Seminario 20 novembre 2015 1. Droga parlata. Il termine, di rara
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Seminario 20 novembre 2015 1. Droga parlata. Il termine, di rara
Seminario 20 novembre 2015 1. Droga parlata. Il termine, di rara lessicale bruttezza, origina dal principio, affermato da oltre un ventennio, per cui la responsabilità per reati in materia di stupefacenti non richiede il materiale rinvenimento della sostanza ma può essere aliunde affermata; nonostante opinioni dottrinali in senso contrario, inclini a rivisitare anche l’applicazione del principio consensualistico e a riaffermare la necessità della materiale traditio, la SC è costante nell’affermare che In tema di stupefacenti, il reato di detenzione a fini di spaccio o quello di spaccio non sono condizionati, sotto il profilo probatorio, al sequestro o al rinvenimento di sostanze stupefacenti, poiché la consumazione di tali reati può essere dimostrata attraverso le risultanze di altre fonti probatorie (quali, come nella specie, il contenuto delle intercettazioni). Sez. 4, Sentenza n. 46299 del 28/10/2005 Secchi. Le intercettazioni, dunque, possono costituire prova del fatto storio anche nella sede di merito, sia nel rito ordinario sia, a più forte ragione, nel rito a prova contratta, laddove, come noto, è pienatemente utilizzabile il contenuto probatorio dei c.d. brogliacci di ascolto della p.g. Il rito abbreviato costituisce ormai il rito ordinario cautelare, ed è lo strumento di definizione processuale pressochè elettivo per i reati in tema di stupefacenti. 2. Qualche annotazione preliminare di ordine processuale. Non sono molti gli anni passati da quanto la sorte dei processi poteva essere affidata al rilievo di inutilizzabilità di tipo patologico (processi appesi a ….un filo) , quindi deducibili anche in sede di giudizio abbreviato, fondate su violazioni della legge processuale in materia di intercettazioni (art. 268 c. 1 e 3, 270 c.p.p.): legittimità del ricorso ad impianti esterni , alla remotizzazione, alla procedura di instradamento utilizzata al posto della rogatoria, alla motivazione dei decreti autorizzativi. Fortunatamente - dico ciò perché, le condizioni nelle quali ha luogo la limitazione di un diritto costituzionalmente inviolabile sono ricondotte all’alveo della fisiologia normativa secondo l’interpretazione, condivisibile o meno, data dal giudice della nomofilachia - di tali questione resta soltanto una traccia mnestica, dal momento che i processi non si giocano più sulle condizioni di utilizzabilità delle intercettazioni ma sull’interpretazione del loro contenuto. Tuttavia, è chiaro che la scelta del rito alternativo preclude il rilievo di tutte quelle invalidità diverse dalla inutilizzabilità nella sua declinazione patologica e dalla nulità assolute, così, ad es. a) la nullità conseguente al mancato rilascio di copia dei supporti delle registrazioni da parte del P.M. (Cass. Sez. V 2.7.2013, Cavaliere); b) la nullità conseguente alla mancata notifica dell’avviso di deposito degli atti concernenti le intercettazioni (Cass. Sez. II 16.4.2013, Avallone); c) la nullità derivante dall’omesso deposito dei supporti informatici (Cas. Sez. VI 15.12.2011, Bianco); d) la nullità, generale ma non assoluta, derivante dal diniego opposto all’imputato di accedere all’ascolto del supporto informatico che racchiude una conversazione (Cass. Sez. I 18.12.2013, Cinà). Un altro profilo preliminare riguarda la riferibilità delle conversazioni a determinati soggetti, operazione destinata ad assumere rilievo decisivo proprio laddove la comunicazione verbale costitusica e racchiuda la prova del fatto illecito, in un contesto, sappiamo, in cui l’evoluzione della telefonia ha reso sempre più frequenti i casi in cui l’utilizzatore non coincide col titolare dell’utenza. Il fatto che siano sempre più rare le richieste di perizia o saggio fonico mi porta a concludere che il lavoro di norma svolto dalla p.g. sotto questo profilo sia soddisfacente. In via di principio, l’ incertezza sulla riferibilità di una o più conversazioni ad un determinato soggetto potrrebbe costiuire oggetto di richiesta di giudizio abbreviato condizionato ex art. 438 c. 5 c.p.p. . Certo al difensore incomberà di allegare elementi dai quali poter desumere l’esistenza di profili di dubbio sul punto: ciò, tuttavia, senza essere certeo del risultato, dal momento che, come noto, la contestazione dell’identificazione delle persone colloquianti non impone al giudice l’obbligo di una perizia fonica, ben potendo il giudice trarre il convincimento altrove, come ad esempio dalle indicazioni della p.g. che ha eseguito gli ascolti (da ultimo Cass. VI 3.10.2013, Amato). 3. Le intercettazioni possono rilevare per la prova del fatto illecito; per la prova del reato associativo come strumento per il rinvenimento della sostanza per la prova della natura della sostanza per la prova dell’aggravante dell’ingente quantità. Quanto detto in materia cautelare vale ovviamente per il rito abbreviato, con la dovuta avvertenza – non trascurabile –che cambiano le regole di giudizio e la probabile identità del materiale probatorio pressochè identico rispetto a quello che ha formato oggetto di valutazione in sede cautelare, non potrà sottrarre il giudice ad un vaglio critico ancora più rigoroso. Si afferma che le intercettazioni possono costituire mezzo di prova anche per l’accertamento del reato associativo, (Cass, Sez. III 11.2.2015, Nava “In tema di stupefacenti, l'esistenza di una associazione finalizzata al traffico di stupefacenti può essere desunta anche dal contenuto delle conversazioni intercettate qualora il loro tenore sia sintomatico dell'organizzazione di una attività illecita e, nel caso in cui ai dialoghi captati non abbia fatto seguito alcun sequestro, l'identificazione degli acquirenti finali, l'accertamento di trasferimenti in denaro o altra indagine di riscontro e controllo, il giudice di merito, al fine di affermare la responsabilità degli imputati, è gravato da un onere di rigorosa motivazione, in particolare con riferimento alle modalità con le quali è risalito alle diverse qualità e tipologie della droga movimentata). In realtà, la massima non riflette probabilmente del tutto compiutamente l’incedere motivazionale, che fonda l’annullamento sul fatto che nessuno si è preso la briga di psiegare da dove avesse tratto il convincimento che l’associazione trattasse diversi tipi di stupefacente, quando, nonostante le intercettazioni, non si era proceduto ad alcun sequestro o all’identificazione degli acquirenti finali. In ogni caso, il principio affermato non sembra del tutto eterodosso, posto che il fatto che la prova dell’esistenza dell’associazione è fatta dipndente dai reati fine è solo una delle modalità di accertamento della struttura associativa, che potrebbe esister anche in difetto del reperimento materiale della sostanza. Le intercettazioni possono anche acquisire rilievo come strumento per il rinvenimento della sostanza:in questo caso è evidente che la loro rilevanza dimostrativa ne verrà fortemente ridimensionata, costituendo il rinvenimento della sostanza elemento formidabile riscontro delle significato indiziante delle conversazioni, e circoscritta al profilo – peraltro non del tutto trascurabile - della perimetrazione dei soggetti coinvolti nella vicenda. Come prova della natura della sostanza. (Cass. Sez. V 4.111.2010, Moltoni) . Si tratta dell’espressione del principio più generale secondo il quale la prova della natura della sostanza stupefacente non richiede necessariamente l’accertamento peritale, potendo desumersi anche da altri elementi. Il problema si sposta semmai sulla individuazione dei criteri diagnostici per l’accertamento della tipologia della sostanza trattata. Come prova dell’aggravante dell’ingente quantità. La vicenda è piuttosto articolata. In un primo momento si escluse che l’aggravante potesse essere provata mediante lo strumento captatorio (Sez. 6, Sentenza n. 1870 del 16/10/2008 Ud. (dep. 19/01/2009 ) Rv. 242637 : Grieco. P.M. Cedrangolo O. “La verifica della sussistenza della corrispondente aggravante non può prescindere da una valutazione ponderata della quantità e della qualità della sostanza stupefacente, con riferimento al principio attivo in essa contenuto e agli effetti negativi sull'integrità della salute di un rilevante numero di potenziali consumatori”). Tale principio è stato tuttavia superato da altro apparentemente contrario che, pur nel mutato contesto interpretativo derivante dall’arresto del 2012 delle Sezioni Unite che hanno indicato quale esclusivo criterio ai fini del riconoscimento dell'aggravante quello, "estrinseco e oggettivo", della elevata quantità della sostanza stupefacente trattato . Orbene, si è sostenuto che il nuovo criterio, collegato com'è all'entità del principio attivo rapportato al dato ponderale, non induce, tuttavia, a escludere che l'elemento dell'ingente quantità sia configurabile anche in difetto di sequestro della sostanza, quando si riscontrino elementi certi (si pensi alle indicazioni relative ai proventi realizzati o all'entità delle sostanze da taglio utilizzate) che consentano di pervenire per via indiretta al dato quantitativo. Ragionare in termini differenti indurrebbe, infatti, a negare aprioristicamente l'applicazione dell'aggravante in parola nei casi di c.d. "droga parlata", ancorché da emergenze istruttorie inequivoche sia possibile pervenire in via deduttiva alla determinazione del dato quantitativo. (Cass. Sez. 4, Sentenza n. 46194 del 05/07/2013 Myslihaka e altri). Resto tuttavia perplesso sui limiti di concreta applicabilità del mezzo intercettivo per l’applicazione dell’aggravante (ed in effeti, altro intervento della Cass. lo esclude); ciò potrebbe accadere soltanto in casi limite in cui non solo sia certa non solo la possibilità di ritenere che la res trattata sia sostanza stupefacente, ma anche quando la stessa sia correlata ad un dato numerico talmente rilevante da poter ragionevolmente far ritenere che il principio attivo contenuto superi abbondantemente il limite quantitativo sopra il quale è possibile parlare di aggravante ex art. 80 c. 2 DPR 309/90La decisione proietta qualche effetto anche sull’altro versante, opposto, del confine dei rapporti tra 1 e 5^ comma, dal momento che proprio la necessità della valutazione ponderata della quantità e qualità potrebbe indurre ad ampliare ulteriormente (fatti salvi i casi al limite della credibilità statistica, in cui le conversazioni forniscano precise indicazioni sulle dosi ricavabili) l’ambito di applicazione de ll’ipotesi autonoma anche al di là di quanto si potrebbe desumere disponendo del corpo del reato. Soccorrerebbe, in ogni caso - anche a voler superare l’ostacolo rappresentato dalla scarsa coerenza con il principio enunciato dall'articolo 417 1 c lett. c) (ma la giurisprudenza è piuttosto largheggiantre al riguardo : da ultimo Cass. Sez. III 21.5.2014, Caputo: In tema di requisiti del decreto che dispone il giudizio, la mancata enunciazione dell'ambito spaziale e temporale delle condotte e degli elementi specificatori dell'oggetto materiale del reato non costituisce vizio di "insufficiente motivazione" quando sia possibile collocare nel tempo e nello spazio l'episodio criminoso contestato, anche attraverso il ricorso ad ulteriori elementi e richiami contenuti nel decreto o, eventualmente, anche in altri atti del processo, così da consentire all'imputato di conoscere i profili fondamentali del "fatto" che gli viene addebitato. (Fattispecie relativa a plurime condotte di spaccio di stupefacenti, in cui si lamentava l'omessa indicazione dei giorni esatti e dei luoghi specifici delle singole cessioni, elementi comunque desumibili dalle dichiarazioni eteroaccusatorie in atti). - al cospetto di imputazione descrittive della detenzione o dell'acquisto di quantitativi imprecisati, il principio di favore che, una volta accertato si verta al cospetto di sostanza stupefacente, vuole che l'assenza del dato materiale si converta, in difetto di elementi di segno opposto, nella dichiarazione dell'ipotesi più lieve. 4. La valutazione probatoria delle conversazioni telefoniche od ambientale nel giudizio di merito propone all’interprete il seguente interrogativo. A quali condizioni si può ritenere affermata, in particolare nel rito a prova contratta, la responsabilità penale sulla base delle sole intercettazioni telefoniche? In via generale, viene enunciato il seguente principio: “ la valutazione dei risultato di prova non richiede l'esistenza di elementi di conferma ma ciò richiede che il giudice di merito accerti che il significato delle conversazioni intercettate sia connotato dai caratteri di chiarezza, decifrabilità dei significati, assenza di ambiguità; insomma la ricostruzione del significato delle conversazioni non deve lasciare margini di dubbio sul significato complessivo della conversazione. In questo caso ben può il giudice di merito fondare la sua decisione sul contenuto di tali conversazioni. Se invece la conversazione captata non è connotata da queste caratteristiche - per es. per l'incompletezza dei colloqui registrati, per la cattiva qualità dell'intercettazione, per la cripticità del linguaggio usato dagli interlocutori, per la non sicura decifrabilità del contenuto o per altre ragioni - non per questo si ha un'automatica trasformazione da prova a indizio ma è il risultato della prova che diviene meno certo con la conseguente necessità di elementi di conferma che possano eliminare i ragionevoli dubbi esistenti” (Cass. Sez. VI 3.5.2006 Rispoli, Cass. Sez. IV 25.2.2004, Spadaro). Di conseguenza, si viene ad affermare che il giudizio di responsabilità in materia di stupefacenti potrà essere formulato sulla base delle sole intercettazioni telefoniche – che costituiscono fonte diretta di prova – laddove le stesse abbiano un significato univocamente confermativo, sia (secondo cioè i criteri enunciati dall’art. 192 c. 2 c.p.p.) del fatto che oggetto delle conversazioni sia della determinata natura di una sostanza stupefacente. In caso contrario, ossia in presenza di uno o più indici che valgono ad indubbiarne il contenuto, o si disporrà di elementi che valgano a costituire oggettivo riscontro delle conversazioni, o altrimenti non sarà possibile pervenire ad un giudizio di responsabilità penale. 5. Ciò detto, quali sono i passaggi logico argomentativi che possono fondare un giudizio di responsabilità penale che soddisfi le condizioni indicate dalla giiuridsprudenza? 1. I dati di conoscenza disponibili e la loro rappresentazione processuale. 2. L’analisi dell’enunciato linguistico che emerge dalle conversazioni ai fini della ricostruzione della condotta da provare 3. L'identificazione -entro processuale o extraprocessuale - dei dati di conoscenza che rilevano ai fini della chiave di lettura delle conversazioni 4. L’utilizzo dei criteri diagnostici di rilevanza delle conversazioni 5.1 Il primo ordine di problemi da valutare è una questione di metodo. Trascuro il problema della moltiplicazione delle conversazioni (uso non ortodosso dell’art. 266?). Bisogna vedere innanzitutto di cosa si dispone. Disponibilità dei brogliacci e solo raramente, o comunque non in via esclusiva, delle conversazioni integrali e quindi il primo aspetto che viene in considerazione è la necessità di valutare se il brogliaccio rifletta correttamente il senso della conversazione, dato il doppio filtraggio a) dell’interprete ( e anche qui sorvolo sul principio, spesso negletto della qualità dell’interpretazione, espressamente previsto dalla Direttiva 64/2010) b) dell’UPG che potrebbe essere portato a dare per scontato un certo dato individualizzante senza che tuttavia sia stato accertato (ad es. capita che nei brogliacci gli interlocutori siano indicati con il loro nome, attraverso un percorso di attribuzione dell’identità che non è esplicitato). In caso di dubbio sarebbe buona regola che il giudice provvedesse all’ascolto diretto delle conversazioni, ma anche tale evenienza trova un ostacolo insormontabile quando le conversazioni sono in lingua straniera. 5.2. In materia di intercettazioni telefoniche, l'interpretazione del linguaggio e del contenuto delle conversazioni costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, e si sottrae al sindacato di legittimità se tale valutazione è motivata in conformità ai criteri della logica e delle massime di esperienza. Sez. 6, Sentenza n. 15396 del 11/12/2007 Ud. (dep. 11/04/2008 ) Rv. 239636 Presidente: Lattanzi G. Estensore: Fidelbo G. Relatore: Fidelbo G. Imputato: Sitzia e altri. Il fatto che prima gli investigatori poi il pubblico ministero quindi il giudice del merito si trovino di fronte ad un linguaggio criptico implica la necessità di individuare e poter disporre delle chiavi di lettura per la decrittazione. Il secondo profilo richiede di stabilire se la chiave di lettura per la decifrazione del codice semantico utilizzato nelle intercettazioni debba necessariamente essere rinvenuta in dati di conoscenza endoprocedimentali o possa invece essere acquisita altrimenti. Problema della individuazione delle chiavi di lettura: intrinseche al procedimento o acquisibili mediante ricorso al notorio giudiziale? Sez. VI, 14 luglio 1998, Ingrosso, afferma testualmente «In tema di valutazione del contenuto di intercettazioni telefoniche, il significato attribuito al linguaggio criptico utilizzato dagli interlocutori, e la stessa natura convenzionale di esso, costituiscono valutazioni di merito insindacabili in cassazione. La censura di diritto può riguardare soltanto la logica della chiave interpretativa. Se ricorrono di frequente termini che non trovano una spiegazione coerente con il tema del discorso, e invece si spiegano nel contento ipotizzato nella formulazione dell'accusa, come dimostrato dalla connessione con determinati fatti commessi da persone che usano gli stessi termini in contesti analoghi, se ne trae ragionevolmente un significato univoco ed la conseguente affermazione di responsabilità è scevra da vizi. Ad esempio, se nel corso delle intercettazioni compare l’espressione ‘scatola’ ‘maglione’ e si accetta attraverso il sequestro eseguito proprio grazie questa attività che un maglione corrisponde a un etto di cocaina, è del tutto ragionevole ritenere che ogni qualvolta venga utilizzata quella stessa parola, in un contesto che non suggerisce valori semantici differenti, si possa ritenere provata la commercializzazione di un eguale quantitativo della stessa sostanza. Alle stesse conclusioni si può giungere nel caso in cui siano acquisite le dichiarazioni di un acquirente o comunque di una testimone il quale riferisca che con il termine scatole o maglioni in quel contesto attinto dall'attività di intercettazione si volesse appunto alludere a quella tipologia di stupefacente. 6. Il problema sorge quando tali chiave di lettura non sono disponibili e quindi si insinua la tentazione di decifrare il metalinguaggio attraverso l'utilizzo di chiavi che non sono immediatamente fruibili all'interno del procedimento. Se ad esempio nelle intercettazioni si fa riferimento alle parole ‘bionda’ o ‘bruna’, oppure ad una locuzione dialettale, o gergale, un'indicazione di tipo geografico, a quali condizioni possiamo dire che l'utilizzo probatorio di tali espressioni emergente dalle conversazioni assecondi un ragionamento probatoriamente corretto ? Normalmente in questi casi vengono evocate le categorie delle massime di esperienza o del fatto notorio. Sappiamo che la massima di esperienza si identificano in generalizzazioni empiriche indipendenti dal caso concreto, fondate su ripetute esperienze ma autonome rispetto alle stesse e tratte, con procedimento induttivo, dall' esperienza comune, conformemente ad orientamenti diffusi nella cultura e nel contesto spazio-temporale in cui matura la decisione; sul versante negativo, esse non possono risolversi in semplici illazioni o in criteri meramente intuitivi o addirittura contrastanti con conoscenze o parametri riconosciuti e non controversi. La massima di esperienza quindi è una regola empirica e preesistente al processo e che si crea al di fuori di questo. Ad esempio se tra cedente cessionario si registra un dialogo nel quale entrambi fanno riferimento decontestualizzato al verbo tagliare oppure se, dopo il sequestro e l’arresto di un corriere taluno non legato da alcun vincolo – si offra di fornirgli l’assistenza legale, si potrà ragionevolmente dire che si è in presenza di dati esperienziali, diversi dalle mere intuizioni soggettive, che ci portano ritenere, rispettivamente, che i due facessero riferimento a sostanza stupefacente, essendo conforme a massima di esperienza che la droga viene venduta tagliata per aumentarne il valore finale di mercato e che l'intercettato avesse uno specifico e non altrimenti giustificato interesse al compendio illecito oggetto di sequestro. Il principale problema i chiave probatorio-motivazionale è la loro verificabilità, che, diversamente dalle leggi scientifiche, è puramente empirica. La giurisprudenza di legittimità ritiene che “è corretto e legittimo fare ricorso alla verosimiglianza ed alle massime di esperienza. È tuttavia necessario - affinché il giudizio di verosimiglianza sia logicamente e giuridicamente accettabile - che si possa escludere plausibilmente ogni alternativa spiegazione che invalidi l'ipotesi all'apparenza più verosimile . allorquando venga offerto di provare che ciò che appare simile al vero contrasta con il reale accadimento, quando cioè venga dedotta una prova avente ad oggetto proprio la falsificazione / validazione, nel caso concreto, della massima di esperienza, la mancata ammissione della prova non consente di ritenere logicamente per vero ciò che appare solo verosimile” (Cass. Sez. VI 22.10.2014, Leone). In sostanza, la Corte dice afferma due principi: -il primo è che una massima di esperienza è validata (e quindi al dato ad essa sotteso può riconoscersi attitudine probatoria) quando resiste a spiegazioni alternative; - il secondo è che il principio del contraddittorio sulla prova esclude che possa ritenersi provato un fatto storico soltanto perché non è ammessa la prova avente ad oggetto la falsificazione della massima di esperienza perché quanto dedotto dall’imputato viene ritenuto inverosimile (in sostanza , io giudice ritengo conforme a massime di esperienza che adoperarsi per l’assistenza legale di un corriere sia prova della compartecipazione nel fatto criminoso e non ammetto l’imputato a provare l’ipotesi alternativa falsificativa perchè la ritengo intrisecamente inverosimile); - infine, non può fondarsi su meri assunti soggettivi del giudice , ossia a mere congettura, che renderebbero ovviamente viziata la motivazione; ad esempio, una massima di esperienza a geometria variabile è quella relativa allo svolgimento dell’attività di corriere, magari ovulatore e della sua responsabilità per la partecipazione all’associazione ex art. 74 . Ora, il fatto che questi compia diversi viaggi può ragionevolmente fondare un giudizio di responsabilità, dal momento che è massima di esperienza quella per cui si tende ad affidare queste delicate operazioni di trasporto a soggetti affidabili; lo stesso ragionamento potrebbe invece fallire se riferito ad una sola spedizione, dal momento che la massima di esperienza sopra indicata potrebbe fallire nel suo scopo non resistendo all’ipotesi falsificazionista secondo cui ben potrebbe trattarsi di soggetto del tutto estraneo alle logiche organizzative, assoldato solo perché incensurato e disposto a correre non trascurabili rischi. 7. Nel processo di ricostruzione del fatto attraverso il contenuto delle intercettazioni telefoniche ci si imbatte anche nella nozione di fatto notorio. Il fatto notorio reputa processualmente noto un accadimento individuale che rientra nelle conoscenze comuni e quindi come dato di conoscenza acquisito non richiede di essere provato. Astrattamente il contenuto delle intercettazioni telefoniche potrebbe evocare un triplice profilo suscettibile di chiamare in causa l'istituto del notorio: il notorio geografico, il notorio gergale e il notorio relativo al fatto storico o di cronaca. Pensiamo ad esempio nel primo caso alla riferimento a contesti spaziali tipici di determinati luoghi dove vengono fissati appuntamenti per la cessione stupefacenti; nel secondo caso all'utilizzo di un frasario proprio di determinati contesti o ambiti; nel terzo caso a fatti di cronaca. Il vero problema del ricorso al notorio giudiziale, escluso ovviamente il limite invalicabile della scienza privata del giudice , consiste nel verificare se sia ammissibile nel procedimento probatorio considerare la notorietà come attributo di fatti che non assumono la portata di conoscenza generale ma che si risolvono nella comune conoscenza di una comunità più circoscritta. Ad esempio il fatto che in un determinato momento a Bologna si siano registrati numerosi casi di decesso per overdose da assunzione di un determinato tipo di eroina bianca è o non è notorio?; il fatto che nel contesto gergale l'hashish possa essere definito come ragazza, e la eroina come scura, ragazza bruna è o non è fatto notorio? E’ un fatto notorio che i cittadini tunisini si collocano nel segmento terminale della catena distributiva? Si può dire che il termine ‘pantalone’ possa essere allusivo della sostanza stupefacente solo perché nessuno degli interlocutori ha un negozio di abbigliamento (fattispecie risolta negativamente da Cass. Sez. III 25.3.2015, Di Bello)? È ovvio che in questi casi la possibilità di disporre della chiave interpretativa discende dalla identificazione del contesto più o meno ampio del quale il fatto è patrimonio conoscitivo. Diversamente , ritenere che quel determinato dato letterale che emerge dalle intercettazioni abbia significato che pretende l'accusa dovrà essere oggetto di prova che potrà essere data ad esempio, all'acquisizione della produzione di altri processi, definiti con sentenza passata in giudicato nei quali si è accertato che quell'espressione aveva quel significato che si assume preteso dall'accusa, ovvero dall'acquisizione di dati informativi esterni al processo che abbiano capacità dimostrativa della non contestabilità del fatto, che può divenire quindi notorio. Quindi, ritornando all’esempio di prima: se nelle intercettazioni compaiono termini espressivi di una meta linguaggio che si vuole riferito a stupefacente (siano essi allusivi all'abbigliamento o ad altri oggetti o situazioni) o si dispone di una chiave interpretativa interna al procedimento o altrimenti la possibilità di utilizzare tali dati semantici in una prospettiva probatoria discenderà dalle condizioni alle quali si ritiene poter predicare la sussistenza del notorio giudiziale, diversamente dovendosi ricorrere al principio generale dell'onere probatorio. 8. La la ricerca della chiave di lettura del cripto linguaggio. E’ noto, sul punto, che “Se ricorrono di frequente termini che non trovano una spiegazione coerente con il tema del discorso, e invece si spiegano nel contento ipotizzato nella formulazione dell'accusa, come dimostrato dalla connessione con determinati fatti commessi da persone che usano gli stessi termini in contesti analoghi, se ne trae ragionevolmente un significato univoco ed la conseguente affermazione di responsabilità è scevra da vizi (Cass. V 14.7.1997 Ingrosso Cass. Sez, VI 10.6.05, Patti); ed ancora che “il significato delle conversazioni intercettate deve essere connotato dai caratteri di chiarezza, decifrabilità dei significati, assenza di ambiguità, di modo che la ricostruzione del contenuto delle conversazioni non lasci margini di dubbio sul significato complessivo dei colloqui intercettati; in questo caso, ben potendo il giudice di merito fondare la sua decisione sul contenuto di tali conversazioni. Ha peraltro chiarito la Corte che se, invece, la conversazione captata non è connotata da queste caratteristiche - per l'incompletezza dei colloqui registrati, per la cattiva qualità dell'intercettazione, per la cripticità del linguaggio usato dagli interlocutori, per la non sicura decifrabilità del suo contenuto o per altre ragioni - non per questo si ha un' automatica trasformazione da prova a indizio ma è il risultato della prova che diviene meno certo con la conseguente necessità di elementi di conferma che possano eliminare i ragionevoli dubbi esistenti” (Sez. 4^, 25 febbraio 2004, Spadaro). Orbene, la prassi giudiziaria e l’applicazione continuativa di massime di esperienza verificabili permettono di enucleare alcuni criteri diagnostici che costituiscono momenti chiaramente rappresentativi del procedimento tipico della cessione di stupefacente, quali a ) certezza della identificazione dell’autore della conversazione e del suo destinatario; b) iniziativa della richiesta di incontro da parte di colui cui gli elementi di indagine attribuiscono il ruolo di acquirente, non di rado artatamente giustificata dalla enunciazione di bisogni, intendimenti o motivazioni del tutto inconferenti e incongruenti rispetto al reale stato delle cose, dei luoghi, dei tempi e delle persone; c) verifica delle rispettive disponibilità (stupefacente quanto al fornitore, denaro quanto all'acquirente); d) individuazione del luogo di incontro, spesso coincidente con luoghi già conosciuti dalle due parte per essere stati teatro di precedenti incontri; e) identificazione generica, o addirittura solo per cenni o sottintesi, di detto luogo; f) stretta consequenzialità tra contatto telefonico e incontro programmato; g) improvvisazione e apparente casualità dell'incontro; h) conferma, mediante ulteriore contatto telefonico, nella sua prossimità. i) commenti, o rimostranze dopo l’incontro; La caratteristica sub a) discende dalla riconducibilità della iniziativa al portatore del bisogno; le caratteristiche sub b) e c), non sempre compresenti in ragione del diverso grado di dimestichezza tra gli interlocutori, rispondono alla esigenza di impedire la identificazione del luogo sì da evitare la predisposizione di appostamenti da parte di eventuali forze di polizia giudiziaria in ascolto; a caratteristica sub d- e) vale quale seconda linea di difesa, in subordine a quella di cui alle lettere precedenti: quand'anche eventuali forze di P.G. fossero in grado di individuare il luogo, la contiguità tra contatto e incontro e dunque la fugacità dello stesso, riducendo i tempi a disposizione per la predisposizione di un appostamento, costituisce se non sicura, comunque efficace cautela; le caratteristiche sub f) derivano dal fatto che l'unico legame tra i due interlocutori è proprio quello di cui non è possibile parlare apertamente e che si ravviva di volta in volta in corrispondenza del mutevole bisogno del consumatore/acquirente, cioè l'illecita transazione in materia di stupefacenti; la caratteristica sub g) costituisce il necessario strumento di verifica a fronte di imprevedibili ritardi. La caratteristica sub i) è tipica di quelle cessioni in cui l’acquirente manifesta al venditore, in tempi successivi all’incontro e alla cessione, i suoi apprezzamenti, positivi o negativi, relativi alla sostanza fornitagli. Tale caratteristica è strumentale all’esigenza dell’acquirente di garantirsi, per le future transazioni, una qualità migliore dello stupefacente o comunque il rispetto dei patti sulla quantità di sostanza da acquisire. La presenza di conversazioni di questo tipo dimostra che cessione vi è stata anche se l’attività di intercettazione non ha consentito di cristallizzare tutte le fasi dello scambio, laddove, per esempio, i soggetti intercettati si siano avvalsi di strumenti di comunicazione diversi da quelli sottoposti ad intercettazione. D’altra parte, l’assenza di conversazioni aventi ad oggetto l’enunciazione delle ragioni per cui non ha avuto luogo l’incontro ben può essere presa a fondamento della dimostrazione che l’incontro è avvenuto. Si tratta, a ben vedere di elementi non soltanto dimostrativi di una sequenza negoziale (giacchè descrivono atti inequivocabilmente preordinati all’incontro di due volontà) , ma anche fortemente sintomatici della natura illecita dell’attività in corso, poiché il ricorso all’allusione nel suo massimo grado espressivo sottende la consapevolezza reciproca di trattare argomenti che è necessario non divulgare nemmeno telefonicamente: in questo senso si comprendono pienamente, ad esempio, le telefonate nelle quali uno dei due interlocutori rimprovera all’altro l’imprudenza di parlare di ‘certe cose’ per telefono. Di conseguenza, sul piano storico-descrittivo, logico e giuridico si può ritenere che, in assenza di elementi di segno contrario, ogni conversazione che presenti in tutto o in parte dette caratteristiche deve essere ritenuta, salva la esistenza di altri elementi di segno contrario, premessa e prova di una avvenuta consegna. In presenza di una attività continuativa di traffico di sostanze stupefacenti protrattasi per un congruo periodo di tempo con cessioni periodiche e monitorata attraverso servizi di intercettazione di conversazioni il cui contenuto sia ritenuto, come nella specie, univoco circa l'attività di spaccio, può legittimamente ritenersi raggiunta la prova della complessiva e continuata attività criminosa quando siano dimostrate alcune singole cessioni, collegate probatoriamente a quelle contestate, come quando si acquista allo scopo di cedere, senza necessità di dover riscontrare tutti i singoli episodi di rifornimento e di successiva cessione, soprattutto al cospetto di fatti della stessa natura e tra loro avvinti da continuità cronologica ed intercorsi tra le medesime persone (Cass. Sez. III 2.12.2014, Carrara) L’assunzione de i criteri diagnosti può avere di solito qualche utilità anche per la valutazione – sinergica e non necessariamente esclusiva – di conversazioni relative a appuntamenti finalizzati alla gestione della esposizione debitoria, va evidenziato che esse presentanto di solito le seguenti caratteristiche: a) riferimenti più o meno espliciti a situazioni difficili, negative o avverse dell'acquirente; b) specificazione della natura esclusivamente colloquiale dell'incontro, a prevenzione di eventuali aspettative del fornitore; c) prospettazione di circostanze, di solito asseritamente imminenti, risolutive della questione. Che tali caratteristiche del colloquio valgano a dimostrare la esistenza di un debito da pregresse forniture di stupefacenti ben si può cogliere non solo, come solitamente accade, grazie al complessivo contesto quale scaturente da tutte le altre conversazioni, ma anche da sé stesse. E infatti: quanto alla caratteristica sub a) non vi sarebbe ragione alcuna di comunicare la propria situazione di insolvibilità se l'individuo non fosse destinatario di pressanti richieste di rientro dal debito, come avviene in un ambiente ove la garanzia di riscossione risiede esclusivamente nel rapporto fiduciario cliente/fornitore; quanto alla caratteristica sub b) costituisce corollario della precedente a funzione maggiormente esplicativa; quanto a quella sub c) costituisce ad un tempo corollario di quella sub a) sul versante del rapporto fiduciario e manifestazione della dipendenza del cliente, il quale teme la conseguenza di un diniego alle prossime richieste, nei confronti del fornitore. Ultima notazione: colloqui di tal genere sono frequenti anche qualora il cliente non sia esclusivamente consumatore, ma, in tutto o in parte, sub-fornitore. In tali casi infatti la caratteristica sub a) appare dettagliata mediante il riferimento, sia pure generico, a terzi individui (i clienti del sub-fornitore) responsabili, a loro volta, della situazione di difficoltà finanziaria di quest'ultimo. 9. La valutazione del contenuto probatorio delle intercettazioni telefoniche assume infine anche una connotazione più strettamente soggettiva, funzionale cioè non solo all’accertamento della natura illecita della res trattata, ma anche alla perimetrazione soggettiva del fatto di reato. Non è infrequente infatti che le intercettazioni ricostruiscono complesse operazioni di acquisto o importazione di stupefacenti, che richiedono intuitivamente la disponibilità di molteplici contributi, ognuno dei quali può costituire fonte di responsabilità a titolo concorsuale (finanziatori, materiali esecutori del pagamento, del trasporto, della logistica, della successiva distribuzione). Al riguardo, vale osservare che proprio su questo aspetto assumono una differente rilevanza probatoria la chiamate in correità che emergano dal contenuto delle conversazioni. Ciò sulla base di un solido orientamento interpretativo che le sottopone ad una regola valutativa diversa da quelle rese in contesti dichiarativi. Si trova infatti a più riprese affermato il principio per cui “ il contenuto di un'intercettazione, anche quando si risolva in una precisa accusa in danno di terza persona, indicata come concorrente in un reato alla cui consumazione anche uno degli interlocutori dichiari di aver partecipato, non è equiparabile alla chiamata in correità e pertanto, se anch'esso deve essere attentamente interpretato sul piano logico e valutato su quello probatorio, non è però soggetto, in tale valutazione, ai canoni di cui all'art. 192, comma terzo, cod. proc. pen. (Cass. Sez. 5, n. 21878 del 26/03/2010, Cavallaro e altro, Rv. 247447; Sez. 4, n. 35860 del 28/09/2006, Della Ventura, Rv. 235020). Ancora, …. le dichiarazioni captate nel corso di attività di intercettazione regolarmente autorizzata, con le quali un soggetto si autoaccusa della commissione di reati hanno integrale valenza probatoria, non trovando applicazione al riguardo gli artt. 62 e 63 cod. proc. pen., giacché l'ammissione di circostanze indizianti fatta spontaneamente dall'indagato nel corso di una conversazione legittimamente intercettata non sono assimilabili alle dichiarazioni da lui rese dinanzi all'autorità giudiziaria o alla polizia giudiziaria, e le registrazioni e i verbali delle conversazioni non sono riconducibili alle testimonianze "de relato" su dichiarazioni dell'indagato, in quanto integrano la riproduzione fonica o scritta delle dichiarazioni stesse delle quali rendono in modo immediato e senza fraintendimenti il contenuto” (Cass. Sez. VI 2.7.2014, Di Caterino). Dunque, la rilevanza probatoria delle dichiarazioni captate nel corso dell’attività di intercettazione si caratterizza per la sottrazione delle stesse alla regola di valutazione dell’art. 192 c. 3 e 4 c.p.p., non richiedendo riscontri estrinseci che ne confermino l’attendibilità e alla regola di esclusione dell’art. 63 quando si tratta di dichiarazioni contra s Armi parlate? Resta da vedere se i principi elaborati in materia di stupefacenti possano essere applicati anche in materia di detenzione e porto abusivo di armi. In materia di stupefacenti - res in sé illicita nel momento in cui formi oggetto di verifica la capacità drogante - non si dubita, si è visto, della possibilità di pervenire ad un giudizio di positivo accertamento del fatto anche a prescindere dal materiale rinvenimento della sostanza e, di conseguenza, della possibilità del suo esame, ciò sulla base dell’ascolto delle conversazioni telefoniche o ambientali. Allo stesso modo, non pare sussistano ragioni ostative all’estensione di tale metodologia procedimentale anche con riferimento alle armi, nei limiti in cui le caratteristiche morfologiche e funzionali (tipo, calibro, natura e funzionalità ), possano emergere inequivoche dal’ascolto delle intercettazioni in presenza di una serie di riscontri diagnostici dati: - dal riferimento certo alla materiale disponibilità in capo al dichiarante, con ciò escludendosi ogni millanteria; - dall’acquisizione di informazioni sul calibro o sul tipo; - dalle informazioni in merito all’utilizzo passato o futuro, al nascondiglio (dato che implicitamente segnala la consapevolezza della natura illecita dell’oggetto), agli accorgimenti adottati per il trasporto. Alberto Ziroldi