distretto42, i sognatori pisani non si fermano

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distretto42, i sognatori pisani non si fermano
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di William Domenichini
“Do not judge me by my successes, judge
me by how many times I fell down and got
back up again”
(Non giudicarmi dai miei successi, giudicami
da quante volte sono caduto e mi sono
rialzato)
Nelson Mandela
I sogni non si sequestrano, si colorano. Le energie non s’imprigionano, si liberano. In questo
mondo grigio e spento, in cui gli interessi di pochi usurpano troppo spesso il bene comune, non
bastano le migliori energie per difendere e colorare i sogni, per realizzare le utopie. Già,
utopie. Quelle che nei bar, per la strada, si dice non diano da mangiare, ma che qualcuno
paragonava all’orizzonte: tu fai un passo in avanti e si allontana di un passo, ne fai due, e si
allontana di due. Che cose inutili le utopie, servono solo a camminare.
Il cammino arriva alla mattina del 15
febbraio, le energie sono ancora una volte
scoccate, ancora una volta, dal Municipio
dei Beni comuni.
Dalle frequenze web di Radio Roarr, arriva
l’annuncio: Pisa, centro città, quartiere
San Martino, l’ex caserma “Curtatone e
Montanara”, circa 4000 mq di edifici e
8000
mq
di
parco completamente
inutilizzato ed abbandonato dal 1994, è
stata liberata.
Un deserto urbano da 20 anni, quando le
ultime reclute passavano per la visita dei
tre giorni, trasformando uno spazio espropriato alla cittadinanza pisana per pubblica (in)utilità,
con un lento declino, degrado che giustifica una messa a bilancio o una cartolarizzazione di un
luogo che è stato fatto diventare non-luogo.
La natura si è rimpossessata degli spazi,
orizzontali e verticali: tra intrecci e fusioni di
rami, muraglie di rampicanti, distese di
fogliame, si intravedono tre sagome,
scheletri
di
edifici,
antiche
vestigia,
inanimate, congelate, come i calendari
appesi, le poltrone della barberia immobili, i
resti dei letti delle camerate, le cappe delle
cucine.
In via Giordano Bruno, pochi giorni prima
dell’anniversario del rogo di Campo de’ Fiori,
l’ex Distretto militare è al civico 42, come
quell’articolo della Costituzione repubblicana
che dice chiaramente:
“La proprietà è pubblica o privata. I beni economici appartengono allo Stato, ad enti o a
privati. La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di
acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla
accessibile a tutti. La proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo
indennizzo, espropriata per motivi d’interesse generale”.
Nasce il Distretto42. Un passato che è leitmotiv, vissuto e presente in tante altre città italiane.
Così, la liberazione viene preparata dalla stesura di un dossier, il secondo dell’edizione
Rebeldia!. Studiate, organizzatevi ed agitatevi, diceva quello, e con “Riconversioni urbane”
inizia il racconto di ciò che ci si trova di fronte, oltre il muro di cinta che hanno nascosto, per
anni, questo tesoro, oggi libero, le insegne di sorveglianza armata mutate, pacificate, i cancelli
aperti, ed i tanti militanti all’opera nel rimettere a nuovo parco ed edifici, pronti ad ospitare le
decine di attività a disposizione di un quartiere che da 20 anni ha visto negato quello spazio.
A pensar male si sa, si fa peccato, ma talvolta ci
s’azzecca pure. L’area via Giordano Bruno è un
tassello del famigerato “Progetto Caserme”,
faraonica operazione urbanistica che vorrebbe
fare di quell’area, e delle altre caserme pisane
dismesse (Bechi Luserna ed Artale) meglio nota
come “Pisa futura”, interventi altresì noti di
speculazione edilizia in cambio la realizzazione
di una nuova caserma nel quartiere di
Ospedaletto.
Nello studio c’è un salto in avanti, la
connessione, la rete. Una trama di relazioni, di
esperienze e di narrazioni di altre realtà, in
rapporto con i beni demaniali, da Trieste a Taranto, passando per Bologna, La Spezia, Livorno,
Roma, Napoli. Storie di lotte, contro la conservazione dello status quo e speculazioni, di
liberazioni, di riappropriazione, rilancio e riconversione.
Una fase nuova, che lega la liberazione del Distretto ad una rete di lotte, non una scheggia
impazzita in un paese che da priorità alla sua svendita piuttosto che alla (ri)costruzione dei
suoi rapporti sociali e di nuovi patti di cittadinanza, ma un tessuto che si lega, in un linguaggio
comune, le cui declinazioni sembrano una lingua estranee in patria.
Diritti, spazi, partecipazione, beni comuni, contro una neolingua che parla di responsabilità e
garantisce speculazioni, di pianificazione e procede a privatizzare beni essenziali, senza
trasparenza, millanta legalità formale senza quella sociale. La caserma di via Giordano Bruno è
area demaniale, quindi non una forma di proprietà ma, per usare le parole di Salvatore Settis,
“un bene ed un servizio pubblico nell’interesse di tutti i cittadini e per questo è inalienabile”.
L’attacco a cultura e bellezza avviene attraverso ciò che è comune e le nuove Resistenze
diventano forme di Liberazione, così le loro narrazioni passano per le parole di Paolo
Maddalena: un bene demaniale inutilizzato è già appartenente a titolo di sovranità al popolo in
quanto bene demaniale (ma altrettanto varrebbe anche se fosse, per assurdo, in proprietà
privata), non persegue più i suoi fini istituzionali e pertanto, essendo tornata della piene
disponibilità del popolo stesso è in attesa di ottenere una nuova “destinazione” agli usi
pubblici.
In altri termini, l’Autorità militare, titolare della
“gestione” di un bene in proprietà collettiva
demaniale, non è più legittimata ad avere il
possesso o la detenzione del bene, che torna
automaticamente a “disponibilità” del popolo
sovrano, il quale attraverso le istituzioni che lo
rappresentano (il
Comune)
ne decide
la
destinazione secondo le attuali esigenze della
popolazione.
Dalle ceneri dell’ex-Colorificio Toscana l’energia
che sgorga passa prima dalla Mattonaia per
risorgerne nella fenice del Distretto42 ed in pochi
giorni si trasforma in un tassello di un domino.
Lo spazio di via Giordano Bruno è già simbolo, insieme a tutti i luoghi di Resistenza e di difesa
dei beni comuni, di chi si oppone ad uno tsunami culturale, ancor prima che politico, dove le
battaglie si trasformano da retroguardia a proposta. Non basta dire che la nostra Costituzione
va applicata, così occorre costruire nuovi cantieri (ri)costituenti, un cui la Costituzione si
applica realmente.
Cosa accadrebbe se il 4° capitolo di “Riconversioni urbane” venisse realizzato? Un parco
pubblico, un bene comune che diventa orto urbano per condividere i valori dell’auto-produzione
e dell’autogestione, un parco per lo sport, per il gioco ed un “aggegificio” (laboratorio di
aggeggi), uno spazio libero per lo studio e la biblioteca Babil, uno per il mercato contadino ed i
gruppi di acquisto solidale, un forno a legna per produrre pane, uno spazio per il
riciclo/riuso/recupero di beni e materie, laboratori di trashware con il recupero e riparazione di
strumenti elettronici, la Ciclofficina per la riparazione delle biciclette, spazi per il cineforum di
CinemAltrove o per il teatro.
Poi spazi dedicati a sportelli per i migranti, dove il diritti si incontra con lo spazio, per
incontrarsi e conoscersi, per imparare l’italiano e scambiare cultura. Uno spazio in cui un
quartiere, una città incontra l’associazionismo, forse la possibilità di ricreare le condizioni per
dare consapevolezza che ciò che oggi è sostenuto con il volontariato, è un diritto che va
chiesto ed ottenuto, anche attraverso uno spazio in cui si possa conoscere i propri diritti, da
quelli di un bambino a quelli di un anziano, per poi conoscere e condividere modelli sociali ed
economici basati sulla solidarietà, sulle relazioni e sulla compatibilità ambientale.
Qualcosa di più di un luogo occupato, un luogo
liberato, una nuova linea di Resistenza in cui
aprire le contraddizioni di chi non ha cura dei
servizi
più
elementari,
nell’epoca
della
mercificazione di tutto e tutti, in particolare dei
servizi dedicati alla cittadinanza, o di chi
dimentica che l’accessibilità dei luoghi urbani, la
loro vita sociale.
Il Distretto42 rischia di diventare la cartina
tornasole di ciò che ad un quartiere spetta per
diritto, ma la dabbenaggine o la cultura
dell’esternalizzazione nega sistematicamente, al
netto di giustificazioni più o meno liberiste.
Così la riconversione ad usi civili, pubblici, sociali, addirittura civici di quell’area, diventa un
boccone indigesto da ingoiare. Una tessera di un domino che potrebbe mettere in crisi un
modello culturalmente omologante e impenetrabile deve essere bloccata. Così nel giro di pochi
giorni arriva prima la notizia della denuncia eseguita dal Demanio per rientrare in possesso
degli spazi liberati, poi il Centro addestramento paracadutisti Folgore (Cepar) denuncia per
“l’occupazione abusiva” degli immobili, evidentemente ignorando che lo stesso comune abbia
chiesto al Demanio il trasferimento a titolo gratuito, evidentemente per avvalersi delle norme
del federalismo demaniale.
Così il Municipio dei Beni Comuni chiede subito che l’amministrazione comunale compia tutto
quanto sia in suo potere per accelerare il passaggio dello spazio dal Demanio al Comune di
Pisa. Ancora una volta il tentativo di ridurre un’esperienza costituente in una questione di
ordine pubblico, o presunto tale, ma questa volta a vigilare ci sarà anche Don Gallo, a cui è
stato intitolato il bellissimo parco.
L’avventura è appena iniziata, e con sè il 4° capitolo, mentre Palazzo Gambacorti continua ad
essere avvolto da un silenzio assordante. Lunga vita al Distretto42.
(da Informazione Sostenibile – febbraio 2014)