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Una voce poetica dalla Libia: Ashur al-Tuwaybi
A cura di Simone Sibilio
Presento qui alcune poesie di uno dei massimi poeti libici contemporanei, Ashur al-Tuwaybi
(Etwebi) impegnato nel rilancio culturale del suo paese, dopo i decenni bui del regime di
Mu’ammar al-Gheddafi, che aveva soffocato nel terrore ogni voce di dissenso.
Al-Tuwaybi è promotore di numerose iniziative culturali sorte con la fine del regime.
È direttore del festival internazionale della poesia di Tripoli, nonché fondatore ed attuale
presidente dell’Associazione Arkanù per la letteratura e le arti, basata a Tripoli, e che pubblica
l’omonima rivista letteraria dedicata alla poesia araba, ma anche alla traduzione di poesia straniera.
Le rivista presenta, inoltre, una sezione di critica letteraria ed un’altra in appendice riservata alle
recensioni di opere letterarie e di saggistica arabe e straniere. Il direttore editoriale è il noto poeta
libico esule negli Stati Uniti Khaled Mattawa (1964), uno dei maggiori traduttori di poesia araba in
inglese, che con la fine del regime ha potuto fare il suo rientro in patria dopo quarant’anni.
Nato nel 1952 a Tripoli, vive nel piccolo villaggio di al-Tuwaibiyyah, a 20 km dalla
capitale. Con la raccolta Qasa’ed al-Shurfa (Poesie del balcone, 1993) riscuote ampi consensi nel
panorama letterario arabo, gettando la basi per un solido e definito progetto poetico caratterizzato
dalla commistione di più forme e stili, dalla poesia in prosa al verso libero agile e conciso.
Le sue successive opere, Asdiqa’uka marru min huna (I tuoi amici passarono di qua, 2002),
Nahr al-musika (Il fiume della musica, 2004) e Sunduq al-dahikat al-qadima (Il baule di antiche
risa, 2005), Qasa’id min ‘ala al-hadaba wa zilal al-raml (Poesie dalla vetta del colle e ombre di
sabbia, 2008), e Fi Ma‘rifat al-ashya’ wa al-kainat (Conoscendo le cose e le persone, 2010)
confermano l’impronta innovativa nel linguaggio e nelle scelte estetiche. Le ultime due menzionate
sono state tradotte in inglese sia negli Stati Uniti che nel Regno Unito. Una spiccata tendenza allo
sperimentalismo era già visibile nel suo romanzo, Dardanin (Dardanelli) pubblicato nel 2001 e
basato su storie di vita ordinaria a Tripoli raccontate attraverso lo sguardo di cinque ragazzi. È stata
un’opera che ha diviso la critica locale: i più conservatori hanno biasimato l’uso del dialetto locale e
l’assenza totale di punteggiatura che costringe ad una lettura priva di pause; altri lo hanno ritenuto
uno dei più innovativi romanzi nella storia letteraria del paese.
L’ultima raccolta di al-Tuwaybi, ‘An al-‘uzla wa ashya’ ukhrà (Sulla solitudine ed altro),
ingloba frammenti di vita del poeta e visioni della nuova Libia, contenendo poesie scritte prima
durante e dopo la rivoluzione.
I toni meditativi e le lievi descrizioni in prosa lasciano il passo a poesie dal linguaggio più
crudo e diretto, fino agli inni euforici della liberazione. Gli scenari del traumatico passato e gli echi
della rivoluzione costellano il campo simbolico e visuale della sua poesia. È il desiderio di
registrare l’attimo fugace che sancisce l’ingresso del paese in una nuova storia, di celebrare la
speranza che nasce dalla liberazione da una dittatura di 42 anni.
Quello di al-Tuwaybi è un autentico esempio di poesia moderna capace di osservare e
attingere al canone poetico arabo, alle immagini e al patrimonio della tradizione, senza perdere la
tensione verso il nuovo e l’inesplorato. La sua forza lirica probabilmente risiede in questo aspetto: il
testo poetico è flessibile, aperto, dialoga con più tradizioni, storie e culture; esso ambisce ad una
conciliazione di paradigmi culturali e stilemi linguistici apparentemente distanti, e questa
convergenza di voci, questa polifonia nel testo è rivelatrice della bellezza delle differenze e
dell’arricchimento che il loro incontro assicura.
La seguente poesia è tratta dall’ultima raccolta ‘An al-‘uzla wa ashyā’ ukhrà (al-Zàwiya,
Dàr Arkanù li ’l-tibà‘a wa ’l-nashr, 2012, p. 49).
‫امبراطور‬
.‫ مرتعشة‬،‫على الماء وقفت قدما الخوف هشة‬
‫االمبراطور يعيد الكلمة الصعبة مرتين‬
.‫يلوّح بيديه مرتين‬
.‫يه ّز كتفيه مرتين‬
.‫ويسيل في الشوارع والساحات د ٌم وكالم‬
‫يفهم الميّت الحي أن الظلمة الداكنة‬
.‫هيأت المسرح للعناق الحميم‬
Imperatore
Sull’acqua si arrestò per la paura, fragile e tremante.
L’imperatore ripete l’arduo discorso, per due volte.
Saluta con le mani, per due volte.
Scuote le spalle, per due volte.
Nelle piazze e per le strade scorrono parole e sangue.
Il morto vivente sa che il buio pesto
ha allestito il palco per il caldo abbraccio.
La testimonianza sotto riportata è stata scritta nella primavera del 2011 nei concitati giorni della
guerra civile e racchiude al suo interno frammenti di una poesia, contenuta nella raccolta
summenzionata, dal titolo Là tatul al-wuqùf amàma bàbì warà’ka al-rìh (Non restare ancora fermo
alla mia porta con il vento alle spalle). Il testo si compone di una parte in prosa, che nelle intenzioni
dell’autore rappresenta «ciò che vedono gli occhi», cui sono interposti i versi poetici in corsivo,
ovvero «ciò che vede il cuore». Nell’incipit lo scrittore ritrae la percezione del cambiamento da
parte di giovani libici che discutono della Libia «liberata» con una consapevolezza inconsueta e un
orgoglio erompente dopo lunghi anni di repressione. In arabo è riportato il testo della poesia:
In ‘An al-‘uzla wa ashyā’ ukhrà, op. cit., pp. 70-74.
...‫ال تطل الوقوف أمام بابي وراءك الريح‬
،‫ق عينيه‬
َ ‫كأنه أعمى أغل‬
.‫بيديه يفتح باب الحياة على حصير البداوة‬
.‫كأن الساللم لم تر دم َعهُ حين نز َل ِخفيةً في الظالم‬
.‫كأن الرصاص المنطلق وحده يفهم خوف المائلين برؤوسهم من فوق األسّرة و شاشات التلفزيون‬
،‫ الساحة حمراء‬،‫ الساحة صفراء‬،‫الساحة بيضاء‬
.‫الساحة تهرول باكية صوب ساقية الب ّكائين‬
**
،ُ‫أبصر‬
!ُ‫ماذا أبصر‬
،‫خواتم تلمع‬
‫رقاب تتدلّى‬
‫ عربات مدرعة‬،‫و لعاب خاثر على شكل دبابات‬
.‫و أضرحة ترفرف أعالمها من بعيد‬
**
.‫صباح مخمور‬
ُ‫حيّتهُ حين مرّ في الشارع الضيّق شمس‬
ٍ
‫قالت له وهي تزيّن ضفائر الظل‪:‬‬
‫ال تترك أحالمك على طاولة مقهى جانبي‪،‬‬
‫وال تسرّب للناي إيقاعات األغنية القادمة‪.‬‬
‫كنتَ على هامش الهامش‪.‬‬
‫رأيتَهم يحملون البحر على أكفّهم‪ ،‬أصواتُهم ترفرفُ عالية‪.‬‬
‫ال الغيمة ترى ما يفعلون‬
‫و ال أحالمهم تصعد إلى أعلى‪.‬‬
‫ال تندهش‪ ،‬اجم ْع ما شئتَ من آهات باردة وارحلْ‬
‫صوب صحراء الغرباء‪.‬‬
‫َ‬
‫ْ‬
‫لخوف سقطَ عميقا ً في البحرْ ‪.‬‬
‫كن عالمة‬
‫ٍ‬
‫يخاف من النهار‪ ،‬يأتي متأخرا!‬
‫تحمل دفئَه عيدانُ القصب الطريّة‪.‬‬
‫روّ اده ال يتركون أثرا على الطريق‪،‬‬
‫يمررون ابتساماتهم بشاي ثقي ٍل مرّ‪.‬‬
‫هذا ما قالته أشجار السرو العتيقة‪.‬‬
‫لتكن سارية علمك عالية ألراك‬
‫انتظر إلى أن ينام الموج ألراك‪.‬‬
‫هل تسمع حفيف األجنحة الصغيرة‬
‫أم هي الريح تولول مجروحة الفؤاد؟‬
‫**‬
‫تحتك ماء‬
‫و فوقك ماء‬
‫خانني شغف ال يفصح عن نفسه‬
‫كيف أقد ُر‬
‫أن‬
‫ألمل َم ما تبعث َر من نهار؟‬
‫هل تنضج الرغبات إال على نار باردة؟!‬
‫هل دخلتَ إلى ساحة قلبك؟‬
‫لو ملتَ برأسكَ قليال‪ ،‬رأيتَ الكون هادئا يستريح‪ ،‬من طرف عينه يع ّد النجوم‪.‬‬
‫فراغ أبيض يضحك من بعيد‪.‬‬
‫هل تسمع؟‬
‫دعني أم ّر‪،‬‬
‫النقصان يأكل يدي‪.‬‬
‫**‬
‫لو لم تكن الخطوط المستقيمة تلمع بقاربي‬
‫لما جاء كل هذا السمك!‬
‫ذهبي يقلّب كفّيه فوق ماء يجري‪،‬‬
‫سلطعون‬
‫ّ‬
‫يسب ُح عاريا ً‬
‫يتربص بالضفادع الغافلة‪.‬‬
‫**‬
‫هاتها انحناءة الطريق أغمسها في شاي الصباح‪.‬‬
‫ال تقل لي أن الطريق يؤدي إلى مذبحة!‬
‫ال تكسرْ الكال َم على حجارة خائفة!‬
‫أرحْ خيلك في ظ ّل حجر مهيب و انتظر‪.‬‬
‫**‬
‫أعواد القصب نائمة في أحضان بعضها تلوّح لها طرابلس بأصابع محناة‪،‬‬
‫رفقا ً أيتها القواقع‬
‫ال ترفعي فستانها‪،‬‬
‫داعبي حلمتيها بلسان رطب شغوف‪.‬‬
‫المدى شاسع‬
‫و صوت الفتاة المتكأة‬
‫يغيب قليال‬
.‫قليال‬
Non restare ancora fermo alla mia porta con il vento alle spalle
Come posso riunire ciò che del giorno è disperso?
Dal balcone della mia stanza da letto che affaccia su un palmeto e su una strada angusta e
polverosa, sento le voci di ragazzi tra i quindici e i diciassette anni. Tra queste spicca quella di mio
figlio, studente dell’ultimo anno delle superiori. Le loro voci s’alzano e si intrecciano con fervido
entusiasmo. Mi metto ad origliare attentamente e mi accorgo che discutono della Libia del dopoGheddafi. Noto che ripetono parole come: democrazia, giustizia, uguaglianza, tolleranza,
ingiustizia, dittatura, rivoluzione, ribelli, partiti, ideologia, società civile.
Uno di essi vuole guadagnare il consenso generale su ciò che dice, e gli altri sono divisi tra
sostenitori e oppositori. Sette mesi prima o poco più, nessuno di loro avrebbe parlato di simili
questioni - tanto meno ci avrebbe pensato.
Niente paura per la sorte di questi futuri uomini.
Come fosse cieco chiuse gli occhi, e con le mani aprì la porta della vita sulla stuoia del
nomadismo.
Come se le scale non avessero visto le sue lacrime quando di nascosto si inabissò nelle tenebre.
Come se solo i colpi esplosi potessero comprendere la paura di chi ha il capo chinato su un letto o
sullo schermo di un televisore.
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Oggi, come ieri, c’è stato un black out elettrico, non ho potuto accendere la radio, non avevo le pile.
Da lontano giungeva il rumore degli spari di cannone e di mitragliatrici; gli aerei della Nato non
volteggiavano nel cielo del villaggio.
Per tenermi impegnato mi sono messo a disegnare. Provavo, disegnavo, ma non mi piaceva nulla.
Ho provato a dormire. Incubi, immagini di morti e feriti. Un forte senso di impotenza, un forte
senso di frustrazione. “Cerchi scuse per non sentirti coinvolto”, dicevo dentro me. “Ma sei solo un
codardo”, aggiungevo.
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Evito di guardare negli occhi mia moglie e i miei figli, non voglio che scorgano la mia viltà e la mia
impotenza, non voglio che siano come me.
In serata arriva la notizia che le truppe lealiste di Gheddafi hanno invaso la città di Zawiya.
Hanno ucciso molte persone, sono entrati nelle case, alcuni di essi, si dice, hanno violentato le
donne. Cosa faresti se venissero in casa tua a prendere le tue figlie e tua moglie? Cosa faresti?
Sono rimasto fermo sotto un aranceto nel cortile di casa, da solo al buio mentre il frastuono delle
bombe si faceva sempre più forte. Non sono riuscito a dormire fino al mattino. Perché il mattino
arriva così rapidamente, il nostro mattino, quando scompare dalla nostra vita Muammar Gheddafi.
------------------------------------------------Ho visto sul canale al-Jazeera un mio amico, il giovane scrittore Rabi‘ Sharir, agitare in alto le mani
e sorridere raggiante mentre ci confermava che i ribelli resistevano in Piazza dei Martiri a Zawiya.
Aggiungeva inoltre che oggi erano stati seppelliti sei shabab tra cui suo fratello.
Soltanto pochi giorni dopo le truppe di Gheddafi arrivano con un poderoso armamento, assediano
Zawiya, dissotterrano le tombe dei martiri nella piazza della città e le trasportano in un luogo
sconosciuto.
Rabi‘ Shirir viene fatto prigioniero, e subisce pesanti torture. Sette mesi dopo con la definitiva
conquista di Zawiya e Tripoli da parte dei ribelli, Rabi‘ Shirir viene liberato assieme ai suoi colleghi
e nella prima dichiarazione che rilascia parla di perdono e riconciliazione.
Sei straordinario Rabi’!
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Più di dieci canali satellitari hanno incominciato a lavorare dopo diversi mesi dall’inizio della
rivolta contro Muammar Gheddafi. Programmi non sottoposti alla censura di Stato. Argomenti
scottanti. Emerge chiaramente che chi detiene il potere economico si sta preparando alla nuova fase
attraverso i media privati. Discorsi sulla formazione dei partiti. Reti che sostengono il discorso
religioso, altre che esortano alla moderazione. Emittenti liberali, manifesti di battaglie politiche e
campagne elettorali.
Tutto questo prima del 17 febbraio 2011 non esisteva.
Attraverseremo il ponte con la pace?
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Questa mattina mi è giunta la notizia che i sostenitori di Gheddafi nel villaggio sono convinti che io
e mio fratello maggiore siamo tra le file degli oppositori del raìs e che vogliamo tutelarci issando la
bandiera di Gheddafi sulle nostre case. Non ho informato la mia famiglia, ho comunicato con mio
fratello. Né io né lui abbiamo issato la bandiera verde.
La piazza bianca, la piazza gialla, la piazza rossa
La piazza in lacrime muove spedita verso il ruscello dei piagnucoloni
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Ieri sono andato con i miei figli per la preghiera del venerdì nella moschea che non frequentavamo
più perché il predicatore era un chiaro sostenitore di Gheddafi e aveva definito i ribelli come “ribelli
della Nato” e “ratti”.
Tripoli era stata liberata da quasi un mese. Avevo detto a miei figli: “Esco dalla moschea se c’è
ancora quel predicatore”. Uno di loro aveva risposto: “Io rimango, sono venuto a pregare, non mi
interessa l’orientamento del predicatore”. Ed io: “Magari lo sostituiranno con un altro”. Allora mio
figlio maggiore: “Non lo sostituiranno, rimarrà ma dovrà cambiare posizione”.
È arrivato un nuovo predicatore, giovane barbuto, con una paralisi all’arto superiore destro. Dalla
sua breve predica appare evidente che è salafita. Ha detto e ripetuto: “Iddio ci ha resi seguaci, non
innovatori. L’innovazione è perdizione, siamo la comunità dei sunniti e dei salafiti”.
La predica precedente non si distingue dall’attuale - dico tra me - entrambi con un pensiero ristretto
e dispotico. Tutte le moschee sono così?
Vedo, cosa vedo! Anelli che luccicano da lontano, teste pendule e grumi di bava, a forma di carri
armati, mezzi blindati e sepolcri le loro bandiere sventolano da lontano.
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Ci siamo recati in visita al noto carcere di Abu Salim di Tripoli, in cui nel 1996 Gheddafi fece
giustiziare in due ore 1269 prigionieri politici. Il 20 agosto 2011 il giorno della presa di Tripoli i
ribelli hanno liberato più di 10.000 prigionieri.
Ho chiesto a due amici, uno scrittore di racconti e un art director di un giornale: come avete vissuto
questi mesi di rivoluzione contro Gheddafi?
Lo scrittore: non sono uscito di casa se non per sbrigare alcune faccende. Non ho frequentato
nessuno del vicinato. Gran parte dei miei vicini era armata; sulle loro case sventolava la bandiera di
Gheddafi. Ho dormito da solo con gli occhi aperti per paura di loro.
Ora la bandiera dell’indipendenza è sopra ogni casa, ma io ho ancora paura.
Non ho issato la bandiera di Gheddafi né portato armi, ero intimorito e angosciato.
L’art director: non sono uscito di casa se non raramente. Non ho frequentato i vicini. Non posseggo
armi né lo voglio.
Nessuno di noi ha commentato. Siamo rimasti in silenzio finché non siamo arrivati al carcere. Mura
di cemento alte, orribili, porte di ferro come macigni, resti di scarpe militari, elmi da guerra in
disordine, rovesciati.
Il posto sembrava tranquillo, almeno così mi è parso! Si dice che negli ultimi mesi siano stati
ammassati più di 10.000 nuovi prigionieri. Venivano lasciati tutto il giorno in uno spazio angusto,
per settimane, mesi. A migliaia di essi avrebbero fatto indossare il vestito per l’esecuzione. Si dice
che qualcuno si sarebbe svegliato e avrebbe trovato un cadavere mangiato dai topi. E gli avrebbero
detto: “Sei stato tu ad uccidere quest’uomo”.
Qualcun altro avrebbe dormito in piedi per l’elevato numero di prigionieri rinchiusi in una sola
cella.
La libertà è un lungo cammino pieno di sangue.
Non v’è nube che vede ciò che compiono
né i loro sogni ascenderanno al cielo. Cosa vede il guardiano?
Lo accolse un sole quando passò nell’angusta strada in un mattino ebbro.
Mentre ornava le trecce dell’ombra, gli disse: non abbandonare i tuoi sogni sul tavolo di un caffè
di periferia, non rubare al flauto il ritmo del prossimo brano.
Eri al margine del margine.
Li ho visti portare il mare sulle spalle, le loro voci volteggiavano alte.
Non stupirti, raccogli i freddi gemiti che hai desiderato e vai verso i deserti degli esuli.
Sii emblema di un timore sprofondato negli abissi del mare.
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Dopo aver scalato il monte e tirato un respiro profondo, diciamo: non è stato tanto difficile quanto
credevamo.
Quarantadue anni di regime di Muammar Gheddafi i cui tratti sin dall’inizio lasciavano presagire un
governante anomalo, pieno di sé. Era chiaro che non amasse tre categorie di libici:
1) i nobili
2) i ricchi
3) gli studiosi
I nobili li ha umiliati, osteggiando i simboli patriottici nella storia del paese e presentandoli come
traditori e agenti del colonialismo. Li ha rimossi dalle loro funzioni costringendoli a lodarlo e
omaggiarlo. Ne ha rovinato la reputazione, denunciando lo scandalo della loro immunità finanziaria
e presentandoli come corrotti e ladri.
I ricchi li ha impoveriti, sopprimendo il commercio che considerava una grossa trappola per i
poveri. Quelli che non sono emigrati all’estero li ha arruolati nell’esercito, abbandonandoli lì senza
nulla da fare. Si è impadronito delle loro fabbriche, delle abitazioni, dei campi e degli automezzi.
Gli ha sottratto ogni cosa.
Gli studiosi li ha degradati, scardinando il sistema dell’istruzione alle fondamenta. Affermò
pubblicamente che chi aveva studiato nei paesi occidentali aveva la mente inquinata e il pensiero
retrogrado e malato. Li ha messi da parte, inserendo persone capaci solo di ripetere i dettami del suo
Libro Verde. Questi ultimi li ha messi a dirigere università, facoltà, dipartimenti.
Ha dato la guida del paese agli ignoranti e il paese non si è mosso di una virgola. Ha demolito ogni
cosa, ribaltando i valori:
il bugiardo: scaltro
il ladro: onesto
l’assassino: rivoluzionario
Quarantadue anni di paralisi gravano su di noi.
Quarantadue anni nuotando nell’aria e nei sogni.
Quarantadue anni di smarrimento.
Teme il giorno, arriva tardi! Soffici canne di giunco ne portano il calore. Gli ospiti non lasciano
segni sul tragitto, trascinano i sorrisi con un tè corposo e amaro. Questo i vecchi alberi di cipresso
gli riferirono.
-------------------------------------Ora sembra come se nulla fosse accaduto, come se nulla fosse mutato.
Sono cambiate le bandiere e gli slogan, cambiati i prigionieri e chi sta seduto dietro le armi.
Ma la nostra mente e la nostra anima sono cambiate? Di sicuro no.
Questo non è ancora accaduto. La strada che ci accompagnerà verso una società moderna sarà lunga
e tortuosa. Una società che con onestà dica a chi sbaglia che ha sbagliato, a chi ruba che è un ladro.
Una società che rende i diritti ai suoi detentori senza favori.
Ciò sarà possibile soltanto se prenderemo le distanze da facili soluzioni. Ciò avverrà ripartendo da
un’educazione moderna non contaminata da idee passatiste o ideologie chiuse, sterili nel nome di
chiunque sia. Laddove il nostro obiettivo deve essere quello di vivere in una società moderna in
ogni senso della parola, in cui tutti i suoi membri e tutte le classi godono di diritti a pieno titolo.
Il sangue versato sull’altare della libertà e l’immenso dolore patito dalle famiglie dei feriti e dei
dispersi non sono stati invano.
Tieni alta la tua bandiera, così che ti veda! Attendi che le onde s’addormentino perché io ti veda.
Le senti leggere le piccole ali oppure è il vento a gemere cuori feriti?
Acqua sotto di te e acqua sopra di te
i desideri maturano solo su un freddo fuoco?!
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Un ragazzino mi ferma ad un punto di controllo, porta un kalashnikov in spalla.
Mi chiede, di dove sei? Del piccolo villaggio di Tweibia. Mi dice: puoi passare.
Gli chiedo: perché volevi sapere di dove sono? Mi avvicino ancora un po’ al finestrino dell’auto.
Dice: gli affari economici dei fedeli di Gheddafi sono eccellenti, hanno il viso luminoso come il tuo,
non come quello dei ribelli pallido e affaticato. Mi sentì fortemente offeso.
Che disastro se si distinguono le persone dal viso!
Sei entrato nella piazza del tuo cuore? Se avessi reclinato leggermente il capo avresti visto
l’universo riposare sereno e con la coda dell’occhio contare le stelle. Un bianco vuoto ride da
lontano. Lo senti? Lasciami passare, che la penuria mi mangia le mani.
Dammi la curva della strada che la immergo nel tè del mattino.
Non dirmi che la strada porta al massacro!
Non frantumare le parole su pietre timorose!
Fa riposare il tuo cavallo all’ombra di una roccia e attendi il segnale.
Tripoli con le dita dipinte di henna saluta
canne di giunco che dormono abbracciate
siate clementi, conchiglie, non alzatele la gonna
carezzatele le mammelle con lingua ardente e umida.
Vasto è l’orizzonte e la voce della giovane sdraiata sfuma a poco a poco.