OMELIA ALLA SANTA MESSA IN OCCASIONE DELLA 54ª

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OMELIA ALLA SANTA MESSA IN OCCASIONE DELLA 54ª
OMELIA ALLA SANTA MESSA
IN OCCASIONE DELLA 54ª ASSEMBLEA GENERALE
DELLA CONFERENZA ITALIANA SUPERIORI MAGGIORI (CISM)
Tivoli, Chiesa parrocchiale di San Francesco, Martedì 4 novembre 2014
Carissimi Superiori Maggiori d’Italia,
al termine del secondo giorno della Vostra cinquantaquattresima Assemblea
Nazionale, che ha luogo nel territorio della Diocesi di Tivoli, sono lieto di accogliervi
in questa chiesa di San Francesco che ritengo significativa per il nostro incontro
eucaristico. Qui, infatti, lungo i secoli, si sono succedute varie presenze religiose: i
Benedettini di Farfa - dalla fondazione della chiesa fino al 1256 -, i Frati Minori
Conventuali - dal 1256 al 1461 -, i Frati Minori Osservanti - dal 1461 fino ad oggi dove i Frati Minori della Provincia Romana hanno officiato questa chiesa
parrocchiale ottenendo la simpatia del popolo Tiburtino fino al 2011 ed ora, a
continuare l’opera, vi sono presenti e stimati, i Frati Minori della Provincia messicana
di Jalisco.
In questo luogo, dunque, che ha visto e vede da secoli la presenza di tanti religiosi, vi
saluto cordialmente rallegrandomi per il tema che avete scelto per la vostra
Assemblea: “Missione della Chiesa e la vita consacrata – Una lettura dell’Evangelii
Gaudium” ed anche perché avete scelto Tivoli come sede del vostro convenire. Una
città ai confini con Roma ma che è assai diversa da Roma. Se durante i giorni di
questo vostro convenire avrete modo di uscire dalla sede dell’Assemblea per una
breve passeggiata vi accorgerete che qui Roma la si vede da lontano, che qui siamo in
una periferia dove nonostante la bella Villa d’Este, Villa Adriana e qualche altro raro
monumento, c’è purtroppo tanta povertà materiale e morale, una grave crisi
economica e una diffusissima mancanza di lavoro, tanti immigrati in cerca di fortuna,
tante famiglie in crisi, e tanti fenomeni di micro e macro criminalità che si insediano
nelle periferie delle Metropoli. Non so se questa scelta di Tivoli Terme come sede
della vostra Assemblea sia stata casuale o meno ma mi rallegro con voi per aver fatto
questa scelta mettendo così in pratica quell’indicazione che Papa Francesco ha offerto
parlando ai vostri Superiori Generali nel novembre scorso quando ha detto loro: “Io
sono convinto di una cosa: i grandi cambiamenti della storia si sono realizzati quando
la realtà è stata vista non dal centro, ma dalla periferia. È una questione ermeneutica:
si comprende la realtà solamente se la si guarda dalla periferia, e non se il vostro
sguardo è posto in un centro equidistante da tutto. Per capire davvero la realtà continuava -, dobbiamo spostarci dalla posizione centrale di calma e tranquillità e
dirigerci verso la zona periferica. Stare in periferia aiuta a vedere e capire meglio, a
fare un’analisi più corretta della realtà, rifuggendo dal centralismo e da approcci
ideologici”.
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In questi giorni mi considero pertanto un Vescovo fortunato perché voi siete qui. Ieri
sera, durante la mia preghiera, pensandovi, ringraziavo il Signore perché in questi
giorni nella mia Diocesi sono presenti tramite voi tutti - o quasi tutti - i carismi della
vita religiosa maschile e vi confesso che chiedevo anche che, pur comprendendo le
ragioni che tante volte inducono a chiudere case religiose di periferia per andare al
centro, pregavo il Signore affinché susciti molte e sante vocazioni religiose, piene di
passione missionaria che con la gioia dei loro carismi vissuti portino tale gioia
cristiana nelle periferie dell’esistenza, nelle periferie dei cuori e anche nelle periferie
delle città, là dove ci sono tanti poveri di cose materiali ma anche di spirito da
evangelizzare non con il proselitismo ma con il metodo “della fiamma condivisa che
riscalda l’anima”, la fiamma dell’amore e della misericordia alla quale sempre ci
richiama Papa Francesco.
Carissimi: non abbandonate le periferie! Ne beneficerete sicuramente voi e ne
beneficeranno i tanti che attendono di incontrare i vostri doni dello Spirito sia se si
tratti di impegno nell’educazione, che nella carità, piuttosto che nella preghiera
contemplativa, o nell’apostolato, nelle parrocchie o nei Santuari … e così via.
Celebriamo questa Eucaristia nella Memoria liturgica di un grande evangelizzatore:
San Carlo Borromeo che Vescovo di Milano a soli 25 anni non indugiò a lasciare i
suoi agi e gli onori che gli sarebbero spettati per mettersi a servizio totale del suo
popolo affinché a tutti giungesse il Risorto e l’insegnamento della Chiesa, in
particolare del Concilio di Trento, donandosi totalmente, profondendo ricchezze,
salute, sostenendo fatiche e penitenze estreme.
Suo modello, come deve essere modello per ogni cristiano e Pastore ma ancor più per
chi ha deciso di abbracciare la via dei consigli evangelici vivendo da religioso e in
comunità, era il Cristo che ha dato tutto sé stesso per noi. Cristo Signore che anche
questa sera si offre a noi affinché noi, come Lui e con Lui, ci doniamo, pur secondo i
nostri carismi diversi, per andare a tutti, nessuno escluso, con audacia e creatività e le
nostre comunità con estroversità predichino il Vangelo alla cultura nella quale siamo
immersi, nella quale è immersa la nostra gente, affinché si realizzi una nuova sintesi
con essa (cfr EG, 129). Il Papa ci stimola in questo con parole forti nella Evangelii
Gaudium. Scrive: “benché questi processi siano sempre lenti - parla del Vangelo da
annunciare alla cultura attuale -, a volte la paura ci paralizza troppo. Se consentiamo
ai dubbi e ai timori di soffocare qualsiasi audacia, può accadere che, al posto di essere
creativi, semplicemente restiamo comodi senza provocare alcun avanzamento e, in tal
caso, non siamo partecipi di processi storici con la nostra cooperazione, ma
semplicemente spettatori di una sterile stagnazione della Chiesa” (EG 129).
Guardando a Cristo, allora, come San Carlo Borromeo, anche noi accogliamo l’invito
che San Paolo rivolge nella prima lettura ad avere in noi gli stessi sentimenti di Cristo
Gesù. Sentimenti di umiltà, di spoliazione, di condivisione in tutto, tranne che nel
peccato, della nostra condizione umana sapendo che per questo Gesù trovò
esaltazione da parte del Padre. Sì, se noi vivremo la logica dell’antico Inno
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cristologico di Filippesi 2 sicuramente troveremo la gioia che a volte sembra essersi
spenta e che è l’unica cosa necessaria per evangelizzare, per uscire incontro al mondo
per farlo incontrare con l’Unico che salva, che dà senso e significato alla vita. A
questo proposito come non citare le parole di Papa Benedetto XVI quando ricordava
che “All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea,
bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo
orizzonte e con ciò la direzione decisiva” (DCE, 1)?
Anche il Vangelo ci stimola ad uscire, a partecipare alla missione della Chiesa per
dire a tutti di entrare, addirittura per “forzarli ad entrare” – caso mai senza dir troppe
parole ma con l’esempio e la preghiera - alla grande cena – immagine dell’Eucaristia
– che un uomo ha preparato innanzitutto per noi, cari fratelli, ma anche per tanti che
attendono che qualcuno li chiami, li inviti, li forzi ad entrare.
Davanti alla cena preparata, all’amore del Signore che si dona per noi, alla gioia che
dovrebbe produrre l’invito ad una grande festa alla quale siamo invitati tutti a
partecipare, varie sono le cause del rifiuto.
C’è chi ha comprato un campo e lo deve andare a vedere. La sua necessità non è
come quella di Gesù di dare la vita, di dare la vita facendosi povero da ricco che era,
ma di andare a vedere il suo campo, la sua ricchezza acquisita … Non siamo forse
anche noi tentati di fare così mentre Gesù, invece, ci invita a svuotarci di noi per
lasciarci riempire di Lui e del suo Spirito? Noi spesso rifiutiamo l’invito perché
guardiamo soltanto alle nostre opere, a ciò che abbiamo messo insieme, a volte anche
compiacendoci di questo, dimenticando che dovremmo soltanto compiacerci
dell’essere stati chiamati a seguirlo per invitare con le nostre opere e tramite le nostre
opere - che spesso sono frutto del sacrificio di tanti fedeli -, con la loro messa a
disposizione di chi ha necessità, dicevo, invitare altri alla sequela del Signore.
Tra i motivi del rifiuto dell’invito alla cena c’è anche quello del tale che è andato a
comprare i buoi e deve commerciare pensando che così si rimanga in vita. Non è
anche questa una nostra tentazione? Anziché fidarci della Divina Provvidenza a volte
pensiamo che sia il nostro commercio a salvarci per trovarci poi, sovente, con grandi
opere e senza più operai, senza più vocazioni per mantenere le opere.
Ed il terzo motivo del rifiuto è quello dell’essersi sposato. Quello, dicono alcuni bravi
commentatori, dei piaceri della vita. Per noi valga invece il monito di San Paolo: “Il
tempo ormai si è fatto breve; d’ora innanzi, quelli che hanno moglie, vivano come se
non l’avessero” infatti “passa la scena di questo mondo” ed è meglio preoccuparsi
dell’essenziale, attendendo al servizio del Signore con cuore indiviso (1Cor 7,29-35).
In altre parole, tradotto per noi sacerdoti e religiosi, ciò vuol dire che il celibato e più
ampiamente il vivere la castità del corpo e del cuore è una condizione essenziale per
poter rispondere all’invito alla comunione con il Risorto e andare verso chi attende da
noi di essere chiamato alla comunione con Lui, di esservi condotto, spinto dentro!
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Fuori, cari amici, anche nel nostro contesto culturale odierno, come ho già ricordato,
vi sono tanti ultimi, impediti, apparentemente “non aventi diritto” ed “esclusi” o che
si sentono esclusi, estranei dalla comunione con il Signore! A noi, a voi, con la forza
della vita consacrata è dato il compito, secondo il proprio stile e carisma di
collaborare con l’apostolato di tutta la Chiesa di cui siete parte viva ed attiva a portare
l’amore di Dio. Un amore impaziente e che manda: ha mandato i Profeti, ha mandato
Cristo e oggi manda la Chiesa a dire: “Venite, è pronto!” è pronto l’amore di Dio per
voi! E facciamo questo invito velocemente, senza rimandare troppo … proprio come
un invito a pranzo poiché rimandando il pranzo si potrebbe scuocere e alla fine
occorrerebbe soltanto gettarlo via.
Un ultimo pensiero. Noi, i religiosi, i Vescovi e i sacerdoti, i cristiani … siamo tutti
però invitati e invitanti. Non pensiamo mai di essere solo da una parte. A volte
potremmo correre il rischio, dopo tanti tentativi apostolici che sembrano andati a
vuoto, guardando alle poche vocazioni che molti Istituti e Diocesi hanno, all’età che
per molti avanza, di sederci un po’ stanchi e sfiduciati. Oppure potremmo sfiduciarci
un po’ perché vediamo che le nostre comunità non sono perfette, in esse ci sono
conflitti… Non scoraggiamoci! Come ci ricorda il Papa “accarezziamo il conflitto”,
facciamolo divenire occasione di crescita nella comunione e se il conflitto dovesse
innescarsi per vedere di trovare vie nuove affinché il carisma non si spenga
accettiamo pure di rimanerci nel conflitto e di lasciare che lo Spirito ci indichi nel
tempo, con pazienza, quali siano le vie giuste per parlare al mondo e farlo innamorare
di Dio.
Con il linguaggio della prossimità, dell’ascolto, della tenerezza, dell’amore e della
fraternità vera e non quella apparentemente perfetta ma che nasconde tensione, critica
ed acredine, ripartiamo da questo incontro eucaristico con la gioia nel cuore di chi si
sente amato dal Signore. Portate questa gioia nelle vostre comunità e siate –
rispondendo alla vostra vocazione – gemme preziose della Chiesa che ha bisogno
della vita consacrata che oggi più che mai con i voti di povertà, castità ed obbedienza
vissuti nella radicalità, nella fraternità e gioia diventa profezia della cena verso la
quale andiamo e che consumeremo nel Regno quando Lui sarà tutto in tutti. Amen.
 Mauro Parmeggiani
Vescovo di Tivoli
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