Il colore dei nostri sogni

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Il colore dei nostri sogni
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1 - Gennaio 2001
Il colore dei nostri sogni
Due alunni Doc
Era il 31 ottobre e dopo una stressante giornata andai
a letto sfinito e piombai in un sonno profondo e… c’era
stata una grande epidemia a scuola e tutta la classe,
compresi i professori - a parte Masoch, Turchi, Tellini,
Tito e Saccardi - erano morti. La mattina dopo, quando tornammo in classe, trovammo tutti i corpi privi di
vita e la stanza faceva un po’ paura. Unimmo tutti i
banchi creando un tavolo da lavoro e decidemmo di
sezionare i corpi per riunirli in due soli: uno femminile, Francastagna, ed uno maschile, Leonardo da Legnaia. Per fare questo era necessario togliere la pelle
a tutti i nostri compagni per creare due uteri artificiali
dove far crescere i due nuovi corpi.
Prendemmo gli organi ed i geni maschili e li unimmo
creando una sostanza dalla quale poi sarebbe nato
Leonardo da Legnaia. Facemmo la stessa cosa con gli
organi ed i geni femminili per far crescere Francastagna. Insieme decidemmo di traslocare e portammo
tutti i nostri averi nell’aula. Lì ci chiudemmo per nove
mesi, il tempo per far crescere i corpi.
La nostra idea stava funzionando ed i corpi crescevano. Erano trascorsi, ormai, otto mesi ed era quasi tutto pronto per la nascita. L’ultimo mese fu il più duro:
dovemmo nutrire i corpi con una flebo di succo di
frutta, mescolato con un po’ di vodka per farlo scorrere più velocemente nelle vene. Finalmente i nuclei si
schiusero e ne uscirono fuori due esseri eccezionali.
Quando iniziarono a muoversi potemmo riconoscere
dalla struttura tutte le caratteristiche dei nostri vecchi compagni. Riuscimmo a decifrare ciò che dicevano e quando avevano fame non facevamo in tempo
ad aprire il frigorifero che con la loro velocità avevano
già divorato tutto. Con il passare del tempo riuscimmo ad insegnare loro a leggere ed a scrivere con
l’aiuto della lavagna. Un giorno, con un balzo fantastico, sfondarono la finestra ed arrivarono
nell’orticello del giardino scolastico dove non fecero
discorsi e finirono i resti del nostro raccolto. Il loro
gioco preferito consisteva nel lanciare aeroplanini di
carta dalla finestra e fare a gara per andare a riprenderli.
Il tempo passava e, man mano che crescevano, riuscivamo a riconoscere sempre meglio le caratteristiche che avevano ereditato dai nostri compagni. Francastagna era orgogliosa delle sue slanciate gambe,
cioè un riciclato della Pompei. Per non parlare di
quando si notavano le famose curve, un tempo appartenenti alla Fornasiere: una vera top-model, con
le particolari pettinature dei capelli della Bezzini.
Mentre camminava in classe, con le lunghe fette dei
piedi della Pecchioli, i suoi occhi azzurri, rubati alla
Ruscio, scintillavano alla luce della lampada. Si credeva proprio “Franca” Schiffer, con gli insoliti lineamenti del viso della Romero. Talvolta nella rauca voce
della prof. Fantacci si sentiva la risata starnazzante
della Lombardini. Oltre ad essere bella e affascinante
possedeva una piccola parte del cervello del prof.
Dallai, con la simpatia della prof. Milani. Ma era proprio insopportabile il suo continuo movimento rotatorio!!
Leonardo da Legnaia, la nostra ultima creazione, era
proprio un capolavoro. Anche lui si dava un sacco di
arie credendosi Leonardo Di Caprio. Con i solidi ed ingombranti piedi del Nuti, non cadeva quasi mai e, se
talvolta lo faceva, si alzava rapidamente con le scattanti gambe del Forni. Un vero fisico d’atleta! Alle
Olimpiadi di Sidney avrebbe sicuramente vinto la medaglia d’oro nel salto in lungo!! Con tutto quel movimento Leonardo doveva mangiare, ma esagerava
molto spesso. Sembrava un pozzo senza fondo… Ma
non c’era da meravigliarsi avendogli ceduto lo stomaco vorace del Capone! E state attenti a non chiedergli
una stretta di mano perché con le potenti mani del
prof. Miceli ve le poteva stritolare. I suoi occhi azzurri
appartenevano al Calonaci, erano l’unica cosa che
aveva in comune con Leonardo Di Caprio! Ma non era
solo bello, aveva anche un po’ di cervello, forse anche
troppo, preso non a caso da quelli evolutissimi del
Marchi e del Baggiani. Nella squillante voce del Marchi si sentiva il detto del Nuti «Ti becco fori», di cui a
volte si sentiva la mancanza.
Erano veri e propri portenti, pieni di vita e di iniziativa; agitati come erano prima e pensavano solo a divertirsi: feste, musica e intervalli! Questi esseri, nonostante tutto, ci dettero grandi soddisfazioni per i risultati ottenuti finendo addirittura sulle prime pagine
del giornale con il sottotitolo di “Un esperimento singolare di ingegneria genetica”…
La solita voce della nonna mi svegliò come tutte le
mattine. Andai a scuola e trovai naturalmente tutti i
miei compagni “vivi” che facevano confusione come
al solito. E mentre mi dicevano «buongiorno», io ripensavo a quello strano sogno!!
M.M, F.T, M.T, L.S, A.T.
Seconda E
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Un sogno incredibile
Chiusi gli occhi e mi addormentai, ormai stavo dormendo profondamente! Nessuno poteva interrompere il mio stupendo sogno, era un sogno magnifico.
Andai in salotto e sedetti sul tappeto che
all’improvviso iniziò a volare. Cercavo di addormentarmi ma il troppo vento mi impediva di farlo. Sotto di
me vedevo molte persone che mi guardavano meravigliate, tutte stupite di non aver mai visto un ragazzo… o forse un tappeto… ma chissà!!!
All’improvviso il tappeto si fermò, mi fece cadere nel
vuoto, ma non avevo paura, nella mia mente una
voce mi diceva che qualcuno sarebbe venuto a salvarmi, ero sicuro di questo. Avevo avuto tutto il tempo di riflettere su quello che mi poteva accadere;
c’era però qualcosa che non capivo, qualcosa di veramente importante, che mi sfuggiva.
Ecco!!! Ora ho capito, quanto tempo ci potevo stare
in aria? Se dal tappeto vedevo le case, le strade e
persino gli abitanti della città, non potevo essere a
più di 50 metri d’altezza, sicché facendo i calcoli… in
meno di 5 secondi dovevo essere a terra, invece no,
ormai erano circa 20 minuti che ero sospeso per
l’aria, però mi sembrava di essere sempre al punto di
partenza, quando il mio amico tappeto mi venne a
prendere e insieme continuammo il nostro lungo
viaggio.
All’improvviso mi addormentai… Svegliatomi, ero in
un deserto, non sapevo che fare, faceva molto caldo,
quando decisi di camminare per guardare se oltre la
sabbia c’era qualcos’altro o qualcun altro. Camminai,
camminai, ero molto stanco, stavo camminando da
tre ore per il deserto.
Che stanchezza! Mi sarei voluto riposare un po’ di più,
ma quando decisi di riposarmi, vidi una casa enorme,
mai vista in vita mia, c’era un silenzio di tomba, non
c’era nessuno. Volevo andare a vedere dentro, ma
era meglio che mi riposassi un po’. Dopo la pausa stavo meglio, potevo provare a entrare, ma prima di avventurarmi nell’edificio sconosciuto era meglio osservarlo attentamente.
Che cosa?! Era impossibile, aveva due porte e quattordici finestre. Gli scalini quanti saranno stati? Cento, duecento, cinquecento scalini, impossibile contarli. E questo strano oggetto? Sembrava una muraglia,
come negli antichi castelli. Oppure uno sbarramento
per non far passare nessuno. Credevo di riuscire ad
avventurarmi all’interno. Uh! Come era buio, aiuto! I
pipistrelli! Dov’ero, in una cantina? Meglio provare ad
entrare dall’altra porta, visto che ce n’erano due, meglio sfruttarle, no?
Qui non ci sono pipistrelli, meno male. Avevo notato
che questa casa aveva un difetto, era bella fuori ma
un porcile dentro. I mobili erano pieni di polvere, ragnatele per terra, figurati non ci sono nemmeno le
mattonelle. Come erano grandi le finestre! Non parliamo poi delle stanze.
Ahia! Che male! Inciampai in un sasso ma… che cosa
ci facevano dei sassi in una casa? È vero! Non ci avevo pensato, se non c’erano le mattonelle qualcosa ci
doveva pur essere e se io ero inciampato su un sasso,
ce ne deve essere anche altri! Nel parlare, non mi ero
accorto che avevo camminato precisamente per…tre
ore e venticinque minuti, ventisei per la precisione.
Forse era meglio che uscissi da questo posto, anche
perché ero stanco e poi avevo ancora da fare tutta la
strada che avevo percorso per arrivare, però in senso
contrario. Ma chi me lo faceva fare? Io presi e scavalcai da una delle tante finestre, ci avrei messo un po’
più di fatica però ne valeva la pena.
Ad un certo punto, quando cercai di scavalcare, inciampai e caddi per terra, però invece di essere caduto sui sassi, mi ritrovai nel materasso del mio letto
ma… proprio nel momento in cui stava suonando la
sveglia che mi avvertì che era l’ora di andare a scuola
e che la “casa nascosta” era solo un sogno, un lungo e
incredibile sogno.
P.L.
Terza A Barsanti
ITutte
sognile apersone
occhi aperti
vanno realizzati…
sognano ad occhi aperti, ma ci sono
persone che non sognano cose impossibili (come una
cena con Tom Cruise, o una gita ai tropici con Richard
Gere): ci sono persone come Katrine. Questa abitava
a Parigi, era una ragazza piena di brio e di senso
dell’umorismo. Scherzava con suo fratello e prendeva
in giro sua sorella. Non frequentava i suoi compagni
perché la prendevano in giro per i suoi lunghi capelli
rossi che le cadevano sulle gracili spalle. Però non
scappava a piangere, la sua reazione era quella di
chiudersi nella sua stanza, lei dentro e tutto il mondo
fuori. Ma c’era una persona che le dava la gioia di vivere. Si chiamava Gracy. Era una vedova di 80 anni
ma il suo spirito ne aveva 50 di meno. Di solito Katri-
ne andava da sua nonna e ascoltava le sue lunghe
storie, ma la nonna morì molto presto a causa di un
infarto. Per la ragazza fu un colpo al cuore. Tutti i
giorni si recava da “lei”. La casa della nonna si trovava sulla Senna, ora era vuota. Katrine si sedeva sulla
sua poltrona dove raccontava le sue storie, e sognava
sognava fissando il pavimento dove una volta giocava
a Monopoli.
Katrine voleva un amico: qualcuno che la capisse e la
consolasse come faceva la nonna, non importava chi
era o quanti anni avesse, voleva un compagno per
viaggiare nel mondo dei sogni. Tanto tempo fa anche
Katrine aveva un amico: si chiamava Perez. Era un
bambino orfano. I suoi genitori erano morti di fame, e
la famiglia Choplin l’aveva adottato. Era un bambino
dalla pelle scura, i suoi capelli erano neri proprio
come i suoi occhi. Katrine e Perez erano amici per la
pelle. Si confidavano a vicenda riuscendo a sconfiggere la malinconia. Non amavano giocare, preferivano parlare raccontandosi la propria vita e i propri interessi. Però una sera arrivò una terribile telefonata
della famiglia Choplin: Perez era sparito. Passarono
tre giorni e la polizia, i carabinieri e i parenti lo cercarono senza successo. Una mattina il bimbo fu ritrovato morto. Giaceva lungo il fossato di una casa di campagna, fuori città. Il medico legale disse che da quelle
parti giravano loschi individui che drogavano i ragazzi
e li seviziavano. Per Katrine fu una tragedia, cadde in
depressione, ma grazie alle cure del suo medico riuscì
ad uscirne.
Ancora oggi Katrine, nonostante ciò che ha passato,
sogna un mondo migliore, non ha mai perso la speranza. Conosco questa storia perché le diedi io la gioia di vivere. Mi diceva sempre «tu sei il mio Perez». Si
è anche innamorata: «l’amore è un bene prezioso, e
ne faccio anch’io parte». Questa storia ci racconta
quanto sia crudele il mondo; è una macchina infernale dalla quale non possiamo scappare. Nessuno può
scappare dalla sua crudeltà. Ma credo che ognuno
possa almeno sognare. Anche io sogno UN MONDO
MIGLIORE!
Per questo chi sogna ad occhi aperti non dovrà mai e
poi mai abbandonare i propri desideri e le proprie iniziative.
S, D. e V. Terza B
L’attesa
Secondo me l’attesa è un dettaglio che non si apprez-
za, ma ti rende felice, credo che sia un’amica che ti fa
crescere dentro.
L’attesa è stare fra il Paradiso e la terra.
L’attesa è una rosa con le spine.
L’attesa è quella donna che rimanda.
L’attesa è quella sensazione di vuoto che piano piano
si placa.
L’attesa è vedere a malapena una figura che si avvicina.
L’attesa è una lacrima che diventa mare.
L’attesa è vedere il mondo all’incontrario.
L’attesa è un orologio che ticchetta nel tuo orecchio.
L’attesa è contare il tuo respiro.
L’attesa è il sole che sta per diventare luna.
L’attesa è un punto interrogativo che alloggia nella
tua mente.
L’attesa è un castello di sabbia amico del vento.
L’attesa è un giorno che passa.
M, S. e R.
Prima A
Uno
speciale contributo dai ragazzi del Meyer
È quasi impossibile raccontare con le parole e cogliere
il significato profondo di cosa significhi per un bambino ricoverato essere protagonista attivo e vincitore di
un concorso di narrativa nel momento della malattia
e del ricovero; interrompere in modo così gratificante
ed esaltante uno stato di isolamento forzato, conservare con fierezza e dignità i rapporti con i coetanei, i
contatti con il mondo della scuola, le relazioni con i
loro insegnanti.
È questo che ci è stato offerto dai nostri amici della
scuola media Ungaretti-Ghiberti-Barsanti e dalle scuole che hanno aderito al concorso, in modo semplice e
spontaneo, come solo i ragazzi sanno fare, e a loro
hanno raccontato e sono state raccontate molte storie, poesie, racconti, comunicando le emozioni ed i
pensieri di una strana solitudine, a volte il disagio e la
preoccupazione di una lenta guarigione, ma dando
sempre uno spaccato della realtà ospedaliera autentico e veritiero.
Ringraziamo dunque ancora una volta i nostri carissimi amici, con la loro preside e i loro insegnanti, per la
straordinaria amicizia e il costante affetto che hanno
saputo offrirci.
La scuola ospedaliera A. Meyer
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