Le parole della Rosa Bianca

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Le parole della Rosa Bianca
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Fatti e commenti
Giovanni Colombo *
Le parole
della Rosa Bianca
1
C
inque studenti universitari — Hans e
Sophie Scholl, Willi Graf, Alex Schmorell,
Christoph Probst — un professore — Kurt
Huber —, un nome romantico, sei volantini (di cui i primi quattro stampati in
poche centinaia di copie e solo gli ultimi due a tiratura discretamente elevata)
e qualche decina di scritte murali contro Hitler, due processi farsa, sei condanne a morte, una ghigliottina efficiente. La storia di resistenza della Rosa
Bianca tedesca è storia piccola per dimensioni, breve per durata, ma nello
stesso tempo è così ardente di coraggio e così pura di ideali che, a sessant’anni
di distanza, non cessa di inquietare e commuovere profondamente 1. Il film di
Marc Rothemund La Rosa Bianca – Sophie Scholl, uscito alla fine del 2005, la
ripropone in maniera bella e forte 2.
1. Un film da vedere
Il film ha avuto in Germania un successo straordinario — premiato alla
Mostra del cinema di Berlino con l’Orso d’oro per la miglior regia e per la
migliore attrice, candidato all’Oscar 2006 come miglior film straniero — e
anche in Italia ha ricevuto una buona accoglienza fra il pubblico. Protagonista
è Sophie Scholl, l’unica donna del gruppo, la più giovane. Il film ci restituisce
la sequenza drammatica degli ultimi giorni della breve vita di Sophie , dal
17 al 22 febbraio 1943. La passione inizia con la stampa e la spedizione del
sesto volantino, che denuncia i massacri sul fronte orientale, e la decisione
* Avvocato, presidente della Rosa Bianca italiana e consigliere comunale di Milano.
1
Sul tema cfr GREZZI P., La Rosa Bianca. Un gruppo di resistenza al nazismo in nome della libertà,
San Paolo Edizioni, Cinisello Balsamo (MI) 1993; I D., Sophie Scholl e la Rosa Bianca, Morcelliana, Brescia
2003. L’Autore è direttore del quotidiano L’Adige, massimo esperto italiano della storia della Rosa Bianca
tedesca. Per una meditazione sul significato della testimonianza del gruppo per una concezione cristiana
della vita politica cfr GUARDINI R., La Rosa Bianca, Morcelliana, Brescia 2005.
2 Titolo originale: Sophie Scholl - Die letzten Tage. Regia di Marc Rothemund. Sceneggiatura di Fred
Breinersdorfer. Fotografia di Martin Langer. Musiche di Reinhold Heil e Johnny Klimek. Montaggio di Hans
Funck. Anno: 2005. Nazione: Germania. Distribuzione: Istituto Luce.
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temeraria di passare dalle spedizioni via posta alla diffusione diretta, insieme
al fratello Hans, nei corridoi dell’Università di Monaco. Una piccola indecisione, un gesto di troppo e arriva subito l’arresto. Si susseguono le altre tappe
della via crucis: l’estenuante interrogatorio con il funzionario della GESTAPO
Robert Mohr, il tentativo iniziale di scagionarsi e di tener fuori il fratello e gli
amici, il rifiuto di una via d’uscita offerta all’ultimo momento dallo stesso
Mohr, le confidenze e il testamento spirituale lasciato a Else Gebel nelle lunghe ore trascorse in cella, il processo lampo celebrato dal giudice boia del tribunale del popolo, il famigerato e psicotico Roland Freisler, la difesa venduta
e inesistente, il verdetto ideologico già fissato prima ancora del dibattimento in
aula, la condanna a morte, il commiato dai genitori, l’ultima sigaretta con Hans
e Christoph, la strada verso la ghigliottina, l’esecuzione.
Una salita al Calvario che suscita profonda, crescente angoscia: il regista
opara una ricostruzione fedele dei fatti a partire da documenti inediti, come
i protocolli degli interrogatori, dalle lettere e dal diario di Sophie. La sceneggiatura è scabra, essenziale, quasi teatrale, con dialoghi di grande tensione
emotiva alternati a silenzi, sguardi, gesti che ci proiettano nell’interiorità di
Sophie e lasciano intravedere le ragioni della sua scelta, il senso del suo sacrificio. A Julia Jentsch, l’attrice che interpreta Sophie, va il merito di aver
saputo rendere con grande forza espressiva lo spirito duro e il cuore tenero di
Sophie: l’autocontrollo emotivo e la ferma risolutezza con cui accoglie la sentenza, ma anche la sua dolcezza e sensibilità, la straordinaria umanità di una
giovane donna che vive pienamente la sua giovinezza, con tutte le contraddizioni e le emozioni che la caratterizzano.
2. La novella Antigone
La storia di Sophie richiama quella di Antigone e ne possiede la stessa
incisività. In entrambi i casi è una ragazza che, svelando la natura sacrificale
di un potere che si vuole assoluto, si contrappone a esso nel nome della
libertà: «Freiheit» (libertà) scrive Sophie sul retro dell’atto di imputazione
poche ore prima di essere giustiziata. In ogni regime totalitario il capo pretende di collocarsi sempre al di sopra di ogni giustizia. Come dice il tiranno
Creonte nella tragedia di Sofocle: «Colui che la città si è scelto per guida, lui
bisogna ascoltare, anche nelle cose di minor conto, e in ciò che è giusto e che
giusto non è [perché] non esiste danno più grande dell’anarchia». Ma proprio
questo Antigone non accetta: «Io non credevo che i tuoi divieti fossero tanto
forti da permettere a un mortale di sovvertire le leggi non scritte, inalterabili,
fisse degli dei: quelle che non da oggi, non da ieri vivono, ma eterne».
Così anche Sophie rifiuta di piegarsi alla logica di un potere, di un Füh rer, che si presenta come mostro affamato di sacrifici umani, seminando distruzione e guerra. «È nostra convinzione — scrive Sophie dopo la sconfitta di Stalingrado — che la guerra per la Germania sia perduta e che ogni vita umana
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che viene offerta per questa guerra perduta sia sacrificata invano. In particolare le vittime richieste da Stalingrado ci hanno indotto a intraprendere qualcosa contro questo spargimento di sangue, a nostro parere insensato» 3.
Sophie contesta un potere che esige come prova di fedeltà il tradimento
del fratello, che vuole recidere ogni legame fra persone, perché vuole che
l’individuo sia legato solo a sé. Ogni altro legame, in quanto legame, è sovversivo. E perciò va troncato. «Anche se non capisco molto di politica, e non ho
nemmeno l’ambizione di capirla, tuttavia possiedo un pochino il senso di cosa
è giusto e di che cosa è ingiusto, perché questo non ha nulla a che fare con la
politica e la nazionalità. E mi viene da piangere, per come sono crudeli gli
uomini nella grande politica, come tradiscono i loro fratelli solo per averne un
vantaggio». Quella di Sophie — come quella di Antigone — non è una semplice solidarietà familiare. Qui la fraternità abbraccia il proprio popolo, si
estende a tutti gli uomini. Il fratello è il volto dell’uomo concreto che la giustizia impone di non tradire. La giustizia esige di riconoscere tutti gli uomini
come tali, nella loro uguaglianza. Il potere assoluto, al contrario, separa radicalmente i nemici dagli amici, per la vita e per la morte. «Le leggi di Ade
eguagliano tutti», dice Antigone a Creonte, ma Creonte risponde: «il nemico
non è un amico, neppure da morto». E Antigone: «Io esisto per amare, non per
odiare». Così Sophie: esiste per amare ed è difficile trovare nei suoi scritti, e
negli scritti in genere della Rosa Bianca, parole di odio. Il fratello Hans lo dirà
chiaramente anche dopo la condanna: «Non c’è odio in me. Mi sono lasciato
tutto, tutto dietro le spalle». La loro ribellione è per amore.
Ma questa ribellione è frutto di una austera e prolungata lotta spirituale
contro tutto ciò che può minare alla radice la resistenza. Il primo avversario è per
Sophie l’indifferenza. Così scrive al fidanzato: «Basta che tu non diventi un tenente arrogante e indifferente (Scusami!). Ma il pericolo di diventare indifferenti
è grande. E se potessi, continuerei sempre più a pungolarti contro l’indifferenza
che potrebbe assalirti, e vorrei che i pensieri rivolti a me fossero una spina costante contro l’indifferenza». C’è in lei la paura dell’inerzia, di non percepire più
fame e sete di giustizia, di finire nel vuoto, in un’esistenza insensata e insipida.
Esiste infatti uno stretto legame tra l’affermarsi dello Stato totale, che
riempie ogni cosa, e lo svuotamento dell’anima. C’è in Sophie il timore di perdere la propria anima. Sì, l’anima si può smarrire. Non è necessario credere
in un inferno ultraterreno per riconoscere che vi sono uomini e donne che
hanno smarrito la propria anima. Si può smarrire nella massa: per questo
Sophie avverte la «massa» come una minaccia esistenziale, come qualcosa che
può inghiottire e soffocare, trascinando in basso, nella volgarità. Sophie ha
avuto il coraggio e la forza di difendere la sua anima dalla massa, anche attraverso l’isolamento e la marginalità: «Spesso non mi auguro nient’altro che di
vivere in un’isola da Robinson Crusoe. A volte sono tentata di considerare l’u3
Le citazioni di Sophie sono tratte da GREZZI P., Sophie Scholl e la Rosa Bianca, cit.
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manità come una malattia della pelle della terra. Ma solo qualche volta, quando
sono molto stanca, e mi vedo davanti uomini così grandi che sono peggiori delle
bestie. In fondo però si tratta solo di tener duro, di resistere, nella massa che
non tende a null’altro che al proprio tornaconto. Per loro, per raggiungere questo obiettivo, ogni mezzo è giusto. Questa massa è così travolgente, che si deve
essere già cattivi semplicemente per restare in vita. Probabilmente solo un
uomo finora è riuscito a percorrere tutta la strada, dritto fino a Dio. Ma chi la
cerca ancora, oggi?». Ritornano sulle sue labbra le parole di Goethe, «a
dispetto di ogni violenza resistiamo», in un continuo lavoro su di sé per corazzare lo spirito dalle influenze esterne. «Mi sforzo di mantenermi il più possibile
intatta dagli influssi del momento. Non da quelli ideologici e politici, che certo
non mi fanno più effetto, ma anche dagli influssi di umore. Il faut avoir un
esprit dur et le coeur tendre (bisogna avere uno spirito duro e il cuore tenero)».
Spirito duro e cuore tenero che ancora oggi onoriamo, noi che troppo
facilmente ci rassegniamo al contrario: uno spirito molle e il cuore duro. E il
fatto che Sophie Scholl sia arrivata fino in fondo alla sua strada è il suo onore e
la nostra speranza. Per ogni Creonte c’è un’Antigone, per ogni Enrico VIII c’è
un Tommaso Moro, per ogni Hitler c’è una Sophie Scholl e molti altri. Non c’è
tirannide che non sia stata sconfitta da una coscienza in piedi. Il regime di
Hitler prima di crollare sotto i colpi delle armate alleate era qui spiritualmente
crollato. È questo il punto di svolta da cui è potuta partire la ricostruzione.
Dietrich Bonhoeffer, altro grande resistente impiccato nel carcere di Flossemburg (Germania) nell’aprile 1945, diceva che alla sua generazione era stato
affidato il compito «non di cercare grandi cose ma di salvare la nostra anima
dal caos e vedere in essa l’unica cosa che possiamo trarre come “bottino” dalla
casa in fiamme» 4, come dice il profeta Geremia «tu vai cercando grandi cose
per te? Non le cercare! Perché, vedi, io manderò la sventura su ogni uomo. Ma a
te darò la tua anima come bottino, ovunque tu vada» (Ger 45, 4-5). È cercando
questo bottino che Sophie Scholl ha salvato se stessa e l’onore del suo popolo.
3. La Rosa Bianca italiana: 1978-2005
La soave fragranza della testimonianza di Sophie e della Rosa Bianca tedesca arriva a un certo punto anche in Italia. Siamo nella seconda metà degli anni
Settanta. La Chiesa italiana, nel solco del Concilio, è appena uscita con grandi
speranze dal convegno su «Evangelizzazione e promozione umana», ma il
panorama politico è avvolto in fosche nubi. Sono gli anni della crisi economica e del terrorismo e i Governi di solidarietà nazionale faticano a fronteggiare le sfide dell’ora. Disillusi dal mancato rinnovamento della DC, che era
stato la bandiera della segreteria di Benigno Zaccagnini, scossi dal rapimento e
dalla tragica morte di Aldo Moro ad opera delle Brigate Rosse, un gruppo di
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B ONHOEFFER D., Resistenza e resa, San Paolo Edizioni, Cinisello Balsamo (MI) 1988, 367.
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giovani provenienti dallo scoutismo, dalla FUCI e dall’Azione Cattolica, iniziano
a incontrarsi periodicamente decisi a non abbandonare il sogno di una nuova
politica. Per quel clima di «nuova resistenza» e per alcune affinità con i giovani tedeschi — il primato dell’interiorità, il gusto per le buone letture, l’amicizia, il rapporto con i «maestri» — assumono il nome di «Rosa Bianca» 5. Scopo
iniziale e fondamentale del gruppo è la formazione di coscienze libere, impegnate con competenza e passione nella vita familiare, professionale, ecclesiale
e civile. Con questo spirito stipulano un vero e proprio patto spirituale con una
serie di impegni e di regole di comportamento (cfr riquadro alla pagina seg.).
Dopo una serie di incontri «semiclandestini», la prima iniziativa pubblica
del gruppo è il convegno «Riamare la politica», organizzato nella primavera
del 1980 a Pisa e dedicato alle forme di associazionismo politico. Confortati
dal buon esito dell’incontro, l’anno successivo i giovani decidono di promuovere un campo scuola estivo: 50 posti prenotati, ma, con sorpresa di tutti, arrivano 200 persone. Nascono così le «Scuole nazionali di formazione politica» 6, un appuntamento che diviene presto tradizionale nell’area cattolicodemocratica. In quel periodo la Rosa Bianca è in stretto rapporto con la Lega
democratica, un movimento di cultura politica sorto alcuni anni prima e animato da intellettuali cattolici di grande prestigio — tra gli altri, Achille
Ardigò, Pietro Scoppola, Ermanno Gorrieri, Luigi Pedrazzi, Paolo Prodi, Luigi
Bazoli — che sembra decollare come nuovo soggetto politico autonomo. Ma l’ipotesi svanisce presto e, mentre la Lega rapidamente declina, la Rosa Bianca
continua tuttavia il suo percorso. Siamo a metà degli anni ’80: Craxi e il craxismo dominano la scena politica, istituzioni ed enti pubblici gemono sotto il
giogo dei partiti e sull’onda della ripresa economica comincia a prosperare il
perverso intreccio tra politica e affari che porterà il Paese alla deriva di Tangentopoli. In questo contesto di crescente involuzione della democrazia, la
Rosa Bianca radicalizza la propria resistenza morale e politica: le scuole estive
sollevano con forza la questione morale nell’indifferenza quasi generale al problema da parte della grande stampa e del mondo politico e avanzano la critica
al clima di modernizzazione rampante e la necessità di coraggiose riforme.
Mentre sul versante politico si approfondisce la resistenza pubblica al
degrado della democrazia italiana, la Rosa Bianca approfondisce anche la
5 Il nome fu proposto da Paolo Giuntella, «fratello maggiore» del gruppo, oggi giornalista RAI. La Rosa
bianca è anche una bella poesia di José Martí, poeta cubano (1853-1895), che parla di amicizia: «Cultivo
una rosa blanca / en julio como en enero, / para el amigo sincero / que me da su mano franca. / Y para el
cruel que me arranca / el corazón con que vivo / cardo ni oruga cultivo / cultivo la rosa blanca». (Coltivo
una rosa bianca / a luglio come a gennaio / per ogni amico sincero / che mi porge la sua mano. / E per
colui che mi strappa / il cuore col quale vivo / né cardi né ortiche coltivo / coltivo la rosa bianca). Il vincolo
amicale è tuttora un tratto peculiare dell’associazione. Informazioni sulle attività della Rosa Bianca si possono trovare sul sito <www.rosabianca.org>.
6 La prima scuola si è tenuta a Mazzin (TN), la seconda a Campitello di Fassa (TN), poi dal 1983 al
1999 a Polsa di Brentonico, sempre in Trentino; dal 2000 la scuola è diventata itinerante. L’ultima, la 25a, si
è svolta nel settembre 2005 al Monastero di Camaldoli (AR).
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Punti essenziali del patto della Rosa Bianca italiana
- la fede nel Cristo che ci libera, la comunione con Lui e con la Chiesa, l’ascolto della Parola, la preghiera per noi e per
tutti gli uomini;
- un cammino di spiritualità personalistica che sappia operare una sintesi tra interiorità e corporeità;
- il nostro impegno di laici nella comunità ecclesiale, teso a far crescere la comunità nell’unità intorno alla Parola, nella libertà nei confronti delle tentazioni del
potere e delle ideologie, nella povertà, nella carità, nello sforzo di stare nel mondo
cercando di comprenderne i cambiamenti;
- la voglia di incarnare la fede, l’impegno dentro la storia, dentro le ansie e le
attese degli ultimi, sforzandoci di riconoscere insieme gli strumenti di efficacia
storica e politica per la trasformazione del
mondo e per la lotta contro ogni situazione di giustizia, senza paternalismo, senza
intellettualismo, ma sempre capaci di vergogna, di rabbia, di ansia di riscatto;
- l’intransigenza morale, l’obiezione di
coscienza intesa non come rifiuto a «sporcarsi le mani», né come petizione di principio, ma come atteggiamento concreto,
vissuto, di lotta contro la logica della strumentalità, della spartizione, della fedeltà
al potere;
- uno stile di «povertà», non come rinuncia, ma come conquista di una libertà
più vera, come scoperta di ricchezza autentica, come volontà di condivisione e
giustizia;
- la serietà professionale; il coraggio e
l’audacia di rischiare, di assumersi responsabilità in prima persona; l’impegno all’approfondimento costante, alla competenza
specifica, al silenzio quando si ignora, al
rifiuto dell’incarico quando non si è all’altezza; lo sforzo di privilegiare sempre il servizio rispetto alla carriera, al prestigio;
- la tensione al positivo, al fare, al costruire, al creare, all’inventare, al guarire, alla gioia, all’entusiasmo rispetto alle
tentazioni autolesionistiche nullificanti; di
isterilimento nella chiusura;
- la costante volontà e capacità autocritica di mettere in discussione se stessi e le
proprie scelte;
- la ricerca della verità prima e al di là
di ogni logica di «opportunità» storica o
politica e la denuncia dell’errore.
ricerca di una nuova spiritualità dell’impegno civile . Trascorre il capodanno
del 1986 e del 1987 a Bologna in due indimenticabili incontri con Giuseppe
Dossetti. Sono gli anni in cui l’area cattolica è attraversata dalla dura contrapposizione tra la «cultura della presenza» e la «cultura della mediazione», ma
Dossetti invita a non lasciarsi trascinare dalla polemica e a guardare oltre, a
scavare più in profondità, a recuperare l’essenzialità e insieme l’interezza della
vita cristiana, «la fede nuda». È durante questi incontri e in alcuni seminari
successivi che si cominciano le riflessioni — che sono tuttora una costante
degli incontri dell’associazione — sul «paradosso profetico», sugli «abiti virtuosi», sulla «sapienza della prassi», sul «radicalismo cristiano».
La prima parte degli anni ’90 è segnata dal terremoto politico-istituzionale. Gli aderenti della Rosa Bianca sono in prima fila nell’opera di rinnovamento. Molti partecipano al Movimento per la democrazia - La Rete, che si propone come un vero e proprio comitato di liberazione nazionale da Tangentopoli
e mafiopoli; altri aiutano Martinazzoli nella nascita dei Popolari, altri ancora si
impegnano con Segni e Occhetto nella stagione referendaria. Le scuole estive si
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fanno particolarmente animate, pur in un clima di grande rispetto delle diverse
opzioni pratiche. La vittoria improvvisa di Berlusconi alle elezioni del ’94 getta
nello sconforto, ma si riparte ancora con Dossetti. Il monaco, tornando a parlare
in pubblico dopo un lungo periodo di silenzio, il 25 aprile ’94 lancia un appello
per formare comitati per una difesa dei valori fondamentali espressi dalla
nostra Costituzione, contro il pericolo di una modificazione frettolosa e inconsulta del patto fondamentale del nostro popolo. Il 18 maggio ’94 a Milano,
durante la commemorazione di Giuseppe Lazzati, usa toni profetici per denunciare i pericoli che la nostra democrazia sta correndo — «la trasformazione di
una grande casa economico-finanziaria in Signoria politica» — e rivolge un
forte appello a essere «sentinelle nella notte». La Rosa Bianca aderisce subito
ai Comitati per la salvaguardia della Costituzione e al tema della notte — notte
politica, notte delle coscienze — dedica le sue scuole estive.
La seconda parte degli anni ’90 sono spesi a favore dell’Ulivo. La Rosa
Bianca crede nella possibilità del nuovo albero apparso sulla scena politica di
unire storie e identità diverse in un progetto comune di risanamento del
Paese. La Rosa Bianca dà il suo contributo di idee attraverso le scuole di formazione, le riflessioni pubblicate e distribuite attraverso le due riviste che ne
condividono l’ispirazione: Il Margine e Appunti di cultura e politica 7 e la presenza nei comitati locali. La vittoria del ’96 suscita grandi attese, ma dopo
l’approdo all’euro e con l’uscita di scena di Prodi nell’ottobre ’98, l’Ulivo perde
spinta propulsiva, aumenta la litigiosità tra i partiti della coalizione, il Governo
prende l’aspetto di un Consiglio d’amministrazione più che di un’entità politica
riconoscibile. Alle elezioni del 2001 tornano in sella Berlusconi e i partiti
della Casa delle Libertà. La nuova fase costringe a un ripensamento profondo
del messaggio culturale e politico del centro-sinistra italiano. Così almeno
pensa la Rosa Bianca che si mette all’opera per dare un proprio contributo 8.
4. Persona e Comunità
«Le parole sono le nostre armi», dice Sophie nel corso dell’interrogatorio
con l’ispettore Mohr. Il primo impegno della Rosa Bianca tedesca fu quello di
ridare valore alle parole. Le parole giuste avrebbero risvegliato le coscienze e
rovesciato lo stile di vita nazionalsocialista del popolo tedesco. Anche la Rosa
Bianca italiana continua a puntare sulle parole, altra forza non ha. Il contesto è
cambiato rispetto alla Germania di settant’anni fa. In circolazione non ci sono
le parole gridate e menzognere di un Hitler, ci sono piuttosto parole esangui,
pallide, scarnificate, del tutto prive di forza figurativa, larve di parole che
7
Il Margine è pubblicato dall’associazione culturale «Oscar Romero» (www.il-margine.it); Appunti di cul tura e politica è curato dall’associazione «Città dell’Uomo» (www.cittadelluomo.it).
8
I risultati del lavoro sono raccolti in C OLOMBO G. (ed.), Persona e comunità. La proposta della Rosa
Bianca per una nuova politica, Città Aperta Edizioni, Troina (EN) 2003, presentato in OCCHETTA F., «Il cristiano
in politica», in Aggiornamenti Sociali, 11 (2004) 739-44. Questo libro è oggi il testo di riferimento per l’attività dell’associazione.
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godono per un breve tempo di una parvenza di vita, ma che ben presto sono
ridotte a luoghi comuni e nulla più. Possiamo prendere tutti i termini e le
espressioni del linguaggio politico e aprirli: al loro interno troveremo il vuoto.
Occorre resistere a questo prosciugamento del vocabolario politico e tornare a
offrire parole intense. Parole di vita. Parole che risuscitino i morti. «Le
nostre parole vogliono essere semi per nuove coltivazioni o terra nuova per
semi antichi. Parole per nuove nascite, per un nuovo inizio, per rimettere al
mondo il mondo. Perché non prevalgano la stanchezza e la sterilità» 9.
La Rosa Bianca italiana sta scommettendo su «persona» — che è come
dire libertà — e «comunità». Con l’obiettivo, subito dichiarato, di liberare la
libertà dal liberalismo e la comunità da ogni forma di comunismo o di comunitarismo etnico o organicistico. Oggi la libertà è vista come ciò che separa il sé
dall’altro, che lo salva da ogni altra alterazione o contaminazione. È non-dominio, non-costrizione, non-comunità. Tale libertà è strettamente connessa con la
sicurezza e la proprietà: è libero chi è proprietario di qualcosa e solo quando è
sicuro di tale proprietà. Abbiamo dunque nel sangue della nostra società un’idea di libertà con una connotazione fortemente difensiva. Non è sempre stato
così. Per quanto possa sorprendere, all’origine della nozione di libertà c’è qualcosa che la lega proprio alla semantica della comunità. Sia la radice indoeuropea, da cui derivano il termine greco eleutheria e il termine latino libertas, sia la
radice sanscrita, cui fanno capo l’inglese freedom e il tedesco Freiheit, rimandano all’idea di crescita comune 10. Lo conferma la doppia catena semantica
che discende da tali radici, vale a dire quella dell’amore (lieben, lief, love, ma
forse anche libet e libido) e quella dell’affetto e dell’amicizia (friend, Freund).
La libertà è dunque una potenza connettiva, aggregante: esattamente il contrario dell’autonomia e dell’autosufficienza dell’individuo cui da tempo siamo portati ad assimilarla. Il senso originario della libertà non si può circoscrivere
all’assenza di impedimenti, ma rinvia a un’espansione e a una fioritura dell’io.
La comunità che abbiamo in mente non ha niente da spartire con il
comunismo, che l’ha intesa come soggetto o sostanza unica che annichilisce le
singolarità. Non è nemmeno l’impostazione del neocomunitarismo americano, o
della sociologia organicistica tedesca, che legano l’idea di comunità a quella di
appartenenza, di identità e di proprietà: la comunità come ciò che identifica
qualcuno con il proprio gruppo etnico, con la propria terra, con la propria lingua. Anche qui viene in aiuto la semantica. Il termine «comune» è l’esatto
contrario di «proprio»: è comune ciò che non è proprio, né appropriabile da
parte di nessuno, che è di tutti o quantomeno di molti, e che dunque non si
rapporta allo stesso, ma all’altro. Il termine latino communitas è ancora più
pregnante: significa sia «dono» sia «obbligo» nei confronti di un altro. Ciò
vuol dire che i membri della comunità — piuttosto che identificati da una
9
10
C OLOMBO G. (ed.), Persona e comunità, cit., 9.
Cfr B ENVENISTE E., Il vocabolario delle istituzioni indoeuropee, vol. I, Einaudi, Torino 1976, 247-256.
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comune appartenenza, dalla stessa terra o dalla stessa lingua — sono legati da
un dovere di dono reciproco, da una dinamica che li porta a uscire da sé per
rivolgersi all’altro. La comunità è il munus, il regalo che i singoli si scambiano
reciprocamente. Questo scambio è anche faticoso, lo sappiamo, perché allenta,
o rompe, i confini dell’identità, esponendola a un contagio potenzialmente
pericoloso. Ma sulla fatica vince la bellezza. Bello è ciò che è vivo e ciò che è
vivo non è ciò che si rinchiude nel suo guscio, nella sua pelle, ma è ciò che si
apre e non si preoccupa dalla perdita di se stesso.
5. La forza della minoranza
Il binomio «persona e comunità», qui richiamato nel suo nucleo più
profondo, può aprire interessanti scenari di futuro per la nostra convivenza
civile: anzi, di più, queste due parole sono in grado di polarizzare pezzi consistenti della società italiana e di suscitare una presenza significativa anche in
politica. Oggi sono ancora pochi quelli che lo credono e che si comportano di
conseguenza, investendo su questa prospettiva intelligenza e risorse. Per la
Rosa Bianca italiana si tratta quindi di accettare di essere minoranza e nello
stesso tempo di dialogare con tutti i possibili interlocutori. Anche questa è una
lezione che si impara da Sophie Scholl e dagli altri amici della Rosa Bianca
tedesca. Essi erano coscienti di essere piccolo gruppo e al tempo stesso erano
in ricerca di collegamenti con tutti coloro che in Germania stavano resistendo. Proprio pochi giorni prima di essere giustiziati avevano progettato una
serie di incontri a Berlino con i fratelli Bonhoeffer. I giovani della Rosa Bianca
tedesca volevano sciogliersi in qualcosa di più grande, perché a loro non interessava una purezza da tramandare ai posteri, ma un progetto di lotta al regime.
Ci vuole molta potenza per essere minoranza aggregante. Anche questa
parola — Macht (potere, potenza) — è una parola chiave nei sei volantini. Lo
Stato tedesco era fondato sulla potenza, e Macht era anche Hitler. Ma ci sono
altre potenze che vengono prima di Hitler, più antiche, più gentili, come dice il
già citato D. Bonhoeffer nella sua poesia intitolata Delle potenze benigne:
«Da buone potenze siamo meravigliosamente protetti, aspettiamo consolati ciò
che verrà. Dio è con noi la sera e la mattina e sicuramente all’inizio di ogni
nuovo giorno» 11. Nel testo c’è il recupero del Gott mit uns usato in modo blasfemo dalle SS, ma c’è anche il recupero della potenza di quelle presenze che
Bonhoeffer sentiva così protettive e che erano quelle degli amici che ricordava
e che lo pensavano. Questa è l’unica Macht di coloro che osano chiamarsi Rosa
Bianca: l’amicizia, l’amicizia profonda che ha aiutato settant’anni fa i giovani
tedeschi ad andare verso la morte con fiducia — «non è stato inutile», «il sole
splende ancora» sono le ultime di Sophie —, l’amicizia sincera che tentiamo
di vivere anche noi oggi e che sostiene i nostri cammini di liberazione.
11
BONHOEFFER D., Resistenza e resa, cit., 485.