocardico e
cardiomiopatie, con conseguente scompenso cardiaco. L’effetto citotossico può essere messo in
relazione allo stress ossidativo indotto da questi
farmaci a livello del miocita cardiaco.
Il trattamento radiante può indurre danni a
livello pericardico, coronarico, miocardico, endocardico e del sistema di conduzione.
V. Srebot et al.: Cardiotossicità da chemio- e radioterapia
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Figura 6. Aterosclerosi coronarica diffusa in assenza di stenosi significative; gli stent precedentemente impiantati a carico della discendente anteriore e della coronaria destra sono pervi.
Tabella 1. Reperti emodinamici al cateterismo cardiaco
sinistro e destro.
Pressione aortica
100-55 media 70 mm Hg
Pressione ventricolare sinistra 100-18 mm Hg
Pressione atriale destra
23 mm Hg
Pressione ventricolare destra
44-22 mm Hg
Pressione in arteria polmonare 44-20 media 28 mm Hg
Pressione di incuneamento
25 mm Hg
Onda V
35 mm Hg
Portata cardiaca
3,39 l/min
Indice cardiaco
1,79 l/min/mq
Resistenze polmonari totali
8,2 mm Hg/l/min
Resistenze vascolari polmonari 8 mm Hg/l/min
Resistenze sistemiche
13,8 mm Hg/l/min
■ Fra questi danni, il nostro paziente presentava
aterosclerosi coronarica precoce, compromissione
dell’apparato valvolare e sviluppo di iniziale pericardite costrittiva. Uno studio recente ha evidenziato che il 10% dei pazienti sottoposti a radioterapia per LH sviluppa coronaropatia nei 20 anni
successivi al trattamento4. Il ramo coronarico più
frequentemente colpito è la discendente anteriore,
che per la sua localizzazione riceve la dose più elevata di radiazioni.
Nel caso in esame era stata interessata inizialmente la discendente anteriore e rami minori, e successivamente di nuovo la discendente anteriore e la coronaria destra. Il danno coronarico da radioterapia
viene potenziato dalla presenza di concomitanti fattori “classici” di rischio cardiovascolare5,6.
■ A carico dell’apparato valvolare, il danno da radioterapia colpisce prevalentemente le valvole delle sezioni sinistre del cuore, probabilmente per i
maggiori stress pressori cui sono sottoposte7. Nell’arco di 20 anni il 5% dei pazienti sottoposti a radioterapia mediastinica per LH sviluppa una disfunzione valvolare clinicamente importante8.
L’entità di tale disfunzione è direttamente correlata all’intervallo di tempo trascorso dalla terapia
radiante. A livello fisiopatologico è chiamata in
causa la formazione di radicali liberi dell’ossigeno
con conseguente danno dell’endocardio fino ad arrivare alla fibrosi valvolare. Questa condizione
può evolvere sia in insufficienza che in stenosi valvolare. Spesso la valvulopatia post-attinica è caratterizzata da marcate calcificazioni della valvola aortica e del lembo anteriore della valvola mitralica9.
■ L’ecocardiogramma del nostro paziente mostrava sia ispessimento sia “tethering” (stiramento) dei lembi mitralici. A livello fisiopatologico possiamo pertanto ipotizzare una duplice
eziologia dell’insufficienza mitralica, in quanto
il tethering fa pensare ad una disfunzione valvolare su base ischemica, mentre l’ispessimento
dei lembi in un soggetto giovane fa propendere
per l’effetto delle radiazioni ionizzanti.
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I reperti morfologici intra-operatori hanno
inoltre messo in evidenza un “restricted motion”
del lembo posteriore della mitrale; condizione
che può agire come concausa di entrambi i meccanismi fisiopatologici. A livello della valvola
aortica, invece, i reperti ecocardiografici evidenziavano circoscritte calcificazioni delle cuspidi
valvolari aortiche confermate a livello intra-operatorio, attribuibili pertanto agli effetti delle radiazioni ionizzanti.
■ Il danno a carico del pericardio, non evidenziato alla RM cardiaca ma ipotizzabile alla luce dei
dati emodinamici, è stato parzialmente riscontrato durante l’intervento cardiochirurgico, dove il pericardio appariva fibrotico, pur senza presentare
gli aspetti classici della pericardite costrittiva. Il
cardiochirurgo ha slaminato il pericardio e generato una finestra pleuro-pericardica. L’incidenza di
tale complicanza dopo radioterapia è proporzionale alla dose radiante somministrata e al volume
mediastinico irradiato9. Il quadro si presenta solitamente come una pericardite essudativa iniziale,
che può evolvere in un quadro di pericardite costrittiva per ispessimento del pericardio dovuto a
sostituzione del normale tessuto adiposo con collagene e fibrina. I due foglietti pericardici arrivano a
fondersi tra loro o ad aderire al cuore o alla pleura10.
■ Quanto alle scelte terapeutiche, di fronte ad
un andamento clinico ingravescente nonostante
una terapia medica ottimale, abbiamo optato per
l’intervento chirurgico. Questa opzione era gravata da un rischio peri-operatorio elevato in relazione al coinvolgimento valvolare multiplo, alla
disfunzione ventricolare sinistra, alla ipertensione polmonare, alla sospetta costrizione pericardica e ad una probabile fibrosi mediastinica. In aggiunta, tali condizioni possono rendere più complesso il decorso post-operatorio, come di fatto è
accaduto. Le condizioni cliniche di un paziente in
classe NYHA III ci hanno però spinto ad un atteggiamento aggressivo, condiviso dai cardiochirurghi.
Indirizzo per la corrispondenza:
Dott. Daniele Rovai
Consiglio Nazionale delle Ricerche
Istituto di Fisiologia Clinica
Via Giuseppe Moruzzi, 1
56124 Pisa
E-mail: [email protected]
Conclusioni
Questo caso è un esempio degli effetti tardivi di
un trattamento salvavita effettuato per una patologia onco-ematologica. Spesso il prezzo da pagare a lungo termine incide sfavorevolmente
sulla qualità della vita del paziente. Ad oggi non
disponiamo di dati epidemiologici esaustivi sul
danno cardiaco da chemio- e radio-terapia e sull’insorgenza di tali complicanze a distanza di anni dal trattamento.
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