157 Quando 30 anni fa, 47 regioni d`Europa e 9 organizzazioni

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157 Quando 30 anni fa, 47 regioni d`Europa e 9 organizzazioni
o Montrone*dro Montrone
Quando 30 anni fa, 47 regioni d’Europa e 9 organizzazioni internazionali si
ritrovarono a Louvain-la-Neuve per fondare il Consiglio delle Regioni d’Europa (CRE),
difficilmente avrebbero ipotizzato che il regionalismo europeo potesse diventare una
delle lobby più influenti sulla scena dell’Europa unita, che avrebbe conquistato in
breve tempo uno spazio politico così determinante all’interno del processo di
integrazione Europea.
A Goteborg dal 9 al 12 giugno 2015, si è celebrata una tappa importante del nuovo
corso dell’Assemblea delle Regioni d’Europa (ARE), la più ampia rete indipendente
capace di raccogliere l’adesione di oltre 200 Regioni distribuite fra 35 stati e 15
organizzazioni interregionali. L’Assemblea Generale convocata per celebrare i
trent’anni di attività ARE (il CRE diventa l’anno successivo della sua fondazione, ARE),
appare sin da subito l’occasione principale per rilanciare l’operato della rete dandosi
nuovi obiettivi e una nuova struttura per raccogliere le sempre più determinanti sfide
lanciate dalla globalizzazione e da una nuova visione di regionalismo europeo, come
base su cui costruire rapporti per un’Europa sempre più vicina alle esigenze dei
cittadini.
Da statuto, revisionato e approvato durante la tre giorni svedese, si intendono Regioni,
le estensioni territoriali costituzionalmente riconosciute, di ordine immediatamente
successivo alla forma statale. La mission dell’organizzazione europea, riconfermata e
potenziata nell’ultimo programma strategico annuale, punta a rafforzare il principio di
sussidiarietà e di governance multilivello alla base del processo decisionale politico e
quindi promuovere gli interessi regionali a livello nazionale ed europeo. ARE configura
un ruolo guida per le regioni nel rilanciare lo sviluppo politico economico e sociale al
fine di realizzare un’Europa con diversi livelli integrati di proposta politica e processi
decisionali.
In questi 30 anni, più di 300 membri hanno adottato la “Dichiarazione sul regionalismo”
come primo e fondamentale passo, per la promozione del ruolo strategico giocato
dalle regioni nel processo decisionale politico. La Dichiarazione, non solo ha
rappresentato la base di partenza per un patrimonio comune di interazione
* Ricercatore Agenzia Umbria Ricerche.
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interregionale, ma è anche una premessa importante rivolta verso le autorità nazionali,
per impostare una nuova relazione di potere fra organi dello Stato capace di
incrementare la partecipazione politica a tutti i livelli e quindi raggiungere
quell’“Europa di pace e solidarietà” auspicata nel preambolo. La Dichiarazione
rappresenta un testo guida in termini di ridefinizione dei rapporti interistituzionali,
distribuzione delle competenze e relazioni a tutti i livelli di governace orizzontale e
verticale che trova fondamento nel riconoscimento del principio di sussidiarietà nel
trattato di Maastricht del 1991. Oggi, il principio di sussidiarietà è entrato nel
patrimonio linguistico e politico comune (anche grazie alla campagna lanciata dall’ARE
nel 2008 “Subsidiarity is a word”) e la sua progressiva applicazione è al centro nella
valutazione delle politiche che puntano ad una effettiva governance multilivello.
Più recentemente l’ARE ha intrapreso un importante percorso di studio e analisi
sulle dinamiche del regionalismo e le sue evoluzioni in termini di competenze
regionali così da implementare il principio di sussidiarietà che ha portato
all’adozione nel 2009 del nuovo Accordo Quadro per la Democrazia Regionale,
proposto dai ministri europei con delega agli affari regionali, e successivamente
adottato dai Ministri del Consiglio d’Europa. Questa raccolta di diritti e doveri
relativi alle Regioni e i loro rapporti con lo stato centrale ha due funzioni principali,
da una parte si pone come fonte d’inspirazione per gli Stati che hanno intrapreso un
percorso di riforma nella loro ridefinizione amministrativa e al tempo stesso punta
ad agire come insieme di principi e raccomandazioni su cui valutare l’insieme delle
politiche di governance di ogni stato membro.
Costruire un’Europa forte come unione di stati e rafforzare il ruolo delle Regioni
all’interno degli Stati membri sono due obiettivi intrinsecamente legati: se da un lato
l’Europa ha spinto gli Stati membri ad adottare importanti riforme delle Regioni e dei
loro rapporti, dall’altro lato le Regioni costituiscono la base principale su cui costruire
il consenso verso le istituzioni europee (la progressiva riformulazione delle politiche di
coesione e l’utilizzo dei fondi strutturali attraverso i Piani Operativi Regionali, ne sono
un esempio). Ma per questo, è importante che vi sia una chiara redistribuzione dei
poteri e delle competenze per evitare una sovrapposizione fra diversi livelli di
governance e al tempo stesso permettere alle Regioni di esercitare pienamente le loro
responsabilità direttamente nei confronti dei cittadini.
Nella sua azione di lobby, l’ARE ha giocato un ruolo cruciale nell’affermazione di
organi europei consultivi, espressione delle regioni e delle autorità locali presso il
Consiglio d’Europa (il Congresso dei poteri locali e regionali) e presso la Commissione (il
Comitato delle regioni, di cui la Presidente della Regione Umbria è primo vice-presidente);
grazie a queste due istituzioni, le Regioni entrano a pieno titolo del processo
decisionale europeo, sia a livello di Commissione che di Consiglio d’Europa. A questi
due organi si affiancano diverse associazioni d’interesse regionale (come l’ARE) a cui è
necessario assicurare complementarietà e sinergia affinché possa concretizzarsi
l’obiettivo di rafforzare la dimensione regionale in Europa e costruire l’Europa delle
Regioni attraverso sforzi comuni.
Una delle principali conclusioni che si possono trarre da questa Assemblea Generale
dell’ARE, e più in generale dai processi regionalisti in corso in tutto il mondo (il
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referendum sull’indipendenza della Scozia dalla Gran Bretagna e la crisi in Ucraina,
sono solo due fra i principali e più recenti eventi da menzionare), è che il regionalismo
è sempre più in via di sviluppo, anche se non si possono negare le sfide che ancora gli
aspettano. Bisogna sottolineare che, in tanti modi diversi, il regionalismo è divenuto
più dinamico e più rilevante rispetto alle trasformazioni dello stato-nazionale e quindi
capace di interpretare al meglio i molti cambiamenti radicali successi nel mondo nel
corso degli ultimi decenni.
Ciò significa che le regioni continueranno a crescere e promuovere lo sviluppo nel
corso dei prossimi decenni anche se è doveroso rilevare come il futuro del
regionalismo del 21 sec. è molto diverso dalle prospettive delle prime forme di
regionalismo che sono state descritte. Quando si parla del futuro del regionalismo, una
delle questioni principali è quella di comprendere perché alcune regioni crescono in
prosperità mentre altre hanno meno successo in termini di crescita economica e peso
politico.
Uno dei principali accademici in tema di regionalismo, il professore Micheal Keating,
indica come “il nuovo regionalismo guarda avanti ed ha capacità di modernizzare, in
contrasto con il vecchio “provincialismo” che rappresenta la resistenza al
cambiamento e la difesa delle tradizioni”1. Ciò implica, fra le tante cose, che mentre le
vecchie strategie regionaliste spesso erano centrate attorno ad una distribuzione di
distretti industriali e la nascita di poli economici all’interno di una specifica strategia
imposta a livello di stato-centrale, oggi è divenuto chiaro che non esiste un modello
economico regionale unico a cui fare riferimento per la produzione di ricchezza. Il
capitalismo è divenuto bio-capitalismo ed è intrinsecamente legato a diverse
complessità territoriali e quindi assume differenti connotazioni in differenti regioni.
Molti specialisti hanno scritto approfonditamente rispetto ai nuovi approcci al
regionalismo e allo sviluppo regionale, mentre non è stata mai individuata una
possibile origine delle caratteristiche comuni che costituiscono una regione
competitiva e di successo. È stato provato che è ancora più difficile assumere dei
modelli di regionalismo che possano essere replicati in altri contesti. Questo perché il
“nuovo regionalismo” è caratterizzato da una straordinaria complessità e diversità in
cui l’aspetto economico, culturale e politico può essere combinato in modi diversi.
Questa complessità e variazione respinge facili soluzioni e definizioni.
Una caratteristica generale di un modello di successo sembra essere quella in cui le
regioni sono in grado di adattarsi al mutare di circostanze e condizioni di partenza. Se
comparato al vecchio modello di regionalismo, che si realizzava attorno alla relazione
fra Regione come cellula subnazionale e Stato centrale, le nuove forme di regionalismo
spesso si estendono oltre le frontiere dello stato nazionale. E il nuovo regionalismo
riprende in profondità questo solco.
Micheal Keating “The new regionalism in Western Europe: Territorial restructuring and political change” Ed.
E. Elgar Publishing, 1998.
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All’inizio del secolo, Jorgen Gren, accademico svedese, nella sua opera “Reaching the
peripheral Regional growth center”2 conclude che “la regione perfetta è quella in grado di
attuare riforme capaci di adattarsi alle trasformazioni del panorama politico ed
economico in Europa e che con successo riesce a sfruttare le relazioni con lo stato
centrale e con l’UE. Le regioni con minore successo sono quelle meno capaci a
rispondere agli stimoli dello stato centrale e dell’UE”.
Questa prospettiva sembra essere quella più calzante con la “Dichiarazione sul
regionalismo in Europa” adottata dall’ARE nel 2008. Un passaggio chiave di questa
dichiarazione, sentenzia che “All’interno dell’Unione europea, ma anche al di fuori, il
movimento a favore del regionalismo è potente ed alimentato dalla convinzione
secondo la quale le competenze dell’Unione europea, degli Stati (membri) e delle
Regioni sono complementari”. Per quanto possa apparire banale, questo concetto ha
delle implicazioni lontanissime. Bisogna evidenziare due riflessioni generali su questo
punto, la prima sulla relazione fra regioni e stato centrale, mentre la seconda ha a che
fare con la dimensione internazionale e transnazionale che possono avere le regioni.
Sul primo punto, le regioni non dovrebbero replicare o imitare lo stato centrale, o
cercare di diventare un nuovo tipo di regione-stato, che compete con lo stato centrale.
In questo caso, non pochi conflitti di attribuzione sorgerebbero nei loro rapporti,
mentre entrambi hanno bisogno l’un dell’altro ed entrambi potranno prosperare solo
se vi è un mutuo riconoscimento di ruoli differenti e complementari in un livello
ancora più ampio di governance multilivello, centrata su rapporti regionali, nazionali e
sovranazionali.
Il mondo accademico ha cominciato ad elaborare teorie e modelli piuttosto influenti di
governance multilivello. Il punto principale, essenzialmente elaborato a partire dal
trattato di Lisbona, è che l’autorità è diffusa su più livelli e la governance non può
funzionare se non in sistema con tutti i livelli. Questa considerazione supera il
principio di sussidiarietà così come è stato concepito a partire dagli anni ’90. Al di là
delle diverse interpretazioni a cui si presta la sussidiarietà, essa spesso tende a favorire
un particolare livello di governance, solitamente quello più basso fra Stato e Regione,
piuttosto che l’interazione di governance su livelli multipli che implica necessariamente
una moltitudine di soggetti, pubblici, privati e del terzo settore, in grado di cooperare
all’interno di un sistema che vede lo stato centrale perdere sempre più prerogative. Un
modello così dinamico, non solo supera la sussidiarietà così come l’abbiamo
conosciuta, ma si estende ad un tipo di interazione più complesso, sia dentro lo stato
centrale che fuori, puntando a relazioni proprie su scala europea ed internazionale. Da
questo punto di vista, la governance multilivello è molto più rilevante ed efficiente che
la sussidiarietà/decentralizzazione nel fornire soluzioni alle grandi sfide della
globalizzazione che regioni, stati e società stanno fronteggiando come, a puro titolo
esemplificativo, il cambiamento climatico, lo sviluppo economico, la disoccupazione e
le migrazioni.
Jorgen Gren “Reaching the peripheral Regional growth center. Centre-periphery convergence through the
Structural Funds’ transport infrastructure actions and the evolution of the centre-periphery paradigm” Ed.
European Journal of Spatial Development ISSN 1650-9544 - Gennaio 2003-no3.
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Riguardo alla dimensione transnazionale, l’ARE è sicuramente il risultato che contatti
internazionali e transfrontalieri sono diventati profondamente istituzionalizzati
all’interno delle Regioni d’Europa. Nel passato, lo stato centrale controllava i contatti
diplomatici internazionali e di essi era il solo referente. In una certa misura, lo stato
centrale oggi li controlla ancora, tuttavia vi è una crescente tendenza in cui Regioni
sviluppano i loro contatti internazionali autonomamente e si trovano impegnati in
quella che oggi viene definita paradiplomazia - la politica estera dei governi
subnazionali.
L’assemblea straordinaria di Goteborg è stata anche l’occasione per lo svolgimento del
forum annuale del programma Eurodyssèe, il programma forse di maggiore successo
promosso dall’ARE sin dalla sua fondazione e di cui la regione Umbria è partner attivo
dal 2012. In particolare, il passaggio di consegne del segretariato generale dall’Ile de
France alla regione rumena di Timis, è stato sottolineato da un’importante relazione di
fine mandato fornita del segretario uscente Rui Betancourt sull’impatto del
programma rispetto al quadro desolante relativo alla grave situazione di
disoccupazione giovanile che l’Europa sta vivendo.
L’assenza di lavoro (o un lavoro precario o sottopagato) non costituisce di per sé un
mero dato statistico su cui è possibile ragionare in termini di macropolitiche ed
interventi. La situazione più drammatica la si evince se, al di là dei numeri, l’attenzione
si concentra sulla dimensione umana, sull’assenza di prospettive o di progetti di vita di
una grande massa di cittadini che si rivolge all’azione pubblica, impossibilitata ad
offrire soluzioni soddisfacenti di lungo periodo. Il rischio sociale è enorme se si
considera che il fenomeno non è più limitato ad una sola generazione di cittadini, ma
riguarda ormai strati sempre più estesi di società senza alcuna distinzione
generazionale. Una massa che, nella ricerca di un proprio spazio personale e
professionale di emancipazione ed affermazione è costretta a cercare lavoro fuori dal
proprio spazio nazionale se non addirittura, europeo.
L’Europa rischia così di perdere il più grande potenziale di cui dispone, tanto più se, in
uno scenario globale sempre più interdipendente, soffre la concorrenza di altre parti
del mondo ben più dinamiche ed attrattive. In pochi anni di crisi economica l’Europa
ha progressivamente perso un patrimonio di diritti e garanzie costruito nel corso di
decenni, ma è proprio in queste difficoltà che l’Europa, nel suo insieme, ha il dovere
di trovare una strada di riscatto per tutti. La convinzione del Segretario uscente è che il
problema della disoccupazione, in particolare quella giovanile, potrà essere affrontato
attraverso una determinata azione collettiva che non può essere limitata al livello di
istituzioni centrali, ma richiede uno sforzo sinergico in cui le Regioni possono e
devono giocare un ruolo strategico.
Lo scenario è tanto più complesso se la disoccupazione giovanile viene interpretata su
base regionale, in cui si possono riscontrare grandi differenze sui tassi che vanno dal
6% di alcune regioni della Germania, Svezia o Danimarca al 58% di altre regioni di
Portogallo, Grecia e Spagna3. Queste percentuali sono inoltre condizionate da
differenti modelli di assistenza pubblica, diversi salari, politiche di contrasto alla
3
Database EUROSTAT “Regional Statistics by NUTS Classification”.
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discontinuità di reddito, tutele e diritti ecc.. e le variazioni, oltre a confermare la teoria
che è impossibile ipotizzare un modello unico replicabile in diversi contesti,
esprimono maggiormente il rischio di una rottura della coesione sociale in Europa.
L’assemblea ARE, sebbene non abbia competenze dirette nella definizione di
interventi politici, può tuttavia esercitare con determinazione la sua azione di lobby a
livello nazionale ed europeo. Soprattutto se riesce a proporre indicazioni
programmatiche in grado di utilizzare in maniera sinergica le risorse finanziarie
disponibili. Da queste prospettive e dagli interventi strutturali di lungo periodo che
possono essere messi in campo, dipende la fiducia che un’intera generazione può
riporre nell’idea di Europa.
Nella programmazione comunitaria 2014-20 la lotta alla disoccupazione, la formazione
professionale e la lotta contro l’abbandono scolastico, sono temi centrali, tuttavia sono
ancora le profonde differenze nella capacità di creazione di ricchezza che hanno
portato ad un aumento importante del debito pubblico e le diverse situazioni
finanziarie che destabilizzano il quadro comune di riferimento. Le differenze assai
forti nella capacità di qualificazione del capitale umano, evidenziano tendenze invertite
in cui la bassa qualifica professionale ha più facilità di inserimento lavorativo
nell’attuale mercato del lavoro e ciò ha ricadute considerevoli nella scarsa propensione
all’innovazione e alla gestione degli apparati produttivi in ogni paese.
Più concretamente, se si tiene conto di quanto stabilisce l’Organizzazione
Internazionale per il Lavoro, ci sono 14 milioni di giovani (15-29 anni) in Europa che
non studiano e non lavorano, i cosiddetti NEET (Not in Employed Educational
Training) e il loro impatto sociale sull’economia, rappresenta il 1,2% del PIL dell’UE4.
Ancora una volta dietro questi numeri si nasconde una grande diversificazione
geografica e le regioni devono avere un ruolo appropriato non soltanto perché sono
più vicine a tutte le dimostrazioni dirette dei problemi da parte dei cittadini ma anche
perché possono essere i soggetti istituzionali più dinamici e con una propria dotazione
finanziaria, capaci quindi di agire in maniera concreta e di sistema su i diversi fronti:
quello educativo, della formazione professionale, della ricerca attiva di lavoro, nel
sostegno all’autoimpiego e alla creazione d’impresa e non ultimo, la capacità di
rafforzare i meccanismi di transizione verso il lavoro attraverso gli stage professionali.
In riferimento alla possibilità di far convergere le risorse disponibili di programmi
comunitari e/o nazionali in percorsi integrati di qualificazione del capitale umano ed
inserimento lavorativo, è all’ordine del giorno la discussione attorno alla modalità
d’attuazione del piano europeo denominato “Youth Guarantee”. Il forum Eurodyssèe, è
stata quindi l’occasione per la Regione Umbria di proporre una propria modalità
d’attuazione per quanto riguarda la misura 5 del piano esecutivo regionale Garanzia
Giovani in particolare, per quanto riguarda lo svolgimento di tirocini in mobilità
internazionale. Tale proposta, si inserisce in un contesto generale in cui le Regioni
possono esercitare un nuovo protagonismo legato alla capacità di offrire soluzioni
immediate e concrete di contrasto alla disoccupazione giovanile, ma al tempo stesso,
propone un modello specifico sull’utilizzo sinergico dei fondi europei indirizzato al
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“Global employment trends for youth 2013: a generation at risk” Ed International Labour Organisation, 2014.
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potenziamento dell’apprendimento on-the-job e all’ottimizzazione delle scarse risorse
finanziarie disponibili.
Come punto di riferimento, è necessario partire dai risultati ottenuti dalla Regione
Umbria nei suoi primi tre anni di operatività del programma Eurodysséee. Il segretario
generale Eurodyssée, ha sottolineato pubblicamente gli importanti risultati ottenuti in
termini di scambi realizzati, che collocano la Regione Umbria fra le prime 10 regioni
soprattutto in considerazione del breve periodo di operatività del programma (201315). La Regione, in base alla dotazione finanziaria originaria, è riuscita a realizzare il
numero massimo di scambi in entrata che, in base al principio di reciprocità fra le
regioni che regola il funzionamento dell’intero programma, ha garantito la massima
disponibilità in uscita, ovvero di giovani umbri fra 18 e 32 anni che sono
effettivamente partiti per un tirocinio professionale retribuito all’estero. Tuttavia,
nonostante questi importanti risultati, non è stato possibile rispondere pienamente alla
domanda complessiva di quanti hanno presentato la loro candidatura per realizzare
uno stage all’estero.
Graf. 1 - Regioni d’accoglienza - Tirocinanti ospitati. Dati ufficiali presentati dal Segretariato
Generale del programma Eurodyssée relativi al periodo gennaio 2013 - giugno 2015
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Graf. 2 - Regioni di partenza - Tirocinanti inviati all’estero. Dati ufficiali presentati dal
Segretariato Generale del programma Eurodyssée relativi al periodo gennaio 2013 - giugno 2015
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Graf. 3 - Titolo di studio beneficiari umbri del programma Eurodyssée. Dati ufficiali
presentati dal Segretariato Generale del programma Eurodyssée relativi al periodo
gennaio 2013 - giugno 2015
66%
22%
4%
3%
4%
Istruzione secondaria superiore (4%)
Formazione professionale (4%)
Laurea triennale (22%)
Laurea Magistrale (66%)
Dottorato (3%)
I giovani umbri beneficiari del programma si caratterizzano per avere un elevato livello
d’struzione, circa il 90% del totale possiede almeno il titolo di laurea triennale, magistrale
se non addirittura il dottorato. Tuttavia i dati proposti durante il forum non tengono
conto di coloro che presentano la propria candidatura e non vengono selezionati
dall’ente ospitante. Le motivazioni alla base sono molteplici, anche se riconducibili al
sistema di selezione che pone il giovane in “concorrenza” con altri giovani provenienti
da altre regioni d’Europa che possono essere più qualificati sia dal punto di vista del
background accademico che delle precedenti esperienze professionali conseguite o delle
competenze linguistiche. Per quanto i coordinatori del programma delle diverse regioni
cerchino sempre di ottimizzare l’incontro fra domanda e offerta di tirocinio in sede di
colloquio orientativo, bisogna sempre considerare che la decisione finale spetta sempre
all’ente ospitante i cui parametri decisionali, sono comunque orientati a privilegiare il
giovane con maggiore esperienza pregressa. Queste premesse conducono alla
conclusione che il candidato giovane, con un titolo di studio più basso ha considerevoli
minori opportunità di beneficiare del programma. Se incrociamo questi dati con quelli
relativi all’età dei beneficiari umbri, osserviamo come la media sia piuttosto alta (circa 28
anni) anche se in linea con l’acquisizione del titolo di studio più elevato. In particolare il
65% del totale ha un’età uguale o maggiore a 28 anni al momento della partenza, mentre
solo il 5% ne ha meno di 23.
Graf. 4 - Età beneficiari umbri del programma Eurodyssée al momento della partenza.
Dati ufficiali presentati dal Segretariato Generale del programma Eurodyssée relativi al
periodo gennaio 2013 - giugno 2015
20%
18%
15%
13%
15%
13%
10%
12%
10%
5%
7%
1%
1%
21
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3%
1%
3%
0%
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28
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30
31
32
I dati relativa all’età e al titolo di studio permetto un’importante riflessione sul
principale target di riferimento del programma operativo regionale “Garanzia
Giovani”, destinato ai giovani NEET di età compresa fra 18 e 29 anni. Il modello
proposto dall’Agenzia Umbria Ricerche al forum e alla Regione Umbria consiste
nell’affiancare al ben più che rodato programma Eurodyssée tirocini internazionali
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attraverso la misura 5 del programma Regionale “Garanzia Giovani” ovvero non
replicare lo stesso intervento ma differenziare le azioni internazionali disponibili in
base all’età, alla qualifica professionale e soprattutto il processo di reclutamento.
Questo potrà essere realizzato attraverso la stipula di appositi accordi bilaterali di
collaborazione con alcune regioni già aderenti alla rete del programma Eurodyssèe, in
continuità con quel processo embrionale di paradiplomazia già avviato nel quadro di un
nuovo regionalismo. Tali regioni saranno identificate in base all’adesione comune al principio
di reciprocità (quanti giovani, la Regione Umbria, è in grado di inviare in una regione
all’estero, tanti dovrà essere in grado di accoglierne presso enti ospitanti con sede legale nel
territorio regionale), la lingua del paese ospitante in corrispondenza alle lingue più parlate dai
tirocinanti umbri all’estero (francese, spagnolo e inglese) e la differenziazione degli stage in
base ad un livello di qualifica più o meno elevato e a seconda del titolo di studio.
L’aspetto più importante insiste sul processo di selezione e matching. I tirocini proposti
dall’estero infatti, non prevedono lo stesso sistema di selezione di Eurodyssèe in cui il
giovane è in “competizione” con altri giovani provenienti da altre regioni europee, ma
saranno destinati ai soli beneficiari umbri della misura 5 ovvero, i giovani potranno
opzionare lo stage più adatto al loro profilo, proposto dalla Regione ospitante. In questa
maniera la regione Umbria può richiedere alla Regione ospitante la selezione di enti
ospitanti con caratteristiche diversificate e gli stage saranno orientati ad assecondare la
domanda della fascia d’età 18-29 anni che risulta più penalizzata con Eurodyssée. Il
programma promosso dall’ARE continuerà invece a svolgere un importante ruolo di
scambio, potendo concentrare risorse finanziarie ad esso destinate sulla fascia d’età 2932 anni che già oggi rappresenta quella con maggiori possibilità di selezione.
Le maggiori dotazioni finanziarie che potrebbero derivare attraverso una
segmentazione del target di riferimento dei due programmi e l’ottimizzazione del
processo di selezione in grado di offrire maggiori garanzie di successo ai giovani con
esperienza curriculare in consolidamento, permetterà di soddisfare un numero
crescente di richieste di partecipazione a programmi di mobilità internazionale di
qualità, che offrono un percorso garantito di acquisizione di competenze professionali,
capacità linguistiche, nonché la conoscenza di un panorama culturale diverso offerto
dalle regioni ospitanti all’estero.
Riferimenti bibliografici
Micheal Keating
1998
“The new regionalism in Western Europe: Territorial restructuring and political
change” Ed. E. Elgar Publishing, 1998.
Jorgen Gren
2003
“Reaching the peripheral Regional growth center. Centre-periphery convergence
through the Structural Funds’ transport infrastructure actions and the evolution of
the centre-periphery paradigm” Ed. European Journal of Spatial Development ISSN
1650-9544 - Gennaio 2003-no3.
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