I vichinghi alla scoperta dell`Islanda

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I vichinghi alla scoperta dell`Islanda
I vichinghi
alla scoperta
dell’Islanda
di Renato Ferraro
chinghi? Con questa denominazione si indicano,
opo le recenti vicende che hanno visto
a partire dal 700 d.C., le popolazioni che si muocome protagonista il vulcano Eyafjallajövevano in aree nordeuropee (soprattutto scandikull, che com’è noto ha costretto a cannave), dalle quali sarebbero “decollate”, in una
cellare un gran numero di voli commerciali in
esplosione di conquiste: verso est, fondando, col
molti cieli europei, richiamando l’attenzione sulnome di variaghi, i primi Stati “moderni” della
l’Islanda, un Paese oggi forse poco conosciuto, per
pianura sarmatica; verso sud-est, militando come
i lettori della nostra Rivista potrà essere interessante la storia della scoperta e della
colonizzazione di questa terra, una
storia fatta da quei grandi marinai
che furono i vichinghi.
A chi fa parte delle “mature” generazioni, torneranno alla memoria
le avventure di Prince Valiant, il
protagonista della splendida saga a
fumetti di Harold Foster: Principe di
Thule, la terra leggendaria che alcuni individuano proprio con l’Islanda, amico del vichingo Boltar, diviene uno dei cavalieri della Tavola Rotonda di Artù.
Ma la cosa, purtroppo, non sta
tanto in piedi: Artù, che si identifichi con Magnus Maximus, o con
Aurelius Ambrosius, o con qualche
signorotto britannico o bretone, sarebbe comunque vissuto fra il V e il I vichinghi, nonostante la colorita fama che antiche saghe e leggende hanno
VI secolo, quindi ben prima dell’e- intessuto attorno alla loro figura, sicuramente si presentavano all’occasionale ospite
visitato venendo dal mare come appaiono in questa moderna ricostruzione, molto
poca vichinga.
coreografica ma tutt’altro che rassicurante; in apertura, la polena di uno dei drakkar
Chi erano, in realtà, questi Vi- rinvenuti a Oseberg nel 1904
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to più probabile è quello di “uomini delle baie”,
poiché vik, in norreno, la loro lingua, significa
appunto “baia”.
Una storia affascinante sulle loro origini ce la
racconta Snorri Sturluson, il Dante della letteratura norrena: nella sua opera più famosa, la raffinata Edda scritta nel 1220 rifacendosi a una più antica Edda attribuita a Saemund il Dotto, Snorri riferisce di progenitori della stirpe che ci lasciano a
dir poco sbalorditi.
La loro origine, infatti, parte nientedimeno
che da Troia (Priamo potrebbe essere individuato
nel dio germanico Wotan) e, attraverso un rimpastone di mitologia ellenica, arriva alla storia romana: quando Pompeo portò le sue legioni in
Asia Minore, il re Odino della rinata Troia (poi
venerato come il dio supremo dalle popolazioni
germaniche) fu costretto a fuggirne, portando
con sé la sua sposa Frigg, anch’essa poi venerata
come dea, dal cui nome deriverebbe quello della
regione della Frigia, vicenda complicata, se vogliamo, dal fatto che per molti Wotan e Odino
s’identificano.
Una statua commemorativa del poeta epico Snorri Sturluson
innalzata in sua memoria nella cittadina di Reikholt, in
Islanda, dove ebbe i suoi natali
mercenari, spesso indocili, sotto l’Impero bizantino; verso sud, dando vita, col nome di normanni,
al ducato di Normandia, saccheggiando Parigi dopo aver risalito la Senna, giungendo nel Mediterraneo e conquistando il Meridione d’Italia; e verso ponente portandosi in Gran Bretagna, Irlanda
(a loro si deve la fondazione di Dublino), e più a
nord-ovest, dapprima alle Faer Øer e poi in Islanda, Groenlandia, e infine nel Vinland, con cui
s’individuano quasi certamente coste nordamericane.
Quali fossero le loro origini, non è facile a dirsi: certamente il nucleo principale è germanico
(cimbri, eruli), con apporti di altri germani a mano a mano sopravvenuti (alani, goti, vendi), ma
probabilmente anche con apporti slavi (balti), finnici e celtici.
La stessa etimologia del termine vichinghi è
controversa: il termine anglosassone wic e quello
franco wik indicano un mercato, quindi si tratterebbe di gente dedita ai commerci; ma il significa-
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La copertina illustrata di una edizione dell’Edda, il poema che
rese immortale la memoria di Sturluson, stampata in Islanda
nel 1666
erano stanziati, i Vichinghi si scopersero non più
solo agricoltori, cacciatori, pescatori, e un po’
mercanti, ma esploratori, conquistatori, e soprattutto... pirati.
Del maneggio delle armi si erano già impadroniti per le loro eterne lotte interne. Ebbe così inizio quell’espansione a giro d’orizzonte cui abbiamo accennato.
Come si giunse in Islanda?
Una raffigurazione tradizionale di Thor, dio dei fulmini e delle
saette, sul suo carro trainato da due capri neri, con in pugno il
martello, emblema figurato della sua potenza
“Un norvegese di nome Ingolf è l’uomo di cui si dice con fondamento che per primo partì alla volta dell’Islanda, quando Harald Bellachioma aveva sedici
anni, e che partì una seconda volta di lì a qualche anno. Si fermò a sud a Reykjavik. Il luogo è chiamato
Ingolfshofdi, dove sbarcò per la prima volta, e Ingolfsfell, ad occidente del fiume Olfus, là dove più tardi
prese della terra in suo possedimento. In quel tempo
l’Islanda era coperta di foreste fra le montagne e la riva del mare”
Così narra l’Islendingabók, dove Ari Thorgilsson traccia un primo profilo storico della conquista dell’Islanda. Il Landnámabók, o Libro degli Insediamenti, più circostanziato dell’altro benché
anonimo, è più ricco d’informazioni e attribuisce
il merito della scoperta dell’isola a Naddod.
Quest’ultimo per ordine della madre, profetessa, avrebbe lasciato la Norvegia per esigere l’eredità paterna nelle Ebridi ma, spinto dalle tempeste,
sarebbe giunto in Islanda; circumnavigandola si
sarebbe reso conto che si trattava di un’isola, alla
Iniziò, così, una peregrinazione verso le terre
del Grande Nord, dove infine la stirpe trovò collocazione. A proposito di nomi, va ancora ricordato
che, sempre secondo Snorri, uno dei figli di Odino e Frigg, il valoroso Thor armato del fulmine in
forma di martello da combattimento (chiamato
Mjollnir), trarrebbe il suo nome
da... Troia!
Quali che siano state le reali origini, tuttora abbastanza indecifrabili, dei Vichinghi, sta di fatto che assursero alla Storia dall’VIII secolo
della nostra era in poi, grazie a quell’autentica epopea che viene chiamata dagli storici “Età delle Migrazioni”.
Quasi all’improvviso, vuoi per
sottrarsi agl’interminabili conflitti
intestini che caratterizzavano all’epoca la loro ecumene, vuoi, forse,
per un’esplosione demografica, vuoi
perché, attraverso i traffici commerciali ai quali si erano fin allora dedicati, intuirono l’entità delle ricchezze che il mondo circostante esibiva
Una delle navi di Oseberg, costruite nell’820 e rinvenute in questa località
in misura ben più appetitosa dei ter- splendidamente conservate nel 1904, simbolo delle eccellenti capacità navali del
ritori abbastanza poveri nei quali popolo vichingo
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disse tutto il male possibile dell’Islanda.
Un suo compagno d’avventura
però, tale Thorolf, vantò le dovizie
di quel meraviglioso Paese (i vichinghi erano celebri per le fanfaronate), parlando del burro che stillava
dai fili dell’erba delle praterie, tanto
che passò alla storia come Thorolf il
Burro.
Quando intorno all’870 due fratelli, Ingolf Arnarson e Leif Hrodmarsson, vennero a lite con dei vecchi amici e sodali, i tre fratelli di Atli lo Smilzo, jarl (signore) di Gaular,
come quasi sempre nelle storie norrene il sangue scorse a fiumi.
Uno di loro nel corso di un banchetto giurò che avrebbe avuto HelUn odierno curragh, posto ad asciugarsi al sole, identico alle antiche imbarcazioni
ga, sorella di Ingolf e fidanzata a
irlandesi fatte di una chiglia di pellame stesa sopra un fasciame in legno, che i
Leif: ne nacque una inimicizia che
vichinghi dovevano conoscere per forza
portò a morte violenta l’offensore e
un altro dei fratelli di Atli, mentre
quale avrebbe imposto il nome di Gardarsholm e,
Ingolf e lo stesso Leif persero tutti i loro beni e
tornato in Patria, ne avrebbe decantato i pregi.
dovettero andare a cercar fortuna altrove, per cui
Anche l’arrivo di Naddod, un tipaccio in perenarmarono una nave e partirono alla ricerca della
ne fuga da terre ch’egli stesso rendeva inospitali,
terra “dove il burro stillava dai fili d’erba”, decantafu casuale. La sua permanenza sull’isola fu, tutto
ta da Thorolf. Vi svernarono per poi rimpatriare e
sommato, abbastanza dura: appena giuntovi, gli
pianificare la sua colonizzazione.
apparve così poco accogliente che decise di riprenVi fecero ritorno tre o quattro anni più tardi,
dere subito il mare, ma una tormenta glielo impecon un drakkar per ciascuno, su cui avevano imdì; per cui la chiamò Snaeland, Terra delle Nevi.
barcato le famiglie, i compagni, ed alcuni schiavi
Fu poi la volta di Floki Vilgerdason, un altro viirlandesi, i vestmannya o uomini dell’ovest, che,
kingr mikill (vichingo famoso), che fece vela verso
vedremo, avranno un’importanza notevole nel
la terra misteriosa, con l’intento d’insediarvisi: offormare il carattere degl’islandesi.
frì un sacrificio agli dèi e prese con sé tre corvi afIn vista della costa, il pio Ingolf gettò fuori
finché gl’indicassero la rotta, a mo’ di bussola
bordo i pilastri del suo scranno, e fece il voto che
(che non esisteva ancora), acquistando il nomiavrebbe posto la sua residenza dove questi fossero
gnolo di Floki il Corvo (i soprannomi erano diffustati spinti a terra dal dio Thor. Intanto si stabilì
sissimi nella cultura vichinga).
su di un promontorio della costa meridionale che
Aveva con sé familiari, compagni d’avventura
avrebbe preso da lui il nome di Ingolfshofdi, dove
e bestiame. Prima si portò alle Shetland, dove una
creò una posizione fortificata e svernò con i suoi.
figlia annegò; poi alle Faer Øer, dove ne perse
Nel frattempo suo fratello Leif, che aveva acun’altra, ma per matrimonio. Come Dio (o gli
quisito il soprannome di Hjorleif, cioè di Leif la
Dèi) vollero, la spedizione giunse a destinazione,
Spada per aver scoperto una spada splendente in
e tutti si dedicarono alla caccia e alla pesca.
una tomba in Irlanda, fu trascinato con la sua naMa sopravvenne un inverno rigido, il bestiame
ve, dalla solita tempesta, più a ponente per oltre
perì per mancanza di foraggio e la terra si rivelò
sessanta miglia, e su di un promontorio simile a
particolarmente inospitale perché ricoperta di
quello di Ingolf stabilì a sua volta una munita reghiacci. Da ciò Floki le impose il nome di Island,
sidenza, che da lui prese il nome di Hjorleifshofdi.
Terra del Ghiaccio, giunto fin a noi. FortunosaQui avvenne un coup de théâtre: i servi irlandesi
mente rientrato in Norvegia Floki, a buon diritto,
gli si ribellarono, uccisero lui e i suoi compagni
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norvegesi e, impadronitisi dei beni e delle donne,
fuggirono su un gruppo di isolette poste a sudovest, che da loro avrebbero preso il nome di
Vestmannaeyjar; intanto com’era uso allora (ed
ora?...), non si fecero scrupolo di violare e ingravidare le donne rapite.
Quando l’eroe Ingolf li raggiunse e, debitamente, fece loro la pelle, si tenne comunque le
donne, con i marmocchi, frutto della violenza, in
arrivo. Da ciò ebbe origine la diceria che gl’islandesi, grazie al sangue celtico proveniente da quella violenza, fossero i più fantasiosi tra tutte le popolazioni di lingua norrena, ed era loro generalmente riservato il posto di poeti di corte presso i
vari re e jarl della Scandinavia continentale e delle
altre signorie vichinghe, a mano a mano costituitesi nell’Età delle Migrazioni.
Essi diedero vita alla grande tradizione degli
scaldi, che informavano la loro produzione poetica soprattutto alla ricca e immaginifica mitologia
germanico-norrena, le cui propaggini sarebbero
giunte fin al giorno d’oggi, con le maestose composizioni di J. R. R.Tolkien, che peraltro vi frammischia anche un filone da radici celtiche.
Questi scaldi di corte erano anche, il più delle
volte, consiglieri del loro signore, quindi politici e
guerrieri, in ciò somigliando ai bardi gallesi; il più
famoso di tutti fu certamente Snorri Sturluson,
nato a Hvammur in Islanda nel 1178, poi venuto
in Norvegia alla corte del Re Hákon Hákonarson
di cui fu ascoltato consigliere. Coinvolto, però,
non si sa se con ragione o per calunnia, in una
congiura contro il suo Re, questi lo fece assassinare. A lui si deve la già ricordata Edda in Prosa, ed
anche la Heimskringla, storia mitica dei Re delle
varie dinastie scandinave.
A proposito di miti norreni, così ricchi e complicati che non è nemmeno pensabile di farne qui
una sintesi, vorremmo ricordare una loro leggenda, quella di Skidbladnir, la nave di Frey, dio della
fecondità e della sessualità, simbolo di morte e rinascita, amore e generazione. Era tanto grande da
poter imbarcare tutti i semidei Æsir, con armi e
bagagli, e quando non era utilizzata, poteva essere
ripiegata e conservata come un gommone ante
litteram. Forse la sua immagine è derivata dalla
conoscenza, che i Vichinghi avevano, del curragh,
la tipica imbarcazione irlandese fatta di pelli.
Ma riprendiamo la storia di Ingolf e della sua
gente. I servi che gli erano rimasti fedeli, trovarono un pilastro del suo seggio sulle rive della baia
che, caratterizzata dai soffi dei geyser, sarebbe sta-
ta chiamata Reykjavík (Baia del Fumo), e quando
Ingolf infine giunse sul posto, vi costruì una residenza stabile, distribuendo le terre ai suoi seguaci,
e dando vita a un sistema sociale di signorie locali
tutte di pari dignità, che avrebbero caratterizzato
l’Età degl’Insediamenti e dato vita a una “repubblica” veramente sui generis nel contesto scandinavo.
L’isola, infatti, si rivelò non del tutto inospitale: gli inverni erano rigidi, e la morfologia montagnosa non era delle più invitanti, anche perché
incombeva la minaccia dei numerosi vulcani; ma
esistevano vallate e pianori adatti all’allevamento,
attività che tuttora caratterizza il Paese e che ha
dato vita a quella razza di piccoli ma resistentissimi cavalli, simili ai nostri avelegnesi.
Inoltre le acque circostanti erano pescosissime;
il clima era addolcito dalla Corrente del Golfo, e
forse, con l’andar del tempo, sarebbero riusciti anche a sfruttare in qualche modo le acque calde dei
geyser, oggi convogliate per il riscaldamento domestico e per le enormi serre da coltivazione.
Una moderna statua di Brennan (in gaelico, Brendan in
inglese), ossia san Brandano, a bordo di un’imbarcazione dalla
snella prora arcuata tanto simile a quella dei drakkar, edificata
in suo onore nella cittadina irlandese di Bantry
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Vi era, inoltre, un’altra risorsa, che oggi sembra
quasi incredibile: sembra che, come afferma l’Islendingabók, tutta la terra fosse coperta di fitte foreste, oggi del tutto scomparse, forse perché sovrasfruttate per trarne legname per la costruzione
delle navi o per ardere.
La repubblica islandese prendeva così, a mano
a mano, forma: il suo carattere “democratico” (ma
bisogna ben intendersi su questo termine: è chiaro che dei diritti politici godeva solo l’esigua minoranza dei capi-famiglia possessori di terre, i godar) era simboleggiato dall’Althing, l’assemblea
che si riuniva nella piana di Thingvellir, 45 chilometri a est di Reykjavík.
Si dice che quello islandese sia stato il primo libero Parlamento europeo, spontaneamente creatosi e riunitosi per la prima volta nel 930 avrebbe
continuato la sua attività anche quando l’Islanda
finì per cadere sotto il dominio norvegese, e più
tardi sotto la durissima dominazione danese.
Con il tempo giungevano nuovi coloni, per la
maggior parte dalla Norvegia sudoccidentale; la
colonizzazione è narrata con dovizia di particolari nel già citato Landnámabok, che riporta i nomi
di circa quattrocento uomini distribuiti nei vari
insediamenti, dei quali si ritiene che circa una
settima parte avesse qualche legame, sia pur lieve, con i celti.
Molte famiglie avevano schiavi, e soprattutto
schiave, irlandesi, alcune bellissime, di nobili natali e di cultura superiore. A parte l’episodio narrato della rivolta dei servi contro Leif la Spada, è facile comprendere che non poco sangue celtico
scorresse nelle vene degl’Islandesi, e li caratterizzasse, come detto, rispetto ai Norvegesi. Anche
volendo prescindere da queste ipotesi di matrimoni misti, è altrettanto facile immaginare che le
“tate” irlandesi raccontassero le splendide favole
della loro terra ai piccoli islandesi, orientandone
la cultura.
Dapprima pagani, gl’islandesi aderirono al cristianesimo intorno all’anno 1000, soprattutto per
l’influenza del Re norvegese Olaf Tryggvason, che
cadde combattendo per la Fede, fu canonizzato
dalla Chiesa, ed è seppellito e venerato nella cattedrale di Nidaros a Trondheim), un brusco proselitismo al quale parteciparono missionari germanici e anglosassoni.
Certo è che le due religioni, o meglio i riti rispettivi, convissero a lungo. A Skalholt nel 1056
fu fondata la prima diocesi, che sopravvisse fino
al 1785, e poté vantare anche un santo vescovo,
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San Thorlak, della cui presenza non resta tuttavia
alcuna traccia.
Ai vichinghi stanziatisi in Islanda vanno
ascritte anche altre grandi imprese marinare: furono certamente loro a colonizzare la Groenlandia e, quasi sicuramente, i primi a sbarcare in
America nel 982 con Eirik il Rosso, norvegese di
origine, ma già esiliato dalla sua Patria e, giunto
in Islanda, espulso anche da questo Paese sempre
per i soliti omicidi, che si decise a far vela per ponente alla ricerca di una terra avvistata una cinquantina d’anni prima da un altro norvegese, tale Gunnbjorn.
Giunse così a quella che, ottimisticamente,
avrebbe chiamata Groenlandia, cioè Terra Verde,
seguito da altri coloni, e la nuova Patria ebbe presto una situazione politica, sociale ed economica
del tutto simile a quella islandese.
Suo figlio, Leif Eiriksson, sospinto dalla solita
fatale tempesta, secondo quanto narra la Eiriks
Saga Rauda, a sbarcare per primo nella Vinland,
così chiamata perché ricca di vigne, che andrebbe individuata in una costa del Canada orientale, forse il New Brunswick. Ma qui siamo già in
un altro capitolo della storia, o della saga, dei vichinghi...
La fine della libertà islandese sopravvenne nel
1262, quando lotte intestine portarono a un tale
stato di disordine, che il Re Hákon Hákonarson di
Norvegia riuscì ad imporre una forma di unione
con il suo regno, in termini abbastanza blandi ed
accettabili.
Molto più duro, invece, fu il dominio danese
dopo che, con l’Unione di Kalmar, nel 1397, la
Regina Margherita I di Danimarca riunificò sotto
di sé i tre regni scandinavi acquistando così, senza
colpo ferire, anche l’Islanda, che poté riacquistare
la sua piena indipendenza soltanto dopo la Seconda Guerra Mondiale.
Tornando per un momento alla presenza celtica in Islanda, è il caso di ricordare che quando
Ingolf iniziò la colonizzazione, e i suoi compagni si sparsero sul territorio, incontrarono vari
papar, eremiti irlandesi che vi erano giunti prima vivendovi in solitudine, contemplazione e
preghiera.
Infastiditi dalla presenza e dall’invadenza dei
nuovi venuti, preferirono andarsene, ma qui siamo nel pieno di un’altra epopea: quella dei “santi
navigatori” che, forse per primi, si sparpagliarono
sulle terre nordatlantiche. Il più famoso di loro fu
Brendan the Navigator, ossia San Brandano.