Il Mezzogiorno: tendenze e politica economica

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Il Mezzogiorno: tendenze e politica economica
MINISTERO DEL TESORO, DEL BILANCIO
E DELLA PROGRAMMAZIONE ECONOMICA
Dipartimento Politiche di Sviluppo e Coesione
Il Mezzogiorno:
tendenze
e politica economica
Un contributo al disegno programmatico
È possibile richiedere copia della presente
IL MEZZOGIORNO: TENDENZE E POLITICA ECONOMICA
telefonando a: (06) 47614606 - (06) 47614605 - (06) 4881613
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Stampa a cura dell’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato - S.
RAPPORTO N. 3 - 1999
MINISTERO DEL TESORO, DEL BILANCIO E DELLA PROGRAMMAZIONE ECONOMICA
Dipartimento Politiche di Sviluppo e Coesione
Il Mezzogiorno:
tendenze e politica economica
Un contributo al disegno programmatico
IL MEZZOGIORNO: TENDENZE E POLITICA ECONOMICA
INDICE
1.
MEZZOGIORNO: LA BIFORCAZIONE
5
2.
OCCUPAZIONE, PRODUTTIVITÀ E MERCATO DEL LAVORO
7
3.
TRASFERIMENTI, CRESCITA E INVESTIMENTI
10
4.
IL MEZZOGIORNO ESPORTATORE
13
5.
LE IMPRESE: NATALITÀ E MORTALITÀ, PRIVATIZZAZIONI
E INVESTIMENTI DIRETTI
16
6.
I SERVIZI: SEGNALI DI NOVITÀ
17
7.
LE CRESCENTI DIFFERENZIAZIONI INTERNE
18
8.
ASSETTI SOCIOPOLITICI
19
9.
VERSO UNA NUOVA POLITICA GENERALE PER IL MEZZOGIORNO
22
9.1
Politiche per il miglioramento del contesto economico-sociale
24
9.2
Politiche per la promozione dello sviluppo locale
28
9.3
Le politiche per il mercato del lavoro
29
10.
CONCLUSIONI
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3
IL MEZZOGIORNO: TENDENZE E POLITICA ECONOMICA
IL MEZZOGIORNO: TENDENZE E POLITICA ECONOMICA
Un contributo al disegno programmatico
1. MEZZOGIORNO: LA BIFORCAZIONE
All’indomani della nascita dell’Unione Economica e Monetaria i dati sulla convergenza regionale in Europa mostrano un quadro differenziato. Alcune regioni arretrate dell’Europa hanno compiuto nell’ultimo ventennio progressi anche molto
ampi, sviluppando reddito e occupazione per i propri cittadini e accrescendo la
competitività dei propri territori. Altre regioni arretrate hanno compiuto progressi assai limitati.
In base ai risultati ottenuti negli anni ottanta e novanta, il Mezzogiorno va incluso in questa seconda categoria: la sua performance economica non è stata positiva; il tasso di crescita dell’economia è stato contenuto; la dipendenza del reddito
dell’area dai trasferimenti esterni è rimasta alta; la disoccupazione è fortemente cresciuta ed è assai elevata, pure in presenza di modesti tassi di partecipazione al lavoro.
A partire dal 1992-93, tuttavia, sono mutati alcuni tratti fondamentali del quadro economico e politico-economico del Mezzogiorno.
Nell’immediato ciò ha provocato effetti contrastanti. Il reddito dell’area ha ristagnato; l’occupazione, prima si è fortemente ridotta, poi ha avuto un andamento
altalenante; alcuni indicatori economici aggregati sono peggiorati. Ma altri indicatori – di natalità imprenditoriale, di esportazione, di turismo, di contrasto della
criminalità – hanno mostrato segnali di miglioramento, anche sorprendenti.
Alla fine degli anni novanta, la situazione sociale ed economica del Mezzogiorno
conserva, dunque, aspetti di forte debolezza; ma appare in movimento, in trasformazione, come mai lo è stata negli ultimi trenta anni. Tuttavia, le tendenze spontanee della società e dell’economia non sembrano in grado, da sole, di portare con
certezza a compimento questa trasformazione; anzi, la trasformazione potrebbe arrestarsi o addirittura invertirsi.
Il Mezzogiorno si trova, insomma, di fronte a una biforcazione: da una parte l’opportunità di un balzo decisivo nello sviluppo, con una forte accelerazione della crescita; dall’altra il rischio dell’impoverimento.
Al fine di imboccare l’una anziché l’altra strada è allora decisiva la politica economica.
Si legge nel Rapporto sul Mezzogiorno richiesto dalla Commissione Bilancio della Camera dei Deputati* al fine di istruire l’azione programmatica del Parlamento:
“…. Il Mezzogiorno è oggi il punto più critico della politica economica nazionale
nella complessa fase di avvio dell’Euro, e allo stesso tempo la più ampia riserva di
potenzialità di sviluppo per l’intero Paese. In questi termini la questione meridionale si ripropone come uno degli assi unificanti della nuova politica generale secondo il metodo che nel nostro paese si è rivelato il solo capace, tra quelli fin qui
sperimentati, di concentrare la forza della politica su obiettivi così vasti” (p. VIII,
corsivo nostro).
(*) Cfr. Servizio Studi, Osservatorio sulla legislazione - n. 16, feb. 1999.
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Viene così ripreso il confronto programmatico che, dopo le anticipazioni presenti nel Documento di programmazione economico-finanziaria del maggio 1998 e le
sollecitazioni di merito e di metodo delle relative risoluzioni parlamentari di approvazione, era stato caratterizzato dalle indicazioni strategiche contenute nel capitolo “Mezzogiorno” della Relazione previsionale e programmatica del settembre
1998 e dalla proposta di una “nuova programmazione” avanzata nella Esposizione
economico-finanziaria del Ministro del Tesoro alla Camera dei Deputati del 1° ottobre 1998.
Due appaiono i motivi conduttori di una nuova politica economica nazionale per
il Mezzogiorno che miri a un balzo nello sviluppo: accrescere la concorrenza in tutti i mercati; innalzare in modo permanente la qualità del contesto economico e sociale dell’area.
Nell’Unione Economica e Monetaria dove le risorse mobili - i risparmi, le capacità imprenditoriali, il lavoro specializzato - si muovono liberamente alla ricerca
dei rendimenti e dei redditi più elevati, il Mezzogiorno non può opporsi alla concorrenza. Deve, anzi, assecondarla affinché quelle risorse possano con facilità, senza ostacoli né rischi, affluire nell’area (o non allontanarsene) ogni volta che si profilino occasioni di buon investimento. Solo un’economia più concorrenziale potrà
permettere la riallocazione delle risorse all’interno dell’area, l’emersione delle capacità migliori, il rinnovamento generazionale, lo sviluppo di nuove imprese e degli investimenti: tutti requisiti indispensabili per un balzo poderoso della crescita.
Affinché quelle “occasioni di buon investimento” sorgano e si moltiplichino
è altresì necessario (questo è il secondo motivo conduttore) che le risorse
immobili del Mezzogiorno - naturali, culturali e umane (quelle fortemente “localizzate”, come è il caso di gran parte del lavoro sommerso, potenzialmente più
produttivo nel contesto locale di quanto sarebbe se disperso e “delocalizzato”) siano percepite come la fonte primaria dei profitti, dei salari e dei rendimenti
che possono trascinare il balzo nello sviluppo. È, dunque, necessario che attraverso interventi di investimento pubblico nelle infrastrutture, nella sicurezza,
nei servizi dell’Amministrazione pubblica, nella tutela ambientale, disegnati
territorio per territorio, la dotazione naturale del Mezzogiorno sia valorizzata e
messa in condizione di essere utilizzata.
Si tratta di una politica di investimento pubblico di qualità, mirata all’offerta di
servizi, che ha come obiettivo quello di accelerare la precipitazione dei “punti di
rottura” della stagnazione passata - esportazioni, turismo, natalità d’impresa, emersione del sommerso, investimenti diretti e di portafoglio dall’esterno dell’area - da
cui dipende il balzo del tasso di crescita.
In entrambe le articolazioni ora richiamate - concorrenza e interventi sul contesto - la politica economica nazionale per il Mezzogiorno deve mirare ad assecondare e promuovere le migliori tendenze naturali dell’area. E per farlo deve conoscerle. Questa conoscenza è disponibile, nel dettaglio necessario per disegnare
gli interventi, solo nei singoli territori; ai cui governi, in primis, spettano le scelte di programmazione e gestione degli interventi. Ma la natura nazionale della
strategia, la necessità che gli interventi siano concentrati e dotati di adeguata massa critica, richiedono un consenso sui tratti generali delle tendenze in atto.
Questa nota, schematizzando e approfondendo ricognizioni già disponibili, mira a riassumere luci e ombre di queste tendenze e a richiamare, sempre schematicamente, i tratti principali delle politiche che le amministrazioni stanno attuando.
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Si tratta di elementi che possono arrecare un contributo al confronto programmatico in atto in preparazione del DPEF per il quadriennio 2000-2003. Il ciclo di
bilancio che si compie in Parlamento è infatti - come scrive ancora il Rapporto sul
Mezzogiorno per la Commissione Bilancio della Camera - il “luogo istituzionale”
dove le politiche pubbliche possono trovare verifica, coerenza e unificazione; dove
esse possono diventare politica-missione nazionale adeguata all’altezza dell’obiettivo.
2. OCCUPAZIONE, PRODUTTIVITÀ E MERCATO DEL LAVORO
La debolezza dell’economia meridionale e la sua grande diversità rispetto a quella delle regioni più avanzate d’Europa si possono leggere attraverso i dati sul mercato del lavoro.
Essi mostrano la contestuale presenza di tre fenomeni: basso tasso di attività; alta disoccupazione; elevata quota di economia sommersa. Si tratta di tre forme di
sotto-utilizzazione delle capacità di lavoro. Se anche il sommerso dovesse essere ancora più ampio di quanto stimato (e dunque i primi due indicatori dovessero essere meno negativi) il fallimento dell’economia meridionale non apparirebbe meno
grave.
Il tasso di attività, che misura la quota di persone in età di lavoro occupata o in
cerca di occupazione, è nelle regioni del Mezzogiorno più basso di circa 12 punti
rispetto alla media europea, e di oltre 4 rispetto alla già bassa media italiana. Lo
scarto nei tassi di attività è particolarmente forte per le donne e nelle classi di età
giovanili (nella classe d’età 25-34 anni è oltre 20 punti inferiore rispetto alla media europea).
Tassi di attività, 1997
UE15
Italia
Mezzogiorno
15 - 24
45,9
38,0
30,7
25 - 34
82,5
74,5
62,3
35 - 44
83,7
77,4
68,5
45 - 54
77,1
64,4
62,2
55 - 64
40,1
28,6
32,5
Totale
55,4
47,7
43,5
Maschi
65,9
61,8
60,2
Femmine
45,6
34,8
27,9
Fonte: Eurostat e Istat
All’interno della popolazione attiva, è molto alto il tasso di disoccupazione.
Complessivamente, il tasso di disoccupazione nel Mezzogiorno è circa doppio rispetto alla media europea.
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IL MEZZOGIORNO: TENDENZE E POLITICA ECONOMICA
Tassi di disoccupazione, 1997
35
30
25
20
15
10
5
0
UE 15
Italia
Totale
Maschi
Mezzogiorno
Femmine
Fonte: Eurostat e Istat
Infine nel Mezzogiorno ha ampia diffusione il lavoro sommerso. Le unità di lavoro irregolari (al netto dei secondi lavori) del Mezzogiorno vengono stimate
dall’Istat in 1,5 milioni, pari a circa un terzo del volume complessivo di lavoro nella produzione di beni e servizi destinabili alla vendita. Particolarmente esteso appare il fenomeno del lavoro irregolare nell’edilizia.
Unità di lavoro irregolari nel Mezzogiorno
nei settori dei beni e servizi destinabili alla vendita, 1997 (1)
In percentuale delle unità regolari
Migliaia
di unità
Totale
di cui:
Industria
Servizi vendibili
Mezzogiorno
Italia
1.542
31,3
17,8
481
422
35,6
15,5
14,9
11,7
(1) Lavoratori irregolari, occupati non dichiarati, stranieri non residenti, al netto del secondo lavoro
Fonte: Istat
Negli anni novanta la situazione del mercato del lavoro è peggiorata: fra il 1993
e il 1997 l’occupazione è diminuita di 330.000 unità. Pesa fortemente su questo
risultato la ristrutturazione e il risanamento, ritardati rispetto al Centro-Nord, di
molte grandi imprese, specie di quelle che si vanno privatizzando. La caduta rallenta e poi si arresta a fine 1997. Fra ottobre 1997 e ottobre 1998 si registra un significativo recupero, di circa 60.000 unità, ma i dati di gennaio 1999 non confermano la tendenza. L’occupazione cresce a un ritmo sostenuto nel terziario, e in misura più lieve nell’industria in senso stretto; continua a diminuire nelle costruzioni e nel settore agricolo.
Occupazione (migliaia di persone)
1993
1994
1995
1996
1997
1998
Italia
Mezzogiorno
20.467
20.119
20.010
20.088
20.086
20.197
5.979
5.824
5.696
5.657
5.649
5.686
Fonte: Istat, Indagine sulle forze di lavoro
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IL MEZZOGIORNO: TENDENZE E POLITICA ECONOMICA
La struttura dell’occupazione appare, nel 1998, assai diversa da quella di cinque
anni prima. Perdono notevolmente peso l’agricoltura (oltre due punti percentuali) e
le costruzioni (oltre 1,5 punti), mentre aumenta il peso relativo dell’industria manifatturiera, del commercio e del turismo, e soprattutto dei servizi per le imprese.
La struttura dell’occupazione del Mezzogiorno diviene notevolmente più simile a
quella media italiana ed europea.
Occupazione per settore economico nel Mezzogiorno (quote percentuali)
Agricoltura
Energia
Industria manifatturiera
Costruzioni
Commercio, alberghi
Trasporti e comunicazioni
Credito e assicurazioni
Altri servizi
1993
1998
14,1
1,2
12,2
11,2
19,8
5,5
5,0
30,9
11,7
1,0
12,6
9,6
20,6
5,3
6,0
33,1
Fonte: Istat, Indagine sulle forze di lavoro
Alla cronica difficoltà di offrire lavoro regolare, il Mezzogiorno continua ad affiancare una minore produttività. Forti esternalità negative in termini di servizi di
trasporto, elettrici e idrici, bancari, di procedure amministrative, di relazioni fiduciarie fra gli operatori si accompagnano a rigidità allocative che impediscono il rapido adeguamento dell’offerta di lavoro al mutare delle condizioni di mercato. In
termini di valore aggiunto per unità standard di lavoro del settore manifatturiero,
per il quale maggiore è l’affidabilità dei dati, il Mezzogiorno ha nel 1996 un valore di circa 19 punti inferiore rispetto alla media italiana. Stime Svimez per il 1997
mostrano un ulteriore incremento del divario di produttività di circa 0,6 punti.
Mezzogiorno: produttività e costo del lavoro
nel settore della trasformazione industriale (Italia = 100)
(anni 1988-1996*)
110
CLUP
Retribuzioni lorde
(2)
100
Produttivita'
(1)
90
80
Oneri sociali
(2)
70
60
1995
1993
1990
1994
1995
1991
1988
1995
1992
1989
1996
1994
1991
1988
50
Fonte: Istat, Conti economici nazionali
(*) Per il 1996 riportato il solo valore della produttivita'
(1) Per unita' di lavoro totale
(2) Per unita' di lavoro dipendente
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Il livello dei salari accomoda solo in parte questo differenziale. In media, sempre
nel settore manifatturiero, le retribuzioni per unità di lavoro dipendente sono inferiori solo dell’8,5 per cento a quelle medie italiane.
Il sistema di contrattazione ha sinora risposto solo limitatamente alle esigenze di
differenziazione nei salari tra aree così gravemente squilibrate. Condizioni salariali di particolare favore per le imprese sono oggi previste in determinate aree, legate all’erogazione di sovvenzioni pubbliche. In questo quadro generale, a comprimere il differenziale Mezzogiorno-Italia in termini di costo del lavoro per unità di
prodotto è il permanere (fino al 2000) di una parziale fiscalizzazione degli oneri sociali. Nonostante ciò, già nel 1997 (anche a causa della già avviata riduzione degli
sgravi contributivi) il costo del lavoro per unità di prodotto risultava nel
Mezzogiorno di circa 4 punti superiore alla media italiana.
Per quanto riguarda la flessibilità sul mercato lavoro, le rigidità che permangono in Italia nelle condizioni di entrata e nei servizi per l’incontro fra domanda e offerta di lavoro si riflettono in modo particolare sul Mezzogiorno, riducendo le opportunità di cogliere occasioni di lavoro regolare.
Purtuttavia, segnali di novità vengono nei meccanismi di entrata nel mercato "regolare" dal ricorso crescente al part-time, a contratti a tempo determinato o atipici.
Flessibilità crescente si osserva anche nell’organizzazione del lavoro. Circa la
metà degli addetti meridionali lavora in imprese organizzate su turni e che prevedono il sabato lavorativo (con punte oltre il 70 per cento di sabati lavorativi
nel terziario); oltre un terzo in imprese che prevedono lavoro notturno e festivo
(oltre la metà nel terziario).
Flessibilità nell’organizzazione del lavoro
Percentuale degli addetti di imprese meridionali
coinvolti in forme di flessibilità sull’organizzazione del lavoro, 1997
Industria
Servizi
Totale
Lavoro su turni
30,2
58,0
46,6
Lavoro notturno
17,3
51,0
37,2
7,0
51,9
33,6
10,5
71,9
46,8
7,1
11,9
9,9
Lavoro festivo
Sabato lavorativo
Lavoro straordinario
Fonte: Istat
3. TRASFERIMENTI, CRESCITA E INVESTIMENTI
I cattivi risultati in termini di occupazione sono strettamente collegati ai complessivi andamenti macroeconomici del Mezzogiorno.
Per un lungo periodo il Mezzogiorno ha beneficiato di un flusso costante di risorse pubbliche, che hanno compensato la differenza fra il reddito prodotto nell’area e il reddito disponibile per consumi e investimenti. Gli effetti di un tale trasferimento di risorse non sono facili da stabilire. Sicuramente, come in tutte le aree
in via di sviluppo, l’importazione di capitali dall’esterno ha consentito ad esempio
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IL MEZZOGIORNO: TENDENZE E POLITICA ECONOMICA
la realizzazione di importanti infrastrutture economiche e sociali. Ma nel caso del
Mezzogiorno vi sono stati anche rilevanti effetti negativi. Si è in particolare creata
una vasta area dell’economia meridionale dipendente direttamente o indirettamente dalle risorse pubbliche: ciò ne ha con tutta probabilità rallentato lo sviluppo di lungo periodo.
A partire dal 1992, la conduzione della politica macroeconomica italiana muta.
Anche in relazione agli impegni assunti dal Paese con il Trattato di Maastricht, si
avvia un poderoso processo di risanamento finanziario, che porta in pochi anni al
riassestarsi dei conti pubblici, al contenimento strutturale del rapporto deficit/PIL
sotto il 3 per cento e alla conseguente ammissione del paese alla fase finale del progetto della moneta unica europea. Questo cambiamento apre uno scenario, politico ed economico, del tutto nuovo per il Mezzogiorno.
Il Mezzogiorno subisce gli effetti combinati della forte azione di risanamento e
della recessione della metà degli anni novanta. Il peso delle risorse trasferite in percentuale di quelle disponibili scende rapidamente, dal 15,5 per cento del 1992
all’11,7 per cento del 1997. Fra il 1980 e il 1983 il peso percentuale delle risorse
trasferite su quelle disponibili era in media del 19 per cento; nel resto del decennio era, in media, del 17,1 per cento.
Importazioni nette di beni e servizi del Mezzogiorno (1)
(in percentuale delle risorse disponibili)
18
18
17
17
16
16
15
15
14
14
13
13
12
12
11
11
10
10
1990
1991
1992
1993
1994
1995
1996
1997
Fonte: Istat e Svimez
(1) a prezzi correnti
In aggregato, il forte rallentamento del flusso di risorse pubbliche si associa a una
notevole decelerazione del tasso di crescita dell’economia meridionale. Il tasso di
crescita medio annuo nel Mezzogiorno tra il 1993 e il 1996 è circa 0,3 per cento,
a fronte di una crescita nazionale superiore all’1,5 per cento. Combinandosi a un
tasso di crescita della popolazione superiore alla media europea, ciò produce una
riapertura del divario di reddito pro capite tra Mezzogiorno e media europea. Nel
periodo 1994-96 il reddito pro capite in sei delle regioni del Mezzogiorno risulta
inferiore al 75 per cento della media comunitaria
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IL MEZZOGIORNO: TENDENZE E POLITICA ECONOMICA
PIL pro capite (in PPA)
Abruzzo
Molise
Campania
Puglia
Basilicata
Calabria
Sicilia
Sardegna
Italia
Media 1988-90
UE15 = 100
Media 1994-96
UE15 = 100
89
79
69
74
64
58
67
74
102
90
77
66
71
68
59
66
74
102
Fonte: Eurostat
Fortemente legato a questa cattiva performance aggregata è nel Mezzogiorno il
debole tasso di accumulazione. Gli investimenti fissi lordi nel 1997 rappresentano
soltanto il 16,6 per cento del PIL meridionale, contro il 21,2 per cento del 1992.
Negli anni ottanta il rapporto investimenti/PIL non era mai sceso al di sotto del 21
per cento.
Investimenti fissi lordi
(a prezzi costanti; in percentuale del PIL)
Mezzogiorno
1997
1996
1995
14
1994
16
14
1993
16
1992
18
1991
18
1990
20
1989
20
1988
22
1987
24
22
1986
24
1985
26
1984
26
1983
28
1982
28
1981
30
1980
30
Italia
Fonte: Istat
La riduzione complessiva cumulata degli investimenti fra 1992 e 1997 è del 23,9
per cento. Scendono del 30 per cento gli investimenti in costruzioni e in opere pubbliche; del 15,7 per cento gli investimenti in macchine, attrezzature e mezzi di trasporto. Qualche segnale di ripresa di questi ultimi si ha nel 1996-97.
Al rallentamento dell’accumulazione contribuisce una maggiore attenzione delle amministrazioni pubbliche all’utilità delle opere pubbliche e alla liceità dei relativi appalti; ma pesa anche il diffondersi di aspettative negative tra i privati; la
modesta capacità di programmazione e di valutazione delle opere da parte delle
stesse amministrazioni e la ridondanza delle procedure.
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IL MEZZOGIORNO: TENDENZE E POLITICA ECONOMICA
Investimenti fissi lordi nel Mezzogiorno
(variazioni percentuali sul periodo precedente)
1992
1993
1994
1995
1996
1997
Costruzioni
-6,1
-11,0
-6,7
-2,5
-4,3
-3,8
Macchine, attrezzature
e mezzi di trasporto
-2,1
-21,3
1,1
-1,0
4,7
4,5
Totale
-4,4
-15,5
-3,5
-1,9
-0,5
-0,1
Fonte: Istat e Svimez
4. IL MEZZOGIORNO ESPORTATORE
Segnali di segno opposto vengono dalla capacità di esportazione dell’area. Il peso dell’export di beni agricoli ed industriali sul PIL meridionale passa dal 5 per cento circa del 1992 ad oltre l’8 per cento nel 1997.
In cinque anni il valore totale dell’export raddoppia, da 19mila ad oltre 38mila
miliardi di lire nel 1997. L’aumento è dapprima favorito dalla maggiore competitività di prezzo garantita all’intera Italia dalla svalutazione della lira del settembre
1992; ma le esportazioni del Mezzogiorno non decrescono, anzi continuano ad aumentare, anche dopo il 1995-96, quando il premio di competitività di prezzo si riduce e la lira prima rientra nello SME e poi fissa la definitiva parità con le altre valute europee.
Esportazioni di merci del Mezzogiorno
(in percentuale del PIL)
9
9
8
8
7
7
6
6
5
5
4
4
3
3
1988
1989
1990
1991
1992
1993
1994
1995
1996
1997
Fonte: Istat
La forte crescita delle esportazioni si accompagna a una netta trasformazione della struttura esportativa del Mezzogiorno. In particolare la crescita dell’export è determinata da un forte aumento nei beni tradizionali di consumo (abbigliamento,
calzature, mobili, prodotti principalmente da imprese meridionali concentrate in
alcuni distretti produttivi), e nella meccanica e nei mezzi di trasporto, cioè nei principali settori di successo del made in Italy. Assai minore è oggi il contributo all’export meridionale dei prodotti agricoli e dell’industria di base.
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IL MEZZOGIORNO: TENDENZE E POLITICA ECONOMICA
L’espansione delle esportazioni si concentra in particolari aree, configurando veri e propri “distretti di esportazioni”. Ne è esempio l’area del mobile imbottito, localizzato nella Murgia barese. L’export di mobili della provincia di Bari, che è frutto esclusivo di imprese a proprietà e management locale, passa da 325 miliardi del
1992 a 1438 miliardi nel 1997. Ma il fenomeno coinvolge anche diverse altre aree.
Esportazioni di beni e servizi in alcuni distretti industriali meridionali
(miliardi di lire)
Provincia
Settore
1992
1997
Bari
Abbigliamento
132
294
Bari
Calzature
374
627
Bari
Mobili
325
1.438
Lecce
Abbigliamento
126
258
Lecce
Calzature
258
680
Salerno
Alimentari
493
854
Napoli
Abbigliamento
103
262
Napoli
Calzature
171
436
Napoli
Alimentari
456
791
Avellino
Cuoio
228
710
Isernia
Abbigliamento
89
398
Teramo
Abbigliamento
73
238
Fonte: Istat
La nuova capacità competitiva del Mezzogiorno si concretizza anche nell’export
di servizi e, in particolare, nel turismo. La quota di presenze turistiche straniere nelle regioni meridionali cresce dal 12,8 per cento del totale nazionale del 1992 al
13,6 per cento del 1997, con una concentrazione del fenomeno nei distretti turistici del napoletano, della Sicilia orientale e della Sardegna.
Presenze turistiche straniere nel Mezzogiorno
(migliaia di persone)
18.000
14.000
10.000
6.000
1992
1993
1994
1995
1996
1997
Fonte: Istat
14
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IL MEZZOGIORNO: TENDENZE E POLITICA ECONOMICA
In queste aree è sempre più diffusa, tra l’altro, l’attività agrituristica che, nell’ottica della multifunzionalità delle imprese agricole, ha permesso negli ultimi anni di rivitalizzare alcuni aspetti economici del mondo rurale e non rurale. A fine
1998, un’analisi effettuata dall’Istat stima una crescita esponenziale delle aziende
agrituristiche nel Mezzogiorno che, quasi assenti agli inizi degli anni ‘90, rappresentano attualmente il 30 per cento dell’offerta agrituristica italiana.
La strada da compiere nel processo di internazionalizzazione del Mezzogiorno resta comunque molto grande. L’export per abitante di prodotti agricoli e industriali è ancora inferiore a quello di Spagna e Portogallo. La quota del Mezzogiorno sul
totale delle presenze turistiche internazionali del Sud dell’Unione Europea
(Portogallo, Spagna, Italia e Grecia), pur essendo cresciuta, è nel 1997 ancora solo
al 5,7 per cento.
Lo sviluppo dei settori esportatori si traduce comunque in un notevole aumento
dei flussi di merci e passeggeri negli aeroporti e nei porti meridionali.
Nel totale degli aeroporti meridionali i passeggeri crescono dai 10 milioni del
1992 ai 14 milioni del 1997 (+41 per cento), con punte di incremento dell’80 per
cento a Catania e del 52 per cento a Napoli.
Passeggeri negli aeroporti meridionali
(migliaia, imbarcati e sbarcati)
1992
1997
Variazione
percentuale
Napoli
2.014
3.054
51,6
Catania
1.620
2.910
79,6
Palermo
1.592
2.266
42,3
Cagliari
1.350
1.570
16,3
Olbia
881
1.066
21,0
Bari
714
1.028
44,0
Aeroporti minori
1.775
2.160
21,7
Mezzogiorno
9.946
14.055
41,3
50.274
70.464
40,2
Italia
Fonte: Istat
Buona è anche la performance del sistema portuale meridionale, che accresce i
propri traffici e che è interessato da una profonda riorganizzazione produttiva. La
nuova competitività di molti porti meridionali è tra l’altro testimoniata dall’interesse di grandi operatori esteri. Fra i porti meridionali spicca naturalmente Gioia
Tauro, che in poco meno di tre anni di attività diventa il primo porto di transhipment del bacino del Mediterraneo.
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Traffico container nel porto di Gioia Tauro
(migliaia di TEU)
2.500
2.000
1.500
1.000
500
0
1995
1996
1997
1998
Fonte: Medcenter Container Terminal
5. LE IMPRESE: NATALITÀ E MORTALITÀ, PRIVATIZZAZIONI E INVESTIMENTI DIRETTI
Negli anni novanta il tessuto delle imprese meridionali cambia in alcuni importanti aspetti: cresce il numero totale delle imprese, e fra esse, il peso delle imprese
di più piccola dimensione; aumenta sensibilmente il numero di imprese esportatrici; diminuisce invece, il peso delle imprese a partecipazione statale; cresce, seppur lievemente, la presenza di imprese multinazionali.
Come positiva reazione alle complessive trasformazioni degli assetti economici
dell’area, negli ultimi anni cresce significativamente nel Mezzogiorno il numero di
imprese. Fra il 1993 e il 1997 il numero di imprese non agricole nel Mezzogiorno
aumenta del 6,2 per cento, con un aumento particolarmente sensibile nel terziario.
Al 1997 vi sono nel Mezzogiorno circa 1.200.000 imprese non agricole registrate.
Si tratta di un’area a imprenditorialità diffusa: vi è infatti una impresa ogni 14,2
residenti con più di 15 anni.
Imprese nel Mezzogiorno
(numero imprese registrate)
Industria
Servizi
1993
1994
1995
1996
1997
351.951
771.771
356.240
797.234
363.208
811.915
365.816
819.104
369.033
825.831
Fonte: Infocamere-Movimprese
La crisi di molte attività economiche preesistenti e la nuova natalità d’impresa
determinano un peso molto maggiore, rispetto al passato, delle piccole imprese all’interno dell’economia meridionale.
La diversa dinamica delle imprese per dimensione può essere apprezzata anche
guardando alle previsioni occupazionali formulate nell’indagine Excelsior per il
biennio 1998-99: mentre le imprese piccolissime (1-9 addetti) prevedono una forte crescita dell’occupazione (+12,3 per cento nel biennio), e quelle piccole (10-49
addetti) una moderata crescita (+4,1 per cento), le imprese di più grandi dimensioni (oltre i 250 addetti) continuano a prevedere una contrazione dell’occupazione (-1,7 per cento).
La forte crescita dell’export meridionale si traduce in un sensibile aumento delle
imprese esportatrici, che passano dalle 12.800 del 1992 alle 19.000 del 1996, con
un incremento particolarmente elevato, e interessante, nell’industria meccanica.
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IL MEZZOGIORNO: TENDENZE E POLITICA ECONOMICA
Nel periodo, l’economia meridionale è poi interessata da modifiche strutturali
negli assetti proprietari, e in particolare da rilevanti privatizzazioni. Si riduce significativamente il peso dell’occupazione in imprese a partecipazione statale sul totale dell’occupazione manifatturiera.
Principali privatizzazioni di società presenti nel Mezzogiorno
Società
Settore
Data
cessione
Cirio Bertolli de Rica (IRI)
Ina
ILP (IRI)
Eni
Alfa Romeo Avio (IRI)
Condotte (IRI)
San Paolo - Imi
Banco di Napoli
Telecom Italia
BNL
Alimentari
Assicurazioni
Siderurgia
Energia, chimica
Aerospaziale
Costruzioni
Credito
Credito
Telecomunicazioni
Credito
1993
1994-96
1995
1995-98
1996
1997
1997
1997
1997
1998
Numero
dipendenti nel
Mezzogiorno
705
5.357
14.340
16.072
1.581
1.019
1.967
8.336
31.016
3.384
Negli ultimi anni vi sono stati segnali di interesse da parte delle imprese multinazionali per investimenti nel Mezzogiorno.
Fra il 1996 e il 1998 si osservano 38 nuovi investimenti di imprese multinazionali estere nell’area, di cui 30 nell’industria (principalmente metalmeccanica, mezzi di trasporto ed elettronica) e 8 nei servizi (commercio e trasporti). In 19 casi si
tratta di investimenti greenfield, mentre in 11 si è avuto un nuovo investimento
in attività preesistenti; 8 sono state le acquisizioni, di cui 3 collegate a processi di
privatizzazione. Ventuno di essi sono venuti da imprese UE, in particolari tedesche
e francesi. Sei nuovi investimenti sono arrivati dagli Stati Uniti; tre dall’Asia.
Principali investimenti diretti esteri nel Mezzogiorno 1996-1998
Impresa
Nazione
Investimento
Settore
Regione
Texas Instruments
Evergreen
Getrag
RWE-DEA
Bosch
US3
Stati Uniti
Taiwan
Germania
Germania
Germania
Stati Uniti
Potenziamento
Greenfield
Greenfield
Potenziamento
Acquis. e potenz.
Greenfield
Elettronica
Serv. portuali
Trasporti
Chimica
Trasporti
Elettronica
Abruzzo
Puglia
Puglia
Sicilia
Puglia
Campania
Rhone Poulenc
Francia
Potenziamento
Tessile
Basilicata
Fonte: Ministero del Tesoro
6. I SERVIZI: SEGNALI DI NOVITÀ
Negli anni novanta, anche la struttura commerciale del Mezzogiorno cambia significativamente, con un processo di concentrazione e razionalizzazione delle strutture distributive. Si riduce l’occupazione indipendente mentre cresce quella dipendente; parallelamente, mentre decresce il numero degli esercizi al dettaglio, aumentano tutte le tipologie della grande distribuzione organizzata.
Questa tendenza, auspicabile in termini di efficienza, presenta rischi se dovesse
comportare l’indebolimento di una struttura distributiva capace di veicolare prodotti locali e dunque di favorire l’espansione, anche nel Mezzogiorno, di capacità
artigianali legate alle risorse, naturali e culturali, del territorio.
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Struttura del sistema distributivo nel Mezzogiorno
(numero esercizi)
1991
1996
Variazione
percentuale
Esercizi al dettaglio
282.142
237.777
-15,7
Piccoli supermercati
1.362
1.906
39,9
Supermercati
1.274
1.794
40,8
10
23
130,0
Ipermercati
Fonte: Ministero dell’Industria, Istat e dati Nielsen
Profonda è la trasformazione del sistema bancario meridionale, incentrato sino
all’inizio degli anni novanta, su un tessuto di banche pubbliche, a prevalente base
regionale.
Con il 1992-93 entrano in crisi tutte le principali banche meridionali, che registrano perdite record, sia per i cattivi andamenti congiunturali, sia per l’emergere
di errori gestionali commessi in passato. Fra il 1994 e il 1997 vengono rinnovati
gli assetti proprietari e il management delle principali banche meridionali; dapprima in Puglia e Calabria (Cassa di Risparmio di Puglia e Carical cedute alla
Cariplo); poi in Basilicata (Banca Mediterranea incorporata nella Banca di Roma),
Campania (Banco di Napoli ceduta a INA e BNL) e Sicilia (Banco di Sicilia e Cassa
di Risparmio delle Province Siciliane fuse e cedute al Mediocredito Centrale).
L’esborso complessivo di denaro pubblico per far fronte alle crisi bancarie degli anni ‘90 ammonta in Italia a circa 6.000 miliardi, lo 0,3 per cento del prodotto nazionale; si tratta di un onere non irrilevante ma comunque inferiore, in alcuni casi
notevolmente inferiore, a quello sopportato dalla finanza pubblica per il risanamento di altri sistemi bancari dei paesi industriali.
Al risanamento finanziario potrà corrispondere solo col tempo un recupero di capacità di affidamento alle imprese, necessario per il loro sviluppo. Tale capacità è
gravata, specie nel caso delle banche minori, dal permanere di un elevato volume
di sofferenze; in rapporto agli impieghi queste risultano pari al 9,2 per cento per il
totale del sistema al 30 settembre 1998, contro il 22,1 per cento per le banche meridionali.
7. LE CRESCENTI DIFFERENZIAZIONI INTERNE
Le trasformazioni economiche sin qui riassunte danno luogo a significative differenziazioni dell’economia del Mezzogiorno. Il confronto tra il censimento del
1991 e quello intermedio del 1996 mostra che il Mezzogiorno perde nel periodo il
13 per cento dell’occupazione manifatturiera, portando il rapporto addetti manifatturieri/popolazione totale da 3,2 a circa 3,0.
Ma la variabilità di tale indicatore tra i diversi sistemi locali meridionali aumenta
fortemente.
In ben 102 sistemi locali del lavoro su 365 l’occupazione manifatturiera cresce.
E’ il caso di Pescara, di Avellino, dei distretti industriali di Solofra, Martina Franca,
S.Giuseppe Vesuviano, Casarano, Matera (centrati su imprese a capitale meridionale) e delle area di Melfi o di Avezzano, dove si sono insediate grandi imprese.
All’opposto, in altri 84 sistemi locali l’occupazione manifatturiera diminuisce di
più del doppio della media meridionale (oltre il 26 per cento): fra di essi Catania
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IL MEZZOGIORNO: TENDENZE E POLITICA ECONOMICA
(-29 per cento), Taranto (-31 per cento), Palermo (-42 per cento), ma anche rilevanti centri industriali quali L’Aquila, Torre Annunziata, Castellammare di Stabia,
Manfredonia, Pisticci, Crotone, Caltanissetta e Gela.
Sistemi locali del lavoro nel Mezzogiorno
(numero; quote percentuali sul totale dell’occupazione manifatturiera nel 1996)
Numero
%
Sistemi locali con crescita di occupazione manifatturiera (1991- 96)
102
22,0
Sistemi locali con una diminuzione dell’occupazione (1991- 96)
179
59,0
74
27,0
105
32,0
84
19,0
di cui: inferiore al 13 per cento
tra il 13 e il 26 per cento
Sistemi locali con una forte riduzione dell’occupazione (superiore al 26%)
Fonte: Istat
La differenziazione tra le aree meridionali segue linee complesse. I sistemi locali
in maggiore difficoltà si incontrano principalmente nelle isole, in Calabria ed in
Campania, ma anche, quasi dappertutto, intorno alle grandi aree urbane e nelle aree
dove più forte era stato in passato il flusso di investimenti delle imprese a partecipazione statale.
8. ASSETTI SOCIOPOLITICI
Parallelamente ai cambiamenti di taglio strettamente economico, negli anni novanta il Mezzogiorno è interessato anche da significativi cambiamenti negli assetti sociali e politici, per quanto alcuni di essi appaiano difficili da misurare. Fra i più importanti si segnalano: una capacità molto maggiore di governo delle sue città; una inversione di rotta nella presenza criminale nell’area.
I significativi cambiamenti dello scenario politico italiano e la riforma del sistema elettorale per le amministrazioni comunali hanno provocato mutamenti importanti nel governo delle città del Sud. A partire dal 1994-95 le amministrazioni sono state rette da giunte che, con l’elezione diretta del sindaco, si sono rivelate molto più stabili che in passato. Nella maggioranza dei casi, le giunte elette nel
1994-95 sono state riconfermate per il successivo quadriennio; ciò ha prodotto un
periodo di azione amministrativa molto più incisiva rispetto al passato.
In ogni città le amministrazioni hanno puntato su priorità diverse: dalla redazione di nuovi strumenti urbanistici per assicurare uno sviluppo ordinato del territorio (Napoli, Salerno), alla valorizzazione della cultura e dello spettacolo
(Palermo, Lecce), ai rapporti con l’università (Catania). Particolare attenzione è
stata posta da molte amministrazioni comunali alle politiche in favore delle imprese: dalle semplificazioni amministrative (“sportello unico”), a misure per la
valorizzazione dei centri storici, alla partecipazione ai Patti territoriali. Sovente,
queste attività si configurano in uno sforzo maggiore nella trasparenza amministrativa (29 dei 36 capoluoghi di provincia del Mezzogiorno disponevano già ad
inizio 1998 di un sito Internet). Testimonianza indiretta ne è il maggiore coinvolgimento nella vita associativa in tutte le regioni del Mezzogiorno (con l’eccezione della Sicilia) con punte che toccano le 30 persone ogni 100 abitanti in
Molise, Basilicata e Calabria e la crescita della partecipazione politica.
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IL MEZZOGIORNO: TENDENZE E POLITICA ECONOMICA
Partecipazione politica
Percentuale dei cittadini con più di 14 anni che hanno partecipato
nell’anno a riunioni di partiti politici, a cortei o comizi
22
20
18
16
14
12
10
Puglia
Cam pania
Calabria
Sicilia
Sardegna
1993
1997
Font e: Ist at
Seconda grande tendenza di fondo degli anni novanta è la sensibile diminuzione della criminalità nelle quattro grandi regioni del Mezzogiorno (Campania,
Calabria, Sicilia, e in misura minore Puglia) nelle quali sono sempre state presenti
forme, anche gravi, di criminalità organizzata.
Andamento della delittuosità
(Campania, Puglia, Calabria, Sicilia; indice 1987 = 100)
210
180
150
120
90
60
30
Fonte: Ministero degli Interni
(1) gennaio-ottobre
Attentati
Omicidi volontari
Scippi
Estorsioni
Rapine
Sequestri
1998
(1)
1997
1996
1995
1994
1993
1992
1991
1990
1989
1988
1987
0
Furti
Rapine gravi
Dopo un sensibile incremento della delittuosità in queste regioni nella fine degli anni ottanta, il quadro degli anni novanta mostra un costante, sensibile miglioramento per tutte le tipologie di delitti gravi (ad eccezione delle estorsioni) a
partire dal 1991. Gli omicidi volontari, ad esempio, cresciuti da 1150 a 1812 fra
il 1987 e il 1991, sono 863 nel 1997.
20
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IL MEZZOGIORNO: TENDENZE E POLITICA ECONOMICA
La situazione nelle principali città del Mezzogiorno, in particolare, mostra un
evidente miglioramento. Pur con qualche eccezione, infatti, esse condividono la generale tendenza del Mezzogiorno alla forte riduzione della criminalità e mostrano
miglioramenti superiori alla media delle maggiori città italiane.
Questi risultati sono dovuti a un’efficace azione di contrasto delle forze dell’ordine. Sempre nelle quattro grandi regioni meridionali, il numero dei denunciati
quasi raddoppia (da 138mila a 246mila) fra il 1987 e 1997; questo incremento è
nettamente superiore a quello della delittuosità: così il rapporto fra persone denunciate e delitti commessi cresce fortemente a partire dal 1991-92.
Rapporto fra persone denunciate e totale dei delitti
(Campania, Puglia, Calabria e Sicilia; valori percentuali)
42
37
32
27
22
1998
1997
1996
1995
1994
1993
1992
1991
1990
1989
1988
17
Fonte: Ministero degli Interni
In particolare negli ultimi cinque anni sono stati arrestati 1.443 latitanti definiti “pericolosi” di cui 422 collegati alla mafia, 362 collegati alla camorra, 326 alla criminalità organizzata calabrese e 136 a quella pugliese.
Comuni sciolti in base alla legge 221/91 (1)
40
35
30
25
20
15
10
5
1998
1997
1996
1995
1994
1993
1992
1991
0
Fonte: Ministero degli Interni
(1) Per infiltrazioni criminali
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IL MEZZOGIORNO: TENDENZE E POLITICA ECONOMICA
In alcuni casi l’azione di contrasto ha ottenuto successi importanti. Ad esempio, alla fine degli anni ottanta si era determinata una pericolosa penetrazione della criminalità organizzata nei Comuni del Mezzogiorno. Sulla base di una nuova
legge approvata nel 1991, fra il 1991 e il 1993 sono state sciolte per questi motivi 76 amministrazioni comunali. Anche in seguito alle trasformazioni politiche di
cui si è detto, lo scioglimento delle amministrazioni comunali per infiltrazioni criminali è ormai ridotto a livelli minimi.
9. VERSO UNA NUOVA POLITICA GENERALE PER IL MEZZOGIORNO
A lungo la politica per lo sviluppo del Mezzogiorno è stata rivolta alla compensazione dei divari. I sussidi pubblici, al lavoro e al capitale, necessari per compensare i maggiori costi derivanti dal contesto economico-sociale, hanno tuttavia
avuto l’esito di disincentivare il cambiamento di quello stesso contesto, indebolire le forze che spingevano all’impegno individuale e alla mobilità dei fattori. La
distorsione nell’allocazione delle risorse ha accentuato i fenomeni di dipendenza.
Negli anni novanta, con l’accelerazione del processo di integrazione europea,
con il risanamento finanziario, e in un quadro di crescente mobilità dei capitali e
del lavoro specializzato e imprenditoriale, la strategia è andata mutando.
Sono state concepite, talora intraprese, talora disegnate, nuove politiche in diverse, distinte direzioni. Da esse, da una loro ricognizione e verifica, da una loro
effettiva attuazione, è oggi possibile muovere per comporre una politica-missione
nazionale per il Mezzogiorno.
Possono essere individuate cinque politiche “settoriali”, distinte ma non indipendenti.
(I) In primo luogo, attraverso la riregolazione dei mercati, l’azione delle Autorità
indipendenti, la riforma del governo societario di imprese e banche, procede un’azione di rafforzamento della concorrenza nei mercati. L’intensificazione di tale politica, nei grandi servizi di rete, nei servizi locali di pubblica utilità, nei servizi di
consulenza e in genere nei servizi alle imprese, è condizione necessaria - certo non
sufficiente - affinché nuove occasioni di profitto e di lavoro siano colte e affinché
si incrementi l’afflusso di risorse mobili nell’area.
(II) In secondo luogo, è stata impostata una nuova politica di miglioramento
permanente del contesto economico e sociale. Essa è volta all’incremento della dotazione di capitale sociale - in infrastrutture, in tutela e fruibilità del patrimonio
naturale e culturale, in giustizia e ordine pubblico - per valorizzare le “risorse immobili”, umane, naturali e culturali, presenti nei territori del Mezzogiorno e creare effettive occasioni di investimento per le risorse mobili. Si tratta di una politica di “nuova programmazione”, di accelerazione e riqualificazione degli investimenti pubblici, concepiti come un fondamentale strumento di offerta, assai più
che come una leva di domanda.
(III) Della “nuova programmazione” fa parte anche una terza linea di azione: la
promozione dello sviluppo locale attraverso interventi mirati su aree circoscritte
di territorio. Si tratta di utilizzare in modo diverso, programmatico e mirato, gli
incentivi classici e fiscali agli investimenti; ma, soprattutto, di dare attuazione
agli strumenti di programmazione negoziata volti a favorire investimenti diretti
dall’esterno dell’area e a promuovere la cooperazione e l’investimento congiunto
di soggetti locali, privati e pubblici.
(IV) La quarta direzione di intervento di cui si avverte necessità è rappresentata dalle politiche per il mercato del lavoro, per migliorare e rendere più flessibili
22
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IL MEZZOGIORNO: TENDENZE E POLITICA ECONOMICA
i meccanismi allocativi fra lavoratori e posti di lavoro, indirizzare la formazione a
necessità effettive di domanda, favorire la creazione di impresa, legare fortemente
la retribuzione agli specifici contesti produttivi.
(V) Queste linee di intervento non potranno avere effetto senza l’effettiva attuazione delle riforme dell’Amministrazione pubblica*. Sono indispensabili, anche al fine di attuare le politiche sub (II) e (III), un decentramento delle competenze alle amministrazioni locali, il rafforzamento tecnico delle amministrazioni
centrali al fine di esercitare una funzione di supporto e indirizzo, la razionalizzazione e riorganizzazione di entrambe le strutture amministrative, una semplificazione delle procedure, una crescente responsabilizzazione della dirigenza, meccanismi di promozione e condizioni remunerative dei dipendenti pubblici legati al
merito.
La ridefinizione dei compiti dei livelli di governo centrale, regionale e locale costituisce un requisito indispensabile per una nuova politica economica nazionale
per il Mezzogiorno, in particolare per la programmazione degli interventi di contesto. E’ nelle Regioni, infatti, e nelle Autonomie locali che è presente la conoscenza su “cosa” e “dove” fare, la capacità di disegnare programmi integrati di intervento adatti alle specifiche esigenze del territorio, l’incentivo a fare che deriva
dal controllo ravvicinato degli elettori.
Ai Comuni, singoli e associati, e alle Province spetteranno l’identificazione delle opportunità locali, la formulazione di proposte progettuali, spesso la gestione
“degli interventi”. Alle Regioni, la selezione degli obiettivi in un quadro programmatico coerente e integrato e la gestione dei programmi. Alle
Amministrazioni centrali competerà, oltre che la programmazione di politiche di
contesto di responsabilità nazionale (sicurezza, giustizia, riforma amministrativa,
grandi reti nazionali), una funzione di assistenza e supporto tecnico alle
Amministrazioni locali, al fine di assicurare la coerenza di sistema, diffondere le
pratiche migliori, garantire una fissazione trasparente di obiettivi quantitativi e
la loro successiva verifica, e compensare le diversità nelle condizioni di partenza
delle singole aree del Mezzogiorno. E’ quest’ultima la condizione per introdurre
metodi di genuina e trasparente competizione per le risorse da parte delle
Amministrazioni locali.
In questa direzione muove, fra gli altri, l’impegno delle Amministrazioni centrali in attività di indirizzo su tematiche trasversali attinenti l’assetto del territorio, l’ambiente, l’agricoltura, il patrimonio culturale. Dello stesso segno è la razionalizzazione delle strutture di governo centrale. Ne è manifestazione l’unificazione dei Ministeri del Tesoro e del Bilancio e programmazione economica, con la
creazione del Dipartimento per le politiche di sviluppo e coesione (DPS) con responsabilità di coordinamento e impulso della programmazione.
Il riordino degli enti pubblici impegnati in attività di promozione e finanziamento dello sviluppo, avviato con la costituzione della società Sviluppo Italia, è
finalizzato a fornire supporto a questo indirizzo strategico.
In quanto segue vengono richiamati i principali tratti degli interventi già in atto, o comunque necessari, con riguardo a tre delle politiche “settoriali” richiamate:
miglioramento permanente del contesto economico-sociale; promozione dello sviluppo locale; politiche per il mercato del lavoro.
(*) Scrive ancora il Rapporto sul Mezzogiorno per la Commissione Bilancio: “Il buon funzionamento della pubblica amministrazione è,
in realtà, indispensabile per il conseguimento di quasi tutti gli obiettivi desiderabili degli interventi sul capitale sociale”.
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23
IL MEZZOGIORNO: TENDENZE E POLITICA ECONOMICA
9.1 Politiche per il miglioramento del contesto economico-sociale
Obiettivo di queste politiche è la drastica riduzione dei divari nelle condizioni
economiche e sociali di residenza e di insediamento produttivo fra il Mezzogiorno
e il resto d’Europa.
Dal punto di vista delle risorse mobili - risparmio, imprenditorialità, lavoro specializzato e delocalizzabile - che valutano le opportunità di insediamento/investimento
nel Mezzogiorno rispetto alle alternative esistenti, ciò equivale a migliorare le condizioni di utilizzo delle risorse immobili - naturali, culturali, umane (in particolare: lavoro “localizzato”).
È rendendo altamente remunerativo l’impiego di queste risorse che si potranno
attrarre investimenti diretti, favorire l’imprenditorialità locale e l’emersione del
sommerso, attrarre risparmi.
Sono necessari investimenti pubblici volti a fornire servizi di rete adeguati, a
prevenire e reprimere la criminalità e a diffondere cultura della legalità, a innalzare accessibilità e qualità dei servizi dell’Amministrazione pubblica, a tutelare il
patrimonio ambientale e culturale, ad assicurare una nuova fase di internazionalizzazione economica e culturale dell’area.
Ne sono esempi interventi:
- per dare acqua a tutte le aree in modo regolare e adeguato alle esigenze dei cittadini e della presenza turistica;
- per rendere accessibili dall’esterno all’area, rapidamente e a costi modesti, le
coste e non contaminate le acque;
- per realizzare condizioni permanenti di sicurezza-legalità anche attraverso qualità e certezza dei servizi pubblici ai cittadini e alle imprese che diano il senso di
una diffusa “giustizia civile e sociale”;
- per rendere fruibili le risorse naturali dell’interno anche da forme di turismo medio e medio alto;
- per offrire servizi e sbocchi produttivi legali al lavoro sommerso;
- per assicurare servizi di rete a piccole e medie imprese industriali, artigianali
e distributive;
- per rendere utilizzabili le vie del mare;
- per riqualificare sistemi urbani degradati riducendo il disagio sociale e favorendo lo sviluppo terziario;
- per creare reti avanzate di ricerca o di alta formazione aperte, in particolare,
alle nazioni che si affacciano sul Mediterraneo; ecc.
Per raggiungere questi obiettivi, la strategia volta a riqualificare gli investimenti pubblici nel Mezzogiorno può oggi avvalersi ed estendere il metodo che ha
già consentito di accelerare gli investimenti pubblici: fissazione di obiettivi quantitativi; loro annuncio pubblico, specie da parte dei livelli decentrati di governo;
sanzione, amministrativa o politica, dei risultati.
È in questo modo, attraverso una profonda riprogrammazione nell’uso delle risorse, che fra il 1996 e il 1998 si è potuto ottenere un incremento dall’8 al 55 per
cento della quota erogata dei fondi strutturali comunitari destinati alle aree obiettivo 1.*
(*) Nel complesso del 1998 le spese in conto capitale specificatamente destinate alle “aree depresse” - che oltre al
Mezzogiorno includono aree di difficoltà economica del Centro-Nord - sono cresciute di circa il 20 per cento rispetto al 1997.
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IL MEZZOGIORNO: TENDENZE E POLITICA ECONOMICA
Quadro Comunitario di Sostegno 1994-99
Regioni obiettivo 1: stato di attuazione
(erogazioni in percentuale del costo totale)
70
60
50
40
30
20
10
0
1996
1997
Regionale
Multiregionale
1998
Totale
Ma proprio l’intensità delle riprogrammazioni, la più alta in tutta l’Europa, è il segno delle carenze qualitative della programmazione avviata nel 1993-94. E’ per evitare queste carenze, nella programmazione dei fondi 2000-2006 come di tutti i fondi
nazionali, che il metodo della fissazione degli obiettivi deve estendersi a indicare, ex
ante, nel momento della programmazione, gli “obiettivi fisici” degli interventi. Tali
obiettivi riguarderanno proprio i “punti di rottura” che, in base all’esame delle tendenze in atto nel Mezzogiorno, possono assicurare il balzo nel tasso di crescita: il volume di investimenti diretti dall’estero, la quota di fatturato esportata, il numero di
imprese emerse, i consumi turistici, i metri cubi di acqua trasportati e utilizzati, ecc.
Prendendo a riferimento questo metodo e attuando i principi generali di un deciso decentramento delle responsabilità di programmazione e gestione e di un
rafforzamento del ruolo di assistenza e supporto tecnico da parte delle
Amministrazioni centrali, gli interventi in corso si articolano lungo quattro assi:
(i) rafforzamento della fase di progettazione degli investimenti (sin dalla valutazione di fattibilità necessaria a identificare e quantificare gli obiettivi fisici); (ii)
semplificazione delle procedure e regionalizzazione della spesa ordinaria; (iii) avvio
di un nuovo ciclo di programmazione imperniato sui fondi strutturali comunitari
2000-2006 e inquadrato nell’ambito di Intese istituzionali fra Stato e Regioni e
quindi alimentato dall’insieme di tutte le risorse finanziarie (ordinarie, per le “aree
depresse”, comunitarie e nazionali per cofinanziamento comunitario); (iv) ricognizione delle opere incomplete e immediato completamento delle opere ancora attuali e coerenti con gli obiettivi programmatici regionali.
(i) Sono state ampliate le risorse a disposizione delle Amministrazioni, specie locali,
per attuare la valutazione ex ante ed ex post dei progetti. Si è ottenuto un crescente utilizzo del Fondo rotativo per la progettualità (500 miliardi di lire). Sono stati messi a disposizione delle Amministrazioni locali 100 miliardi per studi di fattibilità; ulteriori
risorse sono in corso di assegnazione. E’ stato avviato dal Ministero del Lavori Pubblici
un programma per il finanziamento di progetti complessi di riqualificazione urbana.
Viene inoltre costituita, sul modello inglese, una unità centrale di assistenza tecnica per la sperimentazione di forme di project financing, in primo luogo per una
grande opera stradale del Mezzogiorno che procede da anni con particolare lentezza (autostrada Salerno-Reggio Calabria).
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Fondo rotativo per la progettualità
(Percentuale utilizzo concesso)
40
35
30
25
20
15
10
5
Gen'99
Nov'98
Sett'98
Lug'98
Mag'98
Mar'98
Gen'98
Nov'97
Sett'97
Lug'97
Mag'97
Mar'97
Gen'97
Nov'96
Sett'96
-
Fonte: Cassa Depositi e Prestiti
Affinché la progettazione e gli studi di fattibilità siano realmente utili a identificare gli interventi più validi per compiere il balzo di crescita è necessario che le
Amministrazioni pubbliche si rafforzino, al fine di interloquire da pari a pari con
le società private. Altrimenti i progetti resteranno inutilizzati o serviranno a convalidare scelte estranee all’interesse generale.
Per muoversi in questa direzione è stata prevista, con gli interventi legislativi per
lo sviluppo in corso di approvazione in Parlamento, la costituzione di autonome
unità di valutazione e di verifica degli investimenti pubblici, a partire proprio dalle Amministrazioni regionali del Mezzogiorno.
Si tratta solo di un primo passo a cui dovranno seguirne altri, di riforma effettiva e diffusa dell’assetto organizzativo delle Amministrazioni.
(ii) Simili interventi di riforma effettiva sono necessari per quanto riguarda le
procedure. Ai primi risultati conseguiti a livello nazionale dovranno seguirne altri
anche a livello locale. Fra essi assume rilievo l’impegno per migliorare la coerenza
fra programmazione finanziaria ed economica.
Sul fronte della regionalizzazione del bilancio, le risorse stanziate in conto capitale sono state evidenziate per la prima volta con la Legge di bilancio per il 1999
in appositi allegati agli stati di previsione di ciascuna amministrazione secondo
un’articolazione territoriale su base regionale. Sono stati di recente avviati due importanti progetti: per migliorare ed estendere i risultati di questo primo tentativo;
e per costruire una banca-dati di tutti i progetti di investimento pubblico.
(iii) Il sistema di programmazione più avanzato per conseguire l’obiettivo di una
riqualificazione degli investimenti pubblici è quello relativo ai fondi strutturali comunitari 2000-2006: per il loro, già oggi, più elevato grado di regionalizzazione;
per il metodo comunitario di partenariato, sociale e istituzionale, che ne governa la
programmazione e l’uso; perché la fissazione ex ante degli obiettivi fisici e la loro
verifica ex post ne sono un requisito costitutivo.
Sotto l’impulso del seminario di Catania del 2-4 dicembre 1998, che è servito a
sovvertire la logica che vedeva nelle “prenotazioni finanziarie” l’avvio di ogni pre-
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sunta “programmazione”, e sulla base delle decisioni prese dal Governo con la delibera CIPE del 22 dicembre e fatte proprie dal Patto Sociale siglato nello stesso
giorno, le amministrazioni regionali e centrali, con il concorso delle Autonomie locali e delle parti economiche e sociali, hanno definito entro la scadenza del 15 marzo gli obiettivi degli interventi da realizzare con i Fondi strutturali comunitari.
Entro la fine dell’estate verrà così predisposto un Piano di sviluppo del
Mezzogiorno e i programmi operativi per le singole Regioni e per le Amministrazioni
centrali che eserciteranno funzioni di gestione. Essi conterranno anche una chiara indicazione dei metodi di selezione degli interventi e del loro monitoraggio.
L’impatto della programmazione dei fondi comunitari potrà essere fortemente
accresciuto, ben oltre la capienza finanziaria dei fondi stessi - che pure costituiscono nel Mezzogiorno più di un quarto di tutti i fondi disponibili per investimenti
pubblici nel settennio 2000-2006 - grazie all’inquadramento di tale programmazione entro il contesto più generale delle Intese istituzionali fra Stato centrale e
Regioni.
È questo lo strumento con cui le Regioni possono orientare in modo certo le risorse ordinarie per investimenti pubblici sugli interventi che esse ritengono, nell’ambito della propria programmazione, prioritari per lo sviluppo dell’area.
Dopo una lunga fase propositiva, l’attuazione delle Intese istituzionali StatoRegioni e dei relativi Accordi-quadro è stata avviata, nel febbraio 1999, con tre regioni del Centro-Nord. L’estensione dello strumento alle Regioni del Mezzogiorno,
in programma a partire dalla primavera, deve costituire l’occasione per unificare di
fatto, e per mettere a disposizione dello stesso processo di programmazione, tutte
le diverse risorse che vi confluiscono: ordinarie, per le “aree depresse”, comunitarie
e nazionali per cofinanziamento comunitario.
La corretta identificazione di queste quattro fonti potrà anche consentire di assegnare al Mezzogiorno, nell’ambito di una politica generale a esso rivolta, un volume di risorse più adeguato all’altezza dell’impegno: che alla quota di risorse ordinaria associata alla quota di popolazione sommi, come genuine componenti addizionali, le altre risorse.
(iv) La strategia di riqualificazione degli investimenti descritta al punto precedente può dare certezza anche nel breve periodo, ma può dare risultati solo nel medio termine, non nell’immediato. Al fine di assicurare subito un’accelerazione di
investimenti pubblici che siano coerenti con gli obiettivi programmatici, è necessario selezionare i progetti esecutivi già esistenti e, prima ancora, completare opere pubbliche interrotte, ma ancora attuali.
Questa seconda strada è stata intrapresa con il finanziamento di completamenti di opere nelle aree del Mezzogiorno per circa 3000 miliardi, a valere sui fondi
per le aree depresse. Rendendo fruibili opere incomplete, questi interventi avranno un effetto sull’offerta di servizi che va largamente oltre la dimensione finanziaria dei completamenti.
Per selezionare le opere da completare sono stati fissati e annunciati lo scorso novembre i criteri premianti: la maturità della progettazione, la rapidità prevista di
attuazione, la quota di opera già realizzata, le priorità delle Regioni, il consenso fra
queste e le Autorità centrali. Nel marzo 1999 si è conclusa la presentazione di circa 1000 proposte da parte delle Amministrazioni locali e centrali. La selezione delle opere è prevista per metà aprile, con il successivo, immediato trasferimento dei
fondi agli enti attuatori.
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9.2. Politiche per la promozione dello sviluppo locale
All’interno delle politiche di contesto vi è una categoria particolare di interventi: quelli volti a promuovere sistemi di imprenditorialità locale, attraverso
l’affermazione di capacità imprenditoriali già presenti nell’area e/o la localizzazione di soggetti esterni a essa. L’azione pubblica mira in questo caso a favorire
nel Mezzogiorno la tendenza naturale - tipica del nostro paese, arrestatasi nel dopoguerra e ora in spontanea ripresa - allo sviluppo di sistemi produttivi circoscritti, fortemente interconnessi, fortificati da relazioni fiduciarie fra imprenditori, soggetti sociali e soggetti pubblici.
Al fine di conseguire questo obiettivo possono essere impiegati e programmaticamente utilizzati sistemi classici di incentivi, soprattutto quando, come per quelli
previsti dalla legge 488/1992, essi presentino caratteristiche di particolare flessibilità. Vanno in questa direzione le innovazioni già introdotte dal Ministero
dell’Industria nel meccanismo di assegnazione e altre oggi in corso di elaborazione.
Espressamente disegnati per lo scopo sono, poi, gli strumenti della programmazione negoziata: patti e contratti. Lungi dall’essere il solo o il principale strumento di una politica di sviluppo, essi ne sono componente di massimo rilievo,
in quanto consentono azioni territoriali altamente mirate.
In particolare, i contratti di programma, in essere dalla seconda metà degli anni
ottanta, sono stati impiegati con successo per attrarre nel Mezzogiorno investimenti diretti dall’estero e dal resto del paese, offrendo alle imprese certezza di finanziamento. Lo strumento si presta ora a favorire l’investimento in specifici settori, tecnologicamente avanzati o per i quali - è il caso del turismo - elevate sono
le esternalità negative che i nuovi insediamenti devono incontrare.
Specificamente rivolti a favorire la costituzione di relazioni fiduciarie nei territori e il simultaneo e coordinato investimento da parte dell’imprenditoria privata locale e delle amministrazioni locali, in infrastrutture e servizi, sono i patti territoriali.
Dopo un avvio lento, dovuto a procedure ridondanti, non trasparenti e di impronta fortemente centralista, l’adozione di una nuova procedura ha aperto a questo strumento la possibilità di un effettivo utilizzo.
L’affidamento alle banche dei compiti istruttori ha accelerato i tempi di attuazione e costituisce un primo passo verso un maggiore coinvolgimento di quei soggetti. Altri ne dovranno seguire.
L’adozione di un bando per l’assegnazione delle risorse, basato sull’annuncio ex
ante di criteri premiali, ha consentito una rapida e trasparente selezione dei patti:
due mesi per l’approvazione di 24 di essi, dal momento della scadenza del bando.
Sono stati premiati i patti con iniziative produttive più efficaci nella creazione di
nuova occupazione, più efficienti e dotati di interventi infrastrutturali organicamente integrati con le iniziative produttive.
La chiara definizione delle procedure, delle responsabilità delle diverse parti e
della modulistica, con un rafforzamento del ruolo di assistenza tecnica del DPS, crea
ora la condizione prima perché le erogazioni possano avvenire con rapidità. A tale
scopo sarà necessario anche un rafforzamento, una maggiore capacità organizzativa
e di coordinamento, dei soggetti responsabili dei patti, che sono i portatori della
logica di decentramento che è propria dello strumento. E potranno essere necessari ulteriori interventi di semplificazione, in corso di valutazione.
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Anche per i primi 12 patti, approvati nel 1997 con la vecchia procedura, si è
avuta una accelerazione. Le erogazioni hanno riguardato 70 iniziative (presumibilmente 100 entro fine marzo) a cui fanno capo il 43 per cento dei finanziamenti disponibili.
Stato di attuazione dei primi 12 Patti territoriali
(Numero iniziative imprenditoriali)
200
180
160
140
120
100
80
60
40
20
Fonte: Ministero del Tesoro
(1) dati previsionali
Gen '99
Nov '98
Ott '98
Set
Erogazioni
Mar '99 (1)
Concessioni
Ago
Lug
Giu
Mag
Apr
Mar
Feb
Gen '98
Dic
Nov '97
0
Forti di questi progressi, diviene ora possibile volgersi, oltre che alla selezione di
altri patti - un nuovo bando per circa 1000 miliardi è scaduto il 10 aprile - al rafforzamento e alla valorizzazione dei patti esistenti: attraverso la loro “messa in rete”, con
la circolazione e la replica delle esperienze eccellenti; attraverso il rafforzamento della funzione di servizio dei Soggetti responsabili dei patti; attraverso l’avvio di nuove
iniziative che sfruttino la coesione e le relazioni fiduciarie che il patto ha creato.
9.3. Le politiche per il mercato del lavoro
L’accelerazione della crescita a cui mirano le politiche sopra delineate implica
un forte impatto sul mercato del lavoro: una forte mobilità in entrata e, quindi,
anche in uscita; una domanda di lavoro poco tipizzabile; una elevata incertezza nei
risultati economici e dunque l’offerta di condizioni retributive fortemente legate
al risultato; ecc.. L’insieme di questi fattori richiede politiche espressamente rivolte a questo mercato.
Queste politiche dovranno mirare a favorire la creazione di impresa, migliorare le
convenienze all’impiego della forza lavoro nell’area, aumentare la trasparenza del funzionamento dei meccanismi allocativi tra lavoratori e posti di lavoro, fornire alla forza
lavoro meridionale migliori informazioni e incentivi per la partecipazione all’attività
produttiva.
Nel biennio 1997-99 il Governo ha promosso un piano straordinario per l’occupazione temporanea di giovani disoccupati, finanziando 100.000 esperienze lavorative attraverso il sistema delle borse di lavoro nelle PMI, piani di inserimento professionale e lavori di pubblica utilità. Da questo primo passo occorre muovere per favorire esperienze di lavoro regolare e rafforzare così la posizione degli
individui sul mercato.
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In chiave analoga possono essere lette le politiche di creazione di impresa, in
particolare quelle dirette ai giovani che accanto ai finanziamenti forniscono consulenza alla progettazione dell’attività. Queste politiche, da tempo in atto nel
Mezzogiorno (e centrate sul sostegno all’imprenditorialità giovanile e sul cosiddetto “prestito d’onore”), hanno dato risultati circoscritti ma significativi.
Un contributo molto rilevante alla modernizzazione del mercato del lavoro meridionale dovrà venire dal completamento della avviata riforma dei servizi all’impiego. La presenza sul territorio di reti formali (pubbliche e private) per la ricerca di lavoro da parte di individui e imprese, soprattutto in presenza di interventi
di sviluppo che molto cambieranno la geografia delle opportunità di lavoro, è una
necessità. Il trasferimento agli enti locali di competenze in materia di politiche attive del lavoro apre anche la possibilità di avere politiche più mirate alle esigenze
del territorio.
Con il Piano Nazionale dell’Occupazione 1999, in attuazione del processo avviato nel Consiglio Europeo di Lussemburgo, il Governo presenterà un quadro
completo delle sue politiche per l’occupazione, semplificandone notevolmente la
struttura complessiva, e puntando in modo particolare su quelle disposizioni che
maggiormente possono favorire l’incontro fra domanda ed offerta.
Infine, come già ricordato, negli ultimi anni sono gradualmente venute meno
nel Mezzogiorno le politiche di riequilibrio della competitività dell’area basate
sulla fiscalizzazione degli oneri contributivi e sugli sgravi degli oneri sociali.
Questa circostanza pone la questione di una moderazione della dinamica retributiva nel mercato regolare nella fase iniziale del processo di recupero di produttività del Mezzogiorno. Tale questione è particolarmente rilevante in considerazione delle difficoltà che ancora incontra il sistema finanziario nel sostenere lo sviluppo delle imprese meridionali e dunque del ruolo che l’autofinanziamento dovrà svolgere nel sostenere il balzo degli investimenti privati.
10. CONCLUSIONI
Dall’analisi della situazione economica e sociale del Mezzogiorno risulta evidente che è in atto un cambiamento strutturale.
Molte aree e settori presentano ancora aspetti di estrema debolezza: bassi tassi
di attività, elevata disoccupazione, ampia diffusione del lavoro sommerso, elevati
divari di produttività e di reddito pro capite rispetto al resto dell’Europa. Ma la
situazione appare in rapida evoluzione. Segnali di cambiamento arrivano dalla forte crescita delle esportazioni, dalla vivacità dell’imprenditorialità, dalla performance produttiva di alcune aree circoscritte del territorio, da un generale recupero di fiducia sociale. Nel Mezzogiorno aumentano le differenziazioni interne.
Si accentua in prospettiva la divaricazione fra uno scenario negativo e uno scenario positivo. Da un lato, la possibilità di un ulteriore arretramento della periferia-Mezzogiorno con l’uscita da quest’area delle risorse più mobili. Dall’altro la
possibilità di un rapido progresso del Mezzogiorno - con tassi di crescita che entro un triennio potrebbero raggiungere livelli anche doppi di quelli medi europei
- sospinto dal venire meno dei sussidi, dall’accresciuta apertura concorrenziale,
dalla valorizzazione delle risorse immobili presenti nell’area.
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A fare la differenza fra i due scenari può essere solo una strategia che unificando e
rendendo coerenti le politiche “settoriali” - della concorrenza, di miglioramento del
contesto, di promozione locale, del mercato del lavoro, dell’Amministrazione pubblica - dia vita a una politica-missione nazionale; istituzionalmente fondata sul ruolo di supporto del centro e sulla responsabilità programmatica e gestionale in larga
misura concentrata nei governi locali, chiara negli obiettivi quantitativi, ancorata all’avvio di una decisa ed effettiva riorganizzazione delle Amministrazioni e costantemente monitorata.
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