La mia droga - Fantasio Festival

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La mia droga - Fantasio Festival
La mia dr oga di Daniela Cagnazzo E
E ’ DA tanto che cerco di smettere. Cerco di andare avanti senza quella felicità chimica, ma dopo un po’ ci ricasco ed eccomi li seduto in quell’angolo che rido senza un vero motivo, quando poi dovrei piangere perché la mia vita è solo una merda. La mia vita non è più la mia. Ormai sono indebitato fino al collo. La prima e ultima volta che ho accettato un aiuto sono finito col trascinare in questo vortice maledetto i miei più cari amici. Quando ero con un piede nella fossa hanno provato a tirarmi fuori, ma hanno fatto la più grande cazzata della loro vita perché sono finiti loro in una fossa, sempre più giù. In quella fossa che dopo un giorno è stata chiusa per sempre, tra fiori e lacrime dei familiari. Io, non sono andato a dare loro quell’ultimo saluto. Non sono andato da loro per chiedere scusa e domandare perché avevano voluto aiutarmi. Sono il loro assassino! I medici hanno detto che erano morti per overdose, ma non ci credo, sono io che li ho trascinati nella morsa della morte e non me lo perdonerò, mai. L’effetto della droga è finito, aspetto che Giorgio mi porti la dose di cui ho bisogno e intanto conto le ore, i minuti e quei maledetti secondi che vanno sempre più lenti. Guardo le lancette dell’ orologio, quelle lancette che girano taglienti come lame, che tagliano la notte a pezzi in piccole frazioni che a poco a poco stanno rubando anche la mia vita da questo mondo tutto nero. E tra un brivido e l’altro, causati dal semplice motivo che non ho un ago nel mio braccio, rivedo la faccia sorridente di Marco: i pugni che dava Francesco, i passi ciondolanti di Giovanni, la moto di
Giuseppe che invidiavo, gli auricolari di Alessandro che pompavano, una musica che piace ascoltare a noi giovani. Giovani…mi chiedo se io sono ancora giovane. Quando mi guardo allo specchio non vedo più riflessa la mia faccia liscia di barba appena rasa, quel sopracciglio spaccato da una rissa fatta con un’altra banda, quei denti bianchi e perfetti che regalavano un sorriso solo a pochi. Ora il mio viso appare stanco, i miei denti sono gialli a causa del fumo, il mio viso è ricoperto dalla barba perché non riesco a prendere neanche la lametta in mano senza tagliarmi, i miei occhi sono cerchiati di viola e le mie labbra sono spaccate per l’alcool che bevo. Un tempo, io e i miei amici, eravamo i più conosciuti fra le ragazze della scuola. Ragazze! Ogni sabato sera una ragazza diversa per farci invidiare dagli altri, mai una relazione seria, perché per noi l’amicizia era tutto e avere una ragazza fissa significava trascurare gli amici, finché una sera io ho violato il nostro patto e da quando ho diciannove anni la mia ragazza è la droga. Tutto è iniziato un sabato in discoteca: una ragazza si è avvicinata e mi ha chiesto se avevo mai provato. Ero entusiasmato all’idea di avere una bellezza così vicina, a portata di bacio, che non mi resi conto di cosa le stavo rispondendo. Mi indicò un’altra ragazza, in piedi accanto alla consolle, mi trascinò da lei, e in meno di un minuto mi ritrovai a mandar giù con la birra, una pasticca di scoop. Il giorno dopo, quella polverina bianca è diventata tutta la mia vita. Mi faccio con quello che trovo: a volte marijuana, hashish, ecstasy, cocaina, crack, dextrometorfano, eroina, ketamina, metadone, GHB, oppio, LSD, altre volte con anfetamina e dopamina. Ogni tanto cerco di provarne delle nuove: mix di erbe e sostanze chimiche, prodotti formulati male nei laboratori farmaceutici e diventati per noi tossico dipendenti una droga irrinunciabile, per cui siamo disposti a pagare cifre altissime e che non possiamo permetterci. Noi siamo gente che non ha nulla, che convive con sensi di colpa, con un passato felice alle spalle ma
che non ha un futuro davanti, non diamo la colpa a nessuno se siamo così perché questa vita ce la siamo scelti e cerchiamo in quelle polverine, in quei liquidi e in quelle pasticche un senso di felicità, di leggerezza, di forza fisica. Il nostro è solo un mondo perverso. I brividi stanno aumentando, sento sempre più freddo, ma sudo come se sto giocando a calcetto in una mattinata afosa con un sole che spacca le pietre, mi sale il vomito in gola e mi viene da urlare: «Perché cazzo non arrivi Giorgio! Ho bisogno della mia dose!» Ma non ci riesco perché la mia voce si perde dentro di me e dalla mia bocca non esce neanche più un gemito. Mi alzo in piedi, le allucinazioni sono sempre più frequenti e mi sembra che davanti a me ci sia veramente Francesco. Allungo il braccio per potermi sorreggere a lui, ma svanisce non appena riesco a toccarlo. Sono debole, così mi accascio per terra. Sono svenuto. Dopo tre ore sono ancora a terra, nella stessa posizione. Mi ritrovo in un sonno non mio: sono morto. Sono ormai libero dai problemi che ho causato durante la mia esistenza. Sono libero da colpe e rimorsi e posso finalmente dire ai miei amici: «Scusatemi, scusatemi per tutto». Daniela Cagnazzo Nata a Martina Franca nel 1993