le due costituzioni provvisorie (1943-1948)

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le due costituzioni provvisorie (1943-1948)
LE DUE COSTITUZIONI PROVVISORIE (1943-1948)*
di CARMELA DECARO
SOMMARIO: 1. Dal 25 luglio 1943 alla prima Costituzione provvisoria. – 2. I contenuti
della prima Costituzione provvisoria e il problema della continuità con il periodo statutario. – 3. Il secondo Governo Bonomi e l’istituzione della Consulta nazionale. – 4. I Governi Parri e De Gasperi e la seconda Costituzione
provvisoria. – 5. Il «Governo di gabinetto» nella seconda (e nella terza) Costituzione provvisoria. – 6. Conclusioni: tra rottura e continuità.
1.
Dal 25 luglio 1943 alla prima Costituzione provvisoria.
Le due Costituzioni provvisorie (il decreto-legge luogotenenziale 25 giugno 1944, n. 151, e il decreto legislativo luogotenenziale 16 marzo 1946, n. 98) rappresentano rispettivamente un
punto di avvio e d’arrivo nella vicenda costituzionale estremamente complessa che si sviluppa fra il 1943 e il 1948. L’instabilità, tipica degli ordinamenti transitori, caratterizza quegli anni
segnati dal confronto fra l’anima del passato e le culture della
Resistenza. Da una parte, i tentativi di riaffermazione di un
«torniamo allo Statuto» nella variante pre-fascista o nostalgicamente autoritaria. Dall’altra, le forze del rinnovamento, che si
rinvengono all’interno delle istituzioni sconfitte o che danno origine a forme inedite di aggregazione della rappresentanza. Si
manifesta il farsi progressivo di un potere costituente in rottura
con il passato regime, verso stabilizzazioni politiche che determinano organi, modi e procedure delle scelte istituzionali.
*
Questo testo rielabora il saggio pubblicato con lo stesso titolo ne: Il Parlamento Italiano 1981-1988. Vol. XIV - 1946-1947 Repubblica e Costituzione: dalla luogotenenza di Umberto alla presidenza De Nicola, Milano, Nuova Cei, 1989.
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L’instabilità è naturalmente accentuata dalla situazione politico-militare: la guerra drammaticamente perduta, il territorio
nazionale occupato – a sud dagli eserciti alleati, a nord dai tedeschi – la manifesta incapacità delle classi dirigenti tradizionali a far fronte agli eventi, la resistenza dei militari e dei civili,
la crescita del potere dei partiti antifascisti.
Il «colpo di stato» con cui, dopo il 25 luglio 1943, il Re
nomina, al di fuori delle procedure costituzionali create dal ventennio fascista, il governo Badoglio, un governo «tecnico» (a
capo di quasi tutti i ministeri vengono nominati direttori generali provenienti dalle amministrazioni d’appartenenza), costituisce – più che la ripresa degli istituti del regime parlamentare –
il tentativo di separare la responsabilità del monarca da quella
del regime fascista, riaffermando la continuità dello Statuto e
della Corona. Indicativa di questo spirito l’affermazione fatta dal
Re a Grandi, nei giorni precedenti il 25 luglio, sul suo considerarsi un sovrano costituzionale pur in assenza di un Parlamento
«funzionante» e di avere, quindi, bisogno di una «qualche indicazione da organi dello Stato e del Paese, in modo inequivoco
e certo» prima di procedere alla destituzione di Mussolini.
Il tentativo della Corona è peraltro drammaticamente maldestro. Le modalità della stessa resa militare, caratterizzata dalle
esitazioni di Badoglio sia per la paura dei tedeschi, sia per l’illusione di poterne negoziare le condizioni con gli alleati al di là
della formula della «resa incondizionata» adottata a Casablanca, rompono i legami di una parte della popolazione con la
monarchia. Determinano, invece, l’occupazione di fatto del territorio italiano da parte dei tedeschi nell’arco dei «quarantacinque giorni» ed accentuano le diffidenze alleate verso negoziatori
ambigui e contraddittori.
Il fallimento della politica del Re e di Badoglio, accompagnato dall’assoluta assenza di un piano militare per fronteggiare
l’inevitabile reazione della Wermacht, sta alle origini del crollo
dell’8 settembre.
Del resto, anche sul piano interno si verificano non poche
ambiguità. Certo, il governo Badoglio provvede all’immediata li-
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quidazione di molte istituzioni del regime: vengono soppressi il
Partito nazionale fascista, il Gran consiglio, la Camera dei fasci
e delle corporazioni (e quindi, a norma dello Statuto, sospesa
l’attività del Senato), il Tribunale speciale e viene prevista l’elezione, entro quattro mesi dalla fine della guerra, della Camera
dei deputati (regi decreti-legge 2 agosto1943, nn. 704, 705 e
706). Rimane, però, nel regio decreto-legge n. 704 del 1943 la
dizione «Capo del Governo, primo ministro», che fa sospettare
l’intenzione di mantenere inalterata la struttura dell’organo. Sarà
soltanto più tardi, con la formazione del secondo governo Badoglio, e dietro le insistenze dei partiti del Comitato di liberazione
nazionale, che si tornerà, con il regio decreto-legge 16 maggio
1944, n. 136, alla dizione «Presidente del Consiglio».
Rimangono pure, inopinatamente, in vigore le leggi razziali
del 1938 forse per timore di possibili reazioni tedesche: esse saranno infatti abolite solo con il regio decreto-legge 20 gennaio
1944, n. 25. Mentre l’estrema durezza con cui vengono represse
le manifestazioni antifasciste, secondo le direttive contenute
nella circolare del generale Mario Roatta adottata il 26 luglio
1943, provoca in diverse città numerosi morti e feriti fra i manifestanti e contribuisce ad allontanare, dopo l’entusiasmo del 25
luglio, settori cospicui dell’opinione pubblica dalla Corona.
L’8 settembre registra il fallimento di ogni ipotesi di continuità dello Stato decretando il crollo delle istituzioni che avevano retto la vita politica del Regno d’Italia, non certo la «morte
della Patria»1. La fuga del Re e di Badoglio da Roma, l’abbandono delle forze armate – senza disposizioni e senza ordini
– al loro destino, la vita del Regno del Sud sotto la tutela
alleata, l’immediata costituzione dei Comitati di liberazione na1
Come è noto, identifica l’8 settembre 1943 come «morte della patria» E.
GALLI DELLA LOGGIA, (prima in La morte della patria. La crisi dell’idea di nazione dopo
la seconda guerra mondiale, in Nazione e nazionalità in Italia, a cura di G. Spadolini,
Roma-Bari, Laterza, 1994, p. 125 s. e poi amplius in La morte della patria, Roma-Bari,
Laterza, 1996), sulla scorta di un’espressione impiegata da Salvatore Satta. In dissenso
con questa posizione, ma anche con la «visione eroica, nazionalpopolare del periodo
1943-45», cfr. E. AGA ROSSI, Una nazione allo sbando. L’armistizio italiano del settembre 1943 e le sue conseguenze, III ed., Bologna, Il mulino, 2003, spec. p. 15 s.
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zionale, il sorgere e l’organizzarsi dei partiti, la nascita della Repubblica sociale italiana nelle regioni controllate dai tedeschi,
segnano il passaggio ad una fase caratterizzata da avvenimenti
che si svolgono su piani paralleli. Quando essi si ricomporranno,
l’ordinamento provvisorio sarà una realtà nuova, già anticipatrice della futura Costituzione.
La monarchia può contare principalmente sull’appoggio inglese (l’atteggiamento americano, inizialmente defilato, diventerà
poi determinante per il crescente sostegno alle forze democratiche, anche grazie all’autorevole mediazione di Carlo Sforza).
Churchill teme che un indebolimento della monarchia possa accrescere l’instabilità politica italiana. Lo ha affermato alla Camera dei comuni il 27 luglio 1943, appena due giorni dopo l’arresto di Mussolini2. Lo ha ribadito esplicitamente il 22 febbraio 1944 nel famoso discorso in cui paragona la monarchia sabauda ad un comodo e collaudato manico di caffettiera che non
conviene sostituire per non bruciarsi3. In questa ottica è scontato il sostegno britannico a Badoglio, visto come l’unico Capo
del governo in grado di garantire l’adempimento delle clausole
dell’armistizio.
I Comitati di liberazione rappresentano la novità istituzionale più rilevante. Nati spontaneamente intorno ai partiti risorgenti in tutte le regioni italiane, ispirati da alcuni principi comuni, «unione nella Resistenza e unione nella democrazia»4
e coordinati da un comitato nazionale nel quale ciascuno dei
2
«Noi non desideriamo certo ridurre la vita italiana in condizioni di caos
e anarchia, in modo di trovarci noi stessi senza alcuna autorità con cui trattare. Così
facendo noi caricheremmo sulle nostre armate il peSo di occupare miglio per miglio
l’intero paese» ora citato in AGOSTINO DEGLI ESPINOSA), Il Regno del Sud, 8 settembre
1943 - 4 giugno 1944, Roma, Magliaresi, 1946, p. 22.
3
«Quando occorre tenere in mano una caffettiera bollente, è meglio non
rompere il manico finché non si è sicuri di averne uno altrettanto comodo e pratico,
o comunque finché non si abbia a portata di mano uno strofinaccio» ora citato in
AGOSTINO DEGLI ESPINOSA, Il Regno del Sud, 8 settembre 1943 - 4 giugno 1944, Roma,
Magliaresi, 1946, pp. 283-284.
4
L’espressione è di P. CALAMANDREI, Discorso sulla Costituzione, Milano,
1955, disco Cetra CL 0449/33 giri.
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partiti ha una rappresentanza paritetica, avranno un peso ed un
ruolo ovviamente diverso fra i territori liberati e quelli occupati
dai tedeschi sotto la sovranità formale della Repubblica sociale.
Ma, nel complesso, la loro autorità cresce di mese in mese.
Già la riflessione giuridica dell’epoca riconosce ai Comitati di liberazione la natura di «istituzioni pubbliche originarie» che,
«mediante autoassunzione di potere e via di fatto», si costituiscono in organo titolare del potere costituente5. La contrapposizione dei Comitati di liberazione al «programma restauratore massimo» del Re è netta e la proposta costituente approvata a conclusione del Congresso di Bari del 28-29 gennaio 1944
chiede l’abdicazione del Re e la formazione di un governo provvisorio che intensifichi lo sforzo bellico contro i tedeschi e prepari, garantendo imparzialità e libertà necessarie, la convocazione di un’Assemblea Costituente. Dal Congresso di Bari il
complesso dei Comitati di liberazione nazionale esce come componente politica originaria di un governo in fieri6, che si caratterizza,
nelle zone liberate, con un’azione di pressione politica incentrata
sulla questione istituzionale e, nelle zone occupate, con un’organizzazione politico-militare autonoma in rapporto dialettico con
il governo ufficiale e con il governo militare alleato.
La situazione di tensione tra i Comitati di liberazione nazionale e il governo cresce fino ad entrare in una impasse che si
sbloccherà soltanto nella primavera del 1944 in modo imprevedibile, con il riconoscimento del governo Badoglio da parte dell’Unione Sovietica (prima fra le potenze alleate) e con il ritorno
in Italia di Ercole Ercoli (Palmiro Togliatti), leader del partito
comunista e autorevolissimo dirigente del movimento comunista
5
Cfr., tra gli altri, C. MORTATI, La Costituente. La teoria. La storia. Il problema italiano (1945), ora in ID., Raccolta di scritti. I. Studi sul potere costituente e sulla
riforma costituzionale dello Stato, Milano, Giuffrè, 1972, p. 3 s., spec. 232 s., G. GUARINO, Due anni di esperienza costituzionale italiana (1946), ora in ID., Dalla Costituzione
all’Unione europea (del fare diritto per cinquant’anni), Napoli, Jovene, 1994, p. 8 s.,
spec. 14 s., e V. CRISAFULLI, Lezioni di diritto costituzionale. I. Introduzione al diritto
costituzionale italiano, Padova, Cedam, 1970, p. 124 s.
6
C. LAVAGNA, voce Comitati di liberazione, in Enc. del dir., VII, Milano,
Giuffrè, 1960, p. 778 s.
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internazionale. La proposta di Ercoli-Togliatti – rinvio della
questione istituzionale, priorità della guerra di liberazione, ingresso dei partiti nel governo Badoglio – prende di sorpresa le
altre forze politiche e lo stesso PCI. Tensioni e polemiche non
mancano. Anche Benedetto Croce, che ha proposto l’abdicazione di Vittorio Emanuele III e del principe Umberto e il passaggio della Corona al giovane principe di Napoli sostenuto da
una reggenza, è perplesso7. Infine, passa il compromesso De
Nicola8, che prevede – nel momento stesso della liberazione
di Roma – un passo indietro del Re e l’assunzione della Luogotenenza del Regno da parte di Umberto, come preannuncia lo
stesso Vittorio Emanuele nel radiomessaggio alla Nazione del 12
aprile 1944. Si forma così il secondo governo Badoglio, con l’ingresso di tutti i partiti (salvo i repubblicani, che non fanno parte
dei Comitati di liberazione nazionale proprio perché ancorati
alla pregiudiziale istituzionale).
Sulla «svolta di Salerno» s’innescheranno, allora e negli
anni successivi, polemiche aspre: alcuni vi vedranno unicamente
il tributo del dirigente comunista alle necessità della politica
estera sovietica, là dove vi era anche, da parte di Ercoli, un’autonoma convinzione ed elaborazione maturata da tempo9. La
linea di collaborazione con la monarchia è basata, infatti, sulla
realistica valutazione delle future sfere d’influenza degli alleati e
sulla necessità di ottenere la piena legittimazione del PCI, secondo una linea politica che sarà perseguita anche negli anni
successivi.
In ogni caso, l’iniziativa porterà alla sconfitta di quella
7
B. CROCE, Quando l’Italia era tagliata in due: estratto di un diario (luglio
1943 - giugno 1944), Bari, Laterza, 1948, p. 152. Sul punto cfr. anche G. SASSO, Prefazione a Dall’«Italia tagliata in due» all’Assemblea costituente. Documenti e testimonianze dai carteggi di Benedetto Croce, a cura di M. Griffo, Bologna, Il mulino, 1998,
p. 7 s., spec. 15 s. e i documenti riportati ivi, p. 161 s.
8
B. CROCE, Taccuini di guerra. 1943-1945, a cura di C. Cassani, Milano,
Adelphi, 2004 p. 112 s.; P. PUNTONI, Parla Vittorio Emanuele III, Bologna, Il Mulino
1993, p. 222 s.
9
G. VACCA, Premessa a P. TOGLIATTI, Sul fascismo, a cura di G. Vacca, Roma-Bari, Laterza, 2004, p. V s.
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«ipotesi di Stato monarchico-amministrativo, che era stata alla
base della rovinosa esperienza dei quarantacinque giorni»10,
mentre il prezzo pagato sarebbe stato quello della rinuncia ad
una prospettiva innovatrice basata sulla rottura drastica con gli
equilibri sociali consolidatisi nel periodo fascista11.
L’effetto immediato è comunque che lo stallo, derivante
dalla richiesta di abdicazione del re, viene superato dal «patto
di Salerno»: l’accordo con la Corona sulla luogotenenza del regno e il rinvio ad un’Assemblea Costituente eletta dal popolo
per la soluzione della questione istituzionale rappresentano le
basi politiche di quella Costituzione provvisoria destinata a consentire il passaggio, in chiave di continuità legale, alla fase costituente e al nuovo assetto istituzionale12.
Il rilievo istituzionale assunto dai Comitati di liberazione
nazionale, anche per l’iniziativa politica di Ugo La Malfa, si riflette sulle modalità di formazione del governo: i ministri del secondo (il quarto se si tiene conto dei rimpasti tecnici operati)
governo Badoglio, costituito a partire dal 22 aprile 1944, che
rappresenta il primo governo politico espressione dei partiti antifascisti, giurano ancora nelle mani del re, ma mantengono le
opinioni politiche proprie e subordinate al comune accordo, necessario per i supremi interessi dello Stato, secondo la formula
impiegata da Giulio Rodinò, rappresentante della DC come ministro senza portafoglio13.
Sia pure con le condizioni eccezionali che ne vedono la nascita, la soluzione adottata disegna la cornice che caratterizzerà,
___
10
E. RAG1ONIERI, La Storia politica e sociale, in ID., Storia d’Italia. Dall’Unità
ad oggi, vol. IV tomo 3, Torino, Einaudi, 1976.
11
G. QUAZZA, Resistenza e storia d’Italia, Milano, Feltrinelli, 1976.
12
V. GUELI, L’assetto costituzionale provvisorio e le prerogative dei senatori
(1946), in ID., Diritto costituzionale provvisorio e transitorio, Roma, Il foro italiano,
1950, p. 37 s., spec. p. 69 s.
13
V. TELMON, Ugo La Malfa. Il professore della Repubblica, Milano, Rusconi,
1983, p. 58 ss.; M. PALERMO, Memorie di un comunista napoletano, Napoli, Dante &
Descartes, 1999, p. 220. Mario Palermo fu sottosegretario alla guerra nel secondo
governo Badoglio e nei due governi Bonomi.
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con varianti importanti ma tutte «interne», la politica italiana
fino alla metà del 1947, e per molti aspetti anche oltre.
Dopo un mese e mezzo, nell’ambito di quella cornice le
coordinate istituzionali cambiano ancora: il principe di Piemonte, Umberto di Savoia, nominato, all’indomani della liberazione di Roma, con regio decreto 5 giugno 1944, n. 140, luogotenente generale del regno per l’esercizio di tutte le prerogative
regie dopo la rinuncia «definitiva e irrevocabile» di Vittorio
Emanuale III, deve accettare come presidente del Consiglio, Ivanoe Bonomi, Presidente del Comitato di liberazione nazionale
centrale. Il rapporto di fiducia del governo è con i partiti del
Comitato di liberazione nazionale e per sottolineare questa
svolta i ministri del primo governo Bonomi (insediatosi il 18
giugno 1944) non giurano fedeltà alla Corona ma alla Nazione e
si impegnano a non compiere, fino alla convocazione dell’Assemblea Costituente, atti che comunque pregiudichino la soluzione della questione istituzionale.
La forma di governo di questa fase è la risultante di una definizione dei rapporti fra Luogotenenza, Comitato di liberazione
nazionale e Governo: il Luogotenente è vincolato alle decisioni del
Comitato di liberazione nazionale – che in quella fase assume il
ruolo di una sorta di Parlamento14 – per quel che riguarda
l’indirizzo politico e la, scelta delle persone destinate ad attuarlo,
così come per eventuali mutamenti ministeriali. L’atipicità della figura del Luogotenente, capo dello Stato, è il segno più evidente
dell’instaurazione di un ordinamento provvisorio.
Tale forma di governo viene interpretata dai costituzionalisti
come una novità rivoluzionaria15 o come legittimazione giuridica
di una situazione di fatto che non trova fondamento nello Statuto
o nella prassi precedente, ma rappresenta una «soluzione di
carattere temporaneo» collegata alla decisione costituente16.
14
Cfr. C. MORTATI, La Costituente, cit., p. 234.
Cfr. G. GUARINO, Due anni di esperienza costituzionale italiana, cit., p. 18 s.
16
Così C. MORTATI, La Costituente, cit., p. 235.
15
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La «svolta di Roma», a due mesi soltanto dalla svolta di
Salerno, costituisce una forte affermazione del peso del Comitato di liberazione nazionale e un drastico ridimensionamento
dei poteri della monarchia. Fra i partiti, gli equilibri si spostano
a sinistra, per il successo della linea intransigente del partito
d’azione e del partito socialista, anche se quest’ultimo è condizionato dal patto di unità d’azione con il PCI, che continua a
svolgere una funzione di prevalente equilibrio tattico. Altro elemento interessante è la crescita del peso della democrazia cristiana, mentre si indebolisce il ruolo dei liberali, che nel «Regno
del sud» hanno avuto una funzione di primo piano, anche per
effetto della guida autorevole e prestigiosa di Benedetto Croce.
2.
I contenuti della prima Costituzione provvisoria e il problema della continuità con il periodo statutario.
Il nuovo equilibrio del sistema politico nei primi mesi del
1944 è sancito dal decreto-legge luogotenenziale 25 giugno
1944, n. 151: la prima Costituzione provvisoria è definita «l’atto
di nascita del nuovo ordinamento democratico»17.
La scelta delle «forme istituzionali» è affidata al popolo
italiano che «a tal fine eleggerà, a suffragio universale diretto e
segreto, un’Assemblea Costituente per deliberare la nuova Costituzione dello Stato», secondo «modi e procedure» rinviati a
un successivo provvedimento (art. 1).
Il superamento della prospettiva della continuità monarchica sembra essere definitivamente sancito con l’abrogazione
espressa del già ricordato regio decreto-legge 2 agosto 1943, n.
17
Cfr. P. CALAMANDREI, Cenni introduttivi sulla Costituente e sui suoi lavori,
in Commentario sistematico alla Costituzione italiana, diretto da P. Calamandrei e A.
Levi, Firenze, Barbera, 1950, I, p. IXC s., spec. CII s. L’aspetto è sottolineato con
forza in P. CALAMANDREI, Nel limbo istituzionale (aprile 1945), ora in ID., Costruire la
democrazia. Premesse alla Costituente, Montepulciano, Le Balze, 2003, p. 25 s. Cfr.
anche V. ONIDA, voce Costituzione provvisoria, in Digesto discipline pubblicistiche, vol.
IV, Utet, Torino, 1989, p. 348 s., S. LABRIOLA, Storia della Costituzione italiana, Napoli,
ESI, 1995, spec. p. 286 s., U. DE SIERVO, La transizione costituzionale (1943-1946,), in
“Diritto pubblico”, 1996, p. 543 s., spec. 567 s.
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705, che aveva sciolto la Camera dei fasci e delle corporazioni
prevedendo anche l’elezione di una nuova Camera dei deputati
(art. 2).
È esplicitamente formalizzata la prassi, inaugurata con il
governo Bonomi, del giuramento di fedeltà dei ministri alla Nazione nel rispetto della tregua istituzionale (art. 3). L’anziano
Presidente del consiglio aveva affermato, infatti, che la futura
elezione di un’assemblea incaricata di deliberare i nuovi ordinamenti costituzionali dello Stato aveva reso, di fatto, precario il
vecchio Statuto, rendendo impossibile, come per il passato, giurare fedeltà ad una costituzione che sarebbe stata sottoposta al
prossimo giudizio del paese18.
È disciplinato l’esercizio del potere legislativo fino al funzionamento delle istituzioni rappresentative. I provvedimenti
aventi forza di legge, definiti decreti legislativi, sono deliberati
dal Consiglio dei ministri e «sanzionati e promulgati» dal Luogotenente (art. 4); mentre i decreti relativi ai regolamenti esecutivi delle leggi, a quelli per l’uso delle facoltà spettanti al potere
esecutivo e quelli organizzativi sono emanati dal Luogotenente
(art. 5). Infine, si prevede che il decreto sia presentato alle Assemblee legislative per la conversione in legge (art. 6).
La provvisorietà del decreto-legge sembra chiara, così come
la sua funzionalità a garantire che l’Assemblea Costituente
svolga il suo compito; è chiara anche l’esclusione di un referendum istituzionale. In questo momento, la linea della continuità
dello Stato sembra toccare il suo punto più basso. La tregua fra
Corona e partiti politici comporta, sul piano delle fonti, il necessario concorso tra Consiglio dei ministri, che delibera in modo
collegiale (è del tutto superata la figura del primo ministro), e
Luogotenente, che «sanziona» e «promulga»: al di là dell’uso
improprio del termine «decreti legislativi», il richiamo espresso
alla sanzione, tradizionalmente riferita alle leggi approvate dalle
18
Verbali Consiglio dei Ministri, luglio 1943 - maggio 1948, Ed. critica, III,
Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per l’Informazione e l’Editoria,
pag. 10.
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Camere, distinta dalla promulgazione, riprende la formula dell’articolo 7 dello Statuto e ripropone, fra Luogotenente e Consiglio, il rapporto di partecipazione alla funzione legislativa esistente tra il Monarca costituzionale e le Camere.
Quanto alla natura dei provvedimenti con forza di legge
dell’art. 4, questi non derivano da alcuna delega (non esiste un
Parlamento delegante ed è un illogico giuridico pensare ad una
autodelega del Governo), non sono decreti-legge perché non vi
è alcun riferimento a clausole di conversione, ma sono «atti
normativi straordinari legati all’eccezionalità della situazione storica tipica espressione di una forma di governo del tutto nuova
nella quale la divisione dei poteri era rimasta soltanto nei confronti del potere giudiziario per essere stata assunta la funzione
legislativa dal governo che ne era, sia pure provvisoriamente,
l’esclusivo titolare»19.
La prima Costituzione provvisoria regola dunque una fase
in cui il Governo ha riacquistato la sua «politicità» e con la
tregua istituzionale ha riconosciuto l’esercizio delle prerogative
regie da parte del Luogotenente, quasi a sottolineare ruoli e garanzie formali che assicurino una legittimità costituzionale a
tutte le forze in gioco. In questa prospettiva, prevedere una futura conversione per il decreto-legge luogotenenziale n. 151 del
1944, e nessuna legalizzazione per i «decreti legislativi» previsti dall’art. 4, in quanto legittimati da quel decreto, è certo un
«assurdo» – dal momento che costringe l’atto espressione di
un potere costituente, che sostituisce il vecchio assetto costituzionale, a sottoporsi a limiti e condizioni di quell’assetto20 –
ma è anche il prodotto di un ordinamento provvisorio che tra le
strade della sua legittimazione tenta anche quella della continuità formale. L’esclusività e l’omogeneità del potere del Go19
Così G. AMATO, voce Decreto legislativo luogotenenziale, in Enc. del dir.,
vol. XI, Milano, Giuffrè, 1962, p. 875, ove anche ulteriori indicazioni. Diversamente,
nel senso cioè di qualificarli come decreti-legge, cfr. G. FERRARI, Formula e natura dell’attuale decretazione con valore legislativo, Milano, Giuffrè, 1948, spec. p. 119 s.
20
Cfr. C. MORTATI, Costituente e ordinamento provvisorio dello Stato (1946), in
ID., Raccolta di scritti. I, cit., p. 441 s.
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verno non sono in quei mesi una realtà indiscussa: proprio durante il Governo Bonomi alcuni episodi indicano come la Corona e le forze che ad essa si collegano tentino di riorganizzarsi,
imponendo rallentamenti alla spinta rivoluzionaria del Comitato
di liberazione nazionale.
Innanzitutto, il 15 luglio 1944 Vittorio Emanuele Orlando
e Tomasi della Torretta di Lampedusa vengono chiamati a presiedere21 rispettivamente la Camera dei deputati e il Senato
del Regno per assicurare – secondo il comunicato del Governo
– una «continuità ideale dell’antica Camera dei deputati con
l’Assemblea» che il popolo italiano avrebbe liberamente eletto.
In realtà, per permettere al Luogotenente di svolgere, in caso di
crisi di governo, le rituali consultazioni con i presidenti delle
Assemblee e di riprendere quella iniziativa politica che il Comitato di liberazione nazionale, con la designazione di Bonomi, gli
aveva negato appena un mese prima22.
È la tesi della continuità dell’ordinamento provvisorio rispetto alle istituzioni statutarie che si riaffaccia, tesi che, per quel
che riguarda il Senato, ha un riconoscimento in sentenze e gode
di sostegni dottrinari sulla permanenza come istituzione giuridica ditale organo. In particolare, un ricorso alla Corte di cassazione contro le decadenze dei senatori, decise dall’Alta corte
di giustizia straordinaria istituita dal decreto legislativo luogotenenziale 27 luglio 1944, n. 159, è respinto per inammissibilità:
saranno necessari, per eliminare ogni dubbio, il decreto legislativo presidenziale 24 giugno 1946, n. 48, che dichiarerà cessato
il Senato del Regno dalla sue funzioni con effetto dal 25 giugno
1946, e la legge costituzionale 3 novembre 1947, n. 3, che disporrà la soppressione del Senato del Regno e definirà la posizione giuridica dei suoi componenti23.
21
In realtà Tomasi della Torretta fu incaricato di reggere la Presidenza del
Senato quale Commissario governativo.
22
C. GHISALBERTI, Storia costituzionale d’Italia 1848-1994, n. ed. Roma-Bari,
Laterza, 2003, p. 398 s.
23
Per la riproduzione dei documenti citati cfr. La nascita del Senato Repubblicano, con prefazione di G. Spadolini e saggio introduttivo di C. Giannuzzi, Roma,
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Ancora: in autunno, in un contesto che vede allontanarsi la
liberazione delle zone occupate del nord, il Luogotenente, in
un’intervista concessa al “New York Times” pubblicata il 31 ottobre 1944, sostiene l’opportunità di affidare la scelta istituzionale ad un referendum popolare, anziché all’Assemblea costituente come previsto dal decreto-legge luogotenenziale n. 151
del 1944. Secondo alcune ricostruzioni24, anche Bonomi condivide la posizione del Re e, cogliendo l’occasione di uno dei ricorrenti contrasti all’interno del Governo, il 26 novembre rassegna le dimissioni nelle mani del Luogotenente, alterando così le
modalità di formazione del Governo inaugurate nel giugno precedente: designazione del presidente da parte del Comitato di
liberazione nazionale, nomina da parte del Luogotenente vincolata alla designazione e quindi, per converso, in caso di dimissioni, comunicazione al Comitato di liberazione nazionale delle
dimissioni stesse.
La Corona viene così reimmessa nel gioco istituzionale e
Bonomi è confermato alla guida di un governo quadripartito,
che non vede la partecipazione degli azionisti né dei socialisti,
insediatosi il 12 dicembre 1944.
3.
Il secondo Governo Bonomi e l’istituzione della Consulta
nazionale.
I contrasti fra i partiti del Comitato di liberazione nazionale
Senato della Repubblica, 1989, p. 160 s. e p. 169 s. Cfr. anche V. GUELI, L’assetto costituzionale provvisorio, cit., p. 37 s.
24
Falcone Lucifero, Ministro della Real casa di Umberto, ricorda nel suo
diario come il testo dell’intervista fosse stato licenziato con l’approvazione dello stesso
Bonomi, ma con la contrarietà di Visconti Venosta. Cfr. F. LUCIFERO, L’ultimo Re. I
diari del Ministro della Real Casa 1944-1946, Milano, Mondadori, 2002, p. 168 s. Secondo E. Di Nolfo, già in luglio Bonomi, in un colloquio con Ellery Stone, capo della
Commissione alleata di controllo, aveva affermato che l’apparenza secondo la quale il
governo aveva demandato all’Assemblea costituente la scelta della forma istituzionale
era del tutto fallace. Il Governo «non aveva ancora deciso e non aveva al momento
alcuna intenzione di decidere se la decisione avrebbe dovuto essere presa mediante un
referendum popolare o mediante l’elezione dei delegati dell’Assemblea costituente»
(cfr. E. DI NOLFO, Le paure e le speranze degli italiani (1943-1953), Milano, Mondadori, 1986, p. 108 s.).
121
IL FILANGIERI 1/2005
che in modi alterni caratterizzeranno fino al 1947 la politica italiana cominciano su un terreno propriamente istituzionale. Per
una brevissima fase, la contemporanea astensione dal governo di
azionisti e socialisti sembra poter prefigurare la crescita di una
«terza forza» fra democrazia cristiana e partito comunista. Ma
Nenni dice di no alle proposte d’intesa lanciate dall’azionista La
Malfa e resta fedele al patto di unità d’azione con il PCI. Molti
giudicheranno questa scelta un errore destinato a pesare per
anni sugli equilibri politici, ad aprire la strada all’egemonia democristiana e a condannare gli stessi socialisti ad una condizione
di subalternità nei confronti del partito comunista.
Inizia irreversibile lo sfaldamento del Comitato di liberazione nazionale relegato dalla regola dell’unanimità ad un ruolo
che si va ridimensionando. E infatti l’iniziativa autonoma dei
partiti politici antifascisti ad avere sempre maggior peso e a trovare nel Governo la sede istituzionale che risulterà vincente sulla
monarchia.
La parabola discendente del vento rivoluzionario dei Comitati di liberazione nazionale si riflette negli «accordi di Roma»
del 26 dicembre 1944, nei quali il Comitato di liberazione per
l’Alta Italia riconosce il Governo Bonomi come unico Governo
legittimo e il Governo a sua volta riconosce nel Comitato di liberazione per l’Alta Italia un’istituzione provvisoria locale
agente con tutti i poteri in piena legalità, come «organo dei partiti antifascisti nel territorio occupato dal nemico»: con il decreto legislativo luogotenenziale 28 febbraio 1945, n. 73, il Governo delega al Comitato di liberazione nazionale per l’Alta Italia pieni poteri, destinati a cessare alla fine della guerra in base
all’ordinanza 1° giugno 1945, n. 1, del Governo militare alleato.
In questa prospettiva anche l’istituzione della Consulta nazionale, con i decreti legislativi luogotenenziali 5 aprile 1945 n.
146, e 30 aprile 1945 n. 168, tradizionalmente letta come «ulteriore e significativo indice del grado di legittimazione raggiunto
dal CLN»25, può essere sintomo rivelatore di una tendenza
25
In questi termini, cfr., anche per ulteriori indicazioni, P. CARETTI, Forme
122
CARMELA DECARO
contraria. La Consulta consente l’espressione diretta delle forze
vive del Paese e la collaborazione istituzionalizzata all’azione del
Governo di tutte le esperienze e tutte le competenze, attraverso
pareri non vincolanti sui problemi generali e sui disegni di legge
che ad essa vengono sottoposti dal Governo e pareri obbligatori
in materia di bilancio e rendiconti consuntivi, di imposte e di
disciplina elettorale.
È vero, per riprendere la tesi del rilievo dato al Comitato di
liberazione nazionale dal decreto istitutivo, che i consultori
nominati dal Governo sono designati in maggioranza (156 su
304 della composizione originaria) dai sei partiti del CLN, ma si
tratta di una maggioranza di soli otto voti. Le 148 nomine governative garantiscono il recupero di legittimazione per la vecchia classe liberale, che sostiene la necessità di creare un contrappeso alla «dittatura» del governo provvisorio rappresentativo del Comitato di liberazione nazionale, ed esprimono in
modo simbolico la continuità con le istituzioni liberali.
Si inseriscono in questa logica le critiche, avanzate anche
da parte liberale, alla «limitatezza» dei poteri della Consulta e
i tentativi, a livello di regolamento interno, elaborato nel gennaio
1946, di ridisegnare i relativi poteri riconoscendo ai consultori il
potere di presentare interrogazioni e interpellanze (non mozioni), iniziative di legge ed emendamenti agli schemi di provvedimento, su cui si è espresso dissenso, e di prevedere forme di
autoconvocazione ditale organo. È la logica del riconoscimento
di una funzione collaborativa, ma anche correttiva che il nuovo
organo viene così posto in grado di svolgere nei confronti del
Governo, titolare esclusivo di ogni potere decisionale, alla quale
si oppongono, con parziale successo, i socialisti e gli altri partiti
di massa, che non vogliono che la Consulta possa apparire come
un surrogato del Parlamento o dell’Assemblea Costituente26.
di governo e diritti di libertà nel periodo costituzionale provvisorio, in La fondazione
della Repubblica: dalla Costituzione provvisoria alla Assemblea costituente, a cura di E.
Cheli, Bologna, Il Mulino, 1979, p. 31 s., spec. 55.
26
Così l’intervento di Sandro Pertini in Atti della Consulta Nazionale, 10
gennaio 1946, p. 189.
123
IL FILANGIERI 1/2005
La Consulta opera per pochi mesi, ma la sua attività finisce
per avere un peso politico non secondario. In concreto la Consulta, che si riunisce tra il 25 settembre 1945 e il 1° giugno 1946,
non ha poteri per condizionare in modo decisivo l’attività dei governi che si succedono in quei mesi – guidati prima da Ferruccio
Parri poi da Alcide De Gasperi – ma diventa il luogo istituzionale
in cui i vari partiti affrontano complesse questioni di rilievo politico-istituzionale, quali quelle delle leggi destinate a regolare le elezioni degli enti locali e dell’Assemblea Costituente.
In particolare, la discussione sulla legge elettorale per la
Costituente, che avviene in seno ad una commissione speciale
istituita nell’ambito della Consulta e poi nell’assemblea plenaria,
è occasione per sciogliere nodi intorno a cui si cerca un compromesso organico: primo fra tutti, quello dei poteri e limiti dell’Assemblea da eleggere, con sullo sfondo l’alternativa che si va delineando, sulla scorta della già ricordata intervista di Umberto e
anche per evitare la probabile spaccatura in Assemblea costituente della DC, di affidare la risoluzione della «questione istituzionale» ad un referendum popolare.
Appunto all’interno del decreto legislativo luogotenenziale 10
marzo 1946, n. 74, legge elettorale per l’Assemblea Costituente, si
opta per il sistema proporzionale, con la motivazione della «specialità» dell’Assemblea Costituente, si elimina l’obbligatorietà giuridica del voto (sopprimendo le sanzioni originariamente previste),
si garantisce la piena libertà degli elettori di scegliere i candidati
eliminando il «quorum di efficienza» (ossia il rapporto voti di
preferenza-voti di lista necessario a far prevalere le preferenze rispetto all’ordine prestabilito dei candidati).
È la prima parte del compromesso più generale poi raggiunto, pochi giorni dopo, con il decreto legislativo luogotenenziale 18 marzo 1946, n. 98, noto come «seconda Costituzione
provvisoria».
4.
I Governi Parri e De Gasperi e la seconda Costituzione provvisoria.
Il decreto legislativo n. 98 del 1946, dal punto di vista formale, si limita ad integrare e a modificare il decreto-legge luogo-
124
CARMELA DECARO
tenenziale n. 151 del 1944, cosicché non vi è alcuna norma di legittimazione che rinvii a successiva «ratifica», rimanendo valida
la clausola di conversione futura contenuta nella prima Costituzione provvisoria: in realtì l’ordinamento costituzionale transitorio viene profondamente cambiato e rispecchia il mutamento
politico nel frattempo intervenuto.
Il Governo guidato dall’azionista Ferruccio Parri, insediatosi il 21 giugno 1945 dopo la liberazione, aveva destato grandi
speranze di rinnovamento. Il grande prestigio del presidente del
Consiglio – uno dei massimi capi della Resistenza – sembra
una garanzia per il successo del «vento del nord» evocato da
Nenni. Ma le speranze hanno vita breve. Comincia il riflusso
politico, segnato dalla nascita di movimenti come l’«Uomo qualunque», in aperta polemica con il sistema del Comitato di liberazione nazionale.
La nomina di Alcide De Gasperi a successore di Parri, il 10
dicembre 1945, inaugura la lunghissima serie di governi a guida
democristiana, mentre il PCI punta essenzialmente alla collaborazione fra i partiti e ad una politica di unità nazionale mediante
un atteggiamento moderato che gli consente di restare fra i protagonisti del gioco.
Se la prima Costituzione provvisoria, espressione della
forza «rivoluzionaria» del Comitato di liberazione nazionale,
sanciva la tregua in vista della decisione sulle forme istituzionali
da realizzare seguendo le regole stabilite dallo stesso Comitato di
liberazione nazionale (l’Assemblea «a tal fine eletta»), la seconda Costituzione provvisoria registra l’esaurimento della forza
politica dell’originario organismo costituente, in corrispondenza
con le trasformazioni profonde intervenute nella situazione politica, e confermate dalla nomina di un esponente DC alla guida
del Governo.
La fine della guerra, l’insuccesso del Governo Parri, il venir meno del principio dell’unanimità nelle decisioni del Comitato di liberazione nazionale, l’ascesa di De Gasperi stabilizzano
i rapporti politici sottostanti e portano alla definizione di nuove
regole, prima fra tutte il referendum istituzionale, da svolgersi
125
IL FILANGIERI 1/2005
contemporaneamente alle elezioni per l’Assemblea Costituente
(art. 1).
Inoltre, anticipando soluzioni che saranno fatte proprie
dall’Assemblea Costituente, i rapporti fra i supremi organi dello
Stato sono disciplinati secondo il modello del governo parlamentare, in cui il capo dello Stato affida l’incarico per la formazione
del governo che è legato all’Assemblea dal rapporto di fiducia
(artt. 2, 3, 5). Viene sciolto così, ed indipendentemente dall’eventuale forma istituzionale che sarà adottata – Monarchia o
Repubblica –, il doppio legame fiduciario con il Capo dello
Stato e con la Camera, che aveva caratterizzato la vita dei governi in regime statutario.
Il modello parlamentare non si riflette però sull’esercizio del
potere legislativo: i poteri dell’Assemblea Costituente sono
limitati all’approvazione della Costituzione e a poche altre leggi
ordinarie, a garanzia della funzionalità e del non appesantimento
dei suoi lavori. Sicché il potere legislativo «resta delegato» al
Governo, salva la materia costituzionale e ad eccezione delle
leggi elettorali e di quelle di approvazione dei trattati internazionali. Il Governo può, peraltro, sottoporre all’esame dell’Assemblea Costituente qualunque argomento per il quale ritenga opportuna la sua deliberazione.
In realtà, l’uso atipico di una delega che il Governo si autoattribuisce e la novità (rispetto ai decreti legislativi luogotenenziali previsti dalla prima Costituzione provvisoria) del rinvio dei
provvedimenti legislativi nel frattempo adottati dal Governo ad
una «ratifica» da parte del nuovo Parlamento (art. 6), come
una sorta di legalizzazione postuma, ridimensionano la forza politica dell’Assemblea Costituente.
La soluzione adottata in Assemblea Costituente, in esito a
un intenso dibattito sui propri poteri27, allo scopo di bilanciare lo squilibrio così determinatosi a favore del Governo, è
27
Per un’accurata ricostruzione del dibattito cfr. G.U. RESCIGNO, La discussione nella Assemblea Costituente del 1946 intorno ai suoi poteri, ovvero del potere costituente, delle assemblee costituenti dei processi costituenti, in “Diritto pubblico”,
1996, p. 1 s.
126
CARMELA DECARO
minimale e non incide sulla sostanziale iniziativa dell’esecutivo:
viene infatti approvata una norma nel regolamento dell’Assemblea Costituente – che per il resto riadotta quello della Camera
dei deputati statutaria – che trasforma la facoltà del governo di
invio all’Assemblea in obbligo di trasmissione di tutti i disegni di
legge, ad eccezione di quelli di urgenza, a quattro commissioni
competenti per materia che esaminano tali disegni e comunicano
al governo quelli che per la loro rilevanza tecnica o politica devono essere deliberati dall’Assemblea28.
5.
Il «governo di gabinetto» nella seconda (e nella terza) Costituzione provvisoria.
Più che un sistema parlamentare, la seconda Costituzione
provvisoria introduce dunque un forte «governo di gabinetto»,
la cui legittimità politica deriva dall’accordo di tutti i partiti del
Comitato di liberazione nazionale: al Governo viene riconosciuto un ruolo decisionale quasi esclusivo, per tutto il periodo
dell’Assemblea Costituente e fino alla convocazione del nuovo
Parlamento, negli importanti interventi economici e riformatori
imposti dalla ricostruzione.
Quando però la solidarietà tra i partiti del Comitato di liberazione nazionale si rompe il 13 maggio 1947, con la fine del
terzo governo De Gasperi, i pericoli negli equilibri istituzionali
derivanti dalla concentrazione del potere legislativo nell’esecutivo a danno dell’Assemblea Costituente si fanno più evidenti e
degenerano dopo l’entrata in vigore della Costituzione il 1° gennaio 1948 e fino all’elezione e alla convocazione delle nuove Camere (rispettivamente, il 18 aprile e l’8 maggio 1948) in una
28
Sul punto, cfr. ampiamente C. FIUMANÒ-R. ROMBOLI, L’Assemblea Costituente e l’attività di legislazione ordinaria, in La fondazione della Repubblica, cit., p.
381 s. Nel senso che per effetto dei rapporti fra governo e assemblea delineati da questa modifica regolamentare «si è venuta a realizzare una nuova fase dell’assetto provvisorio nel periodo della Costituente» cfr. C. MORTATI, L’ordinamento della funzione
legislativa fra l’entrata in vigore della Costituzione e la convocazione del nuovo Parlamento (1948), ora in ID., Raccolta di scritti I, cit., p. 543 s., spec. 551.
127
IL FILANGIERI 1/2005
prassi ancora più grave di esclusivo monopolio legislativo del
Consiglio dei ministri.
Va sottolineato, tuttavia, il forte senso di responsabilità del
presidente del Consiglio. De Gasperi non approfitta di questa
situazione eccezionale, neanche nella fase più aspra del confronto politico che coincide con la campagna elettorale per il
voto del 18 aprile 1948. Come non utilizzerà della schiacciante
vittoria elettorale della DC per un governo monocolore che sarebbe stato sostenuto alla Camera (ma non al Senato, composto
da molti membri «di diritto» ai sensi della III disposizione
transitoria e finale della Costituzione) dalla maggioranza assoluta
dei componenti. È lo stesso De Gasperi a cercare la collaborazione dei partiti laici di centro, liberale, repubblicano e socialdemocratico, e a portarli nel governo.
Fra l’entrata in vigore della Costituzione e l’elezione delle
nuove Camere si verifica tuttavia una violazione della XVII disposizione transitoria della Costituzione, ossia delle norme che
garantiscono in quest’ultima fase transitoria l’equilibrio dei rapporti fra il Governo e Assemblea Costituente29.
L’attività legislativa è peraltro, in questa fase, esercitata
esclusivamente dal Consiglio dei ministri. Questa conclusione si
ricava in base alla XV disposizione transitoria, che, convertendo
in legge il decreto-legge luogotenenziale n. 151 del 1944 (erroneamente citato come decreto legislativo)30, è interpretata nel
29
Nella XVII disposizione transitoria il contenuto del decreto legislativo
luogotenenziale n. 98 del 1946 è riproposto quasi integralmente e rappresenta una sorta
di «terza Costituzione provvisoria», destinata a «novare la fonte di legittimazione dei poteri del governo provvisorio» ed a sostituire i precedenti decreti n. 151
del 1944 e n. 98 del 1946. In questo senso, cfr. C. MORTATI, L’ordinamento della funzione legislativa, cit., p. 561 s.
30
Cfr., sul punto, R. ROMBOLI, Commento alla XV disposizione transitoria e
finale, in Commentario alla Costituzione, fondato da G. Branca e continuato da A.
Pizzorusso, Bologna-Roma, Zanichelli-Il foro italiano, 1995, p, 230 s., il quale, dopo
aver rilevato che si tratta di espressione «evidentemente inesatta», avanza l’ipotesi
che l’on. Mortati, proponente dell’emendamento da cui la disposizione deriva, «si era
dichiarato contrario all’impiego del decreto legge per la emanazione della prima Costituzione provvisoria, in quanto manifestazione di continuità tra il vecchio ed il nuovo
ordinamento».
128
CARMELA DECARO
senso di conferma dell’esclusività del potere legislativo in capo
al Governo, secondo quanto previsto dall’art. 4 di quel decreto;
e in base alla XVII disposizione transitoria che, modificando il
precedente ordinamento provvisorio, è interpretata nel senso di
escludere il capo dello Stato dalla partecipazione alla formazione
della volontà legislativa, affidata pertanto al solo Consiglio dei
ministri31.
La «forzatura» nell’interpretazione della terza Costituzione provvisoria, interessante da ricordare per questa «arbitraria» preferenza della prima Costituzione provvisoria rispetto
alla seconda32, è ormai storia della Repubblica italiana e corrisponde alla stabilizzazione dei rapporti politici sulla base di
due schieramenti contrapposti, in un contesto istituzionale e internazionale definito.
6.
Conclusioni: tra rottura e continuità.
Tornando, invece, alle novità dell’ordinamento provvisorio
e utilizzando la chiave di lettura della continuità fra gli ordinamenti tradizionalmente usata nel giudizio sulle prime due Costituzioni, è opportuno distinguere i due parametri ditale continuità, da un lato lo Statuto e dall’altro la Costituzione repubblicana, e i vari piani rispetto ai quali valutare conclusivamente la
continuità stessa dei rapporti fra i supremi organi dello Stato,
dei rapporti fra Stato e cittadino e dei modelli organizzativi dell’attività statale.
Come si è visto, le due Costituzioni provvisorie disciplinano
il primo di questi temi, quello della forma di governo, ed è evidente la rottura con lo Statuto ed il farsi di un potere costituente
che, fondando la propria legittimazione sul principio della sovranità popolare e sul ruolo dei partiti politici, anticipa elementi poi
definitivamente sanciti dalla Costituzione repubblicana.
31
Criticamente, su tale interpretazione, prevalsa nella prassi, cfr. P. CARETTI,
Forme di governo e diritti di libertà nel periodo costituzionale provvisorio, cit., p. 81 s.
32
Cfr. ampiamente C. MORTATI, L’ordinamento della funzione legislativa,
cit., p. 554 s.
129
IL FILANGIERI 1/2005
Anche l’analisi delle misure legislative adottate in materia
di diritti di libertà, con l’eliminazione degli elementi più antidemocratici e repressivi della legislazione fascista33, conferma
come sul piano della Costituzione materiale si vada affermando,
in questo periodo, una «materia costituzionale» garantita da un
«grado di resistenza» superiore, un nucleo di principi, profondamente innovativi rispetto all’esperienza statutaria, sì da cogliere anche in questo campo una continuità tra sistema costituzionale provvisorio e sistema costituzionale repubblicano34.
È invece sul piano degli apparati e dei modelli organizzativi
dell’amministrazione statale che il passaggio dal regime autoritario
a quello democratico segna la ripresa del mito liberale per cui le
strutture amministrative «sono macchine senza politica e fuori
della storia»35: sicché tornano i concetti tradizionali dell’imparzialità e neutralità dell’amministrazione garantita dalla riserva di
legge contro le invasioni dell’esecutivo. Nell’ordinamento provvisorio viene conservato l’alto numero di ministeri (che garantiscono
ai vari partiti luoghi di esercizio del potere) e le ipotesi avanzate
per modelli dipartimentali vengono del tutto trascurate36.
Continuità e rottura: una contraddizione che nasce nelle
complesse vicende di quegli anni e che continuerà a pesare a
lungo sulla storia della Repubblica, con esiti a volte paradossalmente fecondi, ma anche con mitologie che – quasi sessant’anni
dopo – si ripropongono.
33
Cfr., in proposito, le indagini svolte da P. CARETTI, Forme di governo e diritti di libertà nel periodo costituzionale provvisorio, cit., p. 109 s. e da M. FLORES, Governo e potere nel periodo transitorio, in AA. VV., Gli anni della Costituente. Strategie
dei governi e delle classi sociali, Milano, Feltrinelli, 1983, p. 1 s.
34
Cfr. P. CARETTI, Forme di governo e diritti di libertà nel periodo costituzionale provvisorio, cit., p. 67 s.
35
Cfr. S. CASSESE, La costruzione del diritto amministrativo, in ID. (a cura
di), Trattato di diritto amministrativo. I Diritto amministrativo generale, Milano, Giuffrè, 2000, p. 1 s.
36
Cfr. C. PAVONE, La continuità dello Stato. Istituzioni e uomini (1974), ora in
ID., Alle origini della Repubblica. Scritti su fascismo, antifascismo e continuità dello
Stato, Torino, Bollati Boringhieri, 1995, p. 70 s. e G. MELIS, Storia dell’amministrazione
italiana, 1861-1993, Bologna, Il Mulino, 1996, p. 414 s.
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