Il nuovo art. 20 del Codice dei Contratti Pubblici

Transcript

Il nuovo art. 20 del Codice dei Contratti Pubblici
Roma, 22 Dicembre 2016
Rocco Motolese
Il nuovo art. 20 del Codice degli appalti e dei Contratti di Concessione: spunti critici di
riflessione.
Sommario: 1. Premessa - 2.1. La realizzazione delle opere di urbanizzazione a
scomputo: il caso Bicocca - 2.2. Il consolidamento dei principi del caso Bicocca: la
Determinazione dell’AVCP n. 4/2008 – 3. Conclusioni.
1. Premessa.
Con il Codice degli Appalti e dei Contratti di Concessione, d.lgs. 50/2016, il Legislatore è
nuovamente intervenuto nella materia del public procurement, mutandone sensibilmente la
disciplina.
L’intervento normativo, dipeso dall’esigenza del recepimento delle direttive europee nn.
2014/23UE, 2014/24UE, 2014/25UE, ha rappresentato l’opportunità per una complessiva
rivisitazione della materia, ormai compromessa, dalla sopravvenuta inflazione normativa,
dalla diffusa inefficienza dell’azione contrattuale delle stazioni appaltanti, nonché dal dilagare
di fenomeni illeciti di stampo corruttivo1.
Come evidenziato dallo stesso Consiglio di Stato in sede consultiva, il d.lgs. 50/2016 e, con
esso la relativa legge delega n. 11/2016, raccoglie, infatti, l’ambiziosa sfida di definire una
nuova disciplina idonea a coniugare “flessibilità e rigore, semplificazione ed efficienza con la
salvaguardia di insopprimibili valori sociali e ambientali2”.
Il nuovo Codice dei Contratti Pubblici, giunto a dieci anni di distanza dal precedente, d.lgs.
163/2006, si presenta quindi come un testo normativo intriso di novità, tanto di natura
sostanziale quanto di natura processuale.
Fra le diverse innovazioni introdotte, di particolare interesse, è proprio il nuovo art. 20,
rubricato “Opera pubblica realizzata a spese del privato”, e collocato a valle della Parte I,
Titolo II, del Codice.
Tale disposizione esclude l’applicazione delle norme dell’evidenza pubblica con riferimento
alle convenzioni con le quali, il privato o un soggetto pubblico, si impegni alla realizzazione,
a sua totale cura e spesa, di un’opera pubblica, di un suo lotto funzionale ovvero di parte
dell’opera prevista nell’ambito di strumenti urbanistici3.
Laddove l’amministrazione intenda ricorrere alla presente disposizione, occorrerà, in primo
luogo, verificare il possesso da parte del privato o del soggetto pubblico obbligato, dei
requisiti di ordine generale, di cui all’art. 80 del Codice4. In secondo luogo, l’amministrazione
1
Cfr. A.Pajno, “La nuova disciplina dei contratti pubblici tra esigenze di semplificazione, rilancio dell’economia e contrasto
alla corruzione” in Rivista Italiana di Diritto Pubblico Comunitario, 2015, Giuffrè, p. 1127.
2
Cfr. Consiglio di Stato, parere n. 855/2016, p. 11.
3
L’indicazione del contenuto della norma evidenzia un’intrinseca contraddittorietà fra la rubrica della stessa ed il relativo
testo. Se infatti in rubrica si fa esclusivo riferimento all’assunzione dell’obbligo di realizzazione dell’opera pubblica da parte
del privato, nel teso della norma si contempla, invece, altresì l’alternativa ipotesi in cui soggetto obbligato sia il soggetto
pubblico.
4
Sotto la vigenza del vecchio Codice, l’ipotesi contemplata nella norma indicata poteva presumibilmente essere ricondotta
nella limitrofa figura negoziale del contratto di sponsorizzazione, oggi peraltro autonomamente regolato all’art. 19 del
Codice. Dal raffronto fra l’art. 20 in esame e il nuovo art. 19 è agevole individuare l’elemento di discrimen fra ambo le figure
1
parte contraente, dovrà poi valutare la rispondenza del progetto di fattibilità delle opere da
eseguire, del tempo massimo di completamento dei lavori e dello schema dei contratti di
appalto presentati, con la realizzazione delle opere medesime.
La deroga espressa alle norme dell’evidenza pubblica, contenuta nella disposizione in esame,
appare del tutto coerente con la collocazione sistemica della norma stessa, posta, come
anticipato, a chiusura del Titolo II, Parte I, del Codice, dedicato ai c.d. “Contratti esclusi”.
Tali contratti, con soluzione invero di continuità rispetto al precedente Codice dei contratti
pubblici, d.lgs. 163/2006, rappresentano un insieme nutrito ed eterogeneo di figure negoziali
che l’Amministrazione ha modo di concludere senza la necessaria osservanza delle norme
dell’evidenza pubblica. L’esclusione dell’applicazione pedissequa delle norme del Codice non
compromette peraltro l’applicazione dei principi generali di derivazione europea, di
economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità,
pubblicità, tutela dell'ambiente ed efficienza energetica, espressamente indicati, anche nel
caso in esame, dall’art. 4 del Codice. Tali principi, infatti, come correttamente sostenuto, si
caratterizzano ad oggi per una propria e sensibile vis expansiva che consente di ritenere ormai
espunte dall’ordinamento ipotesi di affidamenti diretti o fiduciari da parte
dell’amministrazione, in passato, spesso sopravvissute (ancorché in via residuale) al
recepimento della disciplina comunitaria5.
Il riferimento nell’art. 20 in esame alla stipula di una convenzione, nonché ad opere incluse in
strumenti urbanistici contiene inoltre un evidente richiamo alle cd. ipotesi di “urbanistica
negoziata”, diffuse nell’esperienza applicativa delle amministrazioni locali e regolate da una
pluralità di fonti, statali e regionali6.
La formula dell’urbanistica negoziata comprende, tradizionalmente, inedite soluzioni
contrattuali con le quali, secondo un approccio e logica squisitamente partenariali, il privato
concorre con il soggetto pubblico alla concreta realizzazione del disegno di sviluppo
urbanistico del territorio.
Tali ipotesi contrattuali risultano ad oggi saldamente legate alle innovative tecniche di
pianificazione del suolo perequative le quali consentono di ancorare la formazione ed
attuazione degli strumenti urbanistici ad una più equa distribuzione degli oneri e vantaggi
derivanti dalla trasformazione urbanistica del territorio. Distribuzione di oneri e vantaggi
capace di ingenerare, nel contempo, un meccanismo virtuoso di urbanizzazione in cui gli
interventi di trasformazione del suolo si saldano pervicacemente a quelli di realizzazione delle
necessarie dotazioni infrastrutturali del territorio medesimo7.
contrattuali indicate nell’oggetto del rapporto. Nel primo caso, infatti, ovvero quello del contratto di sponsorizzazione,
oggetto del rapporto è la realizzazione di lavori (oltre a servizi e forniture), mentre, nel secondo caso esaminato, l’oggetto
concerne la realizzazione di un'opera pubblica o di un suo lotto o di una parte di essa. Cfr. E.Robaldo, “La realizzazione delle
opere di urbanizzazione a scomputo nel nuovo Codice”, in Urbanistica e Appalti, n. 7, 2016, p. 749.
5
Cfr. A.Botto “Manuale dei Contratti Pubblici (in corso di pubblicazione)”, Cap. III, p. 14.
6
La disciplina del territorio tra urbanistica consensuale e programmazione negoziata rappresenta una vicenda emblematica
della tendenza dell’ordinamento positivo verso la formazione di un diritto c.d. “meticcio”, in cui il diritto amministrativo
recepisce principi ed istituti propri di altre branche giuridiche. L’innovativa centralità dell’integrazione pubblico-privato
nell’uso del territorio, crea tuttavia alcune frizioni con la disciplina comunitaria degli appalti pubblici, delle quali si darà
ampiamente atto nel presente contributo. Sui rapporti fra disciplina urbanistica consensuale e principi comunitari cfr.
A.Barone “Urbanistica consensuale, programmazione negoziata e integrazione comunitaria” in Rivista italiana di diritto
pubblico comunitario, 2001, Giuffrè, p. 262.
7
Le tecniche di pianificazione perequative nascono dall’esigenza di superare quell’intrinseca diseguaglianza propria della
tecnica tradizionale di pianificazione dello zooning, la quale ingenerava discriminatori incrementi o decrementi delle rendite
fondiare dei suoli regolati come conseguenza delle scelte urbanistiche, ampiamente discrezionali, adottate dalle competenti
autorità. Tale ambizioso obiettivo è perseguito, come anticipato, per mezzo di un’equa distribuzione degli oneri e vantaggi
derivanti dalla trasformazione del suolo tesa a quindi sterilizzare il plus-valore ovvero il detrimento del valore della proprietà
2
La nuova disposizione sembrerebbe quindi offrire una solida e sicura copertura positiva ad
una prassi amministrativa già in atto, arricchendo ulteriormente il paniere di strumenti di cui
le amministrazioni sono munite nel perseguimento dell’interesse pubblico. Amministrazioni
che, facendo oculatamente leva sul nuovo art. 20, con soluzioni alternative alle a volte
defatiganti procedure ad evidenza pubblica, potrebbero quindi colmare quel deficit talvolta
patologico infrastrutturale di cui sono molto spesso affette le realtà urbane.
Una più attenta analisi della disposizione, alla luce dei consolidati principi di derivazione
europea in materia di public procurement, non può che tuttavia limitarne drasticamente
l’auspicabile perimento applicativo, temperando, conseguentemente, la deroga, dalla stessa
introdotta, alle norme dell’evidenza pubblica.
A tal fine, risulterà utile una concisa ricostruzione dei principali arresti giurisprudenziali
sovranazionali concernenti la realizzazione delle opere di urbanizzazione a scomputo avente a
lungo costituito motivo di crocevia e frizione fra la disciplina nazionale urbanistica e quella
europea del public procurement.
2.1. La realizzazione delle opere di urbanizzazione a scomputo: il caso Bicocca.
L’ordinamento giuridico è privo di una nozione generale delle opere di urbanizzazione. L’art.
16 del T.U. 380/2001, si limita, infatti, esclusivamente a distinguere fra le opere di
urbanizzazione primaria e le opere di urbanizzazione secondaria.
Le prime sono individuate nelle strade residenziali, spazi di sosta o di parcheggio, fognature,
rete idrica, rete di distribuzione dell'energia elettrica e del gas, pubblica illuminazione nonché
negli spazi di verde attrezzato. Le secondo, invece, sono individuate negli asili nido, scuole
materne, scuole dell’obbligo, strutture e complessi per l’istruzione superiore all’obbligo,
mercati di quartiere, delegazioni comunali, chiese e altri edifici religiosi, impianti sportivi di
quartiere, aree verdi di quartiere, centri sociali e attrezzature culturali e sanitarie.
Dalla mera riproduzione del dato positivo è agevole individuare nelle opere di urbanizzazione
un insieme eterogeneo di dotazioni infrastrutturali delle quali il territorio urbano deve essere
munito perché possa adeguatamente essere fruito dalla collettività.
L’essenzialità delle opere di urbanizzazione è peraltro circoscritta alle sole opere di
urbanizzazione primaria la cui sussistenza (o in alternativa l’impegno alla relativa
realizzazione), funge, a norma dell’art. 12 del T.U. 380/2001, da presupposto indefettibile per
il rilascio del permesso di costruire.
Il nesso intercorrente fra la realizzazione delle opere di urbanizzazione con il rilascio del
permesso di costruire risulta inoltre evidente a norma dell’art. 16 del T.U. 380/2001, nella
parte in cui, il rilascio del permesso è subordinato alla corresponsione, da parte del soggetto
dei suoli, ingenerati dagli strumenti urbanistici. In altri termini, volendo ricorrere ad un’immagine rappresentativa del
fenomeno “dalle camere stagne della zoonizzazione di passa a un sistema di vasi comunicanti che permette oltre al
riconoscimento dell’edificabilità virtuale anche la circolazione di tale edificabilità su tutto il territorio trasformabile”.
Se uno fra i principali obiettivi delle tecniche perequative risulta quello di rendere i proprietari indifferenti alle scelte di
pianificazione dell’amministrazione, appare comunque opportuno ricordare come tale sistema di pianificazione consenta solo
di lenire le differenze ma non di escluderle del tutto. Il sistema di pianificazione urbanistica si caratterizza infatti per
un’intrinseca “dose di diseguaglianza” espressione di un potere discrezionale che, necessariamente, nel suo dispiegamento,
comporta una differenziazione degli interessi in campo. P.Urbani, “Urbanistica solidale”, Bollati Boringhieri, Torino, 2012,
p. 142.
3
richiedente, di un costo commisurato, in parte, al costo dell’intervento che si intende
realizzare ed, in parte, al costo delle opere di urbanizzazione connesse all’intervento assentito.
L’art. 16 in esame prevede peraltro, in alternativa alla corresponsione del presente contributo
la facoltà del privato di realizzare direttamente le opere di urbanizzazione necessarie “a
scomputo” del relativo costo. La realizzazione, a scomputo, delle opere di urbanizzazione, già
invero prevista dall’art. 11 della L. 10/1977, è altresì applicabile nelle ipotesi in cui il privato
stipuli con l’amministrazione comunale una convenzione di lottizzazione, ovvero una
convenzione attuativa delle disposizioni generali del piano regolatore, diretta a realizzare
l’urbanizzazione di nuove aree ovvero completare quella di zone di espansione 8. Anche in tal
caso, infatti, il privato lottizzante ha modo di assumere la diretta realizzazione delle opere di
urbanizzazione previste nel contesto della lottizzazione, in alternativa alla corresponsione del
relativo costo.
Proprio l’iter procedurale concisamente descritto, nella parte in cui consentiva l’affidamento
diretto della realizzazione delle opere di urbanizzazione in favore del titolare del permesso di
costruire, è stato ritenuto dalla Corte di Giustizia europea, con sentenza C-399/98 del 12
luglio 2000, chiaramente elusivo dei principi generali di derivazione europea, in tema di
affidamento contratti pubblici, al tempo formulati dalla direttiva 93/37CE9.
La soluzione del giudice europeo è stata ricavata ad esito di una lettura sostanzialistica della
disciplina nazionale urbanistica, diretta ad assicurare il c.d. “effetto utile” della direttiva
europea, ovvero la più ampia applicazione della direttiva medesima.
La chiave di volta del ragionamento della Corte di Giustizia è stata nella qualifica del
rapporto intercorrente fra l’amministrazione comunale ed i soggetti deputati alla realizzazione
delle opere di urbanizzazione, alla stregua di contratto di appalto pubblico di lavori, ovvero di
un contratto a titolo oneroso, intercorrente fra l’amministrazione aggiudicatrice e un
imprenditore commerciale, avente ad oggetto l’esecuzione e/o la progettazione di opere o
lavori pubblici, così come definiti all’art. 1, co. 1, lett. a) della Direttiva 93/37CE10. Contratto
che, in quanto ricadente nell’ambito applicativo della direttiva, non poteva che dunque essere
8
Il piano di lottizzazione, regolato all’art. 28 della L. 1150/1942, rappresenta uno strumento urbanistico ad iniziativa privata,
attuativo del piano regolatore generale, ed alternativo al piano attuativo particolareggiato, ad iniziativa pubblica. Per mezzo
del presente piano, i privati interessati ad apportare modifiche all’assetto urbanistico del territorio comunale, possono, come
anticipato, presentare all’amministrazione competente un progetto di piano diretto a realizzare l’urbanizzazione di nuove aree
ovvero completare quella di zone di espansione.
Laddove il piano presentato risulti conforme alle prescrizioni urbanistiche, il Comune procederà alla stipula con il privato di
una convenzione con la quale quest’ultimo si impegnerà, fra i diversi obblighi, a cedere gratuitamente le aree necessarie alla
realizzazione delle opere di urbanizzazione nonché a corrispondere gli oneri dovuti per la relativa esecuzione.
9
L’intervento del giudice europeo era stato occasionato da un ricorso proposto dall’Ordine degli architetti, al competente Tar
Lombardia, contro il Comune di Milano. Il consiglio comunale aveva approvato un progetto denominato Scala 2001 che
contemplava, fra i diversi interventi, la realizzazione di un teatro in zona Bicocca, area urbana allora oggetto di convenzione
di lottizzazione. Al fine di assicurare la realizzazione del teatro, il Comune aveva quindi stipulato una convenzione con i
privati lottizzanti i quali si sarebbero obbligati, a scomputo degli oneri ancora dovuti, a realizzare la progettazione e
costruzione del Teatro medesimo. Il Tar Lombardia adito, dubitando quindi della compatibilità della disciplina nazionale con
quella europea, in materia di contratti pubblici, rimise dunque la questione all’esame della Corte di Giustizia affinché
dirimesse, conclusivamente, il quesito.
10
Per quanto qui interessa, l’art. 1 della dir. 93/37/CE recitava: “Ai fini della presente direttiva:
a) gli appalti pubblici di lavori sono contratti a titolo oneroso, conclusi in forma scritta tra un imprenditore e
un’amministrazione aggiudicatrice di cui alla lettera b), aventi per oggetto l’esecuzione o, congiuntamente, l’esecuzione e la
progettazione di lavori relativi ad una delle attività di cui all’allegato II o di un’opera di cui alla lettera c) oppure
l’esecuzione, con qualsiasi mezzo, di un’opera rispondente alle esigenze specificate dall’amministrazione aggiudicatrice;
b) si considerano amministrazioni aggiudicatici lo Stato, gli enti pubblici territoriali, gli organismi di diritto pubblico e le
associazioni costituite da uno o più di tali enti pubblici territoriali o di tali organismi di diritto pubblico; (…)
c) s’intende per opera il risultato di un insieme di lavori edilizi o di genio civile che di per sé esplichi una funzione
economica o tecnica”.
4
stipulato ad esito di una procedura ad evidenza pubblica idonea a stimolare un confronto
competitivo fra i diversi operatori economici interessati all’esecuzione del contratto stesso.
A tale soluzione deponeva, in primo luogo, l’evidente assimilazione delle opere di
urbanizzazione, primaria e secondaria, alle opere pubbliche o lavori pubblici, essendo infatti
tali opere ricomprese nel novero dei lavori edilizi o di genio civile, di cui all’allegato II, della
Direttiva e costituenti, a norma dell’art. 1 indicato, uno dei possibili contenuti del contratto di
appalto pubblico di lavori11.
In secondo luogo, corroborava ulteriormente la tesi perorata dal giudice europeo, la natura
squisitamente onerosa e non gratuita della complessa vicenda della realizzazione delle opere
di urbanizzazione a scomputo, agevolmente riscontrabile nella peculiare finalità
dell’obbligazione assunta dal privato, diretta ad estinguere un debito pecuniario di pari valore,
dato dal contributo necessario alla realizzazione dell’opera di urbanizzazione stessa.
Il concorso dei presenti elementi, coniugati alla specifica qualifica soggettiva delle parti
coinvolte nella realizzazione delle opere, ovvero l’amministrazione comunale, da un lato, e
l’imprenditore esecutore, dall’altro, spinse dunque il giudice europeo a ritenere la fattispecie
esaminata attratta nella disciplina della direttiva europea e, conseguentemente, oggetto dei
principi generali di derivazione europea in materia di contratti pubblici12. Principi che non
potevano dunque imporre la selezione del soggetto deputato alla realizzazione delle opere di
urbanizzazione, esclusivamente per mezzo di una procedura di gara, indetta, alternativamente,
o dall’amministrazione comunale competente, ovvero, secondo una lettura ritenuta
compatibile dal giudice europeo con la Direttiva 93/37CE, dallo stesso privato titolare del
permesso di costruire, in qualità di mandatario dell’amministrazione13.
L’evidente distonia fra la soluzione proposta dalla Corte di Giustizia, con la disciplina
urbanistica rappresentata, spinse quindi il Legislatore ad un’organica rivisitazione della
11
La tesi dell’onerosità formulata dal giudice europeo non trovò un immediato e positivo riscontro nella dottrina. Secondo
infatti Marchegiani il preteso corrispettivo individuato dalla Corte europea nell’onere di urbanizzazione estinto mediante
l’obbligazione del privato difetterebbe di un sicuro carattere consensuale. Gli oneri di urbanizzazione sono, infatti, fissati
direttamente dalla legge sulla base di precisi parametri di calcolo, con la conseguenza che il lottizzante può accettarli o
rifiutarli, senza poter incidere in alcun modo sulla relativa determinazione. Al contrario, nel contratto di appalto l’offerente
gioca un ruolo attivo nella proposizione del corrispettivo, che, unitamente agli ulteriori elementi dell’offerta, sarà
successivamente valutato liberamente dall’amministrazione aggiudicatrice. In altri termini, richiamando le parole
dell’Autore, “nella fattispecie in esame l’incontro delle due volontà negoziali (del Comune e del proprietario-lottizzante)
avviene, per quanto riguarda la fissazione del corrispettivo, secondo modalità che per la loro rigidità non sono tipiche del
contratto di appalto”. Cfr. G.Marchegiani “La normativa italiana in materia di urbanistica alla luce di una re- cente
sentenza del giudice comunitario” in Rivista italiana di Diritto pubblico comunitario”, Giuffrè, 2001, p. 852 e ss.
12
In questo dibattito è interessante analizzare l’opinione di Quaglia il quale, annotando la sentenza della Corte di Giustizia,
evidenzia preoccupazioni derivanti da una rilettura contrattuale dell’onere urbanizzativo inerente alla proprietà edilizia.
Ancora una volta, è l’interpretazione che la Corte offre del tema dell’onerosità a formare oggetto di critica da parte
dell’Autore. Seconda il Quaglia, infatti, l’adempimento dell’onere di urbanizzazione in capo al privato deriverebbe
direttamente dallo “status” di proprietario atteggiandosi quindi l’onere di urbanizzazione alla stregua di un’obbligazione
reale che, in quanto inerente la proprietà trasformata, non può che essere adempiuta dal relativo titolare.
La Corte, al contrario, come visto, ha fatto propria un’impostazione che vede nell’esecuzione diretta dell’onere una modalità
di estinzione dell’onere medesimo, da ciò ricavando l’onerosità del rapporto. Risulterebbe, secondo l’Autore, così frainteso il
dovere del proprietario: non l’urbanizzazione dell’area in attuazione delle scelte di piano, ma un mero concorso con
l’amministrazione nella sopportazione dei costi. Cfr. M.A.Quaglia “Le opere di urbanizzazione tra convenzioni urbanistiche e procedure di evidenza pubblica (nota a Corte di giustizia delle Comunita` europee, Sezione VI; sentenza 12 luglio
2001, in causa C-399/ 98)” in “Rivista di diritto pubblico comunitario”, Giuffrè, 2001, p. 847.
13
Lo svolgimento di una procedura competitiva da parte del privato non rappresentava peraltro una novità nel quadro
normativo nazionale. Come autorevolmente sottolineato dal Bassani, tale struttura era infatti già riscontrabile nel nostro
ordinamento in ipotesi tipicamente previsti, come la realizzazione delle opere pubbliche in regime di concessione (l. 584/77)
ovvero l’affidamento di lavori per mezzo della finanza di progetto (art. 37-bis della l. 109/94). Cfr. Bassani, “Quando i
privati devono bandire gare pubbliche per l’esecuzione di opere di urbanizzazione”, in Urb. e app., 2003, pp. 5 e ss.
5
materia, mediante formule conformi all’indicazione dettata dai giudici di Lussemburgo14.
In estrema sintesi, l’adeguamento della disciplina nazionale a quella europea transitò
attraverso una progressiva modifica della Legge Merloni, L. 109/1994, prima, e del Codice
dei Contratti pubblici, d.lgs., 163/2006, dopo, che segnò l’effettiva attrazione della materia
della realizzazione delle opere di urbanizzazione a scomputo, nella disciplina dell’evidenza
pubblica.
In particolare, per quanto qui interessa, nel Codice dei Contratti pubblici, d.lgs. 163/2006,
l'esecuzione delle opere di urbanizzazione da parte di soggetti privati titolari del permesso di
costruire, da realizzare a scomputo, totale o parziale, del contributo previsto per il rilascio del
permesso medesimo, ai sensi dell'articolo 16, co. 2, del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, nonché
dell'articolo 28, co. 5 della legge 17 agosto 1942, n. 1150, veniva direttamente assoggetta alla
disciplina dell’evidenza pubblica, per mezzo dell’espressa indicazione di cui all’art. 32, co. 1,
lett. g) del Codice.
Secondo l’autorevole interpretazione della norma, fornita dall’AVCP con la determinazione n.
7/2009, legittimati all’indizione della procedura diretta alla selezione dell’operatore
economico deputato alla realizzazione delle opere di urbanizzazione, risultavano,
alternativamente, tanto, il privato titolare del permesso di costruire, in qualità di mandatario
dell’amministrazione, quanto, l’amministrazione medesima, purché sulla base di un progetto
preliminare, acquisito dal privato stesso15.
In un evidente contemperamento fra la disciplina comunitaria e quella nazionale, l’obbligo di
indizione della gara era peraltro previsto per l’affidamento dei soli lavori inerenti la
realizzazione delle opere di urbanizzazione di importo superiore alla soglia comunitaria, pari,
a norma dell’art. 28 del Codice dei Contratti, a 5.225.000 euro.
Per l’affidamento dei lavori concernenti l’esecuzione di opere di valore inferiore a tale
importo, trovava invece applicazione il regime speciale, previsto all’art. 122 del Codice.
In base alla presente disposizione, laddove, infatti, le opere da affidare fossero state opere di
urbanizzazione secondaria, il privato titolare del permesso di costruire, ovvero
l’amministrazione, pur sempre sul progetto preliminare del primo, avrebbero selezionato
l’operatore economico affidatario, sulla base di una procedura negoziata, senza previa
pubblicazione di bando, di cui all’art. 57, co. 6 del Codice.
Laddove invece le opere da affidare fossero state opere di urbanizzazione primaria,
14
All’indomani della sentenza della Corte di Giustizia, il Ministero delle infrastrutture e dei Trasporti, con la circolare n.
462/01, preso atto della contrarietà delle disposizioni italiane con la direttiva 93/37/CEE, precisò che il diktat del giudice
europeo fosse applicabile esclusivamente ai lavori che, alla data del 12 luglio 2001, non fossero ancora iniziati. Sul versante
dell’ammontare del valore delle opere da affidare, la circolare sottolineò inoltre l’irrilevanza del principio di diritto formulato
per le opere i cui costi fossero risultati inferiori alla soglia comunitaria di cinque milioni di ECU.
Alla circolare ministeriale seguì dunque l’intervento di adeguamento normativo. avvenuto con L. 166/02, modificativa
dell’art. 2, co. 5 della Legge Merloni, L. 109/94. Tale disposizione precisò l’applicazione degli artt. 7 e 11 della Direttiva
93/37CE, altresì all’ipotesi di realizzazione delle opere di urbanizzazione a scomputo, primaria e secondaria, di importo
superiore alla soglia comunitaria, ammettendo, contestualmente, l’inedita possibilità del privato di svolgere funzioni di
stazione appaltante. L’intervento normativo poc’anzi illustrato costituì peraltro solo il punto di partenza di una più ampia
rivisitazione della materia improntata sull’esigenza di garantire un equo contemperamento fra i principi del diritto
sovranazionale europeo con quelli propri della disciplina urbanistica interna. Un contemperamento a volte ostico perseguito e
rimeditato dal Legislatore anche in sede di approvazione e modifiche del successivo Codice dei Contratti pubblici, d.lgs.
163/2006.
15
Nel caso in cui la gara fosse stata indetta dal privato avrebbero trovato applicazione nei relativi confronti le norme dettate
dal Codice dei Contratti. Conseguentemente, il privato in quanto "altro soggetto aggiudicatore" sarebbe stato esclusivo
responsabile dell'attività di progettazione, affidamento e di esecuzione delle opere di urbanizzazione primarie e secondarie,
ferma restando la concorrente vigilanza da parte dell'amministrazione, consistente, tra l'altro, nell'approvazione del progetto e
di eventuali varianti;
6
“funzionali” all’intervento di trasformazione edilizia assentito, il privato titolare del permesso
di costruire avrebbe potuto procedere direttamente all’esecuzione dell’opera medesima in
base a quanto previsto dall’art. 16, co. 2-bis del T.U. 380/2001.
La radicale esclusione delle norme del Codice dei Contratti, limitatamente alle opere di
urbanizzazione primaria funzionali all’intervento di trasformazione urbana, è stata introdotta
per mezzo dell’art. 45 del D.l. 201/2011 (“Decreto Salva-Italia”), successivamente convertito
in L. 214/2011. La ratio della disposizione è agevolmente ravvisabile nell’esigenza del
Legislatore di rilanciare e promuovere il settore dell’edilizia, garantendo al costruttore la
diretta esecuzione di quelle opere strettamente connesse all’intervento di trasformazione
edilizia assentito, per le quali sussiste un interesse diretto del costruttore medesimo alla pronta
esecuzione16.
Nel composito quadro normativo indicato rimanevano comunque insolute alcune questioni
interpretative. Si pensi ad esempio alla discussa possibilità del privato, titolare del permesso
di costruire, di prendere parte alla gara indetta per la realizzazione delle opere di
urbanizzazione, nonché alla questione inerente la destinazione delle eventuali somme
“risparmiate” nel corso della procedura, in quanto non impegnate nella realizzazione delle
opere medesime17.
L’addentellato normativo qui riprodotto ha poi trovato una sua fedele trasposizione altresì nel
16
Come è stato correttamente osservato, l’interesse del costruttore alla realizzazione diretta delle opere a scomputo “ha una
connotazione essenzialmente economica, che si sostanzia da un lato nel probabile risparmio sui costi, dall’altro - e soprattutto
- nella possibilità di controllare direttamente i tempi di esecuzione delle opere, in modo che al momento dell’ultimazione dei
lavori gli edifici privati siano dotati delle urbanizzazioni primarie necessarie alla loro effettiva fruibilità ed eventualmente di
quelle secondarie destinate ad accrescerne il valore di mercato. Entrambi gli obiettivi potranno essere realisticamente
raggiunti solo nel caso in cui si ammetta la possibilità per il titolare del permesso di costruire di partecipare alla gara pubblica
e questi ne risulti poi in concreto vincitore. Rispetto alla disciplina originaria..., con il correttivo 2008 diminuiscono le
probabilità di vedere avverate le due condizioni da ultimo richiamate”. Cfr. A.Mandarano, “Opere di urbanizzazione a
scomputo e principio di concorrenza”, in Urb. e app., n. 12/2008, 1367 ss.
17
Il primo quesito si poneva, in particolare, con riferimento all’ipotesi in cui il privato avesse realizzato il progetto posto a
base della gara, successivamente indetta. Nel verso della soluzione negativa, deponeva la lettera dell’art. 90, co. 8 del Codice,
la quale, escludeva espressamente la partecipazione alla gara dell’operatore economico, avente elaborato gli atti di
progettazione posti a base della gara medesima. La ratio della disposizione era agevolmente individuata nell’evidente
esigenza di garantire l’imparzialità del progettista, ovvero del soggetto deputato a svolgere una funzione di ausilio alla
stazione appaltante nella delicata verifica di conformità tra il progetto e i lavori realizzati dall’affidatario. Alla soluzione
positiva del quesito propendevano invece altri Autori che ravvisarono nella disciplina della realizzazione delle opere di
urbanizzazione a scomputo una disciplina speciale rispetto alla quale non trovata dunque applicazione l’art. 90 indicato (Cfr.
V.Gastaldo in Rivista giuridica dell’edilizia 1/2010 pag. 25 – 36). Una soluzione “compromissoria” alla questione venne poi
individuata dall’AVCP con la determinazione n 7/2009 indicata. Secondo l’Autorità, la regola sancita dall'art. 90, comma 8,
del Codice, era da considerarsi come norma di stretta interpretazione, in quanto limitativa della libertà di iniziativa dei
privati. Conseguentemente, tale divieto avrebbe dovuto considerarsi violato solo qualora la progettazione preliminare delle
opere di urbanizzazione fosse stata direttamente curata dall'impresa titolare del permesso di costruire (o del piano urbanistico
attuativo'), e non anche qualora quest'ultima avesse semplicemente svolto il ruolo di committente di tale progettazione
preliminare.
Anche in ordine al secondo quesito, utile e dirimente risulta il rinvio alla determinazione n. 7/2009 dell’AVCP. Secondo
l’Autorità, gli eventuali ribassi d’asta conseguiti nel corso della procedura, analogamente ad ipotetici costi aggiuntivi
sopravvenuti, inerendo il cd. “rischio imprenditoriale”, non potevano che rimanere nella disponibilità del privato stazione
appaltante. In altri termini, fatte salve pattuizioni diverse in sede di convenzione urbanistica, il costruttore adempie
compiutamente il proprio obbligo con la realizzazione e trasferimento dell'opera al Comune, con la conseguenza che
l'eventuale risparmio sui costi dell'esecuzione dell'opera, nonché ulteriori costi aggiuntivi sopravvenuti, risultano irrilevanti
per l' amministrazione. In senso contrario alla soluzione dell’Autorità si pose, invece, la sezione locale Veneto della Corte dei
Conti, con la delibera n. 148/2009. In tale occasione, infatti, il giudice contabile precisò che gli eventuali ribassi d'asta
devono in ogni caso competere all'Amministrazione Comunale. Ciò in quanto, il contributo per il permesso di costruire
costituisce, infatti, un'entrata non disponibile da parte dell'ente locale, i cui criteri di determinazione, nonché di riduzione e di
esonero, sono direttamente determinati dal Legislatore. Al di fuori di tali casi tipicamente indicati, il contributo è quindi
sempre dovuto non essendo lo stesso suscettibile di rinuncia da parte dell'amministrazione, neppure in sede
convenzionale. Secondo la Corte, conseguentemente, l'attribuzione al privato lottizzante di un eventuale risparmio si
tradurrebbe in uno scomputo superiore rispetto ai costi effettivamente sostenuti dal costruttore, determinandosi, così,
un'ingiustificata decurtazione delle spettanze erariali.
7
nuovo Codice degli Appalti e dei Contratti di Concessione, d.lgs. 50/2016.
In particolare, il contenuto rappresentato del vecchio art. 32, co. 1 lett. g) è oggi trasfuso
nell’art. 1, co. 2, lett. e) del nuovo Codice. Nel silenzio normativo, permangono peraltro
incertezze in merito all’obbligo del privato, che operi in qualità di stazione appaltante, di
acquisire o meno la speciale qualificazione prescritta a norma dell’art. 38 del Codice per le
stazioni appaltanti per lo svolgimento delle gare pubbliche18.
Quanto invece in precedenza previsto dall’art. 122, trova ad oggi parziale conferma nell’art.
36 del Codice, rubricato “Contratti sotto soglia”. Se da un lato, la nuova disposizione
mantiene immutata la possibilità del privato di realizzare direttamente opere di
urbanizzazione primaria di importo inferiore alla soglia comunitaria, purché funzionali
all’intervento di trasformazione edilizia assentito, dall’altro, con soluzione inversa rispetto al
passato, si assiste ad un potenziamento dei principi dell’evidenza pubblica con riferimento
all’affidamento dei lavori concernenti l’esecuzione di opere di urbanizzazione, diverse da
quelle prima indicate, ma comunque di importo inferiore alla soglia comunitaria.
In tal caso, infatti, tali lavori non saranno più affidati con procedura semplificata negoziata,
senza previa pubblicazione del bando, bensì, per espressa indicazione normativa, per mezzo
delle consuete procedure ordinarie di gara.
Tale quadro positivo, per quanto complesso ed articolato, risulta comunque un’adeguata
trasposizione delle direttive interpretative dettate dal giudice europeo nel caso “Bicocca”.
2.2. Il consolidamento dei principi del caso Bicocca: la Determinazione dell’AVCP n.
4/2008.
Il principio di diritto formulato dalla Corte di Giustizia europea, con la sentenza del 12 luglio
2000, anziché rimanere circoscritto alla fattispecie esaminata trovò sue successive ed ulteriori
applicazioni per mezzo dell’interpretazione dello stesso fornita, tanto dalla giurisprudenza,
quanto dall’Autorità di vigilanza dei contratti pubblici19.
18
Nel nuovo Codice dei Contratti, con soluzione invero inedita rispetto al passato, il Legislatore ha introdotto un innovativo
sistema di qualificazione per le stazioni appaltanti, il cui possesso funge da presupposto necessario ai fini dell’indizione e
svolgimento della gara. Al tradizionale sistema di qualificazione degli operatori economici, si associa quindi il nuovo sistema
di qualificazione delle stazioni appaltanti, conseguito sulla base di una complessiva valutazione della capacità di gestione, da
parte dell’amministrazione della gara pubblica. Una qualificazione conferita in base a requisiti che tengono
complessivamente conto della “performance” contrattuale dell’amministrazione e della capacità della stessa di sfruttare al
meglio i nuovi strumenti del Codice. Fermo restando quanto detto, si pone quindi ragionevolmente il quesito se, nel caso di
procedura indetta dal privato, per la realizzazione di opere di urbanizzazione a scomputo, debba o meno dallo stesso essere
conseguita la qualificazione ex art. 38.
Laddove, la risposta al quesito dovesse essere positiva non possono che emergere perplessità in merito al conseguimento da
parte del privato di una qualificazione invece pensata per amministrazioni, che professionalmente, e non occasionalmente,
svolgono l’attività di stazione appaltante. Nel caso in cui, invece, si dovesse propendere per la risposta negativa, allora
verrebbe di fatto contratta la possibilità del privato di agire in qualità stazione appaltante, per la realizzazione delle opere di
urbanizzazione, atteso che osterebbe allo svolgimento della gare, l’assenza dell’opportuna qualificazione in capo allo stesso.
19
Come anticipato la soluzione offerta dalla Corte di Giustizia ha altresì trovato conforto giurisprudenza anche della Corte
Costituzionale la quale, facendo leva sul concetto di onerosità elaborato in sede europeo, lo ha riferito anche a fattispecie
convenzionali aventi ad oggetto la realizzazione di opere diverse da quelle di urbanizzazione, e sottratte al rispetto di
procedure di evidenza pubblica. Si pensi, in particolare, alla sentenza n. 129/2006, con la quale la Corte ha dichiarato
l’illegittimità costituzionale di alcune disposizioni della l. n. 12 del 2005 della Regione Lombardia, nella parte in cui non
prevedeva l’obbligo di esperire procedure di evidenza pubblica per la realizzazione di attrezzature e servizi pubblici da parte
di privati proprietari di aree destinate ad essere espropriate che avessero stipulato un’apposita convenzione col Comune
competente. In particolare, detti accordi – in virtù dei quali il proprietario poteva realizzare direttamente gli interventi di
interesse pubblico o generale – non potevano che essere qualificati come accordi a titolo oneroso, che “consentono al
proprietario espropriando, in particolare, di mantenere la proprietà dell’area e di ottenere la gestione del servizio previsto in
cambio della realizzazione diretta degli interventi necessari”. Analoghe conclusioni sono state sostenute dal giudice delle
leggi, con sentenza n. 269/2007, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di una norma della l. prov. Trento n. 22 del 1991,
8
Espressione del predetto approccio esegetico risulta la nota determinazione n. 4/2008
dell’AVCP, con la quale l’Autorità è stata chiamata a dirimere il quesito interpretativo,
concernente l’applicazione dei principi dell’evidenza pubblica altresì ai cd. “programmi
urbanistici complessi”.
Tali programmi, emersi a partire dai primi anni 90’, rappresentano accordi convenzionali,
intercorrenti fra il soggetto pubblico e privato, aventi ad oggetto la realizzazione di un
complesso sistematico di interventi di urbanizzazione del territorio, finalizzati a valorizzare
qualitativamente l’ambito territoriale oggetto di trasformazione. Accordi che, coinvolgendo il
privato nell’attività di urbanizzazione e riqualificazione del tessuto urbano, conferiscono allo
stesso un ruolo attivo nella politica di trasformazione del territorio.
L’accordo sulla base del quale si dà attuazione ai presenti programmi fa sostanzialmente
perno, su uno “scambio di prestazioni” fra le parti contraenti. A fronte, infatti, del
riconoscimento al privato di diritti edificatori, vengono dallo stesso cedute aree ovvero
realizzate opere di adeguamento infrastrutturale del territorio. Si tratta, quindi, di ipotesi in
cui, in risposta ai benefici conseguiti dai privati (derivanti, ad esempio, dalle modificazioni di
destinazione urbanistica di aree), segue il conseguente e sinallagmatico impegno del privato
stesso a realizzare, quale controprestazione in favore dell’amministrazione, opere di pubblico
interesse. In altri termini, nel caso dei programmi complessi, contrariamente alla vicenda della
realizzazione delle opere di urbanizzazione a scomputo, il privato non esegue la prestazione al
fine di estinguere un debito pecuniario (di valore pari al costo dell’onere di urbanizzazione),
quanto invece, assume un obbligo che funge da controprestazione di un “vantaggio”,
comunque suscettibile di valutazione economica.
Concisamente ricostruita nei termini indicati la disciplina dei cd. “programmi complessi”,
l’Autorità di vigilanza è quindi passata alla soluzione del quesito posto ripercorrendo
concisamente i principali passi del ragionamento svolto dalla Corte di Giustizia europea con
la sentenza del 12 luglio 2000.
In particolare, fra i diversi elementi riscontrati dal giudice europeo e necessari ai fini della
qualifica del rapporto alla stregua di contratto di appalto pubblico di lavori, l’Autorità si è
concisamente soffermata su quello della necessaria onerosità della prestazione, dedotta nel
rapporto. Onerosità del rapporto ravvisabile, secondo la corretta lettura dell’AVCP, non solo
nel caso in cui il corrispettivo del privato sia una somma in danaro, quanto anche, in
qualsivoglia “caso in cui, a fronte di una prestazione, vi sia il riconoscimento …… del diritto
di sfruttamento dell’opera (concessione) o ancora mediante la cessione in proprietà o in
godimento di beni”.
In altri termini, l’onerosità del rapporto si concreta nello scambio sinallagmatico di
prestazioni che, ancorché non aventi ad oggetto la dazione di somme di danaro, siano
comunque suscettibili di valutazione economica. Scambio sinallagmatico nel quale al
“sacrificio” derivante dall’esecuzione di un’obbligazione segue il “vantaggio” acquisito dal
nella parte in cui prevedeva che le attrezzature e i servizi pubblici previsti dal piano regolatore generale potessero essere
“realizzati direttamente dai proprietari delle aree gravate da vincolo preordinato all’espropriazione, previa convenzione con
il comune volta ad assicurare l’effettiva realizzazione e destina- zione pubblica delle attrezzature e dei servizi, nonché le loro
modalità di realizzazione e gestione”. Su una più ampia analisi dei rapporti fra pianificazione urbanistica e meccanismi
competitivi cfr. A.Maltoni e S.DiLena “Pianificazione urbanistica e meccanismi competitivi” trasposizione della relazione
sviluppata nell’ambito del convegno “Politiche urbanistiche e gestione del territorio tra esigenze del mercato e coesione
sociale” tenuto a Pescara, il 18 e 19 giugno 2014.
9
recepimento dell’altrui controprestazione.
Dall’accezione data del requisito dell’onerosità del rapporto, non poteva che, quindi,
discendere l’attrazione nella nozione del contratto pubblico di appalto di lavori, altresì dei cd.
“programmi complessi” implicando infatti gli stessi, come anticipato, la conclusione di
convenzioni, intercorrenti fra un’amministrazione ed un operatore economico, aventi ad
oggetto l’acquisto a titolo oneroso, di dotazioni urbane infrastrutturali, ovvero di opere e
lavori pubblici. Opere e lavori pubblici eseguiti da parte dell’operatore economico quali
controprestazione di un vantaggio economicamente rilevante attribuito dall’amministrazione
in virtù della convenzione.
Risolto positivamente il quesito posto, l’Autorità di vigilanza ha poi provveduto ad
individuare le procedure ad evidenza pubblica applicabili alla fattispecie esaminata.
In particolare, secondo l’AVCP, l’affidamento dell’esecuzione delle opere dedotte in
convenzione non poteva che essere attratta alla disciplina contenuta negli artt., prima
illustrati, 32, co. 1, lett. g), 121, co. 1, e 122, co. 8, del d.lgs. n. 163/2006, salvo il caso in cui
le amministrazioni procedenti avessero esperito preventivamente una procedura ad evidenza
pubblica per la scelta del privato sottoscrittore della convenzione medesima.
In tale ultimo caso, le procedure ad evidenza pubblica ritenute più consone al tipo di
affidamento esaminato sono stata individuate nella finanza di progetto, di cui agli artt. 153 e
seguenti nonché nel dialogo competitivo, di cui all’art. 58 del Codice, a seconda che
l’amministrazione avesse inteso addivenire ad un affidamento concessorio, ovvero ad un
mero appalto per l’esecuzione delle opere.
Così ricostruito il quadro interpretativo, l’Autorità ha potuto quindi segnare un ulteriore passo
verso la più ampia applicazione dei principi di derivazione europea, in materia di contratti
pubblici.
3. Conclusioni.
La mera esposizione dei principi di diritto prima esposti, ormai recepiti dalla prevalente
riflessione giurisprudenziale, rende evidenti le perplessità evidenziate in premessa, in ordine
alla reale portata applicativa dell’art. 20 del nuovo Codice dei Contratti.
Come visto, tale disposizione sembrerebbe escludere l’applicazione delle norme del Codice,
con riferimento alle convenzioni con le quali, il privato o un soggetto pubblico, si impegni
alla realizzazione, a sua totale cura e spesa, di un’opera pubblica, di un suo lotto funzionale
ovvero di parte dell’opera prevista nell’ambito di strumenti urbanistici.
Tuttavia, è agevole evidenziare, come tale deroga non possa aver luogo ogni qual volta il
privato, per mezzo della convenzione, assuma l’obbligo di realizzazione dell’opera o del
lavoro pubblico in cambio di un vantaggio, suscettibile di valutazione economica, derivante
dalla convenzione medesima.
In tale caso, infatti, ravvisandosi nei termini su descritti, l’onerosità del rapporto intercorrente
fra il soggetto pubblico e l’operatore economico, non potrà che correttamente tendersi per la
disapplicazione della norma e per la conseguente applicazione dei principi dell’evidenza
pubblica. Principi che non potranno dunque che indurre l’amministrazione a selezionare la
relativa parte contraente solo ad esito di un confronto competitivo.
Conseguentemente, se si volesse individuare il corretto perimetro applicativo della fattispecie
esaminata, non si potrebbe che circoscriverlo esclusivamente nei casi in cui il privato assuma
10
l’obbligo di realizzazione delle opere o lavori pubblici come atto di liberalità e gratuità senza
quindi che ci sia la sinallagmatica risposta negoziale dell’amministrazione, parte contraente,
alla prestazione assunta dal privato.
Le perplessità poc’anzi illustrate sono state altresì fatte proprie dallo stesso Consiglio di Stato
che, con il parere n. 855/2016, adottato sullo schema del nuovo Codice dei Contratti, ha
evidenziato l’eccessiva genericità della norma, priva del necessario riferimento al requisito
della gratuità dell’operazione, invero costituente requisito necessario ai fini dell’esclusione
delle norme del Codice. Riferimento che sarebbe risultato più che opportuno, posto che, come
evidenziato dal Consiglio di Stato, “fattispecie di tal fatta (assunzione di opere pubbliche a
cura e spese dei privati), non necessariamente sono connotate da liberalità o gratuità,
essendovi ipotesi in cui l’accollo dell’opera pubblica costituisce la controprestazione del
privato a fronte dello scomputo di oneri economici di urbanizzazione e costruzione di opere
private. La norma, in ogni caso, si appalesa eccessivamente generica e non chiarisce la
finalità e le modalità attuative della stessa”.
Più puntuali valutazioni critiche sono state da ultimo formulate dall’ANAC con la delibera n.
736/2016. La fattispecie concreta oggetto di esame dell’Autorità verteva sulla realizzazione
di un tratto di viabilità speciale ricompreso nell’Accordo di programma, approvato con
Decreto del Presidente della Regione Lombardia del 22 maggio 2009 n. 5095, e concluso
dalla Regione Lombardia, Provincia di Milano e Comune di Segrate con una società privata.
In particolare, all’indomani dell’entrata in vigore del nuovo Codice dei Contratti, la società
privata inoltrava all’Amministrazione competente istanza in ordine alla possibilità di
assumere direttamene l’esecuzione dell’opera ricorrendo all’art. 20 in esame. Istanza, come
visto, successivamente, posta all’attenzione dell’ANAC.
Ripercorrendo quindi il percorso argomentativo svolto con la determinazione n. 4/2008
l’Autorità ha chiarito come, pur nel silenzio della norma, l’amministrazione che intenda
applicare la disposizione di cui all’art. 20, deve verificare preventivamente il carattere gratuito
o oneroso della convenzione conclusa con il privato. Solo, infatti, nel primo caso, nel rispetto
dei principi di derivazione comunitaria in materia di public procurement, l’affidamento
dell’esecuzione dei lavori potrà avvenire senza previa indizione di una procedura competitiva.
Nel secondo caso, invece, proprio il carattere oneroso della convenzione, dato dallo scambio
sinallagmatico di utilità fra le parti contraenti, non può che ricondurre la fattispecie nella
categoria dell’appalto pubblico di lavori, da ciò seguendo, come logico corollario, il rispetto
delle procedure ad evidenza pubblica prescritte nel Codice.
Il pregio della determinazione in esame è dunque, unitamente al parere indicato del Consiglio
di Stato, di aver reso palese un presupposto implicito della norma ma comunque essenziale ai
fini della relativa e corretta applicazione, ovvero il carattere non oneroso della convenzione
stipulata.
Ulteriori problemi interpretativi, si pongono, da ultimo, con riferimento alla individuazione
delle corrette modalità di attuazione della norma. Sul punto, infatti, come anticipato, l’art. 20
si limita laconicamente a precisare che il progetto di fattibilità e lo schema di contratto,
predisposti dal soggetto obbligato alla realizzazione dell'opera, debbano essere rispondenti
alla realizzazione delle opere pubbliche medesime, senza tuttavia specificare quale controllo
debba svolgere l'amministrazione su tali documenti.
La disposizione, infatti, richiedendo una mera valutazione di "rispondenza", potrebbe esser
interpretata nel senso di non esigere una formale approvazione del progetto da parte
11
dell'amministrazione, il che, come correttamente evidenziato, potrebbe tuttavia risultare
quantomeno anomalo ed inopportuno, trattandosi pur sempre della realizzazione di un'opera
pubblica, per quanto sottratta alle norme del nuovo codice20.
In conclusione, quindi, alla luce delle precedenti valutazioni, è agevole ritenere come la nuova
fattispecie, pur nella sua concisione, avrà modo di dar adito ad una pluralità di problemi
interpretativi concernenti la sua reale e corretta attuazione.
20
Sul punto cfr. E.Robaldo, op. cit.
12