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VIAGGIO IN OREGON
“Amy! Amy!” mi risvegliò bruscamente dai miei sogni ad occhi aperti il Detective
Sway; il telefono cessò di squillare.
“Pronto” Rispose, cercando di essere calmo.
Dopo qualche minuto, passato soltanto con degli “ mmh, ah, si, no”, Sway decise di
rispondere con parole plurisillabe. “Certo, subito…oggi stesso.”
Per lui non esistevano le formule di congedo.
“Allora capo, dove vai di bello? Ho sentito che parti oggi stesso”
Senza farmi finire di parlare disse: “Partiamo per l’Oregon, alle 18 ti aspetterà
davanti al portone di casa una limousine, porta l’occorrente per una settimana. Le
domande a dopo.”
“ Partiamo?? Ma… ma capo… sono solo le 17 e un quarto, non ce la farò mai!”
Mi guardò sprezzante. “ Sì, certo le domande a dopo” mormorai.
“Amy, la prossima volta ricordati che sei tu che devi rispondere al telefono! Non
posso fare sempre tutto io!”
“Già, è troppo faticoso leggere il giornale e giocare a palla in ufficio, il tutto
ascoltando la musica ” dissi con ovvio tono sarcastico.
Scendemmo le scale velocemente, usciti dal palazzo mormorai un “a dopo” senza
ricevere risposta. Mi diressi alla metrò.
In quei lunghi dieci minuti di viaggio pensai a Daniel, Daniel Sway. Era un giovane
di 24 anni, affascinante, tutte le donne cadevano ai suoi piedi; particolare importante:
era ricco ed era arrivato a quella carica solamente grazie a suo padre (anch’egli era
poliziotto e aveva molte conoscenze) e forse anche grazie alla carenza di impiegati in
questo lavoro. D’altronde anche io ero molto giovane-solo 22 anni- per essere la sua
assistente, come mi definiva lui, ma io preferivo considerarmi il suo braccio destro.
In principio ero stata ammaliata anche io ma poco dopo cambiai totalmente idea.
Non si relazionava molto con i colleghi a parte i due, tre amici di vecchia data che
però erano appena stati trasferiti; le poche cose che sapevo sul suo conto le avevo
apprese da loro.
Una parola si fece spazio tra i miei pensieri: limousine.
Presi a fantasticare su quella macchina che di lì a mezz’ora circa mi sarebbe venuta a
prendere; mi resi conto dell’ora e fui presa dall’ansia: sarei riuscita a fare tutto in
poco tempo? Appena in tempo mi ricordai di scendere dalla metrò. A passo lesto mi
diressi verso casa, preparai il più veloce possibile la valigia. Alle 18 in punto suonò il
campanello, due minuti dopo ero fuori.
L’autista sistemò la mia valigia nel bagagliaio e mi fece accomodare nei sedili
posteriori. Di fianco a me sedeva Daniel.
“Sei in ritardo di due minuti” disse. Lo fissai un istante: il suo sguardo si era
addolcito, e un lieve sorriso si dipinse sulle sue labbra.
Neanche venti minuti dopo arrivammo all’aeroporto. Ero eccitata di compiere il mio
primo viaggio di lavoro. Decollammo alle 19.20, pochi minuti dopo Sway mi
raccontò del motivo della nostra partenza: a Springfield erano state rapite quattro
ragazze nel giro di tre giorni e noi eravamo stati chiamati come ausiliari alle indagini.
“Scusa” dissi, cercando di non ridere. “Ma come mai avrebbero chiamato proprio
te?”
“Non sono tenuto a risponderti” tipica frase che indicava ‘non sono affari tuoi’.
“Ma stavolta lo farò” enormemente sorpresa lo ascoltai attentamente.
“Sai che mio padre è poliziotto, no? Lui si è trasferito a Springfield qualche anno fa.
Molti suoi colleghi sono in vacanza e ha voluto che lo aiutassi io.”
“Ah bene! Un’occasione in più per rivederlo!”
“Già” disse seccato.
“Non andate molto d’accordo vero?
“No, affatto…e ora se permetti vorrei che ci documentassimo un po’ sul caso. Queste
informazioni sono appena arrivate per fax.”
Dopo una mezz’oretta mi chiese ciò che avevo capito.
“Le vittime sono ragazze tra i 20 e i 25 anni, di modesta famiglia, tutte e quattro
scomparse uscendo da locali pubblici di sera; i pochi testimoni raccontano di aver
sentito un rombo di motore, un urlo e poi di aver visto un furgone scuro schizzare a
tutta velocità.”
“Ti sei dimenticata di dire che sui luoghi dei rapimenti ci sono le stesse pozze
tondeggianti di olio di motore e tracce di pneumatici”
“Non mi sono dimenticata, non sono ancora arrivata a leggere quel punto.”
Finii di leggere il Dossier e mi appisolai.
“Hey, hey, dai su, Amy svegliati!” Daniel mi svegliò scuotendomi delicatamente.
“Siamo atterrati ad Eugene”
Prendemmo le valigie e uscimmo dall’aeroporto dove ci aspettava l’autista incaricato
di portarci a Springfield.
Dopo mezz’ora la berlina scura si arrestò davanti ad una villetta.
“E questo sarebbe un hotel?” chiesi stupita.
“No, questa è casa Sway.” Disse pacato l’autista.
“Capo non mi avevi detto che avremmo alloggiato a casa tua”
“Questa non è casa mia” disse scendendo dalla macchina.
L’autista portò le nostre cose in casa e immediatamente il padre Sway ci accolse
affabilmente.
“Dany! Da quanto che non ti vedo!”
“Sono passati solo cinque mesi da Natale”
“Per me è comunque molto tempo! Ma scusa non mi presenti questa incantevole
ragazza?”
“Piacere Amy Watson” tesi la mano, lui l’afferrò.
“Ernest Sway, piacere mio. Sarò lieto di ospitarla nella mia dimora per il tempo delle
indagini.”
“La prego mi chiami Amy”
“Certo, puoi chiamarmi Ernest”
Un colpo di tosse interruppe le presentazioni.
“Scusa, ma siamo stanchi potresti mostrarci le nostre camere?” disse Daniel.
“Oh, certo. Matilda ha preparato tutto”
Mentre salimmo le scale osservai le pareti ricoperte di foto e poi chiesi: “Matilda è la
moglie?”
Ernest si fece un po’ cupo, altrettanto il figlio.
“Daniel non te l’ha detto? Mia moglie è venuta a mancare una decina di anni fa.
Matilda è la mia cara domestica.”
Rimasi di stucco, osservai Daniel con disapprovazione e imbarazzo.
“Eccoci arrivati. Le vostre camere sono confinanti.”
Ci augurammo la buona notte e andammo a dormire. Non presi subito sonno perché
ripensai alle vittime e al rapporto tra i Sway. Alla fine mi addormentai e trascorsi una
notte abbastanza tranquilla.
Mi svegliai alle 8 circa. Dopo essermi lavata e vestita, Daniel mi mise al corrente che
dovevamo scappare alla centrale di polizia.
Arrivati ci mettemmo subito all’opera dividendo gli incarichi tra i collaboratori. Io e
Dan andammo ad interrogare gli amici-testimoni della quarta vittima.
Il colloquio con il ragazzo fu molto utile: ci disse che il furgone produceva il rumore
di un cigolio strano e di aver letto mezza targa del veicolo PW 666.
Una chiamata inaspettata alle 11 comunicò che erano stati rinvenuti i cadaveri delle
prime due vittime nel fiume. Daniel mi portò in centrale poiché non riteneva
opportuno che io assistessi a quello spettacolo e si diresse al fiume.
Le due ragazze erano state strozzate con una sottile fune e gettate nell’acqua vestite,
non avevano segni di stupro; il Coroner trovò della pelle incastrata sotto le unghie di
ciascuna vittima: le poverette avevano lottato con tutta la loro forza.
Quel pomeriggio fu molto triste, Ernest Sway dovette informare le famiglie delle
vittime della loro morte.
“È sempre la parte più dura questa” mi disse Daniel con compassione.
“Capo…grazie per non avermi portato al fiume, non so come avrei reagito se…”
“Di niente, era mio dovere” mi interruppe e tornò cupo come al solito.
Tornammo a casa tardi, non riuscii a dormire tranquillamente poiché feci parecchi
sogni sulle vittime.
La mattina seguente tornammo in centrale all’orario del giorno prima. Cercammo
nuovi indizi ma niente, le indagini erano ad un punto morto.
Dopo qualche ora un poliziotto si avvicino a noi e disse: “Detective Sway, signorina
Watson, è stato avvistato un furgone scuro ieri sera in prossimità di un college. Ci
sono molti testimoni, un ragazzo ha scattato una foto alla targa. Adesso i tecnici
stanno cercando di ingrandirla il più possibile.”
“Grazie mille Woodson” disse Dan.
Nei miei occhi brillava la speranza.
“Di sicuro questo individuo non ha tutte le rotelle a posto. Chi è così stupido da farsi
sfuggire così tanti indizi?!?”
Nella voce di Daniel c’era un tono di trionfo e speranza.
I tecnici ci comunicarono la targa per intero: PW 666 HI.
Adesso bastava chiedere informazioni alla motorizzazione sul posseditore di questo
veicolo. Era un uomo di 37 anni, fedina penale sporca per reati minori.
Dan e gli altri colleghi si precipitarono all’indirizzo comunicato, lasciandomi in
centrale poiché ero inesperta.
Dopo un’ora Dan e gli altri tornarono con una faccia evidentemente arrabbiata.
Avevano fatto irruzione nella casa, ma il sospettato era fuggito dal retro a bordo di
una piccola automobile.
“Ce lo siamo lasciati fuggire così!” Non avevo mai visto il mio partner così
arrabbiato e deluso; stava rimproverando gli altri.
“Noi siamo di gran lunga superiori e più intelligenti rispetto a lui!”
Si ritirò in ufficio e cominciò a dare pugni alla parete: non pensavo potesse
coinvolgersi così tanto.
La sera mi chiese se volevo uscire a bere qualcosa solo io e lui, me lo disse come se
avesse preso una decisione importante di vita o di morte.
Io sinceramente provavo un po’ di paura ma mi fidavo e quindi accettai.
Andammo in un bar, lui si ordinò un birra ed io un semplice tè al limone ghiacciato.
Finito di consumare le nostre bibite, uscimmo dal locale e ci incamminammo verso la
macchina, ad un centinaio di metri da essa mi disse che doveva andare urgentemente
al bagno e che quindi si sarebbe appostato dietro ad un cespuglio non lontano da me.
Anche questo me lo comunicò come se fosse una decisione di importanza vitale.
“Tieni il mio telefono”disse “Non voglio che cada fra i rovi” abbozzò un sorriso
come per rassicurarmi e si allontanò.
Erano passati pochi minuti, strano che non fosse ancora tornato; “Forse un cespuglio
è scomodo perfino per gli uomini” pensai.
Ma fu questione di istanti, mi irrigidii di colpo, “è solo la mia immaginazione”
ripetevo tra me e me sempre più forte. Un cigolio sinistro riempiva quella notte
silenziosa, mi voltai lentamente terrorizzata. Sbuffai: era solo un vecchio cancello.
Poi sentii dei passi “Oh capo finalmente sei…”
Avvenne tutto così velocemente: mi strinse una mano sulla bocca, non riuscii
neanche ad urlare, mi trascinò per una ventina di metri, cercavo di ribellarmi alla
presa, ma ero troppo debole, infine mi scaraventò in quello che sembrava un furgone.
Partimmo a tutto spiano e nello specchietto retrovisore intravidi la faccia
dell’animale-quella stessa faccia vista la mattina sul fax della motorizzazione- fissata
sulla strada. Incominciai a maledire Daniel, il giorno in cui mi assunse, l’Oregon e
perfino il tè che avevo bevuto quella sera. Poi un’altra paura mi conquistò: e se
quell’animale prima di rapire me aveva ucciso Dan? Incominciai a piangere lacrime
silenziose, nel trambusto non mi ero accorta di essere legata come un salame e
imbavagliata. Il tragitto parve eterno, cercai di osservare bene il paesaggio anche se
da quella posizione e a causa del buio potevo vedere ben poco.
Giunti a destinazione mi trascinò nel fienile di una fattoria, sapeva perfettamente che
ero sveglia, mi scaraventò su un cumulo di paglia, mi tolse il bavaglio dalla bocca e
chiuse a chiave il portone.
Sentii delle voci sussurrare, pensavo di essere diventata pazza, quando distinsi le voci
di due ragazze.
“Ne ha presa un’altra” pianse la prima.
“Chissà a chi di noi due toccherà” mormorò l’altra.
“Hey, hey sei sveglia?” chiese la prima.
“Si, si sono sveglia. Voi…voi chi siete? Siete le altre due vittime?”
“Già le altre due…io sono Mary, lei è Vicky” disse la seconda.
“Io sono Amy…scusate ma cos’è che toccherà a chi?” chiesi dopo un momento di
silenzio.
“Morire” disse con tono fermo Mary. Un brivido mi scosse la schiena.
Parlammo un po’, mi feci raccontare cos’era accaduto da quando le aveva rapite.
Dissero che furono buttate in quel fienile e che veniva offerta solo un po’ d’acqua
potabile, ormai erano rassegnate alla morte.
“No, no. Ragazze dobbiamo essere speranzose: ci troveranno presto!” cercai di dire il
più raggiante possibile.
“Tanto urlare è inutile, ed i telefoni non hanno campo” mormorò Vicky.
“E come fai a sapere che non c’è campo, legata così?” chiesi con sospetto.
“La prima ragazza rapita era riuscita a slegarsi e ha cercato invano di chiamare, ma
niente non c’è campo.”
“Sentite ragazze, ora vi svelerò un segreto che voi non dovete raccontare a nessuno!
Io faccio parte della polizia che sta indagando sulla vostra scomparsa, mi sono trovata
in una situazione spiacevole e sono caduta nella rete del pescatore. Vi assicuro che il
mio partner ci troverà!”
Non ero neanche convinta che lui fosse vivo, ma ci speravo con tutto il cuore.
Le ragazze non risposero.
“Cos’è non mi credete? Ve lo posso provare.”
“Non è che non ti crediamo, più che altro non confidiamo molto nella polizia. Se non
ci hanno trovato fin’ora come potrebbero trovarci adesso? In più manca un agente.”
“Ma ragazze più tempo passa più indizi saltano fuori” esclamai convincente.
Non ebbi risposta. Passarono molte ore fino a che finalmente mi addormentai.
Sentii picchiare sul portone, man mano sempre più forte. Fino a che la porta non si
spalancò lasciando trapelare le prime luci dell’alba.
“È molto in anticipo” disse Mary spaventata.
“Si ma non è solito aprire così la porta!” esclamò Vicky.
Una figura scura si fece avanti con cautela, si arrestò di colpo dopo alcuni metri e
fece cenno a qualcuno di venire avanti. Due sagome corsero verso di noi e ci
puntarono delle pile addosso.
“Amy, Amy sei viva grazie al cielo” esclamò piangendo di gioia una voce conosciuta.
“Daniel?? Sei proprio tu?” Si avvicinò piano, non ero mai stata così felice di vedere il
suo viso prima di quel momento. Ma una rabbia prese possesso di me.
Mentre gli altri due agenti slegavano Mary e Vicky e Dan slegava me, cominciai ad
imprecare e ad insultarlo.
Ci condussero fuori da quella prigione, quando sentimmo uno sparo. Le ragazze
erano sistemate in un veicolo della polizia insieme ai due agenti. Daniel ci ordinò di
scappare e di chiamare rinforzi, ma io no, io non l’avrei lasciato lì solo, anche se per
pochi minuti. Dopo una breve discussione si arrese e mi lasciò restare, mandando via
la macchina.
Mi diede una pistola e disse: “Per sicurezza.”
Andammo in direzione dello sparo, se ne sentì un altro molto più forte.
Per la prima volta lavoravamo come veri partner: ci guardavamo le spalle a vicenda.
Ci avvicinammo di più e intravedemmo la sagoma dell’assassino.
Lui si dirigeva verso noi e viceversa.
Arrivati molto vicini cominciò a correre nella direzione opposta. Sparava verso di noi
a casaccio e beccò alla gamba Dan, che perciò non riusciva più a correre bene.
L’animale entrò in un capanno e noi lo seguimmo a ruota. Lo cercai per un po’
quando poi mi accorsi che non scorgevo più il mio partner. Sentii una risata sadica
provenire dalle mie spalle: era la bestia che stringeva fra i suoi artigli il predatore.
Con una mano gli cingeva il torace con l’altra gli puntava il fucile ad una tempia.
“Ah, ah ,ah! Siete intrappolati, io friggerò il cervello a questo caro ragazzo e poi a te
bambina!”
Si mise a dialogare da solo, come se fossero due persone a discutere: perfetto oltre
che assassino sadico era pure schizofrenico!
“Sparagli, sparagli” mi ripeteva incitandomi Daniel.
“Ma io…io non…sono in grado”
“Si ce la farai, almeno così uno di noi due sopravvivrà!”
“La bambina non è in grado” cantilenava il pazzo.
A quel punto feci io la mia scelta di vita o di morte.
Con un rapido gesto della mano puntai alla fronte e partì il primo sparo,
immediatamente partì il secondo e poco dopo accasciatosi a terra puntai più in basso,
al petto, partì il terzo ed ultimo sparo. Dan levò il fucile dalle grinfie di quel bruto e
scappammo verso la strada ogni tanto voltandoci indietro. In lontananza sentimmo le
sirene: stavano arrivando i rinforzi.
Arrivati, gli agenti seguirono le nostre indicazioni fino al capanno e prelevarono il
cadavere portandolo sul ciglio della strada . Daniel mi impedì di farmi vedere quel
bruto privo di vita e ciò che avevo combinato io.
Pochi istanti dopo arrivarono due ambulanze, io salii con il mio partner.
Il proiettile non aveva fatto gravi danni e fu dimesso nel pomeriggio. Poi andammo in
centrale, mangiammo ci riassestammo e Dan mi raccontò cos’era accaduto
esattamente.
“Quando ti ho chiesto di uscire ieri sera- non era trascorso neanche un giorno ed
erano accadute mille cose- l’ho fatto con l’intenzione di usarti come esca.”
“Come esca” ripetei a mo’ d’eco.
“Sì, dopo l’irruzione nella casa, non andata a buon fine; decidemmo di mettere in atto
questo piano: saremmo andati al bar, tu saresti dovuta essere sola così da sembrare
una preda perfetta. E ti ho allontanato con la scusa del bagno.”
“Preda perfetta…ecco perché eri così scosso”
“Già, ti ricordi quando ti ho dato il mio cellulare? Te l’ho dato così che, quando e se
fossi stata rapita, avremmo potuto localizzarti.”
“Localizzarmi… ma perché non l’hai ucciso subito?”
“Non sai quanto dolore abbia provato nell’assistere alla scena , ma se volevamo
trovare le altre due vittime vive, non restava che seguirlo. Mi dispiace tanto!”
“No, no avete fatto la cosa giusta. La fortuna era dalla nostra parte!”
“E dimmi come stanno le ragazze?” chiesi apprensiva.
“Stanno…sono ok, si riprenderanno presto.”
“Ma tu piuttosto come stai? Hai…salvato mio figlio.” Disse Ernest Sway.
Non mi ero accorta che avevo gli occhi di tutta la centrale puntati addosso.
Mi tornò in mente la scena dell’omicidio di quel pazzo sadico; non mi interessava
sapere il nome, avevo già troppi suoi dettagli impressi nella memoria.
“Quindi hai capito tutto? Hai altre domande da fare?” chiese Dan.
“No, per il momento no.”
Ringraziammo tutti della collaborazione e tornammo a casa Sway. Volevo scappare
tornarmene in Idaho a Boise a casa mia.
Facemmo le valigie, ringraziai mille e più volte Ernest e poi vidi padre e figlio
abbracciarsi: una scena che mi riempì il cuore di gioia.
“Stammi bene Dany” disse Ernest.
“Anche tu, papà…ti voglio bene!”
L’autista ci fece accomodare in macchina e ci portò all’aeroporto di Eugene.
Erano passati solo tre giorni dal nostro arrivo, ma sembravano tre mesi. Le indagini si
erano svolte molto velocemente.
Saliti in aereo chiesi: “Dan…capo, resterai sempre così, come ti ho visto in queste
ultime ore?”
“Cioè? Spiegami.”
“Dolce, simpatico, aperto!?!”
“Elementare Watson, ma solo se smetterai di chiamarmi capo!”
E ci appisolammo sorridenti.
Clarissa Figura I E