Seminario 20 novembre 2015 1. Droga parlata. Il termine, di rara

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Seminario 20 novembre 2015 1. Droga parlata. Il termine, di rara
Seminario 20 novembre 2015
1. Droga parlata. Il termine, di rara lessicale bruttezza, origina dal principio, affermato da oltre un
ventennio, per cui la responsabilità per reati in materia di stupefacenti non richiede il materiale
rinvenimento della sostanza ma può essere aliunde affermata; nonostante opinioni dottrinali in
senso contrario, inclini a rivisitare anche l’applicazione del principio consensualistico e a
riaffermare la necessità della materiale traditio, la SC è costante nell’affermare che In tema di
stupefacenti, il reato di detenzione a fini di spaccio o quello di spaccio non sono condizionati, sotto
il profilo probatorio, al sequestro o al rinvenimento di sostanze stupefacenti, poiché la
consumazione di tali reati può essere dimostrata attraverso le risultanze di altre fonti probatorie
(quali, come nella specie, il contenuto delle intercettazioni). Sez. 4, Sentenza n. 46299 del
28/10/2005 Secchi.
Le intercettazioni, dunque, possono costituire prova del fatto storio anche nella sede di merito, sia
nel rito ordinario sia, a più forte ragione, nel rito a prova contratta, laddove, come noto, è
pienatemente utilizzabile il contenuto probatorio dei c.d. brogliacci di ascolto della p.g.
Il rito abbreviato costituisce ormai il rito ordinario cautelare, ed è lo strumento di definizione
processuale pressochè elettivo per i reati in tema di stupefacenti.
2. Qualche annotazione preliminare di ordine processuale.
Non sono molti gli anni passati da quanto la sorte dei processi poteva essere affidata al rilievo di
inutilizzabilità di tipo patologico (processi appesi a ….un filo) , quindi deducibili anche in sede di
giudizio abbreviato, fondate su violazioni della legge processuale in materia di intercettazioni (art.
268 c. 1 e 3, 270 c.p.p.): legittimità del ricorso ad impianti esterni , alla remotizzazione, alla
procedura di instradamento utilizzata al posto della rogatoria, alla motivazione dei decreti
autorizzativi.
Fortunatamente - dico ciò perché, le condizioni nelle quali ha luogo la limitazione di un diritto
costituzionalmente inviolabile sono ricondotte all’alveo della fisiologia normativa secondo
l’interpretazione, condivisibile o meno, data dal giudice della nomofilachia - di tali questione
resta soltanto una traccia mnestica, dal momento che i processi non si giocano più sulle condizioni
di utilizzabilità delle intercettazioni ma sull’interpretazione del loro contenuto.
Tuttavia, è chiaro che la scelta del rito alternativo preclude il rilievo di tutte quelle invalidità
diverse dalla inutilizzabilità nella sua declinazione patologica e dalla nulità assolute, così, ad es. a)
la nullità conseguente al mancato rilascio di copia dei supporti delle registrazioni da parte del P.M.
(Cass. Sez. V 2.7.2013, Cavaliere); b) la nullità conseguente alla mancata notifica dell’avviso di
deposito degli atti concernenti le intercettazioni (Cass. Sez. II 16.4.2013, Avallone); c) la nullità
derivante dall’omesso deposito dei supporti informatici (Cas. Sez. VI 15.12.2011, Bianco); d) la
nullità, generale ma non assoluta, derivante dal diniego opposto all’imputato di accedere all’ascolto
del supporto informatico che racchiude una conversazione (Cass. Sez. I 18.12.2013, Cinà).
Un altro profilo preliminare riguarda la riferibilità delle conversazioni a determinati soggetti,
operazione destinata ad assumere rilievo decisivo proprio laddove la comunicazione verbale
costitusica e racchiuda la prova del fatto illecito, in un contesto, sappiamo, in cui l’evoluzione della
telefonia ha reso sempre più frequenti i casi in cui l’utilizzatore non coincide col titolare
dell’utenza.
Il fatto che siano sempre più rare le richieste di perizia o saggio fonico mi porta a concludere che il
lavoro di norma svolto dalla p.g. sotto questo profilo sia soddisfacente.
In via di principio, l’ incertezza sulla riferibilità di una o più conversazioni ad un determinato
soggetto potrrebbe costiuire oggetto di richiesta di giudizio abbreviato condizionato ex art. 438 c. 5
c.p.p. . Certo al difensore incomberà di allegare elementi dai quali poter desumere l’esistenza di
profili di dubbio sul punto: ciò, tuttavia, senza essere certeo del risultato, dal momento che, come
noto, la contestazione dell’identificazione delle persone colloquianti non impone al giudice
l’obbligo di una perizia fonica, ben potendo il giudice trarre il convincimento altrove, come ad
esempio dalle indicazioni della p.g. che ha eseguito gli ascolti (da ultimo Cass. VI 3.10.2013,
Amato).
3. Le intercettazioni possono rilevare
per la prova del fatto illecito;
per la prova del reato associativo
come strumento per il rinvenimento della sostanza
per la prova della natura della sostanza
per la prova dell’aggravante dell’ingente quantità.
Quanto detto in materia cautelare vale ovviamente per il rito abbreviato, con la dovuta avvertenza –
non trascurabile –che cambiano le regole di giudizio e la probabile identità del materiale probatorio
pressochè identico rispetto a quello che ha formato oggetto di valutazione in sede cautelare, non
potrà sottrarre il giudice ad un vaglio critico ancora più rigoroso.
Si afferma che le intercettazioni possono costituire mezzo di prova anche per l’accertamento del
reato associativo, (Cass, Sez. III 11.2.2015, Nava “In tema di stupefacenti, l'esistenza di una
associazione finalizzata al traffico di stupefacenti può essere desunta anche dal contenuto delle
conversazioni intercettate qualora il loro tenore sia sintomatico dell'organizzazione di una attività
illecita e, nel caso in cui ai dialoghi captati non abbia fatto seguito alcun sequestro,
l'identificazione degli acquirenti finali, l'accertamento di trasferimenti in denaro o altra indagine di
riscontro e controllo, il giudice di merito, al fine di affermare la responsabilità degli imputati, è
gravato da un onere di rigorosa motivazione, in particolare con riferimento alle modalità con le
quali è risalito alle diverse qualità e tipologie della droga movimentata). In realtà, la massima non
riflette probabilmente del tutto compiutamente l’incedere motivazionale, che fonda l’annullamento
sul fatto che nessuno si è preso la briga di psiegare da dove avesse tratto il convincimento che
l’associazione trattasse diversi tipi di stupefacente, quando, nonostante le intercettazioni, non si era
proceduto ad alcun sequestro o all’identificazione degli acquirenti finali. In ogni caso, il principio
affermato non sembra del tutto eterodosso, posto che il fatto che la prova dell’esistenza
dell’associazione è fatta dipndente dai reati fine è solo una delle modalità di accertamento della
struttura associativa, che potrebbe esister anche in difetto del reperimento materiale della sostanza.
Le intercettazioni possono anche acquisire rilievo come strumento per il rinvenimento della
sostanza:in questo caso è evidente che la loro rilevanza dimostrativa ne verrà fortemente
ridimensionata, costituendo il rinvenimento della sostanza elemento formidabile riscontro delle
significato indiziante delle conversazioni,
e circoscritta al profilo – peraltro non del tutto
trascurabile - della perimetrazione dei soggetti coinvolti nella vicenda.
Come prova della natura della sostanza. (Cass. Sez. V 4.111.2010, Moltoni) . Si tratta
dell’espressione del principio più generale secondo il quale la prova della natura della sostanza
stupefacente non richiede necessariamente l’accertamento peritale, potendo desumersi anche da
altri elementi. Il problema si sposta semmai sulla individuazione dei criteri diagnostici per
l’accertamento della tipologia della sostanza trattata.
Come prova dell’aggravante dell’ingente quantità.
La vicenda è piuttosto articolata. In un primo momento si escluse che l’aggravante potesse essere
provata mediante lo strumento captatorio (Sez. 6, Sentenza n. 1870 del 16/10/2008
Ud. (dep. 19/01/2009 ) Rv. 242637 : Grieco. P.M. Cedrangolo O. “La verifica della sussistenza
della corrispondente aggravante non può prescindere da una valutazione ponderata della quantità e
della qualità della sostanza stupefacente, con riferimento al principio attivo in essa contenuto e agli
effetti negativi sull'integrità della salute di un rilevante numero di potenziali consumatori”).
Tale principio è stato tuttavia superato da altro apparentemente contrario che, pur nel mutato
contesto interpretativo derivante dall’arresto del 2012 delle Sezioni Unite che hanno indicato
quale esclusivo criterio ai fini del riconoscimento dell'aggravante quello, "estrinseco e oggettivo",
della elevata quantità della sostanza stupefacente trattato . Orbene, si è sostenuto che il nuovo
criterio, collegato com'è all'entità del principio attivo rapportato al dato ponderale, non induce,
tuttavia, a escludere che l'elemento dell'ingente quantità sia configurabile anche in difetto di
sequestro della sostanza, quando si riscontrino elementi certi (si pensi alle indicazioni relative ai
proventi realizzati o all'entità delle sostanze da taglio utilizzate) che consentano di pervenire per
via indiretta al dato quantitativo. Ragionare in termini differenti indurrebbe, infatti, a negare
aprioristicamente l'applicazione dell'aggravante in parola nei casi di c.d. "droga parlata",
ancorché da emergenze istruttorie inequivoche sia possibile pervenire in via deduttiva alla
determinazione del dato quantitativo. (Cass. Sez. 4, Sentenza n. 46194 del 05/07/2013 Myslihaka
e altri). Resto tuttavia perplesso sui limiti di concreta applicabilità del mezzo intercettivo per
l’applicazione dell’aggravante (ed in effeti, altro intervento della Cass. lo esclude); ciò potrebbe
accadere soltanto in casi limite in cui non solo sia certa non solo la possibilità di ritenere che la res
trattata sia sostanza stupefacente, ma anche quando la stessa sia correlata ad un dato numerico
talmente rilevante da poter ragionevolmente far ritenere che il principio attivo contenuto superi
abbondantemente il limite quantitativo sopra il quale è possibile parlare di aggravante ex art. 80 c.
2 DPR 309/90La decisione proietta qualche effetto anche sull’altro versante, opposto, del confine dei rapporti
tra 1 e 5^ comma, dal momento che proprio la necessità della valutazione ponderata della quantità e
qualità potrebbe indurre ad ampliare ulteriormente (fatti salvi i casi al limite della credibilità
statistica, in cui le conversazioni forniscano precise indicazioni sulle dosi ricavabili) l’ambito di
applicazione de ll’ipotesi autonoma anche al di là di quanto si potrebbe desumere disponendo del
corpo del reato.
Soccorrerebbe, in ogni caso - anche a voler superare l’ostacolo rappresentato dalla scarsa coerenza
con il principio enunciato dall'articolo 417 1 c lett. c) (ma la giurisprudenza è piuttosto
largheggiantre al riguardo : da ultimo Cass. Sez. III 21.5.2014, Caputo: In tema di requisiti del
decreto che dispone il giudizio, la mancata enunciazione dell'ambito spaziale e temporale delle
condotte e degli elementi specificatori dell'oggetto materiale del reato non costituisce vizio di
"insufficiente motivazione" quando sia possibile collocare nel tempo e nello spazio l'episodio
criminoso contestato, anche attraverso il ricorso ad ulteriori elementi e richiami contenuti nel
decreto o, eventualmente, anche in altri atti del processo, così da consentire all'imputato di
conoscere i profili fondamentali del "fatto" che gli viene addebitato. (Fattispecie relativa a plurime
condotte di spaccio di stupefacenti, in cui si lamentava l'omessa indicazione dei giorni esatti e dei
luoghi specifici delle singole cessioni, elementi comunque desumibili dalle dichiarazioni
eteroaccusatorie in atti). - al cospetto di imputazione descrittive della detenzione o dell'acquisto di
quantitativi imprecisati, il principio di favore che, una volta accertato si verta al cospetto di sostanza
stupefacente, vuole che l'assenza del dato materiale si converta, in difetto di elementi di segno
opposto, nella dichiarazione dell'ipotesi più lieve.
4. La valutazione probatoria delle conversazioni telefoniche od ambientale nel giudizio di merito
propone all’interprete il seguente interrogativo.
A quali condizioni si può ritenere affermata, in particolare nel rito a prova contratta, la
responsabilità penale sulla base delle sole intercettazioni telefoniche?
In via generale, viene enunciato il seguente principio:
“ la valutazione dei risultato di prova non richiede l'esistenza di elementi di conferma ma ciò
richiede che il giudice di merito accerti che il significato delle conversazioni intercettate sia
connotato dai caratteri di chiarezza, decifrabilità dei significati, assenza di ambiguità;
insomma la ricostruzione del significato delle conversazioni non deve lasciare margini di dubbio
sul significato complessivo della conversazione. In questo caso ben può il giudice di merito fondare
la sua decisione sul contenuto di tali conversazioni. Se invece la conversazione captata non è
connotata da queste caratteristiche - per es. per l'incompletezza dei colloqui registrati, per la
cattiva qualità dell'intercettazione, per la cripticità del linguaggio usato dagli interlocutori, per la
non sicura decifrabilità del contenuto o per altre ragioni - non per questo si ha un'automatica
trasformazione da prova a indizio ma è il risultato della prova che diviene meno certo con la
conseguente necessità di elementi di conferma che possano eliminare i ragionevoli dubbi esistenti”
(Cass. Sez. VI 3.5.2006 Rispoli, Cass. Sez. IV 25.2.2004, Spadaro).
Di conseguenza, si viene ad affermare che il giudizio di responsabilità in materia di stupefacenti
potrà essere formulato sulla base delle sole intercettazioni telefoniche – che costituiscono fonte
diretta di prova
– laddove le stesse abbiano un significato univocamente confermativo, sia
(secondo cioè i criteri enunciati dall’art. 192 c. 2 c.p.p.) del fatto che oggetto delle conversazioni sia
della determinata natura di una sostanza stupefacente.
In caso contrario, ossia in presenza di uno o più indici che valgono ad indubbiarne il contenuto, o si
disporrà di elementi che valgano a costituire oggettivo riscontro delle conversazioni, o altrimenti
non sarà possibile pervenire ad un giudizio di responsabilità penale.
5. Ciò detto, quali sono i passaggi logico argomentativi che possono fondare un giudizio di
responsabilità penale che soddisfi le condizioni indicate dalla giiuridsprudenza?
1. I dati di conoscenza disponibili e la loro rappresentazione processuale.
2. L’analisi dell’enunciato linguistico che emerge dalle conversazioni ai fini della ricostruzione
della condotta da provare
3. L'identificazione -entro processuale o extraprocessuale - dei dati di conoscenza che rilevano ai
fini della chiave di lettura delle conversazioni
4. L’utilizzo dei criteri diagnostici di rilevanza delle conversazioni
5.1 Il primo ordine di problemi da valutare è una questione di metodo.
Trascuro il problema della moltiplicazione delle conversazioni (uso non ortodosso dell’art. 266?).
Bisogna vedere innanzitutto di cosa si dispone. Disponibilità dei brogliacci e solo raramente, o
comunque non in via esclusiva, delle conversazioni integrali e quindi il primo aspetto che viene in
considerazione è la necessità di valutare se il brogliaccio rifletta correttamente il senso della
conversazione, dato il doppio filtraggio a) dell’interprete ( e anche qui sorvolo sul principio,
spesso negletto della qualità dell’interpretazione, espressamente previsto dalla Direttiva 64/2010)
b) dell’UPG che potrebbe essere portato a dare per scontato un certo dato individualizzante senza
che tuttavia sia stato accertato (ad es. capita che nei brogliacci gli interlocutori siano indicati con il
loro nome, attraverso un percorso di attribuzione dell’identità che non è esplicitato).
In caso di dubbio sarebbe buona regola che il giudice provvedesse all’ascolto diretto delle
conversazioni, ma anche tale evenienza trova un ostacolo insormontabile quando le conversazioni
sono in lingua straniera.
5.2. In materia di intercettazioni telefoniche, l'interpretazione del linguaggio e del contenuto delle
conversazioni costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, e si
sottrae al sindacato di legittimità se tale valutazione è motivata in conformità ai criteri della logica e
delle massime di esperienza.
Sez. 6, Sentenza n. 15396 del 11/12/2007 Ud. (dep. 11/04/2008 ) Rv. 239636
Presidente: Lattanzi G. Estensore: Fidelbo G. Relatore: Fidelbo G. Imputato: Sitzia e altri.
Il fatto che prima gli investigatori poi il pubblico ministero quindi il giudice del merito si trovino di
fronte ad un linguaggio criptico implica la necessità di individuare e poter disporre delle chiavi di
lettura per la decrittazione.
Il secondo profilo richiede di stabilire se la chiave di lettura per la decifrazione del codice
semantico utilizzato nelle intercettazioni debba necessariamente essere rinvenuta in dati di
conoscenza endoprocedimentali o possa invece essere acquisita altrimenti.
Problema della individuazione delle chiavi di lettura: intrinseche al procedimento o acquisibili
mediante ricorso al notorio giudiziale? Sez. VI, 14 luglio 1998, Ingrosso, afferma testualmente «In
tema di valutazione del contenuto di intercettazioni telefoniche, il significato attribuito al
linguaggio criptico utilizzato dagli interlocutori, e la stessa natura convenzionale di esso,
costituiscono valutazioni di merito insindacabili in cassazione. La censura di diritto può riguardare
soltanto la logica della chiave interpretativa. Se ricorrono di frequente termini che non trovano una
spiegazione coerente con il tema del discorso, e invece si spiegano nel contento ipotizzato nella
formulazione dell'accusa, come dimostrato dalla connessione con determinati fatti commessi da
persone che usano gli stessi termini in contesti analoghi, se ne trae ragionevolmente un significato
univoco ed la conseguente affermazione di responsabilità è scevra da vizi.
Ad esempio, se nel corso delle intercettazioni compare l’espressione ‘scatola’ ‘maglione’ e si
accetta attraverso il sequestro eseguito proprio grazie questa attività che un maglione corrisponde a
un etto di cocaina, è del tutto ragionevole ritenere che ogni qualvolta venga utilizzata quella stessa
parola, in un contesto che non suggerisce valori semantici differenti, si possa ritenere provata la
commercializzazione di un eguale quantitativo della stessa sostanza.
Alle stesse conclusioni si può giungere nel caso in cui siano acquisite le dichiarazioni di un
acquirente o comunque di una testimone il quale riferisca che con il termine scatole o maglioni in
quel contesto attinto dall'attività di intercettazione si volesse appunto alludere a quella tipologia di
stupefacente.
6. Il problema sorge quando tali chiave di lettura non sono disponibili e quindi si insinua la
tentazione di decifrare il
metalinguaggio attraverso l'utilizzo di chiavi che non sono
immediatamente fruibili all'interno del procedimento.
Se ad esempio nelle intercettazioni si fa riferimento alle parole ‘bionda’ o ‘bruna’, oppure ad una
locuzione dialettale, o gergale, un'indicazione di tipo geografico, a quali condizioni possiamo dire
che l'utilizzo probatorio di tali espressioni emergente dalle conversazioni assecondi un
ragionamento probatoriamente corretto ?
Normalmente in questi casi vengono evocate le categorie delle massime di esperienza o del fatto
notorio.
Sappiamo che la massima di esperienza si identificano in generalizzazioni empiriche indipendenti
dal caso concreto, fondate su ripetute esperienze ma autonome rispetto alle stesse e tratte, con
procedimento induttivo, dall' esperienza comune, conformemente ad orientamenti diffusi nella
cultura e nel contesto spazio-temporale in cui matura la decisione; sul versante negativo, esse non
possono risolversi in semplici illazioni o in criteri meramente intuitivi o addirittura contrastanti
con conoscenze o parametri riconosciuti e non controversi.
La massima di esperienza quindi è una regola empirica e preesistente al processo e che si crea al di
fuori di questo.
Ad esempio se tra cedente cessionario si registra un dialogo nel quale entrambi fanno riferimento
decontestualizzato al verbo tagliare oppure se, dopo il sequestro e l’arresto di un corriere taluno non legato da alcun vincolo – si offra di fornirgli l’assistenza legale, si potrà ragionevolmente dire
che si è in presenza di dati esperienziali, diversi dalle mere intuizioni soggettive, che ci portano
ritenere, rispettivamente, che i due facessero riferimento a sostanza stupefacente, essendo conforme
a massima di esperienza che la droga viene venduta tagliata per aumentarne il valore finale di
mercato e che l'intercettato avesse uno specifico e non altrimenti giustificato interesse al
compendio illecito oggetto di sequestro.
Il principale problema i chiave probatorio-motivazionale è la loro verificabilità, che, diversamente
dalle leggi scientifiche, è puramente empirica.
La giurisprudenza di legittimità ritiene che “è corretto e legittimo fare ricorso alla verosimiglianza
ed alle massime di esperienza. È tuttavia necessario - affinché il giudizio di verosimiglianza sia
logicamente e giuridicamente accettabile - che si possa escludere plausibilmente ogni alternativa
spiegazione che invalidi l'ipotesi all'apparenza più verosimile . allorquando venga offerto di
provare che ciò che appare simile al vero contrasta con il reale accadimento, quando cioè venga
dedotta una prova avente ad oggetto proprio la falsificazione / validazione, nel caso concreto, della
massima di esperienza, la mancata ammissione della prova non consente di ritenere logicamente
per vero ciò che appare solo verosimile” (Cass. Sez. VI 22.10.2014, Leone).
In sostanza, la Corte dice afferma due principi:
-il primo è che una massima di esperienza è validata (e quindi al dato ad essa sotteso può
riconoscersi attitudine probatoria) quando resiste a spiegazioni alternative;
- il secondo è che il principio del contraddittorio sulla prova esclude che possa ritenersi provato un
fatto storico soltanto perché non è ammessa la prova avente ad oggetto la falsificazione della
massima di esperienza perché quanto dedotto dall’imputato viene ritenuto inverosimile (in sostanza
, io giudice ritengo conforme a massime di esperienza che adoperarsi per l’assistenza legale di un
corriere sia prova della compartecipazione nel fatto criminoso e non ammetto l’imputato a provare
l’ipotesi alternativa falsificativa perchè la ritengo intrisecamente inverosimile);
- infine, non può fondarsi su meri assunti soggettivi del giudice , ossia a mere congettura, che
renderebbero ovviamente viziata la motivazione; ad esempio, una massima di esperienza a
geometria variabile è quella relativa allo svolgimento dell’attività di corriere, magari ovulatore e
della sua responsabilità per la partecipazione all’associazione ex art. 74 . Ora, il fatto che questi
compia diversi viaggi può ragionevolmente fondare un giudizio di responsabilità, dal momento che
è massima di esperienza quella per cui si tende ad affidare queste delicate operazioni di trasporto a
soggetti affidabili; lo stesso ragionamento potrebbe invece fallire se riferito ad una sola spedizione,
dal momento che la massima di esperienza sopra indicata potrebbe fallire nel suo scopo non
resistendo all’ipotesi falsificazionista secondo cui ben potrebbe trattarsi di soggetto del tutto
estraneo alle logiche organizzative, assoldato solo perché incensurato e disposto a correre non
trascurabili rischi.
7. Nel processo di ricostruzione del fatto attraverso il contenuto delle intercettazioni telefoniche ci
si imbatte anche nella nozione di fatto notorio.
Il fatto notorio reputa processualmente noto un accadimento individuale che rientra nelle
conoscenze comuni e quindi come dato di conoscenza acquisito non richiede di essere provato.
Astrattamente il contenuto delle intercettazioni telefoniche potrebbe evocare un triplice profilo
suscettibile di chiamare in causa l'istituto del notorio: il notorio geografico, il notorio gergale e il
notorio relativo al fatto storico o di cronaca.
Pensiamo ad esempio nel primo caso alla riferimento a contesti spaziali tipici di determinati luoghi
dove vengono fissati appuntamenti per la cessione stupefacenti; nel secondo caso all'utilizzo di un
frasario proprio di determinati contesti o ambiti; nel terzo caso a fatti di cronaca.
Il vero problema del ricorso al notorio giudiziale, escluso ovviamente il limite invalicabile della
scienza privata del giudice , consiste nel verificare se sia ammissibile nel procedimento probatorio
considerare la notorietà come attributo di fatti che non assumono la portata di conoscenza generale
ma che si risolvono nella comune conoscenza di una comunità più circoscritta.
Ad esempio il fatto che in un determinato momento a Bologna si siano registrati numerosi casi di
decesso per overdose da assunzione di un determinato tipo di eroina bianca è o non è notorio?; il
fatto che nel contesto gergale l'hashish possa essere definito come ragazza, e la eroina come scura,
ragazza bruna è o non è fatto notorio? E’ un fatto notorio che i cittadini tunisini si collocano nel
segmento terminale della catena distributiva? Si può dire che il termine ‘pantalone’ possa essere
allusivo della sostanza stupefacente solo perché nessuno degli interlocutori ha un negozio di
abbigliamento (fattispecie risolta negativamente da Cass. Sez. III 25.3.2015, Di Bello)?
È ovvio che in questi casi la possibilità di disporre della chiave interpretativa discende dalla
identificazione del contesto più o meno ampio del quale il fatto è patrimonio conoscitivo.
Diversamente , ritenere che quel determinato dato letterale che emerge dalle intercettazioni abbia
significato che pretende l'accusa dovrà essere oggetto di prova che potrà essere data ad esempio,
all'acquisizione della produzione di altri processi, definiti con sentenza passata in giudicato nei
quali si è accertato che quell'espressione aveva quel significato che si assume preteso dall'accusa,
ovvero dall'acquisizione di dati informativi esterni al processo che abbiano capacità dimostrativa
della non contestabilità del fatto, che può divenire quindi notorio.
Quindi, ritornando all’esempio di prima: se nelle intercettazioni compaiono termini espressivi di
una meta linguaggio che si vuole riferito a stupefacente (siano essi allusivi all'abbigliamento o ad
altri oggetti o situazioni) o si dispone di una chiave interpretativa interna al procedimento o
altrimenti la possibilità di utilizzare tali dati semantici in una prospettiva probatoria discenderà
dalle condizioni alle quali si ritiene poter predicare la sussistenza del notorio giudiziale,
diversamente dovendosi ricorrere al principio generale dell'onere probatorio.
8. La la ricerca della chiave di lettura del cripto linguaggio.
E’ noto, sul punto, che “Se ricorrono di frequente termini che non trovano una spiegazione
coerente con il tema del discorso, e invece si spiegano nel contento ipotizzato nella formulazione
dell'accusa, come dimostrato dalla connessione con determinati fatti commessi da persone che
usano gli stessi termini in contesti analoghi, se ne trae ragionevolmente un significato univoco ed
la conseguente affermazione di responsabilità è scevra da vizi (Cass. V 14.7.1997 Ingrosso Cass.
Sez, VI 10.6.05, Patti); ed ancora che “il significato delle conversazioni intercettate deve essere
connotato dai caratteri di chiarezza, decifrabilità dei significati, assenza di ambiguità, di modo che
la ricostruzione del contenuto delle conversazioni non lasci margini di dubbio sul significato
complessivo dei colloqui intercettati; in questo caso, ben potendo il giudice di merito fondare la
sua decisione sul contenuto di tali conversazioni. Ha peraltro chiarito la Corte che se, invece, la
conversazione captata non è connotata da queste caratteristiche - per l'incompletezza dei colloqui
registrati, per la cattiva qualità dell'intercettazione, per la cripticità del linguaggio usato dagli
interlocutori, per la non sicura decifrabilità del suo contenuto o per altre ragioni - non per questo
si ha un' automatica trasformazione da prova a indizio ma è il risultato della prova che diviene
meno certo con la conseguente necessità di elementi di conferma che possano eliminare i
ragionevoli dubbi esistenti” (Sez. 4^, 25 febbraio 2004, Spadaro).
Orbene, la prassi giudiziaria e l’applicazione continuativa di massime di esperienza verificabili
permettono di enucleare alcuni criteri diagnostici che costituiscono momenti chiaramente
rappresentativi del procedimento tipico della cessione di stupefacente, quali
a ) certezza della identificazione dell’autore della conversazione e del suo destinatario;
b) iniziativa della richiesta di incontro da parte di colui cui gli elementi di indagine attribuiscono il
ruolo di acquirente, non di rado artatamente giustificata dalla enunciazione di bisogni, intendimenti
o motivazioni del tutto inconferenti e incongruenti rispetto al reale stato delle cose, dei luoghi, dei
tempi e delle persone;
c) verifica delle rispettive disponibilità (stupefacente quanto al fornitore, denaro quanto
all'acquirente);
d) individuazione del luogo di incontro, spesso coincidente con luoghi già conosciuti dalle due
parte per essere stati teatro di precedenti incontri;
e) identificazione generica, o addirittura solo per cenni o sottintesi, di detto luogo;
f) stretta consequenzialità tra contatto telefonico e incontro programmato;
g) improvvisazione e apparente casualità dell'incontro;
h) conferma, mediante ulteriore contatto telefonico, nella sua prossimità.
i) commenti, o rimostranze dopo l’incontro;
La caratteristica sub a) discende dalla riconducibilità della iniziativa al portatore del bisogno; le
caratteristiche sub b) e c), non sempre compresenti in ragione del diverso grado di dimestichezza tra
gli interlocutori, rispondono alla esigenza di impedire la identificazione del luogo sì da evitare la
predisposizione di appostamenti da parte di eventuali forze di polizia giudiziaria in ascolto; a
caratteristica sub d- e) vale quale seconda linea di difesa, in subordine a quella di cui alle lettere
precedenti: quand'anche eventuali forze di P.G. fossero in grado di individuare il luogo, la
contiguità tra contatto e incontro e dunque la fugacità dello stesso, riducendo i tempi a disposizione
per la predisposizione di un appostamento, costituisce se non sicura, comunque efficace cautela; le
caratteristiche sub f) derivano dal fatto che l'unico legame tra i due interlocutori è proprio quello di
cui non è possibile parlare apertamente e che si ravviva di volta in volta in corrispondenza del
mutevole bisogno del consumatore/acquirente, cioè l'illecita transazione in materia di stupefacenti;
la caratteristica sub g) costituisce il necessario strumento di verifica a fronte di imprevedibili
ritardi.
La caratteristica sub i) è tipica di quelle cessioni in cui l’acquirente manifesta al venditore, in tempi
successivi all’incontro e alla cessione, i suoi apprezzamenti, positivi o negativi, relativi alla sostanza
fornitagli. Tale caratteristica è strumentale all’esigenza dell’acquirente di garantirsi, per le future
transazioni, una qualità migliore dello stupefacente o comunque il rispetto dei patti sulla quantità di
sostanza da acquisire. La presenza di conversazioni di questo tipo dimostra che cessione vi è stata
anche se l’attività di intercettazione non ha consentito di cristallizzare tutte le fasi dello scambio,
laddove, per esempio, i soggetti intercettati si siano avvalsi di strumenti di comunicazione diversi da
quelli sottoposti ad intercettazione. D’altra parte, l’assenza di conversazioni aventi ad oggetto
l’enunciazione delle ragioni per cui non ha avuto luogo l’incontro ben può essere presa a
fondamento della dimostrazione che l’incontro è avvenuto.
Si tratta, a ben vedere di elementi non soltanto dimostrativi di una sequenza negoziale (giacchè
descrivono atti inequivocabilmente preordinati all’incontro di due volontà) , ma anche fortemente
sintomatici della natura illecita dell’attività in corso, poiché il ricorso all’allusione nel suo massimo
grado espressivo sottende la consapevolezza reciproca di trattare argomenti che è necessario non
divulgare nemmeno telefonicamente: in questo senso si comprendono pienamente, ad esempio, le
telefonate nelle quali uno dei due interlocutori rimprovera all’altro l’imprudenza di parlare di
‘certe cose’ per telefono.
Di conseguenza, sul piano storico-descrittivo, logico e giuridico si può ritenere che, in assenza di
elementi di segno contrario, ogni conversazione che presenti in tutto o in parte dette caratteristiche
deve essere ritenuta, salva la esistenza di altri elementi di segno contrario, premessa e prova di una
avvenuta consegna.
In presenza di una attività continuativa di traffico di sostanze stupefacenti protrattasi per un congruo
periodo di tempo con cessioni periodiche e monitorata attraverso servizi di intercettazione di
conversazioni il cui contenuto sia ritenuto, come nella specie, univoco circa l'attività di spaccio, può
legittimamente ritenersi raggiunta la prova della complessiva e continuata attività criminosa quando
siano dimostrate alcune singole cessioni, collegate probatoriamente a quelle contestate, come
quando si acquista allo scopo di cedere, senza necessità di dover riscontrare tutti i singoli episodi di
rifornimento e di successiva cessione, soprattutto al cospetto di fatti della stessa natura e tra loro
avvinti da continuità cronologica ed intercorsi tra le medesime persone (Cass. Sez. III 2.12.2014,
Carrara)
L’assunzione de i criteri diagnosti può avere di solito qualche utilità anche per la valutazione –
sinergica e non necessariamente esclusiva – di conversazioni relative a appuntamenti finalizzati
alla gestione della esposizione debitoria, va evidenziato che esse presentanto di solito le seguenti
caratteristiche:
a) riferimenti più o meno espliciti a situazioni difficili, negative o avverse dell'acquirente;
b) specificazione della natura esclusivamente colloquiale dell'incontro, a prevenzione di eventuali
aspettative del fornitore;
c) prospettazione di circostanze, di solito asseritamente imminenti, risolutive della questione.
Che tali caratteristiche del colloquio valgano a dimostrare la esistenza di un debito da pregresse
forniture di stupefacenti ben si può cogliere non solo, come solitamente accade, grazie al
complessivo contesto quale scaturente da tutte le altre conversazioni, ma anche da sé stesse. E
infatti: quanto alla caratteristica sub a) non vi sarebbe ragione alcuna di comunicare la propria
situazione di insolvibilità se l'individuo non fosse destinatario di pressanti richieste di rientro dal
debito, come avviene in un ambiente ove la garanzia di riscossione risiede esclusivamente nel
rapporto fiduciario cliente/fornitore; quanto alla caratteristica sub b) costituisce corollario della
precedente a funzione maggiormente esplicativa; quanto a quella sub c) costituisce ad un tempo
corollario di quella sub a) sul versante del rapporto fiduciario e manifestazione della dipendenza
del cliente, il quale teme la conseguenza di un diniego alle prossime richieste, nei confronti del
fornitore.
Ultima notazione: colloqui di tal genere sono frequenti anche qualora il cliente non sia
esclusivamente consumatore, ma, in tutto o in parte, sub-fornitore. In tali casi infatti la caratteristica
sub a) appare dettagliata mediante il riferimento, sia pure generico, a terzi individui (i clienti del
sub-fornitore) responsabili, a loro volta, della situazione di difficoltà finanziaria di quest'ultimo.
9. La valutazione del contenuto probatorio delle intercettazioni telefoniche assume infine anche una
connotazione più strettamente soggettiva, funzionale cioè non solo all’accertamento della natura
illecita della res trattata, ma anche alla perimetrazione soggettiva del fatto di reato.
Non è infrequente infatti che le intercettazioni ricostruiscono complesse operazioni di acquisto o
importazione di stupefacenti, che richiedono intuitivamente la disponibilità di molteplici contributi,
ognuno dei quali può costituire fonte di responsabilità a titolo concorsuale (finanziatori, materiali
esecutori del pagamento, del trasporto, della logistica, della successiva distribuzione).
Al riguardo, vale osservare che proprio su questo aspetto assumono una differente rilevanza
probatoria la chiamate in correità che emergano dal contenuto delle conversazioni.
Ciò sulla base di un solido orientamento interpretativo che le sottopone ad una regola valutativa
diversa da quelle rese in contesti dichiarativi.
Si trova infatti a più riprese affermato il principio per cui
“ il contenuto di un'intercettazione, anche quando si risolva in una precisa accusa in danno di
terza persona, indicata come concorrente in un reato alla cui consumazione anche uno degli
interlocutori dichiari di aver partecipato, non è equiparabile alla chiamata in correità e pertanto,
se anch'esso deve essere attentamente interpretato sul piano logico e valutato su quello probatorio,
non è però soggetto, in tale valutazione, ai canoni di cui all'art. 192, comma terzo, cod. proc. pen.
(Cass. Sez. 5, n. 21878 del 26/03/2010, Cavallaro e altro, Rv. 247447; Sez. 4, n. 35860 del
28/09/2006, Della Ventura, Rv. 235020). Ancora, …. le dichiarazioni captate nel corso di attività di
intercettazione regolarmente autorizzata, con le quali un soggetto si autoaccusa della commissione
di reati hanno integrale valenza probatoria, non trovando applicazione al riguardo gli artt. 62 e
63 cod. proc. pen., giacché l'ammissione di circostanze indizianti fatta spontaneamente
dall'indagato nel corso di una conversazione legittimamente intercettata non sono assimilabili alle
dichiarazioni da lui rese dinanzi all'autorità giudiziaria o alla polizia giudiziaria, e le registrazioni
e i verbali delle conversazioni non sono riconducibili alle testimonianze "de relato" su
dichiarazioni dell'indagato, in quanto integrano la riproduzione fonica o scritta delle dichiarazioni
stesse delle quali rendono in modo immediato e senza fraintendimenti il contenuto” (Cass. Sez. VI
2.7.2014, Di Caterino).
Dunque, la rilevanza probatoria delle dichiarazioni captate nel corso dell’attività di intercettazione
si caratterizza per la sottrazione delle stesse alla regola di valutazione dell’art. 192 c. 3 e 4 c.p.p.,
non richiedendo riscontri estrinseci che ne confermino l’attendibilità e alla regola di esclusione
dell’art. 63 quando si tratta di dichiarazioni contra s
Armi parlate?
Resta da vedere se i principi elaborati in materia di stupefacenti possano essere applicati anche in
materia di detenzione e porto abusivo di armi.
In materia di stupefacenti - res in sé illicita nel momento in cui formi oggetto di verifica la
capacità drogante - non si dubita, si è visto, della possibilità di pervenire ad un giudizio di
positivo accertamento del fatto anche a prescindere dal materiale rinvenimento della sostanza e, di
conseguenza, della possibilità del suo esame, ciò sulla base dell’ascolto delle conversazioni
telefoniche o ambientali.
Allo stesso modo, non pare sussistano ragioni ostative all’estensione di tale metodologia
procedimentale anche con riferimento alle armi, nei limiti in cui le caratteristiche morfologiche e
funzionali (tipo, calibro, natura e funzionalità ), possano emergere inequivoche dal’ascolto delle
intercettazioni in presenza di una serie di riscontri diagnostici dati:
- dal riferimento certo alla materiale disponibilità in capo al dichiarante, con ciò escludendosi ogni
millanteria;
- dall’acquisizione di informazioni sul calibro o sul tipo;
- dalle informazioni in merito all’utilizzo passato o futuro, al nascondiglio (dato che implicitamente
segnala la consapevolezza della natura illecita dell’oggetto), agli accorgimenti adottati per il
trasporto.
Alberto Ziroldi