Pagine da MAGGIO ITALIA-6
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Pagine da MAGGIO ITALIA-6
MAGGIO MARIANO e festa della mamma (13 maggio) Nel ricordo e nella preghiera i volti delle due Mamme di Pierluigi Menato o ricordo ancora. È stata per me una pugnalata al cuore vedere - il 15 ottobre per televisione e il giorno dopo sui giornali - la statua della Madonna sottratta da un gruppo di black bloc indemoniato e incappucciato nella chiesetta dei Santi Pietro e Marcellino in pieno centro a Roma e sfracellata su un marciapiedi. Era rimasto intatto solo il volto dolcissimo della Vergine, che mi ritorna in mente spesso e associo a tre poesie mariane che ripeto volentieri (foto sotto). La prima è del poeta romano Sergio Corazzini (1886-1907), oggi del tutto dimenticato perché “decadente” - si dice - ma con una delicata vena d’amore e di fede. Eccone alcuni versi: «Distinguo a pena la Madonna, ha immoti / gli occhi lucidi come lame, come / le sette spade che le stanno in cuore; / intorno, un po’ d’argento luce: i voti / degli umili, dei buoni senza nome / ch’ebbero ancora fede nel dolore». Sarà capitata a tutti questa esperienza, quella cioè, di varcare la soglia di una chiesa e di passare dalla luce esterna della strada alla penombra improvvisa, striata solo dal baluginare di qualche cero. Ed ecco profilarsi lentamente un volto, quello di L 10 un dipinto o di un’icona o di una statua, un viso femminile dagli occhi fissi che puntano sul fedele. La devozione popolare secolare ha costellato le nostre chiese di questa presenza mariana e non ha fatto mai mancare davanti a essa il segno di luce di una candela, gli argenti degli ex voto, il colore dei fiori ma soprattutto il respiro silenzioso di una preghiera. Alla Madre di Cristo accorrono soprattutto i malati, gli infelici, gli abbandonati, «i buoni senza nome», non gli orgogliosi, i potenti, i gaudenti. Davanti a lei i semplici aprono il loro cuore perché sanno che una madre capisce e non abbandona. E se ne vanno, forse non guariti e liberati, ma certamente sereni e in pace. La seconda poesia mariana è di Giovanni Rossin (1922-2004), sacerdote della diocesi di Padova, insegnante di lettere e preside nel Seminario Minore, grande poeta, prevalentemente dialettale (ma anche in italiano e latino). Io la so a memoria, da quanto l’ho letta e riletta. Si intitola Le do Mame - Le due Mamme e ve la propongo prima in dialetto veneto e poi in italiano: «Co’ vien l’aniversario, vao sol monte / e porto zò par ela el pí bel fiore. / A metà strada, pena passà on ponte, gh’è na ceseta, verta tute le ore. / Drento ghe sta na tela, là de fronte, / bela che mai, creà da un brao pitore. / La ghe someja tuta. E mi, a man zonte, / la vardo on toco e me se slarga el core. / “Sito me mama o sito la Madona?” / Verzi on momento i oci, che mi veda / con chi de valtre do me son sbalià. / Te jeri cussí dolse... cussí bona... / Ma no, tienli sarà, lassa che creda; / una sola par mi sí deventà». «Quando viene l’anniversario, vado sul monte / e porto giú per lei il piú bel fiore. / A mezza strada, appena passato un ponte, / c’è una chiesetta aperta tutte le ore. Dentro ci sta una tela, lí di fronte, / bella quanto mai, creata da un bravo pittore. / Le assomiglia tutta. Ed io a mani giunte / la guardo un pezzo e mi si allarga il cuore. “Sei mia mamma o sei la Madonna?” / Apri un momento gli occhi, che io veda / con chi di voi due mi sono sbagliato. Eri cosí dolce, cosí buona... / Ma no, tienili chiusi, lascia che io creda: / una sola per me siete diventate». La terza poesia è di don Divo Barsotti, morto nel 2006, poeta e scrittore mistico. È tratta dalla raccolta La parola è silenzio (1985). Alcuni versi oranti: «Sei mia madre che pietosa mi accogli, / sei una sposa che a sé mi rapisce. / Non vedo anch’io che te. / In te io vivo; vivo di te come un figlio / che si nutre al tuo seno. / Mi nutre, o Vergine, la tua luce, la tua pura bellezza. / Nulla ho da chiederti: mi basta / che rimanga per me la tua visione». È il figlio che sente la necessità di una madre che ti dà dolcezza e bellezza, tenerezza e serenità. Su una frase vorrei che cadesse l’attenzione: «nulla ho da chiederti». A una madre non c’è bisogno che il figlio esponga i suoi desideri perché i suoi occhi già parlano, e una mamma già intuisce la domanda e soprattutto sa che cosa è bene per il figlio al di là delle sue convinzioni immediate. Anche Cristo ci aveva ricordato che se a un padre chiediamo un pane non ci dà un sasso, né uno scorpione se gli domandiamo un uovo. Dovremmo, allora, ritrovare una virtú tanto ferita in un tempo di sospetti e di inganni com’è il nostro, ossia la fiducia. Piú che moltiplicare richieste, oggi entriamo nella quiete pomeridiana di una chiesa e fissiamo gli occhi in quel volto, forse abbozzato in modo ingenuo, ma segno di una maternità che, attraverso quel Figlio supremo, si estende a tutti i figli dell’uomo. Basterà quello sguardo per ritrovare pace e luce. ●