Scuola della fede, n.1

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Scuola della fede, n.1
Scuola della fede Istituto Leone XIII 28.03.2013 – n. 1 QUALE FEDE? CI SEMBRA TARDI, MA E’ IL MOMENTO GIUSTO
Tardi ti ho amato, Bellezza tanto antica e tanto nuova; tardi ti ho amato! Tu eri dentro di me, e io stavo fuori, ti cercavo qui, gettandomi, irriconoscibile, sulle belle forme delle tue creature. Tu eri con me, ma io non ero con te. Mi tenevano lontano da te le creature che, pure, se non esistessero in te, non esisterebbero per niente. Tu mi hai chiamato e il tuo grido ha vinto la mia sordità; hai brillato, e la tua luce ha vinto la mia cecità; hai diffuso il tuo profumo, e io l'ho respirato, e ora anelo a te; ti ho gustato, e ora ho fame e sete di te; mi hai toccato, e ora ardo dal desiderio della tua pace. (Sant’Agostino, Le Confessioni)
DALLA RELIGIONE ALLA FEDE Elia sull’Oreb (1 Re 19, 9-­‐14) Ivi entrò in una caverna per passarvi la notte, quand’ecco il Signore gli disse: “Che fai qui, Elia? ”. Egli rispose: “Sono pieno di zelo per il Signore degli eserciti, poiché gli Israeliti hanno abbandonato la tua alleanza, hanno demolito i tuoi altari, hanno ucciso di spada i tuoi profeti. Sono rimasto solo ed essi tentano di togliermi la vita”. Gli fu detto: “Esci e fermati sul monte alla presenza del Signore”. Ecco, il Signore passò. Ci fu un vento impetuoso e gagliardo da spaccare i monti e spezzare le rocce davanti al Signore, ma il Signore non era nel vento. Dopo il vento ci fu un terremoto, ma il Signore non era nel terremoto. Dopo il terremoto ci fu un fuoco, ma il Signore non era nel fuoco. Dopo il fuoco ci fu il mormorio di un vento leggero. Come l’udì, Elia si coprì il volto con il mantello, uscì e si fermò all’ingresso della caverna. Ed ecco, sentì una voce che gli diceva: “Che fai qui, Elia? ”. Egli rispose: “Sono pieno di zelo per il Signore, Dio degli eserciti, poiché gli Israeliti hanno abbandonato la tua alleanza, hanno demolito i tuoi altari, hanno ucciso di spada i tuoi profeti. Sono rimasto solo ed essi tentano di togliermi la vita”. UNA LOTTA CONTINUA (Genesi 32, 23-­‐30) Durante quella notte Giacobbe si alzò, prese le due mogli, le due schiave, i suoi undici figli e passò il guado del torrente Iabbòk. Li prese, fece loro passare il torrente e fece passare anche tutti i suoi averi. Giacobbe rimase solo e un uomo lottò con lui fino allo spuntare dell'aurora. Vedendo che non riusciva a vincerlo, lo colpì all'articolazione del femore e l'articolazione del femore di Giacobbe si slogò, mentre continuava a lottare con lui. Quegli disse: "Lasciami andare, perché è spuntata l'aurora". Giacobbe rispose: "Non ti lascerò, se non mi avrai benedetto!". Gli domandò: "Come ti chiami?". Rispose: "Giacobbe". Riprese: "Non ti chiamerai più Giacobbe ma Israele, perché hai combattuto con Dio e con gli uomini e hai vinto!". Giacobbe allora gli chiese: "Dimmi il tuo nome". Gli rispose: "Perché mi chiedi il nome?". E qui lo benedisse. Allora Giacobbe chiamò quel luogo Penuèl "Perché -­‐ disse -­‐ ho visto Dio faccia a faccia, eppure la mia vita è rimasta salva". Spuntava il sole, quando Giacobbe passò Penuèl e zoppicava all'anca. ATEI E CREDENTI L. Serenthà, Gesù Cristo rivelatore del Padre, pp. 181. Paradossalmente ci può essere un atteggiamento religioso infedele all’uomo, una religiosità superstiziosa che non disdegna oroscopi e maghetti, che si identifica con la natura o con il potere politico. Un Dio così viene usato per avvallare un comportamento ingeneroso verso i fratelli, un Dio che semplicemente garantisce una certa visione moralistica della vita, un Dio che, in nome dell’alibi ultraterreno, disimpegna dalle realtà terrene. Questa religiosità è malsana e va contestata. Anche qui, comunque, possiamo paradossalmente constatare che un certo ateismo è una preziosa medicina per conservare la fede in buona salute. C’è, quindi, qualcosa più importante che essere ufficialmente atei o credenti, ed è la fedeltà all’uomo. E c’è un dovere comune per l’ateo e per il credente, ed è la conversione. Per questo, Cristo non è venuto ad intavolare una discussione sul fatto che Dio esista o non esista. La sua presenza tra noi è la presenza stessa di Dio. Egli è venuto ad invitarci alla conversione. FEDE-­‐FIDUCIA Enzo Bianchi, Fede e fiducia, Einaudi 2013. Non si può fare a meno della fiducia, della fede, dell’atto del credere. La patologia che affligge oggi l’occidente è l’affievolimento dell’atto del credere, il venir meno della fiducia in se stessi, negli altri, nel futuro, nella terra. Credere, fare fiducia, è diventato faticoso e raro. Il discorso sulla fede non riguarda solo i cristiani e o i cosiddetti credenti: debitori come siamo di una certa visione manichea la quale separa credenti e non credenti, siamo incapaci di individuare i temi brucianti che riguardano tutti gli uomini. Chiediamoci: le persone, dopo averci incontrato, hanno più fiducia, più fede nella vita e negli altri? Questa è la domanda decisiva da porsi per intraprendere qualunque discorso serio, sulla crisi, sul futuro, sul presente, persino su Dio. QUALE FEDE? FEDE IN Enzo Bianchi, “Quale fede?”, Morcelliana. GESU’. Credo che dovremmo meditare di più su tutti quelli che Gesù ha incontrato e che non ha mai condannato né castigato. In tutti quei personaggi noi possiamo in qualche misura immedesimarci. Non dimentichiamo mai che Gesù ha incontrato tutti e perdonato tutti. Non ha mai condannato. Non ha mai castigato. Se imparassimo ad avere un rapporto più stretto con lui credo che potremmo capire un po’ di più la sua figura e ciò che ha voluto veramente dire agli uomini. FEDE IN QUALCUNO, NON IN QUALCOSA. Luca 8,42-­‐48 Durante il cammino, le folle gli si accalcavano attorno. Una donna che soffriva di emorragia da dodici anni, e che nessuno era riuscito a guarire, gli si avvicinò alle spalle e gli toccò il lembo del mantello e subito il flusso di sangue si arrestò. Gesù disse: «Chi mi ha toccato?». Mentre tutti negavano, Pietro disse: «Maestro, la folla ti stringe da ogni parte e ti schiaccia». 46 Ma Gesù disse: «Qualcuno mi ha toccato. Ho sentito che una forza è uscita da me». Allora la donna, vedendo che non poteva rimanere nascosta, si fece avanti tremando e, gettatasi ai suoi piedi, dichiarò davanti a tutto il popolo il motivo per cui l'aveva toccato, e come era stata subito guarita. Egli le disse: «Figlia, la tua fede ti ha salvata, va' in pace!». Credo, Signore, ma tu aiutami nella mia incredulità. (Marco 9,14-­‐29) Veramente quest’uomo (Marco 15,39) era figlio di Dio. La luna appariva ogni tanto da dietro una cortina spessa di nuvole scure, come se non sapesse che partito prendere di fronte a quei due amanti silenziosi come tra le navate di una chiesa. Si trattava di non svegliare nessuno: il silenzio era così assoluto che anche un sussurro sarebbe sembrato un grido. E d’altro canto non c’era niente da dire. Venivamo entrambi da mondi pieni di parole che non ci avevano salvato dal dolore e dalla paura e in quell’amore muto, soffocato sotto il piumone strappato dal letto cercavamo una conferma alla promessa, nata con il mondo, che l’amore non finisce, che la morte non è l’ultima parola. Mariapia Veladiano, Il tempo è un dio breve, Einaudi 2013.