Gli immigrati nella città di Napoli

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Gli immigrati nella città di Napoli
Centro di cittadinanza sociale per immigrati
Gruppi di lavoro- Coop. Dedalus
CENTRO DI CITTADINANZA SOCIALE PER IMMIGRATI
Comune di Napoli 92° Servizio
Gruppi di Lavoro Pluritematici sull’Immigrazione
Coop. Sociale Dedalus
G.C. di Napoli n. 4066 del 7/12/2000 e n. 131 del 16/01/2002
e determinazione n. 37 del 5/3/2002
Gli immigrati
nella città di Napoli
(a cura di Elena de Filippo)
Anno 2003
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Centro di cittadinanza sociale per immigrati
Gruppi di lavoro- Coop. Dedalus
Indice
1. PREMESSA
1
3. LE CARATTERISTICHE DELLA PRESENZA NEI DIVERSI CONTESTI CITTADINI
24
3.1 GLI IMMIGRATI NELL’AREA DI PIAZZA GARIBALDI
24
3.1.1 BREVE DESCRIZIONE DEL TERRITORIO
24
3.1.2 LA CONDIZIONE ABITATIVA
26
3.1.3 LE STRUTTURE DI ACCOGLIENZA
28
3.1.4 IL LAVORO
28
3.1.5 LA SCUOLA
31
3.2 ANALISI DELLA PRESENZA DI IMMIGRATI NELL’AREA DEI QUARTIERI SPAGNOLI E MONTESANTO
36
3.2.1 BREVE DESCRIZIONE DEL TERRITORIO
36
3.2.2 IL LAVORO
38
3.2.3 LA SCUOLA
39
3.3.1 BREVE DESCRIZIONE DEL TERRITORIO
39
3.3.2 LA CONDIZIONE ABITATIVA
41
3.3.3 IL LAVORO
44
3.3.4 LA SCUOLA
46
3.4 ANALISI DELLA PRESENZA DI IMMIGRATI NELL’AREA ORIENTALE
48
3.4.1 BREVE DESCRIZIONE DEL TERRITORIO
48
3.4.2 LA CONDIZIONE ABITATIVA
50
3.4.3 IL LAVORO
52
3.4.4 LA SCUOLA
53
3.5 ANALISI DELLA PRESENZA DI IMMIGRATI NELLA ZONA NORD
56
3.5.1 BREVE DESCRIZIONE DEL TERRITORIO
56
3.5.2 LA CONDIZIONE ABITATIVA
58
3.5.3 IL LAVORO
60
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3.5.4 LA SCUOLA
60
3.5.5 I PROGETTI DI EDUCAZIONE PER ADULTI E I CORSI DI ALFABETIZZAZIONE PER PREADOLESCENTI
63
3.6.1 BREVE DESCRIZIONE DEL TERRITORIO
63
3.6.2 LA CONDIZIONE ABITATIVA
65
3.6.3 IL LAVORO
67
3.6.4 LA SCUOLA
68
4. LE COMUNITÀ IMMIGRATE PRESENTI A NAPOLI
71
4.1 LE COMUNITA’ PROVENIENTI DALL’ASIA
73
4.1.1 LA COMUNITÀ CINESE
73
4.1.2.LA COMUNITÀ FILIPPINA
77
4.2.3 LA COMUNITÀ PAKISTANA
79
4.2.4 LA COMUNITÀ SRILANKESE
80
4.3.LE COMUNITA’ PROVENIENTI DALL’AFRICA
86
4.3.1. LA COMUNITÀ BURKINABÈ
86
4.3.2 LA COMUNITÀ CAPOVERDIANA
89
4.3.3 LA COMUNITÀ ERITREA
92
4.3.4 LA COMUNITÀ ETIOPE
94
4.3.4 LA COMUNITÀ IVORIANA
96
4.3.5 LA COMUNITÀ ARABA
100
4.3.6 LA COMUNITÀ NIGERIANA
107
4.3.7 LA COMUNITÀ SENEGALESE
108
4.3.8 LA COMUNITÀ SOMALA
114
4.4 LE COMUNITA’ PROVENIENTI DALL’EUROPA ORIENTALE
117
4.4.1 LA COMUNITÀ ALBANESE
117
4.4.2 LA COMUNITÀ POLACCA
119
4.4.3 LA COMUNITÀ ROM
121
4.4.4 LA COMUNITÀ RUMENA
127
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4.4.5 LA COMUNITÀ UCRAINA
128
4.5 LE COMUNITA’ PROVENIENTI DALL’AMERICA LATINA
131
4.5.1 LA COMUNITÀ COLOMBIANA
131
4.5.2 LA COMUNITÀ DOMINICANA
133
4.5.3 LA COMUNITÀ ECUADOREGNA
136
4.5.4 LA COMUNITÀ PERUVIANA
137
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1. PREMESSA
Il presente rapporto è il primo risultato, dal punto di vista dell’elaborazione e della proposta, del lavoro
svolto dai Gruppi Pluritematici sull’immigrazione facenti parte della struttura operativa del Centro di
Cittadinanza Sociale per Immigrati. Esso contiene una dettagliata analisi della presenza straniera nella città
di Napoli, con particolare riferimento ai bisogni e alle aspettative degli immigrati e delle immigrate, e affronta,
al contempo, il modo in cui queste istanze si rapportano con i servizi e le altre offerte del territorio. Il rapporto
metterà in evidenza sia le capacità di risposta sia le aree di debolezza, dove cioè non vi è risposta, o le
risposte non sono ancora adeguate alla complessità e all’articolazione della domanda.
Tale impostazione è coerente con il percorso avviato dal Comune di Napoli finalizzato a definire e
strutturare nuovi modelli di politica sociale a favore dei migranti non comunitari presenti sul territorio
cittadino. Nello specifico, in un quadro volto a realizzare “interventi concreti e ben visibili”, che puntino ad un
sistema capace di garantire “sicurezza ed identità” sia per i nuovi arrivati che per gli autoctoni,
l’Amministrazione comunale ha istituito il Centro di Cittadinanza Sociale per Immigrati finalizzato a
programmare e realizzare un sistema integrato di servizi per gli immigrati.
In altre parole, si tratta di un progetto di studio, di ricerca applicata e di intervento dove
l’omogeneizzazione e la messa a sistema dei diversi servizi, la definizione e la proposta di nuove attività
sulla base dei bisogni espressi dai destinatari, il monitoraggio e la valutazione permanente si configurano
come obiettivi intermedi, propedeutici l’uno all’altro, indispensabili per il raggiungimento di una
“programmazione stabile e coordinata” di politiche locali di governo dei flussi migratori, tesa a consolidare
inclusione ed emancipazione degli stranieri non comunitari.
Quindi un obiettivo complesso, per il raggiungimento del quale il Comune si è dotato di alcuni servizi di
supporto – dati in appalto ad organizzazioni del terzo settore - con la funzione di coadiuvare il Centro nella
scelta dei percorsi e delle risposte da costruire quotidianamente sul territorio. I servizi di supporto sono un
Ufficio di secondo livello, una unità mobile e, appunto i gruppi di lavoro pluritematici.
Per quel che riguarda i gruppi di lavoro pluritematici essi hanno come obiettivo finale quello di mettere a
punto nuove strategie per l’attuazione di politiche locali e linee programmatiche a favore degli immigrati. A tal
fine sono state individuate dall’Amministrazione Comunale cinque aree tematiche: “area giuridica”; “area
formazione e lavoro”; “area alloggi”; “area culturale”; “area scolastica”. Il compito dei gruppi di lavoro per
ognuna delle aree tematiche è stato quello di:
‰ analizzare i bisogni della popolazione immigrata e la loro relazione con il sistema dei servizi;
‰ analizzare le problematiche e le criticità della presenza straniera;
‰ monitorare l’andamento e il funzionamento dei servizi esistenti;
‰ costruire una banca dati delle opportunità e dei servizi;
‰ elaborare una prima bozza di linee guida per la programmazione di interventi.
Ciascun gruppo di lavoro, oltre alle risorse operative e alle professionalità individuate in sede locale, si è
avvalso della consulenza e del monitoraggio di cinque consulenti esterni, di scientifica rilevanza nazionale e
di comprovata esperienza e competenza professionale: l’avv. Nazzarena Zorzella, avvocato dell’A.S.G.I.,
esperta nazionale sull’immigrazione per l’area giuridica; il prof. Enrico Pugliese, sociologo professore
ordinario dell’Università degli Studi di Napoli Federico II, esperto per l’area formazione e lavoro; Walter
Reggiani, consulente del CNEL, esperto per l’area alloggi; il prof. Claudio Marta, antropologo e docente
dell’Università degli Studi di Napoli L’Orientale, esperto per l’area culturale ed, infine, il dott. Giuseppe Faso,
insegnante e promotore di numerosi progetti di intercultura in Toscana ed esperto per l’area scuola.
1.1 GLI OBIETTIVI SPECIFICI DEI GRUPPI DI LAVORO PLURITEMATICI
Il gruppo di lavoro relativo all’area giuridica ha l’obiettivo di affrontare le problematiche inerenti la
legislazione nazionale e locale in materia di immigrazione, soprattutto cogliendone le ricadute dirette sul
quotidiano dei migranti presenti in città e di produrre proposte in merito alla definizione delle politiche
comunali in tema di integrazione sociale e godimento dei diritti civili.
L’approvazione della legge Bossi-Fini, ed in particolare della regolarizzazione dei lavoratori dipendenti, ha
richiesto una particolare attenzione allo studio della normativa e alla diffusione della stessa. In previsione
della entrata in vigore della legge, ci si è impegnati in una serie di attività finalizzate alla diffusione delle
norme in essa contenute. In primo luogo è stato raccolto e prodotto materiale informativo sul testo di legge e
sulle sue implicazioni. In particolare, sono state elaborate schede sintetiche di facile ed immediata lettura
distribuite durante alcuni seminari esplicativi, organizzati dallo stesso gruppo di lavoro sull’area giuridica, sui
temi della nuova normativa e sulla procedura di emersione del lavoro irregolare dei cittadini extracomunitari,
a cui hanno partecipato assistenti sociali e operatori del privato sociale.
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Tale attività divulgativa e di formazione/aggiornamento si è dimostrata particolarmente importante e ha
suscitato un forte interesse da parte dei soggetti coinvolti. In tal senso, è sembrato opportuno proporre il
mantenimento di tali iniziative, in primo luogo implementando il mandato del “gruppo giuridico”
configurandolo, oltre alle funzioni attualmente individuate, anche come “osservatorio sulle discriminazioni”
Il gruppo di lavoro sull’area culturale si è dedicato all’analisi dei possibili percorsi per favorire la
costruzione di relazioni positive tra cittadini immigrati ed italiani e, contemporaneamente, la conservazione
delle specificità culturali. Si è teso a valorizzare le affinità e, soprattutto, a garantire la diffusione e la
valorizzazione delle espressioni culturali, sociali, economiche e religiose delle culture di provenienza degli
immigrati, fuori da tentazioni di assimilazione o, addirittura, di discriminazione ed esclusione del “diverso”.
Tutto questo attraverso il coinvolgimento delle associazioni e comunità di stranieri, delle organizzazioni di
volontariato, delle associazioni culturali e degli altri enti del terzo settore e del privato sociale. Insomma,
attraverso il lavoro svolto, si può dire che il gruppo si è connotato come una sorta di cantiere aperto di
emersione e valorizzazione del patrimonio di esperienze ed espressioni culturali che la presenza delle
comunità straniere fa convivere nella nostra città; patrimonio che spesso rimane sommerso, chiuso nei propri
specifici, non valorizzato come risorsa collettiva per l’insieme della popolazione
Il gruppo che si interessa delle tematiche della formazione professionale e del lavoro ha portato avanti
un’analisi del mercato del lavoro locale in cui sono inseriti i lavoratori stranieri, da un lato per definirne con
precisione i contorni, le caratteristiche e le tipologie, dall’altro al fine di individuare le strategie da attuare per
favorire la costruzione di stabili condizioni di pari opportunità di accesso sia al sistema inerente la
formazione e l’aggiornamento professionale, sia all’inserimento nel mercato del lavoro
Il gruppo di lavoro dell’area alloggi ha analizzato la situazione del mercato locale delle abitazioni al
quale gli immigrati possono accedere ed ha iniziato un’analisi sulla possibilità di predisporre risposte
concrete in tal senso. In particolare, si è occupato dello studio delle condizioni alloggiative che mediamente
interessano le varie comunità presenti, in termini di principali tipologie abitative, dello stato igienicostrutturale delle abitazioni, delle modalità di accesso e di reperimento degli alloggi, dei canoni di locazione.
In tale lavoro di studio, anche in riferimento alle diverse fasi che definiscono i percorsi migratori, sono
stati considerati i centri di prima accoglienza, gli alloggi sociali, la verifica delle pari opportunità, per gli
stranieri regolarmente soggiornanti sul territorio, di accedere all’edilizia residenziale pubblica, anche
attraverso la promozione di servizi sociali per agevolare l’accesso alle locazioni abitative ed al credito
agevolato in materia di edilizia.
Infine, il gruppo di lavoro relativo all’area scolastica ha approfondito le diverse questioni relative alla
tematica dell’istruzione. A partire da quanto emerge dagli interventi che il Comune di Napoli ha già avviato a
sostegno delle famiglie e dei minori immigrati, è stata realizzata una analisi del rapporto con la scuola da
parte delle famiglie immigrate. In particolare, si pone l’esigenza di sondare le varie possibilità di accesso,
accoglienza ed integrazione degli stranieri (anche adulti) nel circuito scolastico, anche attraverso il ricorso
alla mediazione culturale, a corsi di alfabetizzazione, alla predisposizione di percorsi integrativi degli studi
sostenuti nel paese di provenienza al fine del conseguimento del titolo dell’obbligo o del conseguimento del
diploma di scuola secondaria.
I gruppi di lavoro pluritematici hanno sede presso il Centro Polifunzionale di Villa Nestore a Piscinola, ma
ci si è avvalsi anche degli uffici e delle attrezzature della cooperativa Dedalus presso il centro direzionale
isola g8. Inoltre gran parte del lavoro è stato svolto dagli operatori direttamente sul territorio.
1.2 LA METODOLOGIA
Il primo obiettivo dei gruppi di lavoro è stato quello di effettuare una mappatura delle organizzazioni
attive nel campo dell’immigrazione presenti nella città di Napoli. Ciò con l’obiettivo di conoscere in modo
esaustivo i soggetti attivi, far emergere ogni risorsa, sia formale che informale, ricostruire un archivio
ragionato delle competenze e dei servizi è sembrato, infatti, in fase iniziale, un primo passo indispensabile
non solo per potenziare e proporre una metodologia diffusa centrata sul coordinamento e sull’integrazione,
ma anche per calibrare la programmazione finalizzandola da un lato all’innovazione, dall’altro a recuperare i
ritardi e i vuoti di intervento.
Per realizzare questo specifico obiettivo di mappatura è stata elaborata una scheda sintetica di
rilevazione, somministrata direttamente dagli operatori ai rappresentanti delle diverse organizzazioni presenti
sul territorio. La scheda, tra l’altro, mirava a rilevare le problematiche individuate dagli enti per ciascun area
di intervento. Attraverso tale impostazione, con la mappatura, oltre a raccogliere informazioni sugli enti
contattati, sono stati infatti indagati anche i principali bisogni degli immigrati nella città di Napoli, così almeno
come gli stessi emergono dalle percezioni e dall’esperienza di chi, a diverso titolo, lavora e produce
elaborazione sul tema immigrazione nel contesto cittadino. Di conseguenza, sempre dal lavoro di
mappatura, sono iniziate ad emergere anche alcune delle priorità di intervento da sottoporre
all’Amministrazione Comunale, soprattutto per quanto concerne i bisogni dei migranti e delle problematicità
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più generali connesse alla presenza straniera in città. Indicazioni di priorità che per altro, sono state
stimolate da un’apposita parte del questionario, in cui si chiedeva ai soggetti intervistati di avanzare proposte
o suggerimenti concreti per affrontare e rispondere alle necessità della popolazione immigrata.
Dal punto di vista quantitativo, sono stati complessivamente contattati ottanta enti, prevalentemente del
terzo settore, che operano in ambito sociale, di cui una quarantina si sono rivelati essere nella città di Napoli
quelli più impegnati in materia di immigrazione. Si tratta di organizzazioni del terzo settore (cooperative
sociali, associazioni di volontariato, parrocchie, fondazioni), sindacati, strutture di accoglienza, comunità di
immigrati. Diciotto di queste organizzazioni, sostanzialmente quelle che rappresentano comunità straniere o
che comunque sono composte da migranti se pur di diversa nazionalità, hanno dichiarato che l’immigrazione
rappresenta la loro area esclusiva di intervento.
Per questi specifici enti, uno dei problemi che da subito è emerso con maggior chiarezza, riguarda la
scarsa visibilità degli enti stessi, con una conseguente debolezza per quanto attiene la capacità e la
possibilità di partecipare alla “vita cittadina” e di influenzare le scelte e le politiche sull’immigrazione. Un
deficit di partecipazione e riconoscimento dovuto sia a difficoltà interne ad alcune organizzazioni, sia alla
mancanza di un adeguato sostegno da parte della comunità locale (carenza di spazi di aggregazione e
socialità, inadeguate azioni di supporto amministrativo alla costituzione delle associazioni, ecc.).
Successivamente alla mappatura degli enti, e sulla base del disegno della ricerca elaborato anche con la
supervisione degli esperti, è stata effettuata una approfondita analisi sul campo della presenza straniera.
Ricorrendo allo strumento della traccia di intervista, sono stati intervistati numerosi interlocutori privilegiati
(testimoni qualificati) individuati tra quanti si interessano di immigrazione nei servizi pubblici, nel terzo
settore, nel sindacato. Tra tali interlocutori sono stati considerati anche alcuni immigrati che, pur non
rappresentando associazioni organizzate, si caratterizzano come veri e propri punti di riferimento per la loro
comunità, vuoi perché hanno alle spalle lunghi periodi di soggiorno in città, vuoi per il ruolo partecipato e
pubblico che gli stessi hanno mantenuto nelle sedi e nei luoghi di confronto e di iniziativa sul tema
dell’immigrazione e dei servizi ad essa dedicati.
Per ognuna delle aree tematiche è stata elaborata una traccia di intervista specifica, strutturata in modo
da far emergere le informazioni principali necessarie per l’elaborazione dei rapporti sui cinque temi inerenti i
gruppi di lavoro.
Complessivamente sono state realizzate 215 interviste in profondità, 78 schede generali relative alle
organizzazioni effettuate a circa ottanta testimoni qualificati, il cui elenco nominativo, corredato dall’ente di
appartenenza, quando esiste, è riportato in allegato. Inoltre sono state anche realizzate 205 schede di
approfondimento relative ai salari dei lavoratori immigrati.
La metodologia scelta è stata quella di intrecciare le problematiche relative alle 5 aree tematiche
individuate dall’Amministrazione (giuridica, casa, lavoro, cultura, scuola) al territorio. Infatti pur riferendosi
all’intero territorio comunale, particolare attenzione è stata data ad alcune aree territoriali, scelte tra quelle in
cui la presenza della popolazione immigrata è più significativa dal punto di vista numerico o dalle
problematiche presenti: la zona orientale, la zona nord di Napoli, Pianura, piazza Garibaldi, Rione Sanità,
Quartieri Spagnoli. Tali territori non sono stati considerati come quartieri in senso stretto ma come zone,
talvolta più estese rispetto alla definizione puramente amministrativa, che si connotano per una presenza
straniera che presenta certe specificità oltre che per il fatto di condividere determinate caratteristiche di
natura socio-economica.
Tale metodo che ha portato alla definizione delle aree geografiche di ricerca, ha consentito ai gruppi di
ottenere, per ciascun territorio, una conoscenza dettagliata da un lato delle condizioni di vita e dei bisogni
dei migranti, dall’altro delle caratteristiche e delle modalità di funzionamento, anche in relazione alla capacità
di impatto sociale e di relazione con l’utenza, degli eventuali servizi esistenti, sempre con riferimento alle
aree di interesse considerate (area giuridica, area formazione e lavoro, area culturale, area alloggi, area
scolastica). Una metodologia di ricerca che, come risulta evidente, permetterà all’Amministrazione Comunale
di affiancare alla fotografia generale della situazione su tutto il territorio una serie di approfondimenti specifici
dedicati ad aree territoriali che, per caratteristiche quantitative o qualitative della presenza straniera, si
configurano come particolarmente significative nella definizione delle politiche e dei modelli operativi in
materia di politiche sociali rivolte ai migranti. Per fare un solo esempio, basta rifarsi a circoscrizioni come
quelle di Pianura o Ponticelli dove a fronte di una presenza immigrata contenuta in termini numerici, sul tema
degli alloggi e delle condizioni abitative dei migranti, vi sono situazioni che per gravità e urgenza di risposta
non trovano eguali sulla restante parte del territorio napoletano.
Le informazioni raccolte secondo la metodologia sopra illustrata hanno consentito ai diversi Gruppi di
Lavoro, di ricostruire un primo quadro sulla condizione dei/lle cittadini/e immigrati/e nella città di Napoli. Ciò
che emerge è ovviamente un quadro molto articolato. Risulta infatti estremamente difficile riassumere la
complessità della presenza straniera e delle problematicità che essa esprime in una realtà articolata come
quella del territorio napoletano. Infatti, solo tenendo presente le molteplici differenze in termini di
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provenienza, di progetti e di modelli migratori, di esperienze di vita e di inserimento socio-lavorativo, insieme
al bagaglio di tradizioni e di formazione culturale che diversifica le varie comunità, si può tentare di
comprendere davvero i bisogni espressi dalle diverse componenti della presenza immigrata, con particolare
riferimento all’impatto che la stessa ha avuto con la città e i suoi abitanti, con la sua struttura economicopolitica e relazionale.
Una realtà complessa, dunque, determinata da un insieme poliedrico di bisogni, aspettative, percorsi
individuali e collettivi, la cui lettura e analisi è ulteriormente complicata dalle continue evoluzioni che ne
caratterizzano lo sviluppo sul territorio cittadino.
Dinamiche di cambiamento che obbligano ad impostare ogni azione di ricerca su metodologie capaci di
adeguarsi a tali mutamenti e non statici, in quanto si presenterebbero come inadeguati ad indagare un
fenomeno sociale che, per articolazione dei soggetti coinvolti, delle variabili socio economiche e culturali che
incidono sullo stesso, si configura come insieme di processi dinamici in continua e rapida evoluzione.
Tali metodologie devono mostrarsi in grado di strutturarsi come strumenti di osservazione permanente,
organizzati in modo da coinvolgere più punti di osservazione, formali e informali, e disponibili a rivedere e
mettere in discussione i propri assunti.
Da questo punto di vista i Gruppi pluritematici, a partire dal supporto degli altri servizi collegati al Centro
di Cittadinanza, e grazie al collegamento ed intreccio con i soggetti territoriali coinvolti non solo come
interlocutori da “ascoltare”, ma anche come “soggetti attori della ricerca”, hanno potuto prevedere
l’aggiornamento continuo della propria indagine, allargandola e arricchendola in corso d’opera sulla base
delle nuove informazioni e delle nuove relazioni attivate con il territorio.
1.3 I BISOGNI DEGLI IMMIGRATI
Venendo ora al racconto di quelli che sono stati individuati come principali bisogni degli stranieri, prima di
passare ad un primo approfondimento in merito a quelli relativi alle cinque aree di ricerca, appare utile
evidenziare due aspetti che si configurano come trasversali alle stesse aree.
In primo luogo, dalla quasi totalità degli intervistati vengono sottolineati ritardi e criticità nella realizzazione
di processi e percorsi tesi alla costruzione di stabili condizioni per gli stranieri di pari opportunità di accesso
al sistema dei servizi e, più in generale, alla cittadinanza sociale.
Un limite che sembra assumere la caratteristica di elemento strutturale che, nei fatti, depotenzia le
ricadute dei diversi servizi e che sembra derivare da un’interazione in negativo di più fattori, e
specificatamente:
‰ le ricadute locali delle rigidità e delle chiusure introdotte dalla nuova normativa nazionale
sull’immigrazione;
‰ l’ancora scarsa diffusione sul territorio cittadino dei servizi e delle attività rivolte agli immigrati e alle
immigrate;
‰ la precarietà economica-temporale di molti interventi che li configura più come “progetti a scadenza”
piuttosto che in servizi veri e propri, radicati e coordinati all’interno di una programmazione organica
delle politiche locali sull’immigrazione, rispettosa dei tempi dei destinatari e, allo stesso modo, di
quelli fisiologicamente necessari all’evolversi positivo dei servizi stessi;
‰ una debolezza, quantitativa e qualitativa, delle proposte e dei servizi finalizzati a supportare gli
stranieri nella ricerca di lavoro e di abitazione, a fronte di un’idea di inclusione/integrazione, fatta
propria anche dai presupposti fondativi del Centro, che vede nell’inserimento lavorativo e nella
possibilità di avere una casa adeguata due elementi indispensabili a garantire stabili e concrete
condizioni di emancipazione e cittadinanza;
‰ la mancanza di una informazione/formazione adeguata per l’insieme degli operatori e delle operatrici
del sistema di welfare locale sul tema dell’immigrazione e del sistema socio-relazionale ad esso
connesso, che a volte complica l’accesso dei migranti ai servizi anche quando gli stessi sono
presenti e attivi sul territorio;
‰ i limiti di soggettività e auto-organizzazione che caratterizzano le comunità straniere presenti in città,
con una conseguente bassa contrattualità delle stesse ad essere riconosciute come interlocutori nei
processi di definizione della progettazione e programmazione delle politiche localirivolte agli
immigrati.
Il secondo tema riguarda l’interconnessione tra due istanze, entrambe da considerarsi come aspettative
diffuse tra i migranti, ma che portano con sè alcune confusioni, insieme ad una evidente problematica di
definizione. Si tratta della relazione, del rapporto tra tensione a veder realizzate condizioni di
integrazione/inclusione nella comunità locale e desiderio di mantenere, e attraverso il mantenimento
valorizzare, le proprie identità culturali e di appartenenza alle diverse comunità.
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Non sempre, infatti, è chiaro e razionalizzato tra i migranti il processo adatto a garantire entrambe le
esigenze, con il rischio di scivolare in superficialità di approccio che possono portare a meccanismi di autoreferenzialità e auto-esclusione, o all’assunzione di meccanismi di rivendicazione corporativa.
Nel determinare tali difficoltà è evidente come giochino un peso negativo anche alcune delle stesse
criticità precedentemente ricordate come concause della situazione disparitaria nell’accesso alla
cittadinanza. Ma, nel contempo, dagli interlocutori contattati, è emerso come vi sia la necessità di individuare
strumenti atti a supportare i processi di interculturalità attivati con l’insediamento dei migranti che, se lasciati
“soli” rischiano di non definirsi o di allungarsi eccessivamente, con il conseguente pericolo di attivare spinte
all’esclusione o a dinamiche di conflittualità sociale. L’implementazione delle azioni informative/formative, la
promozione e la realizzazione di spazi di confronto e convivenza tra “differenze”, la diffusione dell’intervento
di mediazione culturale, ma anche di sostegno alla realizzazione di relazioni aperte e di mediazione dei
conflitti, sembrano dunque pratiche prioritarie e da attivare al più presto in modo diffuso sul territorio.
Venendo alle specifiche aree di ricerca, dall’analisi condotta sinora è emerso che i principali bisogni degli
immigrati nella città di Napoli, per ciò che concerne l’ambito lavorativo, vanno dalla tutela dei diritti sul
lavoro (in termini di salario, orario, riposo, etc.) alla richiesta di migliori servizi per l’inserimento al lavoro
dipendente e autonomo. Molti testimoni intervistati hanno espresso l’esigenza di dotare il territorio di
interventi che da un lato sappiano concretamente orientare l’utenza immigrata alle reali opportunità
lavorative locali e d’altra parte, attraverso l’analisi della domanda, sappiano definire percorsi formativi e di
aggiornamento legati alle reali esigenze del mercato del lavoro. Così come, da più parti si è sottolineata
l’esigenza di prevedere azioni tese alla valorizzazione delle competenze e delle abilità pregresse dei
migranti, a partire dal riconoscimento dei titoli di studio.
I bisogni legati agli alloggi riguardano le pari opportunità in materia di accesso alle abitazioni e agli
alloggi di edilizia popolare e, più in generale, a condizioni abitative migliori per i cittadini immigrati. Infatti, tutti
i testimoni sono concordi nel definire in termini estremamente negativi la realtà alloggiativa per gli stranieri in
quanto la maggioranza di essi abita in case (appartamenti e bassi) con problemi di sovraffollamento (per
risparmiare sulle spese), mancanza di privacy, spazi inadeguati per i bambini (per lo studio e per il gioco),
condizioni igieniche e strutturali insostenibili, livello degli affitti alto o comunque molto più alto rispetto alle
stesse abitazioni date in fitto agli italiani. Infine, un altro aspetto negativo, emerso più volte, è la reticenza da
parte degli italiani ad affittare case (dignitose) ad immigrati.
Va sottolineato con forza che, per gli immigrati, la difficoltà di accesso ad abitazioni dignitose, non
significa soltanto vivere in ambienti inadeguati, ma anche l’impossibilità di ottenere la certificazione
necessaria per ottenere il ricongiungimento di un familiare. In altre parole, il mancato accesso al diritto alla
casa determina, spesso, la mancanza di relazioni affettive e la costruzione di legami familiari stabili. Altri
bisogni avvertiti dai testimoni interpellati riguardano la difficoltà di ottenimento di un regolare contratto di fitto,
necessario tra l’altro per la richiesta di residenza,e la carenza di strutture di I e II accoglienza per rispondere
a situazioni temporanee di difficoltà nella ricerca di un alloggio adeguato alle proprie esigenze.
La necessità di usufruire di più spazi pubblici per le attività socio-culturali, la possibilità di esprimere e
promuovere liberamente la cultura di appartenenza che permetta uno scambio interculturale positivo,
sostenuto dall’ente pubblico, sono i principali bisogni emersi relativamente all’area culturale.
Infine, in ambito scolastico, si avverte la necessità di un maggior riconoscimento e rispetto delle identità
culturali sia per coloro che intendono rimanere in Italia, senza per questo rinunciare alla propria
appartenenza culturale, sia per coloro che intendono ritornare nel proprio paese di origine, senza per questo
rinunciare al diritto allo studio per i propri figli. Per questo è auspicato un percorso che vada verso la
realizzazione di una scuola in grado di accogliere i minori stranieri, sia attraverso la formazione degli
operatori scolastici all’intercultura, sia in termini dell’adeguamento dei programmi scolastici, che non renda
più necessaria la costituzione di scuole etniche (che di fatto già esistono) da parte di ciascuna comunità. Il
gruppo di lavoro ha inoltre rilevato che a fronte di una contenuta presenza di bambini stranieri inseriti nella
scuola dell’obbligo pubblica e negli asili, vi è una significativa presenza di bambini nelle scuole parificate che
consentono, grazie ad un reale prolungamento dell’orario scolastico, di conciliare la vita lavorativa con il
mantenimento dei bambini nati in Italia.
La condizione giuridica degli immigrati residenti sul territorio nazionale, e ancor di più nella regione
campana, è caratterizzata da una forte precarietà dovuta alle limitazioni e alle difficoltà che si incontrano
nella fase di accesso regolare al territorio, alla farraginosità e alle lungaggini delle procedure amministrative
per il rilascio e il rinnovo del titolo di soggiorno, alla difficoltà di mantenere la regolarità del soggiorno una
volta che la si è ottenuta. Tali problemi nella nostra regione raggiungono una dimensione più critica a causa
della diffusione di fenomeni legati ad un'economia informale che rende la dimostrazione dei requisiti richiesti
dalla legge per ottenere o mantenere la regolarità del soggiorno - come la documentazione relativa alla
condizione abitativa e lavorativa - assai più complessa. Inoltre, la stessa area è caratterizzata dalla forte
presenza di un'immigrazione a carattere non stabile, legata anche alla circostanza che, una volta ottenuto il
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Gruppi di lavoro- Coop. Dedalus
permesso di soggiorno, gli immigrati aspirano a trasferirsi nel nord del paese per cercare un'occupazione più
stabile.
Altre problematiche specifiche relative alla situazione cittadina sono la carenza di informazioni adeguate
immediatamente accessibili agli interessati, un atteggiamento particolarmente rigido da parte
dell'amministrazione competente al rilascio e al rinnovo dei titoli di soggiorno, la carenza di coordinamento
tra le amministrazioni pubbliche coinvolte a diverso titolo nelle procedure previste dalla normativa. Inoltre,
sono state evidenziate particolari problematiche legate alle relazioni tra gli immigrati e determinate categorie
di soggetti privati, quali i datori di lavoro degli stessi o i locatori di immobili adibiti a residenza abitativa.
I risultati della ricerca devono tenere conto del fatto che la normativa in materia di immigrazione è stata
recentemente modificata. Le rilevazioni effettuate si riferiscono alle procedure previste dalla precedente
normativa, esse, tuttavia, forniscono indicazioni utili anche in riferimento alle norme oggi in vigore. Inoltre,
nella fase di regolarizzazione disposta con il provvedimento sull'emersione del lavoro irregolare tutt'ora in
corso, il Centro di Cittadinanza Sociale per Immigrati e, in particolare, il gruppo di studio dell'Area Giuridica,
si sono trovati a svolgere una funzione attiva di coordinamento e informazione rispetto agli Sportelli e agli
altri servizi rivolti all'immigrazione del Comune. Questa attività ha permesso di trarre indicazioni utilissime
sulle procedure previste dalla nuova normativa in materia di immigrazione, nonché su un possibile ruolo più
partecipe dell'amministrazione locale in relazione alle problematiche connesse all'accesso ai diritti dei
cittadini immigrati.
Infine, la ricerca si è concentrata, in questa prima fase, sulle problematiche relative alla regolarità del
soggiorno (presupposto indispensabile per accedere ad altri specifici diritti previsti dalla legge) e sulla
partecipazione degli immigrati alla vita pubblica. Dovendo operare una scelta determinata altresì dai tempi
previsti nel progetto di ricerca, queste due tematiche sono apparse come pregiudiziali per poter fornire delle
indicazioni complessive sulla condizione giuridica degli stranieri residenti e sulla loro effettiva integrazione
nel tessuto sociale cittadino.
1.4 GUIDA ALLA LETTURA
Il presente rapporto è suddiviso in otto capitoli. Il primo si presenta come una raccolta di schede
sintetiche, ciascuna relativa ad una comunità nazionale specifica, dei gruppi che rappresentano gli attori
principali dell’immigrazione nel comune di Napoli. Le ragioni per cui questi soggetti sono stati considerati
“oggetti di studio” fondamentali per tale ricerca sono svariate; in alcuni casi si legano alla presenza storica di
alcuni gruppi (consideriamo, ad esempio, gli etiopi e gli eritrei), in altri casi si è trattato di motivi legati alla
rilevante consistenza numerica ormai raggiunta da alcune comunità, sia pure arrivate a Napoli più di recente
(i filippini, gli srilankesi, i maghrebini), ancora, si è voluto considerare la capacità organizzativa e di incidere
sul territorio cittadino dimostrata da altre nazionalità (i cinesi, i senegalesi, gli ivoriani, solo per citarne
alcune).
Si è cercato di dare una panoramica abbastanza esaustiva della composizione etnico-nazionale
dell’immigrazione cittadina, ma si è consapevoli di alcune lacune che questo lavoro presenta, dovute ai
tempi ristetti a disposizione, alla vastità e complessità del mondo che ci si era proposti di indagare e, non
ultima, alla disponibilità limitata degli interlocutori privilegiati individuati, presi, come è naturale, dai propri
impegni di vita e di lavoro.
Ciascuna scheda si propone di essere uno strumento di presentazione di alcune caratteristiche principali
delle nazionalità prese in considerazione che possono essere di aiuto per capire come poi tali gruppi abitano
e vivono la città di Napoli. Quest’ultimo argomento sarà affrontato nei singoli rapporti territoriali. In ciascuna
scheda si raffrontano i dati sui residenti con le percezioni dei testimoni sulla consistenza numerica della
propria comunità di appartenenza nel comune e nell’intera provincia di Napoli; si descrive molto brevemente
la storia dell’immigrazione a Napoli di ciascun gruppo; le principali aree geografiche da cui proviene il
maggior numero di immigrati di quella nazionalità; la composizione etnica e religiosa del paese di origine e
della comunità insediata a Napoli; l’incidenza della componente minorile e femminile sul totale delle
presenze; alcune problematiche riguardanti la condizione dell’infanzia; le principali tradizioni religiose, le
ricorrenze più festeggiate, i più rilevanti riti legati alle fasi fondamentali della vita, riconosciuti come tali nelle
società da cui provengono i cittadini di origine straniera.
Questo primo capitolo è frutto principalmente dei colloqui avuti con i testimoni qualificati individuati, che si
sono “raccontati” ed hanno “raccontato” i loro connazionali di Napoli. Si è voluto, in ogni caso, raffrontare
quanto sostenuto dai nostri interlocutori con il bagaglio di conoscenze di alcuni ricercatori ed operatori che
hanno partecipato al lavoro, con dei testi che si sono rivelati particolarmente utili, e con ricerche condotte di
recente da ricercatori alcuni dei quali hanno partecipato anche a questo gruppo di lavoro (si veda la
Bibliografia).
Il secondo capitolo contiene la relazione dell’area giuridica e si riferisce, di fatti, ai risultati emersi dallo
studio effettuato su questo specifico ambito di ricerca. Si analizzano, in particolare, le difficoltà concrete che
gli immigrati, regolarmente o irregolarmente residenti sul territorio, incontrano nel godimento dei diritti
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riconosciuti loro dalla normativa italiana ed una serie di questioni specifiche legate alla carenza di servizi o
alle disfunzioni delle amministrazioni operanti sul territorio.
La parte del rapporto relativa agli aspetti giuridici dell’immigrazione napoletana costituisce un capitolo a
parte e non è contenuto, come le altre 4 aree di intervento individuate (scuola, cultura, alloggi, lavoro e
formazione), nei singoli rapporti territoriali, in quanto è evidente che questa tematica si connota per avere
delle specificità essenzialmente a livello cittadino e non a livello di quartiere o circoscrizione. È sembrato che
essere immigrato in un territorio piuttosto che in un altro potesse fare differenza rispetto alle sue condizioni
abitative, lavorative, rispetto al rapporto instaurato con la popolazione, rispetto all’inserimento dei minori in
determinati istituti scolastici, ma non relativamente ai rapporti instaurati con il sistema giuridico e la
legislazione in materia di immigrazione italiana.
I restanti 6 capitoli contengono i rapporti relativi ai territori individuati tra quelli che si connotano per una
più consistente incidenza di abitanti (e non residenti) di origine straniera rispetto ai napoletani: piazza
Garibaldi, Quartieri Spagnoli, Rione Sanità, Zona nord, Zona orientale e Pianura.
Ogni capitolo è composto di 5 macro-paragrafi. Il primo è una breve descrizione del territorio
considerato, gli altri 4 contengono un’analisi della situazione e dei bisogni della popolazione straniera nei 4
campi di studio individuati dal progetto: le possibilità di mantenere la propria identità da parte degli immigrati
e il livello di integrazione raggiunta o desiderata con la società locale; la condizione abitativa e l’esistenza o
meno di strutture di accoglienza notturna che hanno registrato ospiti di origine straniera; le opportunità
formative offerte dal territorio e la situazione lavorativa; l’inserimento dei minori nelle scuole pubbliche,
private, nei convitti e nei semi-convitti. Il primo, il terzo, il quarto ed il quinto paragrafo fanno più riferimento
al territorio; il secondo, relativo agli aspetti culturali, contiene un’analisi della situazione delle singole
comunità. Più nello specifico, sono stati indagati, di ogni gruppo, le eventuali forme organizzative che la
comunità si è data, i principali luoghi di ritrovo, di socializzazione e di culto, le possibilità offerte dal territorio
e dalla città di mantenere le proprie tradizioni, il tipo di rapporti instaurato con la popolazione locale e con
altre comunità di immigrati, la situazione familiare e dei minori, i rapporti instaurati tra famiglie e scuola, le
questioni legate all’inserimento scolastico dei bambini stranieri.
Il presente lavoro, curato da Elena de Filippo, è stato realizzato da un gruppo di ricerca composto da
numerosi esperti ed operatori, quali: Annamaria Cirillo, Marisa Esposito, Enrica Rigo, Paola Esposito, Rosa
Mauriello, Mohammed Abu Hussein, Ilaria Vitellio, Jomahe A. Solis, Dieng Amadou, Maddalena Carnevale,
Leonarda Danza, Giacomo Smarrazzo, Andrea Morniroli, Alessandra Pignatelli. Esso si è avvalso della
supervisione di esperti nazionali nel campo dell’immigrazione quali Enrico Pugliese, Nazzarena Zorzella,
Valter Reggiani, Giuseppe Faso, Claudio Marta. Ha visto inoltre la partecipazione di due tirocinanti della
Facoltà di Sociologia dell’Università degli studi di Napoli “Federico II”: Maddalena Pinto, Emma Basile, e la
partecipazione degli operatori dell’Ufficio di supporto del Centro di Cittadinanza sociale per immigrati:
Ouattara Lacina, Martha Errana Tariku, Edvin Luci.
E’ stato tuttavia possibile realizzare tale lavoro grazie alla preziosa collaborazione di numerosissimi
operatori dei servizi pubblici, del sindacato, delle agenzie del terzo settore: cooperative sociali,
organizzazioni di volontariato, nonché delle comunità di immigrati più o meno organizzate presenti sul
territorio. Come detto in premessa sono stati tutti questi infatti gli interlocutori privilegiati della indagine di
campo (il cui elenco è riportato in appendice) ed è stato grazie alla loro pazienza e disponibilità a rispondere
alle nostre lunghe interviste, che siamo riusciti a ricostruire un primo quadro dei bisogni dei cittadini immigrati
presenti in città e continueranno loro ad essere i nostri interlocutori privilegiati per l’individuazione di possibili
percorsi da proporre all’Amministrazione Comunale per dare adeguate risposte a tali bisogni.
La relazione su piazza Garibaldi è stata scritta da Paola Esposito, Rosa Mauriello e Maddalena
Carnevale. Quella sulla area orientale da Marisa Esposito, Annamaria Cirillo ha curato il capitolo sulla zona
nord, mentre il capitolo su Rione Sanità è stato scritto da Mohammed Abu Hussein, Jomahe Solis, Amadou
Dieng. Il capitolo sui Quartieri Spagnoli è stato curato da Ilaria Vitellio, Paola Esposito e Rosa Mauriello.
Infine quello di Pianura da Lacina Ouattara e Marisa Esposito. La relazione sull’area giuridica da Enrica
Rigo, Marco Ambron e Jomahe Solis.
Il capitolo relativo ai centri di accoglienza notturna è stato curato da Maddalena Pinto, così come il
commento ai dati sugli stranieri residenti, quello sui semiconvitti e scuole private da Emma Basile.
Il lavoro presentato è comunque frutto di un lavoro collettivo.
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2. GLI STRANIERI RESIDENTI IN CITTÀ
Gli stranieri residenti nel Comune di Napoli risultano essere, all’Anagrafe cittadina, 15.684. Di questi, 8.090
sono donne, le quali pertanto rappresentano il 51,7% del totale.
In questo numero sono compresi anche quanti provengono da paesi a bassa pressione migratoria come
l’Europa Occidentale, l’America del Nord e l’Oceania 1. Se consideriamo solo le nazionalità provenienti dai
cosiddetti paesi a forte pressione migratoria osserviamo che il totale degli immigrati residenti a Napoli
diventa 12.487, pari quindi al 79,6% del totale degli stranieri residenti.
Di seguito analizziamo la presenza straniera residente nel Comune di Napoli, distinguendo per aree
geografiche di provenienza e rapportando i valori assoluti presentati da ogni nazionalità al totale parziale dei
soli provenienti dai paesi a forte pressione migratoria.
Il 46,9% degli immigrati residenti a Napoli proviene dal continente asiatico, il 25,1% da quello Africano, il
14,1% da paesi dell’America Latina e il 13,9% da paesi dell’Europa dell’Est.
La comunità nazionale che presenta il più elevato numero di residenti è quella dello Sri Lanka con 3.432
presenze, seguita dalle Filippine con 1.102, al terzo posto vi è il CapoVerde con 855 residenti, al quarto Cina
con 631 presenze, Polonia con 518, seguiti poi da, Tunisia 415, Perù 412, Albania 381, Somalia 353.
Il totale di coloro che provengono dall’Europa dell’Est è pari a 1.731 unità. Polonia ed Albania presentano
i valori più consistenti, con rispettivamente 518 e 381 unità (rispettivamente 4,1% e 3,1% le percentuali). Gli
Jugoslavi e gli Ucraini sono rispettivamente il 2,6% e 1,6%, mentre i valori più bassi per quest’area
geografica si registrano per le nazionalità macedone e rumena con 62 e 73 unità (0,5 e 0,6 per cento).
Consideriamo ora gli stranieri residenti a Napoli provenienti dal continente africano.
Essi sono in totale 3.138. Distinguendo tre grandi sotto-aree da cui proviene il numero più consistente di
immigrati, l’Africa Occidentale, il Nord Africa e l’Africa Orientale, vediamo che l’insieme degli stranieri
provenienti dalla prima sotto-area è pari ad 10,9% del totale. La nazionalità più frequente è quella
capoverdiana, con 855 unità (pari al 6,8%), seguita da quella senegalese con 279 presenze (il 2,2%). I
nigeriani sono 169 (l’1,4%) mentre gli ivoriani mostrano una presenza tra i residenti stranieri piuttosto
contenuta (61 unità pari al 0,5 %).
Il totale dei nordafricani è 948 (pari al 7,6%). I più numerosi sono i Tunisini con 415 presenze (pari al
3,3%), seguiti dagli algerini (il 2,7% del totale) e dai marocchini (l’1,2%).
Dall’Africa Orientale proviene il 6.6% degli stranieri residenti, con 826 unità. La presenza più consistente
è quella somala (353 unità; in percentuale pari al 2.8%).
In merito ai cittadini provenienti dal continente asiatico, essi sono 5.856, quasi la metà del totale parziale
degli stranieri residenti a Napoli, (46,9 per cento). Le presenze della sola Asia centrale, rappresentano la
maggioranza delle presenze provenienti dall’intero continente, essendo pari a 5.469 unità, il 43,8% dei totale
parziale. La comunità più consistente è quella srilankese, con 3.432 presenze (27,5%). Particolarmente
numerosa è anche la comunità filippina, che conta 1.102 presenze residenti (8,8%), mentre i Cinesi sono
631, il 5,1 per cento del totale. Più esiguo è il numero dei pakistani e degli indiani, con rispettivamente 138 e
88 unità.
Dal Medio Oriente provengono 387 persone, il 3.1% del totale. Osservando singolarmente le provenienze
da Giordania, Iran, Israele e Libano, vediamo che il numero di presenze varia in un intervallo compreso tra
71 e 126 unità. Considerando le percentuali, si osserva che solo la Giordania raggiunge l'uno per cento di
presenze sul totale riferito ai paesi in via di sviluppo.
Vediamo infine qual è l'entità della presenza proveniente dall'America Latina. Essa rappresenta il 14,1%
del totale e la presenza più consistente è quella peruviana con 412 unità (corrispondente al 3,3%). Piuttosto
numerose sono anche la comunità brasiliana e quella colombiana (rispettivamente 196 e 168 presenze),
mentre i provenienti da Argentina ed Cuba sono meno dell'uno per cento. Sempre in merito ai residenti
latinoamericani, può essere importante notare che la categoria residuale "Altri paesi dell'America Latina"
conta un numero notevole di presenze (818 pari al 6,6%), ciò si spiega con il fatto che la provenienza da
quest'area geografica è particolarmente dispersa.
Un’ulteriore osservazione da fare riguarda la categoria “Altre provenienze”. In essa sono contenute
presenze di apolidi o di persone dalla nazionalità non definita. Come si può vedere dalla tabella, si tratta di
una presenza relativamente contenuta in quanto conta 61 persone che rappresentano lo 0,4% del totale
degli stranieri residenti a Napoli.
1. I paesi a bassa pressione migratoria in base ad una definizione riportata dall’Istat sono in sostanza i paesi ricchi, mentre i paesi
poveri vengono definiti ad elevata pressione migratoria. Istat 14° Censimento generale della popolazione e delle abitazioni Roma 2001.
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Distribuzione dei cittadini stranieri residenti nella città di Napoli per nazionalità
Totale
v.p.
Totale
1.731
Europa dell'Est
Albania
381
2,4
Polonia
518
3,3
Romania
73
0,5
Ucraina
198
1,3
Jugoslavia
326
2,1
Macedonia
62
0,4
Altri Paesi dell'Est
173
1,1
Africa
3.138
Africa Occidentale
1.364
Senegal
279
1,8
Nigeria
169
1,1
Costa d'Avorio
61
0,4
Capo Verde
855
5,5
Nord Africa
948
Algeria
341
2,2
Marocco
150
1,0
Tunisia
415
2,6
Altri Paesi del Nord Africa
42
0,3
Africa Orientale
826
Eritrea
128
0,8
Etiopia
151
1,0
Somalia
353
2,3
Altro Africa
194
1,2
Asia
5.856
Asia Centrale
5.469
Cina
631
4,0
Srilanka
3.432
21,9
Pakistan
138
0,9
India
88
0,6
Filippine
1.102
7,0
Altro Asia Centrale
78
0,5
Medio Oriente
387
Giordania
126
0,8
Iran
90
0,6
Israele
54
0,3
Libano
71
0,5
Altri Paesi del Medio Oriente
46
0,3
America Latina
1.762
Brasile
196
1,2
Argentina
59
0,4
Cuba
109
0,7
Colombia
168
1,1
Perù
412
2,6
Altri Paesi dell'America Latina
818
5,2
Totale parziale
79,6
12.487
Europa Occidentale
2.476
15,8
America del Nord
536
3,4
Oceania
124
0,8
Altre provenienze
61
0,4
Totale
15.684
100,0
Fonte: Elaborazione Dedalus su dati del Comune di Napoli - Anno 2003
v.p. parziali
13,9
3,1
4,1
0,6
1,6
2,6
0,5
1,4
25,1
10,9
2,2
1,4
0,5
6,8
7,6
2,7
1,2
3,3
0,3
6,6
1,0
1,2
2,8
1,6
46,9
43,8
5,0
27,5
1,1
0,7
8,8
0,6
3,1
1,0
0,7
0,4
0,6
0,4
14,1
1,6
0,5
0,9
1,3
3,3
6,6
100,0
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Centro di cittadinanza sociale per immigrati
Gruppi di lavoro- Coop. Dedalus
Di particolare interesse è l’analisi della distribuzione di frequenza dei minori stranieri iscritti all’anagrafe
cittadina. Infatti, essi sono in tutto 2.165, numero che diventa pari a 2.099 - ben il 97% del totale - se
consideriamo il totale parziale dei provenienti dai paesi a forte pressione migratoria. La presenza più
consistente è costituita da minori di origine asiatica, che sono in tutto 1.090, dunque circa la metà dei minori
stranieri residenti a Napoli. Di essi, la maggior parte sono srilankesi, seguiti dai filippini e dai cinesi
(rispettivamente 679, 208 e 160 i valori assoluti e 32,3; 9,9 e 7,6 i valori percentuali). La presenza
mediorientale è invece decisamente meno consistente, contando solo 30 minori. Le altre provenienze che
vedono un numero consistente di minori iscritti all’anagrafe cittadina sono quella africana e dell’Europa
dell’est, che contano rispettivamente 442 e 309 unità, che tradotte in termini percentuali diventano il 21 e il
14,6 per cento. Significativa appare anche la presenza di minori provenienti dall’America Latina, i quali sono
circa 260 (12,4%).
Considerando ora i dati disaggregati per fasce d’età, vediamo che la presenza più consistente di minori
provenienti da un paese in via di sviluppo riguarda le fasce comprese tra 0-5 anni e 6-14 anni nelle quali la
presenza è pari a 896 e 936 unità. Coloro che invece appartengono alla fascia compresa tra i 15 e i 18 anni
sono solo 267. In particolare, risiedono a Napoli 404 bambini srilankesi di età inferiore ai 6 anni, che in
questa comunità rappresentano la maggioranza. Tra i Filippini la presenza più numerosa è invece quella
compresa tra i 6 e i 14 anni, in quanto in essa si contano 107 unità. La stessa caratteristica si registra anche
nella composizione per fasce d’età delle comunità provenienti dai Paesi dell’Europa dell’Est, dove in
particolare si osserva una consistente presenza di ragazzi compresi in questa fascia presso le comunità
albanesi, jugoslave e macedoni. Per quel che riguarda la presenza africana, nel caso dei provenienti
dall’Africa Occidentale si registra una forte presenza di capoverdiani (165 presenze, 7,9% sul totale
parziale), anch’essi appartenenti in larga parte alla fascia d’età intermedia (87 unità). La maggioranza dei
provenienti dall’Africa Orientale è invece somala (54 unità), anche se si registra una presenza alquanto
consistente di soggetti compresi nella categoria “Altro Africa”, comprendente anche nazionalità dell’Africa
australe. I minori di origine sudamericana sono 134, dunque il 6,4% del totale parziale. In questo caso, la
nazionalità prevalente è quella peruviana per la quale si registrano 80 presenze (3,8%), delle quali la
maggioranza è appartenente alla fascia d’età più bassa. Tuttavia, la categoria più numerosa è ancora una
volta quella residuale dove si registrano 134 presenze distribuite prevalentemente nelle prime due fasce
d’età.
Un’ultima osservazione da fare riguarda il numero dei bambini stranieri nati a Napoli e registrati presso
l’Anagrafe cittadina entro la prima metà dell’anno 2003. Essi sono 1.423 se consideriamo il totale degli
stranieri nati a Napoli, e di questi la grande maggioranza, ossia il 97,9%, pari a 1.393 individui –è originaria
di un paese a forte pressione migratoria. Più del 60% di essi ha origini asiatiche; infatti, gli Srilankesi nati a
Napoli, che anche in questo caso rappresentano la quota più consistente rispetto agli altri stranieri registrati
presso l’Anagrafe cittadina, sono 583 pari al 41.9% del totale dei provenienti da un paese a forte pressione
migratoria. L’altra nazionalità presso la quale si registra un elevato numero di nascite è quella filippina, che
conta 171 nuovi nati. Circa un neonato straniero su 5 tra quelli di origine straniera nati a Napoli è africano,
infatti il numero totale di nuovi nati di origine africana è 291, dei quali la maggior parte (120 nascite) è di
nazionalità capoverdiana. Più contenuto è il numero di neonati nordafricani (75 pari al 5,4%), tra i quali
prevalgono comunque i tunisini (37 unità), e il numero delle nuove nascite tra i provenienti da una nazione
dell’Africa Orientale e Meridionale, pari a 62 bambini.
Originari dell’America Latina sono 160 neonati (11.5% del totale parziale), le cui nazionalità sono
distribuite tra molti Stati del Centro e Sud America.
L’analisi della distribuzione di frequenza delle presenze straniere residenti a Napoli per circoscrizione
evidenzia una grande variabilità della grandezza del fenomeno tra le diverse aree della città. Infatti, si va
2
dalle 3.297 unità della circoscrizione S. Ferdinando Chiaia Posillipo (in termini percentuali: 16,8% ), alle sole
45 presenze registrate nel quartiere di San Pietro a Patierno. Le altre aree cittadine maggiormente
interessate dalla presenza di residenti stranieri sono le circoscrizioni di S. Giuseppe Montecalvario Avvocata
Porto, di Vicaria S. Lorenzo e di Stella S. Carlo, tutte con un numero di presenze superiore alle mille unità. In
dettaglio, poco più di uno straniero su cinque risiede nella zona di S. Ferdinando Chiaia Posillipo mentre
negli altri quartieri citati risiedono circa il 12-15% degli stranieri registrati all’anagrafe del comune di Napoli.
Le circoscrizioni con una presenza più esigua sono – oltre alla già considerata zona di S. Pietro - Miano e S.
Giovanni, con rispettivamente, 69 e 90 unità.
2
Le percentuali riportate in questo paragrafo si riferiscono al totale degli stranieri residenti nelle varie circoscrizioni.
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Minori residenti a Napoli per paese di provenienza e classe di età
0-5 anni 6-14 anni 15-18 anni
Europa dell'Est
Albania
25
57
14
Polonia
8
12
4
Romania
3
4
2
Ucraina
4
14
5
Jugoslavia
28
72
18
Macedonia
4
15
6
Altri Paesi dell'Est
1
9
1
Africa
Africa Occidentale
Senegal
6
10
0
Nigeria
9
3
0
Costa d'Avorio
5
10
1
Capo Verde
58
87
20
Nord Africa
Algeria
25
9
3
Marocco
6
15
4
Tunisia
19
33
8
Altri Paesi del Nord Africa
1
1
2
Africa Orientale e Meridionale
Eritrea
2
6
2
Etiopia
3
7
4
Somalia
12
26
16
Altro Africa
14
13
2
Asia
Asia Centrale
Cina
64
68
28
Srilanka
406
214
59
Pakistan
0
4
0
India
1
4
0
Filippine
83
107
18
Altro Asia Centrale
2
2
0
Medio Oriente
Giordania
2
7
0
Iran
0
6
6
Libano
5
1
0
Altri Paesi del Medio Oriente
0
3
0
America Latina
Brasile
2
8
4
Cuba
5
7
0
Colombia
8
8
4
Perù
38
30
12
Altri Paesi dell'Am. Latina
47
64
24
Totale
v.p.
v.p. parziali
306
96
24
9
23
118
25
11
4,4%
1,1%
0,4%
1,1%
5,5%
1,2%
0,5%
4,6%
1,1%
0,4%
1,1%
5,6%
1,2%
0,5%
0,7%
0,6%
0,7%
7,6%
0,8%
0,6%
0,8%
7,9%
1,7%
1,2%
2,8%
0,2%
1,8%
1,2%
2,9%
0,2%
0,5%
0,6%
2,5%
1,3%
0,5%
0,7%
2,6%
1,4%
7,4%
31,4%
0,2%
0,2%
9,6%
0,2%
7,6%
32,3%
0,2%
0,2%
9,9%
0,2%
0,4%
0,6%
0,3%
0,1%
0,4%
0,6%
0,3%
0,1%
0,6%
0,6%
0,9%
3,7%
6,2%
0,7%
0,6%
1,0%
3,8%
6,4%
97,0%
2,2%
0,2%
0,7%
100,0%
100,0%
442
209
16
12
16
165
126
37
25
60
4
107
10
14
54
29
1.090
1.060
160
679
4
5
208
4
30
9
12
6
3
261
14
12
20
80
135
Totale parziale
896
936
267 2.099
Europa Occidentale
11
27
9
47
America del Nord
2
2
0
4
Altre provenienze
10
5
0
15
Totale
919
970
276 2165
Fonte: Elab. Dedalus su dati del Comune di Napoli - Anno 2003
2.099
15
Centro di cittadinanza sociale per immigrati
Gruppi di lavoro- Coop. Dedalus
Un ulteriore importante aspetto della presenza straniera residente a Napoli diviene evidente se si
considera la variabile di genere, infatti, a fronte di un certo equilibrio nella presenza straniera totale, (gli
uomini sono 7.548 e le donne 8.067), si osserva una netta prevalenza femminile in alcune aree cittadine
come le circoscrizioni S. Pietro e S. Giovanni – dove, come abbiamo già visto, la presenza straniera
residente è in assoluto poco cospicua – e le circoscrizioni Arenella, S. Ferdinando Chiaia Posillipo e Vomero
dove la presenza femminile è circa il 60 per cento del totale degli stranieri residenti. La presenza maschile,
invece, è prevalente nei quartieri Piscinola e Fuorigrotta, dove la percentuale dei maschi è pari a circa il 66
per cento degli stranieri residenti.
Distribuzione dei cittadini stranieri residenti nella città di Napoli per circoscrizione
Maschi Femmine Totale %su totale % donne
Arenella
195
310
505
3,2
62,3
Bagnoli
259
200
459
2,9
43,6
Barra
209
218
427
2,7
51,1
Chiaiano
150
112
262
1,7
42,7
Fuorigrotta
510
323
833
5,3
38,8
Miano
31
38
69
0,4
55,1
Mercato Pendino
366
266
632
4,0
42,1
Piscinola
107
58
165
1,1
35,1
Pianura
406
385
791
5,1
48,7
Ponticelli
68
81
149
1,1
54,4
Poggioreale
105
130
235
1,5
55,3
S. Pietro
16
29
45
0,3
64,4
S. Giovanni
32
58
90
0,6
64,4
S. Ferdinando Chiaia Posillipo
1.268
2.029
3.297
21,0
61,5
Scampia
89
86
175
1,1
49,1
S. Giuseppe Montecalv. Avvocata Porto
1.117
1.224
2.341
15,0
52,3
Secondogliano
65
67
132
0,9
50,8
Soccavo
211
154
365
2,3
42,2
Stella S. Carlo all'Arena
906
980
1.886
12,1
52,0
Vicaria S. Lorenzo
1.171
918
2.089
13,4
43,9
Vomero
267
401
668
4,3
60,0
Totale
7.548
8.067 15.615
100,0
51,7
Fonte: Comune di Napoli – Anno 2003 Ns elab.
2.1 CIRCOSCRIZIONE ARENELLA
Il totale dei cittadini stranieri residenti nella circoscrizione Arenella è pari a 505 unità, il 3,2% del totale
cittadino. Le donne rappresentano il 61,4% del totale dei residenti, contro una media cittadina del 51,7%.
Coloro che provengono dai soli paesi a forte pressione migratoria invece rappresentano il 70.1% del totale
dei residenti nel quartiere Arenella, essendo 354 unità. La provenienza più diffusa è quella asiatica con 125
presenze (il 35,3% sul totale parziale) 3. Si tratta in larga maggioranza (102 residenti pari a 20,2% del totale)
di persone provenienti dallo Sri Lanka e, in misura decisamente inferiore, dall’Iran (13 presenze). Uno
straniero su cinque residente in questo quartiere proviene dall’Europa dell’Est. Del totale di coloro che sono
giunti da quest’area geografica (73 persone) 35 sono polacchi, 13 sono albanesi e 11 sono ucraini. È pari
circa al 20 per cento anche la quota di africani, tra i quali c’è però una prevalenza dei capoverdiani e dei
somali (rispettivamente 27 e 19 unità). Le provenienze dall’America Latina sono circa il 20%, distribuite in
maniera alquanto uniforme tra le varie nazionalità di questo continente.
In questa circoscrizione la presenza di minori è costituita da 37 unità, che rappresentano l’1,8% del totale
dei minori residenti provenienti da un paese a forte pressione migratoria. L’area di provenienza che conta più
minori è quella asiatica con 14 presenze prevalentemente srilankesi, situate prevalentemente nella fascia
d’età compresa tra i 6 e i 14 anni. Si segnalano tuttavia anche alcune presenze di minori africani,
sudamericani e dell’Est Europa, distribuite in maniera abbastanza uniforme tra le tre fasce d’età.
3
In questo paragrafo le percentuali riguardanti le singole nazionalità si riferiscono sempre al totale parziale dei soli paesi
in via di sviluppo.
16
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Gruppi di lavoro- Coop. Dedalus
Infine, a proposito delle nuove nascite, 4 in questa circoscrizione se ne segnala un numero ridotto in
quanto si tratta di soli 13 nati, che rappresentano lo 0,9% del totale parziale: otto srilankesi, tre africani – uno
per ciascuna delle tra sottoaree identificate – e due latino-americani.
2.2 CIRCOSCRIZIONE BAGNOLI
Nell’area di Bagnoli risultano iscritti all’anagrafe comunale 459 cittadini stranieri, pari circa al 3 per cento
del totale cittadino. Le donne costituiscono il 43,6% dei residenti stranieri nel quartiere. Di essi il 62,3% poco meno di 300 persone in termini assoluti - proviene da un paese a forte pressione migratoria.
Particolarmente significativa è la presenza asiatica, che rappresenta il 36 per cento del totale parziale, con
103 unità provenienti prevalentemente dalle Filippine e dallo Sri Lanka (rispettivamente 43 e 19 presenze), e
30 stranieri giunti dal Medio Oriente. Gli Africani rappresentano poco meno del 30 per cento dei cittadini
stranieri residenti in questo quartiere. Si tratta prevalentemente di nordafricani (32 pari al 11,2%), di
capoverdiani (12 pari al 4,2%) e di cittadini provenienti dall’Africa Orientale (37 pari all’11 per cento). Quasi
uno straniero su cinque è giunto dall’America latina, mentre la quota di cittadini dei Paesi dell’Est europeo
(14,7%) è quasi esclusivamente rappresentata da polacchi (27 immigrati che rappresentano il 9,4%).
In merito alla presenza di minori stranieri iscritti all’Anagrafe comunale, vediamo che in questa
circoscrizione figurano 48 presenze - pari al 2,3% del totale dei minori originari di un paese in via di sviluppo
- abbastanza uniformemente distribuite in base alla provenienza e alle fasce d’età. Una lieve prevalenza si
registra tuttavia a riguardo della presenza asiatica che conta 18 soggetti - pari al 37,5% del totale dei minori
stranieri residenti in questo quartiere - provenienti soprattutto da Srilanka e Filippine, e alla presenza
africana (17 minori). A proposito invece delle nuove nascite, se ne indicano in tutto 29: 10 tra i filippini e 2 tra
gli srilankesi, 5 tra i capoverdiani 2 tra i tunisini ed uno solo tra i somali; tra i nuovi nati originari dell’America
Latina invece prevalgono i colombiani e i peruviani; dell’Europa dell’Est, infine, sono state registrate due sole
nuove nascite.
2.3 CIRCOSCRIZIONE BARRA
Nel quartiere Barra, i cittadini stranieri residenti sono 427, pari al 2,7% del totale cittadino; le donne sono
il 51,1% del totale; una larghissima percentuale di essi (il 94,6%) proviene dai paesi a forte pressione
migratoria. Si tratta in grande maggioranza (327 pari all’ 80.9% sul totale dei paesi a forte pressione
migratoria) di cittadini dei Paesi dell’Est Europeo e in particolare di albanesi, che rappresentano quasi il 60
per cento della popolazione straniera residente in questa circoscrizione. Altre nazionalità provenienti dalla
stessa area geografica e presenti in questo quartiere sono quella macedone e iugoslava, con
rispettivamente 33 e 37 presenze. La comunità africana si presenta piuttosto consistente, con 49 soggetti,
quasi tutte provenienti dall’Africa Occidentale (e di queste 18 dalla Costa d’Avorio pari al 4,5% del totale).
Decisamente inconsistente invece la presenza asiatica e latinoamericana.
La presenza di minori stranieri residenti in questa circoscrizione presenta delle caratteristiche peculiari,
infatti, le comunità che vedono il maggior numero di minori sono l’albanese, la iugoslava e la macedone, che
complessivamente contano poco meno di cento unità – corrispondenti all’85% del totale dei minori stranieri
residenti in questa circoscrizione - collocate prevalentemente nella fascia intermedia d’età. Irrisoria è anche
la presenza dei minori asiatici e dei latinoamericani, mentre discreto è il numero degli africani (13 unità) tra i
quali però non figura alcun giovane nordafricano.
I bambini stranieri nati nella circoscrizione Barra sono 62, di essi la quasi totalità appartiene ad una
nazionalità definita a forte pressione migratoria. Per la maggior parte, (49 soggetti), si tratta di provenienti
dell’Europa dell’Est. Per il resto si registrano numeri molto ridotti di nascite tra gli Africani e i Sudamericani.
2.4 CIRCOSCRIZIONE CHIAIANO
In questa circoscrizione i cittadini stranieri residenti sono in tutto 262, che rappresentano l’1,7% del totale
cittadino; considerando i soli paesi a forte pressione migratoria il loro numero scende a 202 dei quali poco
meno della metà (91 unità, pari al 45 per cento del totale parziale) giunge dall’Asia. Le donne sono il 42,7%
del totale dei residenti stranieri. Si tratta in maggioranza di soggetti provenienti dallo Sri Lanka (31 unità pari
al 15,3%)e dal Medio Oriente (56 pari al 27,7%), dalla Giordania in particolare (21 presenze). In merito alle
altre nazionalità, un terzo degli stranieri residenti in questo quartiere (26.7%) proviene dall’Africa. Si tratta
prevalentemente di soggetti giunti dalla Africa Occidentale (26 pari al 12,9%) soprattutto capoverdiani e
nigeriani, mentre i provenienti dal Nord Africa e dall’Africa Occidentale sono in numero più contenuto
(rispettivamente 19 e 9 presenze). I cittadini giunti dall’America Latina sono in tutto 32, (15,8%), in larga
4
In questa sezione e nelle successive le informazioni sui nuovi nati si riferiscono sempre ai neonati stranieri dotati di
residenza.
17
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maggioranza provenienti dal Perù (18 pari all’ 8,9%). Infine, Europa dell’Est provengono 25 soggetti, in
maggioranza albanesi e polacchi.
In merito alla presenza dei minori stranieri residenti, in questa circoscrizione si registrano 38 presenze
provenienti dai paesi a forte pressione migratoria, numero che corrisponde all’1,8% del totale dei minori
stranieri provenienti da un paese in via di sviluppo. La loro origine è abbastanza equamente distribuita tra
Asia, Africa ed America Latina, mentre la fascia d’età più numerosa risulta essere quella centrale nella quale
è contenuta più della metà dei minori registrati. Decisamente poco consistente è la provenienza da un paese
dell’Est Europeo, in quanto si osserva la presenza di soli due soggetti appartenenti alle fasce d’età medio alte. Inoltre, in questo quartiere il numero dei nuovi nati risulta alquanto contenuto, infatti si registrano solo
16 nascite prevalentemente tra gli Asiatici e gli Africani.
2.5 CIRCOSCRIZIONE FUORIGROTTA
Gli stranieri residenti nel quartiere di Fuorigrotta sono 833, pari al 5,3% del totale cittadino. La
componente femminile rappresenta in questo quartiere il 38,8% del totale, uno dei valori più bassi rispetto
alla media cittadina (del 51,2%). Di essi solo il 43,6%, cioè 363 soggetti, è proveniente da un paese a forte
pressione migratoria. Vediamo quali sono le nazionalità presenti più di frequente in quest’area cittadina.
Circa uno straniero su quattro proviene dall’America Latina, prevalentemente dal Perù e dalla Colombia
(rispettivamente 23 e 19 presenze); 119 (32,8% sul totale parziale) provengono dall’Asia e in particolare 74
(20,4%) giungono dall’Asia Centrale (Cina, Srilanka, Filippine), mentre 45 (12,4%) vengono dal Medio
Oriente. Gli Africani sono in tutto 71 (19,6%), prevalentemente capoverdiani, tunisini e somali, mentre coloro
che provengono dall’Europa dell’Est sono 75 (20,7%), dei quali quasi la metà (38 presenze) sono cittadini
della Polonia.
I minori registrati all’Anagrafe Comunale in questa circoscrizione sono 33, l’1,5% del totale dei minori
stranieri residenti a Napoli. Si tratta per la maggior parte (13 unità) di cinesi, srilankesi e filippini appartenenti
prevalentemente alla fascia d’età compresa tra i 6 e i 14 anni. Relativamente numerosa è la presenza di
minori di origine sudamericana (9 unità) i quali sono quasi tutti di origine colombiana.
Anche un questo caso il numero delle nascite di bambini stranieri è contenuto, infatti i nuovi nati sono 19,
prevalentemente filippini, srilankesi, peruviani e colombiani ( rispettivamente 6, 3, 2 e 2 nascite).
2.6 CIRCOSCRIZIONE MERCATO PENDINO
La presenza straniera residente nell’area Mercato Pendino è di 632 unità (pari al 4 per cento del totale),
numero che diviene 569 (90,0%) se consideriamo i soli provenienti dai paesi a forte pressione migratoria. Le
donne sono il 42,1% del totale. La presenza più consistente è quella africana, con una certa prevalenza di
coloro che provengono dall’Africa Occidentale e Settentrionale (97 e 119 presenze), in particolar modo dal
Senegal e dalla Tunisia. Il 28,3% degli stranieri residenti in questo quartiere è asiatico. La nazionalità
prevalente in questo caso è quella cinese (60 unità), anche se risultano relativamente cospicue anche le
presenze degli srilankesi e dei filippini. I cittadini provenienti dall’America Latina sono circa il 16% del totale
parziale e ancora una volta i peruviani sono il gruppo prevalente con 27 presenze (4,7% il valore percentuale
parziale). Poco più di un cittadino straniero su dieci residente nella circoscrizione in esame è giunto da una
nazione dell’Europa dell’Est. Si tratta in lieve prevalenza di jugoslavi, di polacchi e, in misura minore di
albanesi.
In questa circoscrizione i minori stranieri provenienti da un paese a forte pressione migratoria sono 88,
dunque il 4,2% del totale dei minori stranieri considerati. La loro provenienza è prevalentemente asiatica ed
africana (33 e 27 i rispettivi valori assoluti). In dettaglio, la presenza africana è rappresentata
prevalentemente da minori di origine nordafricana per i quali, in questo caso, la fascia d’ età più numerosa è
quella compresa tra 0-5 anni. Gli Asiatici, invece sono prevalentemente di origine cinese e srilankese e sono
equamente distribuiti nelle tre fasce d’età. La presenza dei provenienti dall’America latina è pari a 15 unità,
mentre quella dei provenienti da un paese dell’Est Europeo è rappresentata prevalentemente da jugoslavi (8
presenze). Assolutamente nulla è inoltre l’entità della presenza dei minori mediorientali.
In merito alle nascite, in questa circoscrizione si registrano 55 nuovi nati tra gli stranieri, dei quali 44
provengono da un paese in via di sviluppo. Si tratta in lieve prevalenza di africani (20 nascite delle quali 12
sono di origine nordafricana) e di provenienti dall’Asia Centrale (16 in tutto). Le nascite tra i Latinoamericani
sono 11 mentre solo 7 sono i nuovi nati tra i provenienti da un paese dell’Est Europa, distribuiti in maniera
alquanto uniforme tra le varie nazionalità.
2.7 CIRCOSCRIZIONE MIANO
Nella circoscrizione di Miano risiedono 69 cittadini stranieri, che corrispondono allo 0,4%. Il 76,8% di essi
è giunto da un paese a forte pressione migratoria. In particolare, la presenza più significativa è quella
asiatica, con 19 unità, prevalentemente srilankesi (12 presenze pari al 22,6% sul totale parziale). Gli Africani
18
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sono in tutto 14, divisi in tre cittadini provenienti dall’Africa Occidentale, sei nordafricani e cinque provenienti
dall’Africa Orientale e Meridionale. I cittadini dei Paesi dell’Est europeo sono in tutto 11, soprattutto polacchi,
ucraini e albanesi, mentre coloro che provengono dall’America Latina sono nove complessivamente. In
questo quartiere la presenza di minori stranieri è piuttosto contenuta, in quanto in essa figurano solo 10
soggetti appartenenti esclusivamente alla prime due fasce d’età e provenienti prevalentemente dall’Asia
Centrale. Molto contenuto è anche il numero dei nuovi nati, infatti se ne contano solo 4: tre srilankesi ed un
latinoamericano.
2.8 CIRCOSCRIZIONE PIANURA
Nel quartiere di Pianura i cittadini stranieri residenti sono 791 (pari al 5,1% del totale), dei quali 552
provengono dai paesi a forte pressione migratoria e 385 sono donne, pari al 48,7% del totale. La
maggioranza di costoro è giunta dal continente africano e dall’Asia. Più in dettaglio, vediamo che il 32,6%
dei cittadini stranieri residenti in quest’area cittadina proviene dall’Africa, soprattutto da Capo Verde (55
presenze pari al 10 per cento sul totale parziale), e dalla Somalia (31 pari al 5,6%); il 28,4%, invece,
proviene dall’Asia - soprattutto India e dalle Filippine (32 e 43 unità rispettivamente) - e dal Medio Oriente,
(68 pari al 12,3%). Relativamente consistente è anche la presenza delle nazionalità dei paesi dell’America
Latina, con 171 residenti stranieri (31% del totale parziale), dei quali circa la metà è di origine peruviana.
In questa circoscrizione risiedono 103 minori provenienti da un paese a forte pressione migratoria, essi
rappresentano pertanto il 4,9% del totale dei minori stranieri residenti in città. La nazionalità prevalenti sono
quella peruviana, capoverdiana e filippina, con rispettivamente 26, 16 e 13 minori. La fascia d’età più
numerosa è ancora una volta quella centrale, con 57 presenze totali.
In merito alle nuove nascite, infine, esse sono state in tutto 66. Se consideriamo il totale parziale dei
provenienti da paesi a forte pressione migratoria vediamo che il loro numero diventa 63. si tratta in buona
parte di africani, che sono in tutto 25 dei quali la maggior parte è di origine capoverdiana (12 bambini). Tra
gli Asiatici si sono registrate 8 nascite tra i Filippini, 5 tra i Libanesi e due tra i Pakistani; mentre tra i
provenienti dall’America Latina vi sono stati 22 nuovi nati dei quali la maggior parte ha origini colombiane.
Nessun neonato è invece stato registrato tra i provenienti da un paese dell’Est.
2.9 CIRCOSCRIZIONE PISCINOLA MARIANELLA
I cittadini stranieri residenti nella circoscrizione di Piscinola sono in tutto 165 (pari all’1 per cento), dei
quali il 35,2% è costituito da donne. Il 64,2% del totale (106 in valore assoluto) è proveniente da un paese
cosiddetto a forte pressione migratoria. La presenza più consistente è quella asiatica (45 unità pari al 42,5%
sul totale parziale) e, in particolare, quella mediorientale, con 30 presenze prevalentemente libanesi e
giordane. Relativamente numerosa è anche la comunità africana (30 presenze) mentre meno consistente è
la presenza dei cittadini dei Paesi dell’Est, con solo 22 unità - prevalentemente albanesi e polacchi – e dei
cittadini provenienti dall’America Latina, con nove presenze delle quali sei vengono dal Brasile.
La presenza di minori stranieri provenienti da un paese a forte pressione migratoria registrati presso
l’Anagrafe è in questa circoscrizione relativamente poco consistente in quanto conta solo 13 presenze
provenienti prevalentemente dal Medio Oriente e dal Nord Africa ed appartenenti quali esclusivamente alle
due fasce d’età più basse. Altrettanto contenuto è il numero di nuovi nati i quali risultano essere in tutto
nove: cinque africani e quattro giordani.
2.10 CIRCOSCRIZIONE POGGIOREALE
La presenza di cittadini stranieri residenti nell’area di Poggioreale non risulta particolarmente cospicua
essendo pari all’1,5% del totale cittadino, infatti essa conta 235 persone residenti delle quali 207 provengono
da paesi a forte pressione migratoria. Le donne straniere sono 130 pari al 55,3% del totale. L’area di
provenienza più diffusa è l’Asia centrale con 90 presenze, distribuite tra cinesi e filippini (rispettivamente 63
e 20 unità; 30,4% e 9,7%). Circa uno straniero su quattro proviene dal continente africano, si tratta di una
presenza giunta prevalentemente dal Nord Africa e dall’Africa Occidentale, mentre la presenza di cittadini
dell’Africa Orientale è individuata in una sola unità. Quasi uno straniero su cinque invece proviene dall’Est
Europeo e tra essi la maggioranza è di nazionalità polacca (17 pari all’8,2%). I cittadini venuti dall’America
Latina sono 31 (15% del totale parziale), e la loro nazionalità è equamente distribuita tra i vari stati di questo
continente.
La presenza di minori stranieri residenti presso questa circoscrizione è pari a 43 soggetti, corrispondente
al 2 per cento del totale dei minori stranieri giunti da un paese in via di sviluppo e residenti a Napoli. La loro
provenienza è prevalentemente asiatica (22 i bambini di origine cinese). Anche in questo caso la
distribuzione per fasce d’ età vede una netta prevalenza di coloro che hanno meno di 14 anni.
19
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In merito alle nuove nascite tra gli stranieri di questo quartiere si registrano 18 bambini prevalentemente
asiatici (8 cinesi e 5 filippini). Le alte nascite sono in numero molto contenuto e sono distribuite tra gli africani
e i rumeni (un solo caso).
2.11CIRCOSCRIZIONE PONTICELLI
Nella circoscrizione di Ponticelli sono residenti 149 cittadini stranieri, pari allo 0,9% del totale cittadino. Il
totale parziale dei soli provenienti dai paesi a forte pressione migratoria è pari a 124 presenze. Il totale delle
donne è pari a 81 (il 54,4% del totale). Le nazionalità più frequentemente presenti in quest’area territoriale
sono quelle dei Paesi dell’Est europeo, con 50 presenze che rappresentano il 40,3% del totale parziale. Tra i
residenti africani, che sono il 37,1% del totale parziale (46 in termini assoluti), la maggioranza (401 unità pari
al 33,1%) proviene dal Nord Africa e in particolare dal Marocco (27 presenze). Le provenienze dall’America
latina sono 20, mentre dall’Asia sono pervenute solo otto unità.
La situazione riguardante la presenza dei minori stranieri residenti in questa circoscrizione vede una
scarsa consistenza della loro presenza (25 soggetti pari all’1,2% del totale) ed una relativa concentrazione
dei provenienti dai paesi dell’Est Europa i quali rappresentano quasi la metà dell’intera popolazione di minori
stranieri residenti a Napoli. La presenza africana è rappresentata invece esclusivamente da sette bambini
marocchini mentre quella sudamericana è costituita da sole quattro unità. Assolutamente nulla è la presenza
di minori asiatici residenti in questo quartiere cittadino. Altrettanto scarsa è la presenza di nuovi nati che
risultano essere in tutto solo quattro: tre bambini marocchini ed uno tra i provenienti dall’Est Europeo.
2.12 CIRCOSCRIZIONE SCAMPIA
La presenza straniera residente nel quartiere di napoletano di Scampia è alquanto ridotta, in quanto
conta in tutto 175 unità, pari all’1,1% del totale cittadino. Di questi 86 sono donne. Se si considerano i soli
stranieri provenienti dai paesi a forte pressione migratoria il loro numero si riduce a 157. Si tratta in
prevalenza di soggetti provenienti dai Paesi dell’Est europeo, (135 pari all’ 86% del totale parziale)
soprattutto dalla Jugoslavia, con 117 presenze, (74,5%) e - in misura minore - dalla Polonia, con sole sette
presenze. Il totale degli africani è pari a 13 unità, quasi tutti provenienti dall’Africa Settentrionale. La
provenienza dalle altre aree geografiche è decisamente irrisoria, contando in tutto otto persone, quattro
giunti dal Media Oriente e quattro dall’America Latina.
In questo quartiere la presenza dei minori stranieri residenti rispecchia pienamente la distribuzione di
frequenza sopra descritta in quanto si può osservare una forte presenza di jugoslavi (42 soggetti su un totale
di 45, compresi i provenienti da paesi sviluppati). In merito alla distribuzione per fasce d’età, la fascia più
numerosa è quella centrale che conta 24 unità. I rimanenti minori sono equamente distribuiti nelle altre due
fasce d’età. Sempre di origine jugoslava sono le quattro nascite registrate presso l’Anagrafe cittadina in
questa circoscrizione.
2.13 CIRCOSCRIZIONE SECONDIGLIANO
Nell’area di Secondigliano il numero degli stranieri residenti è pari a 132 unità (pari allo 0,8% del totale),
di questi il 71,2% proviene da paesi a forte pressione migratoria mentre la presenza femminile è circa il 50
per cento. L’area geografica di provenienza più frequente è l’Europa dell’Est, con 43 presenze totali delle
quali 12 giungono dalla Jugoslavia, 11 dall’Ucraina e 11 dalla Polonia. Dagli alti continenti proviene un
numero esiguo di cittadini; infatti, in corrispondenza di nessun’altra nazione è stato registrato un numero di
stranieri residenti superiore alla decina di unità.
Provenienti prevalentemente dall’Est Europeo sono anche i minori stranieri registrati all’Anagrafe
comunale. Si tratta in tutto di 18 soggetti di origine jugoslava, ucraina e, in misura minore, polacca. Sia gli
asiatici che gli africani sono presenti in misura molto ridotta (quattro unità per ognuna delle due aree
geografiche), mentre assolutamente assenti sono i minori stranieri residenti di origine sudamericana o
mediorientale. La fascia d’età più numerosa in questo quartiere è ancora una volta quella compresa tra i 6 e i
14 anni (15 presenze in tutto). A proposito dei nuovi nati, in questo quartiere essi sono stati un tutto sei: tre
srilankesi, due ucraini, ed un tunisino.
2.14 CIRCOSCRIZIONE SOCCAVO
Il numero di cittadini stranieri residenti nella circoscrizione di Soccavo è 365 unità, pari al 2,3% del totale
cittadino. Di questi meno della metà (40,5%) proviene da paesi a forte pressione migratoria. Il 42,2% è
rappresentato da donne. Si tratta in buona parte di asiatici (71 presenze pari al 48% del totale parziale),
soprattutto cittadini dello Sri Lanka e delle Filippine. Dall’Europa dell’Est provengono 38 soggetti (25,7%),
prevalentemente polacchi, mentre quasi uno straniero residente su cinque tra quelli che provengono da un
paese a forte pressione migratoria è giunto dall’America Latina. Infine, gli Africani residenti in questa
20
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circoscrizione sono in tutto 14 e le loro nazionalità di provenienza sono distribuite in maniera alquanto
uniforme tra le aree geografiche di questo continente.
I minori stranieri residenti in questo quartiere sono 22, dunque l’1% del totale dei minori residenti a
Napoli. Di essi 14 provengono dalla Cina, 4 dall’Est Europeo , 2 dall’Africa, uno solo dall’america latina ed
ancora uno solo dal Madio Oriente. In questo caso la fascia d’età più consistente è quella compresa tra 0 e 5
anni, che vede la presenza di 12 bambini stranieri. I nuovi nati invece sono stati 15, ancora una volte
prevalentemente tra gli srilankesi e i filippini che hanno avuto rispettivamente nove e due nuovi nati. Le altre
nascite infine si sono avute tra gli africani (2 somali ed un algerino) e tra i provenienti dall’America Latina (un
solo bambino di origine colombiana)
2.15 CIRCOSCRIZIONE STELLA S. CARLO
Nella circoscrizione denominata Stella S. Carlo risiede un numero consistente di cittadini stranieri,
corrispondente al 12% del totale cittadino. Le donne rappresentano il 52% del totale essendo pari a 980
unità. Si tratta in totale di 1.886 soggetti dei quali una larga maggioranza (1.658 pari all’76,9%) è giunto da
una nazione definita a forte pressione migratoria. La comunità più consistente proviene dall’Asia Centrale, e
in particolare dallo Sri Lanka da dove è giunta più della metà (55,5% del totale parziale) degli stranieri
residenti in questo quartiere. Quasi uno straniero su cinque è venuto dal continente africano. Si tratta di
prevalentemente di capoverdiani e somali (rispettivamente 100 e 47 unità pari al 6,0 e 2,8 le percentuali
parziali) e di un discreto numero di nordafricani, soprattutto algerini e tunisini (42 e 48 unità). I provenienti dai
Paesi dell’Est Europeo sono in tutto 155, dei quali la comunità più numerosa è quella polacca (66 presenze).
Uno straniero residente su dieci è giunto dall’America Latina e tra questi le nazionalità più frequenti sono la
peruviana e la brasiliana, con rispettivamente 29 e 16 presenze.
Anche la presenza di minori stranieri in questa circoscrizione è relativamente consistente, infatti vi
risiedono 304 minori i quali rappresentano il 14,5% del totale dei bambini e ragazzi stranieri residenti in città.
La loro distribuzione per nazionalità vede una prevalenza di minori srilankesi e filippini che rappresentano la
totalità dei minori originari dell’Asia Centrale (221 soggetti in valori assoluti; 69,4% la percentuale sul totale
dei provenienti da un paese a forte pressione migratoria residente in questo quartiere). Gli Africani sono
prevalentemente capoverdiani (26 unità pari ad 8,6% del totale). I provenienti dal Sud America sono 24 e
sono prevalentemente peruviani, mentre i minori originari dell’Est Europeo sono 14 e sono in lieve
prevalenza polacchi ed ucraini. La fascia d’età più numerosa è quella più bassa con 157 presenze, la fascia
intermedia conta 116 unità mentre quella compresa tra i 15 e i 18 anni vede solo 31 presenze.
Consistente appare anche il numero dei nuovi nati stranieri presso questa circoscrizione. Infatti essi
risultano essere 248, il 17,8% del totale parziale delle nuove nascite. Si tratta anche in questo caso in
massima parte di provenienti dall’Asia Centrale (182 bambini pari al 73% del totale parziale dei nuovi nati in
questa circoscrizione). Anche tra gli africani si è registrato un numero considerevole di nascite, infatti si
contano in tutto 43 nuove nascite, di origine prevalentemente capoverdiana e somala (rispettivamente 19 e
10 i valori assoluti, 7,7 e 4,0 i valori percentuali). Ancora 19 sono i nuovi nati tra i sudamericani mentre i
provenienti dall’Europa dell’Est sono complessivamente solo quattro.
2.16 CIRCOSCRIZIONE S. FERDINANDO CHIAIA POSILLIPO
La presenza straniera nei quartieri di S. Ferdinando Chiaia Posillipo risulta molto cospicua, contando
3.297 unità, il 21 per cento del totale. Di costoro il 78,3% (2.581 in valori assoluti) risulta essere giunto da
paesi a forte pressione migratoria. Le donne rappresentano il 61,5% del totale. Più della metà delle presenze
è costituita da asiatici, in massima parte provenienti dallo Srilanka e dalle Filippine (rispettivamente 923 e
458 unità pari al 35,8 e 17,7 per cento del totale parziale). Cospicua è anche la presenza africana con 686
stranieri residenti dei quali 392 sono di nazionalità capoverdiana e 251 provengono dall’Africa Orientale. I
latinoamericani sono il 11,7% del totale parziale, tra essi è prevalente la nazionalità peruviana, con 85
presenze. Infine, i cittadini dei paesi dell’Europa dell’Est sono poco più del cinque per cento e sono in
massima parte polacchi (78 pari al 3%) e, in misura minore, ucraini (28 unità).
Anche la presenza di minori tra gli stranieri residenti in questa circoscrizione risulta essere piuttosto
consistente, infatti si registrano 358 unità che rappresentano il 17,6% del totale dei minori residenti a Napoli
provenienti da un paese a forte pressione migratoria. Si tratta per la maggior parte di asiatici (238 soggetti
pari al 66% del totale) ancora una volta srilankesi e filippini. Più in dettaglio vediamo gli Srilankesi sono 158,
ossia il 44,1% del totale mentre circa un minore su cinque è di origine filippina. Nel primo caso, la fascia
d’età più numerosa è quella compresa tra 0-5 anni con 91 presenze, mentre nell’altro caso si osserva una
prevalenza, anche se contenuta, di appartenenti alla fascia intermedia. Particolarmente numerosa appare
anche la presenza dei bambini e ragazzi di origine africana, tuttavia, la nazionalità di provenienza in questo
caso è prevalentemente capoverdiana (48 presenze pari al 13.4% del totale) anche se si registra una certa
diffusione di minori originari dell’Africa Orientale – 28 unità – abbastanza equamente distribuiti tra le varie
21
Centro di cittadinanza sociale per immigrati
Gruppi di lavoro- Coop. Dedalus
nazionalità di quest’area geografica. Relativamente consistente è anche la presenza sudamericana ed
anche in questo caso le categorie per le quali si registra il maggior numero di minori sono quelle
corrispondenti alla nazionalità peruviana e alla categoria residuale “Altri Paesi dell’America Latina, che
vedono rispettivamente 14 e 21 presenze.
Infine, a proposito delle nuove nascite registrate presso questa circoscrizione vediamo che esse sono
state 260, dunque il 18,7% del totale parziale degli stranieri nati a Napoli. Di essi uno su due (130 bambini) è
di origine srilankese e 57 di origine filippina. I nuovi nati tra gli africani sono in tutto 54 dei quali 36 sono di
nazionalità capoverdiana e 10 sono somali. Tra i latinoamericani le nuove nascite sono state in tutto 16
mentre non si sono registrati neonati tra i mediorientali e i cittadini dell’Est Europeo.
2.17 CIRCOSCRIZIONE SAN GIOVANNI
Nella circoscrizione S Giovanni il numero complessivo di stranieri è pari a 90, che corrisponde allo 0,6%
del totale dei residenti stranieri. I soli provenienti dai paesi a forte pressione migratoria sono 65, giunti
soprattutto dall’Africa (35,4% del totale parziale), dall’Asia Centrale e dall’Europa dell’Est (rispettivamente 26
e 29 per cento). Irrisoria è la presenza sudamericana, con sole sei unità. In merito ai minori, osserviamo che
essi sono solo quattro, due di origine ucraina ed uno somalo di età compresa tra i 6-14 anni, ed un
capoverdiano di meno di cinque anni. In merito alle nuove nascite è da segnalare che in questo quartiere
cittadino in numero di nuovi nati tra gli stranieri è il più basso in assoluto, contando solo 2 nuovi nati tra gli
africani: un bambino di origine capovediana ed uno somalo.
2.18 CIRCOSCRIZIONE S.GIUSEPPE MONTECALVARIO AVVOCATA PORTO
Nella circoscrizione di S. Giuseppe, Montecalvario, Avvocata, Porto è presente un numero consistente di
stranieri residenti; infatti risultano iscritti all’anagrafe del Comune di Napoli 2.341 cittadini stranieri (pari al
14,9% del totale) dei quali l’87,4% proviene da un paese a forte pressione migratoria. La componente
femminile rappresenta il 52,3% del totale dei residenti. Una larga maggioranza di essi (1.320 pari al 64,5%)
proviene dall’Asia Centrale, dallo Sri Lanka e dalle Filippine in particolare. Relativamente consistente è la
presenza Africana, che rappresenta il 16% del totale parziale. La nazionalità presente più di frequente è la
capoverdiana, con 132 residenti; consistente è anche la provenienza dai Paesi dell’Africa Orientale (122 pari
al 6%). I cittadini venuti dalle nazioni dell’America Latina costituiscono il 13,1% del totale parziale, mentre
coloro che giungono dai Paesi dell’Est Europeo sono in numero più limitato (108 unità) e provengono
prevalentemente dalla Polonia (54 presenze pari al 2,6% del totale parziale). La presenza dei mediorientali
in quest’area cittadina è piuttosto contenuta, essendo solo l’1,1% del totale dei residenti provenienti dai
paesi a più forte pressione migratoria.
Anche la presenza dei minori stranieri in questa circoscrizione è consistente in quanto si registrano 401
presenze, ciò vuol dire che quasi un minore straniero su cinque tra quelli che risiedono a Napoli si trova in
questa circoscrizione. Ancora una volta osserviamo una prevalenza di asiatici i quali, con 298 unità
rappresentano il 74,3% dei bambini e ragazzi stranieri che vivono in quest’area cittadina. In dettaglio, gli
srilankesi sono 208, dunque uno su due proviene da questa nazionalità, mentre i filippini sono 66, 16,5 in
percentuale. La presenza africana è rappresentata in massima parte da minori capoverdiani, i quali sono in
tutto 38, e – anche se in misura decisamente minore - da soggetti originari dell’Africa Orientale e
Meridionale. I Sudamericani sono in tutto 35, l’8,7% del totale dei minori stranieri della circoscrizione e sono
di origine peruviana o provenienti dalle altre nazionalità di questo continente. Debole è la presenza di minori
provenienti dall’Est Europeo, che vede solo otto unità mentre assolutamente nulla è la presenza di
mediorientali tra i minori iscritti all’Anagrafe in questa circoscrizione. Riguardo alla distribuzione per fasce
d’età, la più numerosa è ancora una volta quella più bassa nella quale sono compresi 215 bambini, dunque
più della loro metà ha meno di cinque anni; nella fascia intermedia si registrano 153 ragazzi mentre nella
fascia compresa tra i 15 e i 18 anni vi sono solo 33 giovani stranieri.
Riguardo infine al numero di nuove nascite tra gli stranieri di questo quartiere, se ne registrano 332,
dunque il 23,8% del totale delle nascite, tutti provenienti da paesi a forte pressione migratoria. Si tratta
ancora una volta in massima parte di asiatici tra i quali risulta esser nato il 75,6 del totale parziale degli
stranieri nati in questa circoscrizione. Un numero consistente di nascite si osserva tuttavia anche tra gli
africani, per i quali la quota di nuovi nati risulta essere pari al 14,5% del totale. In questo caso la nazionalità
per quale si è registrato un discreto numero di nascite è quella capoverdiana (33 bambini pari a circa il 10
per cento del totale), accompagnata da quelle provenienti dall’Africa Orientale e Meridionale (11 in tutto). Le
nascite tra i provenienti dall’America Latina sono stati complessivamente 28 mentre solo cinque sono i nuovi
nati tra i cittadini dell’Est Europeo.
2.19 CIRCOSCRIZIONE S. LORENZO VICARIA
22
Centro di cittadinanza sociale per immigrati
Gruppi di lavoro- Coop. Dedalus
La presenza straniera in questa circoscrizione è piuttosto consistente, come indicato dal numero di
cittadini stranieri residenti che è pari a 2.089 unità pari al 13,4% del totale cittadino. Un’alta percentuale di
costoro (92,6%) proviene da un paese a forte pressione migratoria. Le donne costituiscono il 43,9% del
totale dei residenti essendo pari a 910 unità. In particolare risultano consistenti le comunità provenienti dal
continente africano, con 721 presenze totali delle quali circa la metà è giunta dall’Africa Occidentale
(Senegal e Nigeria soprattutto) mentre l’altra metà proviene prevalentemente dal Nord Africa (Tunisia).
Notevole è anche la presenza asiatica (745 unità pari al 38,5% sul totale parziale), soprattutto quella cinese che conta 320 unità – e quella srilankese e filippina, con rispettivamente 202 e 92 iscritti all’anagrafe
comunale. 274 persone sono giunte dall’America Latina, si tratta cittadini provenienti da ogni parte del
continente anche se si registra una prevalenza di peruviani e colombiani. Consideriamo infine i cittadini dei
Paesi dell’Est residenti in questo quartiere. Essi rappresentano circa il 10 per cento degli stranieri provenienti
da un paese a forte pressione migratoria e sono prevalentemente jugoslavi, polacchi (71 e 51 i rispettivi
valori assoluti) e, in misura minore, albanesi e ucraini.
In questa circoscrizione risiedono 318 minori stranieri. Le loro provenienze sono prevalentemente quella
asiatica con 139 unità, più del 30% del totale, ed in misura minore quella asiatica. Mentre nel primo caso le
presenze sono concentrate in due sole nazionalità, quella cinese e srilankese (rispettivamente 91 e 34 i
valori assoluti; 28,6 e 10,7 le percentuali), mentre nel secondo caso i 77 minori africani provengono in
maniera alquanto equilibrata dalle varie nazioni di questo continente. A questo proposito una prevalenza si
osserva solo in merito ai minori tunisini che sono 34, dunque più del 40% del totale degli africani residenti in
questa circoscrizione. A proposito della distribuzione nelle tre fasce d’ età, si osserva una certa
equidistribuzione tra le prime due fasce più basse le quali comprendono rispettivamente 141 e 139 unità; ne
consegue che nella fascia d’età compresa tra 15-18 anni si trovano solo 38 giovani stranieri.
Consideriamo infine i nuovi nati tra gli stranieri. Essi sono stati complessivamente 208, dei quali 202, il
97,1% proveniente da un paese a forte pressione migratoria. Di essi poco meno di uno su due (44,6% è
asiatico, circa uno su quattro è africano e infine uno su cinque è proveniente dall’America Latina. Nel
dettaglio vediamo che gli asiatici sono in maggioranza cinesi, srilankesi e filippini, mentre le nascite tra gli
africani, se si eccettuano i provenienti dall’Africa Orientale, sono abbastanza equamente distribuite tra le
varie nazionalità. Tra i provenienti dai paesi dell’Est, si osservano 19 nuove nascite delle quali 15 sono di
nazionalità jugoslava.
2.20 CIRCOSCRIZIONE S. PIETRO A PATIERNO
A S. Pietro a Patierno i cittadini stranieri residenti sono in totale 45 (dei quali 29 sono donne), numero che
però diventa 27 se consideriamo i soli paesi a forte pressione migratoria. Le nazionalità presenti sono
distribuite in maniera alquanto equilibrata, infatti vi sono nove cittadini provenienti dai Paesi dell’Est europeo,
sei africani, nove asiatici e tre provenienti dall’America Latina. Altrettanto poco numerosa è la presenza di
minori stranieri che in questo quartiere risultano essere solo 2 di nazionalità giordana e capoverdiana e d’età
compresa tra 0 e 5 anni.
2.21 CIRCOSCRIZIONE VOMERO
Nel quartiere Vomero risiedono 668 cittadini stranieri (pari al 4,6% del totale), di essi 470 provengono da
paesi a forte pressione migratoria. Il 60% del totale dei residenti nel quartiere è rappresentato da donne.
Poco più di uno straniero su due è giunto dall’Asia centrale. La comunità più numerosa è ancora una volta
quella srilankese, con 198 presenze che corrispondono al 42,1% del totale parziale. Consistente è anche la
presenza filippina, (34 presenze pari al 7,2%) e quella polacca che con 35 cittadini residenti risulta essere il
gruppo più numeroso tra i provenienti dai Paesi dell’Est europeo. Circa uno straniero su cinque residente nel
quartiere Vomero risulta essere un africano. Si tratta in larghissima parte di capoverdiani e di somali
(rispettivamente 37 e 26 pari al 7,9% e al 5,5% in termini percentuali), mentre irrisoria è la presenza
nordafricana. Dall’america Latina risulta essere pervenuto il 14,7% degli stranieri residenti; in massima parte
si tratta di peruviani e di brasiliani, anche se la provenienza da questo continente risulta polverizzata tra
molte nazioni, come testimonia ancora una volta il numero relativamente consistente di presenze (27 pari al
5,7%) contenuto nella categoria residuale “Altri Paesi dell’America Latina”.
Sebbene vi sia come abbiamo visto un’elevata presenza di donne immigrate residenti in questo quartiere,
in esso non si registra un’altrettanto cospicua presenza di minori, infatti essi rappresentano solo il 2,4% del
totale degli minori stranieri nella città di Napoli e solo il 7,6 % del totale dei cittadini stranieri residenti al
Vomero. Nel dettaglio vediamo che dei 51 minori giunti da un paese a forte pressione migratoria quali la
metà (24 unità pari al 47 per cento) sono srilankesi, sei sono capoverdiani, tre sono filippini ed altrettanti
sono peruviani. Non si registra alcuna presenza di minori di origine mediorientale. Ancora una volta le fasce
d’età che contano il maggior numero di minori immigrati sono quelle comprese tra 0-5 e 6-14 anni, con
rispettivamente 22 e 19 unità. Pertanto, nella fascia più elevata sono presenti solo 10 minori.
23
Centro di cittadinanza sociale per immigrati
Gruppi di lavoro- Coop. Dedalus
Altrettanto ridotta è la presenza di nuovi nati tra gli stranieri di questo quartiere, infatti le nascite sono
state solo 39, cifra che scende a 37 se escludiamo i provenienti dall’Europa Occidentale. Tra essi si
registrano 21 nascite tra gli srilankesi e tra fra i filippini. Le nascite tra gli africani, invece, sono
complessivamente 10 e riguardano quasi esclusivamente i cittadini di stati dell’Africa Sub-Sahariana. Infine i
nuovi nati tra i latinoamericani risultano essere 2 mentre tra i cittadini dell’Europa dell’est risulta essere nato
un solo bambino polacco.
3. LE CARATTERISTICHE DELLA PRESENZA NEI DIVERSI CONTESTI CITTADINI
La distribuzione dei cittadini immigrati della città di Napoli non è omogenea. Dall’analisi del territorio,
infatti, è emerso che alcune zone del comune accolgono un numero più consistente di cittadini di origine
straniera rispetto ad altre. Ciò è dovuto essenzialmente ad alcune caratteristiche socio-economiche dei
diversi quartieri (facilità di trovare un alloggio il cui fitto sia poco costoso, possibilità di svolgere alcuni tipi di
lavoro, buon sistema di collegamento con il resto della città) che le rendono più accessibili rispetto ad altre
aree dove la loro presenza è meno significativa.
Per questi motivi, l’analisi relativa alla presenza degli immigrati a Napoli, alle loro caratteristiche, ai loro
bisogni, si è concentrata particolarmente in alcune zone che rappresentano luoghi maggiormente vissuti
dagli immigrati e che esprimono una domanda di servizi a fronte di una molteplicità di bisogni. Queste zone
comprendono diversi quartieri della città che sono stati riuniti in 6 macroterritori così definiti: piazza Garibaldi
(che comprende i quartieri di S. Lorenzo, Mercato, Pendino, Vicaria e Poggioreale), Quartieri Spagnoli (che
ricade in parte nel quartiere di Avvocata Montecalvario, Chiaia Posillipo e S. Ferdinando), Rione Sanità (che
ricade nel quartiere di Stella e S. Carlo all’Arena), Zona Nord (che comprende i quartieri di Secondigliano,
Scampia, Miano, Piscinola e Chiaiano), Zona Orientale (che accoglie i quartieri di Ponticelli, Barra e S.
Giovanni a Teduccio), Pianura (che si riferisce al solo singolo quartiere da cui prende il nome). Non è stato,
invece, dedicato un capitolo specifico a quartieri come Vomero, Arenella, e parte del quartiere Chiaia
Posillipo perché tali quartieri sono interessati sostanzialmente da una presenza di lavoratori, e soprattutto
lavoratrici, presso le famiglie e pertanto il tema del lavoro domestico, l’analisi delle comunità impegnate in
questo settore, e i relativi bisogni, sono stati ampiamente trattati nel paragrafo sul lavoro.
In ogni rapporto territoriale è presente un’analisi della situazione degli immigrati presenti in quelle zone
specifiche, relativa alle condizioni abitative, ai lavori svolti e alle opportunità di formazione, all’inserimento
scolastico dei minori e al livello di integrazione e alle opportunità di poter mantenere vive le specificità
culturali.
La questione relativa alla casa, è stata affronta facendo attenzione alle tipologie delle strutture occupate e
alle loro condizioni (igenico-sanitarie, di manutenzione, di vivibilità). I paragrafi relativi all’area del lavoro
contengono un’analisi dei lavori svolti in zona dagli immigrati, delle caratteristiche, dei luoghi e delle
condizioni (orari, salario, presenza di contratto, rapporti con il datore di lavoro e con gli enti di consulenza e
tutela) in cui questi vengono svolti. A seguire, si affronta il discorso inerente l’inserimento dei minori stranieri
nel sistema scolastico locale facendo soprattutto attenzione alle possibilità, per i minori, di sperimentare un
percorso scolastico improntato sulla multietnicità che tenga conto delle loro particolarità di portatori di una
cultura differente da quella italiana. Infine, ogni rapporto contiene una panoramica su tutte le iniziative
(progetti, attività) messe in atto da enti pubblici e del privato sociale per favorire il percorso di inclusione degli
immigrati nel contesto sociale locale e migliorarne, così, la qualità della vita.
3.1 GLI IMMIGRATI NELL’AREA DI PIAZZA GARIBALDI
3.1.1 Breve descrizione del territorio
L’area denominata “piazza Garibaldi” comprende un territorio molto più vasto rispetto alla zona
omonima, che abbraccia in parte più quartieri e nello specifico quelli compresi nelle circoscrizioni di S.
Lorenzo-Vicaria, Mercato-Pendino, Poggioreale.
Nelle suddette circoscrizioni risiede una popolazione di 127.329 5 abitanti (di cui 60.453 maschi),
corrispondente al 12% circa della popolazione residente nella città di Napoli 6.
5
6
Fonte Istat 1991
Il numero di famiglie è 38.801, pari al 12,4% circa del totale di quelle residenti a Napoli. Il numero medio di componenti
è 3,3. Il 17,3% di queste ha un solo componente (a fronte di una media cittadina pari al 14,8%) ed il 23,5% ne ha 5 o
più (dato in linea con la media cittadina: 23,7%). La superficie media delle abitazioni occupate è di mq. 69,46 ed ogni
occupante ha a disposizione mq. 21,1 (a fronte di una media cittadina di mq. 24). Il verde pubblico è
carente, aree attrezzate per lo sport e il tempo libero risultano pressoché assenti. I giovani con meno di 15
anni e gli anziani di 65 anni e più rappresentano rispettivamente il 18,7% (media cittadina: 19%) ed il
24
Centro di cittadinanza sociale per immigrati
Gruppi di lavoro- Coop. Dedalus
Il numero di stranieri residenti nelle tre circoscrizioni considerate è 2.956 (1.624 uomini e 2.956 donne)
pari al 2% circa della popolazione residente. Le comunità più numerose sono quelle africane (34,5%) e
asiatiche (33,7%); seguono quelle dell’America Latina (13,4%), dell’Europa Orientale (10%) e dell’Europa
occidentale (6,4%). Il 71% degli stranieri presenti in quest’area risiede nella circoscrizione di S. Lorenzo
Vicaria, il 21% in quella di Mercato Pendino e il rimanente 8% in quella di Poggioreale. Gli stranieri residenti
in quest’area rappresentano il 21,7% del totale degli stranieri residenti nella città di Napoli.
Attualmente l’economia della zona si regge sul commercio, sulla ristorazione e servizi alberghieri, sulla
riparazione di autoveicoli, su attività manifatturiere.
Piazza Garibaldi, per la presenza della stazione ferroviaria, è soprattutto un luogo con una spiccata
vocazione commerciale. Nei pressi della piazza si svolgono quotidianamente i mercati della Duchesca, di
Porta Nolana e del Vasto. Nel primo, situato quasi a ridosso della zona di Forcella, si vendono quasi
esclusivamente articoli di abbigliamento e calzature. Gli altri due, (il Vasto ha luogo in un’area compresa tra
la stazione ferroviaria e il centro direzionale di Napoli, quello di Porta Nolana si svolge nella zona compresa
tra corso Garibaldi e corso Umberto), sono frequentati soprattutto per l’acquisto di generi alimentari (frutta,
verdura e pesce). Vi è poi un mercato parallelo di vendita (e produzione) di beni contraffatti.
Nei pressi della stazione centrale sorgono numerosi alberghi. Alcune di queste strutture, che già erano in
condizioni di fatiscenza anche per il declino della città come meta turistica alla fine degli anni ‘70, subirono
un ulteriore deterioramento a causa della loro trasformazione negli anni ’80 in alloggi per i terremotati. Questi
alberghi vennero abbandonati in seguito alla ristrutturazione degli alloggi colpiti dal terremoto o
all’assegnazione delle case popolari ai terremotati. Le loro condizioni di precarietà, unite al perpetuarsi della
crisi turistica, e in coincidenza dell’arrivo di immigrati non inseriti nel mondo del lavoro domestico, portarono i
gestori di tali strutture “turistiche” ad affittare le stanze degli alberghi agli immigrati extracomunitari. Alla fine
degli anni ’90, la ripresa dell’attività turistica e l’investimento delle ultime amministrazioni locali sulla risorsa
turismo ha indotto una serie di interventi di ristrutturazione e riqualificazione del territorio che ha riguardato
anche diversi alberghi situati in questa zona. Alcuni di questi, tuttavia, ospitano, ancora oggi, immigrati di
“passaggio”.
Piazza Garibaldi, essendo la piazza antistante la stazione centrale di Napoli, è anche il punto dove si
raccolgono frange marginali della popolazione come i senza fissa dimora e tossicodipendenti. L’andirivieni di
passeggeri permette di racimolare qualche spicciolo, e la presenza all’interno della stazione ferroviaria di
mense aziendali consente a molti di procurarsi un pasto. La stazione, inoltre, è il luogo in cui, chi non ha un
tetto, può trascorre la notte in qualche angolo appartato, a fine binario in vagoni non in uso, presso “il binario
della solidarietà” gestito dalla Caritas.
Oltre alla stazione offrono riparo, nella zona circostante, capannoni industriali dimessi e edifici
abbandonati, testimonianza delle attività un tempo fiorenti nella zona orientale della città. La fatiscenza di
parte dell’edilizia circostante, infine, fa sì che gli affitti non siano proibitivi per molti cittadini immigrati rispetto
ad altri quartieri della città.
Cittadini stranieri residenti nei quartieri di Poggioreale, S. Lorenzo Vicaria, Porto Mercato Pendino
(v.a. e v.p.)
S. Lorenzo
Mercato
Poggioreale
Totale
v.p.
Europa dell’Est
194
66
38
298
10,9
di cui Polonia
51
21
17
89
3,2
di cui Jugoslavia
71
18
1
90
3,3
Nord Africa
364
119
21
504
18,5
di cui Algeria
129
51
6
186
6,8
Africa Occidentale 309
97
15
421
15,4
di cui Senegal
186
66
4
256
9,4
di cui Nigeria
80
16
8
104
3,8
Africa Orientale
10
17
1
28
1,0
13,7% (media cittadina: 12%) della popolazione residente. Il livello di scolarizzazione è basso: solo il 2,7%
della popolazione è in possesso di una laurea (media cittadina: 6.1%) ed il 13,9% ha conseguito un
diploma di scuola media superiore (media cittadina: 19,2%). Il tasso di disoccupazione è elevato (48,3% a
fronte di una media cittadina del 42,7%) e la dispersione scolastica raggiunge livelli molto elevati. Il rischio
di devianza dei giovani in questi quartieri è molto alto, come si evince anche dai dati del Ministero di
Grazia e Giustizia: nel 1999 il 14% dei minori napoletani entrati nei Centri di Prima Accoglienza di Napoli e
Salerno ed il 18% dei minori entrati negli Istituti Minorili di Nisida e di Airola proveniva dalle circoscrizioni in
esame (Fonte Ministero della Giustizia. Ufficio Centrale per la Giustizia Minorile. Direzione del Centro per
la Giustizia Minorile della Campania e del Molise. Dati relativi all’anno 1999).
25
Centro di cittadinanza sociale per immigrati
Gruppi di lavoro- Coop. Dedalus
Altri paesi dell’Africa 38
Medio Oriente
29
Asia
716
di cui Sri Lanka
202
di cui Filippine
92
di cui Cina
320
America Latina
274
America del Nord
16
Europa Occidentale 125
Oceania
8
Altre provenienze
6
19
4
157
29
19
60
90
4
50
3
6
11
0
90
6
20
63
31
8
14
2
4
68
33
963
237
131
443
395
28
189
13
16
Totale paesi a bassa pressione
Migratoria
1.940
575
301
2.726
Totale
2.089
632
235
2.956
Fonte: Elaborazione Dedalus su dati del Comune di Napoli - anno 2003
2,5
1,2
35,3
8,7
4,8
16,3
14,5
0,6
100,0%
Piazza Garibaldi è divenuta con gli anni un punto di riferimento per numerose comunità immigrate
presenti a Napoli. Essa rappresenta il noyau di tutta l’area considerata, come anche per certi versi dell’intera
città e, in senso più generale, dell’intero territorio provinciale e regionale. È da piazza Garibaldi, di fatti, che
partono ed arrivano sia gli autobus intraregionali con i quali è possibile raggiungere luoghi di vita e di lavoro
ubicati in zone periferiche o in altre province della regione, sia gli autobus provenienti da diversi paesi
dell’Est Europa e del Nord Africa. Sempre la piazza rappresenta il crocevia dell’incontro tra una domanda ed
una offerta di lavoro che non trovano soluzione nei canali ufficiali, non solo per le attività economiche che si
svolgono nella zona considerata ma anche nell’intero territorio comunale, così come nel resto della
provincia. Inoltre, quest’area è il principale luogo di incontro, socializzazione ed aggregazione, soprattutto
per alcune comunità che non hanno spazi adeguati dove trascorrere il proprio tempo libero e dove
promuovere le più varie attività socio-culturali. Molti immigrati si recano frequentemente in questa zona
attirati anche dalla forte concentrazione di esercizi commerciali etnici che forniscono servizi (come ad
esempio i call center) e prodotti provenienti dai propri paesi di origine.
3.1.2 La condizione abitativa
L’area circostante piazza Garibaldi è non solo luogo di residenza per molti immigrati (il 22% dei presenti a
Napoli si concentra in questa zona) e di lavoro (soprattutto per gli occupati nel commercio) ma è anche
un’area di transito, un luogo di incontro, un punto di riferimento per migliaia di cittadini stranieri che ogni
anno arrivano, passano o vivono nella provincia di Napoli.
Per questa zona può risultare interessante dare qualche accenno ai dati relativi alla popolazione straniera
residente, pur nella consapevolezza che questi non danno la reale dimensione della presenza sul territorio,
in quanto non sempre c’è coincidenza tra presenza e residenza. Dall’anagrafe del Comune di Napoli,
risultano residenti circa 2.600 stranieri per lo più concentrati nei quartieri San Lorenzo, Vicaria, Mercato e
Pendino. Una stima della reale presenza risulta particolarmente difficile, non tanto per l’esistenza della
componente clandestina quanto, piuttosto, per l’alta mobilità di una componente consistente
dell’immigrazione.
Per quanto riguarda le nazionalità, si riscontra una forte concentrazione di senegalesi (il 9,4% dei
residenti), algerini (6,8%), cinesi (il 16,3%) e tunisini nelle zone di Mercato e Pendino. Nell’area che
comprende i quartieri di Poggioreale, Vicaria e S. Lorenzo si registra una netta prevalenza della comunità
cinese che, negli ultimi due quartieri, si accompagna anche ad una massiccia presenza di srilankesi (8,7%),
tunisini, senegalesi, dominicani e iugoslavi. La composizione per genere vede una netta maggioranza di
uomini per le comunità senegalese, tunisina e algerina, mentre le donne rappresentano la componente
principale della comunità dominicana, equivalendosi a quella maschile per le comunità cinese e srilankese.
Dalle interviste effettuate emerge che la zona considerata, sebbene veda una presenza durante il giorno
di immigrati provenienti da numerosissimi paesi, è area di alloggio per le comunità maghrebina, cinese,
senegalese - così come si evince anche dai dati sulla residenza - e, in misura minore, pakistana e nigeriana.
La tipologia abitativa più utilizzata da cinesi, senegalesi e pakistani è l’appartamento privato. Si registra
una presenza, sia pure minima, di immigrati di nazionalità senegalese e di provenienza maghrebina anche
nei “bassi” (sia nel quartiere S. Lorenzo sia nella zona compresa tra corso Arnaldo Lucci e corso Garibaldi) e
in alberghi–pensione della zona circostante piazza Garibaldi (corso Novara, via Venezia, via Firenze, via
Milano).
Gli appartamenti sono, in media, composti da 3 stanze più accessori e distribuiti su una superficie di circa
70 mq. Il numero degli occupanti varia in proporzione all’ampiezza e oscilla tra le 5 e le 10 persone, con
26
Centro di cittadinanza sociale per immigrati
Gruppi di lavoro- Coop. Dedalus
punte di 15 negli appartamenti più ampi di circa 100 mq. Una così alta concentrazione di persone in ambienti
angusti o relativamente spaziosi si spiega considerando il livello troppo alto degli affitti, ostacolo che gli
immigrati aggirano dividendo le spese tra più persone. La convivenza permette, così, di ammortizzare i costi
dell’affitto, come anche quelli derivanti dalla spesa di generi alimentari e di manutenzione dell’alloggio, dal
pagamento delle bollette e altro.
La quantità di persone che occupa un alloggio può variare anche a seconda dei periodi. Gli occupanti più
stabili possono essere sempre disposti (e ciò è stato verificato per tutte le comunità considerate) ad ospitare
per alcuni periodi amici, parenti, conoscenti, comunque connazionali, di passaggio in città o, in ogni caso,
appena giunti a Napoli, sprovvisti di altri luoghi dove trascorrere le prime settimane di permanenza.
Nelle stanze d’albergo sono presenti dalle due alle tre persone. Dalla nostra ricerca è emerso che il
legame esistente tra gli occupanti di tale tipo di alloggi riguarda, nella maggioranza dei casi (con percentuali
variabili a seconda delle diverse nazionalità), convivenze tra persone legate da rapporti amicali o tra semplici
conoscenti. Quando tra conviventi esiste un legame di parentela, esso va inteso in senso molto lato e
riguarda persone legate tra loro da gradi di parentela molto lontani. Questo dato non sembra presentare
differenziazioni se il tipo di abitazione considerato è un basso o un appartamento. Non sono stati riscontrati
rapporti di parentela negli alberghi-pensione.
La maggior parte ottiene un’abitazione ricorrendo alla rete comunitaria ed ai connazionali, in misura
minore a stranieri di altre nazionalità o a conoscenti italiani. Solo i due testimoni della comunità cinese e
della comunità araba hanno dichiarato che i propri connazionali ricorrono a servizi informali di
intermediazione a pagamento; nel primo caso la cifra corrisponde ad un mese di affitto, nel secondo si paga
una somma pari a 150 euro. I Maghrebini si rivolgono anche alle ordinarie agenzie pagando, per il servizio,
circa 80 euro.
In tutti i casi pare venga sottoscritto un contratto che, non di rado, viene anche registrato.
I prezzi dei bassi arrivano fino ai 400 euro mensili, per gli appartamenti il prezzo varia molto a seconda
dell’ampiezza ma, generalmente, esso è contenuto tra i 400 euro e gli 800 euro; quest’ultima cifra si riferisce
agli alloggi composti da almeno tre stanze. Chi risiede in alberghi/pensione paga una cifra giornaliera pari a
circa 8 euro per posto letto.
Riguardo la tipologia abitativa dell’appartamento e del basso, i testimoni affermano che le abitazioni, nel
momento in cui vengono affittate, dispongono sempre di acqua e corrente elettrica. La cucina (intesa come
elettrodomestico e arredo) è presente solo se si tratta di veri e propri appartamenti, i bassi ne sono molto
spesso sforniti. Lo stesso vale per il bagno e lo scaldabagno. In nessun caso i bassi sono provvisti
dell’impianto di riscaldamento che, del resto, è presente negli appartamenti solo in un numero limitato di
casi, trattandosi, probabilmente, di abitazioni molto antiche. Assenti quasi sempre, sia nei bassi che negli
appartamenti, il frigorifero e la lavatrice. Nel caso in cui gli alloggi non presentino impianti di riscaldamento,
gli immigrati che vi risiedono acquistano personalmente delle stufe. Per ciò che concerne il frigorifero, esso
viene sempre acquistato. Diverso è il caso della lavatrice a cui gli immigrati dimostrano di poter rinunciare.
Le condizioni alloggiative di tutte le comunità contattate sono, in senso più generale, descritte in termini
molto negativi: si tratta quasi sempre di abitazioni molto antiche e poco ristrutturate, per cui molto umide e
fredde durante i mesi invernali, molto calde in quelli estivi. In molti casi sono buie o perché site in strade
molto strette, difficilmente, per la collocazione del palazzo, esposte al sole o perché si tratta di bassi e,
quindi, il numero delle finestre è molto limitato o, addirittura, assente. Inoltre, l’oscurità dei bassi rappresenta,
per gli immigrati, un forte disagio, dovuto anche alla necessità di tener chiuse porte e finestre per evitare che
l’interno della casa sia visibile dalla strada. Le tubature idrauliche e gli infissi sono quasi sempre in pessime
condizioni, la situazione igienico-sanitaria dei bagni è disastrosa, i pavimenti sono spesso divelti e le pareti
scrostate a causa del troppo umido.
Altro dato comune che ricorre in tutte le interviste effettuate, eccetto che in un caso, è il tipo di opinione
espresso dai testimoni in merito al tipo di convivenza e di relazioni tra gli immigrati e la popolazione locale
del territorio in cui vivono. Solo il testimone per la comunità araba giudica positivamente i rapporti instaurati
tra i napoletani ed i loro vicini stranieri, soprattutto se residenti di lunga data, che talvolta non restano limitati
a semplici relazioni di buon vicinato ma si tramutano in vera e propria amicizia.
Gli altri testimoni contattati, al contrario, non spendono parole molto felici per descrivere il tipo di
convivenza instaurato tra i propri connazionali e i vicini napoletani. Questi ultimi vengono giudicati invadenti,
poco rispettosi della privacy ed eccessivamente curiosi. Talvolta gli immigrati sono vittime di insulti verbali, di
offese e persino di aggressioni fisiche per strada. Ciò porta alcuni di loro ad avere timore di uscire la sera.
Un’operatrice somala dello Sportello Immigrati della circoscrizione di S. Lorenzo sostiene che “la convivenza
non è molto gradevole, non vogliono accettare che ci siamo e ci saremo”.
Nel caso degli stranieri di nazionalità cinese e pakistana, circa il 60-70% di essi lavora, oltre ad abitare,
nell’area di Piazza Garibaldi, in quanto è in questi quartieri che queste persone svolgono la propria attività di
commercianti. Diverso è il caso dei senegalesi che, solo nel 40% dei casi, lavorano in questa zona,
preferendo svolgere, in maggioranza, il proprio commercio ambulante in altre zone della città (via Roma,
27
Centro di cittadinanza sociale per immigrati
Gruppi di lavoro- Coop. Dedalus
Vomero, Fuorigrotta), in comuni limitrofi (molti raggiungono i comuni della zona vesuviana e flegrea) e in
altre città della regione quale Salerno. Lo stesso può dirsi per i lavoratori Maghrebini che trovano impieghi in
varie zone della provincia, sia prossime alla città di Napoli che più lontane da esse.
In qualità di testimoni qualificati sulle condizioni degli immigrati nel comune di Napoli sono stati ascoltati
anche alcuni agenti immobiliari che operano nella zona. Anche essi sostengono che la maggioranza delle
abitazioni date in affitto agli immigrati sono in pessime condizioni strutturali in quanto i proprietari non
investono in lavori di ristrutturazione poiché ritengono che i cittadini di origine straniera si accontentino anche
di alloggi fatiscenti. Inoltre, i contratti stipulati in forma scritta, molto spesso, dichiarano importati inferiori
rispetto all’affitto effettivamente versato al proprietario.
3.1.3 Le strutture di accoglienza
Nell’area considerata esistono alcune strutture di accoglienza notturna in cui, negli anni 2001/02, periodo
temporale individuato per la raccolta dei dati, è stata rilevata la presenza di ospiti immigrati. Si tratta di tre
case famiglia per minori – “Il Colibrì”, gestito dalla Cooperativa Sociale “Obiettivo Salute e Ambiente; “La
Nuvola”, gestita dall’Associazione di Volontariato “Le Ali” e “La Provvidenza”, gestita dalla Congregazione
delle Suore della Provvidenza - del Centro Polifunzionale comunale “San Domenico Savio”, di un centro di
prima accoglienza/comunità alloggio per immigrati e donne in difficoltà “Opera Don Calabria”, della comunità
femminile “Carpe Diem” gestita dall’Associazione “Itaca Onlus” e del Dormitorio Pubblico “Vittorio
Emanuele”.
Le case-famiglia per minori che hanno accolto stranieri sono concentrate nella zona di Poggioreale, il
Centro Polifunzionale comunale si trova in via Settembrini, mentre la comunità femminile di “Itaca Onlus” è
situata in via Carriera Grande. In queste strutture la stima dell’incidenza dei minori stranieri ruota intorno al
30-50% degli ospiti anche se, in determinati periodi, sono state registrate quote anche del 90% così come
un’incidenza del 10% sul totale degli ospiti.
Le nazionalità straniere presenti più di frequente sono quella marocchina (ma anche Maghreb in genere),
quella slava (ex Iugoslavia, Polonia, Albania, Russia, Romania) e le comunità rom. Altre presenze segnalate
come sporadiche riguardano minori provenienti dalla Nigeria, dalla Cina e dal Sud Africa (un solo caso).
L’ Opera “Don Calabria”, è una struttura a carattere religioso che oltre a prestare il servizio di prima
accoglienza è anche una comunità alloggio. Si tratta di una comunità mista, nella quale l’incidenza della
presenza straniera segnalata è circa del 75%. Le presenze più frequenti riguardano immigrati di origine
africana (nord e centro Africa), asiatica (Sri Lanka), dei Paesi dell’Est (Ucraina) e albanese.
Nella comunità femminile “Carpe Diem” l’incidenza delle straniere tra le ospiti è circa del 30%. Le
nazionalità più presenti risultano essere quelle della Ex Jugoslavia e le comunità Rom; sono state tuttavia
segnalate anche sporadiche presenze nigeriane e polacche.
Il Dormitorio Pubblico, situato in via De Blasiis, ha un’utenza straniera segnalata di circa il 10% del totale
degli ospiti, una presenza indicata come in aumento negli ultimi cinque anni. Non sembra esservi una
significativa differenza tra il numero di donne e di uomini stranieri ospitati, mentre, riguardo alle nazionalità,
si segnala una prevalenza dei Paesi dell’Est Europeo. A questo proposito, inoltre, è stata indicata una
riduzione del numero di cittadini eritrei che costituivano una delle nazionalità più rappresentate negli anni
scorsi.
3.1.4 Il lavoro
Com’è stato illustrato in precedenza, piazza Garibaldi è una zona molto importante per la città di Napoli,
in quanto rappresenta il punto d’incontro più vivace tra la domanda e l’offerta di lavoro per gli immigrati.
Questa piazza, infatti, può essere considerata una vera e propria “agenzia di lavoro” dove datori di lavoro,
lavoratori e intermediari si incontrano, si scambiano informazioni e vagliano le opportunità offerte dal
mercato locale, come anche dell’intera provincia di Napoli. È il luogo dove convergono i lavoratori già
presenti sul territorio che sono alla ricerca di una nuova occupazione, a causa della perdita di quella
precedente, o di una opportunità lavorativa migliore di quella attuale. Ma è anche il luogo dove i nuovi arrivati
approdano e trovano lavoro anche grazie ad un organizzato sistema di intermediazione di manodopera che,
nella città di Napoli, riguarda uno dei settori in cui sono maggiormente inseriti gli immigrati, soprattutto le
donne, che provengono dall’Europa dell’Est. Parliamo del lavoro domestico e di assistenza alla persona.
Dalle interviste fatte a due testimoni qualificate polacche, è emerso che, per la loro comunità, esiste un
vero e proprio “mercato delle braccia”, gestito da coppie composte da un titolare italiano e un’assistente
polacca, che provvedono a raccogliere le richieste relative a lavoratrici da inserire come domestiche e/o
badanti, anche per brevissimi periodi, a volte in sostituzione, e ad operare una vera e propria “selezione del
personale”. Il sistema di reclutamento è molto ben organizzato e vede la presenza di fantomatiche agenzie
che già nel paese di origine selezionano le persone, si occupano di tutte le pratiche necessarie e
organizzano il viaggio in autobus o, a volte, con piccoli pulmini scomodi e con pochi posti a sedere. All’arrivo
a Napoli, in piazza c’è una persona che “accoglie” le lavoratrici e le accompagna dal datore di lavoro. A
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Centro di cittadinanza sociale per immigrati
Gruppi di lavoro- Coop. Dedalus
questo proposito, una delle due testimoni fa presente che, molto spesso, dietro queste fantomatiche
agenzie, si nascondono dei veri e propri truffatori che, attraverso annunci sul giornale, attirano lavoratrici che
pagano in anticipo il servizio di intermediazione e che, all’arrivo a Napoli, non trovano nessuno ad attenderle
(a volte, invece, c’è una persona a cui danno ulteriori soldi, già pattuiti in precedenza, e che chiede loro di
consegnare il proprio passaporto, che venderanno, per poi allontanarsi e scomparire definitivamente).
Altro sistema rilevato è quello che vede l’intermediario operare esclusivamente a Napoli e il cui numero di
telefono cellulare è noto alle immigrate polacche che lo contattano o prima di partire o all’arrivo. Costui,
all’arrivo del pulmino, “sceglie” quelle più adatte in base alle caratteristiche richieste dai datori di lavoro in
termini di capacità di svolgere le mansioni richieste, orari di lavoro da osservare, salario, ecc. Un’ulteriore
metodologia di reclutamento rilevata consiste nell’avvicinare le straniere per strada e chiedere la loro
disponibilità a lavorare. Il contatto viene effettuato ad opera di una connazionale che collabora con una
persona del luogo (in genere un uomo).
Le intermediazioni di manodopera hanno un costo che si aggira tra i 200 e i 300 euro che vengono pagati
in anticipo e pro-capite, sia dal lavoratore sia dal datore di lavoro. Al lavoratore è concesso di poter pagare
all’ottenimento del primo stipendio. In più, non c’è nessuna garanzia né per chi cerca né per chi offre lavoro,
per cui un datore di lavoro che non è soddisfatto della lavoratrice che gli è stata presentata può rifiutare di
assumerla mettendo quest’ultima in serie difficoltà, in quanto la stessa spesso si ritrova ad aver pagato per
un lavoro che non ha ottenuto. Spesso si è anche verificato che la lavoratrice non sia stato pagata per il
lavoro svolto. Inoltre, tali intermediari si occupano anche di trovare un alloggio, offrendo la possibilità di un
posto letto al prezzo medio di 5 euro al giorno.
Non si hanno ancora notizie certe relative all’esistenza di un sistema similare anche per le altre comunità
che si impiegano nel settore del lavoro domestico e dell’assistenza. Si sa, però, dai testimoni intervistati, che
i lavoratori stranieri “comprano” i posti di lavoro anche dai propri connazionali. Alcuni rappresentanti delle
comunità dell’ex Urss fanno presente come, sempre a piazza Garibaldi, esiste un fiorente sistema di
intermediazione di manodopera, gestito per lo più da ucraini, a cui i lavoratori di questa comunità si rivolgono
per trovare lavoro e la cui identità, spesso, è già nota nel paese di origine. Dalle interviste emerge che molte
persone partono sapendo già a chi rivolgersi quando giungono a Napoli. Queste informazioni, oltre che
essere fornite da chi è già presente sul territorio napoletano ai nuovi arrivati, vengono date in patria anche
attraverso le agenzie che si occupano di espletare tutte le pratiche per il visto. Questo fa ipotizzare
l’esistenza di un sistema similare a quello polacco anche per l’Ucraina. Purtroppo, nessuno finora è stato in
grado di dare informazioni in tal senso. Quel che è certo è la facilità, da parte di immigrati appartenenti a
questa comunità, di trovare persone che si occupano di intermediazione di manodopera. A volte basta
avvicinare un connazionale per strada che, nella maggior parte dei casi, conosce la persona a cui rivolgersi.
Il costo di tale servizio di intermediazione si aggira intorno ai 300 euro. Oltre questi semplici
intermediatori, ci sono anche persone che, per diversi motivi (rientro in patria, offerta di lavoro migliore),
“vendono” il proprio posto di lavoro a connazionali o definitivamente oppure per tutto il tempo della loro
assenza.
Sempre in relazione alla comunità dell’ ex Urss, diversi testimoni hanno confermato l’esistenza, in piazza,
di un sistema di trasporto pacchi, da e per l’Ucraina, alternativo a quello postale ordinario e dei corrieri
privati. I mezzi di trasporto utilizzati sono gli stessi pulmini che fanno trasporto di lavoratori. Il costo di tale
servizio è di 1 euro al chilo.
Il lavoro domestico e di assistenza rappresenta solo in modo marginale uno dei settori lavorativi di
inserimento degli immigrati nella zona considerata, la cui economia si basa quasi esclusivamente sulle
attività legate al settore commerciale. Infatti, riguardo i lavori che gli immigrati svolgono in quest’area
territoriale, essi sono legati prevalentemente al settore del commercio (ambulantato e negozi) e, in misura
minore, al lavoro alle dipendenze nella ristorazione. Attraverso un censimento degli esercizi commerciali
appartenenti a stranieri, effettuato nella sola zona adiacente piazza Garibaldi, risultano all’incirca 150 negozi
cinesi, arabi, senegalesi, nigeriani, indiani, pakistani che vendono gli articoli più svariati: giocattoli,
microelettronica e abbigliamento (cinesi), pelletteria e bigiotteria (indiani, cinesi, bengalesi, arabi,
senegalesi), alimenti (cinesi, arabi, nigeriani, senegalesi), oggettistica varia (senegalesi) e parrucchieri
(nigeriani, ghanesi). Inoltre risultano circa 9 ristoranti, a prevalenza gestiti da cinesi, e circa 10 call center
appartenenti a 6 comunità diverse.
Ciò permette di evidenziare come l’ethnic business rappresenti, per la popolazione immigrata, una delle
forme più recenti di autoimpiego che, a Napoli, ha cominciato a diffondersi in modo significativo, negli ultimi
dieci-quindici anni.
Dal censimento si evince che la comunità cinese è fortemente presente in zona. Infatti, degli esercizi
commerciali su menzionati, circa 100 appartengono essenzialmente a questa comunità. I testimoni qualificati
per questa comunità affermano che, in tutta la città di Napoli esistono circa 200 esercizi commerciali cinesi
dei quali circa 170 sono presenti nella zona di piazza Garibaldi e dintorni. Si tratta di negozi, all’ingrosso e al
dettaglio, che vendono la merce più svariata e dove vi lavorano da 2 a 4 persone, compreso il titolare e la
29
Centro di cittadinanza sociale per immigrati
Gruppi di lavoro- Coop. Dedalus
sua famiglia (in genere, nei negozi ci sono 2 dipendenti cinesi a cui vengono assegnati compiti da tuttofare)
che si occupano della vendita. La paga per un dipendente di un negozio si aggira tra i 450 – 600 euro
mensili per questa comunità.
Negozi gestiti da immigrati nella zona limitrofe a piazza Garibaldi
Cina
Ristorazione
Giocattoli e microelettronica
Bigotteria
Abbigliamento
Alimenti
Pelletteria
Oggettistica
Servizi telefonici
Profumeria
3
41
3
57
3
4
0
0
1
Pakistan
India Bangladesh
0
0
3
0
0
0
0
0
0
0
0
2
0
0
0
0
3
0
Sri
Lanka
0
0
0
0
0
0
0
1
0
Araba
2
0
1
0
4
0
0
0
1
Senegal
0
0
0
0
1
2
6
1
2
Altro
Africa
2
0
0
2
1
0
3
3
3
Non
identificato
0
0
0
0
0
0
0
1
0
Totale
7
41
9
59
9
6
9
9
7
112
3
5
1
8
12
14
1
156
I negozi cinesi all’ingrosso riforniscono la maggior parte degli ambulanti della zona, anche appartenenti a
comunità diverse, come pure italiani, tranne che per articoli specifici che alcune comunità si fanno arrivare
direttamente dal paese di origine. La vendita ambulante rappresenta per i Cinesi il settore di maggiore
impiego a Napoli. Essi sono la maggioranza dei presenti in zona dal punto di vista abitativo e offrono la loro
merce (abbigliamento, oggettistica varia) un po’ in tutto il territorio comunale, e anche provinciale,
raggiungendo i mercati di quartiere e quelli rionali durante la settimana e stazionando proprio in piazza
Garibaldi la domenica mattina. Il guadagno medio si aggira intorno ai 1.300 euro mensili. Il testimone cinese
a cui abbiamo chiesto tale informazione ha tenuto a precisare che questa cifra riguarda coloro che svolgono
quest’attività senza licenza di vendita che, a suo parere, rappresentano la maggioranza. Un’altra testimone
afferma che il guadagno giornaliero può raggiungere anche i 100 euro e che quello mensile tocca persino
punte di 4.000 euro . È stato inoltre rilevato che parecchi ambulanti, per periodi più o meno brevi, alternano
la vendita al lavoro nelle fabbriche di articoli cinesi, per lo più ubicate nell’area vesuviana, quando la
produzione lo richiede.
Anche le comunità senegalese e pakistana risultano essere molto presenti nella zona considerata, sia dal
punto di vista abitativo che lavorativo. La maggioranza svolge commercio ambulante e, nel caso dei
senegalesi, è in possesso della licenza di vendita. Essi vendono, in modo itinerante (durante i mercati e le
fiere e nelle strade e piazze principali di Napoli e anche della sua provincia), merce varia tra cui cd e
videocassette (anche contraffatti), abbigliamento e accessori, bigiotteria e artigianato etnico che si procurano
nei negozi all’ingrosso, sia cinesi che pakistani e senegalesi (all’attuale censimento risultano 8 negozi
appartenenti alle ultime due comunità menzionate che vendono articoli di pelletteria e oggettistica varia), che
ruotano intorno a piazza Garibaldi. Negli ultimi anni, diversi senegalesi hanno avuto accesso a posti fissi nei
mercati rionali. A tal proposito, risulta interessante l’esperienza del mercatino interetnico di via Bologna, una
strada adiacente piazza Garibaldi, promossa dall’Associazione dei senegalesi di Napoli.
Nel 1997 l’associazione propone al Comune di Napoli un progetto per la creazione di un mercatino
interetnico, a prevalenza composto da venditori senegalesi con regolare licenza di vendita. Questo progetto
diventa reale nel 2000 quando viene individuata la zona della città in cui crearlo, via Bologna appunto.
All’inizio, questo progetto viene ostacolato sia dai mercanti della zona che dalla circoscrizione stessa (S.
Lorenzo – Vicaria) ma va comunque avanti e oggi è una realtà visibile. Il mercatino, composto di 72 posti
fissi, è attualmente occupato da 30 senegalesi, 10 italiani, 1 nigeriano, 1 magrebino e 2 cinesi che svolgono
il loro lavoro in un clima che non sempre presuppone tranquillità e collaborazione con i commercianti italiani
della zona. La merce venduta dai senegalesi comprende bigiotteria, profumi e cosmetici, videocassette,
audiocassette e cd. Questa esperienza di successo prevede un ulteriore sviluppo in quanto l’Associazione è
in trattative con il Comune per l’assegnazione dei restanti 28 posti a via Bologna e di altri posti fissi nella
zona del Vomero.
I venditori ambulanti osservano un orario di lavoro che va dalle 8 alle 12 ore giornaliere. Il guadagno
medio di un senegalese si aggira intorno ai 50 euro al giorno, per chi vende cd, e 20 euro per coloro i quali
Totale
30
Centro di cittadinanza sociale per immigrati
Gruppi di lavoro- Coop. Dedalus
commerciano altre merci. Un Pakistano si mantiene su una media di 20/25 euro al giorno, raggiungendo
punte di 90 euro giornaliere durante i periodi festivi, soprattutto a Natale.
Riguardo l’impiego alle dipendenze nel settore commerciale, allo stato attuale non si hanno molte
informazioni riguardo la consistenza di lavoratori immigrati nei negozi all’ingrosso e al dettaglio italiani e
stranieri nella zona considerata né un quadro esauriente delle comunità impegnate, a parte le informazioni
sulla comunità cinese. Il censimento delle unità commerciali in zona appartenenti ad immigrati ha permesso
di rilevare, a parte gli esercizi commerciali cinesi, dei quali si discusso a parte, circa 40 negozi, tra alimentari,
bigiotteria, abbigliamento, appartenenti alle comunità arabe, nigeriana, indiana, bengalese, senegalese,
pakistana che impiegano almeno un dipendente appartenente alla stessa comunità.
Più in generale, le informazioni pervenute riguardano l’orario di lavoro degli immigrati dipendenti del
commercio, che si aggira intorno alle 10 ore giornaliere e durante il quale svolgono compiti che vanno dal
carico e scarico merci, alla sistemazione della merce negli scaffali dei negozi e in magazzino, alle pulizie e a
commissioni varie e alla vendita diretta. La paga va da un minimo di 350 euro ad un massimo di 700 euro
mensili.
Infine, esistono diversi immigrati che, in zona, si impiegano nei ristoranti, nelle pizzerie e nei bar della
zona.
Per quanto riguarda i ristoranti appartenenti a comunità straniere, attualmente risultano 3 ristoranti cinesi,
il cui personale si aggira intorno alle 5 persone fisse più due part-time, quasi sempre legate tra di loro da
vincoli di parentela, 2 ristoranti nigeriani, 1 ivoriano, 1 senegalese e due arabi. Sono state, inoltre, rilevate
alcune particolari forme di ristorazione, gestite da rappresentanti, in genere donne, di alcune comunità, tra
cui quella senegalese. Esse consistono nella preparazione, presso il proprio domicilio, di pasti per i
connazionali da consumare nelle stesse abitazioni in cui vengono cucinati o da portare via. Attualmente, si
hanno notizie dell’esistenza di 5 “ristoranti” senegalesi che svolgono questa attività.
Relativamente all’impiego di manodopera immigrata nei ristoranti e bar italiani della zona, le comunità più
presenti sono quella srilankese, polacca e ucraina. L’orario di lavoro nei ristoranti e pizzerie è variabile ma
comunque molto lungo. Si va da una media di 10 ore a punte anche di 12/14 ore in una giornata per chi
lavora a tempo pieno. Tale orario di lavoro, comprende, a volte, anche una presenza mattutina di 2/3 ore e,
in genere, una presenza pomeridiana che comincia verso le 4 del pomeriggio e può prolungarsi anche fino
alle 3 del mattino dopo (le 4 per il lavoro nei fine settimana). Le mansioni svolte sono le più svariate e
riguardano, a parte i rari casi di servizio a tavola, le pulizie, il facchinaggio e tutte le attività necessarie allo
svolgimento del servizio. La paga si aggira intorno ai 500-700 euro mensili.
Nei bar della zona ritroviamo giovani donne di bella presenza polacche e ucraine che prestano servizio al
bancone, portano bevande e cibo a domicilio e fanno le pulizie. La paga dipende dall’orario di lavoro
osservato che può riguardare anche la mezza giornata e che si aggira intorno ai 400/500 euro. Molti
ristoratori della zona preferiscono erogare una paga giornaliera piuttosto che mensile. Questo si deve al fatto
che essi preferiscono impiegare manodopera secondo la necessità. In tal caso, la paga giornaliera si aggira
sui 25/30 euro, a prescindere dalle ore lavorate.
È stato, infine rilevato, per alcune comunità, una forma di impiego molto simile al lavoro di facchinaggio.
Si tratta di lavoratori di diversa nazionalità che, grazie ad un carrello portapacchi (per lo più preso a nolo),
accompagnano in giro per negozi i commercianti stranieri giunti alla stazione per acquistare merci
all’ingrosso nella zona di piazza Garibaldi e dintorni. Il testimone qualificato a cui sono state chieste le
informazioni fa presente che queste persone sono molto conosciute dai commercianti in arrivo che li
contattano sul posto a tariffe che vanno dai 2,50 euro, se si tratta di farsi accompagnare per compere
nell’area della piazza, ai 5 euro, se ci si sposta più verso il centro città. In genere, questi carrellisti lavorano
in convenzione con commercianti e alberghi della zona (dai quali prendono in fitto il carrello) suggerendo
dove comprare e, a chi si ferma in città, dove pernottare.
3.1.5 La scuola
Una parte della ricerca è stata rivolta alla conoscenza delle caratteristiche dell’inserimento degli stranieri,
adulti e minori, negli istituti scolastici della città di Napoli e alla rilevazione delle attività ordinarie e dei
progetti volti a favorire la loro integrazione.
Dai colloqui svolti con i testimoni qualificati individuati è emerso che nel territorio di riferimento sono tre le
scuole che, nell’anno scolastico 2001-2002, hanno conosciuto una maggiore incidenza di alunni stranieri
rispetto all’utenza italiana e sono: l’Istituto Comprensivo “Bovio-Colletta”, l’Istituto Comprensivo “Caduti di via
Fani”, l’Istituto “A. Ristori”, il 29° Circolo Didattico L. Miraglia.
All’Istituto Comprensivo “Bovio-Colletta”è stata registrata una presenza elevata di minori di origine
straniera, 74 in tutto, così distribuiti: la scuola materna è stata frequentata da 6 minori stranieri, di cui 4
maschi e 2 femmine, di nazionalità indiana, marocchina, tunisina, senegalese. Il ciclo elementare ha visto
una presenza di ben 39 bambini (27 maschi e 12 femmine) di origine cinese, dominicana, polacca, brasiliana
e tunisina. Ventinove sono stati i minori stranieri (Cinesi, Dominicani, Brasiliani e Tunisini) che hanno
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frequentato le scuole medie presso l’istituto “Bovio-Colletta”, 17 erano maschi e 12 erano femmine. Tale
scuola ha anche organizzato corsi di lingua italiana rivolti ad un’utenza straniera adulta che hanno registrato
una partecipazione di 35 persone di nazionalità cinese, senegalese, tunisina e marocchina; 20 di questi
utenti erano maschi, 15 donne. In quest’anno scolastico è stato registrato un incremento delle presenze
straniere rispetto agli anni precedenti.
Alunni stranieri presenti nell’Istituto Comprensivo Bovio-Colletta nell’anno scolastico 2001-2002
Maschi
Femmine
Totale
Nazionalità presenti
Materna
4
2
6
India
Marocco
Tunisia
Senegal
Elementare
27
12
39
Cina Rep. Dom. Pol. Bras.
Tun.
Media
17
12
29
Cina Rep. Dom. Bras. Tun.
Superiore
Corsi per adulti
20
15
35
Cina Sen.Tun. Marocco
Totale
68
41
109
L’inserimento dei bambini è stato giudicato positivo e non è stato registrato nessun caso di insuccesso
scolastico. Il canale attraverso il quale tali minori accedono al sistema scolastico è rappresentato dalle
famiglie stesse che, però, nella maggioranza dei casi, dimostrano di avere difficoltà di natura essenzialmente
linguistica nel mantenere rapporti con la scuola durante la frequenza dei loro bambini.
L’età di iscrizione sembra essere prevalentemente in regola, anche se si sono verificati alcuni casi di
ritardi dovuti al periodo dell’arrivo di tali famiglie straniere sul territorio italiano.
Il grado di accoglienza mostrato dagli alunni italiani è giudicato dal referente scolastico molto buono e,
soprattutto, migliore rispetto a quello dimostrato dalle loro famiglie.
L’istituto si è fatto promotore di numerose iniziative per favorire l’inserimento dei minori immigrati. In
primo luogo è stato organizzato un corso di alfabetizzazione di italiano come lingua 2 rivolto ai 15 alunni
cinesi iscritti alla scuola media. Tale attività è stata finanziata da fondi Pof. Il progetto è nato da un’iniziativa
della stessa scuola che ha utilizzato, di fatti, personale interno (un insegnante) supportato da due mediatrici
culturali individuate in collaborazione con l’Università degli Studi di Napoli L’Orientale. Il progetto è durato 5
mesi e si è articolato in due lezioni settimanali di 3 ore ciascuna.
Lo scopo principale dell’attività era quello di sviluppare le competenze linguistiche attive e passive degli
allievi. La responsabile ritiene che il progetto abbia in parte raggiunto gli obiettivi che ci si era prefissati in
quanto gli alunni cinesi, alla fine del corso, hanno mostrato un miglioramento della conoscenza e della
padronanza della lingua italiana.
Viceversa, la referente dell’istituto ha rilevato, a fronte di un’elevata frequenza degli alunni cinesi, una
scarsa partecipazione di quelli italiani. Ciò la spinge a ritenere che gli interventi dei mediatori culturali
debbano essere meglio integrati nelle attività didattiche curriculari e che riescano a stimolare maggiormente
l’interesse degli alunni autoctoni. Un ulteriore elemento denunciato dalla referente della scuola è la totale
mancanza di formazione dei docenti sulle problematiche degli stranieri e sulla didattica dell’italiano come
lingua seconda. Del resto le espressioni “interculturale” ed “inserimento scolastico” vengono da lei intese
come impegno per “favorire l’integrazione degli stranieri in un clima di rispetto e di tolleranza e per meglio
sviluppare le loro competenze linguistiche”.
La scuola Bovio-Colletta ha anche organizzato delle attività di laboratorio volte a promuovere la
conoscenza degli usi e dei costumi di altri popoli, a sviluppare i sentimenti del rispetto e della cooperazione,
questa volta finanziate con fondi dello stesso istituto. Tale iniziativa è stata rivolta agli alunni della scuola
materna e si è conclusa con una manifestazione musicale e teatrale sui temi della pace e della fratellanza
tra i popoli. Alla realizzazione di queste attività hanno partecipato solo 4 docenti dell’istituto. Il progetto ha
avuto una durata di due mesi durante i quali i bambini erano impegnati 4 volte a settimana per due ore al
giorno. Gli alunni sono stati in tutto 60 di cui 4 stranieri. Solo due alunni stranieri non vi hanno preso parte.
Il giudizio della referente scolastica su questa esperienza è positivo, il progetto pare sia stato utile, non
solo per gli alunni italiani e stranieri, ma anche per le rispettive famiglie. Sarà, di fatti, riproposto e potenziato
con attività che prestino più attenzione alle lingue straniere.
Per questa attività i docenti impegnati hanno usufruito della consulenza di professori dell’Università degli
Studi di Napoli L’Orientale e della consultazione di testi da loro consigliati.
La scuola ha realizzato un’altro corso di alfabetizzazione di italiano come lingua 2 rivolto agli immigrati,
prevalentemente di nazionalità cinese, iscritti al Centro Territoriale Permanente per l’Istruzione e la
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Formazione in Età Adulta (Ctp). Questa volta i 40 destinatari erano tutti adulti. Le attività sono state
finanziate dal Cipe (Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica) L’intervento è nato su
iniziativa dello stesso istituto. Per ciò che concerne gli operatori coinvolti si è trattato sia di personale interno
(4 docenti) sia esterno (2 docenti). I corsi hanno avuto una durata di 6 mesi, le lezioni erano articolate due
volte a settimana per tre ore ciascuna.
L’iniziativa, rispetto alle altre descritte, ha incontrato maggiori difficoltà che hanno avuto riflessi sui
risultati. L’istituto ha dovuto superare le iniziali diffidenze e si è scontrato con problemi legati alla
pubblicizzazione dell’iniziativa. Sono stati, ovviamente, gli utenti più assidui a registrare i maggiori successi. I
corsi saranno, comunque, riproposti. Questa volta i docenti hanno usufruito di un’attività formativa relativa
alla didattica dell’italiano come lingua due promossa dall’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale”.
Infine, un ultimo progetto dal titolo Multicultura è stato attivato per favorire la conoscenza e gli scambi tra
alunni di diversa provenienza etnica e prevedeva giochi di animazione. Il progetto era rivolto a minori italiani
e stranieri, i partecipanti sono stati in tutto 40, di cui 10 stranieri. L’iniziativa è stata finanziata da fondi
previsti dalla l. 285/97 a cui l’istituto ha contribuito con una piccola cifra. Le attività sono state svolte da un
docente interno all’istituto e da un mediatore culturale esterno. Il progetto è durato un mese, gli incontri
erano organizzati una volta a settimana per due ore. Il giudizio espresso dalla referente della scuola rispetto
a questa iniziativa è piuttosto negativo. In primo luogo non si sono raggiunti gli obiettivi prefissati in quanto la
metodologia si è rivelata inadeguata, si sono riscontrate notevoli difficoltà a svolgere attività con gli alunni
ed, in generale, non si è rivelato di nessuna utilità. La motivazione potrebbe essere la scarsa organizzazione
da parte degli operatori che, a detta della testimone ascoltata, avrebbero dovuto preparare anticipatamente
obiettivi, contenuti e metodi dell’intervento.
La scuola “Caduti di via Fani” è anch’essa un istituto comprensivo e nell’ultimo anno scolastico ha visto la
presenza di un totale di 27 alunni stranieri. La scuola materna è stata frequentata da 4 minori senegalesi,
cinesi ed algerini, di cui 2 maschi e 2 femmine. Undici sono stati gli alunni iscritti al corso elementare (7
maschi e 4 femmine) di origine polacca, rumena, egiziana, cinese, colombiana, marocchina, tedesca,
senegalese, bielorussa, inglese. La scuola media è stata frequentata da 12 bambini (6 femmine e 6 maschi)
di nazionalità cinese, ucraina, marocchina e tunisina. Come nel caso della scuola “Bovio-Colletta”, l’anno
scolastico 2001-2002 ha visto un aumento della presenza di minori stranieri.
Alunni stranieri presenti nella scuola Caduti di Via Fani nell’anno scolastico 20012002
Maschi Femmine
Totale
Paesi di origine
Materna
2
2
4
Senegal Cina Algeria
Elementare
7
4
11
Polonia Romania Egitto Cina
Colombia Marocco Senegal Bielorussia
Media
6
6
12
Cina Ucr. Mar. Tun.
Superiore
Corsi per adulti Totale
15
12
27
È stato riscontrato un solo caso di insuccesso scolastico di un bambino senegalese dovuto
principalmente a difficoltà linguistiche.
Anche per questo istituto, l’accesso degli alunni stranieri avviene essenzialmente tramite i propri genitori,
i quali instaurano anche rapporti positivi con la scuola. Il grado di accoglienza da parte degli alunni autoctoni
e delle loro famiglie è stato elevato tranne che nella scuola media dove l’atteggiamento degli altri bambini ha
rivelato una maggiore chiusura.
La scuola ha organizzato, di propria iniziativa, delle attività di natura interculturale e di promozione della
conoscenza delle culture “altre” che, però, non sono mai state rivolte specificamente agli alunni stranieri.
Come dichiarato dal preside, l’istituto “fa ciò che può limitatamente alle proprie possibilità” perché investire in
corsi di formazione per docenti e in progetti specifici sarebbe per loro troppo oneroso e comporterebbe molti
problemi. L’istituto ha già un’utenza autoctona piuttosto difficile; infatti i ragazzi provengono da famiglie con
gravi disagi e molto deprivate culturalmente, per cui i loro sforzi maggiori sono già rivolti al tentativo di
innalzare il livello culturale degli alunni italiani.
La scuola attiva corsi di italiano come lingua 2. La durata delle attività didattiche è di 50 minuti, i restanti
10 minuti vengono accumulati e spesi per il sostegno linguistico dei bambini di origine straniera, svolto dagli
insegnanti alla fine delle lezioni.
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Un progetto intitolato Trailer, è stato finanziato dai fondi previsti dalle l. 285/97. L’attività consisteva in
corsi di animazione teatrale ed aveva l’obiettivo di favorire l’integrazione non soltanto tra bambini italiani e
stranieri ma anche tra bambini di una stessa comunità. Gli operatori coinvolti erano due docenti interni
all’istituto che hanno contato sull’aiuto di alcuni volontari esterni. Il progetto è durato 6 mesi e le attività erano
svolte una volta a settimana. La partecipazione, sia da parte degli alunni stranieri, sia da parte di quelli
italiani, è stata molto elevata ed il progetto si è rivelato utile per tutti i soggetti coinvolti: gli alunni, le loro
famiglie e gli insegnanti.
Altre iniziative realizzate presso l’istituto, nello scorso anno scolastico, sono state i laboratori di
informatica e giornalismo ed i corsi di danza.Gli obiettivi che si tendeva a realizzare erano, nel primo caso,
quelli di offrire ai minori un punto di incontro e socializzazione diverso dalla strada, di favorire lo sviluppo
delle loro capacità relazionali e di comunicazione, di migliorare i rapporti interpersonali; nel secondo caso si
voleva offrire loro la possibilità di esprimersi in modi diversi.
Entrambe le iniziative sono state ideate e sostenute interamente dall’istituto e dai suoi docenti; il corso di
danza ha visto anche la partecipazione di un volontario. Le attività hanno avuto una durata di 12 mesi e gli
incontri si svolgevano, in tutti e due i casi, una volta a settimana. La partecipazione da parte degli alunni
italiani e stranieri è stata molto elevata.
Il 34° circolo “A. Ristori” comprende sia la scuola elementare che quella materna. Nella scuola materna
sono stati 4 gli alunni stranieri frequentanti provenienti dall’Algeria e dalla Repubblica dominicana (2 maschi
e 2 femmine), 5 minori di nazionalità algerina, jugoslava ed ucraina (3 maschi e 2 femmine) sono stati iscritti,
invece, alla scuola elementare.
Alunni stranieri presenti nel 34° C. D. A. Ristori nell’anno scolastico 2001-2002
Maschi
Femmine
Totale
Nazionalità presenti
Materna
2
2
4
Algeria Rep. Dom.
Elementare
3
2
5
Algeria Jugoslavia Ucraina
Corsi per adulti
Totale
5
4
9
L’insegnante che ha seguito i progetti interculturali realizzati dall’istituto ha giudicato positivo l’esito
scolastico, così come i rapporti che i genitori dei bambini hanno stabilito con la scuola e con gli insegnanti. I
9 alunni stranieri hanno avuto accesso al sistema scolastico tramite le proprie famiglie.
L’età di iscrizione non è sempre in regola, in alcuni casi risulta maggiore in altri minore rispetto all’età
scolare richiesta.
Il grado di accoglienza nei confronti degli alunni stranieri è stato piuttosto elevato sia da parte di quelli
italiani sia da parte delle loro famiglie.
Nel corso dell’anno scolastico 2000-2001 il progetto di inserimento degli alunni stranieri è stato molto
ampio ed articolato per il gran numero di bambini che frequentavano il circolo. L’anno successivo (quello a
cui si riferisce la nostra ricerca ed i dati qui riportati) il numero dei bambini si è ridotto, ma, nonostante ciò, è
stato avviato un progetto analogo. Nell’anno 2002-2003 non è stata promossa alcuna iniziativa per l’esiguità
della presenza di alunni stranieri dovuta soprattutto al passaggio dei minori alle scuole medie. I destinatari
del progetto di inserimento scolastico degli alunni stranieri nell’anno scolastico 2001-2002 erano inizialmente
10, nell’arco di uno o due mesi questo numero si è ridotto a 4, perché gli alunni rom hanno abbandonato la
scuola.
Il progetto era volto alla valorizzazione e all’integrazione degli alunni stranieri attraverso l’apprendimento
della lingua italiana, individuando percorsi di apprendimento graduati secondo i bisogni degli allievi. Le
attività svolte consistevano nello sviluppo delle 4 abilità – ascolto (comprensione di semplici messaggi),
lettura (comprensione di semplici frasi), conversazione e produzione scritta di semplici frasi. È stato utilizzato
sia materiale strutturato Facile, edizioni Teorema, sia materiale non strutturato.
Il progetto è stato finanziato tramite fondi dell’istituto e da fondi del Piano per l’Offerta Formativa (Pof) ed
è nato su iniziativa dell’istituto. È stato portato avanti dalla sola insegnante intervistata in quanto era l’unica
in grado di parlare correttamente il francese e lo spagnolo. La stessa cura anche i rapporti con le famiglie e
viene, di fatti, spesso da loro interpellata come interprete e mediatrice per eventuali problemi, non solo legati
all’ambito scolastico. Tali rapporti sono, generalmente, buoni, tranne nel caso delle famiglie rom, le quali
mostrano una diffidenza maggiore nei confronti dell’istituzione scolastica.
Il progetto è durato 10 ore. L’insegnante ritiene che gli obiettivi siano stati raggiunti e che esso si sia
rivelato utile per tutti gli attori più o meno direttamente coinvolti: gli alunni stranieri, gli insegnanti, le famiglie.
Gli alunni italiani non hanno partecipato alle attività.
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L’intervistata lamenta il bisogno e l’assenza della figura del mediatore culturale nella scuola. Ella fa
presente come tale figura professionale possa rappresentare la referente delle famiglie straniere che
necessitano di una consulenza nel loro rapporto con la società ospite. Spesso le docenti devono assumere
questo ruolo, pur non avendo l’adeguata preparazione. Inoltre è inesistente la formazione specifica degli
insegnanti finalizzata all’insegnamento dell’italiano come L2. Inoltre, il mediatore culturale viene visto come
coadiuvante nei progetti interculturali. Per la docente il termine “intercultura” indica la “relazione tra culture”.
Si tratta perciò di sviluppare quelle capacità che permettono a persone che fanno riferimento a culture
diverse di incontrarsi e di comunicare tra loro. Ciò non riguarda solo il piano cognitivo-intellettivo della cultura
e degli strumenti di conoscenza, ma anche e principalmente quello affettivo. Ciò si lega strettamente con il
concetto di inserimento scolastico con il quale la referente fa riferimento alla partecipazione ad attività
dell’allievo nell’ambito della vita relazionale scolastica dell’allievo. Compito della scuola è di promuovere e
favorire tali relazioni sulla base dell’accettazione, del rispetto e del dialogo tra gli allievi.
Il 29° Circolo Didattico L. Miraglia ha ospitato in tutto 20 minori stranieri di cui 8 alla materna e 12 alle
elementari. Di questi, due maschi risultavano figli di coppia mista e 1 bambina era figlia adottiva di genitori
italiani.
Alunni presenti nel 29° C. D. L. Miraglia nell’anno scolastico 2001-2002
Maschi
Femmine
Totale
Materna
3
5
8
Colombia.Pakistan
Elementare
9
3
12
Corsi per adulti
Totale
12
8
20
Nazionalità presenti
Yugoslavia
Cina
Cina.Equador Maghreb
-
L’esito scolastico è stato giudicato positivo sia dalla preside che dall’insegnante che si occupa dei progetti
interculturali. Infatti, nel periodo considerato, tutti i bambini iscritti alle elementari hanno superato l’anno
scolastico, seppure con qualche difficoltà dovuta, come è noto alle barriere linguistiche. Per questo la scuola
ha ritenuto opportuno inserire, durante le attività curriculari, momenti di approfondimento della lingua italiana
per i minori stranieri attraverso programmi più adatti a loro, nonché promovendo un laboratorio gestuale,
tenuto nella scuola materna, che aiutasse i bambini a comprendere meglio i significati legati ai gesti tipici
della nostra cultura. Sempre nell’ambito curriculare, gli insegnanti nelle cui classi erano inseriti minori
stranieri, hanno provveduto ad approfondire lo studio dei paesi di provenienza di questi ultimi. Inoltre, è stato
promosso un laboratorio di danze africane, finanziato dal Comune di Napoli. Queste attività vengono svolte
per inserire tutti gli alunni in un contesto di multiculturalità, intesa come scambio di culture, tradizioni, e per
promuovere, a detta delle intervistate, un reale inserimento scolastico, visto come accoglienza, accettazione
del diverso da parte dei minori italiani e come acquisizione degli strumenti base (soprattutto linguistici) per
poter interagire positivamente con il contesto di accoglienza. A questo proposito, l’insegnante fa presente
che sarebbe necessaria anche una preparazione più approfondita e completa degli insegnanti alla
multiculturalità e all’insegnamento in un contesto dove sono presenti diverse realtà etniche. Il tutto
supportato da strumenti didattici adeguati che non sempre la scuola, da sola, è in grado di fornire.
L’insegnante intervistata sottolinea due tipi di difficoltà relativi all’inserimento scolastico dei minori
stranieri. In primo luogo, l’età di iscrizione a scuola non sempre è in regola. Spesso, i bambini stranieri
vengono iscritti in ritardo e ciò comporta il loro inserimento in classi superiori rispetto al loro livello di
preparazione. Questo comporta notevoli difficoltà rispetto al grado di successo scolastico. Inoltre, esiste un
problema di frequenza della scuola. A parte la presenza più o meno costante dei bambini cinesi dovuta,
secondo la preside al fatto che questa comunità è più stabile sul territorio napoletano, gli altri minori sono
meno assidui con conseguenze negative sul percorso scolastico. Ciò viene alimentato anche dal fatto che i
rapporti con i genitori non sono molto frequenti a causa dei loro impegni lavorativi.
Per quanto riguarda le attività extracurriculari, la scuola ha promosso un laboratorio linguistico per 14
minori stranieri pomeridiano, volto a superare i blocchi dovuti alla scarsa conoscenza della lingua italiana. Si
è proceduto allo studio delle basi linguistiche della nostra lingua attraverso conversazioni e gestualità
relative alla vita quotidiana, ascolto di musica italiana ed esercizi vari. Ci si è avvalsi della consulenza di una
docente di lingua cinese dell’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale”, poiché la maggior parte dei
bambini partecipanti erano cinesi. Secondo l’insegnante che vi ha preso parte, il progetto ha avuto buon
esito, aumentando le capacità di comprensione dei bambini e quasi sicuramente, fondi d’istituto
permettendo, verrà riproposto.
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3.2 ANALISI DELLA PRESENZA DI IMMIGRATI NELL’AREA DEI QUARTIERI SPAGNOLI E
MONTESANTO
3.2.1 Breve descrizione del territorio
All’interno del quartiere di Montecalvario e in parte innestandosi sul vicino quartiere di San Ferdinando, vi
è l’area Quartieri Spagnoli. Adiacente al ‘salotto buono’ della città (piazza Plebiscito), il quartiere è
individuabile come la zona a monte di via Toledo, a est di via Chiaia, a valle del corso Vittorio Emanuele e a
ovest di Montesanto-Pignasecca.
La sua denominazione deriva dalle truppe del viceregno spagnolo che lì si insediarono a partire dal XVII
secolo. La morfologia dell’insediamento è, infatti, tracciata da una stretta maglia ortogonale di strade
rettilinee e quasi tutte delle stesse dimensioni. Con il tempo ogni edificio, che doveva essere al massimo di
due piani, ha anche quadruplicato la cubatura, crescendo incostantemente su se stesso. La fitta rete di
vicoli, le condizioni morfologiche che la rendono solo in parte attraversabile, le condizioni abitative e socio
economiche diffusamente degradate, hanno caratterizzato anche il senso comune di ‘rischio’ che i
napoletani hanno di quest’area.
I quartieri Avvocata e Montecalvario si estendono su una superficie che, dal centro storico, sale verso la
zona collinare di Napoli, con una popolazione residente di poco superiore ai 29 mila abitanti, pari al 2,70%
della popolazione residente nella città.
Cittadini stranieri residenti nelle circoscrizioni Avvocata-Montecalvario-S.Giuseppe-Porto e Chiaia- PosillipoS. Ferdinando per nazionalità
Avvocata-Montecalvario
Chiaia- Posillipo
Totale
v.p.
-S.Giuseppe-Porto
-S. Ferdinando
Europa dell’Est
108
151
259
5,6
Polonia
54
78
132
2,8
Romania
6
9
15
0,3
Ucraina
15
28
43
0,9
Africa
328
686
1.014
21,8
di cui Africa Occidentale
144
395
539
11,6
Capo Verde
132
392
524
11,3
di cui Nord Africa
62
40
102
2,2
Algeria
27
17
44
0,9
Tunisia
18
15
33
0,7
di cui Africa Orientale
108
240
348
7,5
Eritrea
27
73
100
2,1
Etiopia
26
74
100
2,1
Somalia
55
93
148
3,2
Asia
1.342
1.441
2.783
60,0
di cui Asia Centrale
1.320
1.433
2.753
59,3
Cina
106
29
135
2,9
Sri Lanka
903
923
1.826
39,3
Filippine
280
458
738
15,9
Medio Oriente
22
8
30
0,6
America Latina
269
303
572
12,3
Brasile
29
32
61
1,3
Perù
62
85
147
3,2
Ecuador
Altre provenienze
5
7
12
0,2
Totale parziale
2.052
2.588
4.640
100,0
Europa Occidentale
Nord America
Oceania
260
21
8
Totale
2.341
Fonte: Comune di Napoli – Anno 2003
448
253
8
708
274
16
3.297
5.638
I minori ed i giovani sono 78.504 e rappresentano il 19% del totale dei pari età cittadini. La percentuale di
bambini e ragazzi è superiore al 16% ed il tasso di scolarità della scuola dell’obbligo è 96,7, per scendere a
25 con riferimento agli studi superiori. La percentuale degli inadempienti, nelle scuole elementari, è lo
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0,21%, per gli alunni, e lo 0,14 per le alunne. Nelle scuole medie, invece, la percentuale degli inadempienti
effettivi è dell’1,47%, su una media cittadina pari all’1,17%. L’area è interessata dal fenomeno della devianza
minorile: i dati dell’Ufficio Centrale per la Giustizia Minorile Direzione del Centro per la Giustizia Minorile di
Campania e Molise, relativi all’anno 1999, parlano di 10 ingressi di minori nei C.P.A., su un totale di 45
ingressi in tutta l’area del Centro Storico di Napoli, con una percentuale del 22%.
Complessivamente, ad Avvocata e Montecalvario vivono, in 19.136 abitazioni occupate, 17.558 persone
fisiche, mentre sono 2.521 le abitazioni non occupate (di cui 525 con angolo di cottura) per un totale di 805
persone (dati Istat 1991).
Nei due quartieri, disoccupati ed inoccupati si attestano attorno al 3% del totale cittadino, raggiungendo le
11.145 unità.
Gli stranieri, complessivamente residenti nella circoscrizione di Montecalvario 7, sono 2.341, pari al 14,9%
del totale della popolazione residente immigrata ufficialmente censita. Le donne (1.224) rappresentano il
52,3%. Nella comunità srilankese, la più numerosa del territorio, con una presenza di 903 unità, le donne
(400) sono il 47% del totale, mentre in altre comunità, anche se meno numerose ma ugualmente
significative, come la capoverdiana (132 unità), rappresentano, addirittura, il 67%.
Nella circoscrizione di S. Ferdinando risiedono invece 3.297 stranieri, 2.588 provenienti da paesi a forte
pressione migratoria. E’ difficilmente stimabile quanta di tale presenza sia effettivamente residenti nel
territorio dei Quartieri Spagnoli, essendo la circoscrizione di S. Ferdinando molto ampia e comprendendo
zone completamente diverse da un punto di vista delle caratteristiche socio-economiche. Infatti nella zona di
Chiaia e in quella collinare vi è una presenza di donne immigrate che lavorano giorno e notte presso le
famiglie dell’alta borghesia.
I Quartieri Spagnoli sono caratterizzati da una conformazione urbanistica centrata su un dedalo di stretti
vicoli. Ed è proprio nel vicolo che si sviluppa una vasta economia informale e di lavoro a domicilio che
delinea i contorni produttivi e riproduttivi di una realtà complessa, dove permangono moltissimi fattori che
determinano rischi di disagio ed esclusione sociale: abbandono scolastico, devianza minorile, criminalità
organizzata, si materializzano in un quadro di forte disoccupazione e preponderante lavoro a nero. I tassi di
disoccupazione e di lavoro precario sono andati negli anni crescendo, mentre si sono ridotte le opportunità
del territorio e l’accesso alle risorse su cui il giovane disoccupato poteva contare.
Pur se collocati a ridosso di una delle strade più note di Napoli, i Quartieri Spagnoli vivono tutti i disagi
del degrado urbano che colpisce le fasce sociali più deboli, fra cui gli immigrati che abitano il rione.
In questo contesto, l’insediamento delle comunità straniere è stato facilitato dal progressivo abbandono,
da parte delle famiglie locali, delle abitazioni più umili (i “bassi”) occupate, oggi, in gran parte, dagli immigrati
che vi risiedono in condizioni limite, condividendo, in più persone, spazi angusti e, spesso, senza alcuna
tutela igienica.
Il sovraffollamento delle abitazioni non riguarda, però, solo i “bassi”, considerato che, nella
circoscrizione, il mercato delle case sfitte si è orientato decisamente verso la forma delle “foresterie”: in
realtà, si affittano le singole stanze, senza alcuna denuncia di contratto, a prezzi elevati, costringendo gli
inquilini, in maggioranza immigrati, a condividere in più persone un solo vano, al fine di rendere accessibile il
costo individuale del fitto.
Lo sfruttamento delle emergenze in cui versano cittadini così deboli, come appunto gli immigrati, è
evidente quanto il lucro che si ricava da un mercato così strutturato che, in ogni caso, non favorisce certo
l’emancipazione dei cittadini stranieri da una condizione di grave disagio sociale.
Solo recentemente, e dopo diverse proposte di “sventramento e risanamento”, è intervenuto sull’area il
progetto Pic Urban (come nel Rione Sanità) che, coadiuvato da una forte presenza organizzativa sul campo,
ha messo in rete differenti percorsi di azione. Con un approccio non settorializzato ai problemi dell’area e
lavorando contemporaneamente su più punti di crisi (dall’inserimento lavorativo, al trattamento delle
condizioni più disagiate, alla riqualificazione di alcune aree e percorsi) il progetto si è mosso nel trattamento
di diverse condizioni di disagio sociale e urbano.
E’ in questo contesto che una consistente quota di immigrati a Napoli vive e che condivide con le altre
fasce sociali più deboli alcune condizioni di disagio.
I Quartieri Spagnoli, infatti, per la loro posizione centrale rispetto alle università (Federico II, L’Orientale)
per il buon collegamento con il resto della città e soprattutto con i quartieri ricchi (Posillipo facilmente
raggiungibile con autobus, Vomero con funicolare, Chiaia con metropolitana o a piedi) per le condizioni
degradate sia degli immobili che del contesto sociale hanno costituito sempre uno dei principali giacimenti
cittadini di appartamenti a basso prezzo sia per gli studenti universitari che per gli immigrati. A partire dalle
prime ondate migratorie degli anni settanta, soprattutto dai paesi asiatici, il quartiere ha progressivamente
accolto immigrati. Se buona parte di questi, come in tutto il resto della città, si è con il tempo trasferita nel
nord Italia, il quartiere ha continuato a mantenere la caratteristica di area dove ad abitanti locali, che,spesso,
7
. La circoscrizione comprende oltre ai quartieri di Avvocata e Montecalvario, anche quelli di S. Giuseppe e Porto.
37
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Gruppi di lavoro- Coop. Dedalus
come si è detto, vivono in condizioni di degrado sociale, si affiancano studenti e immigrati. E’ da sottolineare
infatti che, come accade anche per altri quartieri degradati, la possibilità di avere una casa centrale e ben
collegata con il sistema della mobilità cittadina, di poterla pagare cumulando più redditi e dunque più
persone, affiancata alla possibilità di vivere in un’area non particolarmente cara dal punto di vista delle spese
quotidiane, costituiscono condizioni favorevoli sia per gli studenti che per gli immigrati.
Il quartiere ha così progressivamente accolto un numero sempre maggiore di immigrati attratti non solo
dalle condizioni favorevoli del mercato immobiliare ma anche dal graduale costruirsi di reti di comunità.
3.2.2 Il lavoro
Anche la zona dei Quartieri Spagnoli è caratterizzata, dunque, da una significativa presenza di immigrati
che, in larga misura, utilizzano questo territorio più come luogo abitativo che come area in cui impiegarsi
come lavoratori. Infatti, come si è avuto modo di notare in precedenza, la vicinanza con la rete di trasporto
pubblica locale (autobus e soprattutto funicolari e metropolitana) permette agli immigrati un utilizzo strategico
della zona, consentendo loro di poter usufruire delle condizioni agevolate, per quanto riguarda fitto e
disponibilità di alloggi, offerte della zona e di spostarsi facilmente in città per raggiungere in tempi rapidi le
aree della città dove lavorano.
Eppure, dalle interviste e dai sopralluoghi effettuati, è emerso che, per alcuni settori, i Quartieri Spagnoli
possono rappresentare, e rappresentano, per gli immigrati, territorio fertile per poter mettere in piedi delle
attività commerciali e, più in generale, per trovare lavoro. Quindi, se da un lato la zona è interessata da un
continuo flusso di lavoratori immigrati che si riversano verso altri punti della città, dall’altro ospita attività
commerciali etniche e lavoratori inseriti nelle attività presenti in loco. Nel primo caso, ci si riferisce soprattutto
ai lavoratori del settore dei servizi domestici e dell’assistenza alla persona che lavorano, in maggioranza, nei
quartieri cosiddetti ‘bene’ della città (Chiaia, Posillipo, Vomero); nel secondo caso si fa riferimento a tutti gli
esercizi commerciali appartenenti ad immigrati e ai lavoratori impiegati nel settore del commercio al dettaglio
e a quello della ristorazione.
Nella zona dei Quartieri Spagnoli sono stati individuati una serie di esercizi commerciali appartenenti a
stranieri. Si tratta, per lo più, di ristoranti, negozi di alimentari, phon centers e parrucchieri distribuiti un po’ in
tutta la zona. Attualmente risultano 1 ristorante cinese e 1 srilankese, 1 circolo eritreo che funziona da bar,
ristorante e sala per le feste, 3 alimentari, 2 internet points e 10 phone centers srilankesi e 5 negozi di
parrucchiere dominicani.
Come si può notare, la presenza più consistente in zona, per quanto riguarda il commercio, è
rappresentata dalla comunità srilankese che ritroviamo impiegata sia in modo autonomo che alle
dipendenze. Dalle interviste risulta che gli Srilankesi lavorano nel settore commerciale a Napoli, e quindi ai
Quartieri, da circa 5 anni. Poco meno della metà di essi è impiegato in aziende a carattere familiare
rappresentate, tra le altre, dalle attività commerciali summenzionate. Si tratta di negozi, messi in piedi grazie
soprattutto ai risparmi conseguiti in Italia facendo diversi lavori, dove, fondamentalmente, lavorano il titolare
con la sua famiglia (in genere la moglie o qualche parente stretto) oppure il titolare con un massimo di due
dipendenti. I guadagni sono ritenuti inferiori rispetto a quello degli immigrati appartenenti ad altre comunità
che sono titolari di negozi. Questo perché, a parere degli intervistati, sono esercizi commerciali che si
rivolgono quasi esclusivamente a clienti stranieri (immigrati srilankesi ma anche cinesi e indiani) e non
puntano ad un target di clientela che comprenda anche gli italiani.
Ristorazione e Bar
Giocattoli e microelettronica
Bigotteria
Abbigliamento
Alimenti
Pelletteria
Internet Point
Servizi telefonici
Profumeria - Parrucchieri
Totale
Cina
1
0
0
0
0
0
0
0
0
1
Eritrea
1
0
0
0
0
0
0
0
0
1
Pakistan
Bangladesh Sri Lanka
0
2
0
0
0
0
0
0
0
3
0
0
0
2
0
10
0
1
0
18
Dominicani
0
0
0
0
0
0
0
0
5
5
Totale
4
0
0
0
3
0
2
10
6
25
38
Centro di cittadinanza sociale per immigrati
Gruppi di lavoro- Coop. Dedalus
Gli ambulanti srilankesi in zona rappresentano una categoria molto esigua (si stima che, dei presenti solo
il 5% si impieghi come tale). Si tratta, ovviamente, di una forma di commercio itinerante svolta un po’ in tutta
la città e che, nella zona, riguarda soprattutto le aree di piazza Dante e via Roma. I prodotti venduti sono
capi d’abbigliamento, bigiotteria ed altro e i guadagni vanno da 25 euro circa al giorno a 450 euro circa al
mese. Va comunque tenuto presente che l’ambulantato in zona viene svolto anche da altre comunità come
quella senegalese, quella indiana e quella pakistana.
I lavoratori dipendenti del commercio in zona sono rappresentati un po’ da tutte le comunità presenti. Le
notizie relative la comunità srilankese consente di capire che gli immigrati sono impiegati sia dai propri
connazionali che in negozi (alimentari salumerie fruttivendoli) e ristoranti italiani e svolgono quasi
essenzialmente lavori di pulizia, lavapiatti, facchinaggio, carico e scarico merci e collaborazione in genere.
La paga dipende dalle ore di lavoro svolto. Se si tratta di poche ore al giorno o di presenze occasionali si va
dai 5/6 euro all’ora ai 25/30 euro giornalieri. Quando il lavoro viene svolto in modo più fisso (con orari di
lavoro giornalieri che, a volte superano le 10 ore) la paga viene erogata mensilmente e si aggira intorno ai
500 euro.
È stata, infine, rilevata in zona una significativa presenza di immigrati appartenenti alle comunità dell’est
europeo impiegati come garzoni, facchini e collaboratori vari in negozi, ristoranti e bar.
3.2.3 La scuola
Dalle interviste effettuate con testimoni qualificati è emerso che nel territorio di riferimento gli istituti
scolastici pubblici non hanno visto una rilevante presenza, relativamente all’anno 2001-2002, di alunni di
origine straniera. Viceversa è risultato che in quest’area sette istituti, tra convitti, semiconvitti, scuole private
e paritarie, hanno accolto minori immigrati: Istituto Fabozzi “Casa Pepe”, Istituto Maria Montessori, Istituto
Don Orione, Istituto SS. Pietro e Paolo, Istituto Maria SS. Addolorata, Istituto Montecalvario, Istituto Bianchi.
Tali Istituti, sono tutti a carattere religioso, tranne il Maria Montessori.
Nell’anno 2001/2002, in tali istituti erano presenti quarantasei minori di origine straniera, di cui undici al
nido, cinque alla materna, quindici all’elementare, due alle medie, tredici al semiconvitto. Per lo più, i minori
stranieri, sono indirizzati in questi istituti, dagli assistenti sociale del Comune di Napoli, in due casi anche dai
connazionali, e nel caso dell’Istituto Don Orione, dal distretto sanitario.
In quasi tutti gli istituti, le rette per i minori stranieri sono pagate, per la maggior parte, dal Comune, in due
casi contribuiscono al pagamento anche le fondazioni private. Sono le stesse famiglie a provvedere alla retta
nei casi di minori adottati o di figli di commercianti e ristoratori cinesi. I progetti per l’inserimento dei minori
stranieri rientrano nelle normali attività extra scolastiche di tali istituti, esse consistono in doposcuola, corsi di
recupero, terapia occupazionale, drammatizzazione, manipolazione, corsi di informatica e di lingue, lavoro
individualizzato, attività sportive; inoltre, l’Istituto SS. Pietro e Paolo collabora con l’associazione “Il
Quadrifoglio”.
Le uniche difficoltà segnalate che questi minori di origine straniera hanno presentato, sono legate alla
lingua e ad un iniziale disagio di inserimento. Il grado medio di accoglienza da parte dei minori italiani nei
confronti di questi stranieri è sufficientemente elevato.
Le motivazioni per le quali i genitori di questi minori stranieri richiedono l’inserimento dei loro figli in questi
istituti, sono legate ad esigenze lavorative ed a precarie condizioni economiche.
3.3 ANALISI DELLA PRESENZA DI IMMIGRATI NELL’AREA DEL RIONE SANITÀ
3.3.1 Breve descrizione del territorio
Stella S. Carlo all’Arena è un quartiere del centro storico di Napoli con una popolazione residente di 112
mila abitanti, pari al 10% della popolazione residente nella città di Napoli.
Si tratta del quartiere con il più alto numero di residenti e con una elevata densità abitativa (oltre 222
abitanti per Kmq). Gli stranieri residenti sono 1.886 8 pari all’1,7% del totale della popolazione residente. Si
tratta nel 52% dei casi di donne, come del resto è la media cittadina. La comunità straniera più numerosa è
sicuramente quella srilankese, ma negli ultimi anni vi è una presenza consistente anche di dominicani,
maghrebini, e cinesi.
All’interno del quartiere vi è il cosiddetto Rione Sanità un’area circoscritta da sempre caratterizzata da
uno sviluppo di una vasta economia informale e di lavoro a domicilio. Il degrado urbano, gli alti tassi di
abbandono scolastico, il controllo del territorio da parte di organizzazioni criminali, l’abbandono per anni da
parte delle istituzioni locali rappresentano solo alcuni degli elementi di un circolo vizioso caratterizzato da
esclusione sociale e marginalità in cui gli abitanti del Rione Sanità si trovano facilmente coinvolti. Per anni il
quartiere è stato lasciato a se stesso, quasi un’isola autogestita, o meglio non controllata, con una propria
8
. Dati del Centro Elaborazione Dati del Comune di Napoli 2002
39
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economia (forte sviluppo di lavoro al nero ed economia informale) e delle proprie regole sociali nella quale la
scuola ha rappresentato per i giovani l’unico, e troppo debole, cordone di collegamento con il resto della
società.
La difficoltà di intervento in aree come quella del Rione Sanità, non è attribuibile però solo ad una
esemplificata cattiva volontà degli amministratori, ma ricercata nella storia e nelle caratteristiche del tessuto
locale. La disoccupazione si caratterizza infatti come fenomeno sociale articolato e complesso: accanto alla
disoccupazione di chi ha perso il lavoro o di chi non ha mai avuto un lavoro, vi è chi svolge un lavoro
fortemente precario e sommerso, chi svolge un lavoro irregolare o illegale, chi continua a studiare e a
frequentare corsi di formazione per anni, chi è in una condizione di casalinghità forzata, chi ha una pensione
di invalidità come sussidio di disoccupazione, chi viene coinvolto in attività illecite.
I tassi di disoccupazione e di lavoro precario sono andati negli anni crescendo e le opportunità del
territorio e l’accesso alle risorse su cui il giovane disoccupato poteva contare riducendosi.
Cittadini stranieri residenti nella circoscrizione di Stella S. Carlo per nazionalità
Totale
v.p.
Europa dell'Est
Albania
20
1,1
Polonia
66
3,5
Ucraina
20
1,1
Jugoslavia
9
0,5
Altri Paesi dell'Est
30
1,6
Africa
Africa Occidentale
Senegal
13
0,7
Nigeria
12
0,6
Capo Verde
100
5,3
Altri Paesi dell'Africa Occidentale
0
0,0
Nord Africa
Algeria
42
2,2
Marocco
15
0,8
Tunisia
48
2,5
Altri Paesi del Nord Africa
5
0,3
Africa Orientale
Etiopia
15
0,8
Somalia
47
2,5
Altri Paesi dell'Africa Orientale
5
0,3
Altro Africa
Asia
Asia Centrale
Cina
5
0,3
Sri Lanka
920
48,8
Pakistan
0
0,0
India
11
0,6
Filippine
52
2,8
Altri Paesi dell'Asia
1
0,1
Medio Oriente
17
America Latina
Brasile
16
0,8
Perù
29
1,5
Altri Paesi dell'America Latina
132
7,0
Altre provenienze
Totale parziale
Europa Occidentale
Nord America
Oceania
Totale
172
38
16
1.886
88,0
9,1
2,0
0,8
100,0
Totale
155
312
125
110
67
10
v.p. parziali
9,3
1,2
4,0
1,2
0,5
1,8
18,8
7,5
0,8
0,7
6,0
0,0
6,6
2,5
0,9
2,9
0,3
4,0
0,9
2,8
0,3
0,6
1.014
989
61,1
59,6
0,3
55,4
0,0
0,7
3,1
0,1
25
177
1,5
10,7
1,0
1,7
7,9
2
1.660
0,1
100,0
Fonte: Comune di Napoli – Anno 2003
40
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Il quartiere più in generale si caratterizza per un elevato livello di degrado sociale, economico e
demografico, i cui indicatori sono l'abbandono delle abitazioni, la mancanza di spazi verdi attrezzati,
l'abbandono scolastico, la devianza giovanile, lo sviluppo di economia che non riesce ad emergere. In
riferimento a quest'ultimo punto va sottolineato il fatto che nel quartiere vi è ancora oggi una presenza di
piccole e piccolissime imprese nel settore dell’abbigliamento e delle calzature caratterizzate da una elevata
fluttuazione del numero di occupati, dall'impiego elastico della forza lavoro e dal ricorso a lavoro nero,
precario a domicilio 9.
Negli anni Ottanta il quartiere è stato interessato dall’arrivo di una nuova componente della popolazione:
immigrati e Rom sono andati ad occupare abitazioni insalubri e malsane lasciate dalla popolazione locale e
dati in fitto con pigioni eccessive rispetto alle condizioni delle abitazioni; si tratta di una fascia di popolazione
a forte rischio di povertà ed esclusione sociale.
La presenza di immigrati nel Rione Sanità risale agli anni Ottanta, ma è negli anni Novanta che essa
diventa dal punto di vista numerico consistente grazie alla diffusa disponibilità di alloggi.
Vi è nel quartiere una certa disponibilità a dare in fitto alloggi ad immigrati anche perché si tratta in
prevalenza di abitazioni maltenute, umide, poco luminose che si riescono ad affittare per prezzi
relativamente elevati grazie alle numerose convivenze cui sono disposti i cittadini immigrati pur di pagare
una quota individuale contenuta.
Il Rione Sanità è per certi versi un quartiere dormitorio per molti immigrati che trascorrono le ore del
lavoro nei quartieri residenziali della città e le ore del tempo libero in altri luoghi della città non essendovi
luoghi di ritrovo nel quartiere.
E’ in questo quartiere che si concentra la più significativa presenza di famiglie immigrate con bambini, in
prevalenza di sri Lankesi.
3.3.2 La condizione abitativa
Situazione di disagio e di povertà abitativa sono senza dubbio diffuse tra gli immigrati che vivono a
Napoli. Ma le difficoltà di cui soffrono fanno parte della realtà di un contesto urbano molto difficile di cui soffre
anche la popolazione locale. Rimane, tuttavia, il fatto che all’interno della popolazione immigrata disagio ed
esclusione sociale sono molto più accentuate.
Dall’indagine svolta sulla condizione abitativa degli immigrati nel Rione Sanità, emerge un dato
fondamentale, quello della tipologia abitativa più frequentemente utilizzata. Infatti dalle interviste effettuate
risulta che la stragrande maggioranza degli immigrati che vivono in tale rione abita in “bassi”. Assumere la
condizione abitativa, quindi un criterio ambientale, come indicatore della marginalità sociale è importante dal
momento che l’esclusione da una condizione normale dell’abitare riflette immediatamente una più vasta
marginalità urbana ed economica. E questo appare tanto più necessario quando si tratta del “basso”,
alloggio al di sotto di qualsiasi accettabile standard abitativo. Dai sopralluoghi effettuati nel rione si è potuto
rilevare che, quasi sempre, i “bassi” sono costituiti da un unico vano, in cui si vive fino a nove persone (come
riportato dai nostri testimoni), dove i servizi igienici sono situati per lo più nello stesso unico ambiente con
una sola piccola divisione, dove umidità, carenza di luce e di aria costringono gli abitanti a tenere la porta di
ingresso aperta tutto il giorno e ad usare l’illuminazione elettrica sin dal mattino, dove inoltre devono essere
conciliate esigenze del tutto diverse (da quelle dei bambini a quelle delle donne).
I quartieri del centro storico napoletano sono caratterizzati da decadenza, abbandono degli edifici,
degrado ambientale, precarietà delle condizioni abitative ed igieniche. Caratteristiche che raggiungono i
livelli più esasperati nei “bassi” e ciò li rende forse il più grave problema della condizione abitativa del centro
storico in generale e più in particolare delle aree urbane interessate da consistenti fenomeni di marginalità
sociale ed urbana come quella del Rione Sanità.
Problema antico, il “basso” è entrato da tempo a far parte dell’immagine folkloristica della città, e che in
essi si vive male è cosa nota, tanto che “basso” è diventato un termine che rimanda a situazioni al limite
dell’abitabilità. E’ una tipologia abitativa molto diffusa, ed è uno dei risultati del complesso e caotico processo
di urbanizzazione che nel dopoguerra ha interessato Napoli, così come altre città. Ma la particolarità di
Napoli risiede nel risultato ottenuto e nelle modalità con cui il processo di saturazione urbana nel centro
storico si è aggiunto ad una serie di fattori preesistenti in modo da delineare l’attuale configurazione urbana.
Infatti, combinandosi con un fattore ambientale preesistente - quello del “basso” che esiste dal 1400 - e con
un fattore culturale che ormai si è consolidato nel tempo - quello dell’accettazione di strati della popolazione
ad abitare a livello stradale - il processo ha portato ala situazione attuale. Oggi i vicoli del centro storico
presentano numerose abitazioni che danno sulla strada o anche se situate all’interno dei fabbricati sono
comunque a livello stradale. All’origine il “basso” non era mai stato concepito come uno spazio abitativo, era
usato come spazio per depositi, cantine o ancora come stalle.... e faceva parte integrante della tipologia
9
Ada Becchi Collidà, 1982
41
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architettonica degli edifici. Sarà con la massiccia immigrazione rurale e quindi con l’urgente bisogno di
alloggi che i proprietari cederanno i primi “bassi” in affitto e che verranno creati tanti altri spazi ricavati nelle
facciate degli edifici lungo i vicoli stretti. Con il tempo, da case di fortuna, i “bassi” si trasformeranno in vere e
proprie abitazioni per i loro occupanti che li useranno anche per svolgere piccole attività artigianali
clandestine. In seguito, con il miglioramento generale della situazione economica dei napoletani, molti
“bassi” tornano a svolgere la loro antica funzione di depositi, o diventano “garage” o ancora vengono
trasformati in vere e proprie fabbriche clandestine.
Oggi, con la crisi del mercato degli alloggi al cui interno continua ad allargarsi la spaccatura tra case
degradate e case abitabili, sono emerse nel caso del “basso” due immediate conseguenze: da un lato il riuso
del “basso” come spazio abitativo e dall’altro un allargamento della fascia sociale che lo occupa. Infatti,
mentre diminuivano le opportunità offerte dal mercato dell’affitto privato, il fenomeno dell’immigrazione,
straniera questa volta, cresceva quantitativamente e qualitativamente (ricongiungimenti familiari e quindi
immigrazione tendente alla stabilità). Così, davanti a questo importante fenomeno migratorio, si viene a
creare attorno al “basso” un fruttuoso mercato: la forte domanda di alloggi porta i “bassi” a diventare
un’importante fonte di reddito non solo per i loro proprietari ma anche per i loro occupanti che li subaffittano
a prezzi elevati. Il “basso” entra a far parte di un processo speculativo che fa diminuire drasticamente la
possibilità di scelta per i nuovi arrivati che si trovano in concorrenza con la popolazione locale. Il mercato
dell’affitto dà vita, allora, ad un mercato specifico, il ricorso ad alloggi al di sotto dei criteri minimi
dell’abitabilità con riemersione di un patrimonio ormai fuori mercato.
Come ci riferiscono i nostri testimoni, nel Rione Sanità le condizioni di svantaggio, a volte di ricattabilità,
che caratterizzano gli affittuari immigrati sono problemi diffusi e rilevanti. Gli immigrati sono costretti ad
accettare sistemazioni peggiori e più costose di quelle degli italiani che hanno un reddito simile. Di più c’è da
notare che spesso gli immigrati regolari e che hanno un lavoro, vivono condizioni di esclusione sociale simili
a quelli irregolari, così come quelli che sono presenti in Italia da più tempo vivono le stesse difficoltà abitative
degli ultimi arrivati.
Dalle interviste svolte emerge che la presenza straniera nel Rione Sanità è rappresentata, in gran parte,
dalla comunità srilankese (di vecchia immigrazione), mentre il resto è costituito in parte da una presenza di
persone provenienti dall’Est-Europeo (di recente immigrazione) e in misura molto ridotta da africani. Come
già detto, la stragrande maggioranza vive nei “bassi” e una piccola parte in appartamenti. Secondo i nostri
testimoni, il canone mensile medio richiesto ad un immigrato nell’area considerata, vicina alla strategica
piazza Cavour che permette di raggiungere facilmente i posti di lavoro, varia dai 250 ai 500 euro mensili,
somma eccessiva rispetto alle condizioni precarie degli alloggi. I contratti stipulati sono quasi sempre verbali
oppure informali. Così il locatore usufruisce di un ampio margine di libertà di decisione e azione nei confronti
del locatario straniero. Quest’ultimo, come ci è stato riferito da alcuni testimoni, si può trovare davanti
all’obbligo di lasciare la casa in qualsiasi momento e per qualsiasi ragione. Ad esempio se rifiuta l’aumento
del canone mensile, cosa che capita spesso come afferma un nostro testimone il quale aggiunge che un
aumento del fitto avviene circa ogni 6 mesi e che questo risulta essere la causa principale dei continui
traslochi che gli stranieri si trovano a dover fare, sottolineando che per un immigrato trovare un nuovo
alloggio può impegnare anche più di un mese di tempo. Di fronte a questi fenomeni di speculazioni e di
sfruttamento, gli stranieri si adeguano adottando forme di convivenza allargata tra connazionali per
abbassare i costi eccessivi dell’alloggio. Questo risulta molto chiaro anche dai sopralluoghi effettuati. L’indice
di affollamento è molto alto. Infatti in media la superficie di un alloggio varia dai 20 ai 30 mq e il numero degli
occupanti può arrivare, in alcuni casi, fino a 9 persone. Dato che lascia riflettere sulle condizioni in cui gli
immigrati sono costretti a vivere e appare facilmente comprensibile come la carenza di spazio rappresenti il
problema fondamentale che si trovano a dover affrontare. Tanto è vero che, spesso, attraverso sistemazioni
di varia natura tendono a sfruttare al massimo il ristretto spazio a disposizione. Per raggiungere tale scopo
vengono pensate delle operazioni di suddivisione e quindi di moltiplicazione dello spazio abitabile che, per
quanto fittizie, risultano indispensabili per permettere la convivenza all’interno di un solo ambiente di un
numero elevato di persone (che sia di una stessa famiglia o di un gruppo di conoscenti). Si è potuto
constatare durante i sopralluoghi che spesso si rimedia alla mancanza di spazio utilizzando l’arredamento
(mobili, tende, pezzi di legno compensato, ...) come elementi di divisione per creare ambienti separati
delineando una zona notte e una zona giorno. In questo modo si riesce a risolvere in parte la necessità di
conciliare disparate esigenze, ad esempio quella dei lavoratori con orari diversi, quella delle donne o ancora
quella dei bambini. Ma, il carattere di precarietà dello spazio così ottenuto rimane evidente data la mancanza
di un’apertura autonoma verso l’esterno.
Un altro importante elemento di disagio che deriva dalla mancanza di spazio è il problema dell’ubicazione
dei servizi. In quasi tutte le abitazioni considerate la cucina è compresa nello stesso unico vano, mentre il
gabinetto-doccia costituisce un piccolo spazio ricavato con relativa apertura, almeno un piccolo finestrino e
solo in pochi casi troviamo bassi a due ambienti considerando anche i piani ammezzati. Questo dato fa
capire la situazione di estrema gravità in cui gli immigrati sono costretti a vivere sia dal punto di vista
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igienico-sanitario che da quello della convivenza intesa in senso più ampio. Il tutto è aggravato ulteriormente
da un arredamento poco adeguato in quanto si tratta per lo più di mobili ed elettrodomestici usati e quindi
non scelti rispetto allo spazio disponibile.
La carenza di spazio abitabile conduce inevitabilmente ad un’altra questione legata alla specificità del
“basso”: si tratta del rapporto esistente tra la vita “dentro” e le condizioni dell’ambiente immediatamente
circostante. Caratteristica del “basso”, infatti, è il trovarsi a immediato contatto con l’“esterno”. L’esigenza di
ampliare in tutti i modi e in tutte le forme possibili la quantità di spazio utilizzabile spinge gli stranieri, laddove
è possibile, a rendere tutta l’area vicina all’entrata (strada o cortile) potenziale spazio disponibile da usare.
Dai sopralluoghi svolti è stato rilevato che, ad esempio, il gradino della porta (o il marciapiede se esiste)
viene utilizzato come “terrazzino” dove sedersi per prendere un po’ di aria, fumare una sigaretta o ancora
semplicemente per effettuare una telefonata con l’apparecchio cellulare. Questo spiega che si ha l’abitudine
di trattare bene questa parte di strada essendo considerata parte integrante dell’abitazione. In più, si è
notato che lo spazio esterno al “basso” viene utilizzato anche per stendere i panni che, nella maggior parte
dei casi, vengono appesi lungo il muro adiacente all’abitazione.
Ma in modo generale, il fatto che il “basso” sia a livello stradale comporta piuttosto gravi conseguenze
igienico-sanitarie. Durante i sopralluoghi ci si è spesso trovati di fronte a “bassi” che presentano tracce
evidenti di umidità elevata sulle pareti, umidità dovuta sia alla mancanza di esposizione ai raggi solari sia
all’insufficienza di circolazione dell’aria all’interno dell’abitazione. Infatti, i “bassi” avendo spesso un’unica
apertura, la finestra, e trovandosi in vicoli assai stretti, risultano poco illuminati e poco areati. Diventa
necessaria allora l’illuminazione elettrica sin dalle prime ore del mattino, e per gli occupanti lasciare la porta
aperta con eventuale utilizzo di ventilatori (soprattutto quando si cucina) diventa fondamentale nonostante
tutto l’inquinamento acustico ed atmosferico che ne deriva. A questo proposito è interessante notare come
gli immigrati che occupano i “bassi” nel Rione Sanità spesso utilizzino una tenda all’entrata dell’abitazione
che permette l’areazione ma impedisce la visione dall’esterno, mentre nel caso dei “bassi” occupati da
italiani si cerca, invece, di mettere in mostra volentieri tutto l’interno che spesso è ristrutturato e ben
arredato. Altri inconvenienti che derivano dall’ambiente circostante sono anche le infiltrazioni d’acqua
piovana o ancora la presenza di topi o d’insetti strettamente legati all’umidità e alle cattive condizioni
dell’ambiente esterno al “basso” (vicinanze di fogne, cumuli di spazzatura...). Questo spiega in parte il
ricorso ad una tipologia particolare d’ingresso in cui la porta svolge anche funzione di finestra. Essa è
costituita da una parte superiore mobile che rimane aperta durante il giorno, e da una parte inferiore che
viene tenuta invece chiusa per evitare quegli inconvenienti sopra citati.
Il rapporto con l’esterno implica indubbiamente una certa relazione di vicinato con la popolazione locale.
Tale relazione risulta essere, secondo i nostri testimoni,molto difficile anche se spesso si svolge senza reali
conflitti. Questo però, come ci è stato riferito più volte, è dovuto al fatto che lo straniero preferisce subire
piccoli incidenti piuttosto che dover affrontare un rapporto conflittuale che gli porterebbe molti più danni.
Questa conflittualità latente si è potuta rilevare infatti dai sopralluoghi effettuati nel rione. Spesso i bidoni
della spazzatura sono ubicati vicino ai “bassi” occupati da stranieri e le macchine “facilmente” vengono
lasciate in sosta davanti alle loro porte. Inoltre un dato più grave ci è stato riferito da un nostro testimone il
quale riporta che i “bassi” degli stranieri sono “volentieri” oggetto di furti da parte dei vicini di casa che,
conoscendo i loro movimenti, rubano vari elettrodomestici ed arredi per riproporli, poi, allo stesso derubato in
cambio di una somma di danaro (questo ci lascia riflettere sul fatto che in generale gli stranieri nel Rione
Sanità possiedono arredamenti usati).
Una condizione abitativa decisamente caratterizzata dall’inadeguatezza, dalla precarietà e dal degrado,
una condizione che ci permette di dire che lo straniero nel Rione Sanità vive in realtà in una “nonabitazione”. Ma nonostante che sia costretto a vivere condizioni al di sotto dei limiti minimi dell’abitabilità, lo
straniero sopporta cercando in ogni caso di reagire in positivo. Anche se in condizioni precarie, si
condividono momenti di socializzazione nel tempo libero. Il “basso” diventa allora, come ci risulta dalle
interviste, il luogo in cui ci si riunisce tra amici, o in cui ci si celebrano le festività del proprio paese. Tuttavia
per esigenza di aria, di sole, e di contatto con la natura, ancora di più con la presenza di bambini, si
abbandona il “basso” durante le belle giornate, per uscire e riunirsi in gruppetti nelle grandi piazze e giardini
della città (piazza Municipio e Villa Comunale per quanto riguarda i Srilankesi e piazza Garibaldi e Porta
Capuana per quelli dell’Est Europeo. Anche i luoghi di culto diventano un’ulteriore occasione di
aggregazione comunitaria (piazza del Gesù Nuovo per i Srilankesi e corso Umberto per quelli dell’Est
Europeo).
Per quanto riguarda invece gli Africani è più difficile vederli collocarsi in gruppi per le piazze della città.
Come emerge dalle interviste svolte questa necessità di incontro e scambio continuo è un’esigenza primaria
data la mancanza di un reale rapporto sociale con la città. Non si frequentano luoghi pubblici “italiani” come
ristoranti, cinema, discoteche ... ma più volentieri quelli gestiti dalla propria comunità. Il bisogno di stare
insieme caratterizza tutte le Comunità di immigrati presenti nel Rione. Questo permette di affrontare più
facilmente le difficoltà riscontrate (che siano di tipo abitativo, lavorativo o ancora di convivenza). E
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Gruppi di lavoro- Coop. Dedalus
l’esistenza di una forte rete di solidarietà tra immigrati della stessa comunità dimostra che gli stranieri sono,
in realtà, consapevoli che, lavoratori o non, regolari o non, diplomati o non, devono tutti condividere la stessa
situazione di disagio e discriminazione sociale. Ciò fa sì che aiutarsi diventa “vitale” per sopravvivere in
questa dura realtà socio-economica che caratterizza la città partenopea.
Nell’area Sanità sono anche presenti due comunità di accoglienza gestite dall’associazione “Itaca onlus”.
Si tratta di una comunità maschile sita in via Foria, e di un centro di prima accoglienza situato in via Salvator
Rosa. Nella comunità maschile “La Porta del Sud” l’incidenza degli utenti stranieri è stata stimata come circa
il 30% del totale degli ospiti. Le nazionalità straniere presenti più di frequente sono quella marocchina e
quella albanese.
Il centro di prima accoglienza ospita invece minori senza fissa dimora, dei quali circa il 50% è proveniente
dall’estero. Le presenze straniere più frequenti in questo caso sono costituite da marocchini e da Rom.
3.3.3 Il lavoro
Dai sopralluoghi effettuati e dalle interviste rivolte ai testimoni qualificati è emerso che il territorio a cui si
fa riferimento rappresenta, per gli immigrati, un’area vissuta soprattutto dal punto di vista abitativo più che
lavorativo. Essa viene considerata come una zona in cui è molto facile trovare un alloggio a prezzi
convenienti e da cui è facile raggiungere gli altri punti della città dove gli immigrati esercitano il proprio
lavoro. Infatti, la quasi totalità della popolazione immigrata che vive in questa zona lavora in altri luoghi
cittadini e diviene maggiormente visibile solo in determinati momenti della giornata, quando torna o si reca al
lavoro, nei giorni di riposo dal lavoro e durante le festività.
Ciò è emerso, con particolare rilievo, dalle informazioni fornite dai testimoni rappresentanti le comunità
srilankese, polacca e dell’ex Urss la cui presenza in quest’area, e soprattutto nel rione Sanità, è fortemente
significativa. Gli srilankesi rappresentano una delle comunità più numerose e inserite del territorio
considerato e di più antica presenza rispetto ai cittadini provenienti dei paesi dell’Est-Europa. Questa
comunità è dedita per lo più al lavoro domestico presso abitazioni private collocate, in maggioranza, nelle
zone più borghesi della città (Vomero, Posillipo, Chiaia, Napoli Centro, Mergellina) e ha eletto l’area di
riferimento a luogo abitativo sia per la possibilità di trovare case in affitto a prezzi economici sia perché essa
è ben collegata al resto della città, anche grazie alle stazioni della metropolitana ubicate a via Foria (che
collega la zona al Vomero) e a piazza Cavour (che collega con piazza Garibaldi).
Questa preferenza della zona come sito abitativo non deve, però, distrarre dalle possibilità lavorative che
comunque l’area Sanità offre agli immigrati. Le informazioni in possesso consentono di focalizzare
l’attenzione particolarmente sul commercio che, soprattutto per chi lavora alle dipendenze e per una certa
percentuale di ambulanti, rappresenta un settore significativo di impiego.
Per quanto riguarda gli immigrati provenienti dallo Sri Lanka, ad esempio, risulta che da poco più di 5 – 6
anni, essi sono occupati, oltre che nel campo dei lavori domestici e dell’assistenza, anche in altri tipi di lavori
che riguardano i servizi nella ristorazione e nel settore alberghiero (attività di cameriere, aiutante cuoco,
addetto alle pulizie, fattorino), il lavoro dipendente nel settore del commercio e dell’edilizia (operai, muratori,
dipendenti di negozi di proprietari italiani) mentre una piccolissima parte di immigrati svolge attività
autonoma legata al commercio (botteghe, phone center, ecc.).
Relativamente al lavoro svolto nel settore commercio, esso si ripartisce tra chi ha un’attività commerciale
in proprio e chi è alle dipendenze.
I sopralluoghi non hanno dato risultati positivi circa la presenza di ambulanti srilankesi in zona. I testimoni
qualificati hanno fatto presente che, di questa comunità, gli immigrati che svolgono commercio ambulante in
quest’area sono al massimo due poiché tale categoria è rappresentata soprattutto da immigrati appartenenti
alle comunità cinese, senegalese e pakistana (sono state rilevate circa 9 bancarelle con posto fisso) che
vendono la loro merce (bigiotteria, accessori per l’abbigliamento, profumi, incensi) nella zona che
comprende via Foria e i dintorni di piazza Cavour. Gli ambulanti con permesso di soggiorno in genere hanno
anche la licenza di vendita e rappresentano quasi la metà dei presenti in zona mentre la restante parte si
divide tra quelli con permesso di soggiorno e senza licenza e coloro che sono senza permesso di soggiorno
né licenza di vendita. I guadagni per chi ha una bancarella si aggirano intorno ad una media di 50 euro al
giorno e 1.000 euro al mese. Queste cifre servono anche a spiegare l’atteggiamento di quanti, seppure non
in regola, scelgono di impiegarsi in questo lavoro nonostante la loro irregolarità li esponga a molti rischi.
Tornando alla comunità srilankese, le aziende a carattere familiare sono rappresentate in zona da negozi
e servizi diversi. Il censimento in atto ha permesso di rilevare due negozi di alimentari che vendono prodotti
tipici srilankesi importati, sei phone center, per chiamate internazionali con tariffe convenienti verso tutto il
mondo, un esercizio di vendita/noleggio videocassette (film del paese di origine oppure in lingua), un internet
point e un take away che consegna cibo srilankese a domicilio previa chiamata telefonica (vanno segnalati
anche due negozi di parrucchieri appartenenti ad una immigrata dominicana e ad una polacca).
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Negozi gestiti da immigrati nel Rione Sanità
Ristorazione
Giocattoli e microelettronica
Bigotteria
Bancarelle
Alimenti
Internet Point
Videocassette noleggio
Servizi telefonici
Parrucchiere
Totale
Cina
0
0
0
3
0
0
0
0
0
3
Pakistan
0
0
0
3
0
0
0
0
0
3
Sri
Lanka S. Domingo
1
0
0
0
0
0
0
0
2
0
1
0
1
0
6
0
0
1
11
1
Polonia
0
0
0
0
0
0
0
0
1
1
Senegal
0
0
0
3
0
0
0
0
0
3
Totale
1
0
0
9
2
1
1
6
2
22
In genere la merce venduta arriva dal paese di origine 2 volte a settimana direttamente a Roma, dove i
negozianti locali si riforniscono. Per gli alimentari, esiste a Palermo un grossista che importa i prodotti
direttamente dallo Sri Lanka e che distribuisce in tutta Italia.
I principali clienti sono, in modo pressoché esclusivo, i propri connazionali e, in misura minore, filippini,
italiani e indiani. I rapporti con gli altri commercianti italiani risultano abbastanza problematici.
I lavoratori che sono riusciti ad avviare una propria attività lo hanno fatto soprattutto con capitale
risparmiato grazie ai lavori svolti precedentemente in Italia (anche grazie allo svolgimento contemporaneo di
due lavori) o con l’aiuto del familiari. Quasi sempre si tratta di negozi in cui lavora il titolare con i propri
familiari.
I lavoratori dipendenti del commercio con permesso di soggiorno e contratto di lavoro rappresentano
circa la metà dei dipendenti della zona che svolgono le proprie mansioni, negli alberghi, ristoranti, negozi
d’abbigliamento, salumerie, fruttivendoli, di proprietà di italiani, eseguendo incarichi di addetti alle pulizie,
camerieri, fattorini, facchini, ecc. Essi percepiscono come paga mensile circa 650 – 800 euro, hanno, per lo
più, un contratto a tempo determinato per un periodo di un anno al massimo. Meno della metà è in possesso
del permesso di soggiorno ma non ha il contratto di lavoro e soltanto una piccola parte non ha né permesso
né contratto e svolge i propri incarichi a nero, senza controllo né sicurezza, senza rispetto per l’orario di
lavoro e andando spesso incontro a problemi legati al riconoscimento della liquidazione, nei casi di
licenziamento.
Ci sono stati, infine, riferiti alcuni casi di minorenni di età compresa tra i 14 – 17 anni che lavorano presso
commercianti italiani, senza contratti e senza garanzie facendo i ragazzi dei bar durante gli orari mattutini.
Uno degli aspetti più interessanti del lavoro degli srilankesi è strettamente legato al loro atteggiamento di
attaccamento profondo alle radici culturali, religiose e linguistiche. Ciò ha fatto nascere l’esigenza di creare
uno spazio adeguato per i bambini dove potessero coltivare la lingua e la cultura del paese d’origine. Oltre
all’associazione di via Foria, che funge anche da scuola materna ed elementare per bambini srilankesi,
esistono una sorta di “nidi” (non autorizzati), organizzati in case private, che ospitano bambini non ancora in
età scolare, gestiti da connazionali con qualifiche valide nel paese d’origine (insegnanti, puericultrici, ecc.).
Queste case, attrezzate con materiale ludico adeguato, funzionano come dei veri e propri “asili nido a
pagamento” (le mensilità si aggirano intorno ai 75 - 100 euro a bambino) per i genitori che lavorano tutto il
giorno e che preferiscono non inviare i propri bambini negli asili italiani. Questi posti accolgono in media una
decina di bambini che imparano favole, filastrocche in lingua madre, mangiano, riposano ecc. fino alle 16 17 del pomeriggio, quando i genitori ritornano dal lavoro e vanno a prenderli.
A questo proposito, molti degli immigrati appartenenti alla comunità srilankese che tornano
definitivamente nel paese d’origine dopo circa 5 – 6 anni di esperienza migratoria, sono spinti anche dalla
presenza di figli minori in età scolare che preferiscono far studiare nelle scuole del proprio paese per paura
che possano perdere le loro radici e la propria identità culturale e sociale.
Anche gli immigrati provenienti dall’Europa dell’Est svolgono in zona mansioni alle dipendenze nel settore
della ristorazione e del commercio al dettaglio e, in numero minore, in imprese di pulizia oppure come
facchini e edili anche a giornata. Dai sopralluoghi effettuati in zona abbiamo riscontrato la presenza di
ragazze ucraine in bar della zona e di uomini polacchi e ucraini presso fruttivendoli, pescivendoli e
macellerie.
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Inoltre, è stato segnalato un “consultorio dentistico” allestito in modo precario nell’abitazione di una
immigrata polacca la quale cura i proprio connazionali e immigrati di altre comunità, percependo una
retribuzione non esagerata e godendo della fiducia degli utenti.
3.3.4 La scuola
Il monitoraggio effettuato nel territorio considerato ha permesso di rilevare 3 circoli didattici e 4 istituti
comprensivi che durante l’anno scolastico 2001-2002 hanno avuto come alunni minori stranieri. Inoltre lo
studio è stato rivolto anche ai convitti, semiconvitti ed alle scuole del territorio, che, sempre nel corso
dell’anno 2001-2002 hanno accolto bambini di origine straniera.
Qui di seguito riportiamo una tabella riassuntiva delle presenze all’interno degli istituti pubblici che, in
tutto, ammontano a 25 alunni nella materna, 39 alle elementari e 23 alle medie. Questi ultimi, nella
maggioranza dei casi, hanno avuto accesso alla scuola grazie al contatto diretto delle famiglie con le
strutture scolastiche e, in alcune situazioni, attraverso l’intervento dei servizi sociali e di alcune associazioni
del territorio.
Alunni stranieri presenti nelle scuole del territorio di riferimento
Materna Elementare
I.C. Casanova
5
2
9° CIRCOLO DIDATTICO Cuoco
Media
Totale
9
8
Nazionalità presenti
16
Ucraina Sri Lanka Capo V. Alb. Col.
15
0 23
Ucraina Sri Lanka Perù Rep.
Dom.
I.C. Montale Lombardi0
1
1
2
Ist. La Palma
5
0
10
5
17° CIRCOLO DIDATTICO Angiulli
6
Dom.
19° CIRCOLO DIDATTICO Russo1
I.C. Confalonieri
I C. B. Croce
Sri Lanka Rep. Dom.
Colombia Rep. Dom. Capo Verde
14
2
0 20
0
0
0
13
13
11
15
12
-
Sri Lanka Ucraina Rep.
3 Albania Sri Lanka Polonia
Cina Somalia Sri Lanka
Rep. Dom. Cina Alg Tun.Kosovo.
L’istituto Comprensivo Casanova ha ospitato 16 bambini stranieri, di cui 9 maschi, che corrispondono al 5
% del totale degli iscritti. Tutti gli alunni erano figli di genitori entrambi stranieri e solo una bambina delle
medie era stata adottata da una famiglia italiana. Le nazionalità erano le più disparate con una lieve
predominanza di minori srilankesi
L’intervista agli operatori scolastici ha permesso di rilevare che, in riferimento all’esito scolastico, tutti gli
alunni stranieri hanno superato positivamente l’anno tranne un paio di bambini srilankesi. Il buon esito
scolastico è stato possibile anche grazie al discreto grado di inserimento dei minori nella classe e ai buoni
rapporti stabiliti con i compagni italiani e con i docenti, nonché per l’interesse dei loro genitori che hanno
intrattenuto rapporti costanti con l’istituto. Va detto che questo discorso vale anche per le altre scuole
oggetto dell’indagine. I referenti per le strutture scolastiche considerate hanno dichiarato che tutti gli alunni
stranieri hanno regolarmente frequentato la scuola, ottenendo buoni risultati e non hanno dimostrato nessun
problema visibile in relazione ai rapporti con i compagni di classe e con gli insegnanti.
Il 9º Circolo Didattico ha ospitato 23 alunni stranieri, tra cui 8 maschi, di diverse origini che hanno
rappresentato il 22% del totale degli iscritti, sostanzialmente la stessa percentuale degli anni precedenti. Per
favorire l’integrazione di questi minori, è stato promosso un progetto interculturale che prevedeva attività di
laboratorio finalizzate a garantire una maggiore padronanza della lingua italiana per facilitare la
socializzazione. A questo progetto hanno preso parte alcuni docenti interni alla scuola e hanno partecipato
molti alunni che hanno dimostrato vivo interesse per le attività svolte.
Nei 17° e 19° Circoli Didattici sono stati ospitati 23 alunni di cui 16 solo alle elementari. Dei due circoli, il
17° è quello con la presenza più significativa, con 20 minori stranieri, di cui 14 maschi che hanno frequentato
le elementari. Tale circolo ha promosso, nell'ambito delle attività interculturali, il progetto "Sei extra ma sei
come me" con l’obiettivo di educare alla convivenza democratica e di favorire la conoscenza e il rispetto
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delle “culture diverse”, attraverso il coinvolgimento nelle attività degli alunni, stranieri e non, dei docenti e
delle famiglie. Il progetto ha coinvolto 54 bambini in attività di laboratori musicale, teatrale e manipolativo ed
e' stato finanziato con Fondi di Istituto. E’ stato realizzato da docenti interni con l'aiuto di un esperto esterno
e ha avuto una durata di 5 mesi con un’articolazione settimanale di due incontri di due ore ciascuno
Negli Istituti Comprensivi Montale-Lombardi e Confalonieri nell’anno scolastico 2001-2002 i minori
stranieri iscritti erano 3 alle elementari e 15 alle scuole medie In questi istituti è stato rilevato che non
sempre l’età anagrafica dei minori corrisponde alla classe frequentata. Come fa notare il referente del
Confalonieri, ciò è rapportabile al fatto che i minori vengono inseriti in ritardo nel percorso scolastico per una
serie di cause rapportabili alle condizioni sociali delle famiglie. Ciò contribuisce ad aumentare le difficoltà di
inserimento dei minori stranieri a cui si cerca di dare soluzione attraverso la progettazione di percorsi che
rendano più favorevole l’apprendimento scolastico come, ad esempio il progetto di potenziamento della
lingua italiana come L2 svolto al Montale-Lombardi.
Le scuole finora menzionate hanno anche promosso dei corsi per adulti tra cui quelli per favorire
l’apprendimento della lingua italiana. Infatti, al 9° Circolo Didattico sono stati allestiti laboratori linguistici
destinati a 20 adulti stranieri, che hanno dimostrato un alto grado di interesse e partecipazione, finanziati con
Fondi Cipe. Durante il progetto è stata impegnata una docente interna che ha avuto una formazione mirata
all'interculturalità. Altri corsi della stessa natura e con lo stesso numero di partecipanti sono stati organizzati
anche all’Istituto Comprensivo Casanova
L’istituto comprensivo Benedetto Croce comprende il 27° circolo didattico e la scuola media statale. Alla
scuola materna sono iscritti 11 minori di origine dominicana, cinese, algerina e kosovara, di cui 7 maschi e 4
femmine. La scuola elementare è frequentata da 15 bambini (6 maschi e 9 femmine), anch’essi di origine
dominicana, cinese, algerina e kosovara. Alle medie è registrata la presenza di 12 alunni (di cui 7 maschi e 5
femmine) provenienti dall’Algeria, dalla Tunisia e dalla repubblica Dominicana. La dirigente scolastica ritiene
che l’inserimento di tutti gli alunni di origini non italiane è positivo così come definisce “sufficientemente
frequenti e collaborativi” i rapporti con le loro famiglie. L’età di iscrizione alle scuole medie dipende dal titolo
di studio conseguito nel paese di origine, mentre alle scuole materne ed elementari è condizionato dal
periodo di arrivo in questa città. Il grado di accoglienza da parte degli alunni italiani e delle loro famiglie è
stato medio. La dirigente ritiene che l’inserimento dei minori di origini straniere all’interno degli istituti
scolastici italiani dovrebbe essere supportato anche dagli enti preposti istituzionalmente all’adempimento
specifico relativo agli extra-comunitari. La scuola non ha messo a punto nessun progetto specifico di natura
interculturale ma si è impegnata nel realizzare diverse forme di scambi di esperienze tra il paese di origine
dei suoi alunni stranieri ed il paese di accoglienza. Più precisamente, gli alunni sono stati accolti alla
presenza dei familiari e della docente di lingua straniera, si sono studiate le espressioni linguistiche più
comuni dei paesi di origine e dell’Italia, i loro usi e costumi, le tradizioni musicali e di danza, i diversi credi
religiosi.
Un ulteriore monitoraggio della presenza di alunni stranieri nelle scuole del territorio dell’area Sanità ha
riguardato anche gli istituti superiori. Oggetto della ricerca sono stati il liceo scientifico V. Cuoco e il liceo
linguistico sociopedagogico delle scienze sociali T. Campanella che hanno accolto 7 alunni stranieri in tutto.
Al V. Cuoco erano presenti, sempre durante l’anno scolastico 2001-2002, 3 alunni di cui due ragazzi
brasiliani, figli adottivi di famiglie italiane, e una ragazza albanese. Al T. Campanella gli alunni stranieri erano
4 (2 maschi e 2 femmine) di origine albanese, guineana, dominicana e ucraina. Nell'ambito delle attività
interculturali sono stati tenuti corsi di italiano come L2 con il supporto di una insegnante di madrelingua
portoghese. Inoltre l'alunno proveniente dalla Guinea e' stato seguito per un semestre da una insegnante di
madrelingua per un corso di alfabetizzazione.
I dati e le informazioni raccolte in riferimento all’inserimento dei minori stranieri nelle scuole del territorio
consentono di fare alcune considerazioni.
In primo luogo, nell’anno scolastico 2001-2002, il successo scolastico degli alunni stranieri è stato
complessivamente soddisfacente. Ciò è dovuto, in parte, al fatto che si tratta spesso di minori nati in Italia, o
figli adottivi di genitori italiani, che conoscono bene la lingua del nostro paese, condizione importante per una
positiva integrazione nel sistema scolastico italiano. Inoltre, molti immigrati sono in possesso di diploma di
scuola superiore (è il caso di molti srilankesi) e il loro livello di istruzione fa sì che essi investano molto nella
scolarizzazione dei propri figli. Però, l’atteggiamento dei genitori immigrati nei confronti della nostra scuola è,
comunque, abbastanza contraddittorio, in quanto, se, da una parte, essi sono coscienti del potenziale di
"promozione sociale" garantito dall'inserimento nel contesto scolastico, dall'altra vedono la scuola come un
luogo dove i loro figli (o, forse, addirittura essi stessi attraverso di loro) corrono il rischio di perdere i propri
valori culturali o per lo meno di diluirli nel corso del tempo. Proprio in quest’ottica vediamo sorgere, negli
ultimi anni, un po’ dappertutto, progetti di educazione interculturale nelle scuole interessate dalla presenza di
una popolazione diversificata dal punto di vista culturale, proprio con la finalità di sfuggire a quel rischio di
"alienazione " temuto dalle famiglie. Un’insegnante sostiene che “… poiché tutti i bambini conoscono la
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lingua italiana ci siamo dedicati al mantenimento e spesso all'apprendimento della loro lingua di origine, il
tutto con l'obiettivo di integrare, ma anche di conservare le radici e quindi la loro cultura e le loro tradizioni
coinvolgendo i compagni italiani per un proficuo scambio”. L'obiettivo è di considerare la realtà multiculturale
della scuola, vedendola come una caratteristica positiva e capace di arricchire tutti i partecipanti al processo
educativo.
Per ciò che concerne i convitti, i semiconvitti, le scuole private e paritarie del territorio preso in esame,
dall’indagine è risultato che sono quattro quelli che, nell’anno 2001-2002, hanno accolto minori di origine
straniera,: Istituto S. Antonio A Miradois, Istituto Piccole Ancelle Di Cristo Re, Istituto Don Bosco,
Associazione progetto Oasi Onlus. Tali istituti sono tutti a carattere religioso.
Il numero di minori di origine straniera, presenti in tali istituti, è pari a quindici: cinque nei convitti, sei nei
semiconvitti, tre alle materne, uno alle elementari.
I minori stranieri sono indirizzati in questi istituti dagli assistenti sociali del comune o dai connazionali e,
nel caso del Istituto Don Bosco, dal tribunale dei minori.
La retta per i minori stranieri è pagata, nella maggior parte dei casi, dal comune di Napoli; l’istituto Piccole
Ancelle Di Cristo Re, non prevede alcun pagamento.
I progetti per l’inserimento dei minori stranieri rientrano nelle normali attività extra scolastiche di tali istituti,
esse consistono in doposcuola, corsi di recupero, drammatizzazione, manipolazione, corsi di informatica e di
lingue, lavoro individualizzato, attività sportive; l’Istituto S. Antonio a Miradois, collabora con il S. Egidio.
Le uniche difficoltà segnalate che questi minori di origine straniera hanno presentato, sono legate alla
lingua, e ad un iniziale disagio di inserimento.
Il grado medio di accoglienza da parte dei minori italiani nei confronti di questi stranieri è sufficientemente
elevato.
Le motivazioni per le quali i genitori di questi minori stranieri richiedono l’inserimento dei loro figli in questi
istituti sono legate ad esigenze lavorative.
3.4 ANALISI DELLA PRESENZA DI IMMIGRATI NELL’AREA ORIENTALE
3.4.1 Breve descrizione del territorio
L’area orientale della città di Napoli è rappresentata dai quartieri di Barra, S. Giovanni e Ponticelli.
Caratterizzati dalla presenza di un nucleo industriale (via via dimesso nel corso degli ultimi 20 anni) e da
un’area agricola legata alla coltura di prodotti agricoli tradizionali e floricoltura, il territorio ha subito negli
ultimi 30 anni radicali trasformazioni dovute alle esigenze abitative della città. Tale area infatti è stata
interessata dal piano di edilizia pubblica (legge 167) sia dal piano di ricostruzione della legge 219/81 e di
conseguenza all’insediamento, in questi territori, nel corso degli anni ’70 e ’80 di interi nuovi quartieri di
edilizia popolare. Tali insediamenti urbani hanno alimentato, in questi anni, fenomeni come l’emarginazione
sociale, la disoccupazione, la tossicodipendenza e l’abbandono scolastico.
La presenza in tali quartieri di attività criminose e illegali legate anche al controllo camorristico, frenando
lo sviluppo di piccole attività economiche commerciali, rendono estremamente precarie le condizioni
socioeconomiche determinando situazioni di invivibilità che pesano enormemente su quella parte della
popolazione dedita alle normali attività lavorative causando nei casi più estremi l’abbandono dei quartieri e la
chiusura di numerosi piccoli esercizi commerciali. All’interno di questo tessuto sociale si è innestato negli
ultimi vent’anni un processo di deindustrializzazione che ha interessato soprattutto il quartiere di S. Giovanni
che ha accentuato in maniera vertiginosa il degrado strutturale e sociale.
La mancanza di occupazione e il degrado sociale pesano soprattutto sui giovani che privi di formazione,
in quanto hanno abbandonato precocemente la scuola, di un lavoro sicuro e, in alcuni casi, del supporto di
figure parentali adeguate, diventano facile manovalanza per le attività criminose (spaccio di droga,
contrabbando, furti d’auto e negli appartamenti, racket).
In sintesi, si può affermare che i quartieri di Barra, S. Giovanni e Ponticelli sono caratterizzati da un’alta
presenza di disoccupati od occupati in lavori stabili ed a nero, irregolari ed illeciti, un elevato tasso di
criminalità e forte dispersione scolastica
Nelle tre circoscrizioni vivono attualmente 150.000 persone (dati dell’ultimo censimento) di cui 65.000 a
Ponticelli quartiere maggiormente interessato dai nuovi insediamenti urbani, 50.000 a Barra e 35.000 a S.
Giovanni. Il tasso di disoccupazione è molto alto (pari al 54% a fronte di una media cittadina di 42,7). Questo
dato è emblematico degli effetti devastanti del processo di dismissione industriale che ha generato non solo
espulsione dal mercato del lavoro, ma anche forte marginalità e disagio sociale.
Due dati valutativi di questo disagio sono costituiti dalla dispersione scolastica e dal numero di minori
d’area penale, entrati nei centri di prima accoglienza territoriali.
Nelle scuole elementari (dati dell’ODS del comune di Napoli riferiti all’anno scolastico 1998/99), su 7296
iscritti la percentuale degli inadempienti è dell’1% a fronte di una media cittadina dello 0,15%. Nelle scuole
medie, su un totale di 4830 iscritti, gli inadempienti sono il 3,66% contro il 2,13% della media cittadina. Tale
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dato aumenta vertiginosamente negli istituti professionali di questi quartieri dove al biennio circa la metà
degli iscritti abbandona gli studi.
I minori entrati nel Centro di Prima Accoglienza di Napoli, Salerno e Nisida (dati ministeriali relativi
all’anno 1999) sono 20, pari al 15% del totale distribuito su tutto il territorio del Comune di Napoli
Nei quartieri di Barra e Ponticelli (a S. Giovanni la presenza di immigrati è pressoché inesistente) nel
corso degli anni Novanta si è insediata una piccola, ma oramai stabile, comunità di immigrati, la cui
presenza, pur essendo contenuta numericamente, presenta una serie di problematiche molto complesse,
legate soprattutto al tema dell’alloggio e della salute. Infatti la maggior parte degli immigrati che vive nei
quartieri di Barra e Ponticelli ha trovato casa in prefabbricati dove è nota la presenza di amianto.
Nel 1992, infatti, comunità di albanesi, rom e ivoriani si sono insediate nei “bipiani” -prefabbricati in
amianto- sorti dopo il terremoto del 1980 in un’area ben nascosta, parallela all’affollatissima via Volpicelli, al
confine fra i due quartieri di Barra e Ponticelli, per accogliere gli sfollati della zona che avevano perso la
casa. Essi avrebbero dovuto rappresentare una sistemazione provvisoria in attesa di una sistemazione
migliore. Tuttavia la permanenza dei terremotati è stata tutt’altro che provvisoria a causa della lentezza della
macchina burocratica che gestiva il sistema delle assegnazioni delle case. Essa è durata nei fatti 10 anni e
in condizioni di grave degrado.
All’inizio del 1992, una volta data una nuova sistemazione abitativa alla gran parte dei napoletani
residenti nei bipiani, questi sono stati riciclati per destinarli ad uso abitativo per le comunità immigrate
scappate dall’Albania e dalla ex Iugoslavia a seguito della crisi balcanica. A tali comunità, dopo circa un
anno, si sono aggiunti gruppi di africani provenienti dall’Africa dell’Ovest (prevalentemente ivoriani, seguiti da
guineani e burkinabé).
Nel 1997, completata la sistemazione dell’ultimo nucleo di napoletani nei nuovi alloggi di edilizia popolare
di via Argine di fronte al Palazzetto dello Sport, la giunta comunale guidata dal sindaco Bassolino tentò di
murare gli ingressi dei bipiani onde evitarne l’occupazione da parte di nuovi senza tetto. Le dure proteste
delle comunità immigrate ivi installate, sostenute dall’impegno del volontariato laico e cattolico e dai Consigli
Circoscrizionali di Barra e Ponticelli, determinarono l’intervento da parte del Sindaco che giunto nell’area di
riferimento, s’impegnò a non procedere all’evacuazione e a provvedere ad una tempestiva seppur sommaria
sistemazione degli infissi, installazione di igienici, interventi di disinfestazione e derattizzazione. Da allora le
abitazioni dei bipiani sono state assegnate, in seguito ad un censimento, agli immigrati che vi abitavano e
che erano in possesso del permesso di soggiorno. Ma nei bipiani trovarono, e trovano, alloggio anche
numerosi immigrati sprovvisti di permesso di soggiorno.
A seguito dei processi di regolarizzazione della seconda metà degli anni Novanta (il decreto Dini del 1995
e la sanatoria del 1998) la gran parte dei cittadini immigrati che viveva nei bipiani, si è spostata nelle città del
nord Italia alla ricerca di un lavoro e di una sistemazione più dignitosa. La partenza di immigrati con
permesso di soggiorno non ha significato il totale abbandono dei Bipiani da parte degli stessi, infatti alcuni di
essi, preoccupati dall’incognita di tale spostamento, pensando ad un loro possibile ritorno, hanno mantenuto
per sé un stanza lasciando nelle case, amici o parenti privi del permesso di soggiorno ai quali si sono
aggiunti altri immigrati clandestini arrivati successivamente. In alcuni casi si ha notizia di immigrati che hanno
invece ceduto la casa a fronte di una somma di danaro, secondo una pratica peraltro diffusa anche tra i
locali.
Nel 2003 gli stranieri regolarmente residenti a Barra e Ponticelli risultano essere 576 pari al 3,7% del
totale degli stranieri residenti nella città di Napoli e al 0,5% del totale dei residenti nelle due circoscrizioni.
Oltre il 92% degli stranieri residenti (e per la precisione 534) proviene da paesi a forte pressione migratoria,
essendo dell’8% circa la provenienza da paesi dell’Europa Occidentale o del nord America.
Dei 534 immigrati residenti, 406 sono presenti a Barra (quasi l’80%) e 128 a Ponticelli. Le comunità
maggiormente presenti tra i residenti sono quelle dell’Europa dell’Est, che rappresentano il 70,6% del totale
e, per lo più, provengono dall’Albania (251 residenti pari al 47% del totale dei residenti in zona) e 74 dall’ex
Jugoslavia. Vi sono poi 58 nordafricani e 30 immigrati che provengono da paesi dell’Africa occidentale (in
primo luogo dalla Costa d’Avorio), 17 asiatici e 36 latinoamericani.
Come per gli altri territori anche in questo caso il dato sugli stranieri residenti porta con sé alcuni elementi
di distorsione in quanto se da un lato sottostima la presenza, per il numero di immigrati irregolari e
clandestini presenti, dall’altro non tiene conto delle effettive partenze di immigrati che hanno mantenuto la
residenza nella zona. Sulla base delle informazioni raccolte, l’area territoriale di Barra e Ponticelli, ospita
attualmente 1.000 cittadini/e immigrati/e ; di cui poco più della metà è in condizione di irregolarità; essendo
l’area di residenza degli immigrati altamente circoscritta, gli intervistati hanno saputo indicare con precisione
il numero di presenze reali nei bipiani per nazionalità: 450 Albanesi, 350 Rom, 90 Africani dell’Ovest. Vi è poi
un centinaio di immigrati che vive in abitazioni private sparse nel territorio. Di quest’ultimi 50 provengono
dall’Europa dell’Est e gli altri sono somali, guineani, burkinabé.
I dati emersi dall’indagine delineano una situazione abbastanza complessa dal punto di vista dei bisogni
disattesi espressi dagli immigrati della zona.
49
Centro di cittadinanza sociale per immigrati
Gruppi di lavoro- Coop. Dedalus
Cittadini stranieri residenti nei quartieri di Barra e Ponticelli (v.a. e v.p.)
Barra Ponticelli
Totale
v.p.
Europa dell’Est
327
50
377
70,6
di cui Jugoslavia e Macedonia
70
4
74
13,9
di cui Albania
232
19
251
47,0
Nord Africa
9
41
58
10,9
Africa Occidentale
27
3
30
5,6
di cui Costa d’Avorio
18
0
18
3,8
Altra Africa
16
2
18
3,4
Asia
9
8
17
3,2
America Latina
16
20
36
6,7
America del Nord
5
2
7
Europa Occidentale
13
17
30
Oceania
3
2
5
Altre provenienze
2
4
6
1,1
Totale paesi a bassa pressione migratoria
406
128
534
100,0%
Totale
427
149
576
Fonte: Elaborazioni Dedalus su dati del Comune di Napoli - anno 2003
Le interviste per monitorare le loro condizioni abitative e lavorative, le difficoltà sul piano giuridico, il livello
d’inserimento scolastico dei loro figli minori e il loro grado di integrazione culturale e sociale sono state
rivolte a numerosi testimoni qualificati: gli operatori dello Sportello Immigrati di Ponticelli, i giovani volontari di
ispirazione sia laica che cattolica che da anni operano sul territorio, il presidente dell’Unione degli Ivoriani
della Regione Campania (Uirc) i dirigenti scolastici e i docenti delle scuole della zona; abbiamo raccolto
inoltre il parere delle associazioni del terzo settore, dei consiglieri e delle responsabili dei Servizi Sociali delle
Circoscrizioni di Barra e di Ponticelli, in considerazione del fatto che il campo “Bipiani” è situato in parte nel
quartiere di Barra (villaggio A) e in parte in quello di Ponticelli (villaggio B). Numerose sono state le interviste
condotte con i giovani immigrati e con i capi comunità riconosciuti che abitano nei “bipiani” per la rilevazione
dei bisogni concernenti il lavoro e la casa. Dai dati oramai quasi definitivi, in nostro possesso, è stato
possibile effettuare una prima analisi dei bisogni dalla quale emerge una situazione che in alcuni settori è
decisamente allarmante.
3.4.2 La condizione abitativa
Le condizioni abitative degli immigrati a Ponticelli e Barra, come si è detto in premessa, presentano molte
problematiche legate alla concentrazione di centinaia di immigrati in prefabbricati ricchi di amianto e in
condizioni di degrado.
Si tratta di due “villaggi” tra la circoscrizione di Ponticelli e quella di Barra, separati da via Isidoro Fuortes.
Nel complesso, sono 30 bipiani (12 che ricadono nella circoscrizione di Ponticelli e 18 in quella di Barra)
installati a seguito del terremoto del 1980 per ospitare temporaneamente le famiglie italiane le cui abitazioni
erano state danneggiate dal sisma. Tali container furono poi lasciati dalle famiglie terremotate a seguito della
assegnazione di case popolati (legge 219/81) o delle risistemazione delle abitazioni danneggiate, e quindi
occupati in forma spontanea ed auto-organizzata da famiglie di italiani e di immigrati. Attualmente vivono nei
bipiani complessivamente oltre 800 stranieri di cui circa la metà è rappresentato da minori.
Il campo bipiani, ha subito numerosi rimaneggiamenti abusivi - operati soprattutto dai rom - derivanti
dall’abbattimento di alcune case e dalla separazione di altre per ottenere alloggi più piccoli, ma per un
numero maggiore di famiglie. Attualmente, esso comprende 158 abitazioni, di cui 104 collocate nel villaggio
A e 54 appartenenti al villaggio B.
Nel villaggio A, che ricade nel territorio di Barra, la presenza degli immigrati è così distribuita:
- 74 case sono abitate da famiglie albanesi con una media di circa sei persone per ogni abitazione. Si
tratta di nuclei familiari composti dai genitori, tre/quattro figli e qualche parente che ha ottenuto il
ricongiungimento (solitamente un fratello o un genitore del capofamiglia o della moglie)
- 21 abitazioni sono occupate in gran parte da ivoriani, da una famiglia burkinabé e una guineana. Fatti
salvi alcuni casi di famiglie, qui si tratta per lo più di giovani tra i 23 e i 40 anni che convivono sotto lo stesso
tetto pur non avendo alcun legame parentale tra di loro. Tale condizione ha costretto molti ad un
cambiamento notevole rispetto alle abitudini che avevano nei loro paesi circa il modo di gestire la casa:
alimentazione, abitudini igieniche, decoro, relazioni sociali ecc.
50
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Gruppi di lavoro- Coop. Dedalus
- 9 alloggi sono stati assegnati a famiglie italiane.
Nel villaggio B, che ricade nel territorio di Ponticelli, troviamo invece 54 abitazioni di cui una abitata da
una famiglia albanese (5 persone), una da 4 ivoriani e 52 dalla comunità rom la cui media abitativa è
costituita da 7 persone per ogni casa: padre, madre e figli a loro volta sposati e con altri figli.
La situazione strutturale del villaggio B è decisamente peggiore rispetto al villaggio A. Qui le case sono
distribuite in maniera confusa e disordinata, tettoie e verande improvvisate sorgono un po’ ovunque, ogni
piccolo spazio libero viene occupato per costruirvi sgabuzzini o spacci per la vendita di bibite e altro.
In generale, l’area dove sorgono i bipiani, ben separata dalle abitazioni del quartiere, presenta
numerosissime carenze. Collocati al margine della periferia orientale, i due gruppi di prefabbricati sono
separati da una strada a scorrimento veloce, la quale rappresenta un pericolo serio (più volte segnalato)
vista la numerosissima presenza di bambini che, privi di spazi attrezzati, rischiano tutti i giorni di essere
travolti dalle auto che sfrecciano lungo tale strada, loro luogo di gioco e di socializzazione. I bipiani sono
case realizzate con prefabbricati di amianto, sostanza notoriamente cancerogena, che viene liberata nell’aria
circostante a seguito dell’invecchiamento della struttura.Ogni abitazione di circa 40/50 mq, è formata da due
stanze più un bagno e una cucina che in alcuni casi, in seguito a rimaneggiamenti interni, diventa un saloneingresso. Le caratteristiche principali sono costituite da fogne a cielo aperto, dalla presenza di scarafaggi,
zecche e ratti (quest’ultimi sfrecciano da una stanza all’altra, si infilano nei mobili, sulla cucina, perfino nelle
pentole sfuggendo all’inutile tentativo degli abitanti di catturarli con sistemi rudimentali rappresentati da pezzi
di carta ricoperta di colla e lasciati un po’ dappertutto nelle case, su cui di tanto in tanto qualche topo
squittisce). I cumuli di spazzatura e altri rifiuti di ogni genere (si tratta per lo più di carcasse di auto vecchie,
elettrodomestici in disuso, reti e materassi logori ivi lasciati anche da estranei che usano tale area come
discarica) giacciono per giorni e giorni prima di essere rimossi. Gli impianti elettrici sono logori e pericolosi,
fili elettrici volanti passano da una casa all’altra, i sistemi idrici erosi provocano in molti casi la fuoriuscita di
acqua per giorni e giorni senza che nessuno intervenga. Le abitazioni superaffollate e umide (soprattutto
quelle dei rom) presentano infissi logori, il cattivo funzionamento degli impianti fognari provoca, in caso di
piogge, l’allagamento delle strade per cui risulta impossibile entrare nelle case senza affondare i piedi in un
pantano nauseabondo. Molte case sono privi di scaldabagni pertanto è necessario riscaldare l’acqua sul
fornello per lavarsi. In inverno le case sono gelate, chi non ha mezzi economici per riscaldarsi soffre per
l’intenso freddo; qualcuno si riscalda con vecchie e pericolose stufe a gas ricevute da un conoscente. Pochi
(in particolare gli Albanesi) ne comprano una nuova. Tale comunità è quella che cura maggiormente la
propria casa. D’estate le case si surriscaldano, il caldo è soffocante per effetto sia della presenza di latta che
copre qualche tetto, sia per l’insufficienza delle finestre molte delle quali hanno vetri barrati, pertanto risulta
difficile aprirle. In generale, sono arredate con mobili reperiti qua e là e spesso si tratta di materassi vecchi,
logori, sporchi, in alcuni casi poggiati direttamente a terra. Vengono reperiti e riciclati mobili a volte anche
inutili, poltrone, suppellettili, fiori di plastica, vecchie bomboniere, il risultato è costituito da un decoro della
casa enormemente condizionato da ciò che si trova e pertanto svuotato di qualsiasi valore rappresentante la
cultura, il vissuto e le esperienze passate, la storia di quella famiglia o di quelle persone. Mancano
completamente gli spazi per il gioco e la socializzazione. Tale situazione ambientale provoca numerose
malattie respiratorie e della pelle, i bambini vivono epidemie cicliche, contagiandosi l’un l’altro. Ciò descrive
bene come le condizioni igienico sanitarie di tale struttura siano al di sotto di ogni standard di vivibilità. La
situazione abitativa in cui gli immigrati di questa zona si trovano, ostacola i ricongiungimenti familiari visto
che né l’Asl, né gli uffici comunali preposti all’accertamento di idoneità delle abitazioni, hanno mai voluto
rilasciare un certificato di agibilità di queste abitazioni, che costituisce una delle condizioni essenziali affinché
un cittadino immigrato possa ottenere il ricongiungimento di un proprio familiare.
Numerose sono state le iniziative intraprese sia dal Comitato di lotta per l’abbattimento dei bipiani costituito dalle associazioni del quartiere e che hanno visto la partecipazione compatta di numerosissimi
immigrati - sia dai Consigli circoscrizionali di Barra e Ponticelli che hanno votato alcuni ordini del giorno, nei
quali si chiedeva l’abbattimento dei bipiani e una soluzione dignitosa al problema della casa per gli immigrati.
Su tale problematica, i passati Consigli circoscrizionali hanno richiesto ed ottenuto una serie di incontri
con gli assessori della precedente giunta comunale per discutere di alcune possibili soluzioni e su cui
ottenere l’impegno da parte della Giunta comunale stessa. Una delle soluzioni avanzate che ha trovato in
passato un comune accordo è stata quella che vede da un lato l’individuazione di un’area localizzata fra
Barra e Ponticelli dove costruire un nuovo campo per i rom, e dall’altro proporre un sostegno economico per
nuove soluzioni abitative per gli albanesi e gli ivoriani. Tale soluzione, dettata principalmente dalla necessità
di liberare l’area territoriale di riferimento dai bipiani in quanto essa rientra nei Pru (Programma di
Riqualificazione Urbana), ha accesso le discussioni fra le comunità immigrate interessate che su questa
proposta hanno espresso posizioni diverse.
Infatti, gli immigrati di origine albanese, che rappresentano il maggior numero di persone in possesso del
permesso di soggiorno, ritengono che un supporto economico non risolverebbe la loro situazione, viste le
difficoltà a trovare un alloggio, gli affitti troppo alti ai quali difficilmente essi potrebbero far fronte anche con
51
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Gruppi di lavoro- Coop. Dedalus
un supporto da parte del Comune, dati i loro magri salari e l’alto numero di figli. Essi ritengono che il
Comune possieda ancora abitazioni sfitte che potrebbe mettere a loro disposizione.
I rom divisi in serbi, kosovari e macedoni (quest’ultimi rappresentano il gruppo più numeroso a Ponticelli),
viste anche le contraddizioni e i litigi che li hanno caratterizzati negli ultimi tempi, vorrebbero dei campi
separati, cosi come dichiarato nelle interviste.
Gli ivoriani sono d’accordo per qualsiasi soluzione ma ritengono che andrebbe fatto un nuovo censimento
sulla base del quale individuare i nuovi occupanti a cui destinare un aiuto economico come supporto alla
ricerca della casa oppure assegnare una nuova abitazione che essi si dicono disponibile a condividere, così
come fanno attualmente. Purtroppo, nonostante le numerose discussioni e incontri promossi da un comitato
di lotta per l’abbattimento dei Bipiani, malgrado tante mozioni approvate dai Consigli Circoscrizionali di Barra
e Ponticelli, malgrado l’invio di lettere di denuncia di tantissimi abitanti di Ponticelli, nessuna decisione è
stata ancora presa, nessun intervento concreto è stato mai realizzato.
3.4.3 Il lavoro
Anche l’area del lavoro e della formazione denota le molteplici differenze fra le comunità immigrate
presenti nella zona. Infatti ogni comunità attua strategie diverse di ricerca e di mantenimento del proprio
lavoro. Un dato però le caratterizza tutte: gli orari massacranti, la precarietà lavorativa e il trattamento a cui
sono soggetti. Come dicevamo nella descrizione del territorio, Ponticelli è caratterizzata dalla presenza di un
nucleo agricolo che si dedica alla coltura di prodotti locali e a quella dei fiori. Tale situazione ha favorito, per
certi versi, l’inserimento lavorativo per gli immigrati albanesi.
Dalle interviste realizzate è emerso che i lavori a cui si dedicano prevalentemente gli immigrati di origine
albanese di Ponticelli sono quelli del lavoro in campagna che viene svolto sia dalle donne che dagli uomini.
Gli albanesi lavorano prevalentemente nelle campagne di Ponticelli poco lontano dalle loro case, molti
raggiungono i luoghi di lavoro a piedi a testimonianza della vicinanza tra luogo di residenza e luogo di lavoro;
alcuni invece lavorano nelle campagne dei comuni limitrofi (S. Giorgio a Cremano o Cercola). Essi sono
impiegati sia nelle serre che nei campi nelle diverse fasi della lavorazione della terra: dalla semina al
raccolto. Si tratta di lavoratori dipendenti stipendiati mensilmente, nella quasi totalità dei casi sprovvisti di un
contratto di lavoro, e in molti casi anche del permesso di soggiorno, il cui possesso, comunque, non è
garanzia di migliori condizioni lavorative.
L’origine contadina di molti immigrati albanesi– secondo i testimoni ascoltati – ne favorisce l’inserimento
in attività agricole, seppure in condizioni di estremo disagio. Infatti, i salari si mantengono bassi e raramente
superano i 500 euro mensili, gli orari sono molto prolungati, la maggior parte di essi lavora dalla mattina alla
sera per un totale di 10 ore, e non vengono riconosciute le ferie, né i permessi retribuiti. Sono stati tuttavia
segnalati alcuni casi dove le condizioni di lavoro offrono maggiori garanzie ai lavoratori.
Le donne albanesi, che non lavorano in agricoltura, sono occupate nei servizi domestici a ore. Alcune
riescono anche a lavorare tutto il giorno, presso una sola famiglia percependo uno stipendio mensile che si
aggira sui 400 euro .
La comunità albanese trova lavoro con l’aiuto dei propri connazionali fra di loro c’è infatti l’abitudine di
chiamare un proprio connazionale se c’è richiesta di manodopera. Un altro modo di procurarsi il lavoro è
attraverso amici italiani (pochi in verità), oppure grazie all’iniziativa di singole persone che, in maniera
solidale, sostengono gli immigrati nella ricerca di un lavoro, spesso con esito positivo grazie ai loro legami
con gli abitanti della zona.
Una parte consistente di albanesi che vivono a Ponticelli si dedica al commercio dei panni smessi. Sono
pervenuti a tale attività dopo aver messo da parte un po’ di soldi per l’acquisto dei Tir con i quali trasportano
in Albania, sulle navi, le balle di stracci vecchi che vengono venduti all’ingrosso a commercianti albanesi.
Questi lavori sono realizzati da tutto il nucleo familiare con l’aiuto di qualche figlio grande, qualche fratello o
cugino. Non mancano, soprattutto fra gli irregolari, quelli che si dedicano ai lavori nei servizi: ai distributori di
benzina, nei lavaggi auto, nell’edilizia, nel commercio. In questo caso, il salario medio si aggira intorno ai
400 euro mensili per giornate di lavoro molto lunghe.
Non esistono, secondo gli intervistati, minori che si dedicano al lavoro. La famiglia albanese si è
moderatamente integrata economicamente, ai bisogni della famiglia provvedono prevalentemente i genitori
che hanno scarse difficoltà nella ricerca di un lavoro. Essendo padri e madri di famiglia, anche di età
avanzata, preoccupati di provvedere ai propri figli, sentono scarsamente l’esigenza di una formazione per
avere accesso ad un lavoro migliore.
Gli Ivoriani lavorano prevalentemente nelle piccole fabbriche manifatturiere della zona o si spostano
anche in posti lontani dalle loro abitazioni. I lavoratori si impiegano prevalentemente come operai nelle
fabbriche, manovali nell’edilizia, facchini nei mercati dove scaricano e caricano la merce, guardiani di notte,
commessi in alcuni negozi, collaboratori domestici. Per quel che riguarda il lavoro nelle fabbriche, si tratta
per lo più di piccole e piccolissime unità produttive di lavorazione di scarpe e pellami, plastica e imprese
tessili.
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Gruppi di lavoro- Coop. Dedalus
Gli Ivoriani trovano lavoro generalmente da soli, andando a chiedere direttamente ai possibili datori di
lavoro, altri ricorrono al canale dei connazionali. Qualcuno lo trova grazie all’aiuto di amici italiani. Anche per
gli ivoriani le condizioni di lavoro sono dure, i salari bassi, dai 400 ai 450 euro mensili, qualcuno arriva a 500
euro. I più fortunati, anche perché in Italia da più tempo ed in possesso del permesso di soggiorno, arrivano
a contrattare uno stipendio pari a 600 euro mensili.
Gli orari di lavoro sono quasi sempre molto lunghi e più in generale vi sono precarie condizioni di lavoro e
diffuse sono le forme di sfruttamento; infatti gli ivoriani sono spesso vittime di licenziamenti improvvisi. Di
fronte a casi eclatanti di non rispetto dei diritti sul luogo di lavoro, gli immigrati fanno generalmente ricorso ai
sindacati. Le relazioni sul luogo di lavoro, secondo quanto ci è stato riferito, sono di frequente difficili e
quando le condizioni di lavoro sono uguali a quelle di altri lavoratori, essi vengono trattati spesso “come
l’ultima ruota del carro”. Nella migliore delle situazioni le relazioni con i loro datori di lavoro sono
caratterizzate da un eccessivo paternalismo da parte di questi ultimi. Ma la paura della perdita del posto di
lavoro, l’elevata ricattabilità cui sono soggetti in tal senso, fa sì che spesso gli immigrati ivoriani debbano
sopportare tali condizioni.
Gran parte dei lavoratori della Costa d’Avorio ha una scarsa formazione e molti non lavoravano nel loro
paese d’origine per cui, giunti in Italia, si adattano a svolgere qualsiasi lavoro. Alcuni di essi hanno realizzato
qui sul territorio esperienze di formazione, innanzitutto di alfabetizzazione alla lingua italiana, altri hanno
seguito corsi di informatica, settore quest’ultimo molto ambito dagli ivoriani. Ma per la maggior parte di essi
la formazione avviene nello stesso luogo di lavoro attraverso la pratica.
Diversa è la situazione per le donne africane presenti nel quartiere; esse, solitamente, riescono a
valorizzare alcune loro abilità fra cui quella di intrecciare i capelli. D’estate soprattutto, si riuniscono in gruppi
informali e insieme fanno trecce per l’intera giornata alle ragazze del quartiere che arrivano sempre più
numerose. L’attività è remunerativa infatti il guadagno è di circa 100 euro a persona. Però il lavoro è lungo e
faticoso; lo eseguono stando in piedi tutta la giornata, lavorando a due o tre per intrecciare i capelli della
stessa persona.Alcune vorrebbero mettere su un negozio, ma o non hanno i mezzi per farlo o hanno paura
di rischiare.
Una delle idee più diffusa tra le donne ivoriane è quella di svolgere attività commerciali con il proprio
paese, com’è già riuscito a fare qualcuno. Anche in questo settore occorrono investimenti, ma molte non
riescono a mettere da parte i soldi necessari, occorre anche un collaboratore in Costa d’Avorio, una persona
di cui fidarsi per affidargli la merce da vendere. Alcuni pensano anche di formare delle cooperative, ma non
sanno da dove cominciare. Rappresentanti della comunità ivoriana ci hanno riferito di avere aspettative
molto alte nei confronti delle istituzioni, nelle quali hanno grande fiducia, e delle associazioni del terzo
settore, proprio per ciò che riguarda la formazione al lavoro autonomo.
Per ciò che riguarda l’inserimento lavorativo dei rom, la loro situazione appare ancora più complicata
rispetto a quella degli altri immigrati presenti nella zona. La sparizione dei loro mestieri, le trasformazioni
economiche e sociali, i pesanti e gravi pregiudizi che i locali hanno nei loro confronti li condannano, quando
non riescono ad impiegarsi nel commercio, ad una disoccupazione che alimenta la loro presenza in attività
illegali. Negli ultimi tempi anche a causa delle restrizioni legislative, molti stanno emigrando verso il nord
dove alcuni di essi trovano lavoro nelle fabbriche e migliori condizioni di vita.
Da parte di tutti è emerso come bisogno quello di avere maggiori diritti e garanzie lavorative, più
informazioni e tutela legale, più formazione e sostegno al lavoro autonomo. In altre parole, il bisogno
riguarda la parità di trattamento e di opportunità come lavoratori.
3.4.4 La scuola
Meno drammatica di quella della casa, ma certamente non meno problematica, appare la situazione
relativa all’inserimento scolastico degli alunni stranieri nelle scuole di Ponticelli.
Alunni stranieri presenti nelle scuole del territorio di riferimento
Totale
Comunità presenti
57° circolo didattico
96
albanese e rom
70° circolo didattico
16
albanese e rom
S. M. S. G. B. Marino
26
albanese e rom
S. M. S Borsi-Prota Giurleo
6
albanese e ucraina
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Nel corso dell’indagine sono emersi dei dati molto significativi pubblicati dall’Assessorato all’Educazione
del Comune di Napoli sull’inserimento dei minori stranieri nelle scuole napoletane nell’anno scolastico
2001/2002. Da tali dati risulta che le scuole elementari e medie pubbliche di Ponticelli con una percentuale
del 2,6% di alunni stranieri inseriti, risultano essere le scuole napoletane con la più alta percentuale di minori
stranieri rispetto al totale degli iscritti: 5.013.
Riguardo gli istituti privati, solo due strutture del territorio hanno ospitato, nel corso dell’a.s. 2001/2002,
minori di origine straniera: l’Orfanotrofio Verolino (semiconvitto, materna privata, elementare e media
inferiore pubblica) e l’Istituto Caterina Volpicelli (materna ed elementare paritaria). Questi istituti, a carattere
religioso, hanno accolto sette minori: due al semiconvitto, uno alla materna, e quattro alle elementari.
Per i minori ospitati nell’Orfanotrofio Verdolino, la retta è pagata dal comune di Napoli, mentre per quelli
presenti presso l’Istituto Caterina Volpicelli, la retta è pagata dalle famiglie, e, nel caso di difficoltà
economiche di quest’ultime, i minori sono ospitati gratuitamente.
L’inserimento degli albanesi nelle scuole della zona è quello più datato, esso è iniziato infatti nel 1994, ad
esso è seguito quelli di qualche alunno ivoriano ed infine faticosamente quello di alcuni bambini rom. Questi
ultimi solo negli ultimi tre anni hanno avuto un grosso incremento.
Per ciò che riguarda l’età, dalle interviste è emerso che l’iscrizione è in regola per quasi tutti gli alunni
albanesi non lo è nella maniera più assoluta per quelli rom che comunemente sono inseriti in classi inferiori
alla loro età.
Il dato del maggiore successo scolastico degli alunni albanesi, evidenziato dai docenti delle scuole
medie, è testimoniato anche dalla presenza di quest’ultimi nella scuola media inferiore e superiore, dove non
abbiamo registrato quella degli alunni rom. Infatti gli unici tre nuovi alunni rom iscritti presso la Scuola Media
Statale Marino nell’anno scolastico 2002/2003 non hanno mai frequentato e quindi sono già considerati
evasori. Questo ci fa ritenere che la mancanza di successo scolastico sia dovuta anche all’ appartenenza ad
una nazionalità. In particolare, quella rom vive un disagio che non è pari a nessun altra comunità, e tale
disagio si riverbera pesantemente sull’inserimento, sulla frequenza e, di conseguenza, sul successo
scolastico dei propri figli che, giunti ad una certa età, sono destinati dalle famiglie a tutt’altro percorso di vita.
Per quanto riguarda l’atteggiamento delle famiglie dei bambini immigrati nei confronti della scuola, i
docenti e i dirigenti intervistati hanno evidenziato che tali relazioni sono in parte insoddisfacenti e che le
cause di tale carenza sono da individuare, secondo la loro opinione, nella continua mobilità lavorativa dei
genitori, che li costringe a cambiare città e di conseguenza ad adattarsi a situazione nuove; alla scarsità dei
loro mezzi economici; ai loro orari di lavoro che sono all’origine di fenomeni di negligenza nei confronti dei
figli; la scarsa importanza che attribuiscono alla scuola.
Per quanto riguarda la discontinuità nella frequenza, che costituisce una delle cause dell’insuccesso, i
docenti hanno fatto presente che le cause sono da individuare nell’utilizzo dei minori in attività economiche
(questo fenomeno riguarda esclusivamente i minori rom costretto alla mendicità),cosi come nella situazione
di degrado ambientale nella quale sono costretti a vivere che, minando le condizioni di salute dei ragazzi, ne
compromette la frequenza scolastica.
Alcune di queste affermazioni coincidono con quelle rilasciate dagli immigrati intervistati ed in particolare
quelle relative alla scarsità dei mezzi economici, all’orario di lavoro e le cattive condizioni di salute alle quali
si aggiungono lo scarso aiuto da parte delle istituzioni (trasporto, sussidi per l’acquisto dei libri ecc); le
preoccupazioni dovute alla mancanza del permesso di soggiorno e quindi al pericolo di essere allontanati; l’
impossibilità a mandare a scuola tutti i figli in quanto necessitati a dover contare sul loro aiuto (questa
situazione determina un fenomeno di maggior analfabetismo tra le bambine rom costrette ad impegnarsi in
attività di cura della casa o dei loro fratelli minori); l’ostilità del territorio.
A questo punto, dobbiamo evidenziare alcune problematiche emerse in seguito alle interviste relative alle
difficoltà dell’inserimento scolastico degli alunni stranieri.
Le interviste realizzate con i dirigenti e i docenti delle scuole interessate, hanno evidenziato alcuni dati
comuni a tutte. In primo luogo, il personale docente, malgrado la cospicua presenza, tra l’altro in continuo
aumento, di alunni stranieri, è ancora privo della formazione necessaria per assicurarne un inserimento
rispettoso della loro identità e delle loro culture di provenienza. Inoltre, gli strumenti e i sussidi didattici
necessari per l’acquisizione di competenze e abilità, che vanno dal sapere leggere e scrivere e favorirne
un’integrazione rispettosa della loro lingua oltre a facilitarli nell’apprendimento, sono inesistenti.
Le problematiche maggiori riguardano l’inserimento scolastico dei minori rom che, iniziato e difeso in
maniera costante negli ultimi tre anni dalle associazioni del terzo settore, è in netto aumento rispetto agli
anni precedenti, superando numericamente, nelle scuole elementari, quello degli alunni albanesi, la cui
frequenza scolastica è cominciata molto tempo prima.
Dalle interviste è emerso che, in generale, nei riguardi degli alunni appartenenti alle famiglie immigrate
che vivono nel quartiere l’offerta formativa della scuola è estremamente debole. Tale debolezza si manifesta
in maniera ancora più evidente nella scuola media e nei confronti degli iscritti di origine rom.
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Gruppi di lavoro- Coop. Dedalus
La scuola, infatti, si interroga scarsamente, in maniera collettiva, sulle strategie da individuare, sulle
metodologie per facilitare il percorso formativo. La mancanza di pianificazione a lungo termine di una
didattica interculturale fa sì che l’inserimento e il successo scolastico degli alunni immigrati siano affidati
unicamente alla buona volontà e disponibilità del singolo insegnante, pertanto quando questa disponibilità
viene meno, all’alunno straniero non resta che vivere una situazione emarginante all’interno della classe. Ciò
che manca è una seria formazione; i percorsi formativi sono estemporanei. Intanto c’è da precisare che i
percorsi di educazione interculturale realizzati nelle scuole di tale territorio dalle associazioni del terzo
settore (come l’Associazione Oltre i Confini, il Cidis Alisei, Grammelot con l’attuazione del Progetto “Ciao”
finanziato dal Comune di Napoli ed in particolare l’Associazione Culturale N:ea che da due anni gestisce lo
Sportello Informativo per Immigrati di Ponticelli, ma che a partire dal 1996 ha realizzato nei Circoli didattici e
nelle scuole medie inferiori e superiori di questi quartieri) sono state numerosissime. Tali iniziative, pur
avendo determinato un risultato positivo dal punto di vista del coinvolgimento degli studenti napoletani in
attività interculturali (il numero degli studenti coinvolti è nell’ordine delle migliaia nel corso degli anni), della
formazione dei docenti, della sensibilizzazione delle famiglie immigrate per la scolarizzazione dei loro figli;
pur avendo garantito numerosi supporti quali la presenza di mediatori culturali e linguistici, mediazione
culturale con le famiglie, disbrigo di pratiche per l’iscrizione e per l’ottenimento di altri servizi, risultano
insufficienti rispetto alle esigenze derivanti dall’aumentato numero di minori stranieri iscritti. Inoltre, si è
evidenziata la scarsa capacità della scuola di valorizzare tale collaborazione. Lo sforzo e la disponibilità di
docenti sensibili sono spesso frustrati da risultati che non sempre si rivelano sufficienti.
Nel riportare alcuni dati sui progetti e sulle attività realizzate in orario curriculare dalle associazioni del
terzo settore, negli ultimi due anni in favore degli alunni stranieri occorre precisare alcune informazioni.
Dall’indagine è emerso che il 57° e il 70° Circoli Didattici costituiscono scuole il cui personale docente ha
evidenziato già a partire dagli anni 1995/1996 una moderata sensibilità e interesse verso la didattica
dell’intercultura. Tale interesse è dimostrato dalla realizzazione negli anni precedenti a quelli che
costituiscono l’oggetto della nostra indagine, di numerose attività di Educazione Interculturale, di Formazione
dei docenti all’Intercultura e da altre iniziative realizzate in collaborazione con le Circoscrizioni di Barra e
Ponticelli. Purtroppo si è verificato che quando il supporto delle associazioni del terzo settore non è stato
garantito, la scuola, rimasta sola, si è ritrovata completamente incapace di continuare i percorsi avviati e di
conseguenza l’educazione interculturale si è risolta nell’organizzazione, in alcuni periodi dell’anno scolastico,
di iniziative didattiche improntate al rispetto delle culture, dell’ambiente e alla solidarietà sfociati a loro volta
in manifestazioni che promuovevano il protagonismo degli alunni stranieri (Natale a Barra, Carnevale della
Diversità, Cento strade per giocare).
Dai dati in nostro possesso è emerso inoltre che negli anni scolastici 2000/2001, 2001/2002 e 2002/2003,
anche in seguito all’aumento delle iscrizioni di alunni appartenenti alle comunità straniere, queste due scuole
hanno elaborato una programmazione annuale connotandola fortemente in senso interculturale
(rafforzamento della conoscenza di altre culture, interscambio culturale e supporto didattico in favore degli
alunni stranieri). Tali programmazioni, che solo raramente si sono tradotte in pratica concreta, dimostrano
che la scuola sa individuare cosa occorre fare ma fa fatica a perseverare nell’attuazione di ciò che
programma. Le uniche iniziative concrete sono state quelle proposte dalle associazioni del terzo settore
realizzate in collaborazione con queste scuole. Ci riferiamo all’attivazione di laboratori pomeridiani finalizzati
ad aumentare l’offerta formativa e a favorire il potenziamento delle abilità e la socializzazione fra gli alunni
autoctoni e immigrati; all’organizzazione di iniziative rivolte al territorio o comunque realizzate in ambienti
esterni alla scuola; all’intensificarsi, in orario curriculare, di percorsi didattici finalizzati al miglioramento della
lingua italiana e delle abilità linguistiche di base, realizzate con il supporto di un mediatore linguistico di
origine straniera; alle attività di educazione interculturale rivolte prevalentemente agli alunni, immigrati e non,
delle classi quinte che sono stati coinvolti in percorsi educativo/didattici finalizzati a favorire la conoscenza,
l’incontro e il confronto fra alcune abitudini di vita, tradizioni e riti, ambienti degli abitanti del territorio di
Ponticelli e quelli di altri paesi.
Tali attività, sono state programmate e condotte da alcuni docenti delle classi, esperti esterni
rappresentati da figure di spicco locali (uno storico di Ponticelli), alcuni nonni e genitori, e mediatori culturali
di origine straniera. I risultati sono stati molto positivi sia dal punto di vista di saperi nuovi sia delle
metodologie. Il problema è che sembra che la scuola debba essere sollecitata e supportata continuamente,
pena l’indebolimento della qualità delle sue proposte operative.
A fronte di tanta collaborazione, testimoniata anche dal protocollo di intesa che il 57° Circolo Didattico ha
firmato con l’Associazione Culturale N:EA, in base al quale si è stabilita una convenzione finalizzata a
garantire la frequenza e il successo scolastico degli alunni stranieri, appare doveroso porsi alcuni
interrogativi.
Innanzitutto ci si chiede perché, malgrado le numerose iniziative che hanno coinvolto la scuola esistano
ancora problematiche così gravi relative all’inserimento scolastico degli alunni stranieri e perché le vittime
maggiori siano costituite dai minori rom il cui il tasso di analfabetismo e di dispersione scolastica è ancora
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molto alto. Inoltre ci si chiede quali altri servizi si debbano attivare in termini di mezzi, sussidi didattici,
organizzazione scolastica, risorse umane, affinché la scuola svolga concretamente il suo compito in maniera
tale da garantire il diritto allo studio a tutti gli alunni.
Le cause di ciò sono state rinvenute nella mancanza dell’ adozione concreta di una politica scolastica
nazionale per la quale l’inserimento scolastico degli alunni stranieri e il loro successo formativo
rappresentino una scommessa pedagogica di fronte alla concreta sfida costituita dalla multietnicità.
Concretamente tale carenza è stata rilevata nella mancanza di finanziamenti adeguati che determina la
frammentarietà degli interventi di supporto e delle attività interculturali troppo spesso legati all’approvazione
dei progetti; nella carente formazione continua dei docenti soprattutto sulle metodologie e tecniche
innovative e interculturali oltre che sui contenuti; nella mancanza di supporti e materiali didattici ed in
particolare di libri di testo, organizzati alla luce dei cambiamenti sociali e culturali intervenuti nel nostro paese
e quindi anche nella scuola; nella rigidità degli orari; nell’assenza di mediatori linguistici nelle scuole.
Dalle interviste emerge quindi l’insufficienza delle iniziative fin’ora realizzate, il bisogno di interventi
didattici e di supporti più duraturi e continui, più certezze in termini di stanziamenti di fondi per consentire
programmazioni educativo didattiche e attività che possano contare fin dall’inizio dell’anno scolastico di
risorse umane e materiali che garantiscano percorsi di riuscita e di successo scolastici; sul versante dei
docenti più formazione e presenza di figure diversificate; su quello delle famiglie immigrate maggiori servizi;
infine sul versante degli strumenti vengono richiesti mezzi didattici più adeguati. L’inserimento nella scuola e
la formazione degli alunni stranieri non può dipendere dal buonismo dei docenti o dei dirigenti scolastici ma
deve essere posto e affrontato quale diritto fondamentale dell’individuo.
3.5 ANALISI DELLA PRESENZA DI IMMIGRATI NELLA ZONA NORD
3.5.1 Breve descrizione del territorio
Il territorio denominato Zona Nord include le Circoscrizioni di Secondigliano, Scampia, Miano, Piscinola e
Chiaiano. Questi quattro quartieri sono tutti accomunati dai gravi problemi che caratterizzano le periferie
napoletane: alti tassi di disoccupazione, di evasione e dispersione scolastica e di criminalità organizzata.
Anche la situazione abitativa della popolazione locale è difficile, in quanto la diffusa precarietà economica
non permette il pagamento di un fitto per una casa vivibile ed esiste una consistente realtà di persone che
occupano scantinati e locali originariamente adibiti a negozi. Leggermente migliore è la situazione di
Chiaiano, a causa di una parziale persistenza di un’economia contadina.
Le caratteristiche del territorio determinano anche le caratteristiche dell’immigrazione. Queste zone, in
cui, come abbiamo detto, altissimo è il tasso di disoccupazione tra la popolazione locale, offrono pochissime
occasioni di lavoro per gli immigrati. Pur tuttavia, il basso costo di colf e badanti provenienti dall’Est europeo
fa sì che anche famiglie meno abbienti possano usufruire delle loro prestazioni. Inoltre, anche se per la
popolazione locale la situazione della casa è difficile, gli immigrati, senza pretese e spesso costretti a
dividere l’appartamento con più connazionali per ragioni economiche, non hanno grandi problemi a trovare
un appartamento pagando un fitto più basso che in altre zone della città. Per queste due ragioni, molti
immigrati (eccetto i rom) che abitano sul territorio, non partecipano, però, alla vita locale, lavorando e
svolgendo tutte le loro attività e la vita associativa al di fuori di esso. Va aggiunto che la zona Nord è
discretamente collegata con le altre parti della città, in particolare il centro ed il Vomero, dove gli immigrati
svolgono le loro attività lavorative. Il territorio è quindi, per gli immigrati, essenzialmente un quartiere
dormitorio.
La presenza di rom jugoslavi, che è la più grossa realtà di immigrati sul territorio, ha invece cause
differenti rispetto a quelle delle altre comunità presenti, già descritte. Il primo nucleo risale agli anni ’70,
quando Scampia era forse meno urbanizzata. La presenza di ampi spazi e di ponti per ripararsi, assenti in
altre parti della città, oltre alla mancanza di controlli in una terra di nessuno, hanno dato loro la possibilità di
raggrupparsi e vivere insieme, riproducendo, sia pure in maniera estremamente degradata, il villaggio rom
su base familiare. Dall’inizio degli anni ’90, in seguito alle guerre nei paesi della ex-Jugoslavia, i piccoli
gruppi di rom, che vivevano già in uno stato di grande degrado e abbandonati a sé stessi, sono diventati
migliaia.
La tabella che qui di seguito riportiamo, fornisce una panoramica sulla presenza, in termini residenziali,
degli stranieri nel territorio considerato.
Si può notare che, nel quartiere Chiaiano, gli stranieri residenti vedono una prevalenza di capoverdiani,
srilankesi, peruviani, e giordani mentre nei quartieri Miano e Piscinola, gli stranieri residenti non superano,
secondo i dati ufficiali, le 200 unità, con una leggera predominanza di srilankesi a Miano e giordani e libanesi
a Piscinola. Infine, i residenti stranieri di Scampia e Secondigliano sono rappresentati, in maggioranza, da
jugoslavi e, a seguire, da alcune comunità provenienti dall’Europa dell’Est
Sulla base di questi dati, quindi, il numero degli immigrati extracomunitari nei suddetti quartieri sarebbe in
assoluto tra i più bassi (la maggior parte delle residenze si registrano nei quartieri S. Ferdinando, Chiaia e
Posillipo con 3297 unità e il numero minimo: nella Zona Industriale con 4 residenti).
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Cittadini stranieri residenti nei quartieri di Piscinola, Chiaiano, Miano, Secondigliano, Scampia (v.a. e
v.p.)
Piscinola
Chiaiano
Miano Secondigliano Scampia
Totale
v.p.
Europa dell’Est
22
25
11
43
135
236
38,2
di cui Jugoslavia 2
1
0
12
117
132
21,4
Africa Occidentale 12
26
3
6
1
48
7,8
di cui Capo Verde 1
19
2
2
1
25
4,0
Nord Africa
10
19
6
15
9
59
9,6
Africa Orientale
3
4
2
0
3
12
1,9
Altro Africa
5
5
3
1
0
14
2,2
Asia Centrale
15
35
19
9
1
79
12,8
di cui Sri Lanka 10
31
12
6
1
60
9,7
Medio Oriente
30
56
0
9
4
99
16,0
di cui Giordania 11
21
0
7
4
43
7,0
America Latina
9
32
9
11
4
65
10,5
..di cui Perù
1
18
1
0
2
22
3,6
Altre provenienze 3
0
0
1
1
5
0,8
Totale parziale 109
202
53
95
158
617
100,0
Europa Occidentale49
55
7
18
Nord America
5
3
4
6
Oceania
2
2
5
13
Totale
165
262
69
Fonte: Elaborazione Dedalus su dati del Comune di Napoli - anno 2003
14
0
3
132
143
18
25
175
803
Un raffronto tra questi dati e quelli provenienti dalle altre fonti, che analizzeremo qui di seguito, conferma
solo in parte i numeri forniti dalle Circoscrizioni, offrendo una realtà diversa e più articolata. Qui di seguito
analizzeremo i dati forniti dall’Associazione Opera Nomadi e dall’Ufficio Immigrati della Cgil.
L’Opera Nomadi, un’organizzazione che da anni si occupa dei rom del territorio, conferma che il gruppo
di immigrati più numeroso in zona è quello dei rom di origine jugoslava. Dai censimenti periodici fatti da
questa associazione sul campo a partire dal 1994, risulta una situazione fluttuante dipendente da una serie
di fattori quali: le guerre nei loro paesi di origine, progetti realizzati sul territorio (es. l’allestimento di nuovi
campi sosta) sono causa di incremento, mentre episodi di intolleranza e politiche xenofobe (es. gli incendi
dei campi nomadi a Scampia nel 1999, e l’attuale legge Bossi-Fini) sono causa di forte decremento (i rom,
tristemente abituati alle persecuzioni, percepiscono prima di ogni altro popolo quando tira aria di
intolleranza). A partire dalla data del primo censimento, fatto dalla suddetta organizzazione, il numero di rom
ha subito variazioni oscillanti, passando dai circa duemila del periodo precedente agli incendi a circa mille
immediatamente dopo, per aumentare di nuovo a circa 1.700 al momento della consegna dei nuovi villaggi e
subire, attualmente, un decremento, dovuto alle recenti politiche nazionali. E’ impossibile, quindi, fornire una
stima precisa, data l’estrema variabilità della situazione e la grande mobilità di questo popolo. Al momento,
la comunità di rom jugoslavi (serbi per la stragrande maggioranza e un piccolo gruppo di macedoni) è divisa
tra i campi dati a disposizione dal Comune di Napoli, in via Circumvallazione Esterna, (92 famiglie, con un
numero di persone variabile da 600 a 800), e i campi abusivi non attrezzati tra via Aldo Moro e l’ex Centrale
del Latte (con un numero di Rom leggermente inferiore). La discrepanza tra questa realtà e il dato ufficiale
delle Circoscrizioni (1 residente a Chiaiano, 1 a Piscinola, 119 a Scampia e 14 a Secondigliano) è dovuta ad
una serie di circostanze ed in primo luogo al fatto che la maggior parte dei rom è priva di permesso di
soggiorno e ciò è confermato dall’ultimo censimento fatto da questa associazione a Scampia in data luglio
2002 dal quale emerge che la percentuale di Rom con permessi di soggiorno pari al 12% dei presenti in
zona. In secondo luogo, molti rom di Scampia che si sono regolarizzati con la sanatoria del 1998, non
risultano residenti in quella Circoscrizione perché la loro presenza sui campi non era riconosciuta, per cui
molti hanno pagato o si sono affidati alla buona volontà di qualche amico per ottenere una residenza, magari
in altre circoscrizioni o città. Ancora, molti che risultano residenti in queste circoscrizioni, vivono in altre città
o addirittura hanno lasciato l’Italia. Ora che l’iscrizione all’anagrafe dei rom a Scampia è possibile in seguito
al rilascio di attestati di dimora da parte dell’Assessorato alla Dignità del Comune di Napoli, i dati ufficiali dei
residenti stranieri nelle Circoscrizioni, tenderanno a coincidere sempre più con i dati reali sui Rom provvisti di
permesso di soggiorno. Attualmente, però, la percentuale con regolare autorizzazione a soggiornare nel
nostro paese tende ad aumentare, per due ragioni: 1) la recente regolarizzazione per lavoratori immigrati ha
57
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permesso a diverse persone di fare richiesta di permesso di soggiorno; 2) i rom senza permesso di
soggiorno tendono ad abbandonare il nostro paese. Inoltre è da notare che, pur essendo presente da molti
anni nei campi nomadi non attrezzati di Scampia una piccola comunità macedone, nessuno dei suoi
componenti risulta residente.
I dati forniti dal’Ufficio Immigrati della Cgil, confrontati con quelli delle Circoscrizioni, indicano che a
Secondigliano vive una comunità di circa 20 senegalesi, di cui non risulta traccia all’anagrafe. Essi vivono in
prossimità di Corso Secondigliano, ma lavorano tutti a piazza Garibaldi come ambulanti e non usano le
strutture del quartiere. A Miano risultano una decina di immigrati senegalesi che occupano
complessivamente 4 locali commerciali; sono solo uomini e svolgono attività commerciali a piazza Garibaldi
o attività marginali. Particolarmente numerosa è la comunità di capoverdiani, i cui membri, però, lavorano in
altre parti della città.
Una situazione nuova in questi quartieri è la presenza, relativamente alta, di donne provenienti dall’Est
Europeo (in particolare polacche e ucraine) che svolgono lavoro domestico presso le famiglie del luogo o
accudiscono anziani. Poiché i compensi corrisposti sono bassissimi, esse non possono permettersi un
appartamento autonomo e vivono nelle case in cui lavorano. Un’altra situazione particolare è l’alta presenza
di immigrati dai paesi medio-orientali, in particolare a Chiaiano e Piscinola, con qualche presenza a
Secondigliano e Scampia; in base alle testimonianze raccolte, sarebbero essenzialmente studenti o
professionisti che hanno scelto questi quartieri per la facilità di collegamento con le zone universitarie, il
Policlinico in primo luogo, e le zone centrali della città.
Infine, la presenza di stranieri in zona è rappresentata anche da persone che hanno contratto matrimonio
o convivono con italiani, in particolare donne immigrate dall’Est europeo con uomini italiani e donne italiane
con uomini medio-orientali. Tra i rom, invece, esiste qualche caso di matrimonio o convivenza tra donne
italiane o straniere non Rom e uomini Rom. Ripetiamo che la caratteristica delle comunità di immigrati non
rom rappresentate in questi quartieri è che esse non sono fortemente integrate nel territorio da un punto di
vista sociale, lavorano altrove e tornano nelle loro case soltanto per dormire.
La consistenza delle comunità di immigrati è, quindi, notevolmente aumentata nell’ultimo decennio, con
un notevole incremento dei rom in seguito alle guerre in Jugoslavia. Altre comunità di immigrati si sono
aggiunte, in particolare negli ultimissimi anni donne provenienti dai paesi dell’Est europeo.
3.5.2 La condizione abitativa
I rom quindi, rappresentano la comunità immigrata numericamente più consistente sul territorio in esame
e la questione della loro situazione abitativa rappresenta un annoso problema.
I primi gruppi di rom jugoslavi si sono installati nella zona verso la fine degli anni ‘70 e, dopo varie
peripezie, si sono stabiliti a viale Zuccarini, dando origine al primo campo rom a Scampia. Nel corso degli
anni si sono formati altri campi nella zona ex Centrale del Latte, tra via Aldo Moro e viale della Resistenza. Il
campo rom è sempre formato da membri di una stessa famiglia allargata, o da più famiglie dello stesso
gruppo, e questa aggregazione naturale è avvenuta anche a Scampia. Verso la fine degli anni ’80 e gli inizi
degli anni ’90, ai primi venti di guerra in Jugoslavia, la comunità rom si è notevolmente accresciuta, dando
origine ad insediamenti cospicui (come abbiamo già detto, all’epoca del 1° censimento dell’Opera Nomadi, i
rom a Scampia erano circa 2000). Nel 1997, per favorire l’apertura della metropolitana, una parte dei rom di
viale Zuccarini fu trasferita dal Comune nella rotonda adiacente. Nel luglio 1999, in seguito all’investimento
di due ragazze del quartiere (una delle quali parente di un boss della zona), i campi della rotonda furono dati
alle fiamme, saccheggiati e completamente distrutti. Lo stesso avvenne nei campi della ex-Centrale del
Latte, i quali però non furono mai del tutto abbandonati e si ripopolarono ben presto.
Nel luglio 2000 il Comune di Napoli ha allestito un campo destinato ai rom di viale Zuccarini in un’area
vicina al carcere di Secondigliano. Il campo si estende su un’area di circa 10.000 mq; ufficialmente si parla di
due campi divisi dall’uscita secondaria dell’istituto di detenzione. Il progetto ha previsto la creazione di 92
10
piazzole su cui sorgono prefabbricati (container modificato) di circa 40 mq e due centri polifunzionali .
Ciascun prefabbricato è dotato di servizi igienici individuali in muratura con tazza turca (richiesta dai rom
stessi), doccia, scaldabagno, acqua fredda e calda e luce. Il riscaldamento avviene tramite stufe elettriche.
Secondo gli accordi, le utenze sarebbero dovute essere a carico del Comune soltanto per il primo anno, e
successivamente, previa installazione di contatori individuali, a carico dei rom. Ma attualmente le utenze
sono ancora a carico del Comune. L’interno di ogni prefabbricato è stato modificato dai rom in base alle
esigenze delle singole famiglie con separazioni interne per ricavarne più stanze. Alcuni hanno tentato di
costruire strutture esterne abusive, vietate dal regolamento, che sono state però abbattute. Ogni campo ha
un centro sociale di circa 400 mq, in cui vengono svolte attività educative e di animazione finanziate dal
Comune ed attuate dall’Opera Nomadi, oltre ad un’infermeria, che però non è mai stata utilizzata a tale
10
Sigona N. 2002, pp. 70-80
58
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scopo. Vi sono anche spazi adibiti prima a parcheggi. I villaggi, però, hanno subito un rapido degrado,
perché essi, pur rappresentando una risposta all’emergenza creatasi nell’ultimo decennio, sono tuttavia
concepiti per un numero di persone troppo alto e la grande promiscuità provoca spesso problemi di
convivenza che sfociano anche in episodi violenti. Nel corso di una lite, alcuni containers sono stati
semidistrutti, ed i loro abitanti (un gruppo di kosovari) sono stati costretti ad andare via. Anche i due Centri
Sociali avevano subito gravi danni e recentemente il Comune li ha ripristinati, dotandoli anche di cancellate.
Se da un lato ciò ne preserva l’integrità e permette lo svolgimento di attività educative, dall’altro priva i rom di
ogni momento di vita associativa autonoma. Oltre al sovraffollamento, una delle cause del degrado sta nel
mancato intervento e controllo da parte del Comune. Inoltre, manca la manutenzione ordinaria e i rifiuti non
vengono rimossi. All’inizio la pulizia dei campi era stata finanziata dal Comune e gestita dai Rom stessi, ma i
risultati non erano adeguati alle necessità e il progetto non è stato rifinanziato. Attualmente non tutti i
prefabbricati sono occupati, tra cui quelli dei kosovari, e il Comune si è impegnato a fare una graduatoria tra
coloro che devono entrarvi, ma siccome questo non avviene, vi è un avvicendamento autonomo di famiglie,
che a volte pagano la famiglia uscente per occupare il container. Il campo, pur rappresentando un’alternativa
migliore rispetto alla sistemazione in cui erano costretti a vivere precedentemente, presenta una serie di
difficoltà per i rom che vi abitano. In primo luogo, la zona è completamente sprovvista di collegamenti con la
città e d è isolata dalla maggioranza dei servizi fondamentali quali scuole, negozi ed ospedali. In secondo
luogo, il campo è posto proprio nei pressi della circumvallazione esterna - strada a scorrimento veloce e,
dunque, molto pericolosa - e vicino ai pali dell’alta tensione. Inoltre la concentrazione di circa 700 persone in
quest’area comporta numerose occasioni di conflitti.
I campi abusivi non attrezzati, che “ospitano” tutti i rom di Scampia che non hanno trovato posto nei nuovi
villaggi, sono 5 e sono situati tra via Aldo Moro e l’ex Centrale del Latte, sotto l’Asse Mediano. Le “abitazioni”
sono costituite da roulottes o baracche di grandezza variabile (max.50 mq), senza acqua né luce, in una
situazione igienica proibitiva, tra ratti e immondizie, in quanto la zona è anche luogo di scarico abusivo di
materiale edilizio e vario. Ogni baracca o roulotte è abitata in media da 6-8 persone. I rifiuti non vengono
rimossi. Non esistono servizi igienici, e i rom per le loro funzioni corporee usano due assi di legno distanziate
(a mo’ di tazza turca) collocate su buchi scavati nel terreno e protetti da pareti di legno. Quando questi buchi
si riempiono, essi li chiudono e ne aprono altri e così via, con ulteriore grave degrado per l’ambiente. Un
campo, conosciuto come le case rosa, è più pulito e ha costruzioni in legno pavimentate in cemento e
piastrelle, di aspetto gradevole, ma è sotto sequestro giudiziario per abusivismo. D’inverno le baracche
vengono riscaldate con stufe a legna in metallo o rame costruite dai rom stessi, che vengono usate anche
per cucinare, in particolare il pane e il burek (tipica pizza balcanica). Queste stufe, belle e funzionali, sono
però molto pericolose perché provocano facilmente incendi; inoltre, il fumo dei materiali bruciati (legno
trattato e qualche volta plastica) è molto nocivo alla salute: un’indagine fatta alcuni anni fa da medici del
Servizio Epidemiologico dell’Asl, in collaborazione con l’Opera Nomadi, rivelò che moltissimi bambini rom
soffrivano di anemia; tale patologia era probabilmente causata dall’ossido di carbonio delle stufe, in quanto
non giustificata dall’alimentazione dei Rom che è ricca di ferro. Dei 5 campi abusivi, uno (quello tra via Aldo
Moro e viale della Resistenza, dietro la Caserma dei Pompieri) è abitato da rom serbo-ortodossi dello stesso
gruppo dei Villaggi attrezzati (mrznarija), 3 da serbo-ortodossi di un gruppo strettamente imparentato
(bankulesti) e 1 da macedoni mussulmani. Al momento dell’allestimento dei nuovi Villaggi, il Comune aveva
promesso una sistemazione in tempi brevissimi per gli abitanti dei campi abusivi e il Presidente della
Provincia si era impegnato a trovare terreni in provincia, ma a distanza di più di due anni la situazione è
irrisolta.
Molti rom vorrebbero trasferirsi in case in affitto, ma le possibilità sono praticamente inesistenti, sia
perché molti sono sprovvisti di permessi di soggiorno, sia per i forti pregiudizi da parte dei padroni di casa
della zona. In tutta la zona nord, i padroni di casa si rifiutano di affittare case ai rom, i quali hanno qualche
possibilità di trovare qualcosa che abbia una parvenza di casa solo nel quartiere S. Lorenzo, nella zona della
Sanità e a Castelvolturno.
Da ciò si evince che i principali bisogni dei rom relativi all’abitazione sono essenzialmente due. In primo
luogo, è necessaria un’immediata sistemazione dei rom che vivono nei campi non attrezzati; a seguire, urge
un superamento delle grandi concentrazioni di rom, anche nei villaggi attrezzati, attraverso un’adeguata
politica abitativa da parte del Comune. Non vi è un’unica risposta al problema della casa per i rom: la loro
esigenza prioritaria è vivere in abitazioni decenti ma con tutto il nucleo familiare. Alcune famiglie vivono in
più bassi vicini nel Centro storico, dove hanno riprodotto la vita comune della famiglia allargata. Sono
comunque da evitare grandi concentrazioni non su base familiare. Un modello positivo che si potrebbe
imitare anche a Napoli è, ad esempio, il quartiere con villette a schiera costruito dal Comune di Cosenza per
famiglie di rom calabresi.
Le altre comunità di immigrati presenti nella Zona Nord vivono in case in fitto, in condizioni non differenti
da quelle della popolazione autoctona. Le colf e le badanti provenienti dall’Europa dell’Est vivono nelle case
dei datori di lavoro. Il gruppo di senegalesi di Miano ha occupato abusivamente 4 locali originariamente
59
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Gruppi di lavoro- Coop. Dedalus
adibiti ad uso commerciale (Legge 219/81) ed ora in condizioni di estrema precarietà (i vetri sono sostituiti
da cartoni e vi è una grande umidità). Ogni locale occupato è costituito da un vano unico di 40 mq con
servizi igienici, ed è occupato in media da tre persone.
Nella zona di San Rocco-Frullone vi è una casa di accoglienza per donne immigrate, gestita dalla
Coop.Dedalus , con 8 posti letto e programmi individuali di inserimento abitativo, inserimento al lavoro e
regolarizzazione. Le ospiti vi possono rimanere per un periodo di tre mesi rinnovabile una sola volta. Nella
stessa zona vi è il Centro di Accoglienza delle Suore di Calcutta che, di tanto in tanto, accoglie stranieri per
situazioni di emergenza.
3.5.3 Il lavoro
Dal punto di vista lavorativo, il territorio compreso nella Zona Nord non rappresenta, per gli immigrati, un
area di collocazione lavorativa. A parte le badanti e le colf dell’Europa dell’Est, il cui lavoro viene svolto in
tutte le zone cittadine, e dunque anche nei quartieri di riferimento, la maggior parte degli immigrati non Rom
lavorano in altre zone della città. Questa situazione ci viene confermata sia dai testimoni qualificati sia da un
sopralluogo effettuato nella zona considerata che ha permesso di individuare, nella zona di San RoccoChiaiano, solo alcuni srilankesi che lavorano in negozi (coloristi, negozi di animali, ecc.), come addetti a
mansioni generiche, e, nel quartiere di Secondigliano, alcuni uomini provenienti dall’Est Europeo che
lavorano in garage o in negozi. Le badanti e le colf che lavorano in zona, invece, sono impiegate per lo più
notte e giorno presso un’unica famiglia. Le mansioni spesso coincidono e si sovrappongono, costringendo le
lavoratrici a orari lunghissimi e massacranti, per un compenso che, a stento, raggiunge i 500 euro.
La maggior parte dei rom non ha alcun lavoro (93%), secondo un recente dato dell’Opera Nomadi. Solo il
5% svolge lavoro autonomo (in particolare mercato dell’usato e riciclaggio del ferro), l’1% fa lavori di pulizia,
lavora nell’edilizia o in botteghe artigianali e meno dell’1% lavora in progetti sociali. Vi è un’ampia fascia, non
quantificabile, che vive con un’attività al confine tra il commercio ambulante e il mangél (mendicio): la
vendita di rose. E’ un’attività che rende bene e che viene esercitata come unico mezzo di sussistenza o
collateralmente ad attività illegali o al semplice mangèl.
I rom che sono nati in Italia (i più giovani), o che sono venuti in Italia da piccoli, non hanno mai lavorato. I
più anziani, e quelli che sono venuti di recente in Italia, svolgevano tutti attività lavorative nel proprio paese.
Originariamente appartenenti a famiglie legate ai mestieri tradizionali (venditori di piume d’oca, ramai,
musicanti, ecc.) erano essenzialmente bravissimi commercianti (ambulanti o con posto nei mercati), operai
di fabbrica, contadini ed anche allevatori. Nel nuovo villaggio di Scampia è presente un gruppo di ex operai
della Zastava di Kragujevac, che, in seguito alla guerra del Kossovo, hanno perso il lavoro.
I rom di Scampia hanno oramai smarrito le loro tradizioni artigianali e non esistono più artigiani del rame
o suonatori. Gli ultimi artigiani del rame (provenienti dalla Bosnia o dal Montenegro) sono presenti in
provincia, in particolare a Giugliano, ma anche questi stanno via via scomparendo. In questa situazione di
mancanza di lavoro che si trasmette di generazione in generazione, l’unica alternativa, che col tempo
diventa consuetudine e spesso l’unico modo di vita possibile e concepibile, è l’impiego in attività illegali che,
in particolare tra i minori, è molto diffuso. Nei Centri di Prima Accoglienza e negli Istituti di Pena Minorili i
ragazzi rom rappresentano un’altissima percentuale, che diventa quasi totalità nel caso delle ragazze.
Per far fronte a questo tipo di situazione, i testimoni qualificati propongono un’attenta politica di
inserimento al lavoro per far uscire la popolazione rom dal degrado. Si sono rivelati molto utili, per esempio, i
corsi di formazione (in particolare il corso per mediatori culturali attivato dalla Cooperativa Dedalus e il
progetto Officina), che dovrebbero essere riproposti ed estesi ad attività di riciclaggio e attività legate ai loro
mestieri tradizionali. Sulla base di esperienze di altre città, alcuni intervistati propongono uno sportello di
supporto del Comune per avviare attività di lavoro autonomo (commercio) e costituire cooperative di servizi.
3.5.4 La scuola
In base alle analisi finora esposte, secondo le quali i rom jugoslavi rappresentano il nucleo più cospicuo
di immigrati e gli unici che vivono ed utilizzano il territorio, il dato atteso è che le scuole siano frequentate da
un alto numero di bambini rom e da pochissimi bambini immigrati appartenenti ad altre comunità.
Si è proceduto, pertanto, ad individuare le scuole (pubbliche, private e paritarie) con un maggior numero
di alunni immigrati attraverso interviste con l’IRRE (Istituto Regionale per la Ricerca Educativa) e con l’Opera
Nomadi. Successivamente sono stati somministrati alle scuole indicate appositi questionari, da cui risultano i
seguenti dati sugli iscritti:
60
Centro di cittadinanza sociale per immigrati
Gruppi di lavoro- Coop. Dedalus
Alunni stranieri presenti nelle scuole pubbliche del territorio di riferimento
Materna Elementare
I.C. Pascoli II
di cui Rom
Media
Totale
10
10
54
54
6
6
70
70
I.C. Capuozzo-Berlinguer
di cui Rom
1
0
7
6
4
3
12
9
I.C. San Gaetano-43°C. D.
di cui Rom
0
0
10
10
0
0
10
10
10° circolo didattico
di cui Rom
15
15
60
60
0
0
75
75
87° circolo didattico
di cui Rom
3
3
26
26
0
0
29
29
5° circolo didattico–E. Montale
di cui Rom
0
0
22
22
0
0
22
22
17° circolo didattico
di cui Rom
7
7
3
3
0
0
10
10
42° circolo didattico
di cui Rom
S.M.S. Carlo Levi
di cui Rom
S.M.S. G. Marconi
di cui Rom
0
0
-
2
1
-
0
0
5
5
1
0
2
1
5
5
1
0
36
35
184
182
16
14
236
231
Totale
di cui Rom
Dai dati forniti dalle 9 Scuole e da quelli dell’Opera Nomadi risulta che 231 minori Rom sono stati iscritti
alla scuola dell’obbligo nell’a.s. 2001/2002, mentre solo 5 alunni appartenevano ad altre comunità. Come
atteso, la presenza di minori stranieri non rom è minima nelle scuole intervistate, ma resta da svolgere
un’ulteriore indagine, in particolare nei quartieri di Chiaiano e Miano.
Per i rom, l’abbandono scolastico è stato circa del 30% alle materne ed elementari, mentre soltanto 2
bambini hanno frequentato le medie fino alla fine dell’anno e l’esito è stato positivo. Di questo 30%, soltanto
il 10% ha definitivamente abbandonato la scuola, mentre l’abbandono del restante 20% è dovuto allo
spostamento di interi gruppi familiari in altre città. L’abbandono alle medie è invece dovuto quasi unicamente
a fattori culturali, in quanto i rom non vivono la fase adolescenziale, si sposano prestissimo e una volta avute
le prime mestruazioni le ragazzine non possono andare a scuola. Un ragazzo iscritto alla scuola media
statale Levi ha sostenuto l’esame da privatista, superandolo, presso l’I.C. Capuozzo Berlinguer, ed è stato
inserito nel progetto “Officina”. Del 70% che hanno frequentato, circa il 10% non è stato ammesso all’anno
successivo. Anche i bambini che hanno completato l’anno scolastico frequentano in genere in modo
irregolare.
Quasi tutti i rom di Scampia vengono accompagnati a scuola con i pulmini dagli operatori dell’Opera
Nomadi, e in questo sono in una situazione privilegiata rispetto ad altri immigrati. L’accompagnamento è
necessario prima di tutto perché la maggior parte degli insediamenti è abbastanza lontano dalle scuole.
Inoltre, l’esperienza ha dimostrato che, nella situazione di grande degrado di Scampia, senza
accompagnamento, la percentuale di frequentanti si abbassa drasticamente.
61
Centro di cittadinanza sociale per immigrati
Gruppi di lavoro- Coop. Dedalus
Oltre all’accompagnamento, l’associazione si occupa di mantenere i rapporti con le scuole per conto delle
famiglie come anche di mediazione nelle scuole e di tutte le attività di supporto svolte nell’ambito del
Progetto Rom Zona Nord (legge 285/97). Per quanto riguarda il mantenimento della cultura di origine, non
esistono scuole etniche e le uniche attività finalizzate a questo scopo avvengono nell’ambito dei laboratori
interculturali gestiti dalla stessa associazione.
Rispetto al grado di accoglienza da parte degli alunni italiani e delle loro famiglie nei confronti dei bambini
Rom, la maggior parte delle scuole ritiene che sia ad un buon livello, tranne un paio di scuole che forniscono
valori più bassi. È stato rilevato che i rapporti sono molto difficili all’inizio, ma nel corso dell’anno si
regolarizzano, non sfociando mai però in reale socializzazione. Infatti, sono rarissimi casi di bambini italiani e
bambini rom che mantengono rapporti al di fuori della scuola.
Tutte le scuole intervistate hanno attribuito le difficoltà scolastiche dei bambini rom a condizionamenti
socio-culturali e a difficoltà linguistiche. Si pone l’accento sulla discriminazione sociale e la mancanza di
diritti. Alcune scuole lamentano che l’età di iscrizione dei bambini Rom non è sempre in regola e ciò crea
difficoltà.
A questo punto, vanno fatte alcune considerazioni circa l’inserimento dei minori rom nel contesto
scolastico locale.
In primo luogo, va notato che i dati di Napoli riflettono l’andamento della scolarizzazione dei bambini rom
a livello nazionale: presenza alta nelle scuole materna ed elementare, molto bassa alle scuole media,
frequenza complessivamente irregolare. Inoltre, si rileva che le principali difficoltà legate alla scolarizzazione
sono le più diverse. Innanzitutto, da un punto di vista organizzativo, la mancata soluzione del problema dei
trasporti diventa un elemento discriminante per l’accesso e l’inserimento a scuola. Per quanto riguarda
l’inserimento e il successo scolastico, i bambini rom vengono spesso abbandonati a sé stessi e quasi
considerati portatori di handicap, non di cultura e lingua diverse (sarebbe necessaria una programmazione
individuale ed attività dirette ai rom, in particolare laboratori di italiano come L2. I bambini che non vengono
seguiti accumulano un gap culturale che aumenta sempre più, favorendo la loro autoemarginazione). A tutto
ciò va aggiunto il fatto che non esiste formazione all’accoglienza e all’interculturalità per il personale docente
e non docente delle scuole, come anche l’assenza di coordinamento tra tutte le agenzie interessate (Opera
Nomadi, Assessorato alle Politiche Sociali, Assessorato all’Educazione, Provveditorato, Scuole, Asl). Infine, i
rom, che non hanno una cultura della scuola, mandano più volentieri i bambini a scuola quando vedono
possibilità di inserimento per tutta la famiglia. Il momento massimo di partecipazione è stato il trasferimento
nei nuovi villaggi. Attualmente, poiché vedono nella legge Bossi-Fini un pericolo per il loro futuro, i rom
hanno un atteggiamento negativo verso la scuola.
Rispetto ai convitti, ai semiconvitti, alle scuole private e paritarie che, nell’anno 2001/2002 hanno ospitato
minori stranieri, dalle ricerche effettuate risulta che solo 3 istituti del territorio hanno avuto tra i loro alunni
bambini immigrati. Si trattano dell’Opera Don Guanella, dell’Istituto Suore Francescane di S. Antonio e della
Congregazione Suore Apostoliche del Sacro Cuore che hanno accolto in tutto 5 minori: due al semiconvitto,
uno alla scuola materna, e due alle elementari.
I due minori ospitati al semiconvitto dell’Opera Don Guanella non pagano la retta. I genitori di questi
bambini hanno preferito la formula del semiconvitto per esigenze lavorative. Per il minore della scuola
materna, paga il Comune, nel caso dei due minori della scuola elementare, sono le famiglie a sostenere le
spese.
In tali strutture, non viene realizzato alcun progetto per favorire l’inserimento dei minori di origine
straniera, cosa che non succede per le strutture pubbliche. Infatti, riguardo i progetti e le attività curriculari
nelle scuole, mirati all’educazione interculturale o rivolti ad alunni stranieri, dalle informazioni raccolte, risulta
che diverse sono state le iniziative messe in atto dalle scuole della zona in collaborazione con enti del
privato sociale. Un primo esempio è rappresentato dai laboratori interculturali nell’ambito del Progetto Rom
Zona Nord Fase II (legge 285/97), attuato dall’Opera Nomadi nelle seguenti scuole con presenza di alunni
rom: Pascoli II, 5° circolo didattico e 87° circolo didattico Questi laboratori, svolti con bambini italiani e rom
in presenza degli insegnanti della scuola, esperti dell’Opera Nomadi e mediatori rom, sono stati incentrati nel
2001/02 sui “Mestieri scomparsi” – “Buci Kasardì”, con informazione e conoscenza sugli usi, costumi e
tradizioni dei popoli zingaro e napoletano, attività grafico-pittoriche, danza, drammatizzazione, video,
fotografia e rappresentazione teatrale di fine d’anno.
L’Istituto Comprensivo G. Pascoli, che ha un’alta presenza di rom, ha svolto con l’Opera Nomadi
laboratori linguistici di italiano, finanziati dalla scuola con fondi di Istituto, mentre il 10° circolo didattico ha
all’attivo un’attività di recupero con “classi aperte”, il cui obiettivo è stato quello di ridurre il dislivello tra età
scolare ed età cronologica, e il Progetto Doccia, per favorire l’igiene personale, finanziati con fondi di Istituto.
Inoltre, l’87° circolo didattico ha promosso l’“Alfabetizzazione linguistica” per l’insegnamento dell’italiano
e finanziato con fondi di Istituto, il 5° circolo didattico una Programmazione didattica specifica per gli alunni
Rom, il 43° circolo didattico l’Insegnamento di Italiano come L2 e l’Istituto Comprensivo Capuozzo-
62
Centro di cittadinanza sociale per immigrati
Gruppi di lavoro- Coop. Dedalus
Berlinguer un progetto di Educazione all’Interculturalità per alunni italiani di scuola elementare, della durata
di 12 ore.
Infine, la scuola G. Marconi ha attuato diversi progetti: il Laboratorio “Nostrum”, l’Educazione
all’Interculturalità e il Laboratorio storico-espressivo sui popoli del Mediterraneo che ha previsto 2 moduli:
rom e palestinese. Il modulo rom ha avuto l’obiettivo di favorire l’informazione sui popoli Rom, con visita
guidata ai campi rom, conversazioni con gli operatori rom, gastronomia, visione di un video. Il modulo
palestinese ha incluso visita guidata al caffè arabo di piazza Bellini, danze etniche, gastronomia,
conversazioni con un operatore palestinese. Da notare che tale progetto è stato fatto in collaborazione tra la
scuola e l’Opera Nomadi, pur in assenza di alunni Rom o palestinesi.
Circa la formazione degli operatori scolastici nessuna delle scuole ha svolto una formazione specifica
sull’interculturalità (che tutti gli intervistati hanno inteso come valorizzazione della diversità e integrazione
piena e proficua nel contesto della classe) e l’accoglienza degli alunni stranieri, tranne la scuola media
statale G. Marconi, in cui vi è stata autoformazione interculturale in itinere di un docente già impegnato
nell’Opera Nomadi.
Nel 2001-02 l’Irre ha tenuto un solo corso di formazione per docenti dei Centri Territoriali per la
Formazione in età adulta. Il corso, finalizzato all’educazione interculturale, ha avuto una durate di 28 ore ed
è stato tenuto da personale Irre.
Per l’Irre, il problema dell’italiano come L2 è fondamentale perché, se nei primissimi anni della scuola il
problema è essenzialmente relazionale, nell’adolescenza la cattiva conoscenza dell’italiano determina
l’insuccesso scolastico. Propone che in ogni scuola vi sia un insegnante specializzato in educazione
interculturale, anche in assenza di bambini stranieri, perché il rispetto della cultura altra è un valore in sé. E,
difatti, tutti i docenti hanno espresso il bisogno di formazione con corsi di aggiornamento specifici su
problematiche culturali e sociali delle singole etnie.
3.5.5 I progetti di educazione per adulti e i corsi di alfabetizzazione per preadolescenti
In conclusione, può diventare interessante dare alcune informazioni circa i corsi e i progetti rivolti ad
adulti.
Presso l’Istituto Comprensivo Capuozzo-Berlinguer si svolgono da 4 anni corsi di alfabetizzazione per
adulti e adolescenti rom tenuti da insegnanti dell’Opera Nomadi. Tali corsi nell’anno 2000-2001 sono stati
finanziati dal Comune di Napoli, nell’ambito del progetto “Per un intervento sociale sui campi nomadi”. Nel
2001/002 tale progetto è stato svolto a titolo volontario dall’Opera Nomadi. e la partecipazione è stata alta,
anche se non sempre costante. Alla fine dell’anno soltanto 1 rom ha conseguito la licenza media, in quanto
tutti i Kosovari che avevano frequentato assiduamente la scuola sono andati via.
Nella stessa scuola, con finanziamenti Cipe, sono stati tenuti corsi di italiano per immigrati, con la
partecipazione di una ventina di persone provenienti da diversi paesi. Anche il Progetto Officina, cui hanno
partecipato due minori rom, è stato in parte svolto presso questa scuola, dove si sono tenuti anche laboratori
artigianali.
Alla scuola E. Himmel si rileva che l’incontro tra alunni italiani e stranieri, rom in particolare, ha aiutato la
scuola nell’educazione al rispetto della diversità, contribuendo notevolmente al superamento del pregiudizio
nel corso delle attività didattiche curriculari e di momenti laboratoriali, tra cui un corso di cucina interetnica
con la partecipazione di donne rom.
Infine, vanno segnalate alcune attività di alfabetizzazione per preadolescenti di cui una delle finalità è
l’inserimento dei preadolescenti nella scuola dell’obbligo, sono state svolte sui campi rom nell’ambito del
Progetto del Comune di Napoli. Tale alfabetizzazione è necessaria per quei minori che non sono mai andati
a scuola e sono troppo grandi per essere inseriti nella scuola elementare.
3.6 ANALISI DELLA PRESENZA DI IMMIGRATI A PIANURA
3.6.1 Breve Descrizione del territorio
Pianura è un quartiere della periferia nord-occidentale della città di Napoli. Vi risiede una popolazione di
53.963 abitanti 11 (di cui 26.981 maschi), corrispondente al 5% circa del totale della popolazione residente.
Il quartiere si è caratterizzato per un elevato abusivismo delle abitazioni negli anni Settanta ed Ottanta
(sanato in gran parte negli anni attraverso periodici condoni edilizi), fenomeno tuttora diffuso. Infatti nel
ventennio 70-90 si assiste ad un incremento di fabbricati che non ha eguali in altre parti della città, il 90%
11
. Fonte Istat 1991
63
Centro di cittadinanza sociale per immigrati
Gruppi di lavoro- Coop. Dedalus
delle abitazioni è stato costruito dopo il 1960, e oltre il 70% 12 tra il 1972 e il 1991. Pianura è un quartiere in
cui vi è una significativa carenza di verde, di aree attrezzate per lo sport ed il tempo libero.
Un’eccezione urbanistica è costituita dal Villaggio Italsider, testimonianza dell’identità operaia del
confinante quartiere di Bagnoli: un complesso edilizio a misura d’uomo, circondato dal verde e dotato di
attrezzature sportive, che ha al suo interno una stazione della Circumflegrea che consentiva agli operai di
raggiungere anche la fabbrica.
Nel centro del quartiere persistono vecchie masserie oramai fatiscenti, a rappresentazione della cultura
contadina che un tempo non lontano caratterizzava l’intera area. Si tratta di edifici abbandonati e destinati ad
altro uso, di proprietà del Comune, occupati abusivamente nel corso degli anni Novanta dai “senza casa”,
italiani ed immigrati.
Le ultime amministrazioni hanno compiuto una serie di sforzi per riqualificare Pianura: risale a pochi anni
fa la realizzazione di un grande parco pubblico in luogo di una discarica. Sono previsti, inoltre, interventi di
sistemazione fognaria e viaria, e la costruzione di aree attrezzate per l’artigianato e la piccola e media
impresa.
Il numero di famiglie residenti a Pianura è 14.035, pari al 4,5% del totale delle famiglie residenti nella città
di Napoli. Il numero medio di componenti per famiglia è 3,8: la media cittadina invece è 3,4. La percentuale
di famiglie con un solo componente (5,8%) è superiore soltanto a quella relativa al quartiere di Scampia.
La superficie media delle abitazioni occupate è pari a mq. 84,1 ed il numero medio di occupanti per
abitazione coincide esattamente con il numero medio di stanze per abitazione 3,8. ne consegue che ogni
occupante dispone di mq. 21,9 (media cittadina: mq. 24).
Pianura è il quartiere con il più basso indice di vecchiaia 16,2 (68,8 è la media cittadina) e al contrario ha
un’incidenza della fascia giovanile tra le più elevate della città: il 30% dei residenti ha un’età al di sotto dei 15
anni, rispetto al 19% della media cittadina.
Gli abitanti di Pianura sono in parte giovani coppie che non riescono a trovare abitazioni a prezzi
contenuti nelle altre aree della città.
Attualmente, l’economia del quartiere si basa soprattutto sulle attività manifatturiere, sul commercio, sulla
riparazione di autoveicoli e sulle costruzioni, ma Pianura è anche un quartiere dormitorio dove risiedono
anche impiegati e insegnanti che provengono da altre zone della città. La popolazione non attiva è pari al
63,6% del totale della popolazione residente (60,7% è la media cittadina); si registra, inoltre un elevato tasso
di disoccupazione il 40,3% quello maschile e il 54% quello femminile (rispettivamente pari al 39,9% e al 48,8
nella media cittadina). Al contrario, il tasso di disoccupazione giovanile è leggermente più contenuto di quello
cittadino pari infatti al 39,2% a fronte del 41,7%. Tra i giovanissimi si registra però la più elevata percentuale
13
di alunni della scuola media inadempienti: 2,32% . Inoltre solo l’1,3% dei residenti è in possesso di laurea
(6,1% la media cittadina) e il 14,8% di diploma di scuola media superiore (19,2% a Napoli).
Cittadini stranieri residenti nel quartiere di Pianura (v.a. e v.p.)
Europa dell’Est
44
Nord Africa
28
Africa Occidentale
93
di cui Capo Verde
55
Africa Orientale
32
di cui Somalia
31
Altri paesi dell’Africa
27
Medio Oriente
68
di cui Libano
36
Asia Centrale
89
di cui Filippine
43
America Latina
171
di cui Perù
89
Altre presenze
11
12
13
7,8
5,0
16,5
9,8
5,7
5,5
4,8
12
6,4
15,8
7,6
30,4
15,8
1,9
America del Nord
Europa Occidentale
8
220
-
Totale escluso Europa occ. e nord Africa
Totale
Fonte: Comune di Napoli anno 2003
563
791
100,0
. Fonte Istat 1991
. Fonte: Osservatorio sulla Dispersione Scolastica del Comune di Napoli, a.s. 98/99
64
Centro di cittadinanza sociale per immigrati
Gruppi di lavoro- Coop. Dedalus
Il numero di stranieri residenti a Pianura è pari a 791 (406 uomini e 385 donne), corrispondente all’1,5%
circa della popolazione residente nel quartiere: una presenza significativa che dipende, presumibilmente,
dalla disponibilità di alloggi a buon mercato.
Dei 791 stranieri, quasi il 29% proviene da paesi dell’Europa occidentale e Nord America (non possono
passare inosservati i 196 greci, in larga parte studenti universitari).
Il 30% degli immigrati regolarmente residenti proviene da paesi dell’America Latina (in primo luogo
peruviani), il 16,5% dell’Africa Occidentale (prevalentemente capoverdiana), il 16% da paesi asiatici
(filippini), il 12% da paesi mediorientali, 5,7% dall’Africa Orientale (somali in primo luogo), il 7,8% da paesi
dell’Est Europa e il 5% dal Nord Africa.
3.6.2 La condizione abitativa
Il quartiere Pianura costituisce uno dei casali annessi alla grande città agli inizi del secolo scorso. La
maggior parte di questa zona è sorta negli ultimi 30 anni attraverso un continuo incremento di edilizia
abusiva, tuttora non condonata non per motivi di carattere burocratico ma per la semplice mancanza di
domande di condono gli interventi del post terremoto vedono la realizzazione di nuova edilizia e di
attrezzature di cui era carente il quartiere. Attraverso il Programma Speciale di Edilizia Residenziale, si
realizzano nuove abitazioni dove collocare i residenti dell’insediamento storico (che con il sisma subisce
gravi danni alla maggior parte delle strutture), il recupero di alcuni insediamenti caratteristici dei casali
napoletani e la realizzazione di una serie di attrezzature (parchi, scuole, servizi di carattere collettivo).
E’ in questa generale clandestinità vissuta dal quartiere che, negli ultimi 15-20 anni, si sono formati tre
piccoli insediamenti di immigrati, in maggioranza provenienti dall’Africa e, a seguire, dall’America Latina.
Il più grande insediamento (ubicato in via dell’Avvenire) occupa case abbandonate nel dopo terremoto e
in condizioni fatiscenti; gli altri due insediamenti (in vico Dietro la Chiesa e via S. Maria), invece, molto più
piccoli sia per numero di abitanti che per numero di vani, occupano edilizia storica ristrutturata nell’ambito
degli interventi sopra descritti. Al di là della condizione generale di degrado del quartiere, la realtà degli
immigrati evidenzia e rende visibile una situazione di precarietà e di marginalizzazione delle condizioni
generali di vivibilità.
Negli insediamenti di cui ci occupiamo, le nazionalità provenienti dall’Africa, composte attualmente da
circa 200 persone che abitano queste zone più o meno costantemente, sono rappresentate soprattutto dal
Burkina-Faso e dalla Costa d’Avorio. Va notato che queste presenze subiscono notevoli incrementi dovuti a
flussi interni ed esterni al territorio. Infatti, la condizione di generalizzata clandestinità e la maggiore
disposizione di vani pur precari, permette l’utilizzo temporaneo e sporadico di molte abitazioni con relativi e
notevoli incrementi periodici degli abitanti.
Da questo punto di vista, questi insediamenti costituiscono dei centri di prima accoglienza clandestini, nel
senso che rappresentano i primi luoghi dove andare e trovare aiuto. Questi spazi, infatti, costituiscono non
solo i nodi di una rete mobile di migrazioni ma anche i primi luoghi identitari di riconoscimento in un paese
straniero. In questo senso i pochi abitanti stabili (ovvero che stanno lì da parecchi anni) costituiscono, di
fatto, dei mediatori tra i nuovi arrivati e la realtà economica e sociale del territorio. Grazie alla loro
permanenza e ‘resistenza’ rappresentano un riferimento costante sia per gli immigrati che per gli abitanti
locali. Uno di loro è infatti il mediatore culturale di riferimento per la circoscrizione di Pianura per il
collegamento tra i servizi e i cittadini immigrati del territorio.
I tre insediamenti si distinguono non solo per condizioni abitative, fortemente precarie e degradate
soprattutto per gli ultimi due insediamenti, ma anche per la loro commissione e integrazione con il resto del
quartiere. Il primo insediamento si presenta, infatti, come un’enclave, ovvero un luogo chiuso e fortemente
territorializzato dalla popolazione straniera, ma anche come luogo, se pur sporadico, di incontro e di scambio
con altri immigrati e con la popolazione locale. Gli altri due insediamenti, invece, si presentano, forse anche
per le relative dimensioni, come luoghi di abitazione e incontro maggiormente distribuiti e integrati alle
abitazioni dei locali.
Vediamoli nei dettagli
L’Insediamento di via dell’Avvenire occupa, come si è detto, un nucleo di case del centro storico di
Pianura di proprietà comunale, abbandonate con il post-terremoto ed occupate da più di 10 anni dagli
immigrati. Esso è composto da circa una decina di edifici, quasi tutti a due piani, disposti intorno ad un’area
centrale. La morfologia dell’insediamento è un nucleo chiuso attorno ad un cortile (aia) che ha un solo
ingresso lungo via dell’Avvenire ed è chiuso sugli altri lati.
Esso si presenta come un insediamento tipico dei casali periferici di Napoli, inserendosi in un contesto a
buona qualità architettonica e morfologica, se pur molto degradata. Intorno all’insediamento vi sono altre
abitazioni tipiche di questi centri storici, molte delle quali abbandonate e alcune abitate da locali.
La tipologia edilizia prevalente è quella tipica dei casali antichi, edifici a due piani che si accostano l’uno
agli altri a formare la corte. Al piano terra sono disposte delle stanze, in genere una dietro l’altra che
65
Centro di cittadinanza sociale per immigrati
Gruppi di lavoro- Coop. Dedalus
fungevano da stalla, con accesso diretto dal cortile. Al piano superiore, servito da una scala esterna, sono
collocate le abitazioni, con i servizi annessi.
Ogni appartamento è in genere composto da una stanza molto ampia, spesso divisa attraverso tramezzi
o altri elementi divisori (tende, cartoni…), in cui viene collocata anche la cucina. Rare sono le abitazioni a
due vani (forse 3-4). I bagni, là dove ci sono, sono quasi nella totalità dei casi esterni e composti da water e
lavandino, lo stesso vano funge anche da doccia ed è utilizzato anche come una sorta di bagno pubblico. In
ogni stanza vengono quasi sempre collocati più letti o materassi in successione, in modo da avere più
capienza per la notte e pochissima per il giorno. Per cui, quasi nessuna delle abitazioni è dotata di un’area
per il pranzo o per la vita quotidiana.
Della decina di edifici a due piani, ognuno di essi conta pressappoco un appartamento per piano, per un
totale di circa 25 appartamenti, considerando che vengono utilizzati come abitazioni anche piccoli vani
(come ex depositi o ex-servizi).
Di questi appartamenti 10-12 sono abitati in maniera costante, mentre gli altri sono utilizzati in maniera
saltuaria.
In genere, quasi tutte le abitazioni sono utilizzate contemporaneamente da circa 10-15 persone, mentre
in solo due casi si è riscontrato un utilizzo da parte di un numero inferiore a 4 persone.
Gli abitanti variano così, per questo insediamento, da un numero di 80 a un massimo di 150, in relazione
ai flussi migratori interni ed esterni al territorio. L’insediamento, infatti, da un lato è occupato costantemente
da alcuni nuclei di persone (circa 80-100), mentre dall’altro risulta essere utilizzato come campo base
sporadico e temporaneo nell’ambito delle migrazioni stagionali.
Gli abitanti sono quasi tutti uomini giovani, in genere con un basso livello di istruzione, tranne per alcune
persone (poche unità) che risultano essere anche laureate nel paese di origine. Le donne sono poche (circa
4-5) e vivono o tra di loro o con un compagno.
E’ da sottolineare che nell’insediamento vi sono anche due case occupate da donne locali.
Vi è anche un luogo di ritrovo organizzato all’interno di un appartamento al piano terra e collocato
centralmente rispetto all’insediamento. Tale posto è autogestito dagli abitanti, è organizzato con cucina e
tavolini e svolge anche piccole funzioni di servizio (vendita carte telefoniche) Questo luogo, oltre a servire
per lo svago, è considerato anche come un posto di incontro, di scambio di notizie, soprattutto inerenti il
lavoro, di mediazione con l’esterno, di socializzazione per gli immigrati ma anche per i locali.
Solo alcune case sono dotate di acqua corrente, il cui collegamento spesso deriva da allacci alla rete
idrica esterna agli appartamenti. Per evacuare i water si utilizza spesso il secchio che diventa un elemento
costante nei bagni. Lì dove gli scarichi ci sono, essi vengono realizzati attraverso collegamenti esterni e
allacciati alla fogna il cui tombino è collocato al centro del cortile.
Gli impianti elettrici sono realizzati attraverso allacciamenti ad un'unica sorgente anche attraverso fili
areali, con rischi derivanti da incendi di sovraccarico dell’utilizzo della rete.
La rete del gas non esiste, le cucine o utilizzano strumentazione elettrica o le bombole.
Tutte le case non sono dotate di riscaldamento; in più le condizioni di forte umidità degli appartamenti non
permette un effettivo riscaldamento (anche con stufe a gas) degli ambienti. Infatti, dalle interviste rivolte agli
abitanti, è emerso la presenza diffusa di malattie quali la cervicale, la bronchite e la polmonite.
Qualche casa è dotata di frigorifero, mentre sono rari gli scaldabagno.
Quasi tutte le condizioni dei solai sono fortemente degradate. Le abitazioni ai piani superiori e quelle ai
piani inferiori hanno quasi tutte lesioni aperte nel solaio. Per cui le abitazioni dei piani inferiori, oltre ad avere
grossi problemi di umidità, vivono in una condizione di rischio permanente derivante dai probabili crolli dei
solai di copertura. Mentre quelle ai piani superiori, oltre ad avere le stesse condizioni di precarietà e
pericolosità derivante dai possibili crolli, sono spesso fredde e allagate.
All’esterno, l’area del cortile non è pavimentata, risulta sporca e spesso utilizzata come parcheggio e
come deposito di materiale vario.
Infine, è da sottolineare che la condizione di degrado diffusa, sia rispetto alla manutenzione degli
immobili, delle aree interne ed esterne ad ogni singolo appartamento, è alimentata dalla incertezza sulla
disponibilità futura di poter continuare ad abitare questi luoghi. Le continue minacce di sgombero
contribuiscono infatti ad aumentarne la condizione di precarietà, rappresentando l’innesto di quel circolo
vizioso per cui la anche la manutenzione ordinaria degli immobili e la pulizia delle parti comuni viene lasciata
a se stessa, nell’ambito di un degrado psicologico delle stesse condizioni di vita.
Gli insediamenti di vico Dietro la Chiesa e di via Santa Maria occupano alcuni vani di edifici del centro
storico di Pianura recuperati attraverso gli interventi post-terremoto prima decritti. In particolare, ogni
appartamento si colloca nell’ambito di una complesso di edifici caratterizzato dalla configurazione storica dei
casali come per l’insediamento precedente, ma senza caratterizzarsi per costituirne l’utilizzo prevalente ad
abitazione di immigrati. Infatti le abitazioni occupate da questi ultimi si mischiano e si alternano a quelle
occupate dai locali.
Come per l’insediamento precedente, si tratta di occupazione di case di proprietà comunale.
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Quasi tutti gli appartamenti, soprattutto quelli ai piani terra sono composti da un vano grande,
successivamente suddiviso secondo le separazioni funzionali operate nell’ambito del progetto di recupero o
attraverso pratiche di autocostruzione.
In quanto appartenenti a edifici recuperati, sono tutte dotate di bagno interno e angolo cottura, di
collegamenti alla rete idrica e fognaria. Non sono dotati di impianti di riscaldamento propri nè di altri
accessori: stufe, frigoriferi ed altro sono gli oggetti che si lasciano in eredità agli abitanti provenienti dal
flusso migratorio.
Gli abitanti sono quasi sempre uomini giovani, più una coppia di conviventi nell’insediamento di vico
Dietro la Chiesa. In quest’ultimo, gli appartamenti occupati sono sei, alcuni sono collocati al piano terra altri
al primo. Quasi tutti sono abitati costantemente da un numero che varia da 4 ad un massimo di 10 persone
ad abitazione, e dunque con un numero complessivo che varia da 30 a 50 persone. E’ da sottolineare
l’occupazione di un appartamento pericolante situato al primo piano di un edificio all’ingresso
dell’insediamento.
Nell’insediamento di via Santa Maria, invece, gli appartamenti occupati sono 4 e tutti collocati ai piani
terra del complesso recuperato. Il numero degli abitanti varia da un minimo di 3-4 a un massimo forse di 6-8
persone, ossia con un numero complessivo che varia dai 10-15 a un massimo di 30. Rispetto ai dati di
variazione degli altri due insediamenti, questo in particolare è apparso come un contesto abbastanza
stabilizzato e poco sottoposto ad accogliere anche sporadicamente il flusso migratorio. In particolare, infatti,
l’ordine e la pulizia riscontrata in uno degli appartamenti è stata considerata sintomo di stabilità e prolungata
abitazione del luogo.
Nel complesso, e a differenza dell’insediamento di via dell’Avvenire, le condizioni delle abitazioni risultano
relativamente buone e questo è dovuto sia al fatto che sono abitazioni già recuperate sia alla presenza
meno temporanea e più stabile di molte componenti che diventa anche occasione per una manutenzione
ordinaria degli spazi interni e di quelli esterni.
A questo punto si potrebbero suggerire, soprattutto per il primo insediamento considerato, interventi di
riqualificazione delle strutture da attuarsi attraverso operazioni di autocostruzione da parte degli immigrati, i
cui materiali possono essere messi a disposizione dall’amministrazione comunale anche attraverso fondi
europei. Tali interventi sono finalizzati oltre che a rendere le condizioni abitative attuali meno pericolose,
data l’imminente rischio di crolli, anche alla realizzazione di un centro di accoglienza futura.
Gli immobili restaurati, infatti, sarebbero dopo un determinato periodo di tempo (circa due anni) restituiti a
disposizione di un centro di prima accoglienza.
Infatti l’intervento e lo sforzo da parte degli immigrati nella costruzione e manutenzione straordinaria degli
immobili sarebbe così compensato dalla possibilità di poter abitare per un periodo di tempo, i due anni, in
buone condizioni abitative. Gli abitanti nell’arco dei due anni successivi dovranno trovare altre modalità
abitative lasciando gli appartamenti a disposizione dei nuovi flussi migratori. Tali condizioni costituirebbero
anche uno stimolo ad uscire da una situazione precaria e di marginalizzazione sociale, a cui adesso sono
sottoposti.
Questo insediamento verrebbe così valorizzato come patrimonio storico, e grazie a tale operazione
potrebbe contribuire ad una diffusa rivitalizzazione del centro storico di Pianura, così come è accaduto già in
altri luoghi e in altre circostanze. Sia di esempio la riqualificazione del centro storico di Casandrino, dove la
presenza di immigrati in un’area storica quasi totalmente disabitata dagli abitanti locali, ha innescato una
riqualificazione diffusa degli immobili attuata attraverso le risorse che provenivano dagli affitti e una
successiva rivitalizzazione dei luoghi pubblici del centro attraverso l’apertura di attività artigianali e
commerciali da parte degli immigrati.
3.6.3 Il lavoro
Dalle informazioni raccolte attraverso le interviste ai testimoni qualificati e dai sopralluoghi effettuati
emerge che anche Pianura, come alcuni dei territori analizzati in questo rapporto di ricerca, rappresenta, per
gli immigrati, un quartiere che, per le caratteristiche esposte sopra, viene vissuto, per lo più, dal punto di
vista abitativo. Infatti le comunità presenti che, come abbiamo detto, sono a maggioranza di provenienza
africana (ivoriani e burkinabè in primo luogo e, a seguire somali) e latinoamericana (soprattutto capoverdiani
e peruviani) svolgono le loro attività lavorative in altri luoghi della città, come anche della provincia di Napoli,
cogliendo solo a volte le offerte di lavoro provenienti dal territorio di riferimento, rappresentate in gran parte
da richieste di manodopera immigrata per svolgere attività ‘a giornata’, senza una continuità sufficiente e
malpagate.
I Capoverdiani e i Somali, ad esempio, svolgono lavoro domestico e di assistenza nelle zone della città
dove maggiormente si richiedono tale tipo di mansioni: Mergellina, Posillipo, Vomero, Chiaia. Gli altri
immigrati di provenienza africana, Ivoriani e Burkinabè ma anche Maliani e Togolesi, rappresentano le
presenze più recenti della zona ed hanno molte difficoltà di inserimento lavorativo. La stragrande
maggioranza di essi non è in possesso del permesso di soggiorno e la restante parte, seppure regolarmente
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soggiornanti sul territorio italiano, lavora senza contratto. Ci è stato riferito, a tal proposito che, seppure in
modo discontinuo e in situazioni di sfruttamento, quasi tutti avevano un lavoro, a nero, che, però, molti
hanno perso con l’approvazione della legge Bossi-Fini, in quanto i datori di lavoro, spaventati da controlli
annunciati e dalle insistenze di alcuni immigrati per farsi assumere regolarmente, li hanno licenziati.
La maggiore parte di questi cittadini immigrati, in prevalenza maschi (le donne rappresentano una
componente esigua e trovano lavoro come domestiche presso le famiglie di Napoli e provincia) lavorano nei
settori dell’agricoltura e dell’edilizia, altri si impiegano presso i lavaggi auto, come sorveglianti notturni,
tuttofare nei vivai, benzinai, aiutanti presso negozi al dettaglio (fruttivendoli, macellai) nelle zone comprese
fra Soccavo, Pianura, Pozzuoli e Quarto. Una piccola parte trova impiego anche nei ristoranti e negli
alberghi svolgendo mansioni di facchinaggio, lavapiatti e addetto alle pulizie.
Le modalità di ricerca del lavoro vanno dall’aiuto chiesto a connazionali e a conoscenti italiani al contatto
diretto con il datore di lavoro. A questo proposito, si è venuti a conoscenza dell’esistenza delle cosiddette
piazze (ne risultano due a Quarto), luoghi fisici dove gli immigrati si radunano fin dalle prime ore del mattino
e dove chi ha bisogno di lavoratori si reca e offre lavoro a giornata o anche per periodi più lunghi, soprattutto
per mansioni da svolgere nelle campagne o come edile, rigorosamente a nero. Ecco perché, di fronte a
problemi di tipo lavorativo, pochi di loro fanno riferimento agli enti che, sul territorio, si occupano di tutela del
lavoratore. Alcuni fanno riferimento ai sindacati e alle associazioni che si occupano di immigrazione. I più
regolari si rivolgono anche a professionisti privati, soprattutto quando vengono licenziati ingiustamente.
Per questo gli immigrati delle comunità considerate lamentano molto l’assenza di una figura
rappresentativa fissa all'interno delle strutture pubbliche che tuteli i loro diritti e intervenga quando questi
ultimi vengono violati. Una delle proposte emerse durante le interviste è quella di fare partecipare gli
immigrati alla vita politica e socio-culturale del territorio, attraverso il diritto di voto per i cittadini immigrati.
Inoltre si ritiene utile una politica di sensibilizzazione della popolazione locale sugli immigrati, perché essi
vengano non soltanto considerati come forza lavoro disponibile e problematica ma anche come una risorsa
per l’arricchimento culturale. Infine, si propone, per l’emersione del lavoro immigrato irregolare, corsi di
formazione professionale per poter conseguire diverse qualifiche professionali che servano per l’inserimento
nel mercato del lavoro, a cui si può accedere senza l'obbligo del possesso del permesso di soggiorno. Così,
l'immigrato potrà esercitare un lavoro qualificato e dopo qualche anno di esperienza, coloro che avranno
manifestato la volontà di ritornare nel paese di origine potranno utilizzare l’esperienza acquista in Italia per
crearsi un futuro a casa propria.
3.6.4 La scuola
Le scuole di Pianura operano in un territorio definibile, per una serie di cause, ad alto rischio di
dispersione scolastica.
In primo luogo, il quartiere assiste ad una situazione di mancata corrispondenza tra i residenti stimati
dalle fonti ufficiali, illustrate all’inizio di questo capitolo, e le persone che effettivamente abitano in zona e
che, secondo stime ufficiose, sarebbero circa 90.000.
Inoltre, come abbiamo già avuto modo di dire, il nucleo originario e più antico del quartiere conserva
ancora i segni di una struttura rurale e la presenza di una cultura contadina che, sebbene stravolte,
sopravvivono e convivono con ampi insediamenti di persone appartenenti al ceto medio, attratti dai bassi
costi delle abitazioni, frutto dell’edilizia abusiva degli anni ‘70 e ‘80.
A questo si è sovrapposto, in seguito all’applicazione della legge 219/81, l’insediamento di famiglie di
terremotati provenienti da diverse aree della città e di ulteriori nuclei familiari che hanno occupato
abusivamente gli alloggi aggravando ulteriormente le già precarie condizioni di vita e con conseguente
diffusione di fenomeni quali il contrabbando lo spaccio di droga, la microcriminalità, e, negli ultimi tempi, la
macrocriminalità.
Le attività del terzo settore sono cresciute a dismisura nella dimensione del commercio, mentre, sul
versante dei servizi, il quartiere risulta assolutamente inadeguato ad affrontare le nuove esigenze di vita
collettiva.
E’ all’interno di tale scenario che, negli ultimi dieci anni, si sono insediate diverse comunità immigrate
Le conseguenze di tale situazione sul piano sociale risultano, allo stato attuale, il diffondersi di modelli di
comportamento contraddittori che generano talvolta contrasti oppure molto spesso convivenza indifferente.
All’interno della scuola tale condizione determina una situazione di disgregazione sociale e di disagio
economico che si traduce in dispersione scolastica, bassa qualità degli esiti formativi, insuccesso scolastico.
Il disagio si manifesta soprattutto in una particolare fascia di alunni contraddistinti da una situazione sociale
particolarmente emarginata, con difficoltà di comunicazione, incapacità di stare in classe e vivere la vita di
gruppo, di rispettare le regole, con scarsa fiducia in se stessi e nelle proprie risorse.
Alla luce di quanto detto, i maggiori problemi sociali individuati sono i seguenti:
- Perdita dell’identità culturale
- Carenza di centri di aggregazione e di socializzazione
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- Diffusione della cultura della prevaricazione e della violenza
- Diffusi atteggiamenti di trasgressione
- Difficoltà o mancanza di dialogo nella famiglia
- Mancanza di autostima e di fiducia nel futuro.
Territorialmente, il quartiere di Pianura ospita tre circoli didattici: l’ 86°, il 72° e l’8°, due scuole medie e un
istituto comprensivo, oltre a due scuole materne comunali: 18° e 27° Circoli Didattici.
Nel corso delle interviste effettuate, abbiamo avuto modo di parlare con dirigenti scolastici, personale
amministrativo, docenti. Fatta eccezione per l’istituto comprensivo e per le due scuole materne comunali,
dove non abbiamo registrato nessuna presenza di alunni stranieri, nelle rimanenti scuole se ne registra un
totale di 54, di cui 33 iscritti alla scuola elementare e 21 a quella media. Tale cifra si riferisce all’anno
scolastico in corso ed è praticamente raddoppiata rispetto al 2001/2002.
Un dato comune a tutte le scuole dove sono presenti minori stranieri è costituito dai seguenti elementi:
- l’aumento del loro numero rispetto agli anni precedenti. A tale riguardo i dati dell’Assessorato
all’Educazione sul loro inserimento scolastico nell’anno 2001/2002 segnalano la presenza, a Pianura, di 16
alunni stranieri cioè una percentuale dello 0,37%;
- il loro accesso al sistema scolastico che avviene attraverso le loro famiglie;
- una presenza di alunni dalle più disparate origini nazionali, fatta eccezione per gli alunni peruviani che
costituiscono la maggioranza;
- la totale assenza di formazione all’intercultura per il personale docente;
- l’inesistenza di strumenti e supporti didattici per favorire l’inserimento dei minori stranieri e per garantire
loro una frequenza a scuola rispettosa delle loro diversità culturali;
- nessuna di esse, alla richiesta di avere dati sull’inserimento degli alunni stranieri, ha valutato tali gli
alunni nati a Napoli, ma da famiglie immigrate.
Vediamo la situazione scuola per scuola.
La scuola con il maggior numero di alunni stranieri è l’86° Circolo Didattico (20 su 946) con una
percentuale del 2,2%. Si tratta in particolare di alunni appartenenti a famiglie peruviane, somale, filippine,
capoverdiane, brasiliane, rumene. Non mancano numerose situazioni di alunni appartenenti a coppie miste e
bambini affidati a famiglie italiane. La maggioranza ha frequentato questa scuola fin dalla materna, altri sono
arrivati da poco. Fra questi alunni, due presentano problemi che vanno dai disturbi del linguaggio, lentezza
nell’apprendimento, scarsa capacità di concentrazione, all’autismo. Per questi alunni, le cui problematiche
sono state segnalate fin dalla loro frequenza alla scuola materna, è stato attivato un servizio di logopedia, di
psicomotricità e quello del sostegno con deroga totale. Molti di loro non hanno problemi sul piano della
socializzazione con i compagni anche perché si frequentano da molto tempo. Alcuni invece presentano una
scarsa socializzazione in quanto caratterizzati da introversione e timidezza che li ostacolano nella relazione
con i compagni.
L’esito scolastico è mediamente buono tranne i casi di quegli alunni che evidenziano i problemi citati. Per
questi ultimi, ai problemi psico-affettivi si aggiungono il disagio sociale delle famiglie, la povertà delle
esperienze, la povertà economica. Le famiglie collaborano con la scuola quando possono anche
partecipando a iniziative collettive (le mamme straniere preparano piatti del proprio paese in alcune
occasioni particolari).
Per ciò che concerne i progetti realizzati per favorirne l’inserimento, alla luce della crescente presenza di
alunni appartenenti a famiglie immigrate, la scuola ha attivato nella materna per tre anni consecutivi il
progetto di educazione interculturale “Verso l’altro” con l’obiettivo di valorizzare le differenze e favorire forme
di convivenza costruttive. Il progetto, finanziato con i fondi d’istituto, si è caratterizzato come un percorso
contro gli stereotipi e i pregiudizi ed è stato rivolto a tutti gli alunni della scuola materna. Vi hanno partecipato
60 alunni, di cui 5 stranieri e le loro famiglie. Il progetto è tuttora attivo. Nella scuola elementare, invece,
viene redatto dagli alunni un giornalino mensile dal titolo “Pianulandia” di cui alcuni numeri valorizzano il
protagonismo degli alunni stranieri e la loro presenza nella scuola (interviste fatte ai compagni di origine
straniera, iniziative di questi ultimi che vengono pubblicizzate attraverso il giornalino, da cui emergono dati
numerici, l’atmosfera che caratterizza tale scuola in ordine alla loro presenza e infine l’impegno che la scuola
intende assumere in vista della aumentata multietnicità). Infine, per il sostegno agli alunni in difficoltà, la
scuola può contare sulla collaborazione della cooperativa Il Calderone che, grazie un progetto di Educativa
Territoriale finanziato dal Comune di Napoli ai sensi sella legge 285/97, si impegna nel supporto degli alunni
in difficoltà con attività di doposcuola e laboratori extrascolastici.
Di gran lunga inferiore è, invece, il numero degli alunni stranieri iscritti presso il 72° Circolo Didattico (7),
con una percentuale dello 0,7% sul totale degli iscritti, di cui due sono stati adottati da famiglie italiane fin da
piccoli, pertanto sono in possesso di buone abilità linguistiche, ben inseriti nel contesto scolastico e molto
seguiti dalle famiglie adottive che collaborano molto attivamente con la scuola. L’età di iscrizione è in regola,
salvo il caso in cui l’alunno arriva a scuola senza conoscere la lingua italiana. In questo caso, egli viene
inserito in una classe inferiore e si valuta in itinere un suo eventuale passaggio alla classe successiva. Il loro
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esiguo numero fa sì che non vengano attivati progetti di inserimento specifici. La loro provenienza dai paesi
più disparati (ad ogni alunno straniero iscritto corrisponde una diversa nazionalità) rende difficile l’attivazione
di progetti finalizzati al recupero e alla salvaguardia delle lingue e culture di origine. Alcune difficoltà vengono
affrontate dal singolo insegnante che si adopera con il proprio intuito e la propria disponibilità ad aiutare
l’alunno a superare le difficoltà iniziali.
In questa scuola, l’educazione culturale non è sentita come una priorità; infatti alla domanda se la scuola
realizza attività di educazione interculturale in orario curriculare, abbiamo ottenuto una risposta che
testimonia l’esistenza di tali percorsi solo in passato, grazie all’impegno delle associazioni del terzo settore,
ma abbandonati successivamente. Questo dato abbastanza generalizzato nelle scuole di Napoli, lascia
supporre che l’educazione interculturale non è sentita come una necessità di cui la scuola ha il dovere di
assumersi la responsabilità, ma come un optional per accontentare qualche insegnante più attenta e
sensibile. Tale situazione determina un carico di lavoro che ricade interamente sul singolo docente che,
lasciato solo, abbandona successivamente, in quanto non in grado, da solo, di gestire attività che spesso
comportano orari più elastici, contatti con figure professionali esterne, ricerca di spazi nella scuola dove
realizzare attività per grandi gruppi, reperimento degli strumenti necessari per la realizzazione delle attività.
Spesso nelle scuole napoletane non esiste un videoregistratore, né un diaproiettore e tanti altri strumenti che
facilitano una didattica che non sia quella della lezione frontale.
Presso quest’ultimo Circolo Didattico è attivo da diversi anni un progetto di educazione alla legalità
finanziato dalla Regione Campania ai sensi della legge regionale 39. Il progetto solo di riflesso affronta le
tematiche delle differenze culturali, della solidarietà, della pace.
Presso l’8° circolo didattico, una piccola scuola ritenuta a rischio, abbiamo registrato la presenza di 6
alunni stranieri su 780 iscritti (percentuale dell’8%). Di essi, due, una bambina dominicana e un bambino
francese, sono adottati da famiglie italiane. Degli altri, due sono peruviani, uno è ivoriano, una è pakistana.
Dall’intervista è emerso che questi alunni sono ben inseriti in particolare le bambine. Le famiglie hanno una
buona relazione con la scuola, l’esito scolastico è positivo. Nella scuola non sono mai state realizzate attività
di educazione interculturale e solo a partire da quest’anno è stato presentato al Ministero un progetto di
educazione interculturale.
L’impressione che ne è stata tratta è che il loro esiguo numero rispetto al totale e il fatto di essere sparsi
in qualche classe, li rendono quasi invisibili. E’ stato faticoso, da parte della scuola, ricordare chi erano e
quanti erano, in quali classi erano iscritti. Praticamente quasi dimenticati.
Nella scuola media, il numero complessivo degli alunni stranieri si abbassa. Infatti ne abbiamo registrato
10 nella Scuola Media Statale Giovanni Falcone,(percentuale dell’1,4%) e 11 nella scuola media Russo 1
(percentuale dell’1%). In entrambe le scuole, quest’ anno, il numero degli iscritti è aumentato rispetto agli
anni precedenti.
Nella Scuola Media Statale Giovanni Falcone, le nazionalità di provenienza di questi alunni sono quella
peruviana (4), pakistana (2), libanese (1), capoverdiana (1), filippina (1), brasiliana (1). Si tratta di 8 maschi e
2 femmine. Per quanto riguarda il loro esito formativo, esso appare mediamente buono. I rapporti della
scuola con le loro famiglie sono scadenti; tranne qualche rara eccezione, rappresentata anche dalla
presenza di uno dei loro genitori nel Consiglio di Istituto, la loro collaborazione con la scuola è scarsa anche
se va detto che la scuola si adopera poco per coinvolgerli. I motivi della loro scarsa presenza e
collaborazione risiedono in fattori economici e sociali (impegni di lavoro, necessità di stare molte ore fuori
casa) Nella classe gli alunni sono ben inseriti, vivono nel quartiere da molti anni, quasi tutti, infatti, sono nati
a Napoli, hanno frequentato la scuola elementare, parlano discretamente l’italiano. Alcuni sono caratterizzati
da una timidezza di fondo che li limita nella socializzazione con i compagni. A tale riguardo un insegnante ha
affermato che si dovrebbe capire di più se è un elemento del loro carattere o della loro educazione, oppure
se è perché si sentono estranei. Da questa risposta appare, da parte della scuola, un’operazione di delega
di quello che costituisce uno dei suoi compiti principali.
Le attività di educazione interculturale sono concepite come un percorso didattico da realizzare solo nelle
terze classi, in alcuni periodi dell’anno. L’unico dato positivo è costituito da una tematica di educazione alla
mondialità trasversale a tutte le discipline, sulla quale tutti i docenti lavorano in orario curriculare, con una
metodologia più partecipativa. Inoltre, sebbene esista un piano dell’offerta formativa, con finalità che vanno
dall’educazione alla legalità al favorire l’accettazione delle diversità e i rapporti scuola famiglia, non esistono
progetti di inserimento specifici, né iniziative che testimoniano la ricerca di modalità di coinvolgimento delle
famiglie.
Nella scuola media statale Russo 1, si segnala la presenza di 11 alunni di origine straniera di cui 6
maschi e 5 femmine provenienti principalmente dal Perù e, a seguire, dal Brasile, Romania, Filippine, Capo
Verde, Polonia. Il grado di accoglienza da parte degli alunni napoletani è elevato, non esistono conflittualità.
I rapporti della scuola con le loro famiglie sono mediamente buoni, tranne qualche caso di famiglia
totalmente assente, atteggiamento che, però, è riscontrabile anche in moltissime famiglie napoletane il cui
disagio sociale è molto grave.
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Anche in questa scuola, la cui utenza presenta in gran parte caratteristiche quali il disagio sociale,
atteggiamenti di prevaricazione e di violenza, è attivo un progetto di Educazione alla legalità presentato ai
sensi della legge regionale n. 39 che prevede iniziative e attività in orario scolastico, laboratori pomeridiani e
partecipazione ad eventi promossi da altri agenti nel mondo dell’educazione. (incontro con Amnesty
International, con gli operatori della Questura di Napoli, con il Centro S. Sofia, con l’Adi, con operatori
volontari del Carcere di Secondigliano). Le finalità principali sono costituite dalla promozione di
comportamenti legali, rispetto dei diritti, dell’ambiente naturale, promozione dell’integrazione sociale. Il
progetto prevede, inoltre, un seminario di cinque incontri per genitori e docenti sul tema “Genitorialità
efficace e promozione del benessere”. Il progetto è destinato a tutti gli alunni della scuola. All’interno di tale
progetto è inserito un cineforum la cui scelta dei film si lega prevalentemente ai temi del disagio
adolescenziale e sociale, al rapporto scuola famiglia, alla promozione dei sentimenti del rispetto e della
solidarietà.
Questo progetto, insieme ad alcune attività interdisciplinari realizzate in orario curriculare sull’educazione
alla mondialità, costituiscono le iniziative specifiche che la scuola realizza per favorire l’integrazione fra gli
alunni senza nessuna distinzione tra alunni autoctoni e figli di immigrati. Si tenga presente che tale scuola
opera in un grave e degradato contesto sociale dove, a detta di alcuni insegnanti, il problema più grave è
costituito dagli alunni del quartiere la cui perdita di valori e di norme comportamentali, è gravissima. Gli
alunni di origine straniera non aggravano i compiti della scuola e la risoluzione di alcuni problemi relazionali
che possono derivare da questa coabitazione e di quelli specifici legati all’apprendimento, vanno affrontati
nell’ambito della generale sforzo che la scuola oggi deve fare per garantire la legalità nei rapporti e la riuscita
scolastica per evitare la dispersione.
Prima di concludere il discorso sulla scuola, ci sembra opportuno accennare all’inserimento dei minori
stranieri nei convitti e nei semiconvitti, nelle scuole private e paritarie della zona.
Nel corso dell’anno 2001/2002, le strutture di questo genere che hanno accolto minori di origine straniera
sono state cinque: Ce.di.s. (Centro Didattico Sperimentale), Istituto La Perla, Istituto Don Giustino Russolillo,
Istituto Piccole Missionarie Eucaristiche e Istituto S. Giuseppe Suore Vocazioniste (tale istituto è situato nel
territorio del comune di Marano, ma dipende dal comune di Napoli). I primi due istituti sono a carattere laico,
mentre gli altri tre sono istituti religiosi.
Queste strutture hanno accolto diciannove bambini stranieri - sei al semiconvitto, quattro alla scuola
materna, nove alla scuola elementare – indirizzati, in alcuni casi, come anche dagli stessi genitori che
richiedono l’inserimento dei loro figli in questi istituti per le loro esigenze lavorative.
La retta per questi minori, è stata pagata in tre casi dalle famiglie, in altri dodici dal Comune di Napoli,
mentre, in quattro casi (i bambini dell’Istituto S. Giuseppe), sono ospitati gratuitamente, in quanto il Comune
ritarda nei pagamenti.
Per favorire l’inserimento dei minori sono particolarmente curati i rapporti con le famiglie, ed inoltre
vengono svolte attività extra scolastiche, come doposcuola e corsi di recupero.
Le uniche difficoltà segnalate sono legate alle loro disagiate condizioni familiari.
Il grado medio di accoglienza da parte dei minori italiani nei confronti dei bambini stranieri è
sufficientemente elevato.
4. LE COMUNITÀ IMMIGRATE PRESENTI A NAPOLI
Uno degli aspetti più interessanti dell’immigrazione nella città di Napoli consiste nella presenza di
numerose comunità etnico-nazionali, ognuna delle quali presenta caratteristiche socio-culturali ben
specifiche, che a loro volta generano bisogni ed aspettative diversi. In questo lavoro ci si è soffermati sulle
comunità la cui presenza numerica o la loro storia in città sono particolarmente significative.
Complessivamente saranno illustrate 22 comunità. Di ognuna si forniscono notizie relative all’arrivo, alle
principali caratteristiche e l’entità della presenza. A questo proposito sono riportati sia i dati ufficiali relativi ai
residenti nel 2003 nel Comune di Napoli e ai regolarmente soggiornanti 14, sia le stime fornite dai testimoni
qualificati intervistati in riferimento alla presenza regolare ed irregolare, alla composizione per genere e per
età.
Si tratta in alcuni casi di dati molto discordanti tra loro e tuttavia si è ritenuto importante riportarli; tale
discordanza, come è noto, va ricercata nella natura stessa delle fonti ufficiali che riportano dati che non sono
sempre confrontabili tra loro. Ad esempio mentre i dati relativi ai permessi di soggiorno tengono conto anche
degli stranieri presenti per brevi periodi (come nel caso del turismo) e solo in parte conteggiano i minori
14
. Dati forniti dalla Questura di Napoli e dal Ministero dell’Interno.
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immigrati (che più frequentemente sono registrati sui permessi di soggiorno dei genitori se minori di 14 anni),
i dati dell’anagrafe comunale sembrano essere più attendibili sul numero dei minori regolarmente presenti
ma non rilevano, al contrario, gli stranieri presenti pur regolarmente per brevi periodi 15.
Se le fonti ufficiali non concordano sul numero di stranieri presenti, tanto meno concordano con esse le
stime fornite dagli interlocutori ascoltati, non solo ma anche gli interlocutori hanno in alcuni casi fornito stime
significativamente diverse. Ciò risente evidentemente della lettura che i testimoni stessi hanno del fenomeno
e, d’altro canto, dal fatto che, per una componente dell’immigrazione, la città di Napoli è tutt’oggi un’area di
transito nell’esperienza migratoria. Vi è poi da tener conto delle conseguenze, sulla effettiva presenza in città
che la procedura di emersione del lavoro irregolare prevista dal decreto collegato alla cosiddetta legge
Bossi-Fini 16. Infatti da un lato essa ha avuto un effetto di richiamo verso immigrati che prima non erano
presenti sul territorio cittadino o nazionale, dall’altro ha invece spinto immigrati appartenenti ad alcune
comunità a spostarsi verso altre zone del paese dove ricercare un possibile lavoro con cui emergere dalla
clandestinità.
Per ciascuna delle comunità considerate vengono approfondite le tematiche relative alle forme
organizzative (formali ed informali) eventualmente esistenti, si forniscono alcune informazioni circa gli usi, i
costumi e le tradizioni legate alla cultura di origine di ogni comunità, si analizzano anche, laddove esistono,
le modalità di riproduzione, nell’esperienza migratoria a Napoli, di feste e usanze del paese di provenienza e
le difficoltà ad essa legate 17.
All’interno dei paragrafi dedicati ai singoli gruppi nazionali è stato inserito un sottoparagrafo intitolato
commercio etnico. In tal caso ci si riferisce non solo alle attività commerciali messe in piedi da alcuni cittadini
di origine straniera (quali i ristoranti etnici, i negozi gestiti da stranieri che vendono prodotti di svariata natura,
i call center), ma si sono indagate anche le possibilità offerte dalla città di Napoli agli immigrati per
soddisfare i propri bisogni in termini di generi alimentari, abbigliamento, prodotti da toilette, libri, riviste,
compact disk e cassette musicali originari delle proprie aree culturali o geografiche di provenienza.
Un altro sottoparagrafo per ciascuna comunità affronta il tema dell’infanzia. In esso si farà più volte
riferimento ad una realtà ancora molto diffusa in questa città: lo spezzamento dei nuclei familiari e, in primo
luogo, il ricorso da parte di numerose famiglie di origine straniera all’istituzionalizzazione dei minori o al
ricorso all’affidamento ad altre famiglie. Un numero ancora molto rilevante di immigrati a Napoli svolge
attività di cura e di assistenza alle persone; molti di loro vivono sul territorio già da diversi anni e sono anche
in possesso del permesso di soggiorno, ma non hanno ancora trovato possibilità di inserimento lavorativo
alternative. La maggiore difficoltà derivante dallo svolgimento di tale occupazione è lo scarso tempo libero a
disposizione, quasi inesistente per coloro che lavorano 24 ore su 24 ed abitano presso l’alloggio del datore
di lavoro, che non permette molto spesso ai genitori, che hanno scelto di tenere i propri figli con sé, di
dedicare loro il tempo e la cura necessaria. Per tali ragioni alcune famiglie si vedono costrette ad affidare i
propri bambini ad istituti o a famiglie italiane. Raramente è emerso, nel corso di questa e di altre ricerche
svolte in periodi precedenti, che si tratta di forme di affido formali, regolate giuridicamente. Il caso più
frequente è quello dell’affidamento informale da parte dei genitori stranieri naturali a conoscenti italiani,
basato su rapporti di conoscenza o di vera e propria amicizia già esistenti tra le parti. Talvolta, nei casi in cui
i legami tra i genitori siano già molto consolidati e la famiglia affidataria abbia stabilito un rapporto di sincero
e profondo affetto con il minore, non si registrano neanche forme di pagamento, se non semplici contributi
alle spese di mantenimento dei bambini da parte dei genitori naturali. Questi ultimi, generalmente,
trascorrono con i propri figli il tempo libero dal lavoro. In alcuni casi, vanno a riprenderli la sera, i bambini,
dunque, dormono nella propria casa. In altre situazioni la famiglia si riunisce il week end o solo il giovedì
pomeriggio e la domenica. Questo fenomeno potrebbe evidenziare strategie di aiuto e solidarietà tra famiglie
autoctone ed altre di origine straniera, in realtà racchiude molte pericolose insidie. In primo luogo, emerge la
debolezza sociale di queste famiglie, il mancato godimento di tutti i diritti fondamentali tra cui quello al tempo
libero e all’unità familiare; in secondo luogo viene fuori con forza la debolezza del sistema di welfare locale
che non riesce ad offrire soluzioni meno dolorose a queste famiglie in difficoltà. Inoltre, andrebbe
maggiormente indagato e considerato il senso di alienazione, di spaesamento dei minori affidati che vivono
tra due famiglie che hanno culture, talvolta religioni, abitudini, codici linguistici e valori diversi. Molto spesso i
15
. Sulla natura delle fonti statistiche relativamente al fenomeno migratorio è stata prodotta nel corso degli anni Novanta
una ampia letteratura. Tra gli altri cfr. Bonifazi C., Sabatino D., “L’immigrazione negli anni novanta”, in Pugliese E. (a
cura di), Rapporto Immigrazione. Lavoro, sindacato, società, Ediesse Ed. Roma , 2000.
16
. Cfr. legge n. 189/2002 e decreto legge n. 195 del 9 settembre 2002.
17
. Nei casi in cui ricorrenze e feste sono comuni a più comunità, esse sono state trattate in quella più numerosa. Così ad
esempio le ricorrenze principali della religione musulmana - comuni a molti gruppi di immigrati di diversa provenienza
geografica (gli arabi, i pakistani e diverse nazionalità di africani sub-sahariani)- sono state affrontate in maniera più
approfondita solo nel paragrafo relativo alla comunità araba (rappresentando quest’ultima la comunità musulmana più
numerosa ed essendo la religione musulmana diffusa nel resto del mondo soprattutto attraverso la conquista di molte
parti del continente africano, del medio Oriente e dell’Asia da parte degli arabi).
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testimoni intervistati denunciano casi di bambini che dopo un certo periodo rifiutano i genitori naturali perché
hanno finito con l’identificarsi maggiormente con quelli italiani e, ancora, situazioni in cui è la famiglia
affidataria ad impedire un equilibrato ricongiungimento dei minori con la famiglia di origine.
Va ribadito che le informazioni acquisite e qui riportate, seppure siano state supportate dalla letteratura
in materia 18, sono essenzialmente frutto delle interviste fatte ai testimoni intervistati, per cui risentono anche
delle loro esperienze personali e delle conoscenze acquisite 19. Inoltre, bisogna considerare il fatto che le
notizie vanno sempre riferite ai membri della comunità straniera presente a Napoli che esprimono delle
particolarità legate al gruppo etnico, alla religione, alla zona di provenienza, per cui vanno intese come
espressioni di una cultura nazionale che si presenta molto più ampia e variegata.
I paragrafi relativi alle comunità etnico-nazionali sono stati accorpati per provenienza geografica e sono
stati poi ordinati in base alla loro consistenza numerica. I primi gruppi nazionali a cui si fa riferimento sono
quelli provenienti dall’Asia che si contraddistinguono, appunto, per una presenza più massiccia sul territorio
cittadino. Seguono quelli provenienti dal continente africano, molti dei quali si caratterizzano per la loro lunga
presenza a Napoli ed in Italia (i Somali, gli Eritrei, gli Etiopi, i Capoverdiani), le comunità di più recente arrivo
originarie dei paesi europei ed, infine, le nazionalità immigrate provenienti dal centro e dal sud America.
Inoltre, all’interno di ogni area geografica, l’ordine di presentazione delle singole schede per comunità segue
il criterio alfabetico.
4.1 LE COMUNITA’ PROVENIENTI DALL’ASIA
Dal continente asiatico provengono le comunità etnico-nazionali straniere la cui presenza numerica è tra
le più significative nella città di Napoli, quasi la metà degli immigrati residenti proviene da questo continente.
Per la precisione essi provengono da 18 diversi paesi dell’Asia, ma in primo luogo dalla Cina, dallo Sri
Lanka, dalle Filippine. La consistenza numerica del gruppo dei pakistani non è paragonabile a quella di
queste ultime comunità etnico-nazionali ma essa appare in costante aumento e per tale motivo sarà presa in
considerazione nel rapporto.
Qui di seguito si analizzeranno le principali caratteristiche socio-culturali di queste comunità.
4.1.1 La comunità cinese
L’immigrazione cinese ha riguardato la città di Napoli nei primi anni Novanta, periodo che coincide con la
apertura di alcuni ristoranti e con l’arrivo in città di cinesi provenienti, non solo direttamente dal loro paese,
ma anche da altre città italiane o europee in cui la presenza di tale nazionalità aveva assunto, prima che a
Napoli, un aspetto più stabile ed organizzato. Il flusso si intensifica intorno al 1996 in coincidenza con la
20
sanatoria varata in quel periodo .
Nel 2003 i cinesi residenti nel Comune di Napoli risultano essere 631 21, di cui 268 donne, tuttavia la
presenza reale dei Cinesi è -secondo quanto riferito dai nostri interlocutori 22- superiore alle 1.000 unità
(quasi due mila stima una delle testimoni ascoltate), e composta da un numero di donne di non molto
inferiore a quello degli uomini e in molti casi si è in presenza di veri e propri nuclei familiari. A conferma di ciò
è il dato sui minori cinesi che sono pari a circa un quarto del totale della presenza.
I casi i cinesi che vivono in città si concentrano per lo più nella zona circostante piazza Garibaldi, anche
se si segnalano alcune presenze nella zona di Montesanto e nei pressi di piazza Carlo III. Qui, a differenza
della provincia, soprattutto nei comuni vesuviani dove sono presenti piccole imprese manifatturiere, la quasi
totalità dei cinesi, sia uomini che donne, lavora nel settore commerciale, sia come lavoro autonomo, sia alle
dipendenze (quasi sempre di altri Cinesi).
Per alcuni cinesi la zona di residenza coincide con quella di svolgimento dell’attività lavorativa, infatti le
zone qui considerate non sono solo quelle in cui i cinesi trovano casa, ma sono anche quelle in cui fiorisce il
commercio da loro organizzato in negozi. Essendo, però, i cinesi occupati anche nel commercio ambulante,
il luogo di lavoro, in quest’ultimo caso, non coincide con quello di residenza e le attività sono svolte in tutte le
18
. Cfr. la bibliografia allegata.
. Sono stati ascoltati, nel corso della ricerca, un gran numero di testimoni privilegiati sull’intero fenomeno migratorio in
città, inoltre sono stati ascoltati da uno a cinque testimoni appartenenti a ciascuna comunità indagata, scelti tra
rappresentanti di associazioni di comunità, mediatori culturali, leader di comunità, ecc. In ogni paragrafo che segue sono
riportati in nota i testimoni di comunità ascoltati (per gli altri si veda l’elenco riportato in appendice).
20
. Song X., “Il ruolo della comunità cinese nello sviluppo culturale ed economico di Napoli e provincia” in de Gregorio V.
(a cura di) 2002, pp. 26-30
21
. Dai dati della Questura emerge invece che il numero di cinesi con permesso di soggiorno è pari a 479, lo scarto con i
residenti in parte riguarda il numero dei minori registrati all’anagrafe, e non rilevato nei permessi di soggiorno.
22
. I nostri interlocutori privilegiati sono stati la presidente dell’associazione A.Ca.Cia e un operatore sociale cinese
impegnato in attività di strada e sportelli informativi. Un importante contributo alla ricerca è stato dato da una docente
universitaria dell’Istituto Universitario Orientale, conoscitrice attenta della cultura e della comunità cinese presente a
Napoli.
19
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zone commerciali della città, nei mercatini rionali, in provincia di Napoli ed in altre città della regione. Anche
la presenza di ristoranti è distribuita sull’intero territorio cittadino.
La maggioranza dei cinesi presenti a Napoli proviene dalle regioni del sud del paese, in particolar modo
dalla regione meridionale di Zhejiang, situata a sud delle grandi città di Shangai e Nanchino, e dalla città di
Wenzhou.
La condizione dell’infanzia: I minori cinesi residenti nel comune di Napoli risultano essere nell’anno 2003
160, e di questi 64 hanno fino a 5 anni, 68 sono di età compresa tra i 6 e i 14 anni, mentre 28 hanno 15 anni
o più. I bambini cinesi costituiscono il 25% della comunità residente e rappresentano il 7,6 % dei minori
stranieri residenti. Le famiglie rappresentano quindi una componente abbastanza consistente della comunità
cinese a Napoli. Molti sono i genitori che tengono con sé i propri figli, ma altri li riportano, anche appena nati,
in Cina, dove crescono con i nonni.
Dalle interviste raccolte risulta che nella comunità cinese, come in altre, ci sono casi di bambini dati in
affidamento in modo informale a famiglie italiane dietro pagamento di una retta mensile la cui cifra sarebbe
contenuta tra i 300 ed i 600 euro. Il numero di bambini cinesi affidati a coppie italiane in città, a differenza
della provincia, è abbastanza contenuto, sono stati, di fatti, segnalati una decina di casi nei pressi della
stazione centrale. La carenza in città di servizi alla prima infanzia da un lato, e gli orari di lavoro dei genitori
(che portano a trascorrere praticamente l’intera giornata fuori casa) dall’altro, non consentono di dedicare il
tempo necessario ai propri bambini e per tanto chi non può riportare il bambino in età scolare in patria (per
motivi familiari o perché sprovvisto di permesso di soggiorno) trova come unica soluzione quella di affidare il
figlio ad una donna italiana.
I rapporti con la scuola: Il numero di alunni cinesi a Napoli è cresciuto di pari passo con l’aumento della
complessivo della comunità, raggiungendo oggi una presenza nella scuola tra le più consistenti.
Tuttavia ci è stato riferito che il rapporto tra le famiglie cinesi ed i loro bambini, da un lato, e la scuola
italiana, dall’altro appare essere alquanto problematico, e che le scuole si sono trovate spesso impreparate
ad affrontare l’arrivo di alunni cinesi, e ciò per una molteplicità di motivi. In primo luogo perché il fenomeno
oltre che relativamente recente (degli ultimi anni Novanta) si concentra solo in alcune scuole della città
(essendo le famiglie cinesi presenti soprattutto nella zona circostante piazza Garibaldi) che hanno quindi un
elevato numero di bambini cinesi in aule già di per sé con un’utenza problematica.
In secondo luogo gli alunni cinesi, come altri bambini immigrati, spesso arrivano ad anno scolastico già
avviato, senza la possibilità di programmare interventi di sostegno, protocolli di accoglienza da parte degli
insegnanti. Infine vi sono da considerare le difficoltà nell’apprendimento della lingua italiana per un bambino
che parla solo il cinese, oltre che – in situazioni estreme, che pur abbiamo riscontrato - l’indisponibilità di
alcuni insegnanti ad accogliere bambini immigrati o problematici.
Anche, ma non solo in conseguenza di tutto ciò, come dichiarato dalla presidente dell’Associazione
A.ca.cia molti genitori cinesi, quando possono, preferiscono mandare i propri figli, appena raggiunta l’età
scolare, in Cina a seguire il ciclo elementare e, molto spesso, proseguono e concludono il ciclo delle medie
in Italia. I minori cinesi presenti sul territorio frequentano regolarmente la scuola e raramente svolgono una
attività lavorativa e quando ciò accade è al di fuori dell'orario scolastico o durante le vacanze estive nelle
aziende familiari: ad esempio aiutando ad attaccare i bottoni, o stando nel negozio dei genitori dove talvolta
fungono anche da interpreti tra i genitori e i clienti, non parlando i genitori per niente l’italiano.
Le difficoltà nel seguire i programmi didattici e nell’apprendimento della lingua italiana si ripercuotono
spesso anche nel rapporto con i compagni di scuola. Secondo quanto riportato da rappresentanti della
comunità talvolta i bambini cinesi tendono a chiudersi perché non si sentono accettati dai bambini italiani, al
punto che sono stati riferiti diversi casi di insulti e prese in giro anche in classe. D’altro canto neanche i
genitori riescono ad entrare molto in rapporto con la scuola ed il corpo docente e ad instaurare rapporti
continui, sia perché lavorano tutto il giorno - e ciò non permette loro di seguire con costanza la formazione
scolastica dei figli – sia per le difficoltà linguistiche. Per tali ragioni entrambi i nostri interlocutori hanno
espresso l’esigenza di dare più spazio ad insegnanti di madrelingua che li sostengano durante le ore di
lezione ma anche in attività di doposcuola nel corso delle quali potrebbero essere organizzati dei corsi di
recupero.
La casa: I Cinesi, come molte altre comunità immigrate, non hanno difficoltà a trovare una prima
accoglienza in quanto ci sono sempre parenti ed amici disposti ad ospitarli al momento dell’arrivo ed
impiegano in media un mese per trovare, poi, una propria abitazione, chiaramente sempre da condividere
con altri connazionali. I criteri che orientano i Cinesi nella scelta di un’abitazione sono l’ampiezza dei locali
legata all’esigenza di poter vivere in molti per dividere l’affitto e risparmiare su tutte le spese, la vicinanza al
lavoro; gli ambulanti cercano anche appartamenti siti nei piani bassi, trovandosi quasi sempre a trasportare
carichi di un notevole peso. Il mediatore culturale intervistato ritiene che i Cinesi tendono ad essere stabili
nel momento in cui affittano un appartamento, a rimanervi per almeno 2-3 anni se non incontrano difficoltà
particolari dovute all’aumento del fitto o alle lamentele del proprietario rispetto al numero di persone che vi
abitano. L’altra testimone, al contrario, sostiene che i suoi connazionali cambiano casa molto di frequente.
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Entrambi, però, concordano nel dichiarare che i cinesi cambiano la loro situazione abitativa nel momento in
cui si modificano le loro condizioni familiari: se sono raggiunti dai loro familiari dalla Cina, ad esempio, o se si
sposano sono spinti a cercare soluzioni indipendenti o, ancora, se migliorano le loro condizioni economiche
cercando anche abitazioni qualitativamente migliori. Le abitazioni sono concepite essenzialmente come
luoghi dove tornare a dormire, poiché i Cinesi, come si è detto, trascorrono la maggioranza della giornata
fuori casa.
Molti Cinesi, come anche gli immigrati di altre nazionalità, non riescono sempre a fare ritorno in patria
nel giro di pochi anni e protraggono la loro permanenza all’estero per poter vedere realizzato il proprio
progetto migratorio. Ciò vale in modo particolare per i commercianti che hanno aperto negozi di vario genere
e ristoranti, i cui investimenti fanno pensare ad una lunga e stabile presenza.
Il commercio etnico: Nella zona circostante piazza Garibaldi si è sviluppato un fiorente commercio cinese,
a prescindere dall’ambulantato, sono stati censiti più di un centinaio di negozi cinesi, così suddivisi: circa 5
supermercati, circa 170 negozi che vendono articoli vari come abbigliamento, giocattoli, articoli da regalo,
scarpe, pelletteria, piccoli oggetti elettronici, accessori, in molti casi all’ingrosso e destinati a rifornire i
commercianti ambulanti, circa venti ristoranti, un’erboristeria ed una videoteca. C’è, inoltre, un negozio di
proprietà di una coppia mista (lui è Cinese, lei di nazionalità italiana) nel centro storico che non offre prodotti
in serie da vendere agli ambulanti, ma abbigliamento e piccoli oggetti di artigianato più tradizionali cinesi. Nel
corso del 2003 è stato aperto, nella zona di Gianturco, un centro commerciale cinese che comprende circa
un centinaio di esercizi commerciali. Tali negozi sono tutti autorizzati (o sono in attesa di esserlo) e sono tutti
gestiti da privati appartenenti alla comunità. Gli alimenti venduti e consumati a Napoli dai cinesi vengono fatti
arrivare da connazionali che organizzano l’attività di import-export. Una parte di tali beni viene fatta arrivare
anche da Roma. Nonostante questa ricca attività, ci sono prodotti di cui la popolazione cinese sente la
mancanza, quali libri in lingua; alcuni tipi di verdure. A questo proposito ci è stato riferito che alcuni
agricoltori italiani hanno iniziato a coltivare anche in provincia Napoli.
Molte di queste attività commerciali, in modo specifico i ristoranti, sono nate da investimenti operati da
cinesi che avevano accumulato capitali nel corso di precedenti esperienze migratorie in altre città d’Europa.
I rapporti con la popolazione locale e con altre comunità di immigrati: Il rapporto tra la comunità cinese e
la popolazione locale non è stato mai caratterizzato da episodi di aperta ostilità, tuttavia i testimoni ascoltati
ritengono che tali relazioni non siano da considerarsi del tutto positive, anche se entrambi riferiscono di non
essere a conoscenza di episodi particolari di intolleranza. Essi piuttosto riferiscono che l’atteggiamento dei
napoletani nei loro confronti, e più in generale nei confronti di tutti gli immigrati, è da ritenersi nella sostanza
intollerante in quanto “li prendono in giro. I napoletani hanno una mentalità un po’ chiusa, non sono abituati
agli stranieri”. L’attitudine degli autoctoni viene considerata indifferente fin quando i napoletani non hanno
interessi a trattare con i cinesi, disponibile nel momento in cui c’è interesse a coltivare rapporti con loro.
D’altro canto è anche vero che i cinesi sono molto riservati, tendono a stare molto tra di loro senza costruire
relazioni significative né con altri stranieri né con i napoletani.
Matrimoni ed unioni, tradizionali e misti: Come si è detto il numero di famiglie cinesi è elevato, tuttavia
nella maggior parte dei casi le coppie arrivano in Italia già coniugate e, ad oggi, i matrimoni celebrati a
Napoli ricorrendo al rito tradizionale cinese sono poco frequenti. Nella città di Napoli esistono, poi, diverse
coppie “miste” sia coniugate (si tratta di matrimoni tra donne cinesi e uomini italiani, inglesi ed americani) che
conviventi. Nella maggior parte dei casi si tratta però di persone che poco hanno a che fare con i flussi
migratori degli ultimi anni, ma più frequentemente di donne cinesi che hanno conosciuto l’attuale coniuge in
Cina o in altri paesi. Le coppie miste rappresenterebbero, secondo la testimone, l’1% della comunità.
Vita comunitaria (luoghi di incontro e di socializzazione): I testimoni cinesi ascoltati concordano nel
ritenere importante poter conservare le proprie tradizioni anche vivendo l’esperienza migratoria ed
apprezzerebbero il fatto che la città di Napoli offrisse loro la possibilità di celebrare le feste principali del
proprio paese che, secondo le informazioni rilevate nel corso delle interviste svolte, risultano essere il
Capodanno cinese, la festa nazionale e la festa della luna.
Il Capodanno cinese cade in un giorno compreso tra i mesi di gennaio e febbraio che varia
ogni anno seguendo il calendario cinese. I festeggiamenti durano 10 giorni durante i quali si sta
con i parenti e si organizzano fiere e mercati. Tra queste ultime molto suggestive sono le fiere
delle lanterne (tipiche delle regioni del nord del paese) con cui si addobbano tutte le strade.
Altra caratteristica di questa festa è la celebre danza del drago, sagoma in cartone che,
addobbata anch’essa con lumini, viene fatta sfilare per le strade.
La festa nazionale ricorre il 1° ottobre ma si celebra, come nel caso precedente, per 10
giorni nel corso dei quali tutte le categorie di lavoratori riposano e si sta in compagnia di familiari
ed amici. Anche per questa festa le strade vengono addobbate con luminarie.
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La festa della luna, che ricorre tra agosto e settembre, si festeggia in un giorno di luna
piena, riunendosi con la propria famiglia e sedendo attorno ad una tavola rotonda, simbolo
dell’unità.
Dai ricordi dei testimoni emerge che solo in due casi la comunità è riuscita ad organizzare il capodanno
secondo le modalità tradizionali, una volta a Napoli nel 1999 fa ed un’altra a S. Giuseppe Vesuviano 9 anni
prima. Ma a parte tali eccezioni, di norma l’80% dei Cinesi a Napoli festeggia tali ricorrenze andando al
ristorante cinese o restando nella propria abitazione con i familiari.
Le ragioni per cui, pur essendo una comunità così nutrita, i Cinesi non riescono a conservare, se non in
forma estremamente ridotta, le loro feste tradizionali sono molteplici e li accomunano agli immigrati di altre
nazionalità.
In primo luogo è da considerare che i Cinesi sono quotidianamente concentrati nel loro lavoro, in gran
parte di commercianti, che li porta fuori casa tutta la giornata. Tale situazione, probabilmente, lascia poco
tempo e forze alla voglia di dedicarsi ad attività di natura squisitamente culturale e sociale e di integrazione
con la popolazione locale, in quanto li distoglierebbe dal loro scopo principale o, forse, semplicemente non
rientrano nel loro progetto migratorio. Ciò sarebbe confermato anche da un altro passo di una delle due
interviste effettuate in cui si afferma che “la città di Napoli non si ferma per il capodanno cinese o altre feste.
È necessario lavorare”. Altra ragione potrebbe risiedere, a detta del testimone, nella mancanza di luoghi e
locali adeguati, eventualmente concessi dall’amministrazione comunale, che potrebbero essere destinati o
messi a disposizione per lo svolgimento di tali feste. Neanche i ristoranti possono essere considerati dei
luoghi di ritrovo, ci si va solo per mangiare, la loro frequentazione non è considerata un’occasione di incontro
con altri connazionali.
Non ultima, la difficoltà deriva da ritmi di lavoro e di riposo che in Italia sono ancora del tutto calibrati su
un calendario che rispecchia solo le festività riconosciute dalla “cultura italiana” o, meglio, cattolica, senza
minimamente prendere in considerazione le esigenze di altri segmenti della società. Questo potrebbe
derivare dal fatto che si continua ancora a considerare l’immigrazione nel nostro paese come un fenomeno
temporaneo, vissuto da persone senza volti, immaginate esclusivamente di passaggio e destinate ad essere
considerate “straniere”, e quindi outsiders, pur vivendo qui da numerosi anni. Probabilmente solo quando si
comincerà a realizzare che la presenza di persone nate in altri universi socio-culturali è ormai parte
integrante della nostra società, che deve quindi darsi nuove regole e nuove prospettive, forse queste
saranno finalmente considerate cittadine.
A Napoli è possibile reperire due periodici intitolati Tempo. Europa Cina e La nuova Cina pubblicati due
volte a settimana a Roma e distribuiti a Napoli, come nel resto d’Italia. In questi giornali si possono trovare
articoli sugli ultimi avvenimenti della Cina, sugli eventi socio-culturali organizzati dalle comunità cinesi nelle
varie città italiane, annunci di lavoro e di compravendita e tutte le questioni riguardanti l’immigrazione in
Italia. Tali riviste, a Napoli, possono essere acquistate presso gli esercizi commerciali gestiti dai cinesi,
essenzialmente i supermercati.
Aspetti religiosi e ricorrenze principali: Alcuni testimoni ascoltati sostengono che praticamente tutti i
cinesi sono confuciani - essendo il confucianesimo una filosofia, un sistema di vita - una parte di essi,
invece, pratica il culto buddista. Un dato fornitoci da una delle testimoni privilegiate contattate riguarda
l’aumento del numero di proseliti cinesi della Chiesa cristiana evangelica e dei testimoni di Geova.
I Cinesi hanno, ovviamente, anche modalità specifiche di vivere le ritualità legate alle fasi più importanti
della vita (nascita, passaggio all’età adulta, matrimonio e morte) a cui, anche in questi casi, devono
rinunciare per le medesime ragioni su indicate. Rispetto ai funerali, ad esempio, molti cinesi osservano il rito
della cremazione del corpo che viene svolto, alla presenza di parenti ed amici del morto, in un luogo
apposito. I nostri interlocutori, come anche altri testimoni privilegiati intervistati, non ritengono che la propria
comunità senta l’esigenza di avere uno spazio di sepoltura adeguato alle proprie ritualità specifiche in
quanto la maggioranza dei propri membri, anche quando ha progetti migratori che contemplano lunghi
periodi di permanenza nel nostro paese, spera sempre di far ritorno nella propria terra di origine in età più
avanzata. La salma di coloro che muoiono in Italia viene sempre inviata in patria.
La comunità cinese, anche quella di religione buddista, non mostra di sentire profondamente il bisogno di
disporre di un proprio luogo di culto, in quanto questa può essere praticata anche in privato, in assenza di
spazi specifici.
Forme organizzative: A.ca.cia. (Associazione Campania-Cina) è un’associazione che si rivolge alla
comunità cinese, la sua presidente è, difatti, una signora cinese che gestisce un’erboristeria, che funge
anche da sede dell’associazione e luogo dove i connazionali possono recarsi per chiedere qualunque tipo di
informazioni e consulenza in ambito sanitario, giuridico e lavorativo. L’associazione ha anche realizzato un
progetto finalizzato all’integrazione degli alunni cinesi e al miglioramento del loro apprendimento scolastico
ed, in particolare, della lingua italiana. Il progetto, svolto presso la scuola Bovio, nel 2002 ha avuto 18
destinatari, minori compresi tra gli 11 ed i 15 anni, ed è stato finanziato con fondi scolastici. Un’altra attività a
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cui l’associazione dedica molti sforzi è lo sportello informativo sul disbrigo delle pratiche e sull’orientamento
ai servizi territoriali, finalizzato ad un miglior inserimento della popolazione cinese nella città di Napoli.
Alcuni commercianti cinesi hanno dato vita anche ad un’associazione che rappresenta tale categoria di
lavoratori e che di recente si è scissa in due enti diversi, aventi, però, obiettivi simili di tutela dei connazionali
che si dedicano a questa attività nella città di Napoli.
4.1.2.La comunità filippina
I Filippini residenti nel territorio comunale, nell’anno 2003, risultano essere 1.102, di cui 691 donne. La
loro reale presenza è stata stimata, invece, dalla testimone intervistata 23, intorno alle duemila unità,
riferendosi, però, all’intera provincia di Napoli. La componente femminile rappresenta ancora oggi la parte
più consistente di questa immigrazione (circa il 65% delle presenze).
I primi arrivi degli immigrati filippini si registrano in Italia nel 1972, anno in cui il dittatore Marcos
introdusse la legge marziale nel paese. Inizialmente, quindi, all’interno del flusso migratorio verso l’Italia si
poteva cogliere anche una componente di rifugiati politici, sebbene non riconosciuti come tali; più in
generale, però, in molti affermano che si tratta di un’immigrazione determinata essenzialmente da
motivazioni economiche che ha conosciuto un incremento intorno agli anni ’80 24. Secondo quanto emerso
dalle testimonianze ascoltate, molti Filippini presenti a Napoli hanno lasciato questa città alla ricerca di
opportunità lavorative più allettanti nel nord Italia o in altri paesi quali il Canada e gli Stati Uniti. Del resto
l’immigrazione filippina è in generale caratterizzata da livelli di scolarizzazione abbastanza elevati, di contro
in Italia il settore del mercato del lavoro in cui la maggioranza dei filippini è riuscita ad inserirsi è
essenzialmente quello dei servizi presso le famiglia 25. Infatti, la maggioranza della comunità filippina, senza
distinguo per uomini e donne, continua a svolgere lavori domestici e di assistenza pur avendo conquistato
migliori condizioni di lavoro rispetto sia al passato sia ad altre comunità di più recente immigrazione. Molti di
loro, di fatti, riescono oggi a non lavorare più l’intera giornata dormendo presso l’abitazione del datore di
lavoro ma a concentrare il proprio impegno la mattina ed il pomeriggio e a ritornare a casa propria la sera.
La lingua ufficiale, il pilipino, di origine malese, è parlata da circa la metà degli abitanti delle Filippine,
molti dei quali parlano anche altre lingue e dialetti asiatici. Il resto dei Filippini parla l’inglese. Non sono
assenti piccoli gruppi minoritari che conoscono la lingua spagnola, il francese ed il cinese 26.
La comunità filippina è una delle più numerose presenti nella città di Napoli e si concentra nella zona dei
Quartieri Spagnoli, ad Agnano e nei dintorni di piazza Dante.
La condizione dell’infanzia: I minori di nazionalità filippina residenti nel Comune di Napoli sono 208
nell’anno 2003. Di questi, 83 hanno un’età compresa tra gli 0 ed i 5 anni, 107 hanno fino a 14 anni e 18 sono
maggiori di 15 anni. I minori filippini rappresentano il 19% dell’intera comunità ed il 10% dell’insieme dei
minori stranieri residenti. Nella maggior parte dei casi si tratta di bambini nati in Italia e circa dieci sono,
secondo i testimoni, i figli di coppie miste. I bambini vivono nella stragrande maggioranza con la madre o con
i genitori, nella propria abitazione o in quella del datore di lavoro.
La testimone privilegiata ascoltata ritiene che ci siano casi di bambini filippini dati in affidamento informale
a famiglie italiane ma non sa darne una stima, neanche molto orientativa, lei ne conosce personalmente due
ma è sicura che non siano molto numerosi; in alcuni casi si rivolgono anche a baby sitter italiane per
l’accudimento dei propri bambini durante le ore del giorno, infatti i Filippini vivono le medesime difficoltà di
tutti gli stranieri impegnati l’intera giornata in attività lavorative.
I rapporti con la scuola: La nostra interlocutrice giudica piuttosto buono l’inserimento dei bambini nella
scuola napoletana ma dichiara, anche, di non conoscere molto bene questo aspetto dell’immigrazione
filippina.
La casa: Le condizioni abitative dei Filippini non sembrano, da alcuni punti di vista, molto diverse da
quelle delle altre comunità di immigrati. Essi trovano sempre una prima accoglienza, una volta giunti a
Napoli, poiché non mancano mai parenti, amici o semplici connazionali disposti ad aiutarli. I problemi, come
emerso da tutte le interviste effettuate, subentrano nel momento in cui si decide di essere indipendenti e di
cercare un appartamento in proprio o con altri connazionali. Le difficoltà risalgono alla ridotte possibilità di
alloggi concessi in affitto a stranieri a causa della riluttanza di molti italiani ad affittare le proprie case. Una
volta trovato un alloggio essi tendono a rimanervi per molti anni, anche dieci, e lo lasciano solo per
costrizione, quando è lo stesso proprietario a richiedere la propria casa. Ciò sembrerebbe confermato dal
fatto che i filippini spendono anche per acquistare elettrodomestici indispensabili, il frigorifero ad esempio.
Talvolta anche di fronte ad un aumento dell’affitto essi decidono di conservare l’appartamento. Ciò che
invece li spinge a cambiare la propria sistemazione è il matrimonio o la nascita di un figlio. La nostra
23
. La testimone ascoltata è la presidente dell’associazione Comunità filippina del Gesù Nuovo
. Kreidler S. in Mottura G. 1992 (a cura di), p. 222
25
. Id, p. 223
26
. Peruzzi W. 1999, pp. 101-102
24
77
Centro di cittadinanza sociale per immigrati
Gruppi di lavoro- Coop. Dedalus
testimone sostiene che i Filippini tengono molto alla propria intimità familiare, per cui difficilmente
deciderebbero di dividere l’appartamento con altre persone.
La casa, inoltre non è considerata solo come un luogo dove trascorrere la notte ma come uno spazio
deputato alla socializzazione, “la casa serve per tutto”, afferma la testimone.
Il commercio etnico: Nel corso dell’intervista non sono stati segnalati casi di esercizi commerciali gestiti
da membri della comunità filippina. Per acquistare prodotti alimentari del proprio paese i Filippini si rivolgono
a quei negozi conosciuti da tutte le comunità di immigrati in quanto specializzati nella vendita di prodotti
cosiddetti “etnici”: Orientale alla Riviera di Chiaia, Banana a piazza Garibaldi, Tropical alla Pignasecca. Per
mangiare i propri piatti, i filippini frequentano i ristoranti cinesi avendo in comune molti tipi di pietanze con
questa comunità. I prodotti che non sono importati a Napoli (alcuni cibi ed alcuni capi di abbigliamento
tradizionali importanti in occasione dei festeggiamenti) vengono fatti arrivare tramite connazionali
direttamente dalle Filippine.
I rapporti con la popolazione locale e con altre comunità di immigrati: I napoletani sono considerati dai
Filippini come una popolazione abbastanza tollerante, soprattutto nei loro confronti. Essi riconoscono, però,
di fatti, un comportamento diverso e più positivo che gli autoctoni riservano loro rispetto ad immigrati
appartenenti ad altre gruppi etnici, soprattutto “le persone di colore”.
Matrimoni ed unioni, tradizionali e misti: Generalmente i Filippini si sposano presso l’Ambasciata,
rimandando al momento del ritorno in patria le nozze secondo il rito tradizionale. Le coppie miste, invece,
solitamente si sposano sia seguendo il rito civile sia quello religioso. Queste ultime, nell’opinione della nostra
testimone, sarebbero circa 10 e si tratterebbe di matrimoni tra donne filippine e uomini italiani. La presidente
della Comunità Filippina del Gesù Nuovo non ritiene che le persone che vivono tali rapporti incontrino
difficoltà dovute alla loro diversa provenienza culturale. L’intervistata dà la sua spiegazione relativamente
all’assenza di problemi: “gli italiani si integrano molto bene nella nostra comunità”, rovesciando la prospettiva
secondo la quale sono sempre gli stranieri a doversi integrare nella società italiana e mai il contrario.
Vita comunitaria. Aspetti religiosi e ricorrenze principali: Dalle dichiarazioni della testimone risulta che la
religione cattolica è quella praticata da almeno il 75% dei Filippini di Napoli, circa il 20% professa varie
correnti del protestantesimo, mentre il 5% della comunità è evangelista. La composizione religiosa della
popolazione filippina di Napoli sembra essere in accordo con quella presente anche nel paese di origine. La
religione cattolica è stata introdotta dai colonizzatori spagnoli ed è rimasta quella della maggioranza dei
filippini. Per tali ragioni gran parte delle tradizioni di questa comunità sono legate al cattolicesimo e quindi
risulta piuttosto facile mantenerle e viverle anche a Napoli. Inoltre sono le chiese cattoliche in Italia a
27
rappresentare i principali punti di incontro e di organizzazione delle comunità filippine immigrate ,
Forme organizzative: L’associazione Comunità Filippina del Gesù Nuovo nasce nel 1998 in seguito
all’iniziativa di un gruppo di filippini di religione cattolica che erano soliti riunirsi presso la Chiesa del Gesù
Nuovo il giovedì e la domenica pomeriggio dove il parroco già negli anni Novanta concedeva loro una stanza
per poter celebrare la messa in inglese. La sede appare per dimensioni e disponibilità di orario
assolutamente inadeguata alle esigenze di tale gruppo. L’attività principale in cui tale associazione è
impegnata è di natura spirituale: la celebrazione della messa e lo studio in comune della Bibbia.
Le modalità con cui si celebrano nelle Filippine il Natale ed il Capodanno sono praticamente
identiche a quelle conosciute in Italia. L’unica particolarità riguarda il Natale. In questo paese, in
fatti, già a partire dal 16 dicembre c’è l’usanza di bussare alle porte, di intonare canti di Natale,
di regalare dolci ai bambini, di fare visita ai propri padrini e madrine.
In occasione della Pasqua, la notte precedente la domenica si va in chiesa e si organizzano
due processioni. Questo evento si chiama “incontro”, in quanto la processione della Maria
Addolorata incontra quella del Gesù davanti alla parrocchia. A questo punto si celebra la
messa. La quaresima è un periodo profondamente sentito nelle Filippine. Si organizzano
numerose processioni che prevedono penitenze per la strada e uomini scalzi portano la croce.
Anche in occasione della Festa del Cristo re (21 novembre) è vissuta attraverso la
partecipazione ad una processione e alla celebrazione della messa.
La festa di S. Cruzan (ultima domenica di maggio) è celebrata con una processione alla
quale si partecipa vestendosi con costumi che rappresentano la storia di S. Elena e Costantino
che ritrovarono la croce di Gesù.
Il 1° novembre, festa dei morti, tutti, nessuno escluso si recano al cimitero per 2 giorni. Si
trascorre anche la notte lì. L’atmosfera è molto festosa, non c’è alcuna tristezza. Si offre cibo
sulle tombe, si gioca, si beve, si installa anche un tendone per spettacoli circensi. Il cimitero è
abitato come fosse una città,quest’ultima, viceversa, si svuota del tutto.
Nonostante le feste siano molto simili a quelle che fanno parte delle tradizioni italiane, anche i Filippini
devono rinunciare ad alcuni aspetti delle loro celebrazioni, quelli più legati alle specificità del proprio paese e
27
. Kreidler S. in Mottura G. 1992 (a cura di), p. 220
78
Centro di cittadinanza sociale per immigrati
Gruppi di lavoro- Coop. Dedalus
non riproducibili a Napoli, per problemi legati alla mancanza di luoghi e tempi adeguati, come molte altre
comunità di immigrati. In ogni caso quasi tutti i Filippini presenti a Napoli partecipano ai festeggiamenti, che
si svolgono quasi sempre presso la Chiesa del Gesù, in quanto sono le uniche occasioni offerte loro per
riallacciare le relazioni comunitarie. A tali ricorrenze partecipano anche alcuni italiani (ne sono stati segnalati
circa 5) amici o coniugi dei Filippini lì presenti.
4.2.3 La comunità pakistana
I primi arrivi di immigrati di nazionalità pakistana nella città di Napoli risalgono alla seconda metà degli
anni Settanta, ma è solo a partire dal 1995 che tale presenza diviene più significativa.
I Pakistani residenti nel comune di Napoli risultano essere, nell’anno 2003, 138, di cui 3 donne. Secondo
le stime del testimone qualificato intervistato 28, la comunità pakistana presente a Napoli sarebbe composta,
invece, da diverse centinaia di persone, all’interno della quale la componente femminile e quella dei minori
sarebbero una piccolissima percentuale, che non supererebbero la decina in entrambi i casi. Si tratta quindi
di un’immigrazione ancora essenzialmente maschile, composta da uomini soli o, come approfondiremo più
avanti, da uomini sposati con donne di altre nazionalità. In tutto il territorio provinciale, sempre considerando
le stime del testimone, si contano oltre mille Pakistani e, anche superando i confini della città di Napoli, la
percentuale di donne e minori resta pur sempre molto residuale (è stata segnalata la presenza di non più di
20 donne e circa 15 bambini). I pakistani presenti a Napoli non provengono da alcuna regione del Pakistan
in particolare, le loro città di origine sono distribuite in tutto il territorio del paese.
Considerando gli aspetti più specificamente etnico-culturali, risulta che la popolazione pakistana è
composta da gruppi etnici di origine indoeuropea. La quasi metà dei pakistani è di etnia punjabi, il resto
appartiene ai gruppi pashtu, sindi, saraiki ed urdu. Quest’ultima è la lingua ufficiale pur essendo parlata da
una minoranza scarsamente rilevante della popolazione (circa il 10%), più diffuse sono le lingue dei vari
29
gruppi etnici, i dialetti locali e l’inglese .
La maggioranza dei Pakistani abita nella zona circostante piazza Garibaldi, al centro storico e nelle
strade circostanti piazza Cavour. Molti di loro, però, quando si presenta l’opportunità, tendono a lasciare tali
zone della città per altre più tranquille. Le aree in cui abitano coincidono, in gran parte, con quelle in cui
svolgono le loro attività lavorative. Essi sono dediti prevalentemente ad attività commerciali, in particolare
ambulanti. I commercianti ambulanti, in molti casi, svolgono il loro lavoro anche in altri territori della città (via
Roma, i quartieri di Vomero, Fuorigrotta, Soccavo), altri comuni e persino altre province.
La condizione dell’infanzia: I bambini pakistani residenti nel Comune di Napoli risultano essere 4
nell’anno 2003, tutti compresi tra i 6 ed i 14 anni. Essi costituiscono il 3% dell’intera comunità residente e lo
0,2 % dei minori stranieri residenti. Non sono stati registrati casi di bambini pakistani dati in affidamento a
famiglie italiane.
La casa: Gli immigrati di tale nazionalità quando giungono a Napoli non hanno quasi mai difficoltà a
trovare una prima accoglienza, avendo sempre parenti, amici o conoscenti disposti ad ospitarli. Alla stessa
rete comunitaria si ricorre nel momento in cui si decide di trovare una nuova sistemazione. I criteri che
orientano i pakistani nella scelta dell’abitazione sono il prezzo contenuto, la vicinanza al centro e a piazza
Garibaldi, luogo di lavoro e di concentramento della maggioranza dei mezzi di trasporto da dove è possibile
raggiungere facilmente altre zone. Inoltre i Pakistani preferiscono appartamenti già arredati per non dover
affrontare anche la spesa relativa al mobilio. Tale comunità tende a cambiare sistemazione solo se ci sono
dei problemi, se l’abitazione serve al proprietario, o, soprattutto, a causa dei rapporti conflittuali con il
quartiere. In alcuni casi episodi di razzismo e violenza urbana hanno costretto immigrati pakistani a dover
abbandonare la propria abitazione e cercarne un’altra.
Il commercio etnico: L’attività lavorativa a cui la gran parte dei Pakistani è dedita è il commercio, in
particolar modo ambulante. I pakistani hanno, però, anche aperto esercizi commerciali tutti concentrati
nell’area circostante piazza Garibaldi da noi considerata: 5 call center, un negozio di prodotti alimentari, tutti
autorizzati e tutti appartenenti a privati pakistani. I prodotti venduti vengono fatti arrivare periodicamente o da
altre città italiane, come nel caso di Roma, o ricorrendo a persone che organizzano attività di import-export.
I rapporti con la popolazione locale e con altre comunità di immigrati: I Pakistani definiscono
l’atteggiamento da parte dei napoletani e nei loro confronti e nei confronti degli immigrati di altre nazionalità
come intollerante. Il testimone denuncia numerosi casi di aggressioni nei confronti dei suoi connazionali sia
in strada (ad alcuni sono state buttate delle bottiglie contro, sono stati picchiati o sono offesi verbalmente di
continuo) sia nelle loro abitazioni (alcuni hanno subito rapine a mano armata).
28
. Per la comunità pakistana è stato ascoltato un operatore sociale pakistano che, pur non essendo un rappresentante
ufficiale di alcuna associazione, rappresenta un punto di riferimento per molti suoi connazionali, in quanto parla piuttosto
bene la lingua italiana e dimostra di sapersi muovere molto bene sul territorio.
29
. Peruzzi W. 1999, pp. 137-138
79
Centro di cittadinanza sociale per immigrati
Gruppi di lavoro- Coop. Dedalus
Matrimoni ed unioni, tradizionali e misti: Come precedentemente accennato, la componente principale
della comunità pakistana è di genere maschile e le famiglie presenti sono composte maggiormente da
uomini pakistani e donne di altre nazionalità, quali italiane ed ucraine (circa 20-25). Secondo il nostro
testimone, circa il 60% degli uomini pakistani ha compagne italiane, spagnole, ucraine, francesi, polacche
pur non essendo legati ad esse dal matrimonio.
Il nostro interlocutore non ritiene che le coppie miste vivano difficoltà maggiori rispetto a coppie della
stessa nazionalità, se non all’inizio del rapporto e per problemi di accettazione da parte delle rispettive
famiglie e della società esterna.
Vita comunitaria (luoghi di incontro e di socializzazione): Tale comunità non ha a propria disposizione
luoghi dove incontrarsi e riunirsi, i Pakistani si ritrovano occasionalmente presso negozi dove acquistano
prodotti alimentari (come nel caso del cosiddetto “Banana”) o nei call center gestiti da membri della
comunità.
Aspetti religiosi e ricorrenze principali: La componente religiosa del Pakistan è costituita per l’80-90% da
musulmani e da gruppi minoritari di buddisti, sick, ebrei e cristiani. Per quanto concerne la composizione
religiosa di questa comunità, l’interlocutore ascoltato ha dichiarato che i Pakistani che vivono a Napoli sono
tutti musulmani ma una metà circa sarebbe aderente alla corrente sciita, di per sé minoritaria all’interno
dell’islamismo. Ne consegue che tutte le principali feste celebrate da tale gruppo sono in generale di stampo
islamico, per cui comuni ad altri immigrati che, pur provenendo da altri paesi, si riconoscono comunque in
tale credo. Se comuni sono le feste, non è tuttavia identico il modo di celebrarle, in quanto le differenze
derivano proprio dall’appartenenza a tale corrente. Secondo il testimone intervistato sarebbe molto
importante per la comunità pakistana poter festeggiare liberamente, ed in luoghi dove tutta la comunità
possa riunirsi, tutte le feste considerate fondamentali in Pakistan, in particolare quelle più legate al culto
religioso che, invece, si è costretti a celebrare nelle abitazioni private. Del resto i Pakistani sciiti non
frequentano molto le moschee che a Napoli sono gestite da musulmani sunniti. Al massimo vi si recano per
pregare singolarmente perché non possono farsi guidare nella preghiera collettiva da una persona che non
sia sciita. Il testimone riferisce di quanto sia difficile poter conservare la tradizione, anche nei festeggiamenti,
in un paese non musulmano. In alcuni casi i Pakistani riescono ad organizzare celebrazioni più ampie con il
coinvolgimento di un numero più nutrito di membri della comunità a Castelvolturno, riunendosi con gli
Iraniani che abitano in quelle zona e qualche italiano convertito, anch’essi sciiti. Ciò accade soprattutto in
occasione del Moharram (il capodanno musulmano).
Le ricorrenze più importanti sono, come per tutto il mondo islamico, la festa che segna la chiusura del
periodo di Ramadan, il Kurbani (che corrisponde in sostanza al Tabaski per gli africani e al Al Aid el adha del
mondo arabo), il capodanno musulmano, la festa di Rabi Awal (giorno della nascita del profeta Mohammed),
il giorno dell’indipendenza.
Il Kurbani in Pakistan si festeggia per tre giorni con modalità molto simili alla fine del
Ramadan.
La festa di Rabi Awal si festeggia in famiglia e la sera si esce per le strade addobbate con
luminarie. Talvolta vengono organizzati anche spettacoli pirotecnici.
Festa, chiaramente, tutta pakistana è il giorno in cui si ricorda l’indipendenza dall’India (il
14 agosto) durante la quale tutte le città sono in festa.
Anche i riti legati alle fasi principali della vita (nascita, passaggio all’età adulta, matrimonio, morte) sono
comuni a tutti i paesi in cui la maggioranza della popolazione è musulmana.
L’intervistato ha dichiarato che tutti i suoi connazionali vorrebbero morire al proprio paese o, in ogni caso
lì essere seppelliti; eppure la creazione di un cimitero islamico sarebbe un evento molto importante, non solo
nei casi in cui non si riesca ad inviare al paese la salma di coloro che sono morti in Italia, ma anche come
simbolo di accettazione di altre culture e di apertura da parte della città di Napoli.
La comunità pakistana sciita non ha luoghi di culto nella nostra città, potendo usufruire solo limitatamente
delle due moschee esistenti per i problemi su citati. I Pakistani sentono, di fatti, il bisogno di una moschea
adeguata alle loro esigenze.
Forme organizzative: non sono state riscontrate associazioni comunitarie a Napoli.
4.2.4 La comunità srilankese
Nell’anno 2003 risultano essere residenti nel territorio cittadino 3.432 stranieri di nazionalità srilankese, di
cui 1.633 donne. Essi rappresentano la comunità più numerosa nella città di Napoli. Dalle stime dei testimoni
qualificati intervistati (cinque nello specifico 30) gli srilankesi che abitano nel solo comune di Napoli sono oltre
5.000 (secondo alcuni sfiorano le 10.000 unità); su questo totale la presenza femminile è stata stimata
30
. Per tale comunità sono stati intervistati due mediatori culturali, soci della cooperativa Casba, un sacerdote srilankese
della parrocchia del Gesù Nuovo, i presidenti delle due rispettive associazioni srilankesi, una facente capo all’Anolf ed
un’altra promossa e sostenuta dai sindacati, infine il presidente dell’associazione Students welfare organization .
80
Centro di cittadinanza sociale per immigrati
Gruppi di lavoro- Coop. Dedalus
intorno al 40% 31 e quella dei bambini al 10% circa. Il numero degli uomini è sensibilmente cresciuto in questi
anni così come i ricongiungimenti familiari. Gli immigrati di tale nazionalità sembrano concentrati
essenzialmente nel territorio cittadino, i nostri testimoni, infatti, ci hanno segnalato la presenza di soli altri
1.000 connazionali in provincia, anche in quest’ultimo caso le percentuali di donne e bambini restano
confermate. Sono presenti un po’ in tutte le zone della città, specialmente nel centro storico e in particolare
nella Sanità, intorno a piazza Cavour. La scelta di quest’area in particolare è dovuta alla disponibilità di
“bassi” a prezzi accessibili.
La maggioranza degli Srilankesi che vivono a Napoli appartiene al gruppo etnico dei Cingalesi, ma non
sono assenti i Tamil. È difficile dare stime sulla composizione etnica della popolazione srilankese presente in
questa città anche perché, secondo alcuni testimoni con cui si sono avuti colloqui, anche chi è tamil può
tendere a nascondere la propria origine etnica e a dichiararsi cingalese per evitare di essere discriminato
dalla maggioranza dei suoi connazionali. Camuffare la propria vera identità non è complicato per la
maggioranza degli Srilankesi di etnia Tamil, in quanto praticamente tutti parlano la lingua cingalese. Sia la
lingua tamil sia quella cingalese sono ufficiali ma una componente rilevante della popolazione parla anche
l’inglese. Secondo i dati fornitici da un’interlocutrice, in Sri Lanka i cingalesi rappresenterebbero il 74%
dell’intera popolazione, i Tamil si dividono tra coloro che hanno origini Srilankesi (il 12,6%) e gli altri di
origine indiana (la minoranza, circa il 5,5%). Il resto della popolazione dell’antica Ceylon è formata per il 7%
di mori ed una infinitesima percentuale di altri gruppi non ben identificati.
Gli Srilankesi lavorano soprattutto nei servizi domestici sia giorno e notte che a ore ma è possibile trovare
uomini che sono impiegati nei servizi di ristorazione, come garzoni o commessi alle dipendenze nel
commercio (negozi di abbigliamento o di generi alimentari). Gran parte degli srilankesi non vive più presso il
proprio datore di lavoro, come avveniva nella prima fase dell’immigrazione, ma in abitazioni autonome con
parenti o connazionali.
È difficile avere percentuali precise sulla composizione religiosa degli srilankesi che vivono a Napoli.
Appare certo, però, che una rilevante componente aderisce alla religione cattolica, l’altro gruppo più folto è
quello dei buddisti, inoltre sono presenti seppur in misura minore induisti, musulmani e testimoni di Geova.
La comunità srilankese napoletana si presenta, dunque, in parte diversa, relativamente ai culti praticati,
rispetto al paese di origine dove, secondo quanto emerso in questa ricerca, il 70% della popolazione
sarebbe buddista, il 20% cristiano ed il restante 10% si dividerebbe tra musulmani, induisti e testimoni di
Geova.
Le zone in cui gli immigrati di tale nazionalità abitano sono principalmente l’area dei Quartieri Spagnoli, il
rione Sanità, piazza Dante, piazza Mazzini, piazza Cavour. Come tutte le altre comunità che svolgono
prevalentemente lavori domestici e di assistenza alle persone, sono prevalentemente altri i quartieri in cui
lavorano: Vomero, Chiaia, Posillipo. Alcuni srilankesi, pur vivendo a Napoli, lavorano in altri comuni come nel
caso di Capri, e fanno ritorno a casa propria solo nei week-end.
La condizione dell’infanzia: I minori di nazionalità srilankese residenti nel Comune di Napoli nell’anno
2003 sono 679, di cui 406 risultano avere fino a 5 anni, 214 hanno un’età compresa tra i 6 ed i 14 anni e 59
hanno tra i 15 ed i 18 anni. I minorenni srilankesi costituiscono il 20% del totale della comunità srilankese
residente a Napoli e rappresentano il 32% di tutti i minori stranieri residenti in questo comune. Le famiglie
srilankesi con minori vivono soprattutto nei quartieri del centro storico (S. Carlo all'Arena, i Quartieri
Spagnoli, Stella, Avvocata), nella zona di piazza Cavour e nel quartiere Vomero.
Tra gli Srilankesi si è registrato negli anni un costante aumento del numero di bambini, ciononostante in
molti casi avviene che i bambini nati in Italia – nei primi mesi o dopo i primissimi anni di vita - sono
riaccompagnati nel paese di origine, molto spesso perché i genitori non sono in grado di conciliare il lavoro
con la loro cura o perché le condizioni abitative risultano precarie. In altri casi le donne, che durante
l’esperienza migratoria sono in maternità, vanno in Sri Lanka per partorire e dopo pochi mesi ritornano in
Italia lasciando il piccolo nel paese di origine alla cura dei nonni.
Secondo le stima fornite dai testimoni ascoltati, in Campania sono effettivamente presenti 3/400 bambini
srilankesi, concentrati prevalentemente nella città di Napoli. Tuttavia il numero di bambini residenti risulta
essere di poco superiore a tale cifra (464 a Napoli, e 24 in provincia), in quanto – come si è già accennato –
alcuni genitori tendono a far mantenere la residenza dei bambini già rimpatriati, per dare loro la possibilità di
ritornare eventualmente prima del diciottesimo anno di età. Almeno 2/3 dei bambini srilankesi presenti sono
nati in Italia (soprattutto nella fascia di età 0-8 anni), mentre i rimanenti sono nati in Sri Lanka e sono arrivati
successivamente per ricongiungimento familiare accompagnati dai genitori o da un adulto (amici o parenti).
In questo secondo caso si tratta di minori di età compresa tra i 10 ed i 18 anni. Sia i bambini nati in Italia che
quelli arrivati successivamente vivono con i genitori, spesso con più famiglie che vivono insieme, famiglie
31
. La percentuale stimata è inferiore (di circa 8 punti percentuali) alla presenza ufficiale, a conferma del fatto che la
componente femminile è più regolare di quella maschile.
81
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Gruppi di lavoro- Coop. Dedalus
solitamente legate da vincoli di parentela. I casi di affido a famiglie italiane sono piuttosto rari e
generalmente basati su accordi amichevoli (spesso la stessa famiglia presso la quale lavorano i genitori)
mentre quasi del tutto assente è il ricorso alla istituzionalizzazione.
Sono stati segnalati, nel corso della ricerca, casi di bambini srilankesi affidati in modo informale a donne
della stessa nazionalità (ritirate dal lavoro perché anch’esse mamme impegnate nell’accudimento del proprio
bambino) oltre che a famiglie italiane. In entrambi i casi le stime non ci sono state fornite, ma è stato
dichiarato che le donne srilankesi si occupano di tali bambini dietro un compenso di circa 100-150 euro
mensili, ma in quasi tutti i casi si tratta di affidi diurni, infatti i genitori vanno poi a prenderli la sera, a fine
giornata lavorativa. Una delle testimoni ascoltate denuncia in modo chiaro le cattive condizioni in cui questi
bambini vengono accuditi e nutriti, a ciò si aggiungono le negative ripercussioni che una così lunga
permanenza di minori con estranei ha sui rapporti genitori-figli. Tali bambini trascorrono più tempo con
queste donne che con i loro veri genitori e non di rado accade che comincino a chiamare o a sentire
“mamma” la persona che li accudisce l’intera giornata più che quella biologica.
I rapporti con la scuola: Di solito i bambini in età della scuola dell’obbligo frequentano regolarmente le
scuole pubbliche. Già dalla fine degli anni Novana, però, sono state create alcune scuole etniche, soprattutto
asili nido e scuole materne autogestite dalla stessa comunità. Alcuni bambini rimangono con i genitori fino al
conseguimento dell'età scolare e poi ritornano nel paese di origine per frequentare le scuole. Questa
decisione è legata al desiderio di preservare la lingua e la cultura di origine tra i bambini, anche in vista di un
possibile ritorno, ed alla ridotta opportunità di scelta che essi hanno in Italia. Infatti, a Napoli, le scuole con
insegnanti di madrelingua inglesi sono poco numerose e generalmente molto costose trattandosi di istituti
privati che si rivolgono ad una élite. La maggioranza dei genitori srilankesi, non percependo la propria
presenza in Italia come qualcosa di definitivo, si adopera affinché i propri figli non perdano del tutto le proprie
radici culturali frequentando solo la scuola italiana. In tal modo dimenticherebbero la propria lingua e
conseguirebbero un tipo di istruzione che non permetterebbe loro di inserirsi negli istituti una volta tornati al
32
proprio paese. In una ricerca condotta nell’anno 2001 i testimoni srilankesi contattati avevano segnalato la
presenza di almeno due di queste scuole situate nei pressi di piazza del Gesù e di piazza Cavour con circa
100 alunni frequentanti. Non è stato possibile, però, confermare tale dato nel corso di questo lavoro.
A piazza Cavour è presente l’associazione Students Welfare Organization, tale associazione a carattere
etnico - è di fatti stata promossa ed è tuttora composta solo da membri della comunità – si è costituita
formalmente il 22 maggio del 2001 avendo come finalità principale quella di creare un istituto in cui i figli dei
soci membri potessero ricevere un livello di istruzione primaria, seguendo i programmi scolastici del paese di
origine. La scuola, sede dell’associazione, si chiama Sri Lanka Junior School.
A livello locale opera come associazione, tuttavia la scuola è registrata, secondo quanto ci è stato riferito,
presso il Ministero della Pubblica Istruzione Srilankese, attraverso l’intervento dell’Ambasciata, in tal modo
ricevano i programmi didattici del Ministero e la possibilità del riconoscimento del percorso di studio svolto in
Italia. Si tratta di un asilo ed ospita 40 bambini dai 3 ai 6 anni, mentre in orario pomeridiano segue bambini
anche di età superiore con attività di doposcuola e laboratori in lingua.
I motivi per cui il direttore ha sentito l’esigenza di creare questa scuola, insieme alla moglie che vi
insegna, dipendono da un bisogno che lui ha sentito essere molto forte e condiviso all’interno della sua
comunità: molti genitori srilankesi vogliono che i propri figli abbiano una buona istruzione e, di conseguenza,
un buon futuro al proprio paese, hanno il desiderio che, una volta terminati i primi anni di istruzione e tornati
in Sri Lanka, non abbiano difficoltà con la lingua-madre e con il tipo di educazione srilankese. Queste
esigenze non possono, come è ovvio, essere soddisfatte dall’istruzione italiana.
I genitori pagano una retta mensile. I bambini, va ricordato che in Sri Lanka ai bambini è insegnato a
leggere e scrivere a partire dai 4 anni, seguono corsi di matematica, inglese, lingua madre, religioni (in
particolare buddismo e cattolicesimo) e una materia che potrebbe essere definita scienze ambientali o
ecologia (imparano a conoscere e a rispettare tutto l’ambiente che li circonda) dalle 8.30 fino alle 12.30. A
questo punto è prevista una pausa pranzo a cui segue un pomeriggio di attività varie (musica, informatica,
attività ludiche ed artistiche) fino alle 17.00. Gli insegnanti, tre in tutto, sono diplomati ed in possesso della
qualifica di maestro, avendo già esperienza di insegnamento nel loro paese. I bambini sono divisi in 3 classi
a seconda dell’età. La struttura si presenta piuttosto ampia, ben organizzata, luminosa, pulita, ci sono 2
servizi igienici e due stanzette dedicate al riposo dei bambini, ognuno ha la sua sedia sdraio.
L’associazione cerca di organizzare attività all’esterno con il coinvolgimento dei bambini italiani e di altre
nazionalità.
Alcuni testimoni hanno segnalato l’esistenza di una scuola etnica, nei pressi di piazza Dante, gestita da
membri della comunità, che ospita circa trenta bambini. La scuola fu chiusa in passato in seguito a controlli
32
. E. de Filippo, E. Pugliese, I minori immigrati in Campania, in Dipartimento di Sociologia La condizione dell’infanzia e
dell’adolescenza in Campania, Regione Campania Assessorato alle Politiche Sociali Albo del volontariato, Rapporto di
ricerca Napoli 2001.
82
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del Comune ma, in un secondo momento, secondo alcuni testimoni, è riuscita ad ottenere una sorta di
autorizzazione dalle istituzioni. Non è stato possibile raccogliere informazioni più precise su questa scuola.
In ogni caso i testimoni ascoltati esprimono l’esigenza di creare una scuola che sia molto più
multiculturale, nel senso che consenta l’insegnamento delle lingue e delle religioni di tutte le nazionalità
presenti, per evitare che i bambini stranieri si sentano completamente isolati ed esclusi non ricevendo alcun
appoggio né a scuola né a casa propria. A scuola, perché non sempre gli insegnanti sono preparati o
disponibili per favorire la loro integrazione, per fare in modo che gli alunni autoctoni accolgano quelli di
origine straniera. A casa propria perché spesso i propri genitori non parlano bene l’italiano per cui non sono
in grado di seguirli nell’espletamento dei compiti. Per evitare ai propri figli tali sofferenze e tale senso di
isolamento, molti decidono di non mandarli a scuola, li tengono in casa anche per 8-9 anni, fino al ritorno in
patria, ma in questo modo, una volta tornati in Sri Lanka, tali bambini non riusciranno ad essere al passo
neanche con i propri coetanei. Sempre in riferimento al mondo della scuola è stata segnalata in via generale
una pressoché assenza di rapporti tra la scuola e le famiglie srilankesi, dovuta ad una inconciliabilità di orari
(di lavoro dei genitori e di scuola) e alla difficoltà per i genitori di comunicare in lingua italiana.
Tra i bambini inseriti nella scuola italiana non si registrano gravi difficoltà di inserimento scolastico. Dalle
testimonianze raccolte emerge che vi sono anche contatti frequenti con i compagni di scuola al di fuori
dell'orario scolastico. Nel corso di un progetto realizzato dal Comune di Napoli con una associazione di
volontariato è stata segnalata una difficoltà iniziale nell’inserimento scolastico per quanto riguarda i bambini
non nati in Italia; ciò è dovuto al fatto che la lingua cingalese è molto diversa da quelle occidentali, creando
così difficoltà nell’apprendimento. Non sono state rilevate forme di devianza fra i minori e, di solito, gli
adolescenti che arrivano direttamente dallo Sri Lanka sono da subito inseriti nel mercato del lavoro locale e
non entrano nel circuito scolastico-formativo.
Le condizioni di salute dei minori srilankesi sono generalmente buone ma è stato sottolineato che,
abitando nei “bassi”, vivono disagi legati all’umidità e alle caratteristiche di questi locali abitativi. Le
convivenze nel quartiere della Sanità risultano abbastanza buone, non vi sono rilevanti episodi di razzismo.
I bambini srilankesi frequentano, solitamente, la scuola fino al compimento del ciclo dell'obbligo per poi
lavorare anch'essi come domestici. Si registrano pochi casi di ragazzi che hanno conseguito la licenza di
scuola media superiore o iscritti all'Università.
La casa: Per gli Srilankesi appare molto difficile trovare una prima sistemazione una volta raggiunta
Napoli. Tendono sempre ad appoggiarsi ad amici e parenti che già vivono in questa città, in appartamenti
molto affollati abitati talvolta anche da 10-15 persone. Chi ha la possibilità col tempo cerca una sistemazione
migliore, altrimenti ci si accontenta anche di affittare garage e cantine. Gli Srilankesi, una volta affittato un
alloggio, cercano di restarvi a lungo, ma non sempre ciò è possibile: per l’aumento eccessivo del fitto, per il
venir meno della disponibilità del proprietario, per le condizioni igieniche e strutturali cominciano a diventare
insostenibili. Le condizioni abitative degli Srilankesi appaiono in generale molto precarie, anche perché per
ridurre i carichi di spesa, anche quando è presente a Napoli l’intero nucleo familiare o quando chi è presente
qui si fa raggiungere dai propri familiari, si tende sempre a convivere con altri nuclei familiari, cercando di
dividere la casa come meglio si riesce ricorrendo ad esempio all’installazione di tende. Da quanto descritto
emerge che sarebbe molto improbabile per gli Srilankesi considerare le abitazioni in cui vivono qualcosa di
più che un mero posto per dormire, in essi è, difatti, impossibile poter organizzare incontri e visite tra
connazionali o qualunque altra forma di socializzazione per l’assoluta mancanza di spazio. Inoltre i membri
di tale comunità percepiscono la casa solo come un appoggio, un luogo in cui vivere per un breve periodo,
ed anche quando tale periodo si prolunga, in alcuni casi “si abituano a queste condizioni, non vogliono più
niente, vogliono risparmiare”, spiega una testimone. Tendono, dunque, come le parole della nostra
interlocutrice ci fa capire, ad adattarsi a tali difficili condizioni pur di vedere realizzato il proprio progetto
migratorio. Altri, quando sono consapevoli che la loro presenza in questa città sta diventando più stabile,
cercano di investire per migliorare le condizioni del proprio alloggio.
Il commercio etnico: Anche gli Srilankesi, come altre comunità di immigrati, hanno dimostrato una buona
capacità imprenditoriale aprendo un certo numero di esercizi commerciali, ovviamente nelle zone più
densamente popolate da connazionali: Quartieri Spagnoli, piazza Dante e dintorni, Rione Sanità. Nelle
stradine di fronte piazza Dante, tra cui via Correra, ci sono diversi punti dove si vendono tutti i tipi di prodotti
srilankesi: alimentari, giornali, libri, prodotti da toilette, musicassette e videocassette, cibi preparati, schede
telefoniche e prodotti artigianali. A via Correra esiste anche una biblioteca gestita da srilankesi e due
abitazioni private in cui si organizza la preparazione di piatti tipici. A piazza Cavour ci sono due punti vendita
essenzialmente di prodotti alimentari, un altro è stato aperto nei pressi di piazza del Gesù. Data l’alta
concentrazione è difficile censire l’esatto numero dei call center aperti dagli Srilankesi a Napoli. Circa la
metà di queste attività sono ufficiali ed organizzate in negozi, negli altri casi sono gestite da privati
appartenenti alla comunità nei bassi oppure in appartamenti privati. In ogni caso tali esercizi sono molto
utilizzati dai membri della comunità srilankese che, però, sente ancora la mancanza di alcuni tipi di frutta e
verdura, non ancora importati a Napoli. I prodotti srilankesi sono immessi sul mercato napoletano seguendo
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tre vie: vengono fatti arrivare tramite parenti e conoscenti, tramite connazionali a pagamento o da altri paesi
quali l’India, la Francia, la Svizzera e l’Inghilterra.
I rapporti con la popolazione locale e con altre comunità di immigrati: Tutti i testimoni con cui si è parlato
hanno giudicato l’atteggiamento dei napoletani nei confronti dei connazionali tollerante e disponibile, ma non
hanno esitato ad indicare una serie di episodi di inciviltà e di intolleranza di cui troppo di frequente gli
Srilankesi sono vittime: sputi, insulti, percosse fisiche. Una testimone si è soffermata soprattutto sul razzismo
che anche i bambini napoletani delle volte dimostrano nei confronti dei loro compagni di scuola di origine
straniera, probabilmente perché madre di tre bambini (nati, tra l’altro, da un matrimonio con un uomo di
nazionalità italiana) che non di rado tornano a casa piangendo per le offese vissute a scuola.
Matrimoni ed unioni, tradizionali e misti: Per ciò che concerne i matrimoni ci è stato segnalato che a
Napoli sono stati celebrati sia alcuni matrimoni secondo il rito cattolico sia secondo altri riti tradizionali e che
in molti casi, soprattutto per i cattolici, è seguito anche il rito civile italiano. Anche gli Srilankesi hanno
contratto matrimonio con persone di altre nazionalità (italiana, filippina, polacca, capoverdiana,
salvadoregna), questo vale sia per le donne che per gli uomini. Dalle stime che ci hanno fornito i nostri
interlocutori si tratta ancora di numeri molto contenuti, la percentuale di coppie miste difficilmente raggiunge
l’1% dell’intera comunità srilankese napoletana. Pochi sono anche i casi di coppie non sposate composte da
Srilankesi ed Italiani. Un testimone ha dichiarato all’interno di tali rapporti si potrebbero creare delle difficoltà
dovute alla differenza culturale, religiosa, rispetto alle concezioni che si hanno sull’educazione dei figli, ma
hanno sostenuto anche che tali problemi sarebbero di poco conto. Diversa l’opinione di un’altra testimone
che, riferendosi alla sua esperienza personale, ritiene che le difficoltà inizialmente siano molto elevate, non
solo rispetto ai punti più sopra indicati, ma anche rispetto all’accettazione da parte delle famiglie italiane e
dell’intera società. Con il tempo, però, la situazione tende ad appianarsi, “dopo ci si adatta”.
Vita comunitaria (luoghi di incontro e di socializzazione): I luoghi di aggregazione per gli srilankesi sono
esterni alle abitazioni. Essi si ritrovano, essenzialmente il giovedì pomeriggio e la domenica o la sera al
termine della giornata lavorativa, presso i luoghi di culto che abbiamo prima indicato, nella Biblioteca di
piazza Dante e in tutti i negozi e call center da loro gestiti.
Aspetti religiosi e ricorrenze principali: Le feste principali celebrate in Sri Lanka, ricordate dai testimoni
intervistati, sono relative ai culti menzionati (cattolico, induista, buddista) che la comunità cerca di mantenere
a Napoli con modalità che, come sempre, e tranne nel caso dei cristiani, devono adattarsi al fatto di vivere in
un paese diverso, che non conosce tali tradizioni, che non mette a disposizione gli spazi indispensabili
affinché tali ritualità possano essere svolte nella loro interezza.
Dipavoli: (Novembre) è la festa delle lampade ad olio, ognuno fa il voto di accendere un
certo numero di lampade per vedere realizzato un proprio desiderio.
Natale (24 e 25 dicembre) è la festa degli srilankesi di religione cattolica. Prima della
mezzanotte ogni famiglia prepara dei dolci che vengono mangiati al ritorno dalla messa. Anche
in Sri Lanka si ritrovano i simboli comuni a tutto il mondo cattolico: l’abete, il presepe e lo
scambio dei doni, quest’ultimo solo nelle famiglie che hanno maggiori possibilità economiche
Tai Ponte (15 Gennaio) è una festa induista. Si festeggia la prima raccolta del riso. La festa
è celebrata essenzialmente in famiglia, tutti si riuniscono e le porte esterne delle case vengono
addobbate con foglie di banano.
La Festa di Liberazione dello Sri Lanka (4 febbraio) Si celebra facendo festa a scuola e al
lavoro e partecipando alle manifestazioni cittadine caratterizzate da cortei, parate militari, sfilate
con i costumi tradizionali, danze tradizionali. Gli uomini politici tengono discorsi pubblici.
La Festa di Shivar (Dio): è una festa induista. Ci si reca al tempio per pregare e per
esprimere un desiderio, dopo si rompe una noce di cocco su una pietra, simbolo di un’offerta
fatta a Dio.
Il Capodanno buddista è comune sia ai tamil che ai cingalesi e si celebra tra il 13 ed il 14
aprile. La preparazione inizia una settimana prima durante la quale si devono osservare precise
prescrizioni giorno per giorno rispetto alle modalità di preparazione dei cibi e di comportamento.
Si preparano dei dolci e vengono scambiati tra famiglie vicine. La famiglia che riceve il piatto di
dolci lo svuoterà e lo riempirà con i propri offerti all’altro. Queste visite reciproche rappresentano
occasioni per fare la pace nel caso ci siano stati dei contrasti tra le famiglie. Per le strade
vengono organizzate danze popolari, giochi, corse di elefanti.
Il 1° Maggio rappresenta anche in Sri Lanka la festa dei lavoratori per la quale si
organizzano manifestazioni in piazza.
Wesak (maggio, il giorno cambia) è una festa fondamentale per i buddisti in quanto si
ricorda la nascita, l’illuminazione e la morte di Buddha. I festeggiamenti durano per tre giorni di
luna piena. Tutta l’isola è illuminata da lumini di carta colorati che vengono anche appesi agli
alberi, per strada si raccontano storie relative alla vita di Buddha e si suona.
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La festa di Esala Parahera si svolge nella città di Kandy dove è custodito il dente di Buddha
portato dall’India, si tratta di un oggetto sacro che non deve essere mai spostato da lì. La festa
si svolge presso 5 templi dedicati a 5 dei diversi, Shiva, Ganesh, Kataragama, Pattini, Daladà.
La festa viene celebrata per circa 7 giorni all’interno dei templi, nei restanti tre giorni le
celebrazioni avvengono all’esterno. Gli elefanti, per quest’occasione, vengono addobbati per
trasportare le copie della reliquia. Ogni giorno aumenta il numero degli elefanti che partecipa a
questo corteo che devono camminare su lenzuola bianche distese. Balli, tamburi e fuochisti
accompagnano la sfilata. Ogni giorno si cambia il tragitto. Le persone accorrono da tutte le città
dell’isola. L’ultimo giorno ci si reca al fiume, si” dividono le acque” con una sciabola e, prima che
si riuniscano, bisogna prendere un bicchiere di queste acque e portarle al tempio. Questo rito
simboleggia la separazione tra le buone e le cattive azioni.
Rispetto ai riti di passaggio, uno dei testimoni contattatti ha dichiarato che in occasione del
Battesimo si organizza una festa in famiglia. Più enfasi è data, invece, al passaggio all’età
adulta per le donne che coincide con il primo ciclo mestruale. In questa occasione i genitori
consultano l’oroscopo della propria figlia. Nel frattempo la ragazza non può vedere uomini, né
guardarsi allo specchio, né pettinarsi, non può fare il bagno né recarsi a scuola. Quello che
indossava le viene tolto e messo in una busta. La durata dell’isolamento dipende da ciò che
“dichiareranno le stelle” così come l’ora ed il giorno in cui potrà riprendere a fare il bagno.
Quest’ultimo deve essere fatto con fiori ed erbe per profumare l’acqua che, successivamente,
vengono deposte in un vaso nuovo di terracotta che viene fatto girare sulla testa della ragazza
inginocchiata. Terminato tale rito il vaso viene rotto su una pietra. Dopo aver fatto il bagno, la
ragazza viene coperta da un lenzuolo, che toglierà solo dopo aver guardato tutti i dolci preparati
per lei e le lampade accese in suo onore. È sempre l’oroscopo che decide il colore dei vestiti
che indosserà. Le famiglie con più possibilità economiche chiamano a suonare dei musicisti di
tamburo e vengono sparati fuochi d’artificio. Da quel momento in poi la ragazza non deve più
comportarsi come una bambina ma deve mostrare la sua serietà. Non può ridere ad alta voce,
non può accavallare le gambe quando siede, ad esempio.
Anche in Sri Lanka si sta perdendo la tradizione secondo la quale sono i genitori a decidere
gli sposi per i propri figli. Adesso quando due persone vogliono contrarre matrimonio bisogna
consultare i loro oroscopi. Se si ritiene che possano andare d’accordo, le nozze possono essere
celebrate tranquillamente. Il matrimonio può essere organizzato presso un’abitazione o un
locale e viene celebrato da una persona chiamata che ha l’autorità per farlo. La sposa deve
avere due sahari: uno bianco che indossa il giorno delle nozze, quello rosso alla fine dei
festeggiamenti (che può essere anche il giorno successivo). Sull’altare le due persone pregano.
Per terra sono deposti del riso e delle foglie verdi. Ad ogni preghiera fatta si gettano delle foglie
per terra. Alla fine un parente lega le dita dei due sposi, si getta dell’acqua e ci si scambia gli
anelli. Addosso alla donna viene appoggiato il vestito rosso, si rompe un cocco e si accende
l’olio della lampada. A questo punto inizia la vera festa che può durare anche molti giorni.
Per quanto concerne il funerale i testimoni ci hanno raccontato che il corpo del morto viene
lavato e trattato affinché possa restare in casa per tre giorni per consentire ai parenti di fargli
visita. La stanza viene preparata con grandi denti di elefante finti e viene nascosto un uovo per
“riempire il vuoto” ovvero per evitare che il morto chiami con sé altre persone. Terminati i tre
giorni di lutto la bara viene chiusa e si buttano piccole miccette uscendo di casa. Alcuni
vengono sotterrati, altri cremati e le loro ceneri vengono gettate nel fiume. Non si mettono i
nomi sulle tombe.
La componente cattolica della comunità srilankese che vive a Napoli fa molto riferimento alla Chiesa del
Gesù Nuovo dove un parroco srilankese celebra la messa nella loro lingua. I testimoni di Geova si
riuniscono invece nelle sale gestite da questa comunità religiosa, essenzialmente a via Poggioreale e a
piazza Mazzini. A Napoli esiste anche un piccolo tempio buddista, a via Fonseca (traversa di via S. Teresa
degli Scalzi) in cui gli Srilankesi cercano di festeggiare i riti legati a tale religione, o meglio una loro parte.
Tale luogo di culto è assolutamente inadeguato alle funzioni che dovrebbe assolvere. In primo luogo i templi
buddisti devono trovarsi in luoghi dove regna il silenzio e la pace, secondariamente lo spazio è molto
angusto e non permette di contenere tutti i fedeli. Per tali ragioni gli Srilankesi buddisti sono costretti a
recarsi al tempio per le preghiere e a continuare le celebrazioni in una sala concessa loro dalla Chiesa
dell’Immacolata, al Vomero. Uno dei bisogni che loro esprimono, di fatti, è la possibilità di costruire un
tempio buddista con tutti i crismi.
Per gli Srilankesi praticare un culto religioso non rappresenta un ostacolo per partecipare alle feste
celebrate dagli altri gruppi. Essi hanno mantenuto anche qui la tradizione di riunirsi in occasione di ogni tipo
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di ricorrenza, non importa se legata alla propria credenza, in quanto sono vissute come possibilità di incontro
e di socializzazione tra connazionali normalmente presi dai propri ritmi di vita e lavoro.
Forme organizzative: Essendo la comunità srilankese molto numerosa a Napoli le forme organizzative
sono diverse, nel corso della ricerca sono state riscontrate due associazioni che sono formalmente costituite
a rappresentanza dei propri connazionali, oltre che, come si è detto, l’associazione degli studenti, o meglio
dei genitori srilankesi. L’Associazione Sri Lanka Napoli è stata fondata nel 1986 ed ha usufruito
dell’appoggio dei sindacati; ha sede tuttora presso i locali della Cgil in via Torino. Gli iscritti-aderenti sono
attualmente 625. L’Associazione srilankese del Gesù Nuovo, invece, è di più recente creazione – è stata
costituita nel 1994 – anch’essa nata con il sostegno del sindacato, e, più precisamente, dell’associazione
Anolf (Associazione Nazionale Oltre le Frontiere) 33. I soci, che ad oggi sono circa 50, possono anche
usufruire di altri locali per incontrarsi, ad esempio una Biblioteca gestita da membri della comunità aperta di
recente nei pressi di piazza Dante. L’ente organizza dei corsi gratuiti di informatica presso una parrocchia
della Riviera di Chiaia e la raccolta di fondi da destinare alle persone più bisognose, non solo di nazionalità
srilankese, ma anche italiana. Nell’intervista il presidente ha ricordato che i suoi soci hanno destinato una
somma alle vittime dell’alluvione di Sarno.
Entrambe le associazioni intervengono in molti settori, prevalentemente quello del lavoro, della cultura,
della scuola, dell’alloggio e, più in generale, della tutela dei diritti dei propri membri. Esse si occupano di
fornire informazioni ai propri connazionali, di organizzare momenti di incontro e di aggregazione, di
conservare i costumi e le feste principali del paese di origine, di orientare ed accompagnare gli Srilankesi
che lo richiedono ai servizi del territorio.
4.3.LE COMUNITA’ PROVENIENTI DALL’AFRICA
Le comunità di immigrati provenienti dal continente africano sono nella città di Napoli, rispetto a quelle
asiatiche, meno consistenti da un punto di vista numerico (esse rappresentano un quarto del totale dei
residenti), ma più numerose per ciò che concerne i loro paesi di origine: 36 sono infatti i paesi da cui
provengono gli africani presenti in città. Complessivamente sono 3.100 gli Africani residenti, in prevalenza
dell’Africa centrale (1.364), seguiti dal Nord Africa (948) e dall’Africa orientale (826). In questo capitolo
saranno analizzati i principali aspetti sociali e culturali che caratterizzano gli immigrati provenienti dal Burkina
Faso, dalle isole di Capo Verde, dall’Eritrea, dall’Etiopia, dalla Costa d’Avorio, dall’Algeria, dal Marocco e
dalla Tunisia (che per i motivi specificati più avanti saranno considerati come una comunità unica dei
maghrebini), dalla Nigeria, dal Senegal e dalla Somalia, essendo questi i paesi dell’Africa che più di altri
hanno caratterizzato l’immigrazione a Napoli.
4.3.1. La comunità burkinabè
A Napoli risultano residenti 19 immigrati provenienti dal Burkina Faso, di cui 9 donne ma, dalle
testimonianze raccolte, risulta che, considerando l’intera provincia di Napoli, l’entità reale della comunità si
aggira intorno alle 500 presenze. La comunità dei burkinabè, così come altre comunità provenienti dall’Africa
occidentale francofona, si è caratterizzata per una elevata mobilità sul territorio nazionale; in particolare tale
gruppo condivide molte caratteristiche dell’immigrazione ivoriana. Anche tale comunità continua ad essere
34
composta prevalentemente da uomini .
La maggioranza dei Burkinabè appartiene al gruppo etnico dei bissa ed in misura minore dei mossi. In
Burkina Faso si contano molte altre etnie ed anche un numero rilevante di lingue parlate.
Molti parlano lingue della Costa d’Avorio, in particolare il djoula (malinké), che letteralmente vuol dire
“commerciante”, in quanto è appunto la lingua di uno dei gruppi etnici più folti di questo paese,
contraddistintosi per il fatto di svolgere prevalentemente attività commerciali. Per tali motivi il djoula è una
delle lingue più parlate, non solo in Costa d’Avorio, ma anche in altri paesi dell’Africa occidentale come il
Mali. Inoltre molti Burkinabé, prima di intraprendere l’esperienza dell’immigrazione in Europa, hanno
conosciuto una lunga storia di emigrazione in Costa d’Avorio: essi hanno sempre costituito la manovalanza
utilizzata nelle piantagioni di caffè e cacao. Ciò spiega i profondi legami con i “fratelli” ivoriani anche nei
paesi di immigrazione, i costumi e le tradizioni in comune, dovuta anche al fatto che i due paesi, prima della
spartizione operata dai colonizzatori europei, facevano parte dello stesso impero dell’Alto Volta.
In alcuni casi sono gli stessi Burkinabè a volersi dichiarare ivoriani a Napoli per diversi motivi. Infatti
l’essere identificati come appartenenti a tale nazionalità rappresenta per alcuni un elemento di maggiore
33. L’Anolf è un’unione a carattere volontario e non lucrativo con lo scopo di incentivare “l’amicizia e la fratellanza tra i
popoli” e lottare contro l’intolleranza e la xenofobia. L’Anolf nasce a Napoli nel 1991 e, come l’intera organizzazione a
carattere nazionale, è stata promossa e sostenuta dal sindacato Cisl. L’associazione srilankese, di fatti, è ospite presso i
locali del sindacato. Dell’Anolf fanno parte altre associazioni comunitarie che saranno trattate più avanti tra cui quella
ecuadoregna e quella peruviana.
34
. Il nostro interlocutore è stato un testimone privilegiato di nazionalità burkinabè che abita nel quartiere di Ponticelli
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prestigio sociale; gli Ivoriani nell’immaginario di molti immigrati dell’Africa occidentale, come ci è stato
riportato da alcuni testimoni, sono “la classe più elevata, i cittadini, i padroni”, i Burkinabè sono invece “gli
immigrati, i contadini, i manovali”.
Un altro elemento che accomuna l’immigrazione burkinabè a quella ivoriana è l’alternanza di periodi in cui
la comunità presente a Napoli è più ampia a quelli in cui subisce una forte contrazione. I momenti in cui la
presenza di Burkinabè e di Ivoriani si riduce è legata alla regolarizzazione della propria presenza sul
territorio italiano che li spinge a lasciare Napoli per recarsi in città del nord dove trovare sistemazioni
lavorative più garantite, la possibilità del lavoro in fabbrica appare esercitare ancora una forte attrazione su
tali immigrati.
Le zone in cui i Burkinabè lavorano nella maggioranza di casi non coincidono con quelle in cui abitano. Di
fatti la comunità appare concentrata a livello abitativo essenzialmente nei quartieri di Ponticelli e Pianura, ma
i Burkinabè svolgono attività lavorative diverse soprattutto nella zona di Quarto, Pozzuoli, Soccavo. Si tratta
principalmente di attività discontinue ed a ‘giornata’ nei settori dell’agricoltura e dell’edilizia, altri si impiegano
presso i lavaggi auto, come sorveglianti notturni, tuttofare nei vivai, benzinai, aiutanti presso negozi al
dettaglio (fruttivendoli, macellai). Una piccola parte trova impiego anche nei ristoranti e negli alberghi
svolgendo mansioni di facchinaggio, lavapiatti e addetto alle pulizie.
La condizione dell’infanzia-I rapporti con la scuola: Il numero di minori presenti a Napoli è molto esiguo.
Di fatti dai dati ottenuti dall’Anagrafe cittadina risultano, nell’anno 2003, soltanto sette minori burkinabè
residenti nel comune di Napoli.
La casa: Come si è detto i Burkinabé vivono a Napoli in due quartieri periferici della città. Per quel che
riguarda Pianura le condizioni abitative dei Burkinabé, tra l’altro condivise dalle altre nazionalità africane
presenti nella stessa area, tra cui gli Ivoriani, si caratterizzano per un’estrema precarietà. Si tratta di due
insediamenti, ex casolari di campagna presenti nell’area antica del quartiere, abbandonati anni addietro dagli
italiani ed adibiti dagli immigrati ad una sorta di centro di prima accoglienza: abitazioni dove non si paga un
affitto e dove chi arriva a Napoli senza sapere dove indirizzarsi ha la sicurezza di trovare ospitalità tra i propri
connazionali. Le condizioni strutturali ed igienico-sanitarie sono difficilmente descrivibili in poche righe 35. In
breve la maggioranza di questi alloggi presenta una situazione di forte sovraffollamento, le infiltrazioni
d’acqua nei giorni di pioggia sono ordinaria amministrazione, molte di queste abitazioni non sono fornite di
servizi igienici, nessuna di impianti elettrici ufficiali (che in realtà sono realizzati attraverso allacciamenti ad
un'unica sorgente anche attraverso fili areali, con rischi derivanti da incendi di sovraccarico dell’utilizzo della
rete), della rete del gas e del riscaldamento. Le condizioni di forte umidità degli appartamenti sono spesso
causa della presenza diffusa di malattie respiratorie che colpiscono gli abitanti del “ghetto” (come loro
spesso chiamano la zona in cui abitano).
A Ponticelli, invece, i bipiani compongono due “villaggi” tra la circoscrizione di Ponticelli e quella di Barra,
separati da via Isidoro Fuortes 36. Nel complesso sono 30 bipiani (12 che ricadono nella circoscrizione di
Ponticelli e 18 in quella di Barra) installati a seguito del terremoto del 1980 per ospitare temporaneamente le
famiglie italiane le cui abitazioni erano state danneggiate dal sisma. Tali container furono poi lasciati dalle
famiglie terremotate a seguito della assegnazione di case popolati (legge 219/81) o delle risistemazione
delle abitazioni danneggiate, e quindi occupati in forma spontanea ed auto-organizzata da famiglie di italiani
e di immigrati. Il campo bipiani ha subito numerosi rimaneggiamenti abusivi derivanti dall’abbattimento di
alcune case e dalla separazione di altre per ottenere alloggi più piccoli, ma per un numero maggiore di
famiglie. I bipiani sono alloggi realizzati con prefabbricati di amianto, sostanza notoriamente cancerogena,
che viene liberata nell’aria circostante a seguito dell’invecchiamento della struttura. Le condizioni igienicosanitarie sono malsane: ci sono numerose fogne a cielo aperto che causano la presenza di scarafaggi,
zecche e ratti. Gli impianti elettrici sono logori e pericolosi, fili elettrici volanti passano da una casa all’altra, i
sistemi idrici erosi provocano in molti casi la fuoriuscita di acqua per giorni e giorni senza che nessuno
intervenga. Le abitazioni superaffollate e umide presentano infissi logori, il cattivo funzionamento degli
impianti fognari provoca, in caso di piogge, l’allagamento delle strade. Molte case sono prive di scaldabagni.
Il commercio etnico: I Burkinabé hanno sviluppato anche attività commerciali, dedicandosi, in particolar
modo, alla vendita di prodotti del loro artigianato: batik, tamburi, altri oggetti. Usano vendere nelle strade
come gli ambulanti senegalesi, nelle chiese durante alcune occasioni, infine nelle loro case dove invitano
amici e conoscenti all’acquisto di prodotti portati personalmente o fatti arrivare dal Burkina Faso tramite
amici. In questo caso si tratta sostanzialmente di una vendita rivolta agli italiani e non ai propri connazionali.
Non gestiscono, invece, negozi alimentari, pertanto, per l’approvvigionamento dei prodotti necessari alla
loro cucina, si recano a piazza Garibaldi e a via Bologna dove acquistano nei negozi gestiti da italiani,
nigeriani e senegalesi: gnagna, pesce affumicato, spezie, riso.
35. Una relazione più dettagliata sulle condizioni abitative a Pianura è possibile leggerla nel capitolo sui contesti cittadini.
36. Anche sui bipiani di Ponticelli e sulle condizioni di vita degli immigrati una relazione più dettagliata è possibile
leggerla nel capitolo sui contesti cittadini
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I rapporti con la popolazione locale ed altre comunità di immigrati: In riferimento al rapporto con la
popolazione locale i testimoni intervistati hanno riportato diversi episodi di razzismo quotidiano, tuttavia un
testimone ritiene che i napoletani non sembrano essere tutto sommato razzisti, ma piuttosto “molto
ignoranti”. Secondo l’opinione del testimone è tale ignoranza che li porta ad assumere comportamenti di
ntolleranza nei confronti degli stranieri, come quello di sedere in treno accanto ad un immigrato solo se non
ci sono altri posti liberi, oppure mostrare segni di evidente fastidio quando un immigrato, nel pullman,
ingombra lo spazio con il suo bagaglio spesso voluminoso.
Vita comunitaria (luoghi di incontro e di socializzazione): Per la maggior parte dei Burkinabé la domenica,
unico giorno libero dagli impegni lavorativi, viene trascorsa insieme ai propri connazionali. Essi hanno
costituito un fondo cassa per comprare cibi e mangiano tutti insieme in qualche locale all’interno delle
parrocchie concesso loro dai sacerdoti oppure presso le abitazioni private. Questi incontri non si svolgono
solo a Pianura, ma anche a Ponticelli e a Casandrino. Altri luoghi di aggregazione sono piazza Garibaldi, il
ristorante ivoriano a via Aquila, qualche discoteca del centro di Napoli, dove i meno timidi stringono amicizia
con studenti e studentesse napoletani.
Diversi sono i Burkinabé che partecipano ad iniziative politiche quali manifestazioni per la difesa dei diritti
dei lavoratori immigrati, riunioni organizzate dai sindacati o dai centri sociali.
Aspetti religiosi e ricorrenze principali: Le principali tradizioni culturali dei Burkinabè che sono state
37
ricordate dai testimoni riguardano soprattutto l’etnia dei bissa e sono tutte di origine animista . Dal resto,
come già indicato, questo gruppo è l’etnia più numerosa in Burkina Faso. Tali tradizioni sono comuni a molti
paesi dell’Africa sub-sahariana, pur presentando nomi diversi.
Una delle feste più importanti è Tota, la festa della raccolta. Consiste, essenzialmente in riti
per ringraziare la natura e i frutti della terra e per augurarsi un raccolto sempre più abbondante.
Si pratica nella stagione secca, come la maggioranza delle altre feste, per poter festeggiare
all’aria aperta. Questa festa non cade in un giorno fisso, ma in una data stabilita considerando
le fasi dalla luna. La giornata è caratterizzata da cibo abbondante, danze e ritmi delle
percussioni.
Un’altra festa fondamentale è Langa, che rappresenta l’intronizzazione dei capi villaggio che
vengono proclamati re. Si festeggia in tutti i villaggi bissa a seconda del giorno in cui la persona
più importante di quel villaggio è diventata re. Anche questa festa è caratterizzata da danze,
cibo abbondante e corse sui cavalli.
Sare è la festa della gioia e dello scambio culturale. Si organizza per dare la possibilità a tutti
i bissa, che abitano in villaggi diversi, di incontrarsi e di scambiarsi aspetti e caratteristiche
culturali differenti. In questa occasione i ragazzi corteggiano le ragazze degli altri villaggi per
fidanzarsi.
A seguito dello spopolamento dei villaggi, e della conversione dei burkinabé originariamente
di religione animista, alle religioni musulmana e cristiana, tali feste stanno scomparendo,
mentre stanno assumendo via via più importanza le feste come il Ramadan, il Tabaski, il
Natale e la Pasqua. L’importanza della celebrazione di queste ultime è testimoniata dal fatto
che anche gli immigrati sostengono economicamente questi festeggiamenti mandando in tali
occasioni soldi ai loro parenti.
Per i Burkinabé di etnia bissa queste feste sono tutte importanti, ma essi sono consapevoli che solo
la festa di Sare potrebbe essere celebrata qui perché non si lega strettamente ad eventi che
caratterizzano il tipo di economia e struttura sociale tipici del Burkina Faso; pensiamo, ad esempio, alle
feste relative alla raccolta o all’intronizzazione dei re.
37. L’animismo è stato considerato, da alcuni studiosi, una delle forme più semplici di religiosità ma mai una vera e
propria religione. L’animismo è un concetto etnologico, introdotto dall’antropologo britannico E. B. Tylor nel XIX secolo,
che si riferisce ad una rappresentazione del mondo secondo la quale tutti gli esseri viventi e tutti gli oggetti hanno
un’anima. Il cosmo sarebbe animato da forze vitali che vengono personificate molto spesso: si parla talvolta di geni,
talaltra di spiriti. Tali spiriti vengono ripartiti in benigni e malvagi: i primi devono essere onorati per invocarne la
protezione ed i secondi devono essere propiziati con appropriati sacrifici per evitarne gli influssi malefici. Inoltre, gli
animisti credono che gli amuleti, i feticci, i custodi della medicina tradizinale e molti simboli abbiano un potere spirituale
che permette loro di comunicare con gli spiriti. L'animismo è ancora oggi presente tra alcune popolazioni dell'Africa
(specie tra i gruppi ancora molto dediti all’agricoltura), dell'Oceania (dove, peraltro, assume caratteristiche prossime al
culto degli animali, manismo), nonché in vaste comunità indigene dell'America meridionale. L’aspetto più importante da
sottolineare in questo lavoro è che tali popolazioni nonostante siano state, nel corso delle varie dominazioni subite e del
colonialismo, convertite alle religioni monoteiste, quali il cristianesimo e l’islamismo, appaiono ancora molto legate alle
credenze tradizionali di derivazione animista. Molti rituali e simbologie sono chiari esempi di quanto la commistione tra
religioni propriamente dette e tradizione animista abbiano dato vita ad interessanti e complesse forme di sincretismo
religioso.
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Da un punto di vista religioso la comunità è divisa tra cristiani e musulmani. Tutti i Burkinabé di
religione musulmana festeggiano a Napoli la fondamentale festa del Ramadan, mentre quelli di religione
cristiana celebrano il Natale. Le modalità di festeggiamento sono necessariamente molto diverse da
quelle del proprio paese di origine. Anche qui essi vorrebbero trascorrere insieme tutta la notte a ballare,
mangiare, divertirsi, ma si scontrano con la difficoltà di trovare locali adatti a tali festeggiamenti.
I burkinabè praticano anche riti in occasione delle “fasi di passaggio” della vita.
Al momento della nascita di un bambino si pratica il rito di Zoumoukou, che consiste nella
rasatura dei capelli del neonato dopo sette giorni. La rasatura equivale ad una purificazione e
deve essere praticata da una persona anziana. I parenti, gli amici, ma, anche chi non conosce il
bambino, gli danno il benvenuto, portando doni quali saponi e profumi. L’arrivo del griot
(cantastorie) è un evento molto importante anche lui dà il benvenuto e consigli al neonato e alla
sua famiglia sui comportamenti più giusti da tenere , sui valori più importanti che devono
caratterizzare la sua vita.
Un altro rito importante è costituito da Zebone, effettuato per ricordare la scomparsa di
persone morte ad un’età di almeno 35 anni. Anche questo rito ha una cadenza temporale
dipendente dalla luna. Consite in un sacrificio nel corso del quale si ammazza un bue o un
montone a seconda delle possibilità economiche della famiglia,che riunisce tutti i suoi membri
per mangiare e danzare insieme. Durante questa occasione si ascoltano i racconti del griot ( les
“louanges”) il quale canta (racconta romanzando)la storia della persona scomparsa, ne esalta le
qualità e le buone azioni ma ne depreca anche i vizi e i cattivi comportamenti. In questo senso il
griot assolve ad una importante funzione pedagogica in quanto le sue parole servono da monito
per i giovani che sono presenti.
I Burkinabè, come gran parte degli immigrati contattati, hanno l’abitudine di rimpatriare il corpo del
defunto per cui non sono interessati alla costruzione di luoghi di sepoltura adatti alle proprie tradizioni.
Sentono l’esigenza, però, che venga loro concesso un luogo dove poter realizzare le proprie cerimonie
funebri, per poter “gioire nel dolore”, in quanto per la religione animista “i morti non sono morti”, di
conseguenza gli amici ed i parenti vogliono ricordare nella gioia ciò che la persona defunta ha realizzato
durante la sua vita.
I luoghi di culto frequentati dalla comunità burkinabè sono le chiese per la componente cattolica e le
moschee per quelli di religione musulmana.
Forme organizzative: Gran parte degli immigrati burkinabè che abita nel territorio cittadino – come si è
detto - si concentra a Pianura ed, in minima parte, nell’area dei bipiani di Ponticelli/Barra. A Pianura tale
comunità conta la presenza di un centinaio di persone tutti uomini, gli altri sono distribuiti in altre zone della
città ma anche in altre province. I Burkinabè non hanno mai dato vita ad una vera e propria associazione,
ciononostante hanno costituito un gruppo informale che si occupa del sostegno dei propri membri,
dell’organizzazione di eventi di aggregazione sociale e culturale, della diffusione delle informazioni
provenienti dal loro paese (attività resa possibile anche grazie ai buoni rapporti e contatti costanti con la
propria Ambasciata in Italia, alla quale si rivolgono soprattutto per documenti amministrativi).
A tale gruppo non si aderisce attraverso un’iscrizione, né si ottiene il rilascio di una tessera, ma
partecipando alle riunioni durante le quali vengono segnati su un quaderno i nomi dei partecipanti.
Le riunioni si svolgono a Pianura oppure a Casandrino, a S. Antimo, a Casal di Principe, che
costituiscono gli altri comuni del territorio provinciale in cui sono presenti e dove lavorano questi immigrati. I
locali dove incontrarsi sono messi a disposizione dalle parrocchie con le quali i Burkinabé hanno cominciato
a stringere contatti anche perché alcuni di loro, convertitisi al cattolicesimo, richiedono il battesimo.
4.3.2 La comunità capoverdiana
L’immigrazione capoverdiana ha origini di natura essenzialmente economica. Del resto lasciare il proprio
paese alla volta del nord America, prima, successivamente di altri paesi africani, quali l’Angola ed il Senegal,
o l’Europa (Portogallo, Olanda) ha sempre costituito l’unico modo per la popolazione di questo arcipelago
per far fronte ad una atavica condizione di sottosviluppo economico. I primi flussi in uscita risalgono,
addirittura, alla fine del XVII secolo. La critica condizione economica che ha sempre soffocato il paese si è
ulteriormente aggravata in seguito all’abbandono totale da parte del Portogallo in occasione
dell’indipendenza (ottenuta solo nel 1975), a questo isolamento in cui le isole di Capo Verde sono
sprofondate si sono aggiunti altri fattori quali la siccità che ha reso quasi impraticabile il settore economico
prevalente: l’agricoltura 38.
38. Altieri G. in Mottura G. (a cura di) 1992, p.185
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A Napoli, come nel resto d’Italia, l’immigrazione da Capo Verde inizia negli anni ’60. Sono state le donne
a costituire il primo anello di tale catena migratoria; giovani donne dell’isola di S. Nicolau che, attraverso il
canale della Chiesa cattolica, giungevano prima a Roma e poi in altre città, come nel caso di Napoli, con una
collocazione lavorativa già definita: la collaborazione domestica. In quell’isola, di fatti, si era insediata una
forte comunità di frati cappuccini che aveva iniziato ad organizzare i primi viaggi per rispondere alla richiesta
di lavoratrici domestiche da parte di molte famiglie italiane. In seguito, non è stato più necessario per le
donne e gli uomini capoverdiani ricorrere a questi canali di ingresso perché si era oramai messa in atto la
catena migratoria: sono state le prime arrivate a farsi raggiungere da parenti ed amici, a trovare in anticipo
collocazioni lavorative per loro, contattando altre famiglie o attraverso i propri datori di lavoro e, talvolta,
pagando anche il prezzo del biglietto aereo. Sono gli anni ’70 il periodo in cui si vedono i risultati di questa
catena migratoria che univa l’Italia a Capo Verde e durante i quali, di fatti, si è consolidato il flusso. Ciò
anche per la possibilità di entrare in questo paese regolarmente, anche se alla regolarità di presenza non
sempre corrispondeva una regolarità nel rapporto di lavoro. Tra la fine degli anni ’80 e i primi anni ’90, con la
progressiva chiusura delle frontiere, gli arrivi da Capo Verde per vie legali, come dagli altri paesi di
39
emigrazione, si riducono sempre più .
La comunità capoverdiana – che conta 855 residenti di cui 578 donne - presenta ancora oggi una
particolarità: oltre ad essere numerosa, è costituita almeno per il 90% da donne 40. La composizione per
sesso della comunità è rimasta stabile negli anni. La condizione di domestiche giorno e notte ha a lungo
ostacolato la possibilità per queste donne di costituire una famiglia o tenere con sé i figli. Tuttavia sia il
passaggio a modalità di lavoro diverse, sia il consolidamento della comunità presente a Napoli sin dagli anni
settanta, hanno accresciuto il numero di bambini che attualmente è superiore alle 150 presenze.
Si tratta di bambini prevalentemente nati in Italia o, in misura minore, arrivati per ricongiungimento familiare
favorito dalla elevata incidenza di persone fornite di regolare permesso di soggiorno. Essendo una comunità
di antico insediamento, molti di questi bambini nati in Italia sono ormai adolescenti.
I bambini capoverdiani frequentano regolarmente la scuola, infatti non sono stati registrati casi
significativi di evasione scolastica. Tuttavia non tutti i ragazzi dopo la scuola dell’obbligo proseguono gli
studi, e in questi casi i giovani vengono anch’essi avviati al lavoro negli unici settori dove c’è domanda di
lavoro per gli immigrati in città, presso famiglie come domestici o come garzoni nelle salumerie e nei bar. In
alcuni casi riescono ad alternare la frequenza scolastica con lavori stagionali nel periodo estivo.
Poiché la comunità è prevalentemente femminile, nella maggior parte dei casi si è in presenza di famiglie
spezzate, composte soltanto da madri con figli; sono frequenti, inoltre, i matrimoni misti tra donne
capoverdiane e uomini italiani. Le Capoverdiane – fatta eccezione per un numero contenuto che vive presso
l’abitazione del datore di lavoro – vivono in abitazioni autonome in diversi quartieri cittadini, con una
concentrazione più consistente nei Quartieri Spagnoli e più in generale nel quartiere di Montecalvario. Vi
sono inoltre insediamenti consistenti nei quartieri di Fuorigrotta, Pianura e in misura minore a Soccavo. La
maggioranza delle case sono costituite da un solo vano, spesso si tratta di "bassi", in cattive condizioni per i
quali pagano affitti piuttosto elevati (300 euro in media).
La condizione dell’infanzia: I minori capoverdiani residenti nel Comune di Napoli risultano essere,
nell’anno 2003, 165. Di questi, 58 hanno fino a 5 anni, 87 hanno un’età compresa tra i 6 ed i 14 anni e 20 tra
i 15 ed i 18 anni. La componente dei minori rappresenta il 19% della comunità capoverdiana; inoltre i
bambini capoverdiani costituiscono l’8% dei minori stranieri residenti. Molte madri capoverdiane, per la
difficoltà incontrata nel conciliare il lavoro con la cura dei figli, fanno ricorso all’affidamento dei propri figli ad
istituti religiosi o a famiglie italiane. Queste ultime svolgono di fatto un’attività di affido informale a pagamento
o anche gratuitamente. Sia l’inserimento in istituti che l'affido presso famiglie possono essere parziali (il
bambino rientra a casa la sera) così come totali (il bambino ritorna dalla madre soltanto quando questa è
libera dal lavoro). La retta del convitto è coperta in alcuni casi dai servizi sociali o da enti assistenziali come
nel caso della Fondazione Banco Napoli per l’Assistenza all’Infanzia.
I rapporti con la scuola: c’è stato riferito che bambini capoverdiani pur essendo regolarmente inseriti nelle
scuole del territorio, limitano quasi sempre all’orario scolastico la frequentazione di coetanei in attività di
socializzazione, infatti quasi mai frequentano associazioni o parrocchie nel tempo libero.
Il commercio etnico: Frequente è l’acquisto di prodotti etnici da parte di Capoverdiani. I negozi e i punti di
vendita nei quali essi acquistano prodotti alimentari, per l’igiene del corpo e audio e video cassette sono il
più volte menzionato Cristiani a piazza Garibaldi, Tropical nella zona della Pignasecca ed altri privati italiani
o appartenenti ad altre comunità immigrate.
I rapporti con la popolazione locale e con altre comunità di immigrati: I Capoverdiani intervistati
definiscono il comportamento della popolazione locale nei confronti dei propri connazionali intollerante in
39. Id., pp. 186-195
40
Per la comunità capoverdiana sono stati ascoltati due testimoni privilegiati, un uomo ed una donna, che vivono da
molti anni a Napoli
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alcuni casi, disponibile in altri, soprattutto quando si tratta di persone che hanno conosciuto direttamente
immigrati capoverdiani ed hanno stretto rapporti con loro. Uno dei testimoni afferma che “la popolazione
locale non è da condannare, perché è molto facile non sapere come comportarsi quando non si conoscono
gli “altri”. Gli episodi di intolleranza a cui ha assistito e di cui è stato vittima in passato lo stesso intervistato
sono diversi: aggressioni fisiche da parte di giovani, sputi in faccia ed egli riferisce che tali gesti lo hanno
turbato fino al punto da dover rimanere a letto per alcuni giorni.
Forme organizzative - Vita comunitaria (luoghi di incontro e socializzazione): La comunità capoverdiana a
Napoli aveva fondato in passato una propria associazione, che partecipava anche ai tavoli istituzionali e
aveva stretto notevoli contatti con il mondo del sindacato e con altre associazioni del terzo settore.
Attualmente l’associazione non opera più e del vecchio raggruppamento è rimasto un gruppo informale che
si incontra in alcune piazze della città: piazza Dante, Montesanto e nelle case private, essenzialmente nei
momenti di riposo quali il giovedì pomeriggio, il sabato sera e la domenica. La comunità capoverdiana ha
dato origine ad una squadra di calcio e ad un gruppo musicale che diffonde i valori della propria cultura. Pur
non potendo più contare sul sostegno di un’associazione, il gruppo riesce comunque a soddisfare alcuni
bisogni di incontro e di aggregazione culturale attraverso l’organizzazione di feste e di attività sportive.
Queste ultime rappresentano occasioni fondamentali di incontro e socializzazione. Per l’organizzazione di
partite di calcio, i Capoverdiani utilizzano un campo sportivo di Barra ed un altro che si trova ai Colli Aminei.
Aderiscono anche ad una sorta di campionato nazionale tra comunità immigrate, per cui alcuni incontri si
svolgono anche a Roma.
Tra le feste principali del paese menzionate dai testimoni ascoltati e celebrata anche a Napoli è Santa
Cruz, in occasione della quale si organizzano un torneo di calcio e serate in discoteca. Tale festa è molto
condivisa da tutti gli immigrati capoverdiani che vengono a festeggiare a Napoli da paesi come la Francia,
l’Olanda, il Lussemburgo e da altre città italiane. Le modalità con cui a Napoli ricordano questa giornata
sono diverse da quelle del loro paese. In primo luogo non tutti i membri della comunità riescono a prendervi
parte a causa dello scarso tempo a loro disposizione, in secondo luogo mancano molti prodotti alimentari
tipici di Capo Verde per preparare le pietanze che tradizionalmente usano cucinare nel loro paese in questa
occasione. Un altro elemento che limita ed ostacola il mantenimento delle usanze del paese è, secondo
l’opinione dei testimoni ascoltati, la mancanza di un forte spirito di appartenenza e condivisione molto
sentite, invece, a Capo Verde.
Altro luogo principale di incontro è rappresentato da una discoteca sita nel quartiere di Fuorigrotta, che,
come indicato più volte in questo lavoro, è il punto di ritrovo per molte comunità anche di immigrati
provenienti dal centro e sud America: gli Ecuadoregni, i Peruviani, i Colombiani.
Aspetti religiosi e ricorrenze principali: La maggioranza dei Capoverdiani è dal punto di vista religioso
cattolico. Dalle interviste rilasciate è emerso che l’arcipelago di Capo Verde, essendo costituito da 10 isole,
ognuna con il proprio patrono, celebra le proprie festività in tempi diversi ma con modalità molto simili in tutto
il paese.
Le principali sono:
Il Festival Baiha das Gatas: è un festival di musica internazionale della durata di 4 giorni
organizzato nei mesi di luglio o agosto, durante il quale sono invitati artisti provenienti da tutto il
mondo.
La festa più sentita nell’isola e pertanto quella che riscuote la più ampia partecipazione è
Sao Joao Batista della durata di un giorno (il 24 luglio) nel corso della quale diversi gruppi
organizzano delle sfilate per le vie della capitale.
Nel’isola di Sao Vicente il 29 giugno si festeggia Sao Pedro e Paulo patroni dell’isola. E’
una giornata di benedizione del popolo e viene chiamata anche giorno della Tabanca. La
Tabanca è un rito tradizionale molto colorato caratterizzato da danze, musiche tradizionali e
processioni che i Capoverdiani usano fare quasi sempre durante le feste dei santi patroni.
Il 15 gennaio a Santiago si celebra la festa di Santo Amaro patrono della capitale. E’ un
giorno di preghiera in onore del santo; la preghiera assume anche un valore propiziatario per
augurarsi la pioggia e un buon raccolto.
Un significato particolare assume per tutti i Capoverdiani la giornata del 5 luglio la Festa
dell’Independenza. In tutto il paese vengono organizzate sfilate di carri e parate militari.
Infine il 3 maggio si festeggia Santa Cruz definita anch’essa festa nazionale perché in tale
giornata si commemora la liberazione degli schiavi.
Per ciò che riguarda i principali riti di passaggio vigenti nella cultura tradizionale possiamo
annoverare il Guarda Cabeza che consiste in alcuni rituali che le donne anziane, in quanto
considerate spiriti protettori, nel numero massimo di 5 usano fare al bambino dopo sette giorni
dalla nascita.
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I testimoni ascoltati durante la ricerca non hanno descritto riti particolari legati al passaggio
all’età adulta ed al matrimonio. Essendo la religione cristiana molto diffusa a Capo Verde,
queste fasi della vita sono vissute con modalità simili a tutti i paesi cristiani: messe, preghiere,
momenti di socializzazione coronati da cibo e da danze.
Lo stesso vale per la morte; se il defunto è battezzato, viene celebrata una messa e la
salma viene portata al cimitero. Nel caso in cui la persona non sia mai stata battezzata, la si
battezza al momento della morte. In entrambi i casi viene celebrata una festa in suo onore dopo
sette giorni dalla morte per il riposo della sua anima.
I luoghi di culto dei Capoverdiani a Napoli sono costituiti dalle chiese, in particolare quella di Santa Maria
della Grazia, dove hanno l’abitudine di recarsi per partecipare alle funzioni religiose ma anche per ritrovarsi
fra connazionali e con la comunità locale con la quale mantengono un buon rapporto.
I Capoverdiani, come tutte le altre comunità contattate nel corso di questo lavoro, tentano di rimandare
sempre la salma al paese di origine.
4.3.3 La comunità eritrea
La comunità eritrea è una delle componenti più antiche dell’immigrazione a Napoli, un tempo anche una
delle più numerose. Attualmente si contano in questo Comune 128 residenti appartenenti a tale nazionalità,
41
di cui 93 donne . A Napoli come in Italia i primi arrivi, che risalgono già agli anni ’50, riguardavano le
domestiche che venivano al seguito dei loro datori di lavoro italiani che facevano ritorno in Italia, costretti
dalla riduzione dell’apparato produttivo causata dalla politica dell’imperatore. Ma l’incremento dei flussi verso
l’Italia si registra nei primi anni ’70, più precisamente dopo il 1972, quando una grave carestia fu all’origine
della fine del governo imperiale e dell’ascesa al potere del colonnello Menghitsu. L’intensificazione si ha nel
1978, quando quest’ultimo decide di intraprendere un’energica azione di guerra per riconquistare i territori
eritrei ormai controllati dal Fronte di Liberazione dell’Eritrea 42.
Oggigiorno il numero di presenze degli Eritrei a Napoli si è notevolmente ridotto rispetto agli anni ’70 ed
’80 in quanto essi, come molte altra comunità straniere, non annoverano l’Italia tra le loro mete favorite
insistendo, spesso, sulle maggiori difficoltà che incontrano qui rispetto ad altri paesi quali la Germania o la
Svezia, soprattutto nel caso in cui siano riusciti ad ottenere in quei paesi lo status di rifugiato politico. Le
prospettive di lavoro offerte dall’Italia agli Eritrei con livelli di istruzione e di qualifiche professionali più
elevate sono sempre state molto più modeste e meno qualificate di quelle offerte altrove. Si trattava in
passato e si tratta, tuttora, di lavori quali il collaboratore domestico, sia per uomini che per donne, sia attività
di facchinaggio o alle dipendenze di imprese di pulizia, questi ultimi più rivolti agli uomini. Per tali motivi chi
ha potuto è andato via, lasciando qui la componente femminile e maschile più anziana e dequalificata 43
Tale comunità ha conosciuto nel passato una maggiore presenza anche di bambini, soprattutto di quelli
nati a Napoli. I primi arrivati direttamente dal paese di origine sono ormai grandi, hanno frequentato le scuole
italiane, e si sono integrati perfettamente. Molti parlano meglio l’italiano rispetto al tigrino (la loro lingua
madre).
L’Eritrea, prima di ottenere l’indipendenza dall’Etiopia nel 1991, era federata a questo paese così come
sancito da una risoluzione dell’Onu del 1950.
La separazione tra l’Etiopia e l’Eritrea è celebrata, in quest’ultimo paese, il 24 maggio con due giorni di
festa che coinvolgono tutte le famiglie, le strade e le piazze del paese. Legata a questa data è la festa dei
martiri (il 20 giugno) morti per lottare per l’indipendenza del proprio paese. Per ricordarli vengono accese
delle candele e si prega alla loro memoria per tre giorni. L’Eritrea, inoltre condivide altre due importanti
ricorrenze con buona parte del mondo (il l° Maggio e la festa delle donne).
La natura strettamente politica delle feste raccontate dal testimone contattato sembra, probabilmente,
confermare quanto Kreidler scriveva nel 1992: nel caso di quella eritrea ci troviamo in presenza di
un’immigrazione originata in misura maggiore da eventi politici e da una situazione di guerra nel paese di
44
provenienza, che ha coinvolto anche l’Eritrea e che ha portato alla separazione dei due paesi nel 1991 .
La comunità eritrea è concentrata, da un punto di vista abitativo, essenzialmente nella zona dei Quartieri
Spagnoli e di S. Teresa degli Scalzi; a livello lavorativo, invece, essendo impiegati ancora nella stragrande
maggioranza dei casi nel settore domestico, sono soprattutto i quartieri di Posillipo, di Chiaia e del Vomero a
conoscere la più grande presenza di Eritrei.
La condizione dell’infanzia: I minori di origine eritrea che risultano risiedere nel comune di Napoli
nell’anno 2003 sono 10, di cui 2 sono minori di 5 anni, 6 hanno un’età compresa tra i 6 ed i 14 anni e 2
41
. Per tale gruppo nazionale è stato intervistato il presidente dell’associazione Unione Nazionale dei Lavoratori Eritrei a
Napoli.
42. Kreidler S. in Mottura G. (a cura di) 1992, , pp. 204-206
43. Id, pp. 207-209
44. Kreidler S. in Mottura G. 1992 (a cura di) , p. 203.
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hanno tra i 15 ed i 18 anni. I bambini eritrei costituiscono l’intera comunità per l’8 % e lo 0,5% dei minori
stranieri residenti. La comunità eritrea, compresa la sua componente di minori, risulta nel complesso molto
inserita nel tessuto sociale locale. Eppure anche le famiglie di tale comunità si sono trovate, talvolta,
costrette a ricorrere alla pratica dell’affido dei propri figli. I bambini eritrei affidati in modo informale e senza il
pagamento di alcuna retta sono cinque, da quanto emerso dall’intervista. È presumibile che si tratti, come
sempre, di difficoltà che nascono dal fatto di svolgere lavori domestici per tutto l’arco della giornata, ciò
rende impossibile accudire i propri figli per il tempo necessario.
I rapporti con la scuola: Essendo quella eritrea una delle più antiche comunità immigrate a Napoli, la
presenza di bambini, e di alunni nelle scuole risale già agli anni Ottanta. Il testimone si è dilungato
sull’inserimento dei bambini della sua comunità nella scuola napoletana, in linea di massima lo giudica, però,
positivamente così come ritiene molto disponibili i genitori nell’intrattenere rapporti con gli istituti per qualsiasi
tipo di questione e nel caso in cui fossero convocati. Più difficile, per loro, invece, è riuscire a conciliare i loro
orari di lavoro con quelli della scuola dei figli. Da ricerche condotte di recente è emerso, comunque, che vi
sono molte difficoltà che i genitori eritrei si sono trovati e si trovano ad affrontare: la difficoltà di conciliare il
lavoro con la cura della famiglia, i costi dell’alloggio per il nucleo familiare, il rapporto con la scuola che non è
– e non lo era soprattutto in passato - sempre pronta ad accogliere bambini stranieri. Altro problema molto
sentito dall’intera comunità è quello legato agli scarsi legami dei propri figli con la cultura di origine. A questo
proposito si sono manifestate, negli anni scorsi, tra gli adolescenti abbandoni scolastici e tra gli adulti forme
di disagio sempre più diffuse, probabilmente legate ad una sorta di disillusione rispetto alle possibilità di
rientro in Eritrea.
La casa: Nonostante la maggioranza degli Eritrei viva a Napoli da molti anni, la situazione abitativa
appare ancora molto precaria, anche se descritta in maniera troppo sintetica dall’intervistato. Dall’intervista
emerge che gli Eritrei hanno estreme difficoltà ad affittare appartamenti che cercano secondo i seguenti
criteri: il prezzo contenuto, la vicinanza al lavoro, il piano basso, la possibilità di vivere in più persone.
Difficilmente riescono ad essere stabili negli alloggi che affittano per svariati motivi che vanno dall’aumento
dell’affitto, alla richiesta di restituzione della casa da parte del suo proprietario, dalle cattive condizioni
igieniche e strutturali ai rapporti conflittuali con il quartiere. La precarietà sembrerebbe dimostrata dal fatto
che tali alloggi sono vissuti come semplici luoghi in cui ritornare la sera a dormire. Secondo quanto
dichiarato dal testimone contattato, il fatto che tali appartamenti non siano di proprietà degli eritrei, ma solo
presi in affitto, e che le condizioni strutturali siano pessime, li spinge a non stringere un forte legame con i
luoghi in cui abitano e a spendere solo per la manutenzione strettamente necessaria. Gli immigrati di tale
nazionalità preferiscono, di conseguenza, come luogo deputato alla socializzazione, la sede
dell’associazione. Del resto il Circolo Mar Rosso, un bar ristorante gestito da eritrei, si trova proprio ai
Quartieri Spagnoli, zona facilmente raggiungibile per tutti gli Eritrei.
Il commercio etnico: Napoli non sembra offrire un’ampia scelta di prodotti eritrei, a parte i piatti che si
possono consumare presso il Circolo Mar Rosso, mancano essenzialmente quelli alimentari, la musica e
l’abbigliamento, che si riesce a far arrivare solo quando amici e parenti tornano dall’Eritrea.
I rapporti con la popolazione locale e con altre comunità di immigrati: Il nostro interlocutore giudica
intollerante l’atteggiamento che la popolazione autoctona dimostra nei confronti dei suoi connazionali e degli
immigrati di nazionalità diverse. Denuncia casi di persone che si recano al circolo, mangiano e vanno via
senza pagare così come sono accaduti episodi di violenza ancor più grave. Ad esempio già nel 2002, alcuni
uomini napoletani si sono recati nel locale con benzina e fiammiferi minacciando, rivolgendosi in modo
diretto al suo proprietario, di bruciare tutto il ristorante. Nel corso del 2003 il locale è stato nuovamente
devastato.
Matrimoni ed unioni, tradizionali e miste: Nella comunità eritrea sono stati rilevati 5 casi di coppie miste
tra donne di questa nazionalità e uomini italiani, in due casi si tratta di matrimoni. Il presidente
dell’associazione eritrea non ritiene che le proprie connazionali incontrino difficoltà nei rapporti che vivono
con i propri partner italiani, pur provenendo da universi sociali e culturali diversi.
Vita comunitaria. Aspetti religiosi e ricorrenze principali: Tutte le ricorrenze principali per gli eritrei
vengono celebrate presso il Circolo mar Rosso. In tali occasioni tutti gli Eritrei di Napoli si incontrano, talvolta
accompagnati da amici italiani.
Secondo il presidente dell’associazione eritrea di Napoli i suoi connazionali non sentono l’esigenza che
gli enti locali concedano loro luoghi di sepoltura adeguati alle loro ritualità, ma piuttosto un sostegno
finanziario nel rimpatrio delle salme al paese.
Forme organizzative: L’associazione Unione Nazionale dei Lavoratori Eritrei a Napoli, fondata nel 1988,
che attualmente conta ben 610 iscritti. I soci non sono tutti di nazionalità eritrea anche perché, secondo le
sue stime, la sua comunità non supererebbe le 220 unità nel Comune di Napoli e le 40 unità considerando
solo il territorio provinciale. Nei 610 soci sono compresi anche i Somali, i Capoverdiani e gli Italiani che
frequentano il loro locale. La sede di tale comunità è, di fatti, il Circolo mar Rosso, ristorante in cui è
possibile gustare specialità della cucina eritrea, ma anche molto utilizzato come punto di ritrovo da altre
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comunità che vivono nella zona e come luogo di riunioni degli eritrei per discutere dei problemi, soprattutto
politici, che affliggono il loro paese e tutte le questioni legate alla vita dell’immigrazione a Napoli.
L’associazione si attiva soprattutto nel sostegno dei membri della propria comunità in numerosi campi: il
mantenimento dei rapporti con il paese di origine, la ricerca del lavoro e dell’alloggio, il rimpatrio delle salme,
l’organizzazione di corsi di alfabetizzazione di tigrigna (lingua madre) rivolto agli eritrei, minori ed adulti, nel
mantenimento delle proprie feste. Quelle più importanti, secondo l’opinione del presidente dell’associazione
sono quelle di stampo politico, tutte legate all’indipendenza dell’Eritrea dall’Etiopia, e non di natura religiosa,
a differenza di quanto emerso per le altre comunità.
4.3.4 La comunità etiope
Gli Etiopi residenti nel comune di Napoli risultano essere 151, di cui 89 donne, nell’anno 2003 45. Tale
gruppo nazionale rappresenta una delle componenti più antiche dell’immigrazione italiana ma il numero degli
etiopi, tra la fine degli anni Ottanta e gli inizi degli anni Novanta, si è notevolmente ridotto sull’intero territorio
nazionale, nella città di Napoli tale processo sembra particolarmente intenso. Tale comunità ha, difatti,
preferito stabilirsi e costruire la propria vita in altri paesi, in modo particolare il Canada, gli Stati Uniti e
l’Olanda, in cui poter usufruire dei vantaggi di un welfare state ben più sviluppato di quello italiano, anche
rispetto ai cittadini di origine straniera, e di una politica più aperta in materia di concessione dello status di
rifugiato. Le percentuali di donne e minori, considerando l’intera provincia di Napoli, sarebbero
rispettivamente il 20% e il 10%; nel caso del territorio comunale, invece, tali stime si eleverebbero al 50% e
al 20% del totale delle presenze. Gli etiopi che vivono a Napoli nella maggioranza dei casi provengono dalla
capitale, Addis Abeba e si concentrano essenzialmente nel territorio che fa riferimento ai quartieri di
Avvocata-Montecalvario.
Non è di scarso rilievo ricordare che di comunità etiope, come separata da quella eritrea, si è cominciato
a parlare solo tra il 1991 ed il 1992, in seguito all’indipendenza raggiunta dall’Eritrea nel 1991, dopo che nel
46
1950, con una risoluzione dell’Onu, era stata sancita la federazione di tale paese all’Etiopia
Da un punto di vista più strettamente culturale è interessante rilevare che quasi l’intera popolazione di
tale nazionalità pratica il cristianesimo ortodosso e solo una ridotta componente è cattolica. Tali percentuali
valgono non solo per gli etiopi che vivono a Napoli, ma anche per coloro rimasti in Etiopia.
La lingua ufficiale di questo paese è l’amarico.
La condizione dell’infanzia: I minori etiopi residenti nel comune di Napoli risultano essere 14 nell’anno
2003. Di questi 3 sono minori di 6 anni, 7 hanno un’età compresa tra i 6 ed i 14 anni, 4 hanno tra i 15 ed i 18
anni. La componente dei minori rappresenta il 9,3% dell’intera comunità etiope residente e lo 0,7 % del
totale dei minori stranieri residenti. Non sono emerse dallo studio situazioni di bambini dati in affidamento a
famiglie italiane
Il rapporto con la scuola: L’inserimento dei bambini etiopi all’interno delle scuole napoletane viene
giudicato piuttosto buono da entrambi i nostri interlocutori; la mediatrice culturale, però, sottolinea
l’importanza di dedicare più sforzi all’organizzazione di interventi di intercultura all’interno degli istituti
scolastici finalizzati alla sensibilizzazione dei bambini italiani nei confronti delle altre culture. I bambini, del
resto, possono a loro volta insegnare qualcosa ai genitori contribuendo, in qualche misura, a combattere
pregiudizi e luoghi comuni che ancora purtroppo contraddistinguono discorsi e comportamenti della
maggioranza della popolazione napoletana rispetto agli stranieri.
Un elemento di grande rilievo emerso dai nostri dialoghi con i due testimoni etiopi è la difficoltà incontrata
dai genitori appartenenti a tale comunità di riuscire ad andare a prendere i propri figli in orario all’uscita della
scuola. Come già specificato, gli etiopi trascorrono l’intera giornata fuori casa, impegnati in lavori domestici
presso famiglie in quartieri anche piuttosto distanti da quelli in cui vivono e in cui sono ubicati gli istituti
frequentati dai propri figli. Inoltre, difficilmente sono forniti di mezzi propri dipendendo, in tal modo, dai mezzi
di trasporto pubblici e dall’intenso traffico stradale napoletano. Questo insieme di fattori impedisce loro,
molto di frequente, di essere puntuali all’uscita della scuola e ciò crea, talvolta, conflitti con le maestre. I due
esponenti della comunità etiope chiedono una maggiore comprensione da parte degli insegnanti ed uno
sforzo per comprendere le difficoltà che i genitori immigrati incontrano per riuscire a far coincidere lavoro ed
impegni familiari, in assenza di stipendi tali da permettere loro di ricorrere a servizi di babysitteraggio e in
mancanza di parenti ed amici liberi e disposti a badare ai propri bambini.
La casa: Dai nostri colloqui è risultato che trovare un alloggio per gli Etiopi è difficile, essenzialmente a
causa dei pregiudizi dei proprietari che sono restii ad affittare i propri appartamenti agli stranieri. In generale i
membri di tale comunità tendono a restare stabili in una casa, a viverci per molti anni e ad investire in spese
di manutenzione. Lasciano tali alloggi solo quando scattano conflitti con i locatori.
45
I testimoni contattati per gli immigrati di nazionalità etiope sono stati una mediatrice culturale, socia della cooperativa
Casba ed il presidente dell’Associazione Etiope.
46. Kreidler S. in Mottura G. (a cura di) 1992, pp. 203-204.
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Il commercio etnico: Nonostante l’allontanamento tra la comunità eritrea e quella etiope, il Circolo mar
Rosso viene ancora indicato come l’unico luogo in cui si possono consumare piatti tipici dell’Etiopia. Chi ha
nostalgia di cibi o altri prodotti del proprio paese è costretto ad ordinarli a qualche conoscente o amico che
ritorna in Etiopia per un certo periodo, in quanto anche i negozi molto forniti di prodotti provenienti da altri
paesi del continente africano sono totalmente sprovvisti di quelli etiopi.
I rapporti con la popolazione locale e con altre comunità di immigrati: Atteggiamenti intrisi di pregiudizi
sono considerati da alcuni Etiopi accomunare una componente non irrisoria della popolazione napoletana.
Non si sono mai verificati episodi gravi di razzismo e discriminazione nei confronti di Etiopi, ma piccoli
episodi di intolleranza caratterizzano la vita di tutti i giorni. Tipici sono quelli che si verificano spesso sui
pullman in cui gli stranieri vengono talvolta aggrediti verbalmente.
Matrimoni ed unioni, tradizionali e misti: Il numero di matrimoni misti in questa comunità appare
contenuto, dato in accordo con la scarsa ampiezza dell’intera comunità. Più nello specifico ne sono stati
contati tre tra donne etiopi e uomini italiani. I testimoni non hanno segnalato casi di convivenze.
Vita comunitaria. Aspetti religiosi e ricorrenze principali: La testimone qualificata, intervistata sugli aspetti
culturali della sua comunità, sostiene che le feste principali celebrate in Etiopia sono praticamente identiche
a quelle eritree: testimonianza del fatto che fino a poco tempo fa questi due popoli “erano la stessa cosa”.
Una delle più festeggiate è il Capodanno, che ricorre il 1° settembre. I festeggiamenti
durano tre giorni, durante i quali si chiudono le scuole, non si va a lavoro, e si svolgono non
solo in casa ma anche per le strade. Il primo giorno c’è l’usanza per le adolescenti,
rigorosamente solo donne, di indossare abiti nuovi e di bussare alle porte delle abitazioni del
vicinato intonando un canto tipico di questa festa, accompagnandosi con il suono dei tamburi,
con la speranza di poter raccogliere qualche spicciolo. Il canto parla dei fiori perché è proprio la
fioritura che si festeggia in questo periodo dell’anno.
Il Natale ortodosso, altra festa molto vissuta in Etiopia, ha date diverse rispetto a quello
cattolico viene, di fatti, celebrato il 10 Gennaio. Le modalità di festeggiamento sono molto più
contenute rispetto a quelle che caratterizzano il Natale cattolico, non c’è né l’usanza di
addobbare l’albero di Natale né di scambiarsi i doni, ci si limita a riunirsi con l’intera famiglia e a
mangiare insieme. I cattolici etiopi festeggiano tale festa in maniera identica a tutto il mondo
cristiano.
Particolarmente sentita è anche la festa di S. Giovanni, il 24 giugno, durante la quale si
chiudono sia le scuole che i luoghi di lavoro. La celebrazione avviene, anche in tale occasione,
sia nelle piazze che nelle case. In piazza viene acceso un grande falò che viene alimentato da
tutti i partecipanti che, ad un’ora precisa, vi gettano un bastone formato da 5-6 rametti di alberi
legati insieme. I bambini bussano alle porte delle case cantando, anche in questo caso, una
canzone tipica di questa festa per avere un po’ di monete in cambio.
Anche per ciò che concerne la Pasqua i festeggiamenti della componente cattolica della
popolazione non differiscono da quelli italiani; gli ortodossi, al contrario, hanno un modo molto
più rigido di vivere la Quaresima, in quanto nei 40 giorni che precedono il giorno di Pasqua si
astengono completamente dal mangiare carne e prodotti derivati dal latte.
Proseguendo con l’aspetto dei costumi e delle tradizioni, in questo caso legati alle fasi più
importanti della vita, i due testimoni contattati ci hanno raccontato che i matrimoni, in passato,
venivano festeggiati organizzando delle grandi feste nelle abitazioni. Negli ultimi anni, però, si è
diffusa maggiormente, anche in Etiopia, l’usanza di organizzare feste in ristoranti e locali.
Quando due giovani decidono di sposarsi, come accade in molti paesi africani, il padre dello
sposo, insieme ai parenti maschi più stretti, si reca presso la famiglia della donna per chiedere
la sua mano al padre ed ai suoi parenti maschi. Sono tali componenti delle due famiglie
coinvolte a stabilire la data delle nozze. In questa occasione si organizza una prima piccola
festa. Chi continua a celebrare il matrimonio secondo la tradizione allestisce una grande tenda
nel cortile della propria abitazione per poter ospitare tutti gli invitati. I preparativi delle nozze
iniziano un mese prima della data fissata, ogni giorno le rispettive famiglie cominciano a
ricevere parenti ed amici che portano i regali e danno il proprio aiuto per organizzare la festa. Il
terzo giorno precedente le nozze riveste un valore particolare: lo sposo, accompagnato dai
propri “damigelli” (figura maschile corrispondente alle damigelle che compare nei matrimoni
etiopi, non identificabili con i testimoni) si reca a casa della futura moglie per portare i suoi doni:
deve trattarsi di almeno una valigia piena di abiti, gioielli e scarpe. È essenzialmente la famiglia
dello sposo che sostiene le spese dell’intera cerimonia. Sia lo sposo che la sposa devono
essere accompagnati, il giorno della celebrazione del matrimonio, da “damigelli” in numero
uguale. I regali devono essere mostrati ad entrambe le famiglie. Questo giorno rappresenta la
prima occasione che le due famiglie hanno di incontrarsi. L’offerta dei doni è un elemento molto
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importante in un matrimonio perché è dal numero e dalla ricchezza di questi ultimi che
dipenderà il prestigio sociale degli sposi.
Nonostante il 90% degli etiopi sia risultato appartenere alla corrente ortodossa del
cristianesimo, quasi tutti tendono a sposarsi seguendo solo il rito civile e non quello religioso.
Le modalità di sepoltura sono identiche a quelle della religione cattolica ma, in Etiopia, si dà
molta importanza ai tre giorni di lutto che seguono la sepoltura durante i quali i membri della
famiglia del morto non possono uscire di casa. Sono i parenti e gli amici che si recano a far loro
visita. Anche in questa occasione viene allestita una tenda nel cortile dell’abitazione in quanto
quest’ultima difficilmente potrebbe contenere tutti gli ospiti. È molto interessante far notare che
ogni quartiere ha una sorta di “comitato festeggiamenti”, ovvero un gruppo che si preoccupa di
raccogliere fondi che finanziano tali tipi di riunioni per evitare che i costi non ricadano sulle
famiglie.
Le feste ricordate dai testimoni vengono mantenute dagli Etiopi che vivono a Napoli ma festeggiate con
modalità diverse, molto più contenute, dovendo adattarsi al fatto di vivere in un paese straniero, di non avere
tutta la propria famiglia vicina, di non trovare i prodotti con cui si possono cucinare i piatti tipici. Alcuni di loro,
in tali occasioni, preferiscono recarsi a Roma dove vive una comunità etiope molto più organizzata e folta di
quella napoletana e dove, non di rado, è possibile assistere a concerti di cantanti etiopi che vengono
dall’America. Chi non ha le possibilità di trascorrere tali feste a Roma si accontenta di celebrarle in casa
propria.
A Napoli i festeggiamenti in occasione di ricorrenze, matrimoni, compleanni venivano festeggiati, fino a
poco tempo fa, presso il Circolo Mar Rosso. Il circolo rappresentava un luogo di incontro e ritrovo anche per
la comunità etiope, ma nel corso degli anni Novanta, i rapporti tra le due comunità, prima unite, si sono
deteriorati e gli Etiopi hanno progressivamente abbandonato il circolo preferendo affittare altri locali per
l’occasione.
Per quel che riguarda la sepoltura dei connazionali morti durante l’esperienza migratoria, emerge in
maniera decisiva quanto anch’essi desiderano che la sepoltura avvenga in patria, pertanto la comunità in
queste occasioni e per far fronte agli alti costi del trasporto della salma, ricorre alle collette tra i connazionali.
Forme organizzative: La comunità etiope è organizzata in forma associativa. Tale associazione si è
costituita nel lontano 1980 e si è data un nuovo statuto 17 anni dopo. Gli iscritti sono attualmente 60.
L’iscrizione prevede il versamento di una quota associativa ed una tessera. Anche tale associazione
comunitaria, come quella ivoriana e senegalese, ha sede presso la Filcams-Cgil a piazza Garibaldi ed è
impegnata, essenzialmente, nel mantenimento dei rapporti con il proprio paese di origine, dei propri costumi
e tradizioni.
4.3.4 La comunità ivoriana
Gli Ivoriani che risultano avere la residenza a Napoli sono 61, di cui 18 donne, nell’anno 2003. Dalle
interviste effettuate con due testimoni qualificati risulta che coloro che vivono nel Comune di Napoli sono
circa 150, considerando anche l’area della provincia la comunità supererebbe i 300 componenti.
L’immigrazione ivoriana napoletana si caratterizza, ancora oggi, per una netta prevalenza della componente
maschile; le donne ed i minori di tale nazionalità costituirebbero, in entrambi i casi, circa il 20% del totale
delle presenze. Un’elevata percentuale di immigrati provenienti dalla Costa d’Avorio non è ancora in
possesso del permesso di soggiorno. Nella gran parte dei casi si tratta di giovani singoli. Gli Ivoriani vivono
spesso insieme ad altri immigrati francofoni dell’Africa Occidentale come ad esempio del Burkina Faso, del
Benin o del Togo.
Le attività lavorative svolte dagli Ivoriani, come nel caso di molti immigrati che provengono dai paesi
dell’Africa Occidentale, sono varie e riguardano principalmente i settori dell’agricoltura, dell’edilizia,
dell’industria. Molti lavorano presso i garage, nelle stazioni di servizio e come addetti allo scarico e carico
merci. Il luogo di lavoro, date le caratteristiche delle attività svolte, non sempre coincide con quello di
47
residenza. Infatti essi vivono quasi esclusivamente nei quartieri di Ponticelli e Pianura .
Nel comune di Napoli risultano iscritti all’anagrafe 16 minori ivoriani. Tuttavia non è stato possibile capire
con precisione quanti sono i bambini ivoriani perché essi non sempre vengono registrati all’anagrafe. Sulla
base delle testimonianze raccolte si tratterebbe in ogni caso di non più di trenta bambini tutti al di sotto dei
10 anni di età, concentrati soprattutto nel quartiere di Ponticelli e in misura minore a Pianura; mentre in
provincia il comune con una maggiore presenza è quello di Casal di Principe nel Casertano. Si tratta per lo
più di bambini non in età scolare, nati in Italia, a differenza dei più grandicelli arrivati per ricongiungimento
familiare.
47
. Sono stati effettuati colloqui con tre testimoni privilegiati di nazionalità ivoriana, di cui due rivestono i ruoli di
presidente e il vicepresidente dell’Unione degli Ivoriani della Regione Campania
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Gli Ivoriani presenti in Italia mostrano, inoltre, una elevata mobilità territoriale. A partire dalla crisi prima
economica ed, in seguito, anche politica che ha investito la Costa d’Avorio - paese un tempo fiorente - gli
arrivi nella città di Napoli non si sono mai arrestati, pur non raggiungendo mai punte elevatissime. Ai flussi in
ingresso corrispondono, però, anche quelli in uscita. Una parte degli ivoriani, una volta ottenuta la regolarità
del soggiorno, ha preferito spostarsi in città del nord Italia per trovare collocazioni lavorative migliori. Molti di
loro non hanno del tutto reciso i legami con la città e con i propri connazionali rimasti, in quanto scelgono,
spesso, di trascorrere le proprie vacanze natalizie o estive a Napoli per fare visita ai propri amici e parenti.
Dalle interviste fatte è emersa una situazione molto complessa per ciò che concerne le principali feste
della Costa d’Avorio, il bisogno di integrazione culturale e il mantenimento della cultura di origine.
La comunità ivoriana presenta diversità etniche (si contano almeno sessanta gruppi etnici), di religione
(musulmani, cristiani, animisti), di lingua (tante quante sono le etnie, con alcuni elementi comuni fra alcune di
esse che derivano dalla vicinanza territoriale o dall’appartenenza ad uno stesso ceppo: per esempio il
gruppo Dan all’ovest e il gruppo Akan a est), di tradizioni (tante quante sono le etnie ed i villaggi).
È difficile indicare le percentuali della composizione religiosa della comunità ivoriana. Probabilmente i
due gruppi principali sono quello musulmano e quello cattolico, non sono assenti, in ogni caso, gli animisti,
gli evangelisti ed i protestanti.
Gli Ivoriani abitano, in prevalenza, nel territorio qui considerato ma un gruppo non indifferente vive nella
parte antica del quartiere Pianura. La presenza di alcuni immigrati di tale nazionalità è registrata anche a
piazza Garibaldi.
La condizione dell’infanzia: Sono 16 i minori ivoriani che, nell’anno 2003, risultano essere residenti nel
comune di Napoli. Di questi 5 sono coloro che rientrano nella fascia di età compresa tra gli 0 ed i 5 anni, 10
hanno tra i 6 ed i 14 anni, solo 1 ha più di 14 anni. I bambini ivoriani costituiscono il 26% della comunità e lo
0,8 % dei minori stranieri residenti a Napoli. Diffusa anche tra la comunità ivoriana è la consuetudine di
affidare i propri bambini a famiglie italiane, sia per la precarietà delle abitazioni, sia perché le attività svolte
dai genitori sono incompatibili con la cura dei figli; a questo proposito sono stati segnalati durante la ricerca
10 bambini dati in affidamento. In alcuni casi gli ivoriani si recano al nord per lavorare e ritornano
periodicamente per far visita ai figli. Spesso le famiglie di origine pagano un contributo alle spese, ma in altri
casi le famiglie affidatarie, desiderose di crescere un bambino, non chiedono alcun contributo alla famiglia.
I rapporti con la scuola: dall’intervista non emergono indicazioni su questo aspetto.
La casa: Per ciò che concerne la condizioni abitativa degli ivoriani insediati nelle case occupate di
Pianura e nei Bipiani di Barra/Ponticelli si può fare riferimento a quanto scritto nel paragrafo relativo alla
comunità burkinabè.
Il commercio etnico: I negozi a cui gli Ivoriani si rivolgono per acquistare prodotti alimentari, da toilette,
compact disk e cassette musicali sono gli stessi che abbiamo più volte indicato che si trovano nella zona di
piazza Garibaldi, oltre alle bancarelle del mercatino di via Bologna. I prodotti che non sono venduti a Napoli
vengono fatti arrivare dalla Francia o da amici che fanno ritorno dopo aver trascorso un periodo a casa.
I rapporti con la popolazione locale: I testimoni non si sono dilungati su tale questione.
Matrimoni ed unioni, tradizionali e misti: Per ciò che concerne le unioni matrimoniali, un testimone
sostiene che alcuni suoi connazionali, pochi, abbiamo contratto matrimonio con uomini italiani, burkinabè e
togolesi, con donne spagnole, italiane, polacche, senegalesi, guineane. Gli Ivoriani hanno anche relazioni
sentimentali con donne italiane, nigeriane, malgasce, senegalesi, polacche, francesi, dominicane, le donne
con uomini senegalesi, burkinabè ed italiani.
Le difficoltà che tali coppie incontrano sono dovute, in primo luogo, alla differenza religiosa, in secondo
luogo a quella culturale e alla non accettazione da parte delle rispettive famiglie.
Vita comunitaria (luoghi di incontro e di socializzazione): A Ponticelli tale comunità partecipa attivamente
alle iniziative del Coordinamento per l’abbattimento dei bipiani, al quale hanno aderito la Sinistra giovanile,
Rifondazione Comunista, il centro sociale occupato Ska, l’Associazione 3 febbraio e le Associazioni del terzo
settore, laiche e cattoliche, che da anni intervengono nel quartiere. Oltre agli incontri e alle attività di
carattere politico, il coordinamento, che si riunisce presso la Casa del Popolo di Ponticelli, organizza anche
numerose iniziative di interscambio culturale. In alcune occasioni si preparano infatti cibi sia napoletani che
Ivoriani, si chiede a gruppi di giovani ivoriani di portare i loro jambé (percussioni) e di suonare tutti insieme.
Tali iniziative sono molto apprezzate da una parte della popolazione.
I luoghi di ritrovo degli Ivoriani sono costituiti dall’unico ristorante gestito da una connazionale in una
strada adiacente piazza Garibaldi e le loro stesse case, dove nei giorni di festa gruppi di amici si riuniscono.
Gli Ivoriani, a detta dei testimoni, interagiscono abbastanza con il territorio, partecipano ad iniziative
organizzate dalle associazioni territoriali del terzo settore, sebbene ostacolati da condizioni lavorative che ne
compromettono la vita sociale.
L’esigenza di mantenere e difendere le proprie radici culturali, di diffondere le loro tradizioni e valorizzare
la propria cultura, ha fatto maturare nella comunità l’esigenza di costituire un Centro culturale permanente. A
tale scopo è stata avanzata, da parte dell’associazione ivoriana Uirc, una richiesta al sindaco della città di
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Napoli per l’ottenimento di un locale dove poter allestire il centro. La richiesta a tutt’oggi è rimasta inevasa.
Pertanto la mancanza di spazi di incontro e di socializzazione, spinge tale comunità a festeggiare al proprio
interno gli eventi più significativi della propria cultura, ricorrendo spesso all’affitto di locali dove poter
incontrarsi e riconoscersi.
Aspetti religiosi e ricorrenze principali: Da un punto di vista religioso gli ivoriani si dividono tra musulmani,
cattolici ed animisti.
I musulmani riconoscono come ricorrenze principali da rispettare il mese di Ramadan ed il
Tabaski, giorno del sacrificio, in cui si ricorda quello compiuto dal profeta Abramo. Al termine
del Ramadan (per cui si rimanda al paragrafo relativo alla comunità araba) si festeggia il
“Serideni” un giorno di commemorazione durante il quale si danza per un’intera giornata, tutto il
villaggio si veste a festa, si mangia abbondantemente. Durante il mese di ramadan, e più
precisamente, tra il 26° e 27° giorno, si prega tutta la notte e, chi non lo conosce, studia il
Corano. In Costa d’Avorio si dà molta importanza alla notte del destino (Kouroubissou), si
dice, infatti, che chi ha pregato in quella notte è come se avesse pregato 1000 notti, si crede
che gli angeli scendano dal cielo per assistere alla preghiera e portarla a Dio. Si prega per
chiedere perdono dei propri peccati, per conquistare il paradiso. In questa occasione si uccide
un bue o un montone e si offre la carne e del denaro alle famiglie più povere.
Alcune etnie, quale quella Akan, organizzano anche feste tradizionali animiste, non legate
alla religione islamica. Una di queste è la festa dell’igname (festeggiata anche in Nigeria),
tubero che rappresenta un componente basilare di molti piatti dell’Africa occidentale. La festa si
organizza nei villaggi subito dopo la raccolta, come ringraziamento e speranza di un nuovo e
abbondante raccolto. In tutte le case si cucina l’igname che viene condiviso da tutti. Non
mancano le danze e l’animazione in tutti i villaggi interessati.
Altra festa animista è quella delle maschere, diffusa soprattutto nelle regioni ad ovest della
Costa d’Avorio, soprattutto a Man una volta all’anno. In tale occasione vengono invitate le
maschere di tutta la regione, da quelle più prestigiose a quelle che lo sono meno, e tutte sfilano
seguendo un ordine che dipende dall’importanza che rivestono. Alcune maschere hanno il
compito di divertire, mentre altre rappresentano la saggezza, l’abbondanza, la pioggia, il sole e
così via. Alcune sono più potenti riescono a liberare, secondo la tradizione, il villaggio dal male,
a dirimere le controversie più difficili. Altre maschere non possono essere viste da tutti: alla loro
vista, ad esempio, si crede che le donne giovani possano entrare in menopausa e diventare
sterili, neanche gli uomini non ancora circoncisi possono assistere alla loro sfilata. La maschera
ha per gli animisti un significato mistico e la persona che la indossa non è separata da essa,
anzi i due si identificano. Non è dato a tutti sapere chi è la persona che indossa la maschera. In
alcune famiglie la maschera si tramanda, il successore non è scelto dalla famiglia ma, come
affermano gli ivoriani, è la maschera stessa a scegliere la persona adatta. Ciò avviene in
maniera mistica: anche uno esterno al villaggio, che intenda diventare il successore, può
cercare di superare la prova. Se il predestinato è lui, si dice che la maschera “lo sceglie”. Gli
elementi addotti come prova sono i gesti che l’uomo compie, molto simili a quelli compiuti da
colui che la indossava prima, dal modo in cui riesce a suonare un osso che è parte integrante
della maschera. Gli ivoriani animisti sostengono che se un uomo tenta a tutti i costi di
impossessarsi della maschera, pur non essendo stato scelto, nel momento in cui la indossa
rischia di essere ucciso dalla maschera stessa.
Nella regione animista di Bassam, presso gli Apollo e gli Abouré, si festeggia Abissa una
festa di gioia popolare che consiste in una settimana di travestimenti degli uomini, delle donne e
dei bambini come in occasione del Carnevale. La festa ha lo scopo di ringraziare i “génies“ (gli
spiriti). La cerimonia prevede la benedizione della terra con l’acqua e alcune foglie. Il significato
è quello di renderla fertile. Tale festa non arresta il lavoro e le normali attività perché si
festeggia di sera al ritorno dal lavoro.
Un altro grande evento è costituito dal Carnevale di Bonoua: Popo Carnaval; originario di
tale regione esso affonda le sue radici in tempi antichi.
Per ciò che concerne le feste religiose, gli ivoriani di religione cristiana reputano importante
festeggiare Natale, Pasqua e Capodanno. In tali occasioni si va in chiesa, ovviamente, e poi in
giro a dare gli auguri a tutto il villaggio. I gruppi cristiani associati, costituiti da uomini e donne
vestiti con abiti e foulard bianchi, organizzano lunghe processioni alle quali si aggiungono i
fedeli non organizzati. In testa al gruppo, specialmente durante la Pasqua, una grossa croce di
legno viene trasportata lungo tutto il percorso. Tali feste costituiscono l’occasione per comprare
e indossare qualche indumento nuovo e soprattutto per i ragazzi, che augurano un felice nuovo
anno, avere un po’ di soldi dai parenti. Anche durante queste feste il cibo è abbondante;
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occorrono mezzi economici per festeggiare, quindi molti immigrati inviano soldi ai parenti
affinché possano organizzare tali celebrazioni.
Relativamente ai riti di passaggio praticati in Costa d’Avorio i testimoni ci hanno raccontato
che in occasione della nascita di un bambino il muezzin fa all’orecchio del nascituro la stessa
chiamata alla preghiera che usa fare per i fedeli. Al termine, gli pronuncia, sempre nell’orecchio,
il suo nome e solo dopo che il nome è stato pronunciato in questo modo può essere comunicato
dopo 7 giorni agli altri. Si usa anche tagliare i capelli al nascituro e si dice che il peso dei capelli
debba essere trasformato in oro che poi sarà offerto a chi ne ha bisogno. Gli abitanti del
villaggio portano un regalo al bambino e si festeggia con l’uccisione di un montone. Se il
bambino nasce in ospedale, il padre ne dà notizia a tutti gli abitanti della città, qualcuno offre un
pollo cucinato alla puerpera. Chi segue la tradizione dà al bambino il nome dei profeti del
calendario musulmano.
Gli ivoriani sono stati gli unici a parlare della circoncisione maschile e femminile, che
assume un valore, un significato e una modalità di festeggiamento diversi per ogni etnia. A tale
pratica i musulmani danno un significato di carattere puramente igienico, mentre per gli animisti
dell’ovest (Gueré, Wobé, Yakouba) essa rappresenta un vero e proprio rito che segna il
passaggio dall’infanzia alla fase adulta. I ragazzi che hanno un’età considerata giusta per poter
essere circoncisi, vengono portati e tenuti quasi un mese nella foresta in compagnia di una
persona esperta, che li prepara a quella che sarà la loro vita successiva. I ragazzi sono
accompagnati da un uomo, mentre le ragazze da una donna. Ed è nella foresta che tale pratica
avviene. Al termine ritornano al villaggio, vestiti con una comoda tunica di cotone, dove tutta la
comunità aspetta e accoglie “questi coraggiosi” che “sono andati ragazzi e ritornano uomini e
donne”. I festeggiamenti durano una settimana e consistono in danze e animazione di tutto il
villaggio, si fanno uscire “le maschere” (la maschera ha una funzione benefica, scaccia gli spiriti
maligni), accanto ad esse le donne più anziane danzano con scopini in mano accennando al
gesto di pulire, che simboleggia la purificazione, l’atto di scacciare il male.
Un altro rito è quello della Purificazione (Geneba) per apparire puliti davanti a Dio.
L’abluzione consiste nella pulizia del corpo prima della preghiera o dopo aver avuto rapporti
sessuali o dopo l’eiaculazione (la praticano sia gli uomini che le donne) Tale purificazione si fa
seguendo un iter molto preciso: ci si lava prima le mani fino ai gomiti, poi la bocca e il naso, la
faccia, la testa, le orecchie, un lato del corpo, poi l’altro e infine i piedi.
Per ciò che riguarda il matrimonio presso i musulmani ivoriani si ha l’abitudine di offrire 12
noci di cola alla famiglia della sposa ed è il marito che provvede alla dote di quest’ultima. Il
giorno preferito per sposarsi è il giovedì. Chi ha le possibilità economiche festeggia per
un’intera settimana, i parenti stretti e gli sposi non vanno al lavoro. E’ festa per tutti, si approfitta
dell’occasione per mangiare abbondantemente.
La poligamia è accettata e, malgrado il Corano consenta di avere fino ad un massimo di
quattro mogli, persiste presso gli ivoriani l’abitudine di prenderne anche di più.
Per ciò che concerne i funerali: il corpo viene lavato (purificazione) e avvolto in un lenzuolo
per essere sotterrato nei cimiteri musulmani. In segno di lutto sia gli uomini che le donne usano
rasarsi i capelli; tale abitudine accomuna tutti musulmani e non.
Gli animisti non possono rompere i loro totem perché ciò potrebbe causare la loro morte. Il
totem è spesso rappresentato da un animale considerato il loro capostipite o il difensore della
propria famiglia.
I musulmani frequentano soprattutto la moschea sita in corso Arnaldo Lucci.
La comunità degli ivoriani organizza delle feste in occasione soprattutto dell’ultimo giorno di Ramadan,
del Tabaski e del Capodanno. In alcuni casi si svolgono proprio ai bipiani, all’aperto, quando il tempo lo
permette, o in casa di uno di loro. Il menu è fisso, anche quando si festeggiano compleanni o il capodanno:
montone in sauce claire accompagnato da un profumato riso e birra in abbondanza o aranciata per quelli
che non bevono alcolici. Tali feste vedono la presenza anche di ivoriani non musulmani oltre che di numerosi
giovani e ragazze napoletani loro amici. I membri di tale comunità infatti, quasi tutti giovani, oltre ad avere
relazioni sentimentali con giovani napoletane (numerosi infatti sono le convivenze, i fidanzamenti e i
matrimoni fra uomini ivoriani e donne napoletane), hanno instaurato numerosi rapporti di amicizia con intere
famiglie del quartiere.
In alcuni casi gli ivoriani partecipano alle feste organizzate dall’associazione senegalese in occasione del
Tabaski.
Il mantenimento della cultura d’origine rappresenta per gli ivoriani di Ponticelli un aspetto molto
importante della loro vita a cui non sempre possono dedicarsi come vorrebbero. I testimoni spiegano: “non
abbiamo molto tempo a disposizione, lavoriamo dalla mattina alla sera, la nostra posizione di irregolari ci
preoccupa molto, per cui quando la testa non è tranquilla le altre cose vengono in secondo ordine”.
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Ciononostante essi si sforzano di celebrare le proprie feste - che necessariamente hanno durate e modalità
di svolgimento molto più ridotte dovute ai loro ritmi di lavoro e al fatto di trovarsi in un paese straniero - di
mantenere la propria lingua, di conservare le stesse abitudini alimentari, di reiterare costumi di vita che li
avevano caratterizzati fino al momento dell’esperienza migratoria.
I testimoni intervistati hanno dichiarato che a Napoli gli Ivoriani non possono celebrare tutti i riti legati alla
propria etnia di appartenenza, lontani dai loro villaggi, luoghi deputati alla celebrazione autentica delle
tradizioni. Ma di sicuro quasi tutta la comunità sarà presente in occasione dei matrimoni e dei funerali dei
compatrioti. Il rimpatrio della salma rappresenta per gli ivoriani una questione d’onore pertanto non hanno
mai avanzato richieste di luoghi di sepoltura, tenuto conto del fatto che il corpo deve essere restituito alla
famiglia. Ciononostante essi ritengono che chiunque abbia diritto ad avere i luoghi di sepoltura che ritiene
più appropriati.
Forme organizzative: Una parte degli ivoriani ha dato vita, due anni or sono, ad un’associazione, la Uirc
(Unione degli Ivoriani della Regione Campania) con lo scopo di dare sostegno a tutti i connazionali che
hanno tentato “l’aventure” (hanno deciso di emigrare) a Napoli in diversi settori, i principali sono
rappresentati dall’orientamento e l’accompagnamento ai servizi, il fornire informazioni sulle diverse questioni
legate all’immigrazione, l’organizzazione di momenti di incontro ed aggregazione, il mantenimento delle
proprie tradizioni. L’associazione si occupa anche di dare “accoglienza” ai nuovi arrivati che, una volta giunti
a Napoli, vengono ospitati in maniera, talvolta provvisoria talvolta definitiva, nei bipiani di Ponticelli, nel
“ghetto” di Pianura o, quando è possibile, nelle abitazioni private di amici. Il numero degli iscritti è
attualmente di 50 persone. Per l’iscrizione all’associazione è prevista una quota di 15 euro con cui si ottiene
il rilascio di una tessera. I soci, nei limiti delle loro possibilità, si impegnano anche ad aiutare i nuovi arrivati
nella ricerca di un lavoro e, come tutte le altre comunità straniere intervistate nel corso di questo lavoro, si
sono trovati in alcuni casi a dover organizzare il rimpatrio delle salme, ricorrendo al contributo economico di
tutta la comunità.
Inizialmente l’associazione rivestiva un carattere più locale, essa, infatti, aveva la propria sede nella
chiesa di S. Paolo a Ponticelli dove organizzava anche feste. Via via l’Unione degli ivoriani ha assunto una
dimensione quasi regionale occupandosi anche del coinvolgimento degli ivoriani presenti in altri comuni della
provincia di Napoli e dell’area di Caserta. Tale ampliamento ha determinato il cambiamento della loro sede
che attualmente si trova presso la Filcams-Cgil a piazza Garibaldi. E’ in questo luogo che si svolgono gli
incontri del gruppo dirigente e quelli con la comunità. Fino a qualche tempo fa tali riunioni venivano
realizzate nell’unico ristorante gestito dalla vice presidente di tale associazione, “Tantie Cecile” (zia Cecilia),
come affettuosamente la chiamano i suoi connazionali.
La Uirc, non potendo contare su un locale proprio, organizza, di tanto in tanto, feste presso il Centro
culturale senegalese Baobab a via Bologna. Non sono molti coloro che riescono a partecipare a questi
incontri a causa della difficoltà, per chi è sprovvisto di un’auto, di raggiungere il centro di Napoli da Ponticelli.
Tali feste costituiscono l’occasione di stare insieme, di ritrovarsi accomunati dalla stessa musica, di
condividere un buon piatto di riso con la sauce graine.
L’Uirc collabora con altri enti quali la Filcams, l’associazione N:ea, l’Associazione dei Senegalesi di
Napoli con i quali ha organizzato diverse iniziative pubbliche: convegni, seminari, manifestazioni culturali
ecc.
Quest’associazione non è l’unico soggetto che rappresenta la comunità degli ivoriani, una parte di essa si
riconosce nell’associazione Mireca che agisce prevalentemente nell’area di Caserta, ma conta sull’adesione
anche di una parte di coloro che vivono a Napoli.
Mireca, a differenza dell’Uirc - che si connota come associazione di stampo nazionale, riunendo gli
ivoriani appartenenti alle diverse etnie della Costa d’Avorio - ha un carattere prevalentemente etnico.
Quest’ultima, infatti, raggruppa prevalentemente i djoula, un’etnia originaria del nord della Costa d’Avorio
molto numerosa a Napoli. Tale divisione è dovuta a questioni di natura personale, ma è soprattutto
conseguenza delle rivalità etniche che negli ultimi due anni sono riemerse nel paese e che hanno originato
una profonda crisi generale e numerosi violenti scontri che hanno coinvolto ivoriani di diverse etnie ed
immigrati di origine burkinabè. Non è questa la sede per approfondire le questioni politiche che stanno
dilaniando la Costa d’Avorio, ciò che va rilevato, però, è che queste hanno notevoli ripercussioni anche tra le
comunità ivoriane italiane, causano discussioni politiche, talvolta tensioni, talaltra vere e proprie divisioni tra
gruppi diversi.
4.3.5 La comunità araba
In questo rapporto di ricerca si farà riferimento alle caratteristiche della presenza della comunità
nordafricana nel suo complesso, comprendendo all’interno di questa categoria gli immigrati provenienti
prevalentemente dal Marocco, dall’Algeria e dalla Tunisia. Benché si tratti di comunità diverse, con propri
modelli migratori, e consapevoli della riduttività commessa nell’accorpare in un unico gruppo un universo
variegato, in lavoro si è ritenuto opportuno parlare della comunità araba nel suo insieme per evidenziare le
100
Centro di cittadinanza sociale per immigrati
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caratteristiche comuni, piuttosto che quelle che differenziano tali comunità nazionali. Ciò che ci preme
rilevare, in questa sede, è che la componente più rilevante di tale gruppo è comunque di origine
maghrebina 48. Sono in totale 948 i residenti nel Comune di Napoli provenienti da quest’area del nord Africa,
più nello specifico 341 sono di nazionalità algerina, di cui 48 donne, 150 di nazionalità marocchina, di cui 60
donne, e 415 sono originari della Tunisia, di cui 85 donne. Vi sono poi altre comunità arabe e per la
precisione mediorientali, ma con numeri decisamente molto più contenuti. Si tratta, prevalentemente ma non
solo, di studenti universitari palestinesi (cittadini sia giordani che israeliani).
Sebbene i Maghrebini siano la comunità straniera più numerosa in provincia di Napoli, come nel resto
della regione, nella città di Napoli essi rappresentano una comunità relativamente più contenuta rispetto ad
altre; nel complesso essa è stata stimata in poche migliaia di unità, e soltanto un interlocutore, tra quelli
contattati, stima una presenza di nordafricani di almeno 5 mila presenze. La componente femminile
rappresenta poco più del 10% del totale e i minori circa il 3% 49.
La comunità di più antico insediamento, tra quelle nordafricane, è quella dei marocchini, relativamente
consistente già nella seconda metà degli anni Settanta, seguita da quella tunisina e solo negli anni Novanta
si è intensificata la presenza algerina per le vicende politico-religiose che hanno interessato quel paese.
Queste comunità sono composte in prevalenza da uomini, ma negli ultimi anni la presenza delle donne
comincia ad assumere caratteri significativi. All'interno della componente femminile è più ridotta la
percentuale di irregolari e clandestine. Le donne marocchine sono in prevalenza coniugate e difficilmente
lavorano. Le donne che lavorano, spesso arrivate a Napoli sole, sono impiegate nei lavori domestici ad ore.
Una ridottissima percentuale delle donne maghrebine è coinvolta nel circuito della prostituzione di strada 50.
Per quanto riguarda la componente irregolare maschile essa è difficilmente quantificabile per due motivi: in
primo luogo perché è molto dispersa sul territorio della regione, e in secondo luogo perché è molto mobile e
quindi c'è il rischio di contare più volte lo stesso lavoratore che si sposta quotidianamente da un comune
all’altro. Inoltre per molti Nordafricani la città di Napoli, e più nello specifico la zona circostante piazza
Garibaldi, rappresenta un punto di ritrovo piuttosto che di vita o di lavoro. I Nordafricani risiedono nella
stragrande maggioranza dei casi nei comuni della provincia ed in particolare nell'area vesuviana e nell'agroaversano; anche i nordafricani che lavorano a Napoli in genere non risiedono in città.
Ultimamente alcuni osservatori rilevano un aumento della presenza in città di Egiziani e Libici. I primi
restano a Napoli solo per un periodo prima di spostarsi definitivamente a Roma; i Libici, invece, più che altro
frequentano Napoli per incontrare altri arabi, per trascorrere il proprio tempo libero, acquistare prodotti
alimentari del proprio paese ma vivono in provincia, nell’agro aversano e nel salernitano.
Un testimone definisce Napoli come “il quartier generale di tutta l’Italia, un centro di smistamento, tutti gli
immigrati passano prima per Napoli” riferendosi, evidentemente, al carattere attrattivo che il capoluogo
campano esercita su migliaia di immigrati provenienti dai più svariati contesti geografici, soprattutto coloro
che giungono in Italia per la prima volta, l’opportunità che essa offre di “arrangiarsi”, di riuscire a vivere
anche svolgendo lavori precari e saltuari, di trovare sempre un connazionale disposto ad ospitare i nuovi
arrivati per il periodo necessario ad imparare a sapersi muovere sul territorio.
Napoli costituisce anche una rotta fondamentale nei circuiti commerciali in cui molti Maghrebini, in
prevalenza marocchini, sono coinvolti. I commercianti maghrebini acquistano a Napoli, soprattutto
abbigliamento e scarpe, e rivendono al nord Italia, in altri paesi europei (Francia, Germania) ed in Maghreb.
In alcuni giorni della settimana, ad esempio il venerdì, alcune zone di piazza Garibaldi si animano di
numerosi marocchini che caricano le loro auto o i pullman che giungeranno in Maghreb con merci varie
acquistate a Napoli. In taluni casi sono gli stessi Maghrebini ad essere fornitori dei propri connazionali.
Alcuni testimoni raccontano di tunisini che hanno dei depositi-negozi senza licenza, nei dintorni di piazza
Garibaldi ma non visibili ad un occhio inesperto, dove si possono acquistare abiti e scarpe all’ingrosso da
rivendere all’estero. Alcuni di essi hanno anche negozi in Tunisia. Chi si dedica al commercio ambulante
nella provincia di Napoli o sulle spiagge nei mesi estivi acquista maggiormente dai grossisti cinesi. I
Maghrebini che si muovono tra Italia, nord Europa e Maghreb per commerciare in alcuni casi hanno il
permesso di soggiorno italiano, talvolta la residenza nella città di Napoli ma non vi abitano più in maniera
stabile. Spesso, di fatti, alloggiano negli alberghi vicini alla stazione per il periodo necessario a rifornirsi della
merce. I commercianti che, invece, hanno meno dimestichezza con “la piazza commerciale” napoletana
48
. Il Maghreb (dall’arabo el Maghreb, tramonto) è l’area dell’Africa nord-occidentale che comprende 5 paesi: Il Marocco,
la Tunisia, l’Algeria, la Libia, e la Mauritania.
49. I nostri interlocutori per la comunità araba sono stati il presidente dell’associazione Comunità socio-culturale araba in
Campania, l’imam della moschea di piazza Mercato, un testimone qualificato di nazionalità algerina, un operatore sociale
tunisino ed una mediatrice culturale marocchina.
50
. A tal proposito si rimanda a Morniroli A. (a cura di) 2003, Maria, Lola e le altre in strada. Inchieste, analisi, racconti
sulla prostituzione migrante, Ed. Intra Moenia, Napoli
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troveranno sempre altri arabi disposti ad accompagnarli presso i vari fornitori in cambio di denaro. Del resto
questo è un vero e proprio lavoro per alcuni immigrati, non solo provenienti dai paesi del Maghreb.
I Marocchini, rispetto ai Tunisini e agli Algerini, sono coloro che hanno una maggiore tendenza a
dedicarsi ad attività commerciali in proprio piuttosto che a lavori subordinati. I tunisini e gli algerini, viceversa,
trovano lavoro anche come lavapiatti o addetti alla vendita all’interno di ristoranti e pub e presso i fornai.
Coloro che abitano in provincia si impiegano prevalentemente in agricoltura ed in edilizia.
Piazza Garibaldi, infine, rappresenta un centro di attrazione anche per un certo numero di Maghrebini che
sono scivolati in percorsi di marginalità sociale. Non è difficile per gli immigrati incontrare difficoltà nel loro
percorso migratorio quali, ad esempio, la perdita del lavoro o la difficoltà a trovarne uno più stabile, degli
eventi dolorosi, l’incapacità a sopportare le sofferenze legate all’immigrazione, che possono spingere queste
persone a perdere i propri punti di riferimento, ad entrare in circuiti illegali pur di guadagnare qualcosa
(piccolo spaccio o piccoli furti, rivendita di cellulari rubati), a deprimersi e a sviluppare dipendenza da alcool
o sostanze stupefacenti. Molti di questi Maghrebini trascorrono la maggior parte del loro tempo per strada,
all’interno e all’esterno dei bar e dei ristoranti maghrebini dei dintorni di piazza Garibaldi, in alcuni casi per
trovarvi un rifugio la notte, per chi non ha neanche una fissa dimora, in altri in cerca di qualche opportunità
facile di guadagno, in altri ancora semplicemente per far passare le ore. Queste persone si recano talvolta a
mangiare alla mensa dei poveri delle Suore di Madre Teresa di Calcutta.
La condizione dell’infanzia: I minori provenienti dal Maghreb residenti nel Comune di Napoli nel 2003
sono 122, di cui 37 provenienti dall’Algeria, 25 dal Marocco e 60 dalla Tunisia. Dei 37 algerini, 25 hanno
meno di 6 anni, 9 hanno un’età compresa tra i 6 ed i 14 anni e 3 hanno 15 anni o più. I minori marocchini
hanno meno di 6 anni in 6 casi, meno di 14 in 15 casi e 4 hanno tra i 15 ed i 18 anni. Diciannove minori
tunisini hanno fino a 5 anni, 33 hanno tra i 6 ed i 14 anni, 8 hanno 15 anni o più. I bambini algerini
costituiscono il l’11 % dell’intera comunità presente a Napoli e l’1,8 % dei minori stranieri residenti. I minori di
origine marocchina rappresentano il 17% del totale dei marocchini residenti a Napoli e l’1,2 % dei minori
stranieri che risiedono nel territorio comunale. Quelli di nazionalità tunisina sono il 14,5% dell’intera comunità
e il 3% del totale dei minori stranieri residenti. Uno degli interlocutori segnala alcuni casi, cinque o sei, casi di
bambini dati in affidamento a famiglie italiane, figli di donne che lavorano come prostitute, dietro pagamento
di rette mensili che non si è riusciti a quantificare. In un caso si tratta di circa 400 euro oltre le spese per
alcuni prodotti alimentari come il latte.
Nella seconda metà degli anni Novanta è cresciuta la presenza di bambini, soprattutto marocchini, sia
arrivati direttamente dal paese di origine tramite i ricongiungimenti familiari sia nati in Italia. Negli ultimi anni
sono aumentate le nascite da matrimoni misti con donne italiane o dell’Est europeo. In generale comunque
le famiglie sono poco numerose, mentre esse sono più presenti nelle regioni del Nord dove le condizioni di
inserimento lavorativo risultano migliori. In città la componente relativamente più numerosa è quella dei
Tunisini. Vi è poi una presenza di minori (per lo più marocchini) non accompagnati distribuiti in tutta la
provincia di Napoli.
Negli anni più recenti i principali anelli della catena migratoria per tali adolescenti sembrano essere
rappresentati da parenti o conoscenti della famiglia di origine o ancora da giovani connazionali che hanno
già sperimentato l’esperienza migratoria in Italia e che, ritornando periodicamente nel paese di origine,
suggeriscono la possibilità di elevati guadagni (censurando le difficoltà della esperienza migratoria). Essi
provengono prevalentemente dalle località di Khouribga e Beni Mellal, collocate in un'area di tradizioni
agricole, successivamente sede dell'industria di estrazione dei fosfati che è entrata in crisi negli ultimi anni
spingendo i giovani marocchini ad emigrare.
La componente di minori non accompagnati ha sfruttato diverse modalità di ingresso clandestino. Una
prima modalità è l'ingresso mediante documenti regolari appartenenti ad un familiare (ad esempio un
fratello) già residente in Italia, in questo caso il minore è accompagnato dal padre o da un altro parente,
spesso lo zio paterno. Una seconda modalità è simile alla precedente, ma i documenti vengono forniti in
cambio di denaro (fino a cinque milioni di dirhami, pari a circa 5.000 euro) da un conoscente che fa passare
il minore per un figlio. Una terza modalità è l'ingresso solitario del minore che attraversa la frontiera
clandestinamente a bordo di una nave mercantile o di piccole imbarcazioni che assicurano loro solo la
traversata, dovendo poi proseguire il loro viaggio a piedi. Secondo diverse testimonianze, in quest'ultimo
caso l’ingresso in Italia ha un costo elevato che viene pagato dalla famiglia, ad esempio vendendo un
terreno o chiedendo un prestito alla banca. Con il pagamento del passage il rapporto tra il minore e chi lo ha
favorito nell'espatrio si estingue. Il minore, a sua volta, ripagherà la sua famiglia, verso la quale egli avverte
un obbligo morale, inviando il denaro guadagnato con il suo lavoro in Italia e garantendo anche il suo
mantenimento. A quanto ci risulta non si registrano in Campania vere e proprie cessioni in cambio di denaro
di bambini da parte delle famiglie. I minori che arrivano da soli al momento dell’arrivo sanno già come
muoversi, dove andare e a chi rivolgersi grazie ai racconti dei giovani già immigrati.
Si tratta di minori che hanno un’età che varia dai quattordici ai sedici anni. Per quanto riguarda le attività
lavorative i minori marocchini si dedicano prevalentemente alla vendita dei fazzoletti di carta e alla pulizia dei
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vetri delle automobili nei pressi dei semafori. Inizialmente erano presenti soprattutto nella provincia di Napoli
e, in particolare, nell’area vesuviana. Negli anni novanta tale presenza è aumentata anche nella città di
Napoli interessando, in primo luogo, le zone limitrofe alla stazione centrale di piazza Garibaldi (dalla zona
del porto fino a Poggioreale), in seguito anche quartieri quali Fuorigrotta e Secondigliano. La loro presenza è
stata stimata in poche decine di unità nel comune di Napoli e in ogni caso inferiore alle cinquanta presenze.
I rapporti con la scuola: I bambini maghrebini in età scolare presenti in città sono di solito regolarmente
iscritti a scuola, fanno eccezione i figli degli immigrati clandestini per timore dei genitori nel venire a contatto
con istituzioni italiane, o – più frequentemente – perché respinti dalla scuola proprio perché clandestini 51.
Venendo al rapporto tra le famiglie e la scuola, secondo gli interlocutori la posizione dei bambini arabi nelle
scuole napoletane è eccessivamente improntata all’insegna dell’assimilazione e non ritengono che i minori
immigrati siano realmente integrati. Più sforzi dovrebbero essere fatti, sempre secondo i nostri interlocutori,
in direzione di una maggiore conoscenza e valorizzazione di entrambe le culture, quella italiana e quella di
provenienza del bambino straniero. Pur riconoscendo l’importanza dell’inserimento sociale e scolastico dei
bambini, essi ritengono che l’educazione dovrebbe essere svolta in collaborazione tra la comunità , a cui
spetterebbe il compito di occuparsi della formazione culturale e religiosa , ed il sistema scolastico italiano
che dovrebbe, da parte sua, limitarsi agli aspetti scientifici e tecnici, senza permettersi di trasmettere ai
bambini i principi della laicità. Inoltre sarebbe fondamentale, per loro, dare spazio ad insegnanti di religione
islamica, come già avviene per quelli di religione cattolica. Del resto anche i genitori arabi si aspettano che la
scuola italiana riesca a garantire ai propri figli una buona formazione che permetta loro un futuro positivo e
migliore di quello che hanno avuto loro.
L’imam della moschea ritiene che i bambini arabi sono sempre trattati come “stranieri” per cui non
vengono aiutati a superare o, in ogni caso, a vivere con serenità il dualismo culturale che accompagna il loro
vivere in Italia, divisi tra la propria famiglia (attaccata alle tradizioni) e la scuola (che quasi mai rispetta le loro
specificità). Anche con le loro famiglie non esiste un rapporto positivo, quanto piuttosto una relazione
formale che non permette a queste di esprimere alle scuole i propri bisogni. “Le famiglie stanno davanti a
fatti e programmi indiscutibili”, sostiene un testimone. Viceversa il presidente della Comunità socio-culturale
araba usa toni positivi per descrivere il rapporto tra i bambini di altre nazionalità, la scuola e gli insegnanti.
52
Da quanto risulta da altre ricerche i bambini che sono arrivati in seguito ai ricongiungimenti familiari, ed
inseriti in famiglie in cui è presente anche la madre, frequentano regolarmente la scuola dell'obbligo e
spesso studiano l'arabo presso le moschee di Napoli e precisamente in quella di piazza Mercato e in quella
di corso Arnaldo Lucci.
La casa: Anche gli arabi, come nel caso di altre comunità di immigrati, non hanno grandi difficoltà a
trovare una prima accoglienza al momento del loro arrivo in questa città, potendo sempre usufruire
dell’appoggio di amici. Le difficoltà subentrano nel momento in cui si decide di affittare un’abitazione a causa
del livello elevato degli affitti, delle condizioni igienico-sanitarie degli appartamenti disponibili che portano gli
immigrati a dover impiegare fino a 5-6 mesi per trovare una propria sistemazione indipendente. I problemi
con cui si scontrano gli immigrati arabi si riflettono, di fatti, sulla loro tendenza a cambiare spesso
sistemazione abitativa. Dalla ricerca risulta che essi non risiedono in nessun appartamento per un periodo
superiore ai 2-3 anni, a causa dei frequenti aumenti dell’affitto da parte del proprietario o del rifiuto da parte
di quest’ultimo di effettuare interventi di manutenzione straordinaria, anche quando si rivelano strettamente
necessari affinché tali abitazioni siano vivibili da un punto di vista igienico-sanitario. Anche gli immigrati
provenienti dai paesi arabi tendono a condividere l’appartamento tra più connazionali per dividere le spese.
L’eccezione è rappresentata da coloro che hanno ottenuto il ricongiungimento familiare, in seguito al quale
tenderanno a trovare una sistemazione autonoma. I criteri che li orientano nella scelta di un alloggio sono il
prezzo possibilmente contenuto, la vicinanza al lavoro, la possibilità appunto di vivere in più persone e di
trovare appartamenti già arredati.
La casa rappresenta per gli arabi la base delle relazioni con i loro connazionali e quindi un luogo
fondamentale deputato alla socializzazione, è in casa che si ricevono le persone e dove si celebrano le feste
tradizionali. La casa assume un ruolo fondamentale, ad esempio, durante il mese di Ramadan. In questo
periodo le abitazioni, al momento del tramonto, quando è possibile interrompere l’astensione dal cibo e dal
bere, si trasformano in luoghi di ritrovo tra amici che preferiscono cucinare e mangiare insieme, guardare i
canali dei propri paesi di origine (con le antenne paraboliche) che, in questo mese, trasmettono più
programmi a carattere culturale e religioso. Le abitazioni, in tal modo, si trasformano per essere pronte ad
accogliere un numero maggiore di persone: si acquista un maggior numero di pentole più adatte alla
preparazione dei cibi da consumare (ad esempio le pentole a pressione per cucinare la zuppa), si
51. Infatti non sempre il personale docente e non docente delle scuole a Napoli è a conoscenza della normativa che
prevede il diritto/dovere all’istruzione per i bambini stranieri, anche se sprovvisti di permesso di soggiorno.
52. Cfr. E. de Filippo, E. Pugliese, I minori immigrati in Campania, …2001
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acquistano più tappeti su cui gli invitati possono accomodarsi, si dedica maggiore attenzione all’igiene delle
stanze.
Il tipo di manutenzione effettuata nelle abitazioni dipende molto dalla persona e dal luogo in cui abita.
Generalmente, però, date le pessime condizioni strutturali che caratterizzano la maggior parte degli alloggi
abitati dagli immigrati, questa risulta troppo dispendiosa a parte qualche piccolo intervento strettamente
necessario o l’acquisto degli elettrodomestici più importanti, come lo scaldabagno.
Il commercio etnico: Nel nostro territorio di riferimento è stata segnalata la presenza di 11 luoghi dove si
preparano e si consumano piatti tipici arabi e si vendono prodotti alimentari, 5-6 negozi di abbigliamento e
prodotti artigianali e 4 macellerie che vendono carne macellata secondo le regole della religione islamica.
Tali esercizi commerciali sono tutti gestiti da privati appartenenti alla comunità e nel 90% dei casi sono
attività con regolare licenza. In pochi casi i Maghrebini organizzano informalmente la vendita di cibi cucinati
in domicili privati e bassi adibiti a negozi. Mancano, invece, prodotti quali giornali e riviste che il mercato
napoletano non offre. Gli arabi come privati si rivolgono talvolta direttamente a connazionali che tornano dal
paese di origine per poter usufruire di alcuni prodotti non venduti a Napoli; i commercianti più spesso li
importano a pagamento sempre dai paesi di origine o dalla Francia.
I rapporti con la popolazione locale e con altre comunità di immigrati: Nell’ottica del presidente
dell’associazione socio-culturale araba, l’atteggiamento dei napoletani nei confronti degli immigrati può
essere definito al tempo stesso indifferente, intollerante e tollerante. La popolazione locale è, difatti,
indifferente e tollerante finché gli immigrati non toccano i propri interessi, diventa, invece, immediatamente
intollerante non appena gli “stranieri” possano ostacolarla in qualche modo. Altri due testimoni intervistati,
invece, esprimono un parere totalmente discordante rispetto a quello che la maggioranza degli intervistati
sembra condividere. Questi sostengono, difatti, che la popolazione locale possa essere definita tollerante e
la ragione sarebbe di natura storica: in primo luogo Napoli occupa una posizione strategica nel Mediterraneo
che l’ha sempre portata ad avere rapporti e scambi con i paesi che si affacciano su questo mare, inoltre
anche il sud Italia ha una storia di emigrazione che spingerebbe la popolazione ad empatizzare con la
sofferenza di chi lascia il proprio paese. Un’altra ragione deriverebbe dalla natura del napoletano che un
testimone definisce molto “accogliente in quanto modesto”.
Gli altri testimoni ritengono che i pregiudizi e gli stereotipi negativi associati ai Maghrebini siano molto
diffusi tra la popolazione napoletana. Gli arabi in generale sono considerati “sporchi, poco affidabili,
criminali”, ma la maggiore difficoltà ad accettarli deriva dal loro essere musulmani che per molti è sinonimo di
terrorista, integralista. Secondo un testimone ascoltato a Napoli la religione islamica viene eccessivamente
associata ad immagini quali ad esempio donne maltrattate, costrette a portare la burqha, uomini fanatici e
facili alla violenza. Questi vengono considerati da più di uno dei nostri interlocutori pregiudizi, che circondano
in particolar modo gli arabi, ed a questi si associano quelli che tutti gli immigrati extracomunitari sono
costretti a subire.
Molti arabi non riescono ad imparare in modo corretto la lingua italiana, avendo contatti prevalentemente
con napoletani che si esprimono in dialetto; ciò tra l’altro viene da loro stessi considerata una delle cause
che pregiudica anche la possibilità di trovare lavori meglio retribuiti.
I Maghrebini sono abbastanza uniti e solidali al loro interno ma qualche giudizio negativo sembra essere
espresso dagli Algerini e dai Tunisini nei confronti dei Marocchini, soprattutto coloro che vendono piccoli
oggetti (fazzoletti, accendini, ecc.) ai semafori.
Matrimoni ed unioni, tradizionali e misti: Anche in questa comunità si registra una presenza di coppie
miste sposate, si tratta essenzialmente di uomini (essendo anche questa una comunità in cui la presenza
maschile è ancora nettamente prevalente) coniugati con donne italiane, polacche e sudamericane. Le
percentuali indicate dagli intervistati sono molto discordanti. Le coppie non coniugate coinvolgono le stesse
nazionalità. Solo il presidente dell’Associazione socio-culturale araba non ritiene che tali coppie incontrino
particolari difficoltà nei propri rapporti rispetto ad altre della stessa nazionalità. Gli altri interlocutori ritengono,
al contrario, che molte difficoltà potrebbero derivare dalla diffidenza da parte delle rispettive famiglie ad
accettare tale tipo di unione e, come si può intuire, dalla differenza culturale ed ancor più religiosa e rispetto
alle eventuali diverse concezioni sull’educazione dei figli.
Aspetti religiosi e ricorrenze principali: Le feste riconosciute come principali per i Nordafricani, e ricordate
da tutti i testimoni intervistati, sono comuni anche ad immigrati di altre nazionalità che si riconoscono nella
religione musulmana e sono: il Ramadan ed in particolare il giorno della rottura del digiuno, come negli altri
casi, si festeggia in famiglia, dopo essersi recati in moschea a pregare. In quell’occasione c’è l’usanza di fare
visita a parenti ed amici per chiedere il loro perdono per eventuali scorrettezze fatte nei loro confronti. Tra il
27° e l’ultimo giorno di ramadan (prima della preghiera dell’alba con cui si rompe il digiuno) si fa la zàkat-alfitr, ovvero l’elemosina di fine ramadan. Altre feste condivise in tutto il mondo musulmano sono il giorno del
sacrificio (durante la quale si ricorda il sacrificio che Dio chiese di effettuare al profeta Abramo), il capodanno
musulmano, il giorno della nascita di Mohammed (Mawlud an-Nabawi)
104
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Il Ramadan è uno dei 5 pilastri dell’Islam, è un mese di astinenza dal cibo, dal bere e dai
rapporti sessuali dall’alba fino al tramonto.
Al Aid El Fatar (fine del ramadan: giorno della rottura del digiuno): la mattina del primo
giorno del mese di Shuwwal si interrompe il digiuno e si deve mangiare e bere prima di pregare.
In questa occasione tutti i componenti della famiglia devono riunirsi. Si mangia insieme e si
indossano degli abiti nuovi. Si fanno visite ad amici e parenti e si chiede loro perdono. Chi ha
possibilità organizza un grande pranzo presso la propria abitazione. In moschea l’imam guida la
preghiera e nel suo discorso si concentra molto sul significato dell’Aid. Nel corso dei giorni
precedenti le cerimonie religiose trasmettono ai fedeli le giuste modalità in cui si deve vivere
tale mese, vengono spiegati i benefici apportati da una corretta osservazione di questo precetto
così importante, cosa i musulmani possono aspettarsi dal rispetto corretto delle regole, etc.
Al Aid El Adha: ogni anno cade in un giorno diverso rispetto al calendario gregoriano,
poiché il calendario dell’Egira segue le fasi lunari; solitamente si festeggia dopo due mesi e 10
giorni (70 giorni circa) a partire dalla fine del ramadan e c’è una differenza di 11 giorni tra un
anno e l’altro. Chi ha le possibilità economiche sacrifica (“taglia la testa”) un animale (un
montone, un agnello, una mucca o un cammello). È meglio farlo con l’agnello. La festa ricorda il
sacrificio che il profeta Abramo avrebbe dovuto compiere: una notte Dio appare in sogno ad
Abramo e gli chiede di uccidere suo figlio Ismael. Abramo è pronto, per amore di Dio, a
sacrificarlo ma, mentre sta per tagliare la sua gola con un coltello, arriva l’angelo Gabriele con
un agnello, mantiene la sua mano e gli offre l’animale per sostituire Ismael. Chiaramente ci si
reca anche in moschea per pregare. La cerimonia religiosa è molto lunga, può durare anche
un’ora, l’imam spiega il significato della festa. La carne dell’animale sacrificato viene cucinata e
mangiata, una parte viene donata alle famiglie più bisognose che non possono permettersi di
acquistare alcun animale. La giornata viene vissuta come un momento di felicità, serenità e
pace .
Ras-as-sana (la fine dell’anno musulmano): Il giorno dipende dalle fasi della luna. Il mese in
cui si festeggia si chiama Muharran ed il giorno del festeggiamento è il 1° di questo mese. La
tradizione vuole che si preghi durante alcune ore della notte. Nell’anno 2002 questa festa è
stata celebrata a giugno. In questo mese bisognerebbe anche fare un giorno di digiuno, ma non
tutti osservano tale regola.
Al Mawlud an-Nabawi: (la nascita del profeta Mohamed) il mese in cui il profeta è nato si
chiama Radir-al-awal, e la sua nascita si festeggia il 12° giorno di questo mese. La moschea è
gremita di persone, si legge il Corano tutta la giornata, l’imam parla della storia e della vita del
profeta Mohamed. Mohamed è l’ultimo profeta di Allah, “dopo di lui non c’è stato più nessuno”.
I testimoni intervistati hanno anche parlato delle ritualità che accompagnano le fasi principali del ciclo di
vita.
Il “Battesimo”: in quest’occasione, come nel corso di altre ricorrenze, è necessario
sacrificare un montone. Dopo 7 giorni dalla nascita si organizza la festa in casa per poter
dichiarare il nome del bambino.Un religioso viene invitato. A questo punto il padre sussurra
delle parole del Corano nell’orecchio del bambino (che gli altri invitati non ascoltano).
Il Matrimonio: quando un uomo ed una donna vogliono sposarsi, il primo deve recarsi dalla
famiglia della sua fidanzata per chiedere al padre il suo consenso al matrimonio. Quest’ultimo,
una volta acconsentito all’evento, si accerta della volontà di sua figlia di sposarsi. Richiama,
allora, il fidanzato e gli chiede di portare i suoi familiari (padre, zii) a chiedere la mano della
ragazza. Una volta fissato l’incontro, gli uomini parlano e tutti devono essere d’accordo. A
questo punto si stabilisce la data in cui si farà il matrimonio. Stabilito il giorno delle nozze, la
mamma e la zia dello sposo si recano presso la famiglia della ragazza per sapere cosa
quest’ultima chiede alla propria, la cifra, ad esempio, di cui si ha bisogno per organizzare la
festa e comprare gli abiti della sposa. È la famiglia dell’uomo su cui ricadono quasi interamente
le spese di preparazione della festa e quelle relative all’organizzazione della casa dove
andranno a vivere. Il giudice islamico si reca a casa dei futuri sposi, legge dei versetti del
Corano e dichiara che i due giovani sono marito e moglie. A questo punto si festeggia prima
nella casa della sposa e poi si fa una festa, molto più grande, in quella dello sposo per segnare
simbolicamente il passaggio della donna dalla casa dei genitori in quella del marito. Le feste
servono a dimostrare a tutti che i due giovani sono sposati.
Il funerale: il corpo del morto viene lavato solo dalle donne se il morto è di sesso femminile,
viceversa dagli uomini se il morto era uomo. Tutto ciò avviene nell’abitazione del defunto. Il
corpo viene ricoperto di un tessuto bianco, molto semplice e trasportato in moschea sulla
portantina ottenuta in prestito dalla moschea stessa. Qui viene esposto nella sala di preghiera
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ai parenti. L’imam guida la preghiera. Il corpo, non coperto, ma adagiato su una portantina,
viene portato da 4 membri della famiglia fino al cimitero, viene tenuto basso in modo che tutti
possano vederlo. Giunti al cimitero viene tolto dalla portantina e sepolto senza essere messo in
una bara perché, spiegano, il corpo deve tornare alla terra. Un religioso recita dei versetti del
Corano mentre ricopre la fossa con la terra, nel frattempo i parenti si allontanano. Il corpo deve
essere sepolto deponendolo sul lato destro ed il volto rivolto in direzione della Mecca. Il giorno
successivo arrivano i “malleika” degli angeli inviati da Dio che parlano con il corpo, ogni parte di
quest’ultimo dice che cosa ha fatto durante la sua vita. Dopo prendono l’anima del morto (il ruh)
e la portano davanti a Dio.
I testimoni ascoltati, come altri interlocutori di religione musulmana, non si ritengono minimamente
soddisfatti degli spazi concessi dall’Amministrazione comunale per creare luoghi di culto, quale la moschea
di piazza Mercato, in quanto troppo esigui per il numero di fedeli che partecipano alle cerimonie.
L’associazione Zaid Ibn Thabit ha espresso il desiderio di ottenere un luogo più adeguato non solo per
costruire uno spazio di preghiera più capiente, ma anche un centro culturale islamico. Di fatti sia in
occasione della festa del sacrificio, sia della rottura del digiuno, il Comune concede la possibilità di effettuare
la preghiera comunitaria a piazza Vittoria e nella galleria Umberto in caso di pioggia. Tali luoghi sono
assolutamente inadatti in quanto molto affollati, il rito si svolge sotto lo sguardo di passanti, molto spesso
invadenti, di poliziotti e carabinieri rendendo impossibile il raccoglimento spirituale necessario ad una
funzione religiosa. A tali eventi prendono parte anche credenti non arabi ed italiani; in quest’ultimo caso si
tratta di amici e mogli di connazionali che vogliono condividere un momento di gioia comunitaria e di festa.
Forme organizzative: L’associazione Comunità socio-culturale araba in Campania è nata nel 1997 e si
rivolge, prevalentemente, agli arabi; è stato intervistato il suo presidente di nazionalità palestinese che vive a
Napoli da 20 anni. Per far parte dell’associazione i membri pagano una quota di iscrizione oltre che una
quota associativa. Attualmente l’organizzazione conta 54 iscritti. Essa è stata promossa dai soci fondatori e
rappresenterebbe, secondo il suo presidente, l’1% della comunità presente a Napoli. Tale organizzazione
non ha sedi operative proprie ma si appoggia a sedi concesse da altri soggetti del terzo settore.
L’associazione interviene nel settore della cultura - promuovendo attività per il mantenimento dei costumi e
delle feste dei paesi di provenienza dei suoi membri, momenti di socializzazione e condivisione, iniziative per
la conoscenza più approfondita della cultura araba presso strutture esterne - dell’accompagnamento ed
orientamento ai servizi, svolge attività in ambito scolastico realizzando interventi di sostegno nelle ore di
doposcuola e, più in generale, si impegna a sostenere a vario titolo i propri membri, occupandosi, ad
esempio, del sostegno economico, della ricerca di alloggio e lavoro, del rimpatrio delle salme.
L’associazione collabora spesso con altre associazioni del terzo settore e comunità di immigrati, in
particolare con quelle che raggruppano maggiormente membri della comunità araba o islamica: l’ass. Zaid
Ibn Thabit che fa capo alla moschea di piazza Mercato, la Comunità islamica di Napoli che fa capo alla
moschea di corso Arnaldo Lucci e partecipa ai tavoli istituzionali del Comune, della Provincia e della
Regione.
L’associazione Zaid Ibn Thabit, per l’appunto, ha sede presso la moschea sita nei pressi di piazza
Mercato e conta, attualmente, 12 iscritti. La partecipazione a tale ente non prevede alcuna forma di
iscrizione. L’associazione utilizza locali del Comune di Napoli. Questa organizza corsi per bambini immigrati
ed italiani figli di genitori convertiti all’islam. Il primo livello, quello preparatorio, rappresenterebbe una sorta
di asilo-nido ed è indirizzato ai bambini dai 3 ai 5 anni; il secondo è quello corrispondente alla scuola
elementare ed è frequentato da minori compresi tra i 5 ed i 10 anni. I bambini svolgono presso la sede
dell’associazione attività di doposcuola incentrate essenzialmente sull’insegnamento della lingua araba e
della cultura islamica. La moschea è composta da più sale. La più ampia (di circa 400 mq) è la sala adibita
alla preghiera. Un altro spazio, di circa 30 mq, è utilizzato dai frequentatori della moschea per la
socializzazione e per consumare piatti che vengono preparati al suo interno. È in questa stanza che i fedeli
si riuniscono, durante il mese di Ramadan, al momento della “rottura del digiuno” consumando insieme i
pasti. Percorrendo un lungo corridoio si può accedere ad altre stanze. In una è organizzata la vendita di libri,
cassette, videocassette ed un’altra sala, anch’essa di circa 30 mq, rappresenta la biblioteca della moschea.
Una parte della moschea (di circa 20 mq) è lo spazio dove si trovano i bagni e il luogo delle abluzioni.
Nell’ultima sala vengono organizzati i corsi di lingua e cultura araba per i minori.
Vi è a Napoli un’altra moschea, di più antica presenza, attualmente sita in corso Arnaldo Lucci, gestita
dalla Comunità Islamica. Questa fu fondata da un gruppo di studenti palestinesi nel 1980 nella zona flegrea.
Nel 1989 fu costituita in associazione. Nel corso degli anni ha conosciuto sedi molto diverse: i dintorni di
piazza Garibaldi, piazza Dante, una traversa di via Roma. Dal 1994 si è stabilita a corso Lucci. Il 1994 è
anche l’anno in cui uno dei suo fondatori, e all’epoca responsabile, è scomparso senza che di lui si siano più
trovate tracce. È la stessa associazione a sostenere le spese dell’affitto dei locali grazie anche al contributo
dei fedeli che la frequentano. Anche se lo spazio a disposizione è piuttosto ampio, esso non sembra essere
sufficiente ad accogliere il folto numero di fedeli che frequentano tale luogo di culto. Nell’ingresso è possibile
106
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acquistare libri, cassette, abiti e oggetti vari legati al culto islamico (creme, olii). La sala di preghiera ha
un’estensione simile a quella presente nella moschea Zaid Ibn Thabit (circa 400 mq) e si trova nell’interrato.
Infine, sempre all’ingresso, è stata affissa una grande bacheca in cui si possono trovare annunci informativi
sugli orari delle preghiere, gli orari dei pullman che portano verso i paesi del Maghreb, recensioni su nuovi
libri pubblicati e qualunque tipo di informazioni possa essere utile agli utenti. La moschea è frequentata da
molte nazionalità: maghrebini, senegalesi, ivoriani, burkinabè. La comunità attiva ogni anno corsi di lingua
araba e cultura islamica rivolti a donne italiane o di altra nazionalità convertite all’islam e corsi di
memorizzazione del Corano per minori dai 5 ai 12 anni. Questi corsi sono completamente autofinanziati
dall’associazione che ricorre, non disponendo di altri fondi, ad “insegnanti” interni: lo stesso testimone
intervistato (di nazionalità italiana), un genitore dei ragazzi che frequentano le lezioni ed un socio di
nazionalità marocchina. Il numero dei frequentanti è in media di 10-15.
4.3.6 La comunità nigeriana
Nel Comune di Napoli risultano residenti, dai dati forniti dall’anagrafe cittadina relativi all’anno 2003, 169
stranieri di nazionalità nigeriana, di cui 104 donne.
L’immigrazione nigeriana in Italia inizia tra gli anni ’70 ed ’80. I primi protagonisti erano essenzialmente
studenti universitari relativamente agiati; nel corso degli anni ’90, invece, i flussi, anche diretti verso la città di
Napoli, sono stati sempre più originati da ragioni economiche, in concomitanza con la crisi che ha investito il
paese. La presenza, di conseguenza, si è molto modificata ed una parte di tale comunità appare oggi
coinvolta nel circuito della devianza: molti nigeriani sono dediti ad attività di spaccio di droga e di
prostituzione.
Da questo lavoro emerge che il gruppo etnico degli ibo rappresenta il 40% della comunità presente a
Napoli. Il restante 50% è beini ed il 10% yoruba. Gli ibo provengono dalla regione del sud, meglio conosciuta
come Biafra. Nella sola città di Napoli, secondo le stime del testimone, vivono non più di 100 nigeriani, l’80%
è rappresentato da donne, i minori non costituiscono più del 5% delle presenze. Considerando l’intero
territorio provinciale l’immigrazione nigeriana si presenta molto più consistente, con circa 800 presenze
stimate, di cui il 60% composto di donne. Il testimone ritiene che la presenza dei minori può essere stimata
53
intorno ai cinquanta bambini . Appartengono all’etnia beini soprattutto le donne coinvolte nell’attività di
54
prostituzione .
La quasi totalità dei Nigeriani di etnia ibo è cristiana/animista.
La maggior parte dei Nigeriani che vivono a Napoli risiede nella zona del centro e in quella adiacente
piazza Garibaldi. Le zone di maggiore concentrazione di immigrati di tale nazionalità non sono, però, in
provincia di Napoli. Si tratta essenzialmente di Castelvolturno-Pinetamare ed, in generale, della provincia di
Caserta. I Nigeriani, in ogni caso, frequentano Napoli e “la piazza” per motivi di lavoro, di socializzazione,
per fare acquisti.
La condizione dell’infanzia: I minori nigeriani residenti nel comune di Napoli nell’anno 2003 sono 12, di cui
9 sono compresi nella fascia di età tra gli 0 ed i 5 anni e 3 hanno tra i 6 ed i 14 anni. Essi costituiscono la
comunità nigeriana residente per il 7 % e rappresentano lo 0,6 % dei minori stranieri residenti a Napoli. Il
nostro interlocutore ha sentito parlare di affidi informali di minori nigeriani nel caso in cui i genitori siano stati
arrestati per spaccio di droga o altro.
I rapporti con la scuola: Il testimone sostiene di non conoscere molto bene questo aspetto
dell’immigrazione nigeriana a Napoli. Dichiara, però, che alcune famiglie preferiscono riportare, una volta
nati, i propri figli in Nigeria in quanto la scuola italiana non fornisce un adeguato insegnamento delle lingue
straniere, in particolare l’inglese. Per questi motivi i bambini nigeriani avrebbero difficoltà di adattamento una
volta tornati nel proprio paese.
La casa: Non è difficile neanche per loro trovare una prima sistemazione; anche quando non hanno
conoscenti che li hanno preceduti a Napoli chiedono, una volta arrivati in città, ad altri Nigeriani o africani
informazioni su luoghi dove poter trovare accoglienza. Neanche in una fase più avanzata della loro
permanenza a Napoli, il testimone ritiene che i suoi connazionali incontrino particolari impedimenti per
affittare appartamenti, soprattutto quando non versano in cattive condizioni economiche. I Nigeriani tendono
a lasciare le loro abitazioni solo quando, una volta ottenuto il permesso di soggiorno, si trasferiscono al nord
per cercare lavori regolari e più stabili. I Nigeriani hanno difficoltà a spendere per utensili che danno maggior
confort (televisioni molto moderne, ad esempio), ma accettano di riparare qualcosa solo nel caso in cui
l’abbiano rotta personalmente.
53
. Per avere informazioni sulla comunità nigeriana presente a Napoli è stato intervistato un testimone, operatore sociale,
che vive da 14 anni in questa città. È di etnia ibo, per cui le informazioni da lui ottenute si riferiscono essenzialmente al
suo gruppo, non conoscendo molto bene la situazione di altre etnie.
54
Per un approfondimento sulla prostituzione delle donne immigrate a Napoli si rimanda a Morniroli A. (a cura di) 2003,
Maria, Lola e le altre in strada. Inchieste, analisi, racconti sulla prostituzione migrante, Ed. Intra Moenia, Napoli
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Il commercio etnico: Nel nostro territorio di riferimento esistono due luoghi in cui si preparano cibi
tradizionali, di cui uno funge anche da negozio di prodotti alimentari, due call center, tre parrucchieri, una
ditta di import/export e due di abbigliamento. Queste attività commerciali sono tutte gestite da privati
appartenenti alla comunità ed hanno tutte la licenza, escludendo il caso di uno dei due ristoranti che è
organizzato all’interno di un’abitazione privata. La città di Napoli è piuttosto ben fornita di prodotti nigeriani,
ciò che mancano, tuttavia, sono –secondo il nostro interlocutore- le riviste. Tali prodotti vengono fati arrivare
sia tramite conoscenti sia a pagamento direttamente dalla Nigeria, da altri paesi o da Roma.
I rapporti con la popolazione locale e con altre comunità di immigrati: Il testimone nigeriano ritiene che
l’atteggiamento dei napoletani nei confronti degli immigrati sia intriso di falsità ed ipocrisia. Essi, secondo il
suo giudizio, dimostrano solo esteriormente di essere aperti e disponibili, ma ciò, nei fatti, si rivela quasi
sempre falso. Lui dichiara di preferire di gran lunga un atteggiamento chiaro, sia pure di ostilità e di chiusura
da parte degli italiani, perché è in questo caso più facile difendersi e decidere il comportamento più
appropriato da tenere nei loro confronti.
Matrimoni ed unioni, tradizionali e misti: I matrimoni tra Nigeriani vengono praticati tutti solo ricorrendo al
rito civile. A Napoli pare ci siano solo due o tre coppie miste composte da uomini nigeriani sposati con donne
italiane, essendo la comunità nigeriana prevalentemente composta da donne e, soprattutto, considerando
che tale nazionalità è concentrata essenzialmente in provincia. Le difficoltà maggiori in tale tipo di unioni
sono rappresentate dalla differenza di cultura, di religione (nel caso dei musulmani) e, soprattutto
dall’atteggiamento di rifiuto, talvolta, da parte delle rispettive famiglie. L’intervistato ha voluto sfatare il mito
secondo il quale sono solo le famiglie “bianche” ad avere difficoltà ad accettare o, addirittura, in alcuni casi,
ad ostacolare il matrimonio di propri parenti con persone di colore. In molti paesi dell’Africa occidentale non
c’è, per vari ordini di motivi, una buona concezione della “donna bianca” e la maggior parte delle famiglie
preferirebbe vedere i propri figli sposati con parenti, persone connazionali o, al limite, con altri africani. Gli
uomini nigeriani sposati con donne italiane, a cui il testimone fa riferimento, continuano, anche dopo aver
avuto figli e dopo alcuni anni di matrimonio, a sentirsi accusati dalle proprie famiglie di trascurare in qualche
modo i rapporti con essa (non inviano abbastanza denaro, non telefonano abbastanza spesso, etc.) per
colpa della “donna bianca” che li spinge a rinnegare le proprie origini e la propria terra.
Vita comunitaria (luoghi di incontro e di socializzazione): La ricorrenza principale per i nigeriani di etnia
ibo è lo Yam festival, festa in cui si celebra il raccolto dell’igname, tubero molto diffuso in Africa occidentale.
I Nigeriani presenti in Campania hanno organizzato i festeggiamenti per cinque anni in un locale di Quarto,
tanto ampio da poter contenere ben duemila persone. È interessante notare che la festa veniva celebrata in
ottobre insieme al giorno dell’indipendenza della Nigeria per risparmiare sulle spese.
Forme organizzative: nessuna associazione comunitaria è stata oggetto di tale ricerca. Ciò che emerge è
che nessun soggetto organizzato raccoglie un numero rilevante di nigeriani.
4.3.7 La comunità senegalese
I Senegalesi residenti nel Comune di Napoli risultano essere, nell’anno 2003, 279, di cui 40 donne. I
testimoni intervistati hanno stimato la presenza dei loro connazionali nel comune di Napoli intorno alle 500700 unità. La comunità senegalese appare ancora prevalentemente maschile e composta da poche famiglie;
si contano circa una ventina di donne e non più di 20 minori. I bambini senegalesi nella provincia di Napoli
sono poche decine, nel complesso non più di 50 secondo i testimoni ascoltati. In prevalenza si tratta di
minori nati in Italia a partire dal 1993-94, pochissimi sono stati i ricongiungimenti familiari avvenuti negli anni
Novanta. Vi sono poi alcuni casi di bambini nati da matrimoni misti, di uomini senegalesi con donne italiane.
Pochi sono, invece, i casi di matrimoni misti con donne capoverdiane o dell’est. Molti hanno lasciato le
proprie famiglie in Senegal e, appena i propri impegni di lavoro glielo consentono, vi fanno ritorno per
trascorrervi anche lunghi periodi. Sia gli uomini che le donne lavorano nel settore del commercio, soprattutto
ambulante, mentre qualche donna è impegnata in quello dello spettacolo. Considerando anche il territorio
provinciale, il numero delle presenze raggiungerebbe le 800 unità; resterebbe invariato, invece, quello delle
donne e dei minori. Gli interlocutori ascoltati fanno notare che una parte dei Senegalesi, una volta ottenuta la
regolarità del soggiorno, lascia Napoli per cercare attività lavorative più sicure e meglio remunerate al nord
Italia, pur conservando la residenza a Napoli.
Dalle informazioni forniteci dai testimoni intervistati per questa ricerca risulta che l’immigrazione
senegalese a Napoli come nel resto del paese inizia nella seconda metà degli anni Ottanta, i primi arrivi
55
risalirebbero al 1984 . Precedentemente mete favorite dai senegalesi erano altri paesi europei, quali la
Francia, e gli Usa. Molti dei Senegalesi arrivati in quegli anni, di fatti, sono ritornati in patria, altri hanno
lasciato l’Italia alla volta di altre destinazioni europee. Fino al 1993 l’Italia era una meta facilmente
55
Per la comunità senegalese sono stati ascoltati tre testimoni qualificati: il presidente dell’Associazione dei senegalesi
di Napoli, la presidentessa dell’Associazione multietnica Teranga e un mediatore culturale, socio della cooperativa
Casba.
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raggiungibile per chi proveniva dal Senegal in quanto in quegli anni non era ancora richiesto il visto. Da
quella data in poi molti senegalesi hanno iniziato ad arrivare in Italia passando per la Francia dopo aver
ottenuto il visto per questo paese.
L’incremento degli arrivi dal Senegal si è avuto nel corso degli anni Novanta, a causa del peggioramento
delle condizioni economiche del paese, della difficoltà per i giovani anche istruiti e con lauree di trovare
lavoro e, soprattutto, un impiego ben remunerato. Le famiglie senegalesi, del resto, sono formate da
numerosi componenti; nonostante oggigiorno tale usanza si stia in parte riducendo, molti uomini ritengono
ancora piacevole e socialmente importante sposare più di una moglie ed avere un numero consistente di
figli. Il mantenimento del nucleo familiare non ricade, però, solo sui genitori – o sugli uomini nel caso in cui le
sue mogli non lavorino – ma anche sui figli maschi più grandi che sono poi coloro che, in molti casi, tentano
“l’avventura” dell’immigrazione.
La provenienza geografica dei Senegalesi presenti a Napoli è piuttosto diversificata, non essendo
concentrata in nessuna regione specifica. Molti di loro, in particolare i più giovani, arrivano in Italia da Dakar,
ma ciò non vuol sempre dire che essi siano nati nella capitale. La maggioranza proviene da famiglie
originarie di villaggi, siti in altre zone del Senegal, ma che si sono urbanizzate e trasferite a Dakar diversi
anni addietro, probabilmente quando queste persone erano molto giovani. Ne consegue che, anche
appartenendo ad etnie diverse da quella più ampia (i wolof), hanno imparato a parlare tale lingua
dimenticando la propria originaria. Del resto, a differenza di altri paesi africani abitati da molti gruppi che
parlano lingue differenti, il wolof è una vera e propria lingua nazionale, parlata e compresa da circa il 90%
della popolazione, che permette la comunicazione anche tra etnie diverse senza necessariamente dover
56
ricorrere al francese . Il wolof, negli ultimi anni, è stato standardizzato e oggigiorno viene anche insegnato
nelle scuole. Sono numerosi i senegalesi che, pur non essendo realmente appartenenti a tale etnia,
sostengono di essere wolof. Considerando tali premesse, i nostri testimoni hanno dichiarato che tale gruppo
rappresenta la quasi totalità dei senegalesi “napoletani”, una piccola percentuale è composta da toucouleurs
e sérer. Anche in Senegal, come accennato, i wolof sono la componente maggioritaria rappresentando circa
il 40% del totale della popolazione distribuito insieme ai sérer (18%) nelle grandi città situate lungo la costa
atlantica; le altre etnie sono i peul (15%), i toucouleur, i diola (7%) distribuiti su un territorio più ampio ma
meno popolato 57.
Dal punto di vista religioso la componente maggioritaria della popolazione senegalese è di religione
musulmana, più precisamente il 92%, il 6% dei senegalesi si riconosce in quanto cristiano, il restante 2%
sarebbe composto da animisti 58. Anche la grande maggioranza dei senegalesi presenti a Napoli è di
religione musulmana.
La maggioranza dei Senegalesi che vivono nella città di Napoli è concentrata nelle zone circostanti
piazza Garibaldi, nei quartieri di S. Lorenzo, Poggioreale e Mercato-Pendino. Una parte numericamente non
indifferente di questo gruppo nazionale abita in questa area territoriale ma vi svolge anche le proprie attività
lavorative. Chi si dedica al commercio ambulante non si limita, però, alle zone menzionate (più di tutte corso
Umberto) ma appare molto mobile, spostandosi in altri quartieri quali il Vomero, Fuorigrotta, Soccavo, via
Roma, ma anche nei Comuni limitrofi ed in altre province.
La condizione dell’infanzia: I minori senegalesi che risiedono a Napoli risultano essere nell’anno 2003 16,
di cui 6 hanno un’età inferiore ai 6 anni e 10 inferiore ai 15. Dell’intera comunità senegalese residente nel
territorio cittadino essi costituiscono il 6% e rappresentano lo 0,8% di tutti i minori stranieri residenti. Essi
vivono quasi sempre presso le famiglie naturali, pochissimi sono i casi in cui i bambini siano stati affidati a
famiglie italiane. Dai testimoni ascoltati durante la ricerca ne sono stati segnalati cinque. Nessuno ha saputo
indicare a quanto ammonta precisamente la retta pagata, si tratta comunque di famiglie amiche che al
massimo ricevono la cifra necessaria a pagare le spese del mantenimento di tali bambini da parte dei
genitori naturali. I motivi per cui molti genitori immigrati ricorrono a questa soluzione dipendono sempre dai
loro orari di lavoro che li portano fuori casa tutta la giornata, impedendogli di prendersi cura dei propri figli.
Il numero è contenuto in quanto, come già spiegato, la maggioranza dei bambini senegalesi resta in
Senegal con la madre o, nel caso in cui il bambino nasca in Italia, viene ritorna nel paese di origine, spesso
con la stessa madre o viene affidati a parenti. Tuttavia, a differenza di altre comunità immigrate, per i
Senegalesi sono frequenti le visite alle famiglie rimaste in patria.
I rapporti con la scuola: Numerosi genitori senegalesi preferiscono che i propri figli ricevano l’educazione
e l’istruzione del proprio paese di origine, in modo da non perdere le proprie tradizioni e la propria lingua.
Molti senegalesi, ci è stato riferito, non sembrano apprezzare il tipo di istruzione e di educazione che i
bambini ricevono in Italia dalla scuola, educazione giudicata troppo permissiva e poco rispettosa degli adulti
e delle figure genitoriali. Inoltre secondo un testimone ascoltato per i Senegalesi la scuola italiana ha una
56. Campus, Mottura, Perrone in Mottura G. (a cura di) 1992, p. 258
57. Id. p. 158
58. Dati emersi dalle interviste e confermati da alcuni studiosi, si veda ad ex. W. Peruzzi, p. 104
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eccessiva tendenza ad “italianizzare” i bambini, e, sempre secondo l’opinione dei testimoni, non vengono
sufficientemente attivati progetti rivolti agli immigrati alla conoscenza delle culture oramai presenti anche a
Napoli. Frequente, è stato durante le interviste con i testimoni senegalesi, il confronto con il sistema
francese, da loro molto conosciuto e tutto sommato preferito perché considerato più aperto verso gli
stranieri. Secondo una testimone, il Comune dovrebbe creare dei luoghi e dei momenti di incontro tra
bambini di nazionalità diverse, momenti ricreativi durante i quali questi possano essere liberi di giocare
insieme, di socializzare tra loro spontaneamente al di là dei momenti e delle lezioni ufficiali. Ferme restando
tali premesse, i bambini che vivono a Napoli in età scolare frequentano regolarmente la scuola dell’obbligo e
non sono stati segnalati rilevanti problemi nell’inserimento scolastico dei bambini senegalesi.
Non esistono scuole a carattere etnico gestite dalla comunità senegalese e la nostra testimone non ne
auspica neanche la creazione; lei preferirebbe l’esistenza di strutture che non isolano le varie comunità ma,
al contrario, integrano. Vorrebbe, ad esempio, promuovere momenti presso la sua associazione in cui un
genitore di nazionalità diversa a turno fa “lezioni” sulla propria cultura a tutti i bambini presenti di diversa
provenienza.
La casa: I Senegalesi non hanno difficoltà a trovare una prima accoglienza in quanto hanno sempre
amici, parenti o conoscenti che li ospitano e che li aiutano a collocarli nel mercato del lavoro. Gli ambulanti,
difatti, portano i nuovi arrivati a lavorare con sé, gli fanno conoscere il territorio, i “segreti del mestiere”,
questi ultimi, dopo alcuni giorni, sono così pronti a comprare la propria merce e a lavorare autonomamente.
Nel momento in cui un Senegalese decide di trovare una sistemazione successiva alla prima accoglienza
può impiegare da uno a tre mesi a causa soprattutto, è opinione di uno degli intervistati, della reticenza della
maggioranza dei napoletani ad affittare le proprie abitazioni a stranieri. Anche i Senegalesi, come molti altri
immigrati, cercano possibilmente alloggi non distanti dalla zona del centro - in quanto da qui possono
facilmente spostarsi in altre zone della regione e della provincia - a prezzi moderati ed in cui sia possibile
abitare in molti per poter condividere le spese. Essi tendono a restare stabili in un’abitazione se si trovano
bene e se non sono costretti da fattori esterni. I motivi che possono spingerli ad andare via sono l’aumento
dell’affitto, i casi in cui la casa serva al proprietario, quando quest’ultimo si lamenta del numero di persone
che ci vivono o che la frequentano per stare insieme agli amici, per guardare le partite di calcio, o quando i
rapporti con il vicinato cominciano ad essere insostenibili. Il fatto che essi tendano alla stabilità è dimostrato
dal fatto che la maggior parte di loro spende per la sistemazione e la manutenzione delle abitazioni in cui
vive - anche perché i proprietari non lo fanno - ed acquista anche elettrodomestici quando non ci sono o si
rompono (frigorifero, scaldabagno, stufe, ventilatore).
La casa, per i Senegalesi, è anche un luogo deputato alla socializzazione in quanto nel tempo libero,
nelle domeniche pomeriggio in cui si decide di riposare o ad ora di pranzo (quando ritornano a casa per
pregare e per mangiare) ci si scambia visite tra amici, si sta insieme a parlare, mangiare, guardare
videocassette senegalesi e ad ascoltare la radio del proprio paese.
Il commercio etnico: Sono numerosi i luoghi dove vengono preparati e consumati piatti tipici della
comunità oltre che altri prodotti senegalesi. A via Milano, via Bologna, via Firenze e via Torino esistono
alcune abitazioni dove le donne preparano piatti senegalesi, non si tratta di veri e propri ristoranti ma di
un’attività svolta in modo informale. L’unico ristorante senegalese vero e proprio, che funziona anche come
take away, si trova presso la sede dell’associazione Teranga a via Torino che, contemporaneamente, è
anche la sede del negozio di prodotti alimentari New African Market. Sia il negozio che il ristorante sono di
proprietà e gestiti dalla presidentessa dell’associazione e da suo marito. A piazza Garibaldi esistono anche
due negozi (Cristiani ed Esotica) che offrono una vasta gamma di prodotti alimentari senegalesi. Il mercato
interetnico di via Bologna è occupato nella maggioranza dei casi da bancarelle senegalesi che vendono
videocassette di spettacoli teatrali o film senegalesi, cd e musicassette di musica del loro paese oltre che di
altri paesi africani, prodotti vari da toilette, tè ed altri prodotti alimentari, sandali di cuoio, abbigliamento ed
artigianato. Prodotti da toilette e di abbigliamento si possono trovare anche in altri tre negozi siti a via Torino.
La proprietà e la gestione di tutti questi esercizi commerciali fanno capo a privati appartenenti alla
comunità, ma solo i negozi e le bancarelle di via Bologna sono attività commerciali autorizzate. Praticamente
tutta la comunità utilizza tali punti di vendita che sono piuttosto ben forniti, si sente la mancanza solo di
alcune erbe per cucinare, non ritenute, però, indispensabili. In alcuni casi i membri della comunità si fanno
portare dei prodotti, soprattutto quelli più difficili da trovare a Napoli, da amici o parenti che tornano dal
Senegal; in generale i commercianti si riforniscono dalla Francia o pagano, in proprio o in gruppo, un
container per far arrivare tali prodotti direttamente dal paese.
I rapporti con la popolazione locale e con altre comunità di immigrati: Le parole che i tre testimoni usano
per definire l’atteggiamento della popolazione locale nei confronti degli stranieri e dei membri della propria
comunità sono: “tolleranza minima, paura e diffidenza, ignoranza ed incapacità di interagire con gli stranieri”.
Nel contempo due dei testimoni intervistati ritengono che i Senegalesi siano gli immigrati più ben voluti in
questa città e nel resto d’Italia, riscuotono molta simpatia probabilmente perché, secondo la loro stessa
opinione, sono molto calmi e cortesi. La presidentessa dell’associazione Teranga ci dice che alcuni
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commercianti italiani della zona circostante piazza Garibaldi hanno persino imparato a pronunciare alcune
parole wolof. Ma più in generale, andando al di là delle apparenze, tutti e tre i nostri referenti ritengono che
in questa città ci sia sempre un’intolleranza velata, nascosta dietro un falso atteggiamento di amicizia e
simpatia, più difficile da identificare. Non hanno saputo segnalare episodi di aperta xenofobia, tuttavia
riferiscono che gli immigrati sono vittima di tanti piccoli episodi di intolleranza nella vita di tutti i giorni: per i
napoletani la cucina senegalese puzza, i proprietari di appartamenti sono diffidenti e stentano a dare in
affitto le proprie abitazioni, i senegalesi, come altri immigrati, sono continuamente vittime di offese ed insulti
quando camminano in strada o sono in compagnia di italiani.
I Senegalesi, a loro volta, secondo i nostri interlocutori hanno buoni rapporti con tutte le altre comunità di
stranieri presenti in città, ma non hanno una buona concezione di altri immigrati dell’Africa occidentale quali i
Nigeriani, gli Ivoriani, i Burkinabè, i Camerunensi che loro stessi chiamano “nac” (pronuncia gnac) ovvero
ignoranti. Tale giudizio non dipende dai rapporti che hanno instaurato le diverse comunità nell’immigrazione
una volta arrivati a Napoli, ma è molto diffuso in Senegal per motivi storici e di rapporti tra popoli confinanti.
Matrimoni ed unioni, tradizionali e misti: La comunità senegalese, come si è detto, è ancora
prevalentemente a composizione maschile in quanto anche gli uomini sposati tendono a lasciare al paese la
propria consorte ed i propri figli o, comunque, a non ricorrere alla pratica del ricongiungimento familiare nel
caso si sposino nel corso della propria permanenza in Italia. Essi sostengono che il tipo di vita che
conducono a Napoli (gli orari di lavoro, il condividere gli appartamenti con numerosi connazionali) non
permette loro di vivere una vita familiare così come dovrebbe essere. Ciò è confermato anche per coloro che
vivono da moltissimi anni a Napoli, che hanno il permesso di soggiorno e che preferiscono fare sacrifici in
Italia, sottoporsi a orari massacranti di lavoro riducendo a zero i giorni di riposo, a risparmiare praticamente
su tutto e a concentrare la propria vita in quei pochi mesi che riescono a trascorrere al proprio paese. Per un
folto numero di Senegalesi, soprattutto i più adulti, la propria testa ed il proprio cuore restano totalmente
concentrati sul proprio paese. Ciò li porta ad isolarsi molto dal contesto sociale napoletano, a ridurre i
contatti con la popolazione locale e l’ambiente circostante al minimo indispensabile, a rifugiarsi solo
all’interno della propria abitazione e della propria comunità. Del resto i Senegalesi, facilitati anche dal lavoro
svolto dalla maggioranza di loro (il commercio indipendente), possono alternare periodi di permanenza in
Italia a periodi piuttosto lunghi (talvolta anche della durata di sei mesi) di ritorno in Senegal. Questo
dimostrerebbe la loro vocazione alla trasnazionalità, così come definita da alcuni antropologi, la loro capacità
59
di “vivere qui e là contemporaneamente, trasversalmente rispetto ai confini geografici e politici” .
Il presidente dell’associazione riferisce di 13 coppie (di cui due miste) che hanno celebrato i loro
matrimoni seguendo il rito tradizionale senegalese, a cui è seguito quello civile italiano. Anche tra i
Senegalesi esistono coppie miste e si tratta di tre uomini sposati con donne italiane, uno con una
marocchina, ed altre unioni sono state segnalate, ma non quantificate, con donne somale e capoverdiane.
Le coppie miste non sposate (tra uomini senegalesi e donne italiane) sono numerose, ma in molti casi si
tratta di storie passeggere e non stabili. Tutti e tre i testimoni qualificati senegalesi ascoltati ritengono che in
tali unioni si possano verificare problemi maggiori rispetto a quelli vissute da coppie della stessa nazionalità
in parte per quanto concerne concezioni diverse dell’educazione dei figli, in parte le difficoltà sono fomentate
dall’atteggiamento ostile della società esterna, comprese le rispettive famiglie. Solo il presidente
dell’associazione dei senegalesi, tra i tre testimoni intervistati, ritiene che la differenza culturale e religiosa
non rappresenti motivo di contrasto.
Vita comunitaria (luoghi di incontro e di socializzazione): Per ciò che riguarda i principali luoghi di ritrovo e
di aggregazione dei membri della comunità è importante rilevare ciò che uno dei testimoni ha dichiarato: “La
maggioranza dei Senegalesi, dopo che è tornata dal lavoro, prega e sta a casa, non frequenta molto i locali
o altri luoghi di incontro. Solo una piccolissima parte, sempre gli stessi, si incontra a via Bologna, via Torino,
al Centro Culturale Senegalese, in altri locali notturni del centro, nelle daire, nelle moschee”.
L’associazione Teranga, essendo nata da pochi mesi, non si è ancora data una struttura ben precisa ma
la sua presidentessa aspira, con il tempo, ad organizzare numerose attività, in giorni fissi della settimana in
modo da diventare un punto di riferimento e di ritrovo non solo per i Senegalesi, gli africani o gli immigrati,
ma per tutti coloro che sono interessati.
Aspetti religiosi e ricorrenze principali: Non ci si dilungherà sulle festività e le ritualità principali del
Senegal in quanto tali eventi coincidono in gran parte (sia nei contenuti che nelle modalità della
celebrazione) con quelli già descritti nel paragrafo relativo alla comunità maghrebina e pakistana (tutte in
maggioranza di religione musulmana), ma saranno menzionati solo alcuni aspetti specifici di questo paese.
Si tratta del Ramadan ed in particolare il giorno della rottura del digiuno, che in wolof si chiama Korité, il
giorno del sacrificio (in Africa occidentale chiamato Tabaski), il capodanno musulmano (in wolof, Tam
kharite), il giorno della nascita di Mohammed (Maoulud) ed il Magal. Quest’ultima è la festa di una delle
59. Riccio B. in Colombo, Sciortino (a cura di) 2002, p. 169
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confraternite religiose presenti in Senegal, i murid, durante la quale si festeggia il fondatore della loro
comunità, Cheikh Amadu Bamba Mbacke.
Korité (giorno della rottura del digiuno): in tutto il mondo islamico questa, come le altre feste
principali, vanno festeggiate in famiglia riunendo tutti i suoi componenti; in Senegal c’è la
particolarità che, chi vive in città, ma è originario di un villaggio, deve farvi ritorno. Chi ha
possibilità fa un grande pranzo presso la propria abitazione e regala dei soldi o del cibo (ad
esempio riso, miglio) alle famiglie più povere. Il giorno successivo i bambini, come nel Tam
Kharite, girano per le case per chiedere dei soldi. In questo paese solo gli uomini o le donne
molto anziane possono pregare in moschea.
Il Tabaski: anche in questa occasione ci si reca in moschea per pregare, ma solo gli uomini
e le donne molto anziane. Aspetto che è stato menzionato solo dai testimoni di nazionalità
senegalese è che nessuno può ammazzare l’animale se il sacrificio non è stato prima compiuto
in moschea dall’imam davanti agli occhi di tutti. Solo allora le persone, una volta tornate a casa
propria, possono eseguire il loro sacrificio che, se fatto prima di quello compiuto dall’imam, non
avrebbe valore. Anche durante tale festa la tradizione di questo paese prevedeva che i bambini
girassero per le case per farsi donare del denaro, ma questa usanza si sta perdendo perché i
“bambini moderni” cominciano a provare vergogna per questo tipo di pratiche
Tam Kharite (la fine dell’anno musulmano): Il piatto tipico senegalese preparato in
occasione di questa festa è a base di cous cous e pollo. I bambini girano per le case, leggono
una frase del Corano e suonano i tamburi per avere dei soldi.
Maoulud: (la nascita del profeta Mohamed) il mese in cui il profeta è nato in wolof è
chiamato Gamou. In Senegal ci sono degli importanti luoghi religiosi dove si recano le varie
confraternite in questa occasione. Ad esempio il gruppo dei tijan, si reca a Tiwauane. Altre città
molto importanti per i fedeli sono Darou Salam e Caolak dove sono sepolte celebri personalità
religiose o dove ancora adesso vivono i loro discendenti. L’altro gruppo molto importante, i
murid, si reca a Tuba.
Il Magal è la festa dei murid, festeggiano il loro leader Scheikh Amadou Bamba ‘Mbacke, più
nello specifico il giorno in cui fu catturato dai francesi e, durante il viaggio in cui veniva
trasportato in Gabon per essere esiliato dal Senegal, ha dimostrato loro di essere una persona
di Dio stendendo un tappetino per pregare sull’acqua senza che questo affondasse. Il
cosiddetto Serign Tuba è, di fatti, ancora oggi, insieme alla confraternita da lui fondata, simbolo
dell’indipendenza e della lotta contro i colonizzatori.
Dalle interviste effettuate sono emerse descrizioni anche sulle ritualità che accompagnano le fasi
principali del ciclo di vita, anche queste comuni a tutto l’islam.
In occasione della nascita di un bambino in Senegal si ha l’abitudine di tagliargli i capelli
prima che gli venga dato il nome.
Il Matrimonio: anche questa cerimonia avviene secondo le modalità previste dal Corano. In
Senegal, come in molti altri paesi dell’Africa occidentale, però, la tradizione religiosa si unisce a
quella africana. La mattina del giorno fissato, sono i padri dei due fidanzati a recarsi in moschea
dove distribuiscono delle noci di cola ai parenti ed agli amici maschi invitati, l’imam legge dei
versetti del Corano e dichiara che i due giovani sono marito e moglie, pur non essendo questi
ultimi presenti. La cola simboleggia la pace e il benessere (di fatti si offre anche a chi si vuole
chiedere perdono).
Il funerale: il rito funebre senegalese, così come ci è stato descritto dai testimoni, non
presenta sensibili differenze rispetto a quello praticato in altri paesi di religione musulmana.
Per i testimoni contattati sarebbe importante riuscire a celebrare, anche a Napoli, tutte le feste ritenute
importanti in Senegal. Gli aspetti della religione musulmana che esigono, però, rispetto più di tutti gli altri,
secondo quanto ci è stato riferito, sono la preghiera del venerdì ed il mese di Ramadan; le altre ricorrenze,
se rispettate, rappresentano “un beneficio”, ma se c’è un impedimento “non si commette alcun peccato”,
secondo le parole di uno dei testimoni.
Come accennato, in Senegal esistono gruppi religiosi diversi, fondati da leader diversi, pur praticando tutti
la religione musulmana. I principali sono i murid (a cui appartiene il presidente dell’Associazione dei
senegalesi di Napoli) ed i tijaan (a cui appartiene l’altro testimone). Entrambi i gruppi, nel celebrare tali
ricorrenze, cercano di rispettare le modalità tradizionali nei limiti del possibile considerando che l’Italia non è
un paese dove si dà molto spazio alla religione musulmana. L’Associazione senegalese organizza la
celebrazione, comunque, di tutte queste feste la cui partecipazione da parte dei membri della comunità è
piuttosto elevata in quanto vi prendono parte numerosi senegalesi presenti a Napoli ed, in alcune occasioni,
anche circa 40-50 italiani. Inoltre entrambi i gruppi hanno anche altri luoghi di ritrovo: le daire, sedi dove i
112
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membri si riuniscono, organizzano riunioni, feste. La daira è la forma di organizzazione religiosa creata dai
murid. Inizialmente nacque in città (anni ’40), ma successivamente si è diffusa anche nei villaggi.
Nell’opinione di Luigi Perrone è la più forte forma di organizzazione dei senegalesi in patria e all’estero, in
quanto funge da luogo di preghiera e dove svolgere rituali religiosi ma anche da strumento organizzativo e di
sostegno degli immigrati 60. I murid ne gestiscono una a via Torino dove si riuniscono tutti i giovedì, oltre che
in occasione di feste e ricorrenze varie. Durante tali incontri i membri si dedicano allo studio del Corano,
pregano e parlano “dei buoni comportamenti” che i senegalesi dovrebbero osservare. I tijan hanno creato,
invece, una daira a via Firenze di cui il testimone con cui abbiamo parlato è il presidente. Quest’ultima
organizza ogni anno la festa della nascita del profeta Mohammed a Salerno, a Caserta ed a Napoli. Spesso
la Caritas che concede i locali a Caserta e a Salerno dove poter svolgere la festività. I testimoni non sono, in
ogni caso, soddisfatti delle sedi delle daire trattandosi di appartamenti privati. Entrambi i nostri interlocutori
sentono l’esigenza di avere a propria disposizione luoghi più ampi ed adatti alla loro destinazione.
Relativamente ai riti legati alle fasi più importanti della vita, i testimoni esprimono il desiderio che il
Comune conceda uno spazio per la creazione di un cimitero musulmano. Anche per i Senegalesi, non
diversamente dalla maggior parte degli altri immigrati, risulta fondamentale essere sepolti in patria, essi
considerano tale impegno da parte delle istituzioni un’iniziativa in ogni caso necessaria, considerando anche
la presenza di italiani convertiti a tale culto. Il presidente dell’associazione ricorda che in passato sono anche
stati individuati dei terreni dove avrebbe potuto essere costruito un cimitero ma non è mai stato fatto niente
di concreto per giungere alla sua effettiva realizzazione. Come per tutte le comunità di immigrati le salme
vengono rimpatriate ricorrendo alle collette da parte dei membri della comunità, il servizio costa dai
quattromila ai seimila euro.
Forme organizzative: La comunità senegalese ha forti legami al suo interno e tende a creare le condizioni
per la soddisfazione di alcuni bisogni secondo le tradizioni associazionistiche che li caratterizzano in maniera
peculiare. Nel 1997 una parte dei suoi membri hanno dato vita all’Associazione dei senegalesi di Napoli per
il sostegno degli immigrati di tale nazionalità in molti settori. Essa si occupa, difatti, degli accompagnamenti
ai servizi socio-sanitari, del sostegno economico di coloro che versano in più gravi condizioni economiche,
della ricerca del lavoro e dell’alloggio. L’associazione interviene in maniera operativa anche nel settore del
lavoro, dando sostegno essenzialmente ai commercianti, essendo il commercio, in modo particolare quello
ambulante, l’attività lavorativa a cui si dedica la maggioranza dei senegalesi che vivono nel comune di
Napoli. Probabilmente il settore di intervento principale dell’associazione è quello culturale. Tale ente
organizza periodicamente manifestazioni culturali e feste, spesso di natura religiosa, considerate come
fondamentali momenti di incontro e socializzazione tra gli immigrati senegalesi. L’associazione si è trovata in
diverse occasioni a dover organizzare il rimpatrio di salme di connazionali, possibile grazie alle “cotisations”
(collette) dei membri della comunità. L’Associazione dei senegalesi di Napoli ha come suo presidente un
senegalese di etnia wolof (come probabilmente il 90% di quelli presenti a Napoli) immigrato “storico” di
Napoli che vive in questa città da 12 anni. Gli iscritti sono 570, pari, secondo il suo rappresentante, ad
almeno l’80% del totale della comunità presente a Napoli, stimata quest’ultima tra le 500 e le 700 unità. Il
grado di partecipazione alle manifestazioni ed agli eventi promossi ed organizzati dall’associazione, anche di
coloro che non sono iscritti, è comunque, sempre nell’opinione del presidente, molto elevato, aggirandosi
intorno al 90% del totale dei presenti. L’iscrizione a tale ente prevede il rilascio di una tessera e il
versamento di una quota associativa di cinque euro, quale strumento di autofinanziamento. L’associazione è
iscritta anche all’albo comunale del volontariato e a quello regionale delle comunità straniere.
Questa organizzazione è stata promossa dalla stessa comunità, ma essa ha potuto usufruire
dell’appoggio della Filcams-Cgil che mette loro a disposizione dei locali, situati proprio a piazza Garibaldi, ed
il materiale da ufficio (il telefono, il fax, il computer, la macchina fotocopiatrice). L’Associazione, oltre ai locali
forniti dalla Filcams-Cgil, possiede anche un luogo dove gli iscritti e gli aderenti possono incontrarsi: il Centro
Culturale Senegalese Baobab. In tale locale vengono organizzate manifestazioni culturali, feste e riunioni
durante le quali si analizza la situazione degli immigrati senegalesi a Napoli e le modalità per meglio
integrarsi in questa città. Da questo punto di vista la situazione della comunità senegalese appare molto
diversa e più favorevole rispetto a quella in cui si trova la maggioranza delle altre comunità straniere presenti
a Napoli che lamentano tutte la mancanza di locali dove promuovere iniziative di diversa natura.
La Filcams-Cgil non rappresenta solo la sede per l’associazione, al contrario con questo ente si sono
instaurati significativi rapporti di collaborazione. Con esso, infatti, e con la partecipazione dell’associazione
La Casa dei Popoli (altra organizzazione legata alla Filcams) e di altre comunità - quale l’Associazione degli
Ivoriani della Campania, anch’essa con sede presso la Filcams - vengono organizzati anche eventi di vario
genere, ad esempio corsi di informatica e di italiano. Altre nazionalità si rivolgono all’Associazione
senegalese - i burkinabè, i nigeriani, gli ucraini, i polacchi, ad esempio – per prendere in fitto il loro locale nel
60. Perrone L. 1992, p. 299
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caso in cui vogliano organizzare delle feste. Questo ente partecipa anche a tavoli istituzionali del Comune,
della Provincia, della Regione e della Prefettura.
All’interno della comunità senegalese è nata un’altra associazione la cui presidentessa è una donna
senegalese: l’Associazione Teranga (che in wolof vuol dire “accoglienza”), di più recente costituzione, che si
configura come un’organizzazione di ispirazione multietnica, avendo nel proprio direttivo un tesoriere di
nazionalità burkinabé e due donne italiane in qualità di consigliera e segretaria generale. L’associazione si è
costituita nel maggio 2002 per cui non vi sono ancora iscritti, a parte i fondatori, ma ha già in programma di
intervenire in maniera operativa nel settore della cultura (organizzando manifestazioni culturali di vario
genere, contribuendo al mantenimento dei costumi e delle feste della propria comunità, fornendo occasioni
di incontro ed aggregazione), dei diritti (fornendo informazioni e servizi di accompagnamento ed
orientamento ai servizi del territorio), dell’abitazione. Si tratta, in realtà, come espresso molto chiaramente
dall’intervistata, di attività che lei ed altri soci dell’associazione hanno sempre svolto in maniera informale già
precedentemente alla creazione dell’associazione, vivendo nella città di Napoli già di diversi anni ed avendo
imparato a muoversi molto bene sul territorio.
4.3.8 La comunità somala
La comunità somala è una delle componenti più antiche dell’immigrazione italiana e napoletana. I primi
flussi di migranti provenienti dalla Somalia e rivolti verso l’Italia risalgono già al dopoguerra. Il richiamo
esercitato dall’Italia, ovviamente, dipendeva dai legami coloniali esistenti. La componente principale di
questa prima immigrazione era costituita essenzialmente da studenti che si recavano a studiare nelle
università italiane, con borse di studio che garantivano l’alloggio ed il sostentamento economico, militari che
frequentavano le accademie, donne che lasciavano il paese come colf delle famiglie degli ex colonizzatori
che ritornavano in patria. A partire dal 1970 - data in cui viene proclamato lo stato di emergenza in seguito
all’uccisione di tre membri del consiglio rivoluzionario che aveva preso il potere con un colpo di stato l’anno
precedente - e ancor più dal 1977-78 – data di inizio della grave crisi economica e della maggiore
repressione politica conseguente alla guerra contro l’Etiopia - il flusso comincia ad essere composto
prevalentemente da rifugiati politici e da profughi per ragioni economiche. Dopo il 1969, però, i rapporti nati
durante la colonizzazione tra l’Italia e la Somalia vengono meno. L’Italia, di fatti, a differenza dell’Inghilterra
che aveva governato la parte settentrionale di questo paese del corno d’Africa, non è riuscita a trasformare i
legami, prima essenzialmente politici, in legami di natura culturale. Per questo motivo l’Italia smette di essere
una meta scelta da parte dei migranti somali e considerata solo come un paese di transito per raggiungere
paesi più attraenti quali gli Usa, il Canada, l’Australia, i paesi scandinavi e nordeuropei. Inoltre la Somalia
alla fine degli anni Sessanta passa nella sfera di influenza dell’Unione Sovietica, i paesi del Patto di
Varsavia, a questo punto, sostituiscono l’Italia e l’Inghilterra come mete per l’emigrazione per motivi di
studio, sia per gli studenti universitari che per i militari. Le ragioni per cui i Somali hanno smesso di dirigersi
volontariamente verso l’Italia non sono solo di natura storica o dipendenti da avvenimenti politici.
Probabilmente la questione principale consisteva nel fatto che l’Italia non ha mai saputo offrire ai suoi
immigrati, a differenza di altri paesi europei prima menzionati, possibilità serie di inserimento nel tessuto
sociale ed economico del paese né dei percorsi concreti di cittadinanza. Questa debolezza del nostro paese
ha così provocato, a partire dagli anni Ottanta, un rilevante flusso di somali in uscita, non di ritorno nel
61
proprio paese, bensì diretti verso altri paesi esteri .
Dal punto di vista etnico i Somali appaiono come un popolo abbastanza omogeneo. Il somalo è la lingua
che, sia pure parlata con accenti diversi nelle varie regioni, è compresa in tutto il territorio. La religione della
maggioranza della popolazione è quella islamica, sunnita. Le divisioni interne non derivano, quindi, da
ragioni etniche, linguistiche, né tanto meno religiose, ma dalla commistione tra due elementi: uno
genealogico ed uno occupazionale. In Somalia esistono due grandi clan, ognuno suddiviso a sua volta in
gruppi più piccoli, in base alla grande distinzione della popolazione in nomade e sedentaria. I nomadi
tradizionalmente si dedicavano ad attività di pastorizia, i gruppi sedentari ad attività di commercio ed
artigianato. Inoltre nei clan funziona un sistema di discendenza patrilineare, per cui l’identità della persona
ed il suo prestigio sociale sono dati essenzialmente dalla serie di nomi dei padri che risalgono indietro di
generazioni. Negli ultimi anni si è cercato di diminuire il ruolo di questi clan cercando di favorire i matrimoni
62
tra membri di clan diversi .
Dai dati dell’Anagrafe risulta che il numero di somali residenti nel comune di Napoli è pari a 356 nell’anno
2003, di cui 234 donne. Secondo le stime della testimone, invece, la comunità presente a Napoli sarebbe
61. Piccolini A., in Mottura (a cura di) 1992, pp. 301-307.
62. Id. pp. 312-313
114
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composta realmente da circa 200 Somali 63. Questo gruppo è formato per più della metà da donne,
l’incidenza della presenza dei minori è decisamente irrisoria e non supererebbe il 10% circa dell’insieme
delle presenze. La maggioranza dei somali è concentrata nel territorio cittadino, in provincia ne vivono meno
di un centinaio, ma le percentuali di donne e minori restano, secondo le stime della testimone, praticamente
identiche. Gli immigrati di questa nazionalità vivono a Napoli una situazione molto simile ad altre comunità,
in particolare quella etiope, eritrea, filippina, capoverdiana. Anche queste ultime, di fatti, si caratterizzano per
una composizione di stampo prevalentemente femminile e sono dedite per la maggioranza a lavori domestici
e di assistenza.
I bambini somali che vivono stabilmente a Napoli sono, per lo più, nati in Italia e si concentrano, a livello
abitativo, nel centro storico, nei quartieri di Agnano e Pianura. Vi sono tuttavia bambini che arrivano dalla
Somalia facendo un percorso piuttosto tortuoso, passando per i paesi orientali, e i Balcani (e arrivano dalla
Grecia). Si riscontra anche l'arrivo di minori non accompagnati che sono orfani o che hanno i genitori ancora
in Somalia. Molti dei bambini arrivati in questi anni secondo quest’ultima modalità riportano ferite da guerra
al viso e agli occhi. A Napoli città, dove rimane concentrata la comunità, vivono complessivamente poco
meno di un centinaio di minori. Essi sono per lo più ben inseriti, frequentano regolarmente la scuola e vivono
in famiglia o in convitto quando i genitori non possono tenere i figli con sé. Un'altra soluzione al problema di
conciliare il lavoro con la cura dei figli è l'affido ad altre famiglie, per lo più italiane.
Un’altra comunità presente in questo territorio, oltre che nelle aree che fanno riferimento a piazza
Garibaldi ed ai Quartieri Spagnoli, è quella somala..
La condizione dell’infanzia: I minori somali residenti nel comune di Napoli risultano essere 54 nell’anno
2003, di cui 12 hanno fino a 5 anni, 26 hanno un’età compresa tra i 6 ed i 14 anni e 16 hanno tra i 15 ed i 18
anni. I minori di origine somala rappresentano il 15 % di tutta la comunità residente e il 2,6 % dell’insieme dei
minori stranieri residenti. Anche i somali, soprattutto coloro impegnati in lavori domestici, incontrano notevoli
difficoltà a conciliare i propri orari di lavoro con la cura dei propri figli. Come molte altre comunità di immigrati
si trovano, così, a dover iscrivere i propri bambini in convitti o a ricorrere alla pratica dell’affido familiare. In
tale comunità si riscontra il ricorso sia a forme istituzionalizzate di affido sia a soluzioni informali basate su
accordi amichevoli o sul pagamento di una somma periodica di denaro alla famiglia affidataria. In questo
secondo caso la testimone ha segnalato alcune situazioni di conflitto quando la famiglia affidataria, oramai
legata al bambino somalo, si è opposta al suo definitivo rientro in famiglia.
Sono due i bambini adottati e 20 quelli dati in affidamento informale senza pagamento di alcuna retta
mensile dati i già esistenti rapporti amichevoli che legavano le due famiglie.
I rapporti con la scuola: I minori somali presenti a Napoli sono poco numerosi per cui, nell’opinione della
testimone, è difficile percepire il vero giudizio espresso dalle loro famiglie relativamente al loro inserimento
negli istituti scolastici napoletani. Un elemento ritenuto di sicuro fondamentale è il rispetto da parte delle
scuole della cultura di cui questi bambini sono portatori. In generale la testimone non è a conoscenza di
problemi particolari vissuti dai minori della sua comunità se non quando sono arrivati da poco. I genitori non
riescono ad intrattenere rapporti con le scuole frequentate dai propri figli a causa dei propri orari di lavoro.
La casa: Anche all’interno della comunità somala si sono evidenziate le stesse strategie di auto-aiuto che
funzionano in altre comunità per ciò che concerne la possibilità di trovare una prima accoglienza, una volta
arrivati a Napoli, e, successivamente, anche la possibilità di trovare un alloggio da affittare. Generalmente i
somali, secondo l’opinione della testimone contattata, preferiscono abitare nelle zone centrali della città per
poter incontrare facilmente i propri connazionali o, eventualmente, scelgono appartamenti che si trovano
vicini al luogo di lavoro. Essi tendono ad instaurare rapporti stabili con le case che abitano e le lasciano solo
quando riescono a trovare situazioni migliori. Viceversa la modifica delle loro condizioni familiari
(ricongiungimento, nascita di un figlio) non rappresenta un motivo per cambiare abitazione perché c’è
sempre l’esigenza di condividere la casa con connazionali a causa del livello troppo alto degli affitti.
Il commercio etnico: I somali che vivono a Napoli acquistano prodotti alimentari del proprio paese presso i
due negozi più volte indicati nel rapporto, Cristiani ed Esotica, entrambi siti a piazza Garibaldi. Alcuni membri
della comunità organizzano la vendita sulle bancarelle di abiti e gioielli del proprio paese, talvolta a piazza
Garibaldi, talaltra a piazza Municipio. I prodotti non venduti a Napoli vengono fatti arrivare direttamente da
Londra, Roma, Milano. A Napoli non esistono veri e propri ristoranti gestiti da membri della comunità, ma
alcune donne somale organizzano, nelle proprie abitazioni, la vendita di piatti tipici del proprio paese.
I rapporti con la popolazione locale ed altre comunità di immigrati: La testimone ritiene che i napoletani
abbiano nei confronti dei suoi connazionali e, più in generale, di tutti gli immigrati un atteggiamento
“indifferente”, probabilmente perché non hanno nessun tipo di “interesse” nel relazionarsi con loro. Questa
indifferenza generale di cui lei parla non evita, comunque, che anche i somali siano vittime di episodi di
intolleranza da parte della popolazione locale, soprattutto nei luoghi di lavoro. La testimone è a conoscenza,
63
. La testimone intervistata è una mediatrice culturale, socia della cooperativa Casba, che si riferisce essenzialmente al
gruppo etnico habargidin
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ad esempio, di alcuni episodi di violenze fisiche o tentativi di violenza da parte dei datori di lavoro nei
confronti delle loro domestiche somale. Questi casi non sono stati mai denunciati o perché le donne non
erano in possesso del permesso di soggiorno o semplicemente per timore di vivere un’esperienza troppo
dolorosa senza nessun risultato positivo.
Matrimoni ed unioni, tradizionali e misti: Anche all’interno della comunità somala sono state segnalate
unioni con persone di altra nazionalità. Alcune donne somale, e qualche uomo, hanno contratto matrimonio
con italiani, maghrebini e senegalesi. Ci sono anche coppie di fatto tra somale e uomini ghanesi e tanzani.
Anche in questo caso risulta dall’intervista che tali coppie incontrano delle difficoltà per ciò che concerne, in
primo luogo, l’accettazione da parte delle famiglie, in secondo luogo derivanti dalla diversità di religione e
culturale.
Vita comunitaria (luoghi di incontro e di socializzazione): I somali non gestiscono locali propri, i loro
principali luoghi di aggregazione sono il Bar Moro, a piazza Garibaldi ed il Bar Finezia a piazza Municipio.
Talvolta la comunità prende in affitto il Circolo Mar Rosso, sede dell’associazione eritrea per poter celebrare
le feste principali del proprio paese. I momenti di aggregazione sono la sera, alla fine della giornata
lavorativa, ed il giovedì pomeriggio, giorno di riposo anche per i somali impegnati in lavori domestici.
Aspetti religiosi e ricorrenze principali: Seconda la sua opinione i Somali ritengono fondamentale
conservare le proprie feste, soprattutto quelle di stampo religioso. Le ricorrenze principali del paese sono la
festa nazionale, la festa dell’indipendenza e le feste legate alla religione musulmana.
La festa nazionale è celebrata il 21 ottobre. In questo giorno si festeggia la costituzione
dello stato con manifestazioni militari che ricordano il carattere ancora dittatoriale del regime.
In Somalia si ricordano due feste dell’indipendenza, la prima il 26 giugno, giorno in cui si
celebra la liberazione del nord del paese dalla colonizzazione inglese avvenuta nel 1960; il
primo luglio, invece, rappresenta la festa principale, in quella data, sempre nel 1960, il sud della
Somalia si liberò dall’Italia e tutto il paese fu unificato.
Il Ramadan è rispettato anche in questo paese essendo quella musulmana la religione della
maggioranza della popolazione. L’ultimo giorno (Id Al Fathja) riveste anche in Somalia
un’importanza particolare, si prega per purificarsi, si mangia riso e agnello, ai bambini si
acquistano abiti nuovi.
Il giorno del pellegrinaggio alla Mecca dipende dalle fasi lunari. Anche questa festa inizia
con delle preghiere di purificazione, a cui segue il sacrifico di animali praticato in ogni famiglia.
Tutti indossano abiti nuovi e gioielli, nelle città si organizzano spettacoli pirotecnici.
Le fasi principali della vita sono accompagnate, anche nella società somala, da riti di passaggio.
In occasione della nascita di un bambino la festa, la cui ricchezza dipenderà dalle
possibilità economiche della famiglia, viene organizzata dopo 40 giorni alla nascita per
concedere alla donna il tempo di riposare dopo il parto. Il nome del nascituro viene scelto tra
quelli dei personaggi principali del Corano.
La circoncisione e l’infibulazione sono i riti che segnano il passaggio all’età adulta. Per i
maschi la circoncisione è obbligatoria e viene praticata o al momento della nascita o dopo 6-12
mesi. Alle donne viene praticata all’età di 4-6 anni ma solo per scelta della famiglia.
L’infibulazione per le donne è considerata come una sorta di “seconda verginità”.
Il matrimonio: in passato gli sposi erano scelti dalle rispettive famiglie, talvolta anche dalla
nascita. Solo da quando nel paese è stato introdotto l’istituto del divorzio c’è una maggiore
libertà nella scelta del proprio partner. Come in molti altri paesi africani è lo sposo che paga le
spese dell’intera cerimonia. L’uomo porta anche un dono alla famiglia della donna per chiedere
la sua mano. Il matrimonio si fa separatamente. Lo sposo si reca in moschea e, davanti
all’imam, fa le promesse di matrimonio al padre della sposa, o, in sostituzione, in presenza di un
altro componente uomo della famiglia. Sono gli uomini delle rispettive famiglie che definiscono i
vincoli matrimoniali, la presenza delle donne non è prevista.
Il Funerale: il corpo del morto viene lavato ed avvolto in una stoffa bianca, anche il viso
deve essere coperto. Dopo un giorno viene sepolto, come prescrive la religione musulmana,
direttamente nella terra, senza essere inserito in una bara. I parenti e gli amici si riuniscono e
pregano per due giorni. Alcuni gruppi etnici osservano il lutto per una settimana.
In occasione dell’Id Al Fathja la maggioranza dei somali si reca in moschea. Fino a pochi anni fa esisteva
una moschea frequentata essenzialmente dai somali sita in via Medina, costretta, poi, a chiudere per
mancanza di fondi necessari al suo funzionamento.
Secondo l’intervistata i somali vorrebbero uno spazio di sepoltura adeguato alle loro esigenze, ma sono
consapevoli che avrebbero bisogno del sostegno finanziario delle autorità cittadine non avendo la comunità i
fondi necessari.
Forme organizzative: Formalmente esiste l’Associazione Italo Somala che ha realizzato numerose attività
nel corso degli anni Novanta, tuttavia da qualche anno, in coincidenza con la partenza per un altro paese
116
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europeo del proprio rappresnetante, l’associazione non è più attiva. Nella primavera del 2003 è stata invece
costituita un’altra associazione, di cui è presidente una donna, che si appresta a riprendere le attività
culturali e di promozione dei diritti per i Somali a Napoli.
4.4 LE COMUNITA’ PROVENIENTI DALL’EUROPA ORIENTALE
L’immigrazione proveniente dai paesi europei dell’est ha un’origine che risale a tempi più recenti rispetto
ad altre componenti dell’immigrazione italiana proveniente da altre aree geografiche. Questi flussi sono
composti prevalentemente da albanesi, polacchi, rom ed ucraini che, a partire dai primi anni Novanta, hanno
cominciato a lasciare i loro paesi, inizialmente, a causa dei problemi sociali, economici e culturali scaturiti
dalla crisi del blocco sovietico e, successivamente, spinti dagli ulteriori rivolgimenti politici e dai sanguinosi
conflitti, anche di carattere “etnico”, che hanno ulteriormente scosso la parte più orientale del continente
europeo.
I primi arrivi a Napoli ed in Italia sono di immigrati di nazionalità polacca, albanese e rom; negli ultimi
anni, però, questa componente dell’immigrazione si è molto diversificata registrandosi un aumento delle
presenze di russi, moldavi, ucraini, cechi, rumeni. Complessivamente provengono da 18 diversi paesi
dell’Est solo il 13% del totale degli immigrati residenti, ma – come sarà illustrato in avanti – tutti gli
interlocutori contattati hanno fatto emergere che per queste comunità, più di tutte le altre, vi è una
elevatissima presenza di immigrati irregolari occupati principalmente nei servizi, molti dei quali (polacchi,
moldavi, ucraini, ecc.) con progetti migratori di breve durata.
4.4.1 La comunità albanese
Gli albanesi residenti nel territorio cittadino risultano essere 381 nel 2003, di cui 186 donne 64. Il testimone
intervistato ha dichiarato, però, che circa 450 connazionali vivono nei bipiani e poche unità in case private
sparse nel territorio di Ponticelli. Nel resto della città si contano poche decine di presenze. Tale comunità è
organizzata in famiglie composte da circa 6 persone - padre, madre e figli minori – molte delle quali
imparentate tra loro. Le prime famiglie stabilitesi ai bipiani hanno, infatti, esercitato un effetto di richiamo sui
propri parenti rimasti in Albania. Quasi la metà della comunità è costituita da minori al di sotto dei 18 anni,
seguono gli adulti e infine qualche anziano. I primi immigrati albanesi che sono arrivati a Napoli sono giunti
per lo più in Italia clandestinamente con tutto il nucleo familiare in due ondate successive (con la nave del 7
marzo 1991 e nel 1993) e hanno poi ottenuto il permesso di soggiorno per asilo politico. Negli ultimi anni la
presenza di bambini e ragazzi albanesi è in aumento, seguendo due modalità di ingresso: con la madre per
ricongiungimento familiare o con documenti falsi ottenuti in cambio del pagamento di una somma di denaro
(circa duemila dollari secondo quanto riportato da alcuni testimoni ascoltati). A partire, poi, dalla seconda
metà degli anni novanta vi sono inoltre state diverse nascite di bambini, soprattutto nei nuclei familiari che
vivono a Ponticelli.
Generalmente gli uomini lavorano come muratori, facchini o svolgono attività del terziario povero, alcuni
lavorano in agricoltura, in particolare nelle serre. Le donne lavorano quasi esclusivamente come domestiche
e nelle serre presenti nelle aree circostanti Ponticelli. Una parte dei membri di questa comunità è coinvolta
65
nel circuito della prostituzione, gli uomini in qualità di “protettori” e le donne di prostitute .
Dai colloqui è emerso che la comunità albanese è composta, da un punto di vista religioso, di cristiani e
musulmani, con una scarsa pratica religiosa in quanto, durante il regime comunista, nel loro paese era
proibita qualsiasi religione.
La condizione dell’infanzia: I minori albanesi che risultano essere residenti nel comune di Napoli nell’anno
2003 sono 96, di cui 25 rientrano nella fascia di età 0-5 anni, 57 hanno un’età compresa tra i 6 ed i 14 anni e
14 hanno 15 anni e più. I bambini rappresentano il 25% dell’intera comunità albanese residente a Napoli e
sono il 4,6% di tutti i minori stranieri residenti in città. I bambini albanesi risultano vivere, generalmente, nelle
famiglie di origine. Il lavoro minorile è praticamente assente tra gli albanesi che si limitano ad aiutare i
genitori nelle faccende domestiche. Anche nella fascia di età 14-18 anni sono stati segnalati casi di lavori
stagionali e soltanto nei periodi non scolastici.
Seppur con numeri contenuti, vi è una componente adolescenziale albanese coinvolta in fenomeni di
criminalità e devianza, come testimoniato tra l’altro dal fatto che tra i minori stranieri passati per il Centro di
Prima Accoglienza del Ministero della Giustizia, il numero più elevato di minori coinvolti in furti, soprattutto,
dopo i Rom è di minori albanesi. Inoltre, alcune ragazze (quasi sempre diciassettenni) albanesi sono a
64
. Le interviste sono state somministrate ad un testimone albanese, in Italia dal 1992, a sua moglie e ad un volontario
italiano che si è molto impegnato con gli albanesi.
65
. Per un approfondimento sul fenomeno della prostituzione albanese si rimanda a Morniroli A. (a cura di) 2003, Maria,
Lola e le altre in strada. Inchieste, analisi, racconti sulla prostituzione migrante, Ed. Intra Moenia, Napoli.
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Napoli nel circuito della prostituzione come riferito dalle mediatrici albanesi di un progetto intervento su
questo tema 66.
Il rapporto con la scuola: I minori albanesi frequentano regolarmente la scuola dell'obbligo. In genere non
si sono rilevati problemi linguistici poiché i bambini nati in Albania sono arrivati che avevano già una certa
familiarità con la lingua italiana, grazie all’ascolto di programmi televisivi italiani o all’insegnamento nella
scuola. Ci è stato riferito che molti sono i bambini albanesi intrattengono rapporti frequenti con i compagni di
scuola.
La casa: Le loro case, appaiono ai testimoni, ben tenute, riscaldate, decorate, pulite. La comunità
albanese vive un tenore di vita migliore delle altre comunità presenti nei bipiani. In quasi tutte le case vi è un
televisore, un frigorifero, una lavatrice, una stufa, un videoregistratore per guardare spettacoli albanesi o
qualche ripresa privata della famiglia in Albania. La casa rappresenta per tale comunità un luogo importante
per intrattenersi con la famiglia e stare con qualche amico, per cui investono nel loro miglioramento quando
possono.
Il commercio etnico: Gli Albanesi non gestiscono a Napoli né a Ponticelli esercizi commerciali, nei bipiani
qualcuno organizza, nella propria casa, la vendita del pane fresco e di qualche altro genere alimentare. Non
sentono la mancanza di prodotti locali perché ritornano abbastanza frequentemente nel loro paese o
ricevono i prodotti attraverso amici e conoscenti che viaggiano più spesso soprattutto per motivi di lavoro.
I rapporti con la popolazione locale e con altre comunità di immigrati: Gli Albanesi interagiscono poco con
le altre comunità, nei confronti delle quali non nutrono spesso sentimenti e opinioni positivi. “Sul piano
relazionale e sociale sanno vedersela da soli”, secondo l’opinione degli intervistati, ma hanno una moderata
coscienza dei loro diritti. Non hanno stretto rapporti significativi con i napoletani, tranne poche eccezioni.
Raramente o quasi mai sono stati soggetti a episodi di razzismo. Molti di loro dicono che per essere
riconosciuti come stranieri devono far sentire il loro accento.
Matrimoni ed unioni, tradizionali e misti: Il matrimonio fra giovani albanesi che vivono a Napoli si celebra
quasi sempre in Albania dove essi si recano per sposarsi secondo il rito tradizionale. Raramente sposano
uomini o donne di altre nazionalità.
Aspetti religiosi e ricorrenze principali: Gli Albanesi sono nel 75% dei casi musulmani; a Napoli, però,
sono presenti albanesi provenienti essenzialmente dalle zone di Valona e Fier che al contrario sono
prevalenza cristiane ortodosse. Tuttavia vi è da sottolineare che essendo stata in Albania per anni vietata la
religione, molti immigrati albanesi pur aderendo alla religione cristiana o a quella musulmana, si dichiarano
in realtà non praticanti.
Le feste più importanti e maggiormente sentite per i cristiani ortodossi sono costituite
soprattutto dal Capodanno, in passato unico festeggiamento consentito in Albania che vietava
la celebrazione del Natale e delle altre feste religiose. Durante questa festa si aveva l’abitudine
di rendere visita alle famiglie conoscenti che la ricambiavano nell’arco della giornata. La
giornata del Capodanno era caratterizzata da canti balli e da un pranzo abbondante.
Un’altra festa importante è costituita dal 1° maggio, la tradizionale festa dei lavoratori,
durante la quale il testimone ricorda le grandi marce e le sfilate con le bandiere rosse. Seguono
altre feste civili quali la festa della donna, dei bambini, e così via.
Per gli albanesi di religione musulmana assume un significato particolare il Ramadan che in
Albania, durante il regime comunista, veniva praticato di nascosto, il Grande Bairam alla fine
del Ramadan ed il Piccolo Bairam che si festeggiava sempre clandestinamente con l’uccisione
del montone. Gli albanesi più giovani non hanno un gran ricordo di queste feste, proprio perché
vietate. Solo gli anziani le festeggiavano di nascosto, mentre i giovani non sono mai stati
educati alla loro celebrazione. Gli albanesi che vivono a Napoli usano quindi festeggiare in
maniera moderata tali eventi e comunque i festeggiamenti avvengono in famiglia o in
compagnia di qualche amico.
Per ciò che riguarda i riti, quello comune a tutti gli Albanesi è il matrimonio. I festeggiamenti
avvengono nell’arco di due giorni in maniera separata, al termine dei quali la famiglia dello
sposo va a prendere la sposa e la sua famiglia. La donna, per tradizione, non deve mostrare di
essere felice ma deve dare segni del dispiacere che prova a separarsi dalla sua famiglia di
origine. Nelle zone rurali ed in quelle più periferiche si osserva ancora l’usanza di festeggiare
per un terzo giorno insieme allo sposo, mantenendo la separazione tra uomini e donne. Nei
centri più urbanizzati si sta ormai perdendo questa tradizione.
Un altro rito è costituito dai funerali: quando qualcuno muore vengono a rendergli il saluto
anche i parenti ed i conoscenti che abitano molto lontano. Dopo la sepoltura tutti coloro che
sono intervenuti vengono portati al ristorante, se la famiglia del defunto possiede i mezzi
economici per farlo, oppure si prepara un grande pranzo in casa. Tale pranzo viene ripetuto
66
. Cfr. Morniroli A. (a cura di) 2003, op. cit.
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dopo una settimana. Per la festa dei morti inoltre si ha l’abitudine di preparare un dolce che
viene distribuito a tutti i vicini. In segno di lutto ci si veste di nero e le donne non si truccano per
sei mesi. Se la persona morta è il marito o il figlio, i segni del lutto rimangono per tutta la vita.
Alcune delle usanze descritte vengono mantenute anche tra la comunità albanese di Ponticelli,
soprattutto quella di fare il dolce nel giorno dei morti e il mantenimento del lutto.
Forme organizzative e vita comunitaria: Pur avendo dato luogo nel passato a occasionali forme
associative derivanti dall’esigenza di ottenere alcuni essenziali servizi, tale comunità non ha mai costituito
una vera e propria associazione e attualmente vive uno spirito di comunità molto debole testimoniato
dall’abitudine di vivere chiusi ognuno nella propria famiglia, nella propria casa con una scarsa apertura verso
gli altri.
Solo gli uomini e i ragazzi usano intrattenersi negli ampi spazi esterni antistanti le abitazioni, dove i primi
chiacchierano e i secondi giocano. Le donne, impegnate nei lavori esterni ed in quelli di cura della famiglia,
si frequentano poco, salvo qualche eccezione rappresentata da donne che sono imparentate fra loro o
amiche.
Gli Albanesi non partecipano alle riunioni del Coordinamento per l’abbattimento dei bipiani, si informano
poco sulla questione. Appaiano molto chiusi agli operatori che lavorano con loro. Parlano molto bene
l’italiano e lo insegnano ai loro figli già in Albania prima di partire. Molti ragazzi hanno infatti seguito nel loro
paese un corso di lingua italiana o lo imparano ascoltando la radio italiana.
4.4.2 La comunità polacca
Il numero di residenti polacchi nel territorio comunale era nel 2003 pari a 518, di cui 392 donne. Tuttavia
è particolarmente difficile quantificare, anche orientativamente, la reale presenza dei Polacchi a Napoli, si
tratta di una comunità molto mobile – come negli ultimi anni anche quelle provenienti dall’ex Unione
Sovietica (moldava, ucraina, russa) - caratterizzata da una sorta di andirivieni tra l’Italia ed il proprio paese di
origine, favorito dalla vicinanza geografica, dalla facilità di passaggio delle frontiere; e dovuto all’ottica con
cui i polacchi intraprendono l’immigrazione. Si tratta spesso di giovani diplomati che, scontratisi con l’alto
tasso di disoccupazione nel proprio paese, vengono a cercare fortuna in Italia; dopo alcuni mesi ritornano in
Polonia o trascorrono del tempo in altri paesi europei per conoscere la situazione lavorativa lì. Per tali motivi
il loro numero è variabile anche sul breve periodo. Una delle testimoni intervistate, in ogni caso, ritiene che
nella sola città di Napoli siano presenti più di tremila connazionali, considerando anche la provincia se ne
67
conterebbero circa cinquemila . La comunità ha una composizione ancora prevalentemente femminile, le
donne rappresenterebbero circa il 70% del totale delle presenze, sia considerando solo il territorio cittadino,
sia l’intera provincia napoletana. La componente dei minori si aggirerebbe intorno al 15% dell’intera
popolazione polacca. I bambini al seguito delle donne polacche sono pochi, spesso vengono lasciati nei
paesi di origine e le madri provvedono a distanza al loro mantenimento. Già nel corso degli anni Novanta ci
sono state diverse unioni tra donne polacche e uomini nordafricani. Le nascite all’interno di queste unioni
sono dunque recenti e quindi i bambini sono ancora troppo piccoli per poter essere inseriti nelle scuole.
I Polacchi a livello abitativo appaiono sparpagliati in tutto il territorio cittadino. La ragione principale è che
la componente maggiore di questo gruppo nazionale è composto da donne dedite, essenzialmente, a lavori
domestici e di assistenza che vivono molto spesso presso le abitazioni dei propri datori di lavoro. Ma anche
coloro che trovano soluzioni indipendenti non appaino concentrati in nessuna area specifica della città. Gli
uomini trovano collocazioni lavorative in particolar modo nell’edilizia e nel settore terziario dequalificato.
La maggioranza dei Polacchi presenti nella città di Napoli proviene dalle regioni del sud, in misura minore
dall’est. Si tratta di regioni dall’economia un tempo fiorente, grazie alla presenza di industrie e miniere, ma
che hanno subito gli effetti negativi della crisi successiva al crollo del muro di Berlino. Del resto è a partire da
questo evento che è iniziato il flusso di arrivi dalla Polonia diretti in Italia. Secondo i testimoni intervistati circa
l’80% di tale comunità non sarebbe in possesso del permesso di soggiorno.
I Polacchi giungono a Napoli quasi sempre in autobus, servendosi sia di linee ufficiali che di linee
informali. Nel primo caso se ne contano molte che collegano l’Italia con le principali regioni del paese. Nella
città di Napoli è piazza Garibaldi il punto principale dove partono ed arrivano tali autobus. Ad esempio per
raggiungere Varsavia da Napoli sono necessarie 40 ore. Il viaggio costa circa 180 euro, andata e ritorno. Le
linee informali offrono costi molto più ridotti, ma anche un servizio qualitativamente inferiore, si tratta di
pulmini da 9 posti in cui si fanno viaggiare anche 15 persone. Questi mezzi sono spesso sequestrati a
seguito di un fermo delle Forze dell’ordine. L’interprete giurata da noi intervistata ha, spesso, lavorato in
processi in cui erano coinvolti gli autisti di questi pulmini. All’interno “viaggia di tutto” e con questa
espressione la testimone si riferisce esplicitamente a vari tipi di trasporto illegale. Anche gli Ucraini utilizzano
67
. Le testimoni intervistate sono una mediatrice culturale, socia della cooperativa Casba ed operatrice del Numero verde
contro la tratta ed un’interprete che vive a Napoli da 32 anni.
119
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questo servizio. La comodità di queste linee non ufficiali consiste nel fatto che si tratta di una sorta di servizio
a domicilio che accompagna i passeggeri “fin sotto casa”.
Da questo lavoro risultano tre agenzie (tutte e tre site in piazza Garibaldi) che organizzano trasporti tra
l’Italia e la Polonia. Esse collaborano con agenzie di autobus polacche, di fatti, pur essendo italiane,
impiegano lavoratori di nazionalità polacca.
Una netta maggioranza di questa comunità, pari a circa il 90% 68, è di religione cattolica. Il resto dei
polacchi è, invece, ortodosso e protestante. Questa stessa composizione religiosa vale anche per i polacchi
che vivono a Napoli.
La zona considerata rappresenta per i Polacchi un luogo di ritrovo dove incontrare, essenzialmente nei
giorni liberi (il giovedì pomeriggio e la domenica), i connazionali, anche provenienti da altre zone della
regione, dove intessere relazioni sociali e dove venire a conoscenza di nuove opportunità di lavoro.
Una parte delle donne di questa comunità è coinvolta nel circuito della prostituzione. Per approfondimenti
sul fenomeno si rimanda ad altri studi 69.
La condizione dell’infanzia: I minorenni di origine polacca sono 24 secondo i dati dell’Anagrafe cittadina
relativi all’anno 2003. Di questi 24, 8 hanno meno di 6 anni, 12 sono compresi nella fascia di età tra i 6 ed i
14 anni e 4 hanno tra i 15 ed i 18 anni. I bambini compongono la comunità polacca residente per il 4,6% e
costituiscono l’1% del totale dei minori stranieri residenti a Napoli. Dalle informazioni sinora rilevate non sono
stati riscontrati casi di bambini polacchi dati in affidamento a famiglie italiane
I rapporti con la scuola: L’inserimento dei bambini polacchi nelle scuole napoletane è giudicato positivo
da tutti i punti di vista (considerando il rapporto con gli altri bambini, con gli insegnanti, con altri operatori
della scuola) così come il rapporto che i loro genitori hanno instaurato con gli istituti scolastici. I polacchi
danno molto valore alla scolarizzazione e ciò li porta a seguire molto l’andamento scolastico dei propri figli.
Sarebbe auspicabile, però, riferisce una nostra testimone intervistata, l’arricchimento dei programmi
scolastici nelle scuole frequentate da bambini di origine polacca con alcune ore di lezioni della lingua madre.
La casa: I Polacchi, come la maggioranza degli immigrati di altre nazionalità, si rivolgono ai propri
connazionali per trovare una prima accoglienza. Successivamente cercano abitazioni quanto più vicine
possibile al lavoro, possibilmente già arredate e con fitti non eccessivamente elevati; essi tendono, inoltre, a
cambiare frequentemente la propria sistemazione finché non ne trovano una migliore. I motivi principali per
cui lasciano il proprio alloggio sono comuni a quanto dichiarato da altri testimoni: le malsane condizioni
igienico-sanitarie, il malfunzionamento di bagno e cucina. Sono, in ogni caso, pronti ad effettuare piccoli
interventi di sostituzione o manutenzione per migliorare le condizioni del luogo in cui vivono. La casa
rappresenta anche un luogo dove ritrovarsi con gli amici e consumare i pasti insieme.
Il commercio etnico: Nel comune di Napoli non esistono luoghi dove si vendono prodotti tipici della
Polonia.
I rapporti con la popolazione locale e con altre comunità di immigrati: L’atteggiamento della popolazione
locale nei confronti degli immigrati di nazionalità polacca oscilla, a detta di una delle interlocutrici, tra
l’indifferenza e la tolleranza, dimostrando, contraddittoriamente, maggiore ostilità nei confronti di stranieri di
altre provenienze. Ciò potrebbe spiegarsi considerando che la “diversità” etnica-culturale di cui i polacchi
sono portatori, rispetto alla popolazione italiana, è parziale o, comunque, non immediatamente visibile, ad
esempio la quasi totalità di tale comunità professa la religione cattolica. In altre parole i Polacchi sono
considerati “meno stranieri”.
Episodi di intolleranza nei confronti di tale gruppo non si sono, dunque, verificati o, quantomeno, la nostra
testimone non ne è a conoscenza. Solo le donne italiane hanno mostrato, in alcuni casi, una certa ostilità nei
confronti di quelle polacche, apostrofandole con l’appellativo di “rubamariti”, riferendosi all’aumento di unioni
tra uomini italiani e queste ultime.
Matrimoni ed unioni, tradizionali e misti: La comunità polacca non è diversa dalle altre rispetto alla
presenza di coppie miste. Si registrano matrimoni tra uomini di nazionalità polacca e donne italiane e tra
donne appartenenti a tale gruppo con uomini italiani e marocchini. Le unioni non ufficiali coinvolgono
essenzialmente polacchi, sia uomini che donne, con persone di nazionalità ucraina. Secondo la nostra
interlocutrice tali coppie vivrebbero delle difficoltà maggiori rispetto a rapporti instaurati tra persone della
stessa nazionalità soprattutto rispetto alla diversità culturale e religiosa. Inoltre tali individui potrebbero
entrare in disaccordo anche rispetto all’educazione dei propri figli, nel caso avessero concezioni molto
diverse di quest’ultima.
Vita comunitaria. Aspetti religiosi e ricorrenze principali: La stragrande maggioranza della popolazione
polacca è di religione cattolica infatti le testimoni contattate ritengono che le feste più importanti celebrate nel
loro paese sono legate a questo culto.
68. Tale stima è riferita sia dai testimoni intervistati, sia da alcuni studi; si veda ad ex. Peruzzi W. 1999, p. 110
69
. Morniroli A. (a cura di) 2003, op. cit.
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Più tipicamente polacca è la Festa del grano, celebrata in settembre, in occasione della
raccolta del grano, essenzialmente nelle regioni rurali del sud del paese. Ogni quartiere prepara
delle sagome in grano, si mangiano dolci tipici e si trascorre la giornata a cantare e ballare.
Caratteristico è anche il modo di trascorrere la domenica delle palme in occasione della quale
si addobbano le palme con dei nastri e si gareggia per la palma più bella.
Rispetto al Natale, pur coincidendo per molti aspetti con quello festeggiato in Italia (l’abete,
la messa di mezzanotte, il presepe), le testimoni sostengono che il sentimento religioso resta in
Polonia molto più intenso. Una tradizione molto importante nel giorno della vigilia è quella di
dividere un’ostia grande, rettangolare. Ognuno dà gli auguri donando un pezzettino di
quest’ostia. Senza questa usanza i polacchi non sentono di festeggiare il Natale. È importante
anche mettere della paglia sotto la tovaglia al momento del cenone: ricorda il fatto che Gesù è
nato sulla paglia. Si dà molto valore anche ai canti, intonati sia in casa che in Chiesa.
Della Pasqua il rito a cui una nostra testimone sembra molto legata è la benedizione delle
uova. Queste vengono dipinte e deposte in cestini insieme ad un pezzo di salame e ad una
pecorella di zucchero. Così preparate vengono portate in chiesa per la benedizione, dopo la
quale, si può rompere la Quaresima e riprendere a mangiare carne.
La festa del 1° Maggio si tende a non celebrarla più tanto poiché in passato era vissuta
come una costrizione.
La notte precedente la festa di S. Giovanni (24 Giugno) le donne non ancora sposate
preparavano delle coroncine di fiori di campo che poi venivano lanciate nel fiume con la
speranza che colui che le avesse ripescate sarebbe diventato il futuro marito. La coroncina è
simbolo della nobiltà. Canti e balli accompagnano tale festa.
La festa di Smingusdenkus corrisponde alla nostra “Pasquetta” è, di fatti, il lunedì
successivo alla domenica di Pasqua durante il quale era tradizione buttare secchi d’acqua
addosso alle persone perché “bisognava essere bagnati”. Fortunatamente tale usanza, non
molto adatta alle rigide temperature polacche, si è persa .
Le testimoni ritengono che la dimensione più importante di tali feste, che dovrebbe essere conservata
anche a Napoli, è quella religiosa-spirituale, in quanto risulta impossibile conservare in Italia la tradizione dei
festeggiamenti in piazza.
La comunità polacca non ha luoghi gestiti da connazionali in cui i propri membri possano ritrovarsi, per
questa ragione sono costretti ad accontentarsi dei parchi pubblici, delle piazzette antistanti le chiese, della
stessa piazza Garibaldi. In alcune occasioni tale comunità ha preso in affitto il Centro culturale Baobab –
gestito dall’Associazione dei Senegalesi di Napoli - per poter organizzare alcune serate di festa. I giorni in
cui i polacchi possono trascorrere del tempo libero con i propri connazionali sono il giovedì pomeriggio e la
domenica, tradizionalmente giorni di riposo per gli immigrati dediti a lavori di servizio ed assistenza alle
persone. C’è un folto gruppo di polacchi che, anche in occasione delle ricorrenze principali del proprio
paese, si riunisce presso un locale di proprietà delle suore della Carità a via Andrea d’Isernia, dove si sta
insieme, si beve del tè, del caffè e si mangiano dei panini. Inoltre ci sono due chiese in cui si celebra la
messa in polacco. Una è quella di S. Cosma e Damiano a corso Garibaldi, un’altra è la chiesa dei
Cappuccini a c.so Vittorio Emanuele (vicino alla stazione della metropolitana di Mergellina). Altre due chiese
in cui è possibile ascoltare messe celebrate in lingua polacca si trovano in provincia di Napoli e
precisamente a S. Giuseppe Vesuviano e a Portici.
Forme organizzative: non è emersa dalla ricerca l’esistenza di alcuna associazione comunitaria.
4.4.3 La comunità rom
La presenza dell’attuale comunità rom 70 nella provincia di Napoli è possibile farla risalire a circa trenta
anni fa, periodo in cui gruppi di serbi scelsero come loro nuova sede le zone limitrofe del comune di
Giugliano. La comunità è arrivata a Giugliano quasi esclusivamente attraverso canali non regolari, tuttavia
nel corso degli ultimi decenni gran parte di questo gruppo rom originario si è trasferito in Germania.
70. I Rom sono una popolazione originaria dell’India, in particolare della regione del Punjab, da cui si spostarono intorno
all’anno 1000, non si sa se per ragioni economiche, per epidemie o per persecuzioni subite. Giungono in Europa
passando per l’Afghanistan, la Persia, l’Armenia, il Caucaso e la Grecia. Stabilitisi in Europa vi rimasero per due o tre
secoli adottando uno stile di vita sedentario e dedicandosi alla lavorazione dei metalli. Dal XV-XVI secolo e, ancor più,
con la formazione degli stati nazionali, inizia contro di loro una politica repressiva in quanto apparivano diversi e non
rientravano nelle logiche del nascente capitalismo agrario e nei ruoli sociali definiti dagli stati-nazione. Da allora le
persecuzioni, alternate ai tentativi di assimilazione e sedentarizzazione, non si sono mai arrestati. Cfr. Opera Nomadi di
Napoli 2002, pp. 15-16; Cirillo A.M. in De Gregorio V. (a cura di) 2002, pp. 11-12
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Attualmente a Napoli le comunità più numerose sono due 71: una insediata nei quartieri di Scampia e
Secondigliano, l’altra in quello di Ponticelli, entrambe giunte circa venti anni fa. Anche in questo caso l’arrivo
dei nuovi gruppi ha seguito canali non ufficiali ed ha conosciuto una nuova ondata nel corso dei primi anni
Novanta, in conseguenza delle disastrose condizioni determinate dalla guerra nell’ex Jugoslavia. Si tratta di
rom di diverse etnie che convivono alternando momenti di tranquillità ad esplosioni di conflittualità più o
meno visibili all’esterno. Nel complesso la loro presenza si conta tra le 1.200 e le 1.500 unità ed i minori
contano 400/500 presenze. Pochi sono in possesso di documenti di soggiorno e ancor meno, date le
condizioni abitative, della residenza.
I gruppi rom sono tanti e presentano profonde differenziazioni tra di loro. A Napoli vivono soprattutto rom
provenienti dalla ex Jugoslavia, in particolare i rom khorakhané (lettori del corano, cioè musulmani,
provenienti dalla Bosnia, il Kosovo, il Montenegro e la Macedonia) ed i rom dasikhané (Rom cristianoortodossi, provenienti dalla Serbia). Ognuno di questi due grandi gruppi si divide in sottogruppi, basati sulla
provenienza geografica, il mestiere o il tipo di percorso migratorio seguito.
Anche se molto spesso il nome con cui i rom vengono chiamati è quello di “nomadi”, quelli jugoslavi non
lo sono più dal 1946, quando nel loro paese fu attuata una politica paritaria della casa.
I rom hanno una loro lingua, il romanès, di origine sanscrita, che nel corso dei secoli si è arricchita di
numerosi prestiti dalle lingue dei paesi in cui più a lungo hanno soggiornato. Ancora oggi vi è chi ritiene che
non sia una lingua, ma un gergo di ladri inventato per non farsi capire. Proprio la lingua e i prestiti da altre
lingue hanno permesso di ricostruire il cammino compiuto dai vari gruppi rom.
Il romanès è uno dei fondamentali elementi di unità del popolo Rom, anche se le contaminazioni
linguistiche con i popoli “ospitanti” hanno fatto sì che oramai i vari gruppi in Europa abbiano, in genere,
difficoltà a capirsi. Infatti i rom i e i sinti italiani talvolta non capiscono i rom jugoslavi e viceversa.
Anche tra i due gruppi jugoslavi, i dasikhané e i khorakhané esistono differenze linguistiche che però non
inficiano la comprensione reciproca.
Il romanès in Italia è una lingua ancora prevalentemente orale e non è stata inserita nella recente legge
sulle minoranze linguistiche, per cui appare importante un’azione di salvaguardia e rafforzamento di questa
lingua attraverso azioni mirate.
Nonostante la bassa scolarizzazione, la maggior parte dei rom parla la lingua italiana appresa per lo più
tramite i rapporti che vengono a crearsi in strada, inoltre è stato possibile constatare che quasi tutti
conoscono due lingue: il romanés e lo slavo.
Tra i rom si registra un altissimo tasso di analfabetismo e, inoltre, sono ancora legati a forme di economia
marginale che mal si adattano ad un’economia fortemente industrializzata e di mercato. Molti loro mestieri
tradizionalmente svolti sono spariti lasciando il posto, molto spesso, al mangél (mendicio) come unica forma
72
di sussistenza .
La condizione dell’infanzia- I rapporti con la scuola: I minori rom rappresentano la componente più
numerosa tra i minori immigrati e ciò è dovuto non tanto al numero di figli medio per famiglia (di per sé
comunque alto), quanto piuttosto al fatto che si tratta di interi nuclei familiari che si spostano insieme, e al
fatto che molto spesso i genitori si sposano in età adolescenziale e quindi sono (al momento della nascita
dei primi figli) essi stessi di minore età.
Il dato sui minori di etnia rom residenti nel comune di Napoli non è possibile ricavarlo con precisione in
quanto tra i cittadini dell’ex Jugoslvia presenti a Napoli vi sono anche immigrati non di etnia rom. Tuttavia
facendo riferimento all’unico dato possibile i minori provenienti dai paesi dell’ex Jugoslavia residenti nel
territorio cittadino nel 2003 sono 143, di cui 32 sono coloro che hanno un’età inferiore ai 6 anni, 87 hanno
un’età compresa tra i 6 ed i 14 anni e 24 hanno più di 14 anni. La distinzione per fasce di età appare quanto
mai appropriata nel caso dei rom in quanto a queste fasce si riconnettono situazioni diverse per modalità di
arrivo, clandestinità e diverso grado di integrazione nella comunità ospite.
Di solito i ragazzi più grandi sono giunti in Italia dal paese di origine, sempre accompagnati da adulti, non
necessariamente identificabili nei propri genitori, servendosi di canali non ufficiali, mentre quelli appartenenti
a classi d’età comprese tra 0-3 e 5-10 anni rientrano nel numero di bambini rom nati in territorio italiano.
Tutti i minori rom vivono in famiglie allargate composte dai genitori, dai fratelli, cui si aggiungono zii,
nonni, e cugini fino a formare gruppi di circa 50 persone. Le condizioni di vita sono molto precarie: essi
vivono sotto cavalcavia o in baracche a Scampia, nei prefabbricati a Secondigliano, in bipiani di amianto a
Ponticelli, circa 30 gruppi famigliari vivono nei bassi di Napoli. Soltanto alla fine degli anni Novanta sono
71. Sono stati ascoltati diversi testimoni privilegiati, oltre a numerosi operatori dell’Opera Nomadi: un immigrato
macedone, in Italia da molti anni con la famiglia composta da una moglie e quattro figli; un operatore sociale che, dalla
fine del 1999, ha avviato un lavoro con le famiglie rom occupandosi prevalentemente dei minori. Inoltre lo stesso
paragrafo sulla comunità rom è stato curato dall’ex presidente dell’Opera Nomadi di Napoli.
72. Cirillo A.M. in de Gregorio (a cura di) 2002, p. 21
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state avviate campagne di prevenzione e di vaccinazione nei campi e in ogni caso i bambini hanno spesso
cattive condizioni di salute, tanto che la stessa mortalità infantile è molto elevata rispetto alla media.
Tra i rom sono rare le situazioni di affido a famiglie italiane, si conoscono solo 4 casi di affido e sono tutti
pre-adottivi (dunque non momentanei) e con decadenza della patria potestà.
Sempre a partire dalla seconda metà degli anni Novanta vi è stato un progressivo, e significativo,
aumento dei bambini rom inseriti nella scuola dell’obbligo, soprattutto nelle elementari, grazie ad un capillare
lavoro effettuato da volontari dell’opera Nomadi e da insegnati di alcune scuole che hanno pian piano
sensibilizzato sulla questione dei minori gli amministratori e gli operatori di enti locali. Oggi i minori rom iscritti
nelle scuole napoletane risultano essere oltre duecento. I problemi a questo riguardo sono molteplici e
riguardano sia questioni pratiche come l’accompagnamento a scuola, l’igiene dei bambini, il doposcuola (in
quanto non possono essere seguiti dai genitori non alfabetizzati), sia l’atteggiamento e la diffidenza da parte
di compagni, insegnanti, genitori verso i bambini (e più in generale la comunità) rom, sia lo scarso valore
spesso attribuito dai genitori rom alla scuola. L’inserimento dei bambini rom nella scuola è stato a lungo
trattato nei paragrafi nei contesti cittadini, ed a questi si rimanda per un maggiore approfondimento.
Particolare è la situazione dei minori rom in relazione al loro coinvolgimento nel mondo del lavoro nelle
sue forme lecite e illecite. Molti operatori che lavorano a stretto contatto con loro, sostengono che la pratica
di chiedere l’elemosina non è sfruttamento nel caso di Napoli, perché si tratta dei propri figli e non di bambini
rapiti o venduti e l’elemosina è, generalmente, l’unico mezzo di sostentamento per chi non ruba.
Come abbiamo già detto, moltissimi bambini rom oggi frequentano la scuola e, quindi, la maggior parte
dei minori che accompagnano le mamme a chiedere l’elemosina sono bambini non in età scolare o che lo
fanno nei giorni festivi. E’ necessaria poi una ulteriore distinzione: tra i bambini rom e le mamme minorenni
che chiedono a loro volta l’elemosina assieme ai figli. In questo caso si tratta, sostengono i volontari
dell’Opera Nomadi, di una attività necessaria al mantenimento della famiglia in mancanza di adeguate
opportunità lavorative. Questa mancanza non è determinata da una volontà soggettiva, ma dalla condizione
di irregolarità delle minori rispetto alla normativa sul soggiorno che in mancanza di permesso non consente
l’inserimento regolare nel mercato del lavoro e l’accesso a opportunità formative che consentirebbero un
potenziamento delle abilità e delle competenze necessarie a facilitare la ricerca di un lavoro.
La casa: I primi gruppi di rom jugoslavi si sono installati nella zona verso la fine degli anni Settanta e,
dopo varie peripezie, si sono stabiliti a viale Zuccarini, dando origine al primo campo rom a Scampia. Nel
corso degli anni si sono formati altri campi nella zona ex Centrale del Latte, tra via Aldo Moro e viale della
Resistenza. Verso la fine degli anni Ottanta e gli inizi degli anni Novanta, in coincidenza con l’inizio della crisi
dei Balcani, la comunità rom si è notevolmente accresciuta, dando origine ad insediamenti cospicui. Nel
1997, per favorire l’apertura della metropolitana, una parte dei rom di viale Zuccarini fu trasferita dal Comune
nella rotonda adiacente. Nel luglio 1999, in seguito all’investimento di due ragazze del quartiere (una delle
quali parente di un boss della zona), i campi della rotonda furono dati alle fiamme, saccheggiati e
completamente distrutti. Lo stesso avvenne nei campi della ex-Centrale del Latte, i quali però non furono mai
del tutto abbandonati e si ripopolarono ben presto.
Nel luglio 2000 il Comune di Napoli ha allestito un campo destinato ai rom di viale Zuccarini in un’area
vicina al carcere di Secondigliano. Il campo si estende su un’area di circa 10.000 mq, si tratta, più nello
specifico, di due campi divisi dall’uscita secondaria dell’istituto di detenzione su cui sorgono prefabbricati
(container modificato) di circa 40 mq e due centri polifunzionali. Ciascun prefabbricato è dotato di servizi
igienici individuali in muratura con tazza turca (richiesta dai rom stessi), doccia, scaldabagno, acqua fredda e
calda e luce. Il riscaldamento avviene tramite stufe elettriche. Questi campi hanno subito un rapido degrado
perché sono concepiti per un numero di persone troppo alto e la grande promiscuità provoca spesso
problemi di convivenza che sfociano anche in episodi violenti. Oltre al sovraffollamento, una delle cause del
degrado sta nel mancato intervento e controllo da parte del Comune. Inoltre, manca la manutenzione
ordinaria e i rifiuti non vengono rimossi. Tra l’altro la zona è completamente sprovvista di collegamenti con la
città ed è isolata dalla maggioranza dei servizi fondamentali quali scuole, negozi ed ospedali. In secondo
luogo, il campo è posto proprio nei pressi della circumvallazione esterna - strada a scorrimento veloce e,
dunque, molto pericolosa - e vicino ai pali dell’alta tensione.
I campi abusivi non attrezzati, che “ospitano” tutti i rom di Scampia che non hanno trovato posto nei nuovi
villaggi, sono cuinque e sono situati tra via Aldo Moro e l’ex Centrale del Latte, sotto l’Asse Mediano. Le
“abitazioni” sono costituite da roulottes o baracche di grandezza variabile (al massimo di 50 mq), senza
acqua né luce, in una situazione igienica proibitiva, tra ratti e immondizie, in quanto la zona è anche luogo di
scarico abusivo di materiale edilizio e vario. Ogni baracca o roulotte è abitata in media da 6-8 persone e non
è provvista di servizi igienici. I rifiuti non vengono rimossi. Un campo, conosciuto come le case rosa, è più
pulito e ha costruzioni in legno pavimentate in cemento e piastrelle, di aspetto gradevole, ma è sotto
sequestro giudiziario per abusivismo. D’inverno le baracche vengono riscaldate con stufe a legna in metallo
o rame costruite dai rom stessi, che vengono usate anche per cucinare. Queste stufe, belle e funzionali,
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sono però molto pericolose perché provocano facilmente incendi; inoltre, il fumo dei materiali bruciati (legno
trattato e qualche volta plastica) è molto nocivo alla salute e può provocare anemia.
I rom di Scampia sono quasi tutti serbi cristiano-ortodossi (mrznarija e bangulesti) tranne un piccolo
gruppo di macedoni musulmani che vive in un campo non attrezzato in viale della Resistenza. Fino al
maggio 2002, nei villaggi attrezzati, vi era un gruppo di kosovari (gurbeti), imparentato con i serbi, che però,
in seguito a litigi, è dovuto andare via. Non si è trattato di un conflitto interetnico (i kosovari vivevano da 10
anni con i serbi in pace perfetta), ma di contrasti tra gruppi familiari.
Per quel che riguarda invece la situazione a Ponticelli, registra una presenza di circa 400 rom, di cui la
metà è costituita da minori, molti dei quali hanno già dei figli. La comunità rom è distribuita in 54 abitazioni
dei bipiani e in un’abitazione privata a Ponticelli. Divisa in macedoni, serbi e qualche famiglia kosovara con
caratteristiche eterogenee dal punto di vista sociale, culturale e anche religioso, la comunità rom di Ponticelli
presenta gravi problematiche, per le quali si rimanda al paragrafo sui contesti territoriali.
Il commercio etnico: Non esistono negozi che vendono prodotti tradizionali della comunità rom, ma coloro
che conservano un legame con la Jugoslavia periodicamente portano o si fanno pervenire prodotti tipici, in
particolare quelli alimentari.
I rapporti con la popolazione locale e con altre comunità di immigrati: Secondo la maggior parte degli
intervistati, la popolazione dei territori dove sono presenti i rom ha un atteggiamento positivo nei confronti
degli immigrati in generale ma non nei confronti di questa comunità, verso la quale vi è un totale rifiuto. Di
fatti, non sono stati rari gli episodi di intolleranza e razzismo avvenuti nei confronti di questo gruppo etnico:
ricordiamo le proteste delle madri dei bambini del quartiere al momento dell’inserimento dei bambini rom
nelle scuole pubbliche della zona (in particolare il 43° Circolo Didattico). Inoltre a Scampia, nel 1999, si è
verificato un gravissimo episodio di razzismo: l’incendio dei campi rom voluto dalla camorra ma appoggiato
da una parte della popolazione. Le radici di tale intolleranza risiedono sicuramente nel pregiudizio, nella
mancanza di una cultura dell’accoglienza, ma in parte dipendono anche dalle condizioni di grande degrado
in cui vengono fatte vivere queste popolazioni.
Accanto all’intolleranza e al razzismo, vi sono però anche forme di solidarietà, rappresentate dalle Chiese
e da organizzazioni laiche e cattoliche del Terzo Settore.
Matrimoni ed unioni, tradizionali e misti: I rom si sposano, generalmente, nella prima adolescenza (anche
13-14 anni) e tra coetanei (anzi capita spesso che la donna sia più grande). Quando il figlio maschio ha
raggiunto la pubertà, i familiari si mettono alla ricerca di una moglie e, se non la trovano a Napoli e in altre
città italiane, vanno a prenderla in Jugoslavia, creando ulteriori complicazioni. Infatti, queste ragazzine
adolescenti, senza documenti, hanno grandi difficoltà a riconoscere i propri figli al momento del parto. Il
matrimonio avviene per contrattazione tra le famiglie, ma in genere gli sposi si sono già visti e piaciuti. Ci
sono casi in cui non vi è una previa conoscenza. Quando i ragazzi si piacciono e le famiglie non sono
d’accordo sulle loro nozze, avviene la cosiddetta “fuitina”, che mette i familiari davanti al fatto compiuto.
Quando si decide un matrimonio vi è prima una festa di fidanzamento, in cui si svolge una finta
contrattazione tra le due famiglie. Stabilita la data del matrimonio, i due sposi non si dovranno mai vedere da
soli e nessun altro zingaro potrà chiedere la mano della ragazza. La festa di matrimonio dura tre giorni e si
svolge nei campi senza nessuna registrazione ufficiale; ciò, in un paese come l’Italia, dove non è
riconosciuta la convivenza, impedisce il ricongiungimento familiare. Una volta sposata, la donna esce dalla
propria famiglia e diviene parte di quella del marito, dovrà “obbedire” a quest’ultimo e ai suoceri, occuparsi di
tutte le faccende domestiche e procurarsi i mezzi di sostentamento. In genere le coppie rom hanno numerosi
figli, in particolare i musulmani. I macedoni di Scampia in parte hanno perso questa usanza in quanto vivono
in Italia da molti più anni. I matrimoni tra i rom sono nella maggior parte dei casi celebrati solo con il rito
tradizionale, e per tanto non riconosciuti dallo Stato.
Vita comunitaria (luoghi di incontro e di socializzazione): I Rom amano moltissimo le feste e i divertimenti
ai quali si dedicano volentieri vista anche la gran quantità di tempo libero di cui dispongono causata dalla
generale disoccupazione che costituisce una delle caratteristiche delle loro condizioni di vita a Napoli.
A Ponticelli molte delle loro usanze sono mantenute, soprattutto quelle legate alla religione e molto
spesso tali usanze provocano anche litigi con le comunità rom di religione cattolica che vengono criticate
quando cucinano il maiale. Per ciò che concerne la religione, la comunità rom di Ponticelli è composta da
musulmani (macedoni) e da cristiani ortodossi (serbi). Tra di loro non ci sono grandi dissidi, mentre esiste
una grande rivalità fra i macedoni e i kosovari, quest’ultimi costretti a lasciare il campo in seguito a liti anche
molto violente.
I gruppi che da più tempo sono in Italia sono maggiormente tradizionalisti anche nelle forme linguistiche
usate, mentre i gruppi di più recente immigrazione parlano una lingua più vicina allo slavo. Ciò è evidente in
un gruppo familiare di Kragujevac: quelli che sono in Italia da più di 20 anni parlano il romanès tradizionale,
mentre quelli di immigrazione più recente parlano quasi unicamente lo slavo. La maggior parte dei rom che
abitano in questo territorio, in particolare quelli da molti anni in Italia, hanno una buona conoscenza
dell’italiano parlato, anche se molti di loro sono analfabeti.
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Attualmente, attività minime di rafforzamento linguistico in romanés sono state avviate nell’ambito dei
laboratori interculturali svolti dall’Opera Nomadi nelle scuole.
A Scampia, vi sono molti “crisari”, cioè membri della Cris, il tribunale rom. Esso rappresenta un elemento
molto importante della cultura rom; infatti la Cris, il tribunale zingaro che decide di tutte le vertenze interne
alla società zingara. In tutt’Italia, anche a Napoli, la Cris è un organismo fortemente sentito e rispettato da
tutti i Rom.
Quando c’è qualche problema di una certa entità (due famiglie litigano, una donna tradisce il marito,ecc),
i rom si rivolgono ai Crisari che risolvono la questione. I Crisari sono persone autorevoli, componenti di
famiglie numerose e importanti e devono avere un’età tra 40 e i 50 anni; vengono pagati da entrambe le parti
per evitare parzialità.
Con l’acuirsi del degrado sociale e culturale del popolo rom - dovuto ai processi, non sempre spontanei,
di sedentarizzazione e alle condizioni materiali di vita cui spesso sono costretti - anche la Cris diventa
sempre più uno strumento di potere dei gruppi più forti.
I rom che abitano in questo territorio conservano in modo molto forte la struttura sociale tipica, basata
sulla famiglia allargata. I campi abusivi riflettono in genere questa divisione, ma il restringersi degli spazi
disponibili e l’aumento del numero di persone in questi ultimi dieci anni hanno provocato promiscuità forzata
e quindi contraddizioni. I villaggi attrezzati, mentre da un lato hanno creato condizioni di vita migliori,
dall’altro non hanno rispettato le loro divisioni naturali.
Dalle interviste fatte emerge l’importanza della festa in quanto tale e del banchetto, inteso come momento
di condivisione ed aperto a chiunque voglia parteciparvi. Ogni visitatore o anche ogni rom deve in genere
fermarsi presso ogni famiglia ed assaggiare qualcosa.
La cucina in genere prevede maiale o montone, o entrambi, oltre a tutti i loro piatti tipici (involtini di verza
stufati ripieni di riso e piccoli pezzi di carne mista – sarma -, piccole polpette di carne cotte in intingoli
spezziati - i civapcici -, deliziose crèpes variamente ornate – palacinke - ecc.) e infine i dolci, dove ha libero
sfogo la fantasia delle cuoche zingare). Si tratta, essenzialmente, di una cucina tradizionale jugoslava e, in
genere, balcanica. I rom sono fortemente legati a questo tipo di cucina, per cui i nostri “spaghetti” non hanno
molto successo neanche tra coloro presenti da più generazioni in Italia.
Quando si è tentato di capire il significato religioso delle feste, i rom hanno avuto qualche difficoltà a
spiegarlo (e noi a capirlo), in quanto il punto centrale è il rispetto della festa, come elemento di identità, e il
banchetto come occasione di socialità, divertimento e anche esibizione di uno status sociale rispetto ad altri
zingari. L’importanza della festa fa sì che essi incomincino a celebrare anche le nostre ricorrenze.
Le feste vengono celebrate nei campi, per cui non occorrono luoghi appositi. In Italia si tende a
mantenere le stesse modalità di festeggiamento dei paesi di origine, ma, naturalmente, in condizioni di
degrado ambientale maggiore.
Oltre a preservare fortemente la struttura sociale della famiglia allargata, conservano anche la tradizione
nell’abbigliamento: vestiti e capelli lunghi. Nessuna serba del campo ha mai indossato pantaloni o, peggio,
gonne corte. Soltanto tra le giovani macedoni del piccolo campo musulmano, si va diffondendo l’abitudine di
portare i pantaloni, ma, vengono spesso criticate dagli altri zingari.
Aspetti religiosi e ricorrenze principali:
Le differenze culturali tra i cristiano-ortodossi (rom dasikhané) e i musulmani (rom khorakhané), e tra i
numerosi sottogruppi, sono a volte profonde, anche se rimangono, però, elementi comuni. Le contraddizioni
tra ortodossi e musulmani si sono acuite a causa dei conflitti interetnici nei loro paesi di origine, ma litigi
violenti accadono anche all’interno di uno stesso gruppo e a volte di una stessa famiglia, come conseguenza
della convivenza forzata in una situazione di grande degrado sociale e materiale. A parte la circoncisione,
che d’altra parte non viene praticata da tutti i musulmani, entrambi i gruppi hanno un modo di concepire la
religione molto simile, legato spesso a pratiche superstiziose. Il sincretismo è una caratteristica della
concezione religiosa dei rom: capita di ritrovare in baracche di musulmani l’immagine della Madonna o altre
immagini sacre, tipiche della religione cattolica.
I rom di Scampia non risultano essere particolarmente praticanti dal punto di vista religioso. I testimoni
dichiarano di non frequentare luoghi di culto, di non avere legami né con la chiesa ortodossa di Napoli né
con le moschee. Soltanto quando muore un congiunto, i rom vorrebbero la presenza ai funerali di un’autorità
religiosa, ma quella ortodossa, contattata dall’Opera Nomadi, si è sempre rifiutata di intervenire, mentre
qualche musulmano ha fatto venire un imam da Roma. La conseguenza è che spesso i morti vengono
benedetti da preti cattolici.
In ogni caso, le feste sono concepite, anche nei lutti, come momenti per vivere coralmente dolori e gioie.
Maggiori sono gli affanni, i tentativi di disgregazione e i problemi che assediano i rom dall’esterno, maggiore
è il valore della festa come momento di gioia e socializzazione.
Le feste religiose celebrate sono essenzialmente quelle di origine jugoslava ed alcune sono in comune
tra ortodossi e musulmani, in particolare:
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Nova Godina – Capodanno – che viene festeggiato da tutti per due giorni, in genere il primo
giorno con la famiglia ristretta e il secondo con la famiglia allargata.
Bozic (in romanès, krecuno) – il Natale ortodosso, che cade il 7 gennaio, festeggiato solo
dagli ortodossi.
Uskrs (patrazì, in Romanès) – la Pasqua ortodossa, festeggiata solo dai serbi 7 giorni dopo
la Pasqua cattolica. E’ tipica l’usanza di regalare uova colorate.
Zurzevdan – si festeggia il 5-6 maggio ed è la festa più importante per i Rom. Dura 2 giorni
ed è riconosciuta da tutti. Viene impropriamente chiamata la festa di S.Giorgio, ma
probabilmente corrisponde alla festa laica jugoslava del “giorno del mughetto”.
Gospoina – S. Maria, che viene festeggiata il 28 agosto da tutti i Mrznarija e dura 3 giorni.
Ogni gruppo è devoto di un santo, e i serbi di Scampia sono devoti a S. Maria. Tipica di questa
festa è la benedizione del pane: le donne cucinano tre pagnotte decorate, una per ogni giorno
della festa. Il primo giorno il capofamiglia accende una candela e la infila nel pane, poi la sera
estrae la candela dal pane e taglia la pagnotta a forma di croce. Ognuno chiede una grazia al
santo. Il secondo giorno si mangia il pollo, oltre naturalmente ad altre cose. Il terzo giorno la
festa resta in famiglia.
Altre feste dei serbi, ma celebrate solo da alcuni e non sempre in Italia sono:
Troice (9-12 agosto), festa d’estate in cui si fa benedire in chiesa il pane, che poi viene
consumato in casa;
S.Nicola (16 dicembre), in cui si mangia solo pesce;
La festa dei morti (novembre), in cui si porta cibo al cimitero per offrirlo ai morti e, dopo la
benedizione, si consuma il cibo.
I musulmani di Napoli, tranne pochissime famiglie, non festeggiano il Ramadan.
Più sentito, sembra, tra quelli della Macedonia l’ultimo giorno del Ramadan cioè il Grande
Bairam organizzando pranzi abbondanti a base di agnello accompagnati da canti e musiche
tradizionali. Gli strumenti che usano per suonare sono: la fisarmonica, la grancassa, il flauto. Il
Grande Bairam dura tre giorni durante i quali non si va al lavoro.
Segue il Piccolo Bairam durante il quale si ha l’abitudine di preparare dolci a base di farina,
noci, miele. In tale occasione ci si veste con abiti nuovi e i bambini vanno in giro a chiedere
soldi. C’è la preghiera di mezzogiorno nella moschea dove si recano gli uomini, mentre le
donne preparano il pranzo. Il testimone intervistato ha riferito che in questo giorno ci si purifica
dai peccati, pertanto se durante un acquisto un cliente dà inavvertitamente al commerciante
una somma di danaro superiore al costo della merce che sta acquistando, costui glieli rende
perché in questo giorno è particolarmente peccaminoso truffare.
Altre feste dei Rom musulmani sono:
Vasilica – 14 gennaio, perché il nuovo anno porti felicità. Si mangiano soprattutto uova e
pollame.
Veligdan (marzo), dura 2 giorni e si regalano ai bambini uova colorate,
I riti e le usanze legate alle fasi della vita riguardano essenzialmente 4 momenti principali:
La nascita: anche il battesimo, come il matrimonio, viene festeggiato con una cerimonia
ritenuta fondamentale, ma svolta secondo modalità adattate alle possibilità offerte dalla vita nei
campi, ma occorre assolutamente che ci sia. Può essere fatto anche dopo anni, ma è molto
importante perché con questa cerimonia il bambino viene tolto dalle mani del diavolo e
consegnato in quelle di Dio. La festa dura 3 giorni. In Jugoslavia, il battesimo si fa anche in
Chiesa, in Italia soltanto al campo. Alcuni gruppi rom musulmani rispettano la tradizione
islamica di dare il nome al bambino dopo sette giorni dalla nascita. Questa sorta di battesimo
costituisce un evento molto importante e perciò particolarmente festeggiato.
Il passaggio all’età adulta è segnato dalla circoncisione che è molto praticata tra i musulmani e
avviene intorno agli 8 anni con feste e banchetti. I macedoni la praticano solo per i maschi,
prima che abbiano compiuto i sette anni. La circoncisione è un evento che si festeggia in
famiglia. La cerimonia avviene preparando il letto che viene addobbato con veli bianchi e fiocchi
azzurri fatti di toulle. Il bambino viene vestito con una tunica comoda e un cappellino dello
stesso colore. Dopo il taglio egli viene adagiato sul letto dove rimane l’intera giornata ricevendo
i doni dalla famiglia.
Il matrimonio: per lo sfarzo e la ritualità, i matrimoni zingari suscitano, in genere, molto
interesse e curiosità nelle popolazioni circostanti. La festa dura tre giorni ed è caratterizzata da
lauti banchetti e musica. La sera del secondo giorno gli sposi si ritirano in una roulotte per
consumare il matrimonio, strettamente controllati da sei donne estranee e dalle donne della
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famiglia. Finchè non escono con la prova della perduta verginità. Se tutto va bene, come in
genere accade, alla fine del terzo giorno la sposa passa nella casa del marito, dove dovrà pulire
e accudire tutti, sostituendosi alla suocera nelle faccende domestiche.
I matrimoni in genere avvengono ai campi, ma spesso i rom più benestanti cominciano ad
affittare sale pubbliche (ma senza personale). Sono le donne rom che, preso possesso di questi
spazi e delle infrastrutture, si danno energicamente da fare per preparare sontuosi banchetti
senza risparmio, che verranno poi consumati ascoltando canti e musica eseguita da gruppi
musicali rom professionisti che suonano durante tutti i banchetti matrimoniali che si svolgono in
Italia, Francia, Spagna, Germania ed altri paesi europei.
Tra i macedoni è diffusa l’usanza secondo la quale è la famiglia dell’uomo che va dalla
famiglia della donna a chiederla in sposa per il proprio figlio. Questo non significa che l’uomo
non sceglie, anzi è lui che fa la scelta e ne parla con i suoi genitori. Questi ultimi possono
proporgli una sposa, ma se la donna individuata dai genitori non gli piace, egli non accetta. La
cerimonia del fidanzamento si concretizza in una visita dei genitori del pretendente alla famiglia
della ragazza che non è presente alla discussione, ma aspetta in un’altra stanza della casa la
decisione dei suoi genitori. Durante la cerimonia tutti siedono e, su un tavolo disposto al centro
della stanza, si prepara un grande cesto con pezzi di pane conditi con sale, zucchero e olio. La
famiglia della ragazza chiede un’offerta. Se ci si mette d’accordo segue la cerimonia del pane
che consiste nel prenderne un pezzo e imboccarsi reciprocamente. E’ solo dopo questo rito che
la donna, coperta da un velo rosso, può entrare nella stanza dove sono i genitori, salutare i
presenti, baciare la mano e il petto della futura suocera e ricevere l’anello di fidanzamento, altri
regali e i soldi. Il fidanzamento dura diversi mesi al termine del quale ci si sposa. Anche il
matrimonio segue delle regole precise. La cerimonia dura tre giorni: durante i primi due le
famiglie dei due sposi festeggiano separatamente; il terzo giorno la famiglia dell’uomo va a
prendere la sposa per portarla nella propria casa dove seguono altri festeggiamenti. Per i
macedoni la verginità della donna riveste un significato fondamentale, infatti se la sposa non è
vergine, viene riportata a casa dei suoi genitori che saranno costretti a pagare il doppio delle
spese sostenute dalla famiglia dello sposo per organizzare il fidanzamento e il matrimonio. I
matrimoni avvengono fra appartenenti alla stessa comunità ed è raro il matrimonio con stranieri.
La morte: quando muore un Rom, arrivano i familiari anche da luoghi lontani. Si accende un
fuoco attorno al quale si siedono tutti. Il lutto dura un anno, durante il quale non si può ascoltare
musica nè ballare. Per 9 giorni i parenti del morto non possono lavarsi o cambiarsi i vestiti. Per
40 giorni gli uomini non possono radersi. Alla scadenza di o 3 giorni, 40 giorni, 6 mesi e un
anno si ripete un banchetto, possibilmente con i cibi preferiti dal morto. A capotavola si pone la
fotografia del morto con tutte le cose a cui era più affezionato. Se il morto è un bambino, a
capotavola si mette un bambino dell’età del morto, con vestiti nuovi e tutto ciò che egli preferiva.
A questo bambino vengono dati i cibi migliori. Dopo un anno si scaccia l’anima del morto dalla
casa e finisce il lutto.
Forme organizzative: La principale associazione rom a parte l’Opera Nomadi. Quest’ultima è nata a
Napoli nel 1996 con lo scopo di incentivare l’integrazione culturale dei rom e difendere le loro diverse
tradizioni. L’associazione si è molto impegnata nell’attivazione di interventi sociali all’interno dei campi rom
presenti nella zona Nord della città, in vista di un generale miglioramento delle condizioni di vita di queste
aree. Ha, inoltre attivato, corsi di alfabetizzazione attraverso attività didattiche avviate presso il Centro
Territoriale Permanente Berlinguer per quanto riguarda gli adulti, corsi di l’alfabetizzazione dei
preadolescenti attraverso attività didattiche e laboratori teatrali allestiti negli stessi campi. Negli ultimi anni ci
si è concentrati anche nell’attività di accompagnamento ai servizi scolastici, di educazione interculturale
effettuata negli stessi villaggi, di accompagnamento ai servizi e nell’attività di sportello informativo sociale,
legale e sanitario.
4.4.4 La comunità rumena
Degli immigrati di nazionalità rumena a Napoli si hanno ancora poche notizie. Tale mancanza di
conoscenza è dovuta soprattutto alla loro scarsa presenza numerica - almeno fino ai primi mesi del 2003 –
nel territorio cittadino, una presenza non paragonabile alla corposità dei flussi di immigrati provenienti da altri
paesi dell’est Europa, in modo particolare dalla Polonia e dalla Ucraina. Di essi si è iniziato a parlare con
maggior interesse nel corso dei mesi di giugno e luglio del 2003 quando un po’ alla volta piazza Garibaldi ha
costituito il rifugio notturno per centinaia di rumeni - alcuni di etnia rom, molti bambini piccoli – che si erano
concentrati nel piazzale antistante la stazione allontanati da altre zone della città o semplicemente in
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mancanza di altri riferimenti e che trascorrevano la notte adagiati su cartoni sfruttando le aiuole e le altre
aree protette dal traffico delle automobili 73.
In ogni caso risultano residenti nel comune di Napoli 73 cittadini di origine rumena, di cui 49 donne.
Tuttavia dalle stime della nostra interlocutrice risulta che a tutt’oggi a Napoli vivono circa 500 rumeni, di cui
circa 200 si sarebbero stabilizzati a Casoria, un numero leggermente inferiore vivrebbe a Ponticelli.
Gli arrivi risalgono, come si è detto, prevalentemente ai primi mesi del 2003 e l’aumento repentino di
questa comunità è stato dovuto alla catena migratoria che si è creata subito dopo l’arrivo di un piccolo
nucleo di rumeni alla fine del 2002 che avendo trovato le condizioni, seppur precarie, per insediarsi hanno
incoraggiato altri arrivi. La maggioranza di loro è legata da rapporti di parentela ed è originaria di una città
che dista 50 Km da Bucarest: Kalarasc. Alcuni, prima di raggiungere l’Italia, hanno trascorso alcuni mesi in
Turchia dedicandosi alla raccolta di cartoni ma, non avendo ricevuto i compensi promessi, hanno deciso di
dirigersi in Italia.
Ci è stato riferito che ultimamente, da quando l’ingresso della Romania nell’Unione Europea è prossimo,
è più facile ottenere passaporti per l’espatrio e l’ingresso in Italia è, relativamente, più semplice di prima
anche perché non è necessario richiedere il visto turistico. I Rumeni arrivano, così, in auto o in pullman,
passando per l’Ungheria e l’Austria. Arrivano quasi tutti con l’intera famiglia e bambini molto piccoli. Tuttavia
spesso i rumeni vengono fermati alle frontiere dalla polizia che impedisce l’ingresso in territorio italiano
perché, ci riferisce l’intervistata, non crede né che siano turisti né che cercheranno un lavoro (avendo
bambini al seguito). Le forze dell’ordine sanno che molto probabilmente si dedicheranno a chiedere
l’elemosina. Per tali motivi molti di loro vengono avvicinati da Rumeni che, dietro il pagamento di una certa
somma di denaro, li accompagnano in pulmino, aggirando i controlli alle frontiere, fino a piazza Garibaldi.
Chi sceglie tale mezzo di trasporto contrae con il trasportatore un debito di circa 250-300 euro che dovrà poi
ripagare.
In seguito agli ultimi arrivi, dunque, si sono così concentrati nel estate del 2003 circa 200 rumeni nella
zona della stazione centrale. Dopo numerose proteste di cittadini infastiditi, alcuni, preoccupati, altri, dalla
presenza di un numero così folto di persone, soprattutto bambini, che vivevano in strada, è sembrato
necessario un intervento da parte dell’Opera Nomadi e del Comune. Quest’ultimo ha disposto il loro
trasferimento a Saviano in un campo nomadi da dove, però, si sono visti costretti a fuggire ancora una volta
a causa di aggressioni subite da una parte della popolazione che non aveva gradito i nuovi ospiti. In tale
occasione la cronaca sui giornali ha riportato che è stato, tra l’altro, dato fuoco ad una roulotte.
In seguito a tali episodi i gran parte dei Rumeni sono accolti in due istituti scolastici: uno a Soccavo e nei
pressi di piazza Garibaldi. Nella prima sono presenti circa 60 rumeni, nella seconda circa 50. Gli altri sono
scappati via, alcuni sono ritornati a piazza Garibaldi.
Il gruppo è composto in buona parte da persone molto giovani, con età che difficilmente superano i 45
anni. Ci sono, inoltre, molti bambini ed alcune ragazze minorenni sono incinte.
Molti sono giunti con la speranza di poter trovare lavoro nei campi, la maggioranza di loro era dedita , di
fatti, già in Romania ad attività agricole.
Un buon numero è di etnia rom ma non era più nomade da ormai molto tempo. Questi ultimi vivevano in
appartamenti.
La causa della loro diaspora dalla Romania è da ricondurre, chiaramente, alle durissime condizioni
economiche che sta vivendo il paese, all’alto tasso di disoccupazione e al bassissimo livello degli stipendi.
Nonostante le difficili condizioni di vita che si sono lasciati alle spalle, non si aspettavano che, arrivati a
Napoli, la situazione si sarebbe aggravata, che sarebbe stato così difficile trovare lavoro ed alloggio. Molti di
loro vorrebbero ritornare a casa propria ma non ha i soldi per farlo. Dichiarano di guadagnare, chiedendo
l’elemosina, mediamente quindici euro al giorno. La Protezione civile fornisce i pasti a coloro che sono
accolti nelle due scuole su menzionate.
In questi mesi l’Opera Nomadi è stata fortemente impegnata cercando di arginare i casi più gravi,
effettuando accompagnamenti ai servizi sanitari (molti hanno infezioni, problemi ginecologici, sono ammalati
di ulcera, di gastrite). Gli operatori stanno cercando di ottenere i permessi di soggiorno per le donne incinte.
La condizione dell’infanzia- I rapporti con la scuola: I minori rumeni residenti nel Comune di Napoli
risultano essere 9 secondo i dati forniti dall’Anagrafe cittadina relativi al 2003. Tre di essi hanno un’età
inferiore ai 6 anni, 4 un’età inferiore ai 15 e 2 hanno più di 14 anni. I minorenni rappresentano il 12,3 %
dell’intera comunità rumena residente nel territori cittadino e lo 0,4% dei minori stranieri residenti a Napoli.
Aspetti religiosi e ricorrenze principali: I Rumeni giunti negli ultimi mesi a Napoli sono praticamente tutti
ortodossi, molto ridotta è la componente cristiana.
4.4.5 La comunità ucraina
73
. La testimone contattata è un’operatrice dell’Opera Nomadi.
128
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Gruppi di lavoro- Coop. Dedalus
Dai dati forniti dall’Anagrafe cittadina relativi all’anno 2003 risultano residenti nel comune di Napoli 198
immigrati di nazionalità ucraina, di cui 174.
Le testimoni di tale nazionalità con cui si sono svolti colloqui nel corso di questa ricerca ritengono che i
loro connazionali realmente presenti nel comune di Napoli sarebbero diverse migliaia. Circa i due terzi di
questa comunità sono composti da donne, la componente di minori non supererebbe il 10% dell’intera
comunità. Considerando anche la provincia napoletana, le presenze raggiungerebbero alcune decine di
migliaia, la percentuale di donne e minori, resterebbe, però, invariata. I bambini di tale nazionalità risultano,
dunque, poco numerosi, spesso vengono lasciati nei paesi di origine e le madri provvedono a distanza al
loro mantenimento. Ultimamente si stanno verificando diverse unioni tra queste donne e uomini nordafricani,
come nel caso delle donne polacche. Le nascite all’interno di queste unioni sono dunque recenti e quindi i
bambini sono ancora troppo piccoli per poter essere inseriti nelle scuole.
La maggioranza degli ucraini pratica il cristianesimo ortodosso; vi sono, però, anche numerosi ucraini
cattolici e cristiani protestanti.
La gran parte di coloro presenti a Napoli è originaria delle regioni occidentali del paese, ad esempio della
zona di Lvov e Leopoli.
Gli ucraini abitano prevalentemente nelle zone situate nei pressi di piazza Cavour e della stazione
centrale, ma alcune presenze sono state segnalate anche ai Quartieri Spagnoli, a Capodichino ed a
Piscinola. La maggioranza dei membri di tale comunità svolge lavori di assistenza ad anziani e lavori
domestici in quartieri diversi da quelli in cui abita, solitamente i “quartieri alti” quali Posillipo, il Vomero,
74
l’Arenella .
Una parte delle donne ucraine è coinvolta nel circuito della prostituzione. Tale fenomeno è stato oggetto
di altri lavori 75.
La condizione dell’infanzia: I minori di origine ucraina che nell’anno 2003 risultano risiedere nel comune di
Napoli sono 23. Di questi, 4 rientrano nella fascia di età tra gli 0 ed i 5 anni, 14 hanno tra i 6 ed i 14 anni e 5
hanno un’età compresa tra i 15 ed i 18 anni. La comunità ucraina residente a Napoli è dunque costituita per
l’11,6% da minori; questi ultimi rappresentano l’1% di tutti i minori stranieri residenti nel territorio cittadino.
Una delle donne intervistate ha detto di aver sentito di casi di minori affidati a famiglie italiane figli di donne
sole, ma non ha saputo darne una stima, né descriverne la condizione.
I rapporti con la scuola: Una delle testimoni contattate ritiene che i pochi bambini ucraini che frequentano
le scuole napoletane siano ben inseriti, ma non si dilunga ulteriormente sulla questione.
La casa: Gli ucraini, per trovare una prima accoglienza, una volta giunti a Napoli, tendono a rivolgersi a
connazionali o a conoscenti di altre nazionalità, soprattutto Srilankesi e Polacchi. I problemi maggiori
nascono in un momento successivo, quando si decide di affittare un appartamento; in questo caso
impiegano, per trovarlo, non meno di tre-quattro mesi.
I criteri che orientano la scelta di un alloggio da parte degli Ucraini sono il prezzo del fitto contenuto, una
zona facilmente raggiungibile e buone condizioni strutturali. Gli aspetti che, invece, li spingono a lasciare una
casa sono l’umidità e i rapporti conflittuali che possono instaurarsi con il proprietario. Gli stranieri di tale
nazionalità tendono a non investire in opere di ristrutturazione degli appartamenti in cui vivono.
La casa, da tale comunità, viene concepita essenzialmente come un rifugio, un luogo dove poter trovare
libertà e tranquillità. Questo ci fa pensare che la sistemazione presso l’abitazione del datore di lavoro,
comune a molti stranieri che svolgono lavori presso le famiglie italiane, viene vissuta con sopportazione ed
insoddisfazione.
Il commercio etnico: L’unica attività commerciale gestita da ucraini non è stata organizzata a Napoli, ma a
Parete in provincia di Caserta. Il mercato napoletano pare offrire una vasta gamma di prodotti alimentari
normalmente consumati dagli ucraini, ma la testimone contattata si lamenta del fatto che sono molto poco
naturali e troppo contenenti additivi chimici.Questi vengono fatti arrivare a Napoli tramite amici o parenti, ma
anche tramite connazionali a pagamento. Un altro modo per acquistare questi prodotti è quello di rivolgersi
ai pulmini che arrivano ogni domenica a piazza Garibaldi e che li trasportano direttamente dall’Ucraina,
vendendoli poi a Napoli.
I rapporti con la popolazione locale e con altre comunità di immigrati: Il rapporto con i napoletani viene
descritto in generale come piuttosto positivo. La popolazione locale nei confronti degli ucraini appare
tollerante e disponibile. Le testimoni ci parlano di “incontri fortunati e gentili”con alcuni napoletani. Gli episodi
sgradevoli sono relativi soprattutto ai rifiuti da parte dei datori di lavoro di rinnovare il contratto a coloro che
svolgono lavori di colf e badanti e, nel caso delle donne, a richieste spesso pressanti e volgari di prestazioni
che esulano dal rapporto di lavoro.
74
. Per tale comunità sono state intervistate tre donne, di cui due sono le rappresentanti ufficiali dell’Associazione di aiuto
ai cittadini dell’ex Unione Sovietica e dell’Associazione di donne dell’est.
75
. Morniroli A. (a cura di) 2003, Maria, Lola e le altre in strada. Inchieste, analisi, racconti sulla prostituzione migrante,
Ed. Intra Moenia, Napoli.
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Matrimoni ed unioni, tradizionali e misti: Una delle interlocutrici ci ha segnalato dieci casi di matrimoni
misti tra donne della sua comunità e uomini italiani, africani, soprattutto marocchini, e polacchi. Le donne
ucraine (circa due mila) hanno anche relazioni, sia pure in assenza di matrimonio, con uomini srilankesi,
albanesi, polacchi e marocchini. Anche in questo caso si ritiene che i motivi per cui potrebbero crearsi
difficoltà in tali rapporti dipendono dalla diversità culturale in primo luogo, secondariamente dalle eventuali
diverse concezioni dell’educazione dei figli e la non accettazione da parte delle famiglie. La diversità
religiosa non viene indicata come una possibile fonte di contrasti in coppie di nazionalità diversa.
Vita comunitaria (luoghi di incontro e di socializzazione): I luoghi di ritrovo per i membri di tale comunità
sono rappresentati da spazi pubblici quali piazza Garibaldi, via Vespucci, il Parco Virgiliano, la villa
comunale, i Giardini di via Ruoppolo al Vomero. Ciò è indicativo di una mancanza, comune a molte altre
comunità straniere, di locali gestiti da connazionali dove mantenere le relazioni sociali con altri ucraini ed
organizzare attività di natura socio-culturale. I giorni in cui tali incontri sono possibili sono quelli divenuti
ormai comuni a tutti gli stranieri impegnati in attività lavorative presso le famiglie: il giovedì pomeriggio e la
domenica. In queste piazze gli ucraini si incontrano, vengono “agganciati” dai possibili datori di lavoro,
arrivano e ripartono con gli autobus diretti o provenienti dal proprio paese.
Aspetti religiosi e ricorrenze principali: la popolazione ucraina è composta, principalmente, da cristiani
ortodossi e cattolici.
La nostra testimone ha, di fatti, annoverato tra le feste principali celebrate al proprio paese
quelle fondamentali e comuni a tutta la cristianità: il Natale e la Pasqua. La particolarità di tali
feste vissute in Ucraina consisterebbe nella diversa data della celebrazione che per il Natale
corrisponderebbe al 7 Gennaio (data del Natale ortodosso), la Pasqua, invece, ricorre in un
periodo compreso tra il mese di aprile e di maggio.
In occasione della vigilia di Natale, che in Ucraina si chiama “la sacra cena”, si cucinano
dodici portate che simbolicamente richiamano i dodici apostoli, nessuna di queste è a base di
carne, che può essere mangiata solo il giorno seguente. Il giorno della vigilia non si può
mangiare nulla fino al sorgere della prima stella nel cielo. Secondo la tradizione la cena
dovrebbe aprirsi con la preghiera del padre di famiglia che ringraziava Dio per la salute, il
benessere di cui la famiglia aveva goduto nel corso dell’anno che si stava per chiudere e le
chiedeva anche per l’anno successivo. Molto sentiti i canti, intonati durante la cena, che
raccontano e glorificano la nascita di Gesù Cristo.
Il giorno di Capodanno il 31 dicembre, il 13 gennaio per gli ortodossi. Il primo gennaio, di
buon’ora, i ragazzi cominciano ad andare di casa in casa per dare gli auguri a tutti cantando
una canzone, gettando del grano o del riso per terra. Secondo la tradizione il primo ad entrare
deve essere un maschio in modo che tutto il successivo anno sarà felice.
L’Epifania per il calendario ortodosso è il 18 gennaio. Viene chiamata la seconda sacra
cena, le pietanze della vigilia vengono cucinate anche in questa occasione.
La Pasqua ortodossa si festeggia circa due settimane dopo quella cattolica. Anche in
Ucraina c’è la stessa usanza di dipingere le uova come in Polonia.
Altre date importanti per l’Ucraina sono la festa dei lavoratori (celebrata l’1 ed il 2 di
maggio), la festa della donna (8 marzo) e la festa dell’indipendenza dall’ex Urss. festeggiata
il 24 agosto.
Le feste che le nostre interlocutrici ritengono fondamentali mantenere anche a Napoli sono quelle dal
significato più religioso. Di fatti gli ucraini che vivono in questa città le festeggiano mangiando, bevendo,
cantando sia in casa sia all’esterno. C’è solo una minima partecipazione a tali celebrazioni da parte di italiani
e di stranieri di altre nazionalità.
Pur essendo cristiani gli ucraini sentono l’esigenza di cimiteri diversi da quelli che esistono a Napoli in
quanto le loro modalità di sepoltura non prevedono loculi, bensì una tomba unica per ogni salma deposta
direttamente nel terreno.
Forme organizzative: L’associazione di aiuto ai cittadini dell’ex Unione Sovietica agisce informalmente già
da quattro anni ma si è data una forma ufficiale nel 2000 con lo scopo di aiutare ed indirizzare gli immigrati
provenienti da tali paesi (essenzialmente Ucraina, Moldavia e Russia) nella tutela e nell’ottenimento dei
propri diritti e, più in generale, per sostenerli nella comprensione delle norme e della cultura italiana, in modo
da favorirne l’integrazione nel tessuto di questa società. A tal fine l’associazione organizza corsi di lingua
italiana rivolti ad un’utenza adulta, finanziati grazie al pagamento di una quota di iscrizione, nonché svolge
regolarmente attività di informazione, orientamento e consulenza/tutela legale. L’associazione ha la sua
sede in piazza Garibaldi.
Altro soggetto collettivo creato da alcune donne provenienti da diversi paesi dell’ex Unione Sovietica è
L’Associazione di donne dell’est. Questo ente è stato fondato nel febbraio 2003 da 6 donne: 4 ucraine, una
moldava ed una russa. Essendosi costituita da pochi mesi, l’associazione manca di una forma ben
strutturata e di un numero di partecipanti che vada oltre le 5 fondatrici. Fino al momento in cui si scrive
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Gruppi di lavoro- Coop. Dedalus
l’organizzazione non usufruisce di una propria sede, ma è ospite nei locali di uno studio legale che ha molto
sostenuto queste donne nel dare vita all’associazione e nel portare avanti la prima attività che le ha viste
impegnate: il ricongiungimento familiare della figlia della socia deceduta con i suoi genitori, dato che la
donna aveva espresso il desiderio di vedere sua figlia prima di morire. La presidente intervistata dichiara di
essere alla ricerca di una propria sede per poter realizzare tutte le attività che sta progettando insieme alle
sue colleghe. In primo luogo l’associazione vorrebbe rappresentare non solo per le donne provenienti dai
paesi dell’Europa orientale, ma anche per gli uomini, un vero e proprio centro culturale in cui essi possano
incontrarsi, trascorrere il proprio tempo libero, poter leggere libri e giornali nella propria lingua, organizzare
feste anche con lo scopo di promuovere e far conoscere a persone di diverse nazionalità la propria cultura,
far conoscere iniziative culturali promosse nella città di Napoli. In questa sede funziona anche uno sportello
informativo e di tutela legale che sia in grado di orientare e supportare gli immigrati dell’est nell’accesso ai
servizi, nella conoscenza del territorio e della normativa in materia di immigrazione, nella consapevolezza
dei propri diritti. Del resto la presidente ritiene che uno dei problemi principali “della sua gente” sia la
profonda mancanza di informazioni. Una questione in cui vorrebbero impegnarsi molto è quella relativa alle
pratiche per i ricongiungimenti familiari. La maggioranza di coloro che emigrano dai paesi dell’Est Europa
lascia i propri figli al paese di origine ma questa situazione dopo alcuni anni comincia a diventare
insostenibile e fonte di profonde sofferenze per queste persone che spesso manifestano l’intenzione di
volersi ricongiungere con i propri figli, soprattutto una volta regolarizzata la propria presenza in Italia e, ancor
più, nei casi in cui non decidano di fare rientro nei propri paesi, almeno non nell’immediato. Altro aspetto a
cui questa associazione sembra particolarmente legata è quello culturale. Sia la presidente sia una delle
socie ritengono che molti giovani che emigrano in Italia tendano a dimenticare le proprie origini, la propria
cultura, la propria storia. Questo è vero soprattutto per i bambini che arrivano qui molto piccoli al seguito dei
propri genitori o nati in Italia. Per tali motivi le due donne vorrebbero promuovere iniziative nelle scuole
indirizzate sia agli alunni italiani che a quelli di origine dell’est per far conoscere la propria cultura e la propria
storia. Altra attività che entrambe le donne ritengono fondamentale è l’incentivazione dei propri connazionali
al miglioramento della propria formazione affinché, una volta regolarizzati, possano trovare occupazioni
lavorative che non automaticamente coincidano con quelle della collaborazione domestica e dell’assistenza
alle persone.
4.5 LE COMUNITA’ PROVENIENTI DALL’AMERICA LATINA
In ultima istanza si prendono in considerazione i principali aspetti sociali, culturali e le più rilevanti
caratteristiche dell’immigrazione delle comunità provenienti dai paesi del centro e sud America: la Colombia,
la Repubblica dominicana, l’Ecuador ed il Perù. Provengono da 15 diversi paesi della America Latina circa
1.762 immigrati residenti (pari al 4% del totale), soprattutto donne.
4.5.1 La comunità colombiana
Nel comune di Napoli risultano, nell’anno 2003, 168 residenti di nazionalità colombiana, di cui 133
donne 76. I testimoni intervistati non hanno, però, saputo dare stime sulla reale presenza di tale comunità.
L’emigrazione colombiana è spinta essenzialmente da due ordini di fattori, la crisi finanziaria e l’instabilità
politica. Ad aggravare ulteriormente la situazione di tale paese intervengono anche elementi quali i disordini
provocati dal narcotraffico e da calamità naturali, il terremoto.
La comunità colombiana di Napoli è composta prevalentemente da donne impiegate soprattutto nel
settore domestico. Tale gruppo nazionale abita essenzialmente nella area dei quartieri Spagnoli e nel
quartiere di Pianura.
La quasi totalità dei colombiani, anche di coloro che abitano a Napoli, è di religione cristiana.
I testimoni non hanno saputo dare una stima della consistenza numerica effettiva della loro comunità.
La condizione dell’infanzia: I bambini di origine colombiana residenti a Napoli nell’anno 2003 sono venti:
otto hanno meno di sei anni, otto hanno un’età compresa tra i 6 ed i 14 anni e quattro hanno 15 anni e più. I
minori colombiani costituiscono il 12% della comunità colombiana residente e rappresentano l’1% dei minori
stranieri residenti. Questo aspetto non è stato affrontato dagli interlocutori.
Il rapporto con la scuola: dalle interviste è emerso un giudizio positivo sull’inserimento dei loro figli nelle
scuole napoletane perché i ragazzi sono nati in Italia o vi arrivano in tenera età, pertanto non hanno nessun
problema a imparare l’italiano.
La casa: per avere una prima accoglienza al momento dell’arrivo, i colombiani possono contare sull’aiuto
dei parenti che già vivono a Napoli. Per affittare un appartamento in un momento successivo, invece,
76
. Per avere informazioni sulla comunità colombiana che vive a Pianura è stata intervistata una famiglia colombiana che
vive a Napoli da 13 anni.
131
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impiegano del tempo (circa sei mesi), sia perchè preferiscono avere una casa al piano terra per non avere
problemi con i vicini, sia perché la vogliono abbastanza grande per viverci in più persone. Abbandonano le
case soprattutto per motivi igienici o a causa dell’umidità. In breve, la casa per i colombiani è
fondamentalmente un luogo deputato alla socializzazione e quindi deve avere delle caratteristiche precise,
ne assicurano una discreta manutenzione, ma non fanno lavori ingenti. Si incontrano soprattutto la domenica
o in occasione di compleanni e feste religiose.
Il commercio etnico: i Colombiani acquistano i prodotti della loro terra nei negozi di Montesanto e di
piazza Garibaldi. Si tratta di prodotti alimentari come liquori, fagioli neri, banane e youka. Hanno difficoltà
invece a reperire alcuni prodotti come la carne di animali selvatici, il savalo un pesce di fiume e teronjil, erbe
per gli infusi. I Colombiani organizzano in alcune case private la vendita di piatti tipici del loro paese. In
passato alcuni colombiani avevano aperto un ristorante nel quartiere di Pianura che è stato chiuso in
seguito.
I rapporti con la popolazione locale e con altre comunità di immigrati: i Colombiani reputano i napoletani
“poco tolleranti, disponibili quando conviene a loro, in alcuni casi indifferenti, diffidenti” a causa della loro
scarsa conoscenza e comprensione nei confronti delle persone di origine straniera. I Colombiani denunciano
spesso episodi di intolleranza di cui sono vittime all’interno dei mezzi di trasporto e la diffidenza di alcuni
negozianti nel vendere loro i propri prodotti, come se avessero paura che gli stranieri non sono in grado di
pagare!
Matrimoni ed unioni, tradizionali e misti: I testimoni intervistati hanno rilevato casi di matrimoni misti tra
connazionali, sia uomini che donne, e italiani, peruviani e dominicani. Il numero non è stato indicato, ma le
persone intervistate hanno la sensazione che si tratti di una cifra abbastanza elevata. Tali coppie vivono un
basso livello di difficoltà per motivi religiosi, per problemi che vengono causati dagli altri e per una non
accettazione da parte delle famiglie. Le difficoltà diventano maggiori quando si affronta la questione
dell’educazione dei figli e gli aspetti giuridici.
Vita comunitaria. Aspetti religiosi e ricorrenze principali: La grande maggioranza della comunità
colombiana è di religione cattolica e le date delle ricorrenze considerate principali in Colombia, secondo il
parere dei testimoni, coincidono spesso con il calendario cattolico.
La festa della Madonna del Carmine cade il 16 luglio. I festeggiamenti, che consistono in
processioni e balli, iniziano la sera e proseguono per tutta la notte.
Segue, il 19 marzo, la festa di San Giuseppe considerata la festa degli sposi. In tale
occasione amano divertirsi, mangiare insieme e scambiarsi regali fra coniugi.
L’8 dicembre ricorre la festa delle candele. In tale notte vengono sistemate le candele su
tutti i balconi in attesa del passaggio della Madonna che viene portata in processione. Si rimane
svegli finchè dura la luce delle candele.
Il 6 gennaio festeggiano Cuculucio cioè la festa della Befana. L’atmosfera è simile a quella
di Carnevale; ci si prepara al ballo almeno due mesi prima e nel giorno della befana tutte le
persone vestite con abiti coloratissimi ballano e si divertono.
Nono mancano le feste civili e precisamente la festa della liberazione il 20 luglio che si
festeggia come in tutti gli altri paesi: parate militari, sfilate e marce.
Il giorno della razza è una festa diffusa in molti paesi sudamericani. Il significato di tale
ricorrenza risiede nella valorizzazione del meticciato che contraddistingue questo popolo; infatti,
in tale occasione, tutti si dipingono il viso o con i colori della bandiera oppure colorano una parte
del viso con un colore e l’altra con un colore diverso.
La loro tradizione prevede anche alcune usanze legate alle fasi più importanti del ciclo di
vita.
La festa del neonato: quando nasce un bambino c’è l’usanza di andare a trovare il nuovo
padre per portargli dei doni. Gli ospiti brindano insieme al padre con la tequila e fingono di
urinargli addosso versandogli addosso un po’ di acqua o tequila.
Un’altra usanza è festeggiare il passaggio all’età adulta delle giovani adolescenti; si chiama
la festa della principessa. La cerimonia investe le ragazza di 15 anni e consiste
nell’organizzare un ballo nella sua casa al quale vengono invitati 15 ragazzi e 15 ragazze della
stessa età . In questa occasione il padre della ragazza fa l’ultimo ballo con sua figlia: questa
danza simboleggia il distacco della ragazza che dalla sua famiglia per iniziare un'altra vita,
quella della donna adulta. Dopo il ballo tra padre e figlia inizia la festa con gli amici. Anche
questa festa viene è comune ad altri paesi di cultura latinoamericana (Perù, Ecuador)
I matrimoni avvengono come in tutti i paesi cattolici ma i festeggiamenti si svolgono in ampi
spazi perché il matrimonio non consiste nell’andare a mangiare seduti in un ristorante, secondo
l’usanza italiana, ma nel ballare per lungo tempo.
132
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Per quanto riguarda la morte, si ha l’abitudine di stendere il corpo del defunto sul letto e tutti
i conoscenti, in fila, passano davanti a lui per rendergli l’ultimo saluto. Se a morire è un
bambino, si raccontano favole e barzellette per tutta la notte per creare gioia.
Le feste che tale comunità ritiene importante festeggiare a Napoli sono costituite dalla befana (Cuculucio)
e la Cumbia, una tipica e tradizionale festa da ballo con musica salsa e merengue.
La comunità non riesce, però, a festeggiarne nessuna in questa città, mancando di organizzazione e di
connazionali che si assumano il ruolo di coordinare l’intera comunità. Si limitano, per tali ragioni, a
festeggiare i compleanni che vengono organizzati in privato nelle loro case. Anche questi festeggiamenti
avvengono in forme molto ridotte, risentendo della mancanza di luoghi ampi. Si è costretti ad invitare solo gli
amici più stretti, non solo colombiani, ma anche italiani, dominicani, ivoriani. Raramente si incontrano in
discoteche, ad esempio quella sita nel quartiere Fuorigrotta molto frequentata da altre comunità
sudamericane e dai capoverdiani.
Rispetto alla sepoltura non hanno riti particolari né sentono l’esigenza di uno spazio adeguato alle loro
esigenze. Come tutte le comunità straniere vogliono essere sepolti al proprio paese.
La quasi totalità dei colombiani che vivono a Napoli è di religione cattolica, solo una piccola percentuale è
testimone di Geova. I loro luoghi di culto sono, dunque, rappresentati dalle chiese. Alcuni di loro partecipano
ai pellegrinaggi alla chiesa della Madonna dell’Arco.
Forme organizzative: i Colombiani non risulta abbiano mai costituito una associazione, però quelli che
abitano in questo quartiere si conoscono quasi tutti, organizzano di frequente riunioni o si incontrano nelle
case di qualche connazionale per festeggiare insieme alcuni eventi della loro vita. Non essendovi
un’associazione che li sostiene, in caso di bisogno si rivolgono ad amici e parenti.
4.5.2 La comunità dominicana
I residenti dominicani nel comune di Napoli sono, nell’anno 2003, 551, di cui 402 donne 77. Le testimoni
hanno fornito stime molto discordanti sulla reale presenza della loro comunità nel comune di Napoli. Una di
esse ha dichiarato che in questa città vivrebbero circa 1300 dominicani, di cui l’80% composto di donne, non
ha saputo quantificare la presenza in provincia e la percentuale di minori, probabilmente perché molti di
quelli nati a Napoli vengono, poi, portati nella Repubblica Dominicana. Le altre due testimoni hanno indicato
numeri molto più contenuti: nella sola città di Napoli, secondo le loro percezioni, vivrebbero tra i 200 ed i 500
connazionali, in provincia non sarebbero più di 100. Anche queste ultime ritengono che più della metà della
comunità continua ad essere costituita da donne, impiegate per lo più nel settore domestico; qualcuna ha
avvito attività informali autonome di parrucchiera nella propria abitazione. L’area territoriale dei Quartieri
Spagnoli si caratterizza come quella in cui si concentra la quasi totalità della popolazione dominicana
presente a Napoli.
Dalle informazioni ottenute risulta che l’immigrazione dominicana a Napoli e nel resto d’Italia risale agli
anni ’80, in modo particolare gli anni 1987-1988 quando non era ancora richiesto il visto per fare ingresso in
questo paese, “era sufficiente il biglietto aereo e 1000 $ per provvedere alla propria sussistenza”. Nel 1991
l’ingresso continuava ad essere possibile senza visto, ma era necessario avere una lettera di invito da parte
di un italiano. Nel 1994 fu introdotto il visto ma ciò non causò una restrizione dei flussi. I dominicani
continuarono ad arrivare passando per l’Austria in treno, dopo aver raggiunto Vienna in aereo. Le testimoni
dichiarano che la quasi totalità dei dominicani proviene da città rurali quali S. Francisco, Villa Tapia, dai
centri urbani del nord della Repubblica dominicana quali Santiago, La Vega, Bonao. Un numero ridotto
proviene da S. Domingo. La popolazione dominicana non appare divisa in gruppi etnici, tranne la presenza
nel paese di una minoranza di origine haitiana.
Più della metà dei dominicani che vivono a Napoli è di religione cattolica, il resto della comunità è diviso
tra testimoni di Geova, evangelisti, ortodossi, protestanti ed una piccolissima percentuale di animisti.
La maggioranza dei dominicani presenti a Napoli è concentrata nella zona dei Quartieri Spagnoli e di
Montesanto, ma alcune presenze sono registrate anche verso porta Capuana, Agnano e al Rione Sanità.
Come per le altre nazionalità, caratterizzate da una forte concentrazione nel settore lavorativo domestico e
dei servizi, sono altre le zone in cui lavorano e come sempre il Vomero, Posillipo e corso Vittorio Emanuele.
La condizione dell’infanzia: Dai dati forniti dall’anagrafe cittadina nell’anno 2003 non risultano minori
dominicani residenti nel comune di Napoli. Una delle testimoni intervistate ha segnalato 15 casi di bambini
dominicani affidati in modo informale a famiglie italiane con il pagamento di “una retta” mensile compresa tra
i 100 e i 200 euro. Le ragioni che spingono anche i genitori dominicani ad affidare i propri figli ad altre
famiglie sono sempre legate ad orari di lavoro troppo lunghi che non permettono loro di prendersi cura dei
propri figli per molte ore al giorno. Chi non può tenere con sé il proprio bambino, né pagare rette ad istituti o
famiglie italiane, lo rimanda al paese affidandolo a parenti.
77
. Per tale comunità sono state intervistate tre testimoni privilegiate
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Il rapporto con la scuola: L’inserimento nelle scuole napoletane dei minori dominicani o figli di coppie
miste è considerato medio-buono sia per quanto riguarda i rapporti con gli altri bambini sia quello con gli
insegnanti. Non mancano, però, difficoltà che dipendono in primo luogo dal colore della pelle dei minori che li
fa essere vittime, talvolta, di piccoli episodi di discriminazione, in seconda istanza tali bambini hanno
problemi nell’eseguire i compiti a casa in quanto i genitori, per problemi legati ai loro orari di lavoro, non
riescono a seguirli con assiduità. Per tali ragioni la nostra interlocutrice suggerisce un maggior impegno da
parte delle scuole per migliorare la conoscenza linguistica dell’italiano, soprattutto nei minori di età compresa
dai 10 ai 13 anni, e dalle sue parole traspare il desiderio che gli insegnanti si sforzino di capire di più la
situazione dei bambini i cui genitori lavorano tutto il giorno o di coloro che sono affidati a famiglie italiane.
La casa: I Dominicani non hanno difficoltà a trovare una prima accoglienza né nel cercare una seconda
sistemazione in quanto già prima di giungere a Napoli si fanno trovare un alloggio dai propri connazionali e,
in secondo luogo, il passaparola tra i propri connazionali rappresenta una strategia vincente anche nel
momento in cui si decide di trovare una nuova abitazione. Chiaramente chi è sprovvisto di documenti
incontra maggiori ostacoli.
Gli elementi che orientano la scelta delle proprie abitazioni sono, anche per i Dominicani, in primo luogo il
prezzo contenuto, secondariamente lo spazio, deve, quindi, possibilmente trattarsi di uno spazio non troppo
angusto, è, inoltre, fondamentale trovare alloggio in una zona facilmente raggiungibile e ben fornita di mezzi
di trasporto. I membri di tale comunità non cambiano casa molto di frequente, se lo fanno è perché hanno
trovato un altro impiego in qualche città del nord Italia, o perché spinti dalle pessime condizioni igieniche
dell’abitazione (in alcuni casi si tratta di bassi o di ex depositi adibiti ad uso abitazione) o, ancora, se è il
proprietario stesso a richiedere la propria casa. Un altro motivo che può spingere i Dominicani a cercare
sistemazioni abitative diverse è l’arrivo di nuovi membri della famiglia.
Tutte e tre le testimoni concordano nel concepire la casa come un luogo dove ritrovarsi con amici e
connazionali e dove poter vivere i propri rapporti sociali, ma, specificano, i Dominicani cercano di non
spendere per la manutenzione, se non per riparazioni strettamente necessarie, in quanto percepiscono
sempre la loro permanenza a Napoli come provvisoria. Capita più spesso, invece, che risiedono in questa
città lunghi anni.
Il commercio etnico: Non sono stati censiti esercizi commerciali gestiti direttamente da dominicani in veri
e propri negozi ed in modo ufficiale. Cinque attività di parrucchiere, ad esempio, sono state organizzate da
donne di tale comunità nelle proprie abitazioni. Un uomo dominicano che abita a piazza Garibaldi ed una
donna nel rione Sanità hanno dato vita, sempre in modo informale, ad attività di ristorazione. Nel primo caso,
l’uomo ha organizzato presso la propria abitazione la preparazione di ciciarum (un piatto composto di
banana verde e manioca) che viene venduto di casa in casa per 2,5 euro a confezione oppure ordinato
telefonicamente. Nel secondo la donna ha adibito la propria abitazione a ristorante. Nonostante tale
mancanza, i prodotti fondamentali per toilette – quali creme per i capelli e per il corpo – ed alimentari sono in
ogni caso facilmente rintracciabili nei tre negozi a cui tutti gli immigrati di Napoli e dintorni fanno riferimento
due con sede in piazza Garibaldi, e l’altro in via Tarsia, nella zona della Pignasecca.
I rapporti con la popolazione locale e con altre comunità di immigrati: Nessuna delle donne intervistate ha
dichiarato di essere a conoscenza di seri episodi di xenofobia nei confronti dei dominicani, ma piccoli episodi
di razzismo vengono vissuti molto spesso. Piuttosto emblematico è l’accusa frequente da parte dei
napoletani nei confronti degli stranieri (soprattutto all’interno dei pullman) di aver rubato loro il lavoro.
Matrimoni ed unioni, tradizionali e misti: La maggioranza dei dominicani si è sposata seguendo il rito
cattolico a cui è seguito quello civile italiano.
Esistono casi di matrimoni misti e coppie non sposate essenzialmente tra donne di tale comunità e
uomini italiani (più di 50), africani, srilankesi e sudamericani di varie nazionalità (questi ultimi casi non sono
stati quantificati). Molto esigui sono i matrimoni tra i membri di genere maschile della comunità dominicana e
donne italiane, brasiliane, ecuadoregne e colombiane.
La diversità culturale, una diversa concezione dell’educazione dei figli e la non accettazione da parte
delle famiglie ritornano anche in questa intervista come gli elementi principali che possono causare contrasti
all’interno delle coppie formate da individui di nazionalità dominicana e di altra provenienza. Le testimoni
giudicano i padri italiani troppo permissivi ed accondiscendenti, la madre dominicana si definisce più severa
ma più attenta alla crescita dei propri figli, cercando di sviluppare il loro senso di autonomia. Anche nel caso
in cui i bambini nascano all’interno di coppie non sposate (come spesso accade) generalmente vengono
riconosciuti dal padre, prendendo il loro nome. Le madri di nazionalità dominicana tengono molto a che i
propri figli siano bilingue parlando anche la loro lingua madre. È importante sottolineare che la difficoltà di
accettazione da parte delle famiglie viene riferita solo alle famiglie italiane. Un altro contrasto in questo tipo
di coppie nascerebbe in quanto i padri italiani tendono a ridurre il più possibile i viaggi nella Repubblica
Dominicana.
Forme organizzative e vita comunitaria: Tale comunità non possiede più luoghi di incontro gestiti da
connazionali; nei primi anni ’90 esisteva un’associazione dominicana con sede a Mergellina oggi scomparsa.
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La maggioranza dei domenicani è costretta, di conseguenza, ad incontrarsi in luoghi pubblici come piazza
Municipio o nelle abitazioni private o, ancora, in locali pubblici/discoteche, di cui uno nel quartiere Stella-S.
Carlo all’Arena ed un altro a Fuorigrotta. Tali discoteche sono frequentate essenzialmente da sud americani
e capoverdiani e sono luoghi celebri anche per il fatto che in essi le donne di tali nazionalità svolgono anche
attività di prostituzione (come del resto la stessa testimone ha dichiarato). I giorni di ritrovo per tali
nazionalità sono il mercoledì e la domenica, ovvero quelli in cui sono liberi dalle loro attività lavorative.
Aspetti religiosi e ricorrenze principali: Più della metà dei dominicani che vivono a Napoli è di religione
cattolica, il resto della comunità è diviso tra testimoni di Geova, evangelisti, ortodossi, protestanti ed una
piccolissima percentuale di animisti. A questi culti si legano molte delle ricorrenze della Repubblica
dominicana ricordate dalle testimoni intervistate.
Le feste celebrate nella Repubblica dominicana sono numerose, quelle descritte dalle
interlocutrici intervistate sono:.
La festa della segretaria (26 marzo) è un giorno lavorativo ma sono le ditte ad organizzare
feste e cene in locali e ristoranti.
In occasione della festa della Madonna dell’Alta Gracia (21 gennaio) non si va a lavorare.
Si ricorda il giorno in cui l’arcangelo Gabriele comunicò alla Vergine Maria la sua maternità.
Molti dominicani si recano in pellegrinaggio presso la Basilica di Higuy (dell’Alta Gracia) per
chiedere la grazia e per pregare.
Anche nel giorno della Festa del patriota, Juan Pablo Duarte (26 gennaio) ci si astiene dal
lavoro. Molti si recano al Museo Duartiano dove sono esposte opere e massime del patriota.
La festa della Liberazione (27 febbraio) viene celebrata con sfilate militari ed istituzionali e
coincide con il Carnevale. Per quest’ultima festa si organizzano sfilate e carri allegorici come
nel più celebre carnevale brasiliano. Sui carri vengono rappresentati Cristoforo Colombo, gli
indiani dominati, si rappresenta la morte del dittatore Trujillo con cui si concluse, nel 1961, il
regime militare.
La Pasqua viene festeggiata per diversi giorni. Il mercoledì ed il giovedì precedenti la
domenica si lavora solo parzialmente, il venerdì è sacro e si fa una processione in chiesa con la
madonna Addolorata. Il lunedì, invece, si ritorna al lavoro.
Il giorno della Costituzione (16 agosto). Si tratta di una costituzione orale e non scritta a
causa dei numerosi cambi di governo.
La giornata internazionale della razza è una giornata lavorativa. Nelle scuole si
organizzano dibattiti ed elaborati sui temi della razza e del meticciato, frutto delle unioni tra
indigeni, popolazioni spagnole, francesi ed africane.
Sono molto importanti, poi, le feste legate alla religione cattolica quale il Natale.
Per ciò che concerne i riti legati alle fasi della vita nella Repubblica dominicana il Battesimo
viene ripetuto tre volte. La prima volta si battezza il bambino versando l’acqua santa sulla sua
testa. Dopo un mese la festa si celebra solo in presenza del padrino e dei parenti, senza il
prete. Dopo un anno il bambino viene condotto in chiesa .
I 15 anni sono molto festeggiati tra i dominicani, corrispondono, in parte, ai nostri 18 anni. A
quell’età i giovani sono considerati adulti e gli viene concessa più libertà da parte dei genitori.
In occasione del matrimonio i festeggiamenti non differiscono molto da quelli cattolici
italiani. Ci si reca in chiesa, la sposa indossa l’abito bianco, si tende a festeggiare più nelle
abitazioni che in locali. Ciò che differisce dalla tradizione italiana è che le spese del matrimonio
ricadono essenzialmente sugli sposi, per cui, chi non ha grosse disponibilità finanziare, non può
sposarsi.
La morte dei propri parenti viene vissuta come un periodo molto triste e regolato da norme
ben precise . La tradizione impone di restare in casa per 9 giorni dopo aver condotto il morto al
cimitero. Sono i parenti a far visita alla famiglia in lutto. L’ultimo giorno di lutto si fa una grande
festa e ci si reca di nuovo al cimitero per portare fiori ed accendere candele. “Dopo questo
giorno si può ricominciare la vita normale”.
A parte i riti legati al cattolicesimo i dominicani praticano, nel loro paese, una serie di riti
animisti quali la lettura delle carte, del bicchiere d’acqua, dei fondi delle tazze di caffè.
La Festa di Manì è di origine haitiana. È il raduno degli stregoni e delle persone che
partecipano o vogliono assistere ai riti animisti durante i quali vengono preparati piatti
afrodisiaci. Gli spiriti che vengono coinvolti in questi riti sono, in realtà, santi cattolici trasfigurati
dalla tradizione animista.
Anche la Festa del gagà è di origine haitiana ed è festeggiata dalla comunità haitiana
presente nella Repubblica Dominicana. Il periodo coincide con la settimana santa di Pasqua in
occasione della quale si celebra il raccolto della canna da zucchero. Gli uomini indossano
gonne di stoffa e danzano suonando i fischietti ed uno strumento che assomiglia al didjeridoo.
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Le ricorrenze principali della Repubblica Dominicana vengono ricordate dai dominicani che vivono a
Napoli riunendosi prima a piazza Leone (Mergellina) e recandosi, successivamente, nelle due discoteche a
cui si era fatto riferimento precedentemente. Le modalità di festeggiamento sono, come è comprensibile,
molto diverse rispetto a quelle che si svolgono nella Repubblica Dominicana in quanto qui non si possono
festeggiare per le strade ed in piazza, non si hanno tutti gli amici e la famiglia vicini. L’affluenza in tali
occasioni è comunque notevole e si registra una forte partecipazione anche di altre nazionalità quali la
colombiana e la peruviana, in generale i sudamericani presenti a Napoli ed anche “uomini italiani invitati
dalle donne dominicane”. Le comunità di origine sudamericana – peruviana, colombiana, ecuadoregna,
dominicana - appaiono, da quanto risulta dalle interviste, molto coese per affinità di natura culturale,
linguistica, sociale, musicale.
La comunità dominicana non sente l’esigenza che a Napoli vengano costruiti spazi di sepoltura adeguati
alle proprie ritualità, in quanto anche tale comunità invia sempre le salme al paese grazie alle collette dei
membri. Si è spesso chiesto il sostegno economico all’Ambasciata che, però, è stato sempre negato.
I testimoni di Geova frequentano luoghi di culto concentrati nella zona di Montesanto, a via Tarsia. I
dominicani di religione cattolica frequentano una chiesa a piazza Dante dove spesso un prete dominicano
viene da Roma per celebrare la messa in spagnolo.
4.5.3 La comunità ecuadoregna
Nel comune di Napoli nel 2003 risultavano presenti 62 residenti di nazionalità ecuadoregna, di cui 40
donne, ma dai colloqui con una testimone risulta che la comunità ecuadoregna sarebbe composta da circa
200 persone, di cui le donne rappresenterebbero più della metà. Anche la comunità ecuadoregna è dedita
prevalentemente ad attività lavorative nel settore domestico. L’area dei Quartieri Spagnoli è quella in cui
risiede la maggioranza dei membri di tale gruppo.
La quasi totalità degli Ecuadoregni presenti a Napoli è di religione cattolica, a parte una piccolissima
percentuale di testimoni di Geova ed Evangelisti.
Gli Ecuadoregni abitano essenzialmente nella zona dei Quartieri Spagnoli, a Pianura, a piazza Cavour, a
via Duomo e a via Tribunali. Anche tale nazionalità ha trovato la propria collocazione lavorativa nel settore
domestico, sono, quindi, i quartieri Vomero e Posillipo quelli in cui la gran parte degli Ecuadoregni si sposta
78
per lavorare .
La condizione dell’infanzia: Dai dati forniti dall’Anagrafe cittadina non risultano minori ecuadoregni
residenti nel comune di Napoli nell’anno 2003. La presidente dell’associazione non conosce casi di bambini
ecuadoregni affidati a famiglie italiane.
I rapporti con la scuola: I minori di questa nazionalità sono ben inseriti nelle scuole napoletane sia per
quanto concerne i rapporti con i propri compagni di scuola e con gli insegnanti sia il loro rendimento
scolastico. Solo di rado si verificano piccoli screzi con altri bambini.
La casa: Anche gli Ecuadoregni, come tutte le nazionalità oggetto di questa ricerca, possono contare
sull’ospitalità offerta loro da parte dei connazionali per trovare una prima accoglienza. Quando decidono di
affittare un appartamento, cercano sempre di condividerlo con altri per ridurre le spese. Gli Ecuadoregni,
secondo quanto risulta dall’intervista effettuata, cercano di conservare un alloggio per molto tempo e lo
lasciano solo se costretti, nel caso in cui, ad esempio, la casa serva al proprietario. Per questo motivo e per
la concezione dell’alloggio inteso anche come un luogo di socializzazione, essi investono in spese di
manutenzione per “vivere meglio”.
Il commercio etnico: La comunità ecuadoregna non ha ancora dato vita ad attività commerciali gestite in
proprio, ma riescono a soddisfare una parte delle proprie esigenze, in termini di prodotti alimentari
fondamentali per la preparazione dei propri piatti, presso i negozi più volte indicati. Mancano, comunque,
alcuni tipi di condimenti ed i vestiti tradizionali da indossare in occasione di feste e balli tradizionali.
I rapporti con la popolazione locale e con altre comunità di immigrati: La testimone percepisce un
atteggiamento della popolazione locale nei confronti dei suoi connazionali più disponibile rispetto ad
immigrati di altre nazionalità. La ragione risiederebbe, secondo le parole dell’intervistata, “nella cultura ed
educazione degli Ecuadoregni”. Intolleranza, invece, gli Ecuadoregni avvertono da parte degli srilankesi nei
loro confronti: di recente, di fatti, un ragazzo appartenente alla comunità è stato ferito con un coltello da uno
srilankese.
Matrimoni ed unioni, tradizionali e misti: La testimone ci parla di sette matrimoni tra Peruviani ed
Ecuadoregni. Alcuni suoi connazionali hanno anche rapporti di coppia, pur non essendo sposati, con altre
nazionalità quali quella salvadoregna, dominicana, cilena. Secondo la sua opinione anche in tali rapporti si
verificherebbero difficoltà dovute in parte alla diversità culturale ed in parte alla non accettazione da parte
delle famiglie.
78
. La testimone intervistata è la presidente dell’Unione Comunità Ecuadoregna
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Vita comunitaria (luoghi di incontro e di socializzazione): Gli Ecuadoregni si incontrano la domenica
presso un campetto di calcio che si trova nel quartiere Soccavo, non solo con i propri connazionali, ma
anche con altre comunità del sud America (peruviani, colombiani). In tali occasioni organizzano anche la
preparazione di piatti tipici dei propri paesi.
Aspetti religiosi e ricorrenze principali: La quasi totalità della comunità è di religione cattolica.
Per tanto le feste considerate più importanti in Ecuador, secondo l’opinione della testimone,
sono quelle comuni a molti paesi in cui la religione cattolica è professata dalla maggioranza
della popolazione (Natale, Capodanno, la festa dei morti) ed altre che, pur non avendo un
significato prettamente religioso, sono conosciute anche in Italia (la festa del papà, la festa della
mamma). Nonostante la religione comune ci sono delle particolarità che contraddistinguono il
capodanno ecuadoregno.
In primo luogo il cenone è organizzato, anche in occasione del Natale, al ritorno dalla messa
di mezzanotte, non prima. Come augurio che il nuovo anno porti ricchezza ed abbondanza si
mangiano 12 chicchi d’uva tenendo dei soldi in mano. Inoltre è tradizione costruire dei pupazzi
in legno o anche carta o segatura. Ogni quartiere organizza un concorso per premiare il
pupazzo più bello. I bambini girano di casa in casa mostrando le loro creazioni per avere in
cambio soldi con cui acquistare caramelle. Infine, dopo la mezzanotte, i pupazzi vengono
sistemati in piazza, riempiti di petardi, presi a cinghiate ed, infine, vengono bruciati. I pupazzi
attirano simbolicamente tutte le negatività così, picchiandoli e dando loro fuoco, ci si augura di
viver un nuovo anno di benessere.
Il 25 Luglio è la festa nazionale.
Il 10 Agosto l’Ecuador festeggia il giorno della sua indipendenza in occasione della quale
si organizzano sfilate, il Parlamento si riunisce e il presidente fa il suo rapporto annuale alla
nazione. Per la precisione, in quel giorno fu liberata Quito, la capitale, le altre città ricordano la
loro indipendenza in giorni diversi.
Feste celebrate anche in altri paesi che hanno conosciuto la colonizzazione da parte di
popoli di origine latina (Perù, Colombia) è il giorno della razza (12 ottobre) - durante il quale
tutte le città sono in festa, si organizzano corride di tori e si elegge la reginetta - e la festa dei
15 anni, per le ragazze che debuttano in società.
Le ricorrenze principali del loro paese sono tutte ricordate anche dai membri dell’associazione riunendosi
in sede e festeggiando insieme ad amici di nazionalità italiana e peruviana. Inoltre gli Ecuadoregni di
religione cattolica frequentano la Parrocchia “Ogni bene” a via Girardi (Quartieri Spagnoli) dove, una volta al
mese, viene celebrata la messa in spagnolo da un prete italiano che ha vissuto in Perù.
Forme organizzative:L’Unione Comunità Ecuadoregna si è costituita nel corso dell’anno 2002. Dai dati
emersi dall’intervista risulta che tutta la popolazione di tale nazionalità presente nel comune di Napoli
sarebbe iscritta all’associazione in quanto 200 è il numero degli iscritti che è stato riferito. L’associazione fa
parte dell’Anolf (Associazione Nazionale Oltre le Frontiere). La comunità ecuadoregna, di fatti, è ospite
presso i locali del sindacato.
L’organizzazione è impegnata nel sostenere i propri connazionali nell’orientamento e nel loro
accompagnamento ai servizi, nel mantenimento dei propri costumi e delle proprie feste. Pur essendo un
ente molto giovane, i soci hanno organizzato già delle manifestazioni di balli tradizionali con gruppi musicali
andini in una discoteca affittata nei pressi di piazza Dante e tutti i soci si riuniscono almeno una volta al
mese per discutere di tutte le questioni relative alla loro presenza in Italia. L’associazione ha rapporti di
collaborazione con l’associazione peruviana della Cisl e con altre comunità non organizzate del sud
America: cilena, argentina, salvadoregna, colombiana.
4.5.4 La comunità peruviana
I cittadini di nazionalità peruviana residenti nel territorio comunale nell’anno 2003 sono 412, di cui 239
donne. I testimoni contattati forniscono una stima della presenza reale della comunità peruviana a Napoli
superiore alle mille unità, di cui la componente femminile rappresenta più della metà.
Dai risultati emersi nel corso di questo lavoro risulta che le zone di residenza dei peruviani presenti nel
comune di Napoli sono essenzialmente l’area territoriale dei Quartieri Spagnoli, Montesanto, in quella
circostante piazza Cavour, piazza Garibaldi, il gruppo più numeroso di peruviani viva, però, nel quartiere
Pianura. Tali zone sono utilizzate essenzialmente a livello abitativo, sono altri i territori in cui i peruviani si
spostano per lavorare e sono i quartieri in cui le famiglie italiane fanno maggiormente ricorso a collaboratori
domestici: Vomero e Posillipo.
L’emigrazione peruviana ha all’origine la difficile situazione economica del paese, ulteriormente
aggravate nel corso degli anni ’90. A partire da questo periodo assistiamo ad un nuovo flusso migratorio: agli
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iniziali professionisti, studenti e lavoratori qualificati si sono aggiunti, negli ultimi dieci anni, essenzialmente
giovani donne impiegate come domestiche o in lavori di assistenza ad anziani e bambini 79.
Risulta, inoltre, che la quasi totalità di questa comunità è di religione cattolica, a parte una piccolissima
percentuale, che potrebbe essere stimata intorno al 2%, composta da protestanti ed evangelisti 80.
La condizione dell’infanzia: I minori peruviani che risultano residenti nel comune di Napoli nell’anno 2003
sono 80. Trentotto di questi minori hanno un’età compresa tra gli 0 ed i 5 anni, 30 hanno tra i 6 ed i 14 anni e
12 hanno 15 anni e più. I bambini costituiscono la comunità peruviana residente per il 19,4% e
rappresentano il 4% dei minori stranieri residenti. Non sono emersi casi di bambini peruviani dati in
affidamento a famiglie italiane.
I rapporti con la scuola: Una delle testimoni ascoltate ritiene che l’inserimento dei bambini nella scuola
italiana sia abbastanza “conflittuale e problematico” in quanto, in primo luogo, i bambini italiani sono
considerati come “troppo viziati” e, secondariamente, gli italiani hanno ancora troppi pregiudizi nei confronti
delle persone di origine straniera
La casa: Per i Peruviani non risulta difficile né trovare una prima accoglienza né affittare, in un momento
successivo, un appartamento. L’unico elemento problematico è l’alto livello degli affitti a Napoli. I peruviani
non preferiscono cambiare spesso alloggio, cercando di restare all’interno dello stesso per molti anni, a
meno che la famiglia non cresca o il proprietario non aumenti eccessivamente l’affitto. I due testimoni ci
danno informazioni diverse sul rapporto instaurato tra i loro connazionali e la casa. Solo uno, infatti, sostiene
che, pur non essendo gli alloggi adibiti a luogo di socializzazione, i peruviani spendono per la loro
manutenzione.
Il commercio etnico: Non sembra molto sviluppato il commercio etnico peruviano a Napoli. In occasione
delle loro periodiche riunioni domenicali vengono preparati piatti peruviani. Tale comunità riesce in ogni
modo a soddisfare le proprie esigenze in termini di prodotti e piatti tipici della propria comunità che acquista
a Mergellina, piazza Cavour e piazza Garibaldi. I nomi dei negozi a cui si rivolgono i peruviani non sono stati
specificati, ma, molto probabilmente, si tratta dei soliti a cui buona parte degli immigrati accede e a cui si è
fatto ampiamente riferimento. Una parte di tali prodotti viene poi fatta arrivare da amici e parenti al ritorno da
un viaggio in Perù.
I rapporti con la popolazione locale e con altre comunità di immigrati: Dalle interviste emerge
soddisfazione sia per quanto concerne l’atteggiamento dei napoletani nei confronti dei connazionali – che
viene definito tollerante e disponibile - “perché siamo pochi” e “perché siano una comunità tranquilla e ben
organizzata”, spiega un testimone – sia per quanto concerne l’inserimento dei bambini peruviani nella scuola
napoletana, aspetto su cui i nostri referenti non apporterebbero alcuna modifica. Qualche difficoltà è stata
riscontrata dai minori che vengono inseriti a scuola ad un’età più elevata rispetto a quella prevista dal
sistema scolastico del loro paese.
Matrimoni ed unioni, tradizionali e misti: I testimoni dichiarano che il 10% delle donne peruviane di Napoli
ha sposato uomini italiani, il 5% ha rapporti di coppia con loro, pur non essendoci legami matrimoniali.
Un’altra ventina di peruviani, sia uomini che donne, ha sposato o è fidanzata con persone di nazionalità
ecuadoregna.
Vita comunitaria (luoghi di incontro e di socializzazione): Nel tempo libero ed in occasione delle più
importanti ricorrenze del proprio paese (la festa dell’indipendenza e quelle religiose di stampo cattolico) i
peruviani si riuniscono in una discoteca che, come emerge anche da questa ricerca, è il punto di ritrovo per
la maggioranza delle comunità sudamericane e per quella capoverdiana. Si tratta, per l’appunto, di un locale
sito a Fuorigrotta, in una traversa di via Giulio Cesare. In tali occasioni non è raro assistere alla
partecipazione anche di un certo numero di italiani. Luogo in cui i peruviani si danno appuntamento ogni
domenica è un campetto di calcio nel quartiere Soccavo dove organizzano feste e partite di calcio. Anche le
parrocchie, in taluni casi, rappresentano luoghi di incontro per tali immigrati.
Aspetti religiosi e ricorrenze principali: I Peruviani, anche quelli che vivono a Napoli, sono in maggioranza
cattolici ed a questa religione sono legate le ricorrenze del proprio paese ritenute principali dai testimoni.
Queste sono il Natale, il giorno dei morti, il battesimo, il matrimonio. Altre, pur non
essendo di stampo prettamente religioso, sono comuni all’Italia, la festa del padre e della
madre, ad esempio.
Le differenze riguardano essenzialmente la festa della primavera (settembre), stagione che
in Perù viene salutata per strada con carri allegorici e fiori, la festa del Señor de los milagros
(il signore dei miracoli) (17 ottobre) e il giorno dell’indipendenza (28 luglio e 29 luglio), il
primo di questi giorni si celebra la festa civile recandosi in chiesa, il secondo quella militare.
Legato al passaggio all’età adulta è la festa celebrata, per le ragazze, al compimento dei 15
anni, per i maschi al compimento dei 18, con la presenza dei padrini che li hanno battezzati.
79. Peruzzi W. 1999, p. 122
80
. I testimoni contattati sono tre, di cui uno è il presidente dell’associazione Tahuantinsuyo.
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I testimoni non ritengono che la loro comunità senta l’esigenza di un luogo di sepoltura particolare in
quanto, sostiene, “siamo cattolici e dopo la morte siamo tutti uguali”.
Forme organizzative: Una parte degli immigrati di nazionalità peruviana ha dato vita, nel dicembre 2000
ad un’associazione dal nome Tahuantinsuyo, promossa dall’organizzazione sindacale Cisl e facente parte
dell’Anolf. L’organizzazione conta circa 250 iscritti. L’iscrizione prevede il versamento di una quota
associativa. La sede, concessa loro dalla Cisl, è sita in via Medina. I settori in cui l’associazione interviene in
maniera operativa sono quello culturale, impegnandosi nel mantenimento dei costumi e delle feste del paese
di origine, offre attività di orientamento ed accompagnamento ai servizi, territoriali, opportunità di incontro ed
aggregazione tra connazionali e l’organizzazione di attività sportive.
5. IL LAVORO E LA FORMAZIONE A NAPOLI
5.1 IL LAVORO
Gli studi più recenti sulle caratteristiche che l’immigrazione assume nella nostra regione tendono a
sottolineare come essa abbia conosciuto, negli ultimi vent’anni, profonde evoluzioni sia in termini quantitativi
che riguardo la composizione etnico-nazionale, per classi di età, sesso, titolo di studio, caratteristiche sociali,
economiche, relazionali. Questi cambiamenti sono però avvenuti in una situazione di permanenza, anzi di
consolidamento, delle differenze tra immigrazione urbana e quella periferico-rurale dovuta sostanzialmente
alle diverse opportunità di inserimento nel mercato del lavoro. Infatti, nelle aree rurali e, più in generale, in
periferia, le opportunità lavorative sono, oggi come vent’anni fa, rappresentate ancora dalle mansioni tipiche
del terziario dequalificato, caratterizzate da forme precarie e temporanee del rapporto di lavoro (anche
lavoro a giornata), e dal lavoro stagionale e/o precario nel settore agricolo 81. In queste mansioni sono
maggiormente impiegati lavoratori provenienti dal nord e ovest dell’Africa e, più recentemente, dall’Europa
dell’est. Essi rappresentano anche la componente più irregolare dell’immigrazione campana e vivono in
condizioni sociali difficili che spesso danno vita a vere e proprie situazioni di emergenza sociale.
L’immigrazione urbana, invece, è rappresentata dalla componente meno problematica e – relativamente più regolare, che non rappresenta una vera e propria emergenza sociale, seppure abbia molteplici problemi
di insediamento. In città si concentrano maggiormente lavoratori occupati nel settore del lavoro domestico e
dell’assistenza alla persona e, negli ultimi, anni quelli dediti al commercio (negozi etnici). Il lavoro domestico
nelle grandi città è generalmente svolto da donne e rappresenta la forma più antica di inserimento lavorativo
degli immigrati. Dalla richiesta di colf come affermazione e visibilità del benessere da parte dell’alta
borghesia napoletana, tipica degli anni ‘70 e ‘80, essa si è trasformata in necessità di sopperire alla crisi del
welfare degli ultimi anni da parte anche della piccola e media borghesia, con conseguente aumento della
domanda di lavoro per colf e badanti. Ciò ha comportato anche importanti implicazioni dal punto di vista
della regolarità del rapporto di lavoro. Tali nuclei familiari non sempre sono in grado di garantire un regolare
contratto di lavoro per cui, seppure il lavoro domestico rimanga ancora quello più stabile e garantito, esso
oggi sperimenta anche situazioni di precarietà e irregolarità.
Per quanto riguarda la città di Napoli, le prime comunità ad arrivare furono quella filippina e, a seguire,
quella eritrea. Oggi la composizione è più variegata e vede diverse realtà etniche e nazionali aggiungersi alle
comunità storicamente presenti in città e dedite al lavoro domestico (si pensi all’immigrazione proveniente
dall’Europa dell’est). Ma Napoli, negli ultimi anni, è diventata anche territorio fertile per l’inserimento
lavorativo di nuove e vecchie comunità presenti, nel settore del commercio che è diventato, insieme a quello
dei servizi alla persona, il settore che impiega più immigrati.
Qui di seguito verranno descritte le caratteristiche (in termini di salario, orari, comunità impegnate) e le
modalità con cui gli immigrati si impiegano nel campo del lavoro domestico e dell’assistenza. Tali lavori si
contraddistinguono, rispetto agli altri, per una maggiore attività di intermediazione di manodopera che ha
eletto piazza Garibaldi a luogo fisico privilegiato per tale attività. La descrizione delle modalità con cui essa si
svolge e le comunità coinvolte è contenuta nel rapporto territoriale in questione.
La parte riguardante il settore del commercio è discussa facendo riferimento principalmente alla
distinzione fra commercio ambulante e attività commerciali svolte in luogo fisso, alle comunità coinvolte, alle
modalità di impiego, alle caratteristiche che lo connotano. I rapporti territoriali relativi alle zone denominate
Piazza Garibaldi, Sanità e Quartieri Spagnoli, dove gli immigrati concentrano molte delle loro attività
commerciali, offrono descrizioni più dettagliate.
Va comunque ricordato che Napoli, oltre a rappresentare luogo di lavoro per colf, badanti e commercianti
immigrati, offre possibilità di inserimento anche in quelle attività del terziario in cui spesso si sperimentano
81
de Filippo E., 1999 Immigrazione femminile in Campania, in Mastrodomenico L., (a cura di ), défilè, l’ancora, Comunità
di Capodarco, Teverola, Caserta
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situazioni di precariato, di sfruttamento e di salari non adeguati al lavoro svolto. Si tratta di mansioni come
quelle di garzone presso piccoli esercizi commerciali, tuttofare presso officine, distributori di benzina,
autolavaggi, guardiani, per lo più notturni, presso garage e autorimesse, in cui spesso trovano occupazione
soprattutto immigrati in condizioni di irregolarità di soggiorno.
5.1.1 Il lavoro domestico e di assistenza
In generale, il lavoro nel settore domestico e dell’assistenza alla persona viene svolto principalmente da
stranieri appartenenti alle comunità polacca e ucraina, come anche da filippini, srilankesi, capoverdiani,
dominicani, moldavi, peruviani, somali, etiopi, eritrei. A Napoli, questo lavoro copre tutto il territorio
comunale, con punte maggiori nei quartieri notoriamente più ricchi, Chiaia, Posillipo, Vomero, e, a seguire,
Fuorigrotta, Soccavo, Colli Aminei e gran parte del Centro Storico. Le mansioni svolte dai lavoratori
immigrati, in netta maggioranza donne, in questo settore riguardano quelle legate ai servizi domestici in
genere e all’assistenza a persone anziane non autosufficienti e bambini (baby sitter a tempo pieno). Spesso
le due attività coincidono. Infatti, come si evince dalle informazioni raccolte presso le comunità polacca,
ucraina e filippina, molti lavorano notte e giorno presso un unico datore di lavoro e svolgono qualsiasi
mansione legata alla cura della casa e della persona (cameriera, assistente alle persone, baby sitter, cuoca).
A questo proposito, risulta che il lavoro notte e giorno sembra essere soprattutto appannaggio di chi è
presente sul territorio da poco tempo. Molti testimoni hanno raccontato che esiste una prima fase iniziale, in
cui l’immigrato occupato nel settore domestico alloggia presso il proprio datore di lavoro sia per risparmiare
le spese sia perché non sa ancora muoversi sul territorio. In genere, a tali condizioni, è associata anche la
mancanza del permesso di soggiorno. Nel momento in cui sono più consapevoli e più forti economicamente,
e hanno ottenuto il permesso di soggiorno, si trovano un proprio alloggio e cercano di impiegarsi ad ore, a
tempo pieno o in qualsiasi altra forma consenta loro di essere più indipendenti, anche in previsione di
ricongiungimenti familiari. Ciò vale soprattutto per quelle comunità che hanno un percorso migratorio che
presuppone una lunga assenza dal paese di origine. A questa evoluzione delle condizioni di partenza,
spesso si accompagna anche un miglioramento delle condizioni salariali. È interessante notare come il
testimone per la comunità eritrea rapporti la modalità d’impiego con l’età. Egli racconta che i più giovani
preferiscono impiegarsi ad ore in quanto, essendo non sposati, comunque non occupandosi di una famiglia,
hanno più ore in una giornata a disposizione da poter dedicare al lavoro. Gli adulti (età media) si dedicano al
lavoro a tempo pieno, lavorando fino alle 4/5 del pomeriggio e poi tornano a casa dalla loro famiglia. Le
persone più anziane lavorano notte e giorno poiché sono a Napoli da soli (in genere hanno famiglie con figli
adulti che stanno in patria). Molti di loro pagano l’affitto per una casa di cui poter usufruire nei giorni liberi da
lavoro (giovedì e domenica).
Per il resto, il lavoro domestico e di assistenza assume caratteristiche che vanno dal lavoro a tempo
pieno presso un’unica famiglia, a quello ad ore svolto presso più famiglie e, in misura meno frequente,
troviamo il lavoro a giornata, di tipo occasionale, per il quale viene corrisposta una paga forfetaria a
prescindere dalle ore di lavoro prestate.
Riguardo ai salari, dalle informazioni raccolte non risultano differenze significative tra chi svolge servizio
di assistenza e chi svolge lavori domestici in senso stretto. La paga media per chi lavora ad ore non
risulta essere superiore ai 5 € seppure, dall’intervista effettuata con la presidente della comunità filippina,
essa può anche salire a 6 € . Inoltre, per le domestiche si evince una differenziazione di salario, relativa
al lavoro notte e giorno, legata alla zona della città di Napoli in cui si svolge l’attività. Nei quartieri alti
della città, la paga mensile è stabile sui 500 € per chi svolge una sola mansione (colf o badante) fino a
raggiungere i 650 € per chi si occupa contemporaneamente di assistenza e pulizie. Nel resto del
territorio cittadino essa ruota intorno ai 400 € per chi svolge un’unica attività.
Un immigrato che cerca lavoro nel settore dei servizi domestici ha diverse possibilità di azione. Oltre a
rivolgersi, anche a pagamento, a connazionali ed italiani contatta gratuitamente anche associazioni del
privato sociale. Inoltre, capita spesso che le informazioni circa la disponibilità di nuove opportunità
lavorative gli vengano fornite, a titolo gratuito, da connazionali o conoscenti italiani, compresi gli ex datori
di lavoro. In tal caso, l’immigrato ottiene il lavoro grazie al funzionamento della rete di solidarietà
comunitaria che agisce, seppure in modo non incisivo nel caso delle comunità provenienti dall’Est
Europa, in concorrenza con l’intermediazione a pagamento.
Le informazioni che gli immigrati posseggono circa il funzionamento del mercato del lavoro locale e le
condizioni di lavoro a Napoli variano da comunità a comunità. Nel caso di etiopi ed eritrei, ad esempio, dalle
interviste risulta che spesso, prima dell’arrivo, essi ne sono all’oscuro. È solo dal contatto con i connazionali
e dall’esperienza diretta che si riescono ad acquisire informazioni utili. Di conseguenza, molte volte, le
aspettative circa le possibilità di trovare un buon lavoro ben retribuito sono state deluse a causa delle paghe
ritenute basse e degli orari di lavoro troppo pesanti. Va però tenuto presente che gli immigrati eritrei ed etiopi
lavorano a Napoli da più di 20 anni. Pochi di quelli che sono arrivati hanno, in seguito, abbandonato la città
per trasferirsi altrove e hanno potuto raggiungere condizioni di regolarità di soggiorno e di lavoro. Per cui,
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come fa notare il testimone qualificato per la comunità eritrea, oggi, rispetto a 10 anni fa, le condizioni di
lavoro sono migliorate almeno per quanto riguarda il rispetto del riposo settimanale e della paga dovuta
seppure, nel caso di richiesta di permessi o licenze per matrimonio o maternità, il datore di lavoro crei ancora
molte difficoltà.
Per quanto riguarda la comunità srilankese, la conoscenza relativa alle condizioni di lavoro, in termini di
paga, orario di lavoro, rapporti con il datore di lavoro, diritti riconosciuti, le informazioni vengono fornite da
familiari e conoscenti connazionali già presenti sul territorio. Ma i testimoni sono concordi nel ritenere che,
rispetto alle conoscenze, le condizioni sono sempre peggiori di quanto ci si aspetti. Molti, infatti, lamentano
la scarsa considerazione dei datori di lavoro nei loro confronti e lo sfruttamento a cui sono soggetti (svolgono
più mansioni del dovuto, non si rispettano le ore di lavoro pattuite, ecc.). Intanto, la necessità di guadagnare
tanto nel minor tempo possibile per saldare i debiti contratti nel paese d’origine per poter partire, mandare
soldi alle famiglie, raggiungere gli obiettivi per i quali sono partiti (comprare terreno e costruirvi la propria
casa, mettere in piedi un’attività lavorativa propria nel paese di origine, mandare in scuole private
internazionali i bambini, pagando una retta scolastica che oscilla tra i 300 – 350 € per bambino), porta quasi
sempre gli immigrati a sopportare sfruttamento e discriminazione. Ci è stato riferito che per partire si
spendono circa 10 – 15 milioni delle vecchie lire (spesi anche per comprare visti falsi), che gli immigrati
chiedono in prestito in patria ad un tasso di interesse mensile del 5% o più. Inoltre, mandare soldi a casa
presuppone una tassa per trasferimento divisa alta per gli immigrati che spesso preferiscono affidarli ad
amici in partenza o a connazionali ad un costo che va da 5,16 a 8 € per ogni 500 € trasferiti, pagati dalle
famiglie in patria alla consegna dei soldi.
Le aspettative degli immigrati provenienti dall’est Europa rispetto alle condizioni in cui si ritroveranno a
lavorare a Napoli vengono puntualmente tradite dal confronto con la realtà. Questa disillusione riguarda un
po’ tutti gli aspetti del lavoro: gli orari di lavoro da osservare (si lavora sempre più ore di quelle pattuite), i
rapporti con i datori di lavoro (in tantissimi casi questi si aspettano “di più” dalla lavoratrice), le mansione
svolte (una persona assunta come babysitter spesso si ritrova a dover fare anche tutte le faccende
domestiche senza che gli venga riconosciuto nessun tipo di compenso ulteriore), la possibilità di trovare
lavoro adeguato al titolo di studio (anche perché non esiste un riconoscimento immediato e libero da
complicazioni delle professionalità acquisite all’estero). Inoltre la forte concorrenza, soprattutto nel settore
del lavoro domestico, alimenta il peggioramento delle condizioni di lavoro in quanto, chi ha bisogno di
lavorare e guadagnare nel più breve tempo possibile si ritrova costretto ad accettare situazioni altrimenti
insostenibili.
Gli immigrati che svolgono lavori nel settore domestico hanno un tempo di permanenza sul territorio
napoletano, prima del definitivo ritorno in patria, che varia a seconda della comunità. Per gli ucraini, ad
esempio, si stima un tempo di permanenza di circa 2/3 anni. Secondo le informazioni possedute, questo
sembra essere il tempo necessario per poter recuperare tutte le spese sostenute e saldare i debiti
contratti per poter partire e guadagnare per mettere soldi da parte. La comunità polacca, invece, è un
esempio di alta mobilità territoriale. La vicinanza del proprio paese all’Italia, la facilità di poter entrare e
uscire dal nostro Paese, il progetto migratorio rendono difficile stabilire un tempo medio di permanenza
che può essere di pochi mesi come di un anno e più. Altro discorso, invece, va fatto per quelle comunità
presenti da più tempo a Napoli, come i filippini e gli srilankesi, i cui tempi di permanenza vanno dai 5
anni a salire.
Il trasferimento nelle città del Nord Italia è strettamente legato al progetto migratorio. Coloro i quali si
fermano per un lungo periodo tendono, una volta ottenuto il permesso di soggiorno, a cercare migliori
condizioni di vita e di lavoro nelle città del nord, o addirittura in altri paesi europei, come i filippini che si
trasferiscono nei paesi di lingua inglese dove riescono anche a svolgere lavori adeguati alle loro
competenze professionali. Chi prevede una permanenza a breve termine, come i polacchi, tende a
fermarsi a Napoli e guadagnare nel più breve tempo possibile, scendendo a compromessi con le
condizioni di vita e di lavoro, troppo spesso negative, offerte dalla città. Entrambi questi comportamenti
confermano che, ancora oggi, la città di Napoli, e il contesto regionale di appartenenza, vengono vissuti
come area di transito dagli immigrati. Infatti, seppure si sia assistito, negli ultimi anni, al consolidamento
sul territorio di alcune comunità di vecchia e nuova immigrazione, le difficoltà di inserimento lavorativo e,
più in generale, sociale, spingono gli immigrati a cercarsi altrove condizioni migliori.
5.1.2 Il commercio
Com’è stato già accennato, nella città di Napoli molti immigrati si impiegano nel settore del commercio,
dividendosi principalmente tra coloro i quali sono occupati nel commercio svolto in luoghi fissi (negozi) e chi,
invece, pratica la vendita ambulante. Molte delle attività che rientrano tra quelle svolte in luogo fisso
appartengono a quella forma particolare di commercio che viene denominato ethnic business
(imprenditorialità etnica). Quando si parla di ethnic business ci si riferisce, in genere, ad attività artigianali e
commerciali che, poggiandosi su risorse ed abilità proprie della cultura e del paese di origine, offrono beni e
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servizi alle comunità straniere immigrate (il piccolo commercio che soddisfa i bisogni della stessa comunità
immigrata), o a quella locale (imprese di dimensioni variabili aventi una diversificazione di attività, una
clientela diversa dalla nazionalità delle merci importate), in circuiti paralleli di economia e di mercato 82. A
Napoli l’ethnic business si lega particolarmente alla comunità cinese che, dalla seconda metà degli anni ’90,
ha cominciato a commercializzare prodotti tipici cinesi e made in China, aprendo un numero significativo di
negozi nella zona che circonda piazza Garibaldi, conoscendo, così, uno sviluppo e un consolidamento senza
pari per la città. Ne è testimonianza la recente nascita di un grande centro per la vendita all’ingrosso di
prodotti cinesi, Cinamercato, ubicato nella zona immediatamente adiacente la stazione centrale (via
Granturco) e costituito da circa 80 punti vendita.
Esistono, tuttavia, seppure in maniera meno incisiva, anche esperienze di altre comunità impegnate in
questo tipo di attività come gli srilankesi, gli indiani, i pakistani e i senegalesi.
Un censimento effettuato sul territorio cittadino ha consentito di rilevare circa 200 esercizi commerciali
appartenenti e/o gestiti da immigrati. Essi sono concentrati , per lo più, nelle aree più centrali della città e
offrono merci e servizi diversi. Si va, ad esempio, dagli articoli di abbigliamento all’oggettistica, dalle attività
legate alla ristorazione ai servizi di telefonia.
Una delle caratteristiche più interessanti dell’ethnic business è l’impiego, da parte dei commercianti stranieri,
di personale dipendente appartenente allo stesso gruppo familiare o, più in generale, alla stessa etnia. Ciò
va analizzato nell’ottica di una solidarietà etnica che consente, in primo luogo, di ridurre significativamente le
retribuzioni e, contemporaneamente, aumentare le possibilità di accumulazioni intensive. In secondo luogo,
questo comportamento mantiene e rafforza le reti di assistenza comunitaria, riducendo i rischi di
83
marginalizzazione dei membri della comunità etnico-nazionale .
Il commercio ambulante viene svolto, in maniera più o meno errante, da diverse comunità presenti a Napoli.
Tale attività abbraccia tutto il territorio comunale e attua la vendita di merce di diversa natura (biancheria,
bigiotteria, accessori e oggettistica varia) che, spesso, comprende anche materiale contraffatto (come cd e
dvd). Le comunità più impegnate in tale tipo di attività provengono, storicamente, dall’Africa (senegalesi,
marocchini) e dall’Asia (cinesi, indiani, pakistani). Per essi, come anche per tutte le comunità coinvolte,
l’ambulantato può rappresentare una attività svolta regolarmente, con o senza permesso di soggiorno e
licenza di vendita. In altri casi, essa si annovera tra le altre occupazioni del precario, da svolgere in periodi di
disoccupazione, come anche risulta essere l’alternativa più valida ad esse in attesa del permesso di
soggiorno, ottenuto il quale gli immigrati cambiano settore di attività.
5. 2 LA FORMAZIONE
L’offerta di formazione professionale per gli immigrati nella nostra regione, e dunque nella città di Napoli,
risulta essere, a tutt’oggi, molto limitata. Le iniziative formative aperte anche agli immigrati e messe in
piedi dal 2000 ad oggi spesso non hanno raggiunto l’obiettivo (favorire l’ingresso nel mercato del lavoro
a soggetti a rischio di esclusione sociale). Ciò per alcune ragioni. Innanzitutto, i percorsi formativi
proposti spesso si sono mal adeguati alle opportunità offerte dai contesti socio-economici in cui essi si
sono svolti, creando così una corrispondenza pressoché nulla tra competenze acquisite e le richieste da
parte del territorio. Inoltre, l’organizzazione degli stessi corsi di formazione non sempre ha tenuto conto
dei ritmi di vita e di lavoro dei destinatari, contribuendo così a tenere lontano gli immigrati dalle
opportunità di poter migliorare la propria condizione. Infatti, molto spesso i corsi si sono svolti in orari e
per un monte ore giornaliero che presupponevano l’abbandono dell’attività lavorativa, cosa difficilissima
se si pensa al fatto che la presenza degli immigrati a Napoli, e altrove, è legata essenzialmente alla
necessità di lavorare per guadagnare. Infine, va tenuto presente che, molto spesso, i requisiti di accesso
ai corsi impediscono, di fatto, l’accesso degli immigrati. Basti pensare al possesso del permesso di
soggiorno come anche alla condizione di disoccupazione (dai 6 fino ai 24 mesi) certificata che taglia
fuori una fetta cospicua di stranieri che, invece, avrebbero bisogno di poter cogliere le opportunità
84
formative per poter uscire da situazioni di precarietà e sfruttamento.
Eppure, dalle interviste effettuate risulta che, fra gli immigrati, esiste un forte bisogno di formazione.
Essi, infatti, sono consapevoli che l’acquisizione di una qualifica professionale può contribuire
all’accesso a condizioni di lavoro migliori. In più, si è rilevato un forte bisogno di rendere validi i titoli di
studio acquisiti nel proprio paese di origine, cosa che risulta ancora molto difficile nel nostro paese, così
82
Palanca V., Il caleidoscopio dell’immigrazione; de Filippo, Gaeta, Urcioli 1997
de Filippo E., L’immigrazione e le politiche migratorie nei paesi dell’Europa Mediterranea,Tesi di dottorato in
Sociologia dei Processi Di Innovazione, IX Ciclo, Dipartimento di Sociologia, Università degli Studi di Napoli “Federico II”,
1997
84
de Filippo E., Morniroli A., Immigrazione e Formazione Professionale. Il caso Napoli, in F. Carchedi (a cura di), La
risorsa inaspettata. Lavoro e formazione degli immigrati nell’Europa Mediterranea, Ediesse Roma
83
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come di dare valore e riconoscimento alle competenze acquisite attraverso le esperienze lavorative
fatte.
A questo proposito, la ricerca ha permesso di rilevare una situazione alquanto variegata rispetto al livello
di istruzione e ai titoli di studio in possesso degli immigrati. La comunità cinese, ad esempio è per lo più
in possesso di titoli di studio medio-bassi. La maggior parte dei presenti a Napoli, infatti, ha conseguito il
solo titolo di scuola media e questo, secondo i testimoni, è valido soprattutto per coloro i quali arrivano
dalle zone più agricole della Cina, senza trascurare chi, invece arriva, dai centri urbani e che spesso è in
possesso del diploma.
Per quanto riguarda i senegalesi, non si è riusciti ad avere notizie circa la distribuzione per titoli di studio.
Esiste, comunque, una differenziazione tra chi ha frequentato la scuola coranica e coloro i quali hanno
studiato presso la scuola francese. Nel primo caso ci troviamo di fronte ad una buona conoscenza della
lingua araba e delle leggi coraniche non provata da un titolo di studio preciso mentre chi ha frequentato
la scuola francese è in possesso di un titolo di studio medio e, in alcuni casi, del diploma.
Più della metà dei pakistani risulta in possesso di diploma e con studi universitari iniziati, mentre la
restante parte si divide tra persone in stato di analfabetismo e altre che hanno conseguito un titolo di
istruzione media.
Per quanto riguarda gli immigrati che provengono dall’Europa dell’Est, essi hanno quasi tutti un titolo di
studio medio alto. Si va dal possesso di qualifiche professionali e licenze liceali dei polacchi ai diplomi e
alle lauree degli immigrati provenienti dai paesi dell’ex URSS, soprattutto ucraini.
Quasi tutti i testimoni intervistati sono concordi nel ritenere che i lavori svolti dagli immigrati a Napoli non
siano adeguati ai titoli di studio o, almeno, alle competenze possedute. Ciò e particolarmente vero per le
comunità dell’Est Europa che, seppure in possesso di diplomi professionali e lauree, svolgono mansioni
legate al settore del lavoro domestico e di assistenza che non richiedono forte professionalità. Inoltre,
molti immigrati sono in possesso di competenze legate ad esperienze lavorative svolte in patria che non
riescono a mettere in pratica. Per questo, e in riferimento alle iniziative di formazione professionale per
immigrati che il territorio ha all’attivo e che intende organizzare, quasi tutti sono concordi nel ritenere che
bisogna tener conto di due aspetti fondamentali, gli stessi la cui mancata applicazione, come abbiamo
avuto modo di dire, ha spesso reso inconcludenti le iniziative formative e cioè: la progettazione e
l’organizzazione di corsi di formazione mirati alle reali possibilità occupazionali offerte dal territorio agli
immigrati. Si ritengono, ad esempio, utili corsi che preparino a svolgere lavori nel settore dell’agricoltura,
nei servizi domestici, nella ristorazione, ecc.; la necessità che la formazione riesca a valorizzare le
competenze e le conoscenze già in possesso del lavoratore immigrato. Tutto questo, però, deve essere
preceduto dall’apprendimento della lingua italiana che rappresenta la condizione prioritaria e necessaria
a qualunque iniziativa formativa rivolta ad immigrati A questo proposito, dalle informazioni finora in
possesso risulta che a Napoli l’offerta formativa rivolta ad immigrati ha visto la realizzazione di diversi
corsi di lingua italiana messi in piedi, a vario titolo da diversi enti, soprattutto del privato sociale. In
riferimento alla durata temporale, al livello di conoscenze trasmesse, alla validità degli attestati rilasciati,
al livello di frequenza da parte degli allievi, ci si trova in un universo variegato che va dai corsi
organizzati dai Centri Territoriali Permanenti per l’Istruzione e la Formazione in Età Adulta a quelli messi
in piedi in modo discontinuo da varie associazioni di volontariato e parrocchie, passando per
l’esperienza e l’esperienza decennale della scuola Louis Massignon della Comunità di S. Egidio. A parte
questo, sono state fornite anche notizie relative a corsi che hanno rilasciato qualifiche professionali ben
precise. Risultano, infatti, tre corsi per il conseguimento di qualifiche professionali per immigrati. Si tratta
del corso per mediatore linguistico – culturale, organizzato dal consorzio di cooperative sociali Gesco e
dalla cooperativa sociale Dedalus, e dei corsi per mediatore socio- sanitario e operatore nel settore
dell’assistenza domiciliare svolti dalla società di formazione Mater e riservati, per il 50% degli ammessi,
a cittadini stranieri. Il corso per mediatore linguistico – culturale, tenutosi nel 2000, era rivolto a 16
immigrati, impegnati per 650 ore in attività d’aula e stage. Tutti i partecipanti hanno conseguito la
qualifica e hanno costituito una cooperativa sociale che, attualmente, svolge attività di mediazione
culturale per immigrati e partecipa a diversi progetti. Il corso per mediatore socio-sanitario ha visto la
partecipazione di 10 immigrati di diversa provenienza, impegnati per 640 ore d’aula e stage. Solo 2
algerini hanno conseguito la qualifica mentre i restanti hanno lasciato il corso, che si svolgeva di mattina,
dopo poche settimane, si presuppone per motivi lavorativi. Secondo le informazioni raccolte, nessuno
dei due sta lavorando con la qualifica acquisita. Al corso per operatore nel settore dell’assistenza
domiciliare hanno partecipato 9 immigrati per un totale di 500 ore ma, anche in questo caso, solo due
persone, 1 ivoriano e 1 marocchino, sono arrivati a fine corso e, a tutt’oggi, non risulta se stiano
lavorando nel settore di specializzazione.
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6. RELAZIONE SULLA RILEVAZIONE DEI BISOGNI NELLA CITTA’ DI NAPOLI
AREA GIURIDICA
6.1 CARATTERISTICHE GENERALI DELL’AREA CITTADINA
Il gruppo di studio sull'Area Giuridica ha concentrato la sua attività di ricerca sull'accesso ai diritti degli
immigrati residenti nella città di Napoli. L’obiettivo delle rilevazioni effettuate è stato quello di analizzare le
difficoltà concrete che gli immigrati, regolarmente o irregolarmente residenti sul territorio, incontrano nel
godimento dei diritti riconosciuti loro dalla normativa. Sebbene la ricerca sia stata territorialmente limitata
all'area cittadina, non è possibile prescindere da alcune considerazioni generali che riguardano la condizione
giuridica di tutti gli immigrati residenti sul territorio nazionale. Tale condizione, infatti, è caratterizzata da una
forte precarietà dovuta alle limitazioni e alle difficoltà che i cittadini stranieri incontrano nella fase di accesso
regolare al territorio, alle lungaggini delle procedure amministrative per il rilascio e il rinnovo del titolo di
soggiorno, alla difficoltà di mantenere la regolarità del soggiorno una volta che la si è ottenuta.
Questi stessi problemi sono stati rilevati anche per gli immigrati residenti nell'area cittadina, aggravati,
tuttavia, dalle condizioni particolari che caratterizzano la città di Napoli e, più in generale, l'area campana. La
diffusione di fenomeni legati ad un'economia informale, infatti, rende più difficile la dimostrazione dei requisiti
richiesti dalla legislazione sull'immigrazione per ottenere o mantenere la regolarità del soggiorno, quali la
documentazione relativa alla condizione abitativa e lavorativa. Inoltre, la stessa area è caratterizzata dalla
forte presenza di un'immigrazione a carattere non stabile, legata al lavoro stagionale nelle campagne o alla
circostanza che, una volta ottenuta la regolarità del soggiorno, gli immigrati aspirano a trasferirsi nelle regioni
settentrionali del paese per cercare un'occupazione nell'industria. Quest'ultima tendenza, presente
soprattutto tra gli stranieri provenienti dal continente africano, limita di fatto la possibilità di elaborare
strategie a lungo termine di auto-organizzazione o auto-tutela da parte degli immigrati stessi.
Le rilevazioni effettuate dal gruppo di ricerca tramite interviste a testimoni qualificati hanno, inoltre,
messo in evidenza questioni specifiche legate alla carenza di servizi o alle disfunzioni delle amministrazioni
operanti sul territorio. La maggior parte degli intervistati ha sottolineato la mancanza di informazioni
adeguate immediatamente accessibili agli interessati, un atteggiamento particolarmente rigido da parte
dell'amministrazione competente al rilascio e al rinnovo dei titoli di soggiorno, la carenza di coordinamento
tra le amministrazioni pubbliche coinvolte, a diverso titolo, nelle procedure previste dalla normativa. Infine,
sono state evidenziate particolari problematiche legate alle relazioni tra gli immigrati e determinate categorie
di soggetti privati, quali i datori di lavoro degli stessi o i locatori di immobili adibiti a residenza abitativa.
I risultati parziali della ricerca devono tenere conto del fatto che la normativa in materia di immigrazione è
stata recentemente modificata. Le rilevazioni effettuate si riferiscono alle procedure previste dalla
precedente normativa, esse, tuttavia, forniscono indicazioni utili anche in riferimento alle norme oggi in
vigore. Inoltre, nella fase di regolarizzazione disposta dal Governo con il provvedimento sull'emersione del
lavoro irregolare, il Centro di Cittadinanza Sociale per Immigrati e, in particolare, il gruppo di studio dell'Area
Giuridica, si sono trovati a svolgere una funzione attiva di coordinamento e informazione rispetto agli
Sportelli e agli altri servizi all'immigrazione del Comune. Questa attività ha permesso di trarre indicazioni
utilissime sulle procedure previste dalla nuova normativa in materia di immigrazione, nonché su un possibile
ruolo più partecipe dell'amministrazione locale in relazione alle problematiche connesse all'accesso ai diritti
dei cittadini immigrati.
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6.2 OGGETTO E METODOLOGIA DELLA RICERCA
La ricerca si è concentrata sulle problematiche relative alla regolarità del soggiorno e sulla partecipazione
degli immigrati alla vita pubblica. Essendo necessario limitare l'oggetto d'indagine, queste due tematiche
sono apparse come pregiudiziali per poter fornire delle indicazioni complessive sulla condizione giuridica
degli stranieri residenti nell'area cittadina e sulla loro effettiva integrazione nel tessuto sociale cittadino. La
regolarità del soggiorno costituisce, infatti, il presupposto indispensabile per accedere ad altri specifici diritti
previsti dalla legge in materia di immigrazione, quali il diritto al lavoro o all'unità famigliare. La partecipazione
dei cittadini stranieri alla vita pubblica locale rappresenta, invece, un possibile strumento per incidere sulle
condizioni che ne limitano l'accesso al godimento dei diritti riconosciuti loro dalla normativa vigente.
La rilevazione dei bisogni relativi all'accesso ai diritti degli immigrati è stata effettuata, come per le altre
aree tematiche, tramite interviste ad osservatori privilegiati, quali operatori di settore, esponenti delle
comunità residenti sul territorio ed esponenti dell'associazionismo. A tali soggetti è stato sottoposto un
questionario “misto” composto da domande aperte e da alcune domande a risposta guidata. Lo specifico
oggetto della ricerca ha comportato l'utilizzo di uno strumento di analisi di tipo qualitativo, in grado di dare
conto sia di situazioni generalizzate che di fenomeni poco diffusi ma particolarmente rilevanti.
La modifica della normativa in materia di immigrazione e asilo e il contestuale provvedimento di
emersione del lavoro irregolare hanno imposto, inoltre, di integrare la metodologia di ricerca con strumenti in
grado di registrare le specifiche problematiche inerenti la procedura di regolarizzazione degli immigrati. A tal
fine sono stati organizzati degli “osservatori sulla regolarizzazione”, ovvero, dei momenti di osservazione
partecipata di specifiche situazioni. In particolare, il gruppo di ricerca ha partecipato ad alcune assemblee
organizzate da comunità di immigrati o altre realtà dell'associazionismo con alcuni avvocati, esperti di
problematiche inerenti l'immigrazione, che operano sul territorio cittadino. Tali assemblee erano finalizzate a
fornire indicazioni in merito alle procedure di regolarizzazione e a rispondere alle richieste di chiarimento da
parte dei lavoratori e dei datori di lavoro interessati al procedimento. Uno di questi osservatori, infine, è stato
realizzato tramite l'osservazione partecipata dell'attività di sportello svolta da un'associazione di volontariato
per la tutela dei diritti dei cittadini stranieri.
6.3 ACCESSO AI DIRITTI E ALL’INFORMAZIONE
6.3.1 I servizi sul territorio
Dal monitoraggio effettuato sulle strutture che forniscono servizi nell'ambito dell'informazione e della
tutela dei diritti, è emersa sia l'insufficienza delle strutture esistenti a coprire le necessità del territorio
cittadino, sia la carenza di servizi con competenze specifiche in materia giuridica. In particolare, molti dei
soggetti intervistati non hanno fatto riferimento ad alcun servizio pubblico tra i servizi che forniscono
consulenza e assistenza giuridica agli stranieri. In altri casi, gli intervistati hanno lamentato carenze e
discontinuità nel servizio offerto. Più in generale è stato evidenziato quanto importante sarebbe la
promozione da parte degli enti locali di servizi con competenze specifiche in ambito giuridico per la tutela dei
diritti dei cittadini immigrati.
Tra le cause di tale situazione vi è il fatto che l'attività di tali sportelli, essendo legata a finanziamenti
pubblici su progetti temporalmente limitati, non ha offerto una continuità di servizio e, quindi, non si è
caratterizzata come un punto di riferimento stabile sul territorio. Inoltre, tali sportelli offrono un servizio di
consulenza che copre ambiti differenziati. La specificità delle competenze richieste, per dare risposte
adeguate nell'ambito delle problematiche giuridiche, richiede conoscenze che spesso esulano dalla
formazione degli operatori in organico presso gli sportelli.
Per quanto riguarda gli ambiti dell'associazionismo o del privato sociale che offrono analoghi servizi, tra i
soggetti indicati con maggiore frequenza dagli intervistati vi sono gli sportelli informativi dei sindacati, in
particolare della Cgil, e alcune associazioni di volontariato, come gli sportelli della Caritas, lo sportello legale
dell'associazione MigrAzioni (conosciuto anche come sportello legale della coop. 'O Pappece). Alcune di tali
associazioni, nonostante operino su base volontaria, sono riuscite comunque a garantire una continuità nel
servizio offerto caratterizzandosi come punto di riferimento per gli immigrati residenti. Inoltre, molte di tali
associazioni si avvalgono della consulenza o della collaborazione di operatori qualificati quali avvocati o
esperti giuridici, in grado di fornire consulenza e assistenza specifica. Dalle interviste e dagli osservatori
sulla regolarizzazione è emerso come ad alcuni di tali soggetti si rivolgano anche gli stessi operatori degli
Sportelli informativi del Comune di Napoli per fornire consulenza nei casi che presentano particolari
problematiche sotto il profilo giuridico.
La carenza di servizi adeguati, comunque, non viene compensata neppure dall'attività
dell'associazionismo e del privato sociale. Per tale ragione si è registrato, negli ultimi anni, il proliferare sul
territorio di soggetti privati, organizzati in forma di impresa o come singoli professionisti, che forniscono
servizi a pagamento nell'ambito dell'accesso ai diritti. In particolare, tali servizi sono offerti da agenzie che si
occupano del disbrigo delle pratiche amministrative relative al rilascio o al rinnovo dei titoli di soggiorno,
molte delle quali sono situate nei presi dell'Ufficio Stranieri della Questura di Napoli o nei pressi della
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Centro di cittadinanza sociale per immigrati
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stazione centrale. Dalle interviste è emerso come alcuni immigrati preferiscano rivolgersi a servizi privati a
pagamento, anziché agli sportelli informativi pubblici che offrono gratuitamente gli stessi servizi, perché
l'intermediazione di tali soggetti privati spesso accorcia i tempi delle procedure ne facilita l'esito positivo.
In alcuni casi tali servizi privati offrono aspetti di professionalità che non possono essere suppliti dal
servizio pubblico, come nell'eventualità in cui ci si rivolga ad un avvocato per l'assistenza giudiziale. In altri
casi, tuttavia, essi forniscono a pagamento semplici servizi di intermediazione con la Pubblica
Amministrazione il cui accesso dovrebbe essere garantito gratuitamente ad ogni cittadino, sia italiano che di
altra nazionalità. A tale riguardo, appare significativa la necessità evidenziata in molte intervistate, sia tra i
bisogni che tra le proposte relative all'area giuridica, di estendere o garantire maggiormente l'efficacia del
gratuito patrocinio per i cittadini stranieri. Viste le competenze non specificatamente giuridiche degli
intervistati, tale rilievo, più che alla legislazione sul patrocinio a spese dello stato in senso tecnico, è da
intendersi in riferimento alle difficoltà per i cittadini immigrati ad accedere gratuitamente a servizi anche di
semplice consulenza o informazione che in ambito giuridico.
Per ovviare alle carenze evidenziate, sarebbe auspicabile la progettazione di servizi specializzati nella
consulenza e assistenza giuridica che, offrendo un servizio continuativo, potessero costituire un punto di
riferimento stabile sia per i cittadini immigrati che per gli operatori degli altri servizi all’immigrazione. Inoltre,
come supporto ai servizi già esistenti sul territorio, sarebbe opportuno prevedere un aggiornamento
specialistico sulle tematiche giuridiche per gli operatori già incardinati nei servizi esistenti.
6.3.2 L'accesso alle informazioni
La quasi totalità delle interviste effettuate ha evidenziato la carenza e la frammentarietà delle informazioni
disponibili riguardo a quali siano i diritti dei cittadini stranieri, regolarmente o irregolarmente presenti sul
territorio, nonché sulle modalità di accesso al godimento di tali diritti. Questa situazione si ripercuote sia sulla
possibilità di accedere e mantenere la regolarità del soggiorno, che su tutti gli altri diritti riconosciuti dalla
normativa in vigore, quale il diritto all'unità familiare, allo studio, alla salute, al lavoro e così via.
Tali carenze sono da attribuirsi, oltre che alla situazione evidenziata nella sezione precedente, alle
difficoltà sia per i cittadini immigrati che per gli stessi operatori di settore ad orientarsi con certezza nelle
procedure amministrative. Si consideri che il Testo Unico sull'immigrazione, recentemente modificato, e il
relativo regolamento di attuazione sono entrati in vigore rispettivamente nel 1998 e nel 1999. Molte delle
procedure ivi previste hanno trovato applicazione solo recentemente (si pensi all'attribuzione dei codici
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STP ) e con notevoli difficoltà di attuazione. Inoltre, l'abitudine a integrare la legislazione vigente attraverso
una normazione di fonte inferiore, in particolare attraverso circolari, rende difficoltoso un aggiornamento
costante sia per gli addetti ai lavori che per le stesse amministrazioni coinvolte nelle procedure.
La frammentarietà e la carenza di informazioni immediatamente accessibili è dovuta, altresì, alla
mancanza sul territorio di una struttura stabile in grado di filtrare e uniformare le informazioni disponibili. Da
questo punto di vista, risulta importante l'esperienza e il ruolo svolto dal Centro di Cittadinanza Sociale per
Immigrati e, in particolare, del gruppo di studio dell'Area Giuridica, durante la recente procedura di
regolarizzazione. Il centro, infatti, ha potuto raccogliere le richieste di informazioni provenienti dagli altri
servizi per l'immigrazione del comune di Napoli e fungere da intermediario con le amministrazioni preposte
alla procedura di regolarizzazione, in particolare con l'Ufficio Territoriale per il Governo. In questo modo, gli
operatori degli altri servizi hanno potuto fornire agli utenti informazioni aggiornate e uniformi. Una simile
struttura che coniughi attività di ricerca con intermediazione con le indicazioni provenienti dalle
amministrazioni pubbliche risulterebbe fondamentale anche in periodi di regime ordinario della normativa
sull'immigrazione.
La carenza di informazioni su quali siano i diritti degli stranieri e le possibilità di accesso agli stessi rende,
inoltre, difficoltoso un monitoraggio costante e veritiero sui bisogni e sugli abusi che si verificano in merito a
tali diritti. Una conoscenza adeguata dei propri diritti rappresenta, infatti, il presupposto indispensabile alla
loro agibilità sia in sede giudiziale che stragiudiziale. Anche in quest'ambito si rileva la mancanza di una
struttura stabile in grado di monitorare gli abusi o alla quale rivolgersi per denunciare i comportamenti
discriminatori e ottenere assistenza. Quest'ultimo rilievo riguarda sia i rapporti tra gli stranieri e le
amministrazioni pubbliche che tra gli stranieri e soggetti privati.
In relazione ai rapporti con le amministrazioni pubbliche, dalle interviste è emerso, ad esempio, che molti
richiedenti asilo non conoscono la possibilità di essere ammessi ad un contributo di prima assistenza
previsto dalla legge o, ancora, non sanno della possibilità di inoltrare domanda di asilo anche quando sono
già entrati sul territorio nazionale. In riferimento a tale possibilità, si registra, inoltre, la resistenza da parte
dell'Ufficio Stranieri della Questura di Napoli in merito all'accettazione di richieste d'asilo. Resistenza
inopinatamente motivata dal fatto che queste andrebbero presentate alla polizia di frontiera al momento
dell'accesso sul territorio.
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.Tesserini sanitari per gli stranieri irregolari (Stranieri Temporaneamente Presenti).
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In relazione ai rapporti tra cittadini stranieri e i soggetti privati, la mancata conoscenza dei propri diritti
pregiudica, spesso, la possibilità di agire giudizialmente per vedersi riconoscere le proprie spettanze o
evitare di subire soprusi, come nel caso di licenziamenti senza giusta causa. Tale situazione si riflette anche
sulla regolarità del soggiorno dal momento che questa è legata alla regolarità della condizione lavorativa.
Infine, la quasi totalità delle interviste ha evidenziato la difficoltà per i cittadini stranieri ad ottenere
informazioni adeguate dalla Pubblica Amministrazione, in particolare dalla Questura, in merito ai
procedimenti che li riguardano. In alcuni casi, tali difficoltà sono determinate da limiti di comprensione
oggettivi, spesso dovuti ad una conoscenza insufficiente della lingua italiana. In molti casi, tuttavia, esse
sono dovute alla vaghezza delle risposte che gli stranieri ottengono quando si recano presso gli sportelli
dell'Ufficio Stranieri, o al fatto che le informazioni fornite loro sono imprecise o sbrigative. Le interviste hanno
evidenziato, inoltre, l'insufficiente riconoscimento da parte delle Pubbliche Amministrazioni del ruolo di
intermediazione nel fornire informazioni svolto dalle figure dei mediatori culturali o dei rappresentanti degli
immigrati.
La carenza di informazioni adeguate, inoltre, è da annoverare come una delle cause principali che
determinano la caduta nell'irregolarità da parte di molti cittadini immigrati. Una maggiore conoscenza dei
propri diritti, infatti, permetterebbe di supplire alle difficoltà che si incontrano nel dimostrare i requisiti
necessari al rinnovo del permesso di soggiorno. In molti casi gli immigrati non conoscono le possibilità
concesse loro dalle leggi vigenti, ad esempio per quanto riguarda la possibilità di autocertificazione, la
possibilità di ottenere un provvedimento giudiziale che dichiara l'inefficacia dei licenziamenti illegittimi o,
ancora, la possibilità di ottenere un rinnovo temporaneo del permesso di soggiorno in caso di iscrizione alle
liste di collocamento prima della scadenza dello stesso. Infine, spesso i cittadini stranieri hanno difficoltà a
comprendere appieno quale sia la documentazione necessaria a dimostrare le condizioni di reddito nel caso
del lavoro autonomo. In tutti questi casi, informazioni facilmente e tempestivamente accessibili e la presenza
di mediatori qualificati presso le amministrazioni pubbliche potrebbe aiutare loro a districarsi nelle procedure.
Dalle interviste effettuate è emersa maggiore necessità di informazioni e assistenza in ambito di regolarità
del soggiorno, diritto del lavoro, famiglia e ricongiungimento.
Al fine di ovviare alle difficoltà emerse dal monitoraggio, sarebbe auspicabile la progettazione di una
struttura stabile in grado sia di monitorare costantemente i bisogni e gli eventuali abusi relativi all'accesso ai
diritti, sia di filtrare e uniformare le informazioni disponibili, per poi diffonderle ai servizi presenti sul territorio.
Una struttura specializzata nella consulenza, formazione e diffusione delle informazioni nell’ambito giuridico
in grado di garantire altresì interventi elastici e mirati alle esigenze che periodicamente emergono in tale
ambito. Inoltre, sarebbe opportuna la progettazione di strumenti di empowerment rivolti ai cittadini stranieri
per informarli sui loro diritti, nonché un maggior riconoscimento del ruolo di figure di intermediazione come i
mediatori culturali o le stesse associazioni.
6.4 RAPPORTI CON LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
6.4.1 Rapporti con la Questura
Dalle interviste effettuate si rileva come i maggiori problemi nei rapporti tra i cittadini stranieri e la PA
emergano nelle relazioni con l'Ufficio Stranieri della Questura. La quasi totalità dei soggetti intervistati ha
lamentato un atteggiamento estremamente rigido dell'amministrazione competente al rilascio e al rinnovo dei
titoli di soggiorno, tendente ad applicare la normativa in maniera quasi sempre restrittiva e sfavorevole ai
cittadini stranieri. Sono stati denunciati, inoltre, trattamenti discrezionali, nonché vere e proprie omissioni
rispetto alle procedure previste dalla legge. Tra i comportamenti più rilevanti, in senso negativo, bisogna
annoverare il rifiuto dell'accettazione delle istanze di parte quando vengono ritenute incomplete nella
documentazione, non sufficientemente motivate o quando l'Ufficio non si ritenga competente all'esame della
domanda.
Tale comportamento risulta limitare fortemente le possibilità di accesso ai diritti degli immigrati. Anche se
ritenute incomplete, infatti, le istanze potrebbero essere accettate ed integrate successivamente in base alla
legge sul procedimento amministrativo. Inoltre, la mancata accettazione e il mancato protocollo dell'istanza
impediscono al cittadino la possibilità di dimostrare le sue ragioni in sede di eventuale tutela giurisdizionale,
dal momento che, se il procedimento amministrativo non ha inizio, non si avrà neppure un eventuale
provvedimento di diniego contro il quale ricorrere.
I casi nei quali sono state rilevate simili omissioni riguardano diverse situazioni. Si è già fatta menzione
della mancata accettazione delle domande di asilo politico, ma il rifiuto delle istanze si è registrato anche in
merito alle richieste di ricongiungimento familiare, di rinnovo del permesso di soggiorno, di conversione dello
stesso, e della, non più in vigore, procedura per la cosiddetta “sponsorizzazione”. L'atteggiamento in esame
risulta particolarmente vessatorio nel caso di procedimenti che prevedono termini di decadenza, come la
richiesta di rilascio o di rinnovo del titolo di soggiorno, poiché questo può incidere sulla regolarità del
soggiorno dei cittadini stranieri. Anche in simili casi risulta determinante la carenza di informazioni alle quali
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possono accedere i cittadini stranieri. La mancata conoscenza dei propri diritti, infatti, quali quello a veder
rispettata la normativa generale sul procedimento amministrativo, impedisce la tutela contro gli eventuali
abusi.
I problemi organizzativi degli uffici si riflettono, poi, sulla possibilità di acceso ai diritti dei cittadini stranieri.
Nel caso della Questura di Napoli, tutti gli intervistati hanno evidenziato i tempi lunghissimi necessari per
l'espletamento delle procedure amministrative. Le attese per il rilascio o il rinnovo del permesso di soggiorno
arrivano anche a molti mesi. Tempi lunghissimi si registrano poi per il rilascio della carta di soggiorno. Se
simili complicanze possono essere attribuite a carenze di organico strutturali all'amministrazione di un ufficio
competente per un territorio popoloso come quello di Napoli, diverso è il caso delle lunghe file di attesa
necessarie per accedere fisicamente agli uffici. La Questura di Napoli, infatti, ha limitato la possibilità di
accedere ai sui uffici in giorni stabiliti in base alla lettera iniziale del cognome dell'utente. Ogni immigrato ha,
quindi, diritto di accesso circa una volta ogni 15 giorni. Tale diritto, inoltre, è quantitativamente stabilito nel
numero di circa 70-100 immigrati al giorno. Tale situazione costringe gli stranieri a file di alcune ore, che
iniziano la notte precedente, di fronte agli uffici dell'Amministrazione per poter prendere il numero di
ingresso. Tale situazione, oltre ad essere particolarmente denigrante per i cittadini stranieri, ha dato luogo ad
episodi di compravendita dei numeri di accesso. Il criterio adottato, inoltre, non tiene conto delle diverse
necessità di urgenza delle procedure, per alcune delle quali attendere il turno di ingresso successivo può
risultare compromissorio degli interessi dell'utenza. Infine, tale criterio appare essere applicato in maniera
discriminatoria. Per gli stranieri comunitari, infatti, non è previsto nessun limite di accesso agli uffici e sembra
che tali limiti non valgano neppure per la numerosissima comunità statunitense residente a Napoli.
Alcuni dei problemi evidenziati potrebbero essere risolti attraverso l'adozione di pratiche migliori da parte
della Pubblica Amministrazione. Si segnala, in tal senso, lo sforzo di molte altre questure italiane per il
rispetto dei tempi di rilascio del permesso di soggiorno o del nulla osta all'ingresso così come previsti dalla
normativa. Secondo le prassi in uso in altre amministrazioni, infatti, se non si è in presenza di palesi
violazioni di legge, il procedimento si conclude in tempi ragionevoli. Accertamenti supplementari possono
essere fatti in seguito e portare, eventualmente, ad una revoca successiva del provvedimento stesso.
Ancora, in molte questure è in uso la prassi di evitare le lunghe file per il ritiro dei provvedimenti richiesti
concordando con l'interessato un preciso appuntamento per il ritiro.
Si segnala, tuttavia, che alcune interviste hanno evidenziato un miglioramento del servizio a seguito
dell'istituzione presso la questura di Napoli di uno sportello informativo per il pubblico. A tale sportello
potrebbe comunque essere affiancato un servizio fornito da mediatori culturali con una formazione specifica
in merito alle procedure amministrative.
6.4.2 Rapporti con le altre amministrazioni pubbliche
Dalle interviste effettuate sono emerse alcune difficoltà anche rispetto ad altre amministrazioni pubbliche
coinvolte nei procedimenti amministrativi. In termini generali è stato osservato come tali amministrazioni si
trovino spesso impreparate nei confronti delle richieste dei cittadini stranieri a causa di un non tempestivo
adeguamento alle procedure previste dalla normativa, o di una applicazione discrezionale della stessa.
Per quanto riguarda le Asl, si sono registrate difficoltà nell'ottenimento del certificato di idoneità igienicosanitaria dell'alloggio necessario al ricongiungimento familiare. Altre difficoltà sono state rilevate in merito
all'iscrizione al Ssn nelle fasi di rilascio o rinnovo del titolo di soggiorno. In particolare bisogna rilevare come
altre amministrazioni regionali (ad esempio la Regione Lazio) abbiano chiarito la possibilità di iscrizione al
Ssn durante la fase di regolarizzazione attualmente pendente. Non essendo stato adottato alcun
provvedimento analogo in Campania tale possibilità appare difficoltosa per gli immigrati residenti in regione,
sebbene, secondo l'opinione di alcuni giuristi intervistati, essa sia prevista anche dalle leggi nazionali e non
necessiti quindi di una normativa di attuazione di grado inferiore.
Per quanto riguarda l'amministrazione comunale, sono emerse difficoltà, legate soprattutto ai tempi della
procedura, nell'ottenimento del certificato rilasciato dall'Ufficio Tecnico Erariale in merito all'idoneità
dell'alloggio per il ricongiungimento familiare. Difficoltà si registrano, poi, per l'ottenimento del nulla osta
necessario all'attività di lavoro autonomo da parte degli uffici competenti a rilasciare la licenza. Ancora,
particolari problemi sono stati evidenziati per quanto riguarda l'iscrizione anagrafica dei cittadini stranieri. Le
difficoltà maggiori riguardano soprattutto la popolazione rom residente nei campi nomadi non autorizzati. La
mancanza di iscrizione anagrafica, oltre a pregiudicare l'accesso e il mantenimento della regolarità del
soggiorno, pregiudica diritti quali quello all'unità familiare, nonché la possibilità di maturare i requisiti
necessari all'ottenimento della cittadinanza. Altri problemi si registrano, infine, nei rapporti con la Camera di
Commercio per l'ottenimento della documentazione necessaria al lavoro autonomo.
Un passaggio essenziale per superare alcune delle difficoltà evidenziate, è costituito dalla previsione di
una o più conferenze inter-istituzionali di servizi finalizzate al coordinamento tra le Pubbliche Amministrazioni
coinvolte nel procedimento.
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6.5 RAPPORTI CON ALTRI SOGGETTI
6.5.1 Rapporti con i soggetti privati
Dalle interviste dell'Area Giuridica e da un'analisi incrociata dei dati raccolti dagli altri gruppi di ricerca,
sono emerse particolari problematiche legate ai rapporti tra i cittadini stranieri e alcuni soggetti privati quali, i
datori di lavoro e i locatari di alloggi. La larga diffusione di fenomeni di economia informale e del cosiddetto
“lavoro nero”, rende difficile la dimostrazione dei requisiti necessari all'ottenimento e al mantenimento della
regolarità del soggiorno legata alla regolarità della condizione lavorativa e alla disponibilità di un alloggio.
Si è già detto come le possibilità di autotutela degli immigrati siano compromesse da una carenza di
informazioni su quali siano i loro diritti. Bisogna aggiungere che spesso strategie di auto-tutela e autoorganizzazione sono impedite, altresì, dal timore che i datori di lavoro possano compiere ritorsioni nei
confronti dei cittadini stranieri.
Tali problemi sono stati evidenziati anche durante la procedura di emersione del lavoro irregolare. Dagli
“osservatori sulla regolarizzazione” è emerso, in particolare, il dato secondo cui molti datori di lavoro hanno
illegittimamente licenziato i dipendenti stranieri che avevano chiesto loro di essere regolarizzati. In altri casi,
è stato chiesto ai lavoratori di pagare essi stessi il contributo forfetario previsto dal provvedimento di
emersione nonché i contributi che matureranno durante il rapporto di lavoro. In altri casi, sono addirittura
state chieste cospicue somme in denaro per avviare la procedura di regolarizzazione.
Da un lato è innegabile come simili disfunzioni dipendano soprattutto dalla normativa nazionale, la quale
individua come soggetti titolari dell'iniziativa della regolarizzazione i soli datori di lavoro. Da un altro lato,
tuttavia, si registra anche in quest'ambito una carenza di informazioni sia in merito alle possibilità di tutela
concesse ai cittadini stranieri, che in merito alle conseguenze della procedura per i datori di lavoro. Dagli
“osservatori sulla regolarizzazione” infatti, è emerso come molte delle resistenze dei datori di lavoro,
soprattutto per quanto riguarda il lavoro domestico, siano dovute a infondate preoccupazioni sugli oneri
derivanti dalla procedura. In alcuni casi, ad esempio, le esitazioni ad avviare la procedura sono state
motivate dalla necessità di dimostrare una capacità contributiva sufficiente, sebbene tale requisito non venga
richiesto dalla normativa. Molte perplessità si sono registrate, inoltre, in merito alla garanzia richiesta al
datore di lavoro per l'alloggio e le spese di rimpatrio del lavoratore.
Analoghe difficoltà con i soggetti privati si registrano in riferimento ai rapporti con i locatari di alloggi.
Questi, infatti, difficilmente accettano di registrare regolarmente i contratti stipulati, o chiedono ai cittadini
stranieri canoni maggiorati rispetto al corrente prezzo di mercato. Anche in tali casi gli stranieri sono spesso
poco informati rispetto ai loro diritti quale, ad esempio, quello di poter ottenere la regolamentazione del
canone di locazione per via giudiziale.
6.5.2 Rapporti con ambasciate e consolati
Difficoltà nei rapporti con le ambasciate e i consolati si manifestano soprattutto in merito al rilascio dei
passaporti o delle attestazioni di identità consolare. In particolare per i cittadini provenienti da determinati
paesi quali, l'Algeria, la Tunisia e l'Ukraina, la Nigeria e altri. Tali difficoltà si ripercuotono in maniera
determinante sulla regolarità del soggiorno, dal momento che la presentazione di un passaporto in corso di
validità è requisito necessario non solo al rilascio, ma anche al rinnovo del titolo di soggiorno. Nonostante
alcuni pronunciamenti della giustizia amministrativa abbiano previsto la possibilità di rilasciare un permesso,
almeno temporaneo, a fronte della semplice dichiarazione di identità consolare, anche in questi casi si
registra una resistenza da parte della Questura nell'accettazione delle istanze non corredate dal passaporto.
Inoltre, durante l'attuale fase di regolarizzazione, si è registrato un considerevole aumento delle tasse
richieste dai consolati e dalle ambasciate per il rinnovo del passaporto. Per i cittadini srilankesi, ad esempio,
tale contributo ammonta quasi a 500 euro.
6.6 PARTECIPAZIONE ALLA VITA PUBBLICA LOCALE
L'ultima parte del questionario di rilevazione è stata dedicata alla partecipazione alla vita pubblica locale
dei cittadini stranieri. In termini generali si è osservata un minore interesse degli stessi osservatori privilegiati
intervistati per questa sezione del questionario dovuta, altresì, a una scarsa conoscenza delle forme di
partecipazione previste a livello locale.
Molti degli intervistati hanno lamentato l'inadeguatezza di forme di partecipazione quali quelle previste
dalle consulte territoriali per l'immigrazione a garantire una vera partecipazione democratica ai processi
decisionali. Tali iniziative, infatti, sono in grado di coinvolgere solo una piccolissima parte della popolazione
immigrata, spesso elitaria, e comunque non quella maggiormente disagiata. Gli immigrati non organizzati in
comunità, o che non partecipano alle attività dell'associazionismo, sono completamente esclusi da ogni
forma di partecipazione alla vita pubblica.
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Dalle interviste è emersa la mancanza di riconoscimento di una reale possibilità di partecipazione alla vita
pubblica se non collegata a un meccanismo di rappresentazione più efficace, quale il diritto di voto alle
elezioni amministrative.
6.7 PROBLEMI INERENTI IL PROVVEDIMENTO DI EMERSIONE DEL LAVORO IRREGOLARE
Alcuni dei problemi inerenti l'applicazione del provvedimento di emersione del lavoro irregolare per i
cittadini extracomunitari (c.d. regolarizzazione) sono già stati evidenziati in una precedente sezione. Ve ne
sono altri, tuttavia, sui quali è opportuno soffermarsi in maniera più diffusa. In linea generale è necessario
rilevare una controtendenza della città di Napoli in merito al numero delle domande di regolarizzazione
presentate. In molte città italiane, infatti, tale numero ha superato di molto le iniziali previsioni, mentre nella
città di Napoli è stato nettamente inferiore a quanto preventivato.
Tale contro tendenza, se da un lato è da attribuire alla larga diffusione del fenomeno del lavoro
irregolare, dall'altro, è ipotizzabile dipenda anche dal tipo di attività lavorativa svolta dai cittadini immigrati
residenti in città. Molti di questi, infatti, specialmente se appartenenti a determinate comunità nazionali come
quella senegalese, svolgono attività di lavoro autonomo, quale il commercio ambulante. Tale categoria
lavorativa, tuttavia, è stata completamente esclusa dalla possibilità di accedere alla regolarizzazione. Inoltre,
molti cittadini stranieri attualmente impiegati come dipendenti hanno svolto in passato attività di commercio
ambulante, ed è frequente che siano incorsi in procedimenti penali dovuti alla vendita di prodotti con marchio
contraffatto. In tali casi è consuetudine che la magistratura contesti il reato di ricettazione, reato per il quale è
previsto l'arresto, e che, secondo il provvedimento sull'emersione del lavoro irregolare, precludeva la
possibilità di regolarizzazione.
Dalle informazioni raccolte sembra poi che durante il periodo di regolarizzazione sia stato
particolarmente diffuso il fenomeno della c.d. “compravendita dei contratti”. Molti immigrati che avevano
perso il lavoro, o i cui datori di lavoro si rifiutavano di regolarizzarli, sono ricorsi all'esborso di somme di
denaro in cambio della disponibilità a dichiarare un rapporto di lavoro in corso. Le somme di denaro pagate a
tal fine variano da alcune centinaia di euro, per un contratto di lavoro domestico, fino ad alcune migliaia di
euro, per i contratti nell'impresa. Tale fenomeno avrebbe sicuramente avuto dimensioni più contenute se vi
fosse stata la possibilità per anche per il lavoratore di accedere alla regolarizzazione denunciando il rapporto
di lavoro in corso.
Tale possibilità è stata ammessa a pochi giorni dalla scadenza del termine finale di regolarizzazione
sulla base di una circolare (c.d. “circolare Mantovano”), ma solo pochi lavoratori se ne sono avvalsi nella città
di Napoli. Sulla base dei dati raccolti presso i sindacati e altre associazioni sembra che siano state
presentate meno di 200 domande di regolarizzazione ai sensi della “circolare Mantovano”. Tale dato, se
confrontato con quello di altre città che hanno visto la presentazione di alcune migliaia di domande a seguito
dell'apertura di una vertenza con il datore di lavoro, appare particolarmente preoccupante. Esso assume,
infatti, un valore esemplificativo per quanto riguarda le difficoltà che incontrano gli immigrati nell'essere
adeguatamente informati sui propri diritti, nonché le difficoltà che si incontrano nel produrre interventi incisivi
in una situazione di larga diffusione del lavoro nero.
Infine, è opportuno dare conto di un ulteriore fenomeno di illegalità legato alla dichiarazione di emersione
del lavoro irregolare. Dalle informazioni raccolte è emerso, infatti, che, oltre alla commercializzazione dei
contratti di lavoro, nella città di Napoli vi sia stata una commercializzazione di documenti di identità falsificati
o rubati. Tali documenti sarebbero serviti, in alcuni casi, alla compilazione dei moduli per chi non poteva
avvalersi in altro modo della regolarizzazione. Dal momento che l'ottenimento del permesso di soggiorno è
subordinato alla firma del “contratto di soggiorno” presso l'Ufficio Territoriale del Governo, è probabile che
tali domande verranno rigettate. Non è chiaro, quindi, perché alcuni cittadini stranieri siano ricorsi a tale
espediente. Anche tale dato dà conto, da un lato, della scarsità di informazioni adeguate, dall'altro, della
situazione di isolamento nella quale si trovano molti immigrati e che li espone ad essere facili vittime di
inganni e raggiri.
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