Piano straordinario per un`educazione di qualità 0-6 anni

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Piano straordinario per un`educazione di qualità 0-6 anni
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UN NUOVO PIANO STRAORDINARIO PER UN’EDUCAZIONE DI QUALITA’ 0-6
Negli ultimi decenni le scienze pedagogiche, psicologiche, sociologiche, così come più recentemente le
neuroscienze, insegnano dell’importanza dell’infanzia nella vita delle persone, delle condizioni materiali e
relazionali in cui la si vive e delle esperienze educative che vengono offerte. Anche gli economisti oggi
sottolineano la necessità che, in una società globalizzata, si investa nel capitale umano garantendo a tutti
un’educazione prescolare.
Vogliamo la riunificazione del sistema di educazione prescolare. Serve un nuovo piano straordinario
triennale per l’implementazione del sistema territoriale dei servizi educativi della prima infanzia, per
raggiungere l’obiettivo del 33% di copertura.
Vogliamo trasformare l’asilo nido da servizio a domanda individuale a diritto educativo di ogni
bambino e bambina, come già proposto da molti anni e da molte parti (Legge di iniziativa popolare 0-6
depositata al Senato da Anna Serafini) e garantire ad ogni bambino e bambina del nostro Paese un posto
nella scuola della scuola dell’infanzia (oggi le liste di attesa nelle scuole dell’infanzia sono tornate a
crescere).
I divari abnormi tra nord e sud del Paese nei livelli di istruzione, si spiegano anche così: nel mezzogiorno
sono pochissimi i posti al nido e una rarità il tempo pieno nella scuola primaria.
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L’analisi
Nella prospettiva più complessiva dell’attuazione dei diritti di ogni cittadino fin dalla nascita e della
promozione di pari opportunità educative il tema dell’educazione prescolare deve ricevere un’attenzione
particolare.
Negli ultimi decenni le scienze pedagogiche, psicologiche, sociologiche, così come più recentemente le
neuroscienze, ci hanno consegnano importanti strumenti di analisi dell’importanza dell’infanzia nella vita
delle persone, delle condizioni materiali e relazionali in cui la si vive e delle esperienze educative che
vengono offerte. Anche gli economisti oggi sottolineano la necessità che, in una società globalizzata, si
investa nel capitale umano garantendo a tutti un’educazione prescolare.
Anche in Italia, come in tutti gli altri paesi europei, negli ultimi anni abbiamo assistito alla crescente richiesta
da parte delle famiglie di servizi educativi per bambini in età sempre più precoci. Le indagini svolte sono
concordi nell’affermare che la richiesta dei genitori non è di servizi educativi qualsiasi, ma di servizi di
qualità che garantiscano esperienze educative significative ai loro figli e offrano ai genitori stessi
l’opportunità di incontri con competenze educative diverse di insegnanti e di altri genitori per acquistare
maggiore consapevolezza e serenità nelle proprie scelte educative.
L’investimento per un’offerta di servizi educativi prescolari di qualità deve essere, quindi, riconosciuto come
un interesse generale di tutta la comunità nazionale, poiché essi sono un importante volano per il benessere
attuale e futuro dei bambini, un aiuto fondamentale per i loro genitori nell’impegno educativo e nella
conciliazione dei tempi di vita e lavoro, una fonte di occupazione diretta e indiretta e di sviluppo economico.
I servizi educativi prescolari svolgono anche una funzione fondamentale a sostegno della coesione sociale e
nella lotta contro l’esclusione. In questi anni il nostro paese si confronta con un’ondata immigratoria senza
precedenti che vede la crescente presenza di famiglie con bambini piccoli provenienti da moltissimi paesi e
portatori di culture assai diverse anche rispetto all’educazione dei bambini. I servizi educativi per l’infanzia
divengono luoghi importanti nelle città, luoghi di incontro e confronto, di partecipazione e integrazione.
Anche per questo le politiche dell’infanzia oggi sono un pezzo fondamentale del welfare locale e ridisegnare
queste politiche all’interno di un pensiero articolato sull’organizzazione delle nostre città è una questione
complessa e cruciale per la vita democratica del nostro paese.
L’importante rassegna condotta recentemente dall’OCSE sui sistemi educativi 0-6 in 20 paesi, Starting
Strong, ha sottolineato l’importanza di servizi educativi di buona qualità e ha indicato alcune priorità che
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assumono un rilievo particolare nella situazione italiana: - un impegno importante della cosa pubblica nel
settore, l’inserimento della progettazione dei servizi educativi prescolari nel quadro di politiche generali a
favore dei bambini e delle loro famiglie volte a combattere la povertà e l’esclusione sociale, la scelta di un
approccio universalistico, che non miri, cioè, a rispondere ai bisogni di determinate categorie di genitori o
bambini ma a garantire a tutti i bambini l’accesso a servizi educativi di qualità.
Sono necessarie, perciò, politiche di grande respiro nella consapevolezza che la loro realizzazione andrà a
toccare punti nevralgici dell’assetto istituzionale e politico del nostro paese. Sono molti i punti su cui è
necessario avviare una riflessione articolata e costruire percorsi di intervento politico.
La riunificazione del sistema di educazione prescolare. Oggi noi abbiamo un sistema di educazione
prescolare che prevede ancora una marcata separazione in due settori secondo l’età dei bambini: il settore dei
servizi per l’infanzia e quello delle scuole dell’infanzia. Le due istituzioni educative differiscono per la
collocazione nel settore del sociale o dell’educazione ai vari livelli di governo, le competenze istituzionali
regionale o nazionale, le normative diverse e le diverse condizioni lavorative e competenze professionali
degli operatori. I più recenti documenti prodotti a livello internazionale (OCSE, 2006; UNICEF, 2008)
indicano nell’unificazione del settore dell’educazione prescolare e nella coerente convergenza degli
interventi rivolti al sostegno dell’impegno dei genitori e di quelle rivolte al benessere dei bambini uno degli
elementi-chiave per garantire efficacia e incisività alle politiche per l’infanzia e le famiglie. I nuovi assetti
istituzionali introdotti dalla modifica del Titolo V della Costituzione rischiano di allargare ulteriormente il
divario tra i due settori ma possono costituire anche una grande occasione per tessere nuove strategie e far
convergere gli interventi a livello locale e nazionale. Solo una prospettiva unitaria, che può garantire sia
continuità all’esperienza educativa dei bambini, sia una generale riqualificazione e rinnovamento culturale e
organizzativo di entrambi i settori.
I servizi per l’infanzia, che si rivolgono ai bambini sotto i tre anni, a livello nazionale fanno tuttora
riferimento alla legge 1044 del 1971, che istituiva il servizio asilo nido comunale in risposta alla richiesta
pressante dei movimenti femminili e dei sindacati e affidava la programmazione, costruzione,
regolamentazione e gestione dei nidi alle amministrazioni municipali e regionali. A seguito
dell’approvazione di questa legge e dei finanziamenti stanziati dal governo nazionale per la sua applicazione
solo fino all’anno 1977, nel trentennio successivo le amministrazioni più sensibili alle richieste delle famiglie
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hanno sviluppato, con un grande impegno finanziario e organizzativo [mediamente a livello nazionale il
40% circa della spesa sociale per l’area “famiglia e minori” è destinata ai servizi per l’infanzia] una rete via
via più estesa e differenziata di servizi per i bambini sotto i tre anni e hanno legiferato accompagnando questi
processi di sviluppo con normative che sono state rinnovate e articolate diversamente. Ciò ha prodotto com’è
noto una diffusione dei servizi molto ineguale sul piano nazionale con percentuali di copertura dell’utenza
potenziale che possono raggiungere il 30% e 40% in alcune città dell’Italia settentrionale e centrale, ma che
vedono un numero di servizi molto ridotto nelle regioni meridionali. Questo mentre, anche in Italia, come in
quasi tutti i paesi europei, si è diffusa in tutti i territori la consapevolezza che l’accesso ai servizi per
l’infanzia è un diritto di tutti i bambini e ne è aumentata costantemente la richiesta da parte delle famiglie.
E’ chiaro che per riequilibrare il sistema di servizi per l’infanzia sul territorio nazionale e per consolidarlo e
qualificarlo sono necessari nuovi interventi e strategie anche a livello nazionale.
È necessario un grande investimento in termini finanziari e organizzativi a livello nazionale per un
serio piano di sviluppo dei nidi in tutte le aree del nostro paese. Se occorre sostenere e valorizzare le funzioni
strategiche dei livelli di governo regionali e locali nel promuovere e realizzare nuovi servizi per i bambini e
le famiglie sul loro territorio, non si può più disconoscere che la dimensione del problema è tale da investire
la prospettiva nazionale soprattutto per determinare le linee di sviluppo e individuare adeguate risorse
finanziarie. Vanno definite e attivate le procedure e le risorse per promuovere e sostenere l’estensione e la
qualificazione della rete dei servizi educativi per l’infanzia sia in concorrenza sia in sussidiarietà
dell’impegno delle Regioni e degli Enti locali e progettare delle cabine di regia, sia livello nazionale che a
livello locale, che sappiano integrare e raccordare gli interventi istituzionali.
Il Piano straordinario triennale per l’implementazione del sistema territoriale dei servizi educativi della prima
infanzia (legge finanziaria 2007, n. 296/2006, art. 1, comma 1259) voluto dall’allora Ministra Rosy Bindi ha
costituito l’occasione più importante dal 1971 per rilanciare politiche statali di promozione e sostegno per
l’estensione su tutto il territorio nazionale, il consolidamento e la qualificazione di un sistema di servizi per i
bambini sotto i tre anni nella prospettiva dell’obiettivo del 33% di copertura dell’utenza potenziale stabilito
per il 2010 dal Consiglio delle Comunità europee nel 2002 a Barcellona. Gli effetti del Piano sono evidenti:
dal 9,5% siamo passati al 15% di nidi sul territorio nazionale. Se poi consideriamo anche i servizi integrativi
e le numerose sezioni primavera (per bambini da 24 ai 36 mesi), sempre previste nella finanziaria del 2007
(art. 1, c. 630), si vede che è stata raggiunta la media del 23% circa dell’utenza potenziale. Purtroppo non è
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stato riformulato un piano nazionale di ampio respiro e il fondo è rinnovato annualmente per cifre sempre
inadeguate. Anche all’interno del futuro regime di federalismo fiscale la risposta al bisogno di servizi per
l’infanzia non può esser addossata solo alle amministrazioni regionali e locali. A questo proposito la
definizione dell’identità dei servizi per l’infanzia è fondamentale.
La definizione dell’identità dei servizi per l’infanzia. Esigenza prioritaria è l’abolizione della definizione
dei servizi per l’infanzia come servizi a domanda individuale, che ha contribuito a frenare l’estensione del
servizio e ha scaricato sui soggetti gestori dei servizi e sulle famiglie costi crescenti di compartecipazione
alla spesa del servizio. Da molti anni e da molte parti (sono state presentate successivamente ben due leggi di
iniziativa popolare e numerose sottoscrizioni) è stato richiesto di definirli come servizi di interesse generale.
Anche se un breve accenno agli “asili nido” nella legge sul Federalismo fiscale (legge 42/2009, art.21, c.3,
lett.c) colloca questi servizi per l’infanzia tra quelli fondamentali delle amministrazioni comunali, non vi è
stata finora un chiaro superamento di questo annoso problema.
Inoltre, i servizi per l’infanzia, pur essendo stati riconosciuti nel 2003 dalla Corte Costituzionale come
servizi a valenza educativa, non trovano ancora cittadinanza tra i servizi educativi. Essendo tuttora
annoverati tra i servizi sociali, il Titolo V della Costituzione ne assegna la competenza legislativa alle
Regioni e riserva al legislatore nazionale solo il compito di indicarne i livelli essenziali da garantire su ogni
territorio. Va detto, tuttavia, con chiarezza che la riconosciuta valenza educativa di questi servizi non può
esimere il legislatore nazionale dall’indicare alcuni principi fondamentali a tutela della qualità
dell’esperienza offerta ai bambini. Un primo passo in questa direzione è stato compiuto nell’ottobre 2009
dalla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, che ha approvato il “Nomenclatore interregionale
dei servizi e degli interventi sociali”, nel quale sono definite anche le tipologie di servizi per la prima
infanzia, ivi compresi i servizi in ambito domiciliare e che potrà costituire una base sia per la definizione dei
livelli essenziali di presenza dei diversi servizi per l’infanzia su ogni territorio e dei criteri qualitativi di
funzionamento di ogni tipo di servizio. Non si tratta di definire né modelli pedagogici né orientamenti
educativi specifici che correttamente sono definiti nelle normative locali e regionali ma di normare con
chiarezza a livello generale quei criteri di funzionamento e principi generali che sono già riconosciuti nei
fatti per altri settori di competenza regionale come i servizi sanitari. Un ospedale non è tale perché accoglie
un malato tra le sue mura ma perché personale abilitato e formato vi eroga diagnosi e terapie adeguate
secondo parametri certi e secondo criteri generali di assistenza, così per un servizio per l’infanzia si deve
richiedere di definire: - una formazione iniziale specifica e di livello universitario per gli educatori di tutti i
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servizi per l’infanzia, - un basso rapporto numerico tra educatori e bambini, - la partecipazione delle famiglie
alla gestione e alla vita dei servizi, - il rispetto e l’accoglienza delle diversità, - forme di sostegno alla
professionalità degli operatori, quali la formazione continua e le figure di coordinamento pedagogico.
Le responsabilità dei governi regionali e locali. Negli anni abbiamo assistito non solo all’estensione della
rete dei servizi ma anche alla sua differenziazione. Sono stati creati e si sono affermati diverse tipologie di
servizi per l’infanzia, quali i Centri per Bambini e genitori e i Centri gioco, sono stati sperimentate nuove
modalità di servizi domiciliari. Negli ultimi anni si è sviluppata un’offerta consistente da parte del terzo
settore o dal settore privato che attraverso la stipula di convenzioni con le amministrazioni locali sono entrati
a far parte di sistemi integrati territoriali.
Le amministrazioni comunali si confrontano ora non solo con la gestione di uno o più nidi comunali ma con
la governance di un sistema di servizi diversificati cui contribuiscono diversi enti gestori.
A questi cambiamenti non ha corrisposto un’altrettanta attenzione da parte di molte amministrazioni
comunali nel rinnovare le strategie di governance né da parte di amministrazioni regionali nel dettare norme
in vista della creazione di un sistema regionale e territoriale di servizi che si riconoscesse nelle stesse regole,
nelle intenzionalità di base, nei valori costituzionali e nella qualità. Anche all’interno di territori governati
dal centro-sinistra, si sono aperte nuove contraddizioni e perse occasioni importanti per dar vita a iniziative
adeguate per fare fronte alle nuove situazioni.
A fronte delle crescenti difficoltà economiche, alcune amministrazioni hanno direttamente rivisitato gli
standard previsti, abbassando la qualità dei servizi gestiti direttamente o proponendo a soggetti terzi
condizioni economiche non tali da garantire né i diritti dei lavoratori né un’adeguata qualità dell’offerta
educativa ai bambini.
In anni recenti, in alcuni territori è stata anche permessa l’apertura di servizi domiciliari a persone senza i
titoli di studio di base, richiesti per gli altri servizi educativi, o affidandosi a corsi di poche ore. Di fatto,
viene così diffuso nuovamente il vecchio messaggio che per prendersi cura di bambini piccoli sia sufficiente
essere donna e madre. Si trascura, così, ciò che l’esperienza fatta nei servizi per l’infanzia di qualità ci ha
consegnato che una cosa è educare il proprio figlio, ben altra cosa è educare bambini di altri genitori anche in
un piccolo gruppo: qui occorrono strumenti professionali per organizzare la giornata dei bambini, gli spazi,
gli strumenti di lettura delle dinamiche tra bambini e soprattutto la regolazione delle relazioni di intimità
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nella cura educativa, relazioni che devono garantire ai bambini una figura di riferimento in grado di
controllare le proprie emozioni nell'equidistanza necessarie a fornire a tutti i bambini una base sicura.
L’attacco portato dai Governi di destra e in alcuni casi anche da amministrazioni rette da coalizioni della
sinistra ai servizi per l’infanzia vanno certamente interpretati non solo come mancanza di conoscenza circa
l’importanza dell’età infantile o di lucidità d’azione, ma come enfatizzazione della cura educativa riproposta
in una dimensione esclusivamente domestica, rigettando nel privato l'evento educativo, vissuto in una
dimensione solitaria; questo approccio rischia di produrre inevitabilmente la paralisi della dimensione
comunitaria, il blocco sociale e l’incapacità di rappresentare il futuro dell'educazione come evento che
riguarda l'intera collettività. Il ritorno prepotente, spesso giustificato con il venire meno delle risorse, ad una
offerta di servizi di tipo assistenziale è una scelta politico-amministrativa che priva l’infanzia di servizi di
qualità e dell’unica chance di godere di contesti di crescita positivi e integrativi della famiglia e di una futura
mobilità sociale.
Si avverte, pertanto, la necessità di avviare un forte dibattito culturale nel paese sulle problematiche connesse
alla gestione dei servizi per l’infanzia e le implicazioni educative, e di consolidare una rete di scambi e di
rapporti tra gli amministratori locali, sia dei territori dove sempre è stato presente un impegno coraggioso su
questi temi e che oggi sono in affanno nel confrontarsi con la crisi economica e con i difficili passagi politici
e istituzionali del momento, sia nei territori dove solo oggi si interviene per la prima volta nel settore dei
servizi per l’infanzia.
Le Sezioni primavera. La domanda delle famiglie di servizi per l’infanzia è particolarmente forte nel terzo
anno di vita dei bambini quando più si avverte il bisogno dei bambini di esperienze con gli altri bambini e si
avvicina il momento dell’ingresso nella scuola dell’infanzia. Per rispondere a questa esigenza i governi di
centro destra hanno più volte proposto un ingresso anticipando l’età di accesso alla scuola dell’infanzia
misconoscendo le particolari necessità educative e di cura dei bambini di quest’età. In alternativa il governo
Prodi ha dato inizio alla sperimentazione delle Sezioni primavera per accogliere la fascia di età tra i 24 e i 36
mesi. Tra molte difficoltà e con forti differenze in termini di qualità educativa e organizzativa, negli ultimi
tre anni sono stati accolti oltre 20mila bambini per anno all’interno del sistema scolastico statale o presso
scuole dell’infanzia e nidi comunali e privati. Tuttavia, il carattere sperimentale dell’iniziativa non ha finora
permesso il suo inserimento all’interno di organiche politiche nazionali e regionali.
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La scuola dell’infanzia fa parte del sistema dell’istruzione. L’intervento dello Stato ha permesso di
coprire tutto il territorio nazionale arrivando ad accogliere complessivamente più del 90% dei bambini tra i
tre e i sei anni. Tuttavia, l’obiettivo della generalizzazione delol’accesso di tutti i bambini in età non è stato
ancora raggiunto, soprattutto a fronte della ripresa demografica in atto in alcune Regioni del Nord e
permangono importanti differenze territoriali nell’assetto organizzativo (il 10% di sezioni solo antimeridiane
si ritrova soprattutto nelle regioni meridionali).
Sebbene nel settore sia fondamentale il contributo dell’iniziativa delle associazioni e dei privati, l’intervento
pubblico è molto importante (le scuole statali danno risposta circa al 60% dei bambini in età e le
amministrazioni comunali a un’ulteriore 13-14% con picchi percentuali molto alti nelle grandi città). La
regionalizzazione delle competenze scolastiche pone, pertanto, nuove questioni per il raccordo tra i diversi
livelli di governo e la progettazione di interventi coerenti sul territorio, in materia di opportunità di accesso e
di qualità dell’offerta. Inoltre, in coerenza con quanto realizzato in altri paesi europei, è previsto da anni un
livello di qualificazione universitaria per il personale docente, ma l’intervenuta riforma dell’università ha
proposto una nuova riflessione per progettare percorsi formativi in coerenza sia con quelli degli insegnanti
della scuola primaria che con quella degli educatori dei servizi per l’infanzia.
Si avverte, oggi, l’urgenza di un’adeguata riflessione da parte degli organismi scolastici attorno alle le nuove
sfide che attendono l’educazione prescolare oggi. Non si può ignorare la necessità di riformulare nuovi
obiettivi e strategie per una scuola, che accoglie la quasi totalità della popolazione infantile, che è spesso il
primo luogo di incontro tra le famiglie immigrate e le istituzioni del nostro paese, che deve affrontare il tema
dei primi apprendimenti dei bambini all’interno di una società multiculturale e multimediale e in un rapporto
di continuità con la scuola primaria.
Negli anni il Ministero della [Pubblica] Istruzione ha dato vita a diverse iniziative per sostenere la qualità
educativa della scuola dell’infanzia. Il documento Nuovi Orientamenti per la scuola materna varato nel 1991
dopo un’ampia consultazione nel mondo della scuola ha costituito per anni un riferimento pedagogico
importante anche per molte scuole comunali e private, mentre il dibattito attorno alle successive “Indicazioni
nazionali per il curricolo per la scuola dell'infanzia” proposte nel 2007 non è stato invece sviluppato a
seguito del cambiamento del governo nazionale. Né tanto meno è stata sviluppata un’adeguata riflessione
attorno alle fertili sperimentazioni realizzate nella scuola dell’infanzia statale, come i progetti ASCANIO e
ALICE e alle esperienze di eccellenza realizzate nelle realtà comunali, come nella città di Reggio Emilia.
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