Eva Fischer, l`arte che rinasce

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Eva Fischer, l`arte che rinasce
Eva Fischer, l'arte che rinasce
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Intervista alla pittrice, ultima erede della scuola
romana
Eva Fischer, l'arte che rinasce
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Gianluca Abbate
Descrizione:
Inizia nel dopoguerra, in quell'Italia tutta da rifare, la sua carriera da pittrice, dopo i tragici trascorsi che avevano colpito la sua famiglia nel pieno del conflitto. Di
lì in poi per ogni stagione della sua vita sarà un nuovo stile e un nuovo sodalizio...
L'Indro
Data Pubblicazione: giovedì 12 luglio 2012
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Eva Fischer, l'arte che rinasce
Eva Fischer e' l'ultima esponente della scuola romana, definizione che da sola la colloca di diritto nell'olimpo dei
grandi. La sua casa è lo specchio della sua poliedrica arte. Perché Eva Fischer ha vissuto mille vite, tutte
intensamente e ad ogni vita ha corrisposto un ciclo pittorico diverso
Nel suo attico di Trastevere regnano incontrastate luce e arte. Luce che filtra dalle grandi vetrate e arte con l'A
maiuscola che gli occhi faticano a catturare: molte delle sue tele gigantesche sovrastano i muri. Alcune, invece, sono
appoggiate per terra, forzando gli angoli. Qualsiasi descrizione finirebbe per essere parziale e riduttiva.
"Ogni quadro è un figlio. Quando faccio una mostra è come se fosse la prima. Non mi sono mai assuefatta alle
emozioni. Il pathos e l'adrenalina sono immutate." Così esordisce la grande pittrice.
E' sufficiente, poi, menzionare via Margutta perché Eva Fischer, come un fiume in piena, inizi a raccontare di
sè : "Meravigliosi e irripetibili sono i ricordi di via Margutta, dopo la guerra. Vivemano nel culto della libertà e
dell'autodeterminazione. Avevamo il desiderio irrefrenabile di raccontare tutto quello che ci era accaduto, dalle
esperienze tragiche a quelle esaltanti: in tal modo ognuno di noi si arricchiva dei fermenti culturali più disparati. Non
esistevano barriere ne' frontiere e quelle che c'erano le abbattevamo con il fuoco indomabile dell'arte. Si discuteva di
tutto: c 'era una modernità in quegli anni di via Margutta che e' molto difficile spiegare a chi non ha avuto il privilegio
di viverli. Io sono stata una privilegiata perché ho avuto la fortuna, appena arrivata a Roma nel 1946, di incontrare
personaggi che hanno lasciato un segno indelebile nella storia: penso ad artisti come Amerigo Tot, Corrado Cagli,
Massimo Campigli, Franco Gentilini, Mario Mafai, Gino Severini, Renato Guttuso che abitava proprio a via Margutta,
a registi come Luchino Visconti, a scrittori come Carlo Levi, a musicisti come Franco Ferrara e Ildebrando Pizzetti, a
politici come Roberto Tremelloni e Sandro Pertini e a tanti altri. Tutti erano ansiosi di sapere cosa accadeva
all'estero. Ognuno di noi aveva una storia personale da condividere: una storia di vita spesso struggente, e
molto spessa farcita delle emozioni travolgenti figlie della recente guerra. Il punto di incontro era la trattoria
'Il re degli amici'. Ricordo che Giovanni, il proprietario, aveva diviso i tavoli dei politici da quelli di noi artisti che
spesso pagavamo le cene con i nostri dipinti. Non esagero quando affermo che quella piccola trattoria ha costituito il
fulcro vitale di una grande primavera culturale: molto spesso sedevano ai nostri tavoli anche grandissimi intellettuali e
artisti stranieri . Due nomi su tutti: Roger Peyrefitte e Salvator Dali."
Partiamo dal principio. Lei è nata nell'ex Jugoslavia, ma possiamo definirla cittadina del mondo.
Sono nata a Daruvar in Croazia, ma ho vissuto la mia infanzia a Belgrado. Negli anni precedenti alla guerra,
desiderosa di apprendere, mi sono trasferita per studiare in Francia, a Lione dove ho conseguito il diploma
all'Accademia delle Belle Arti. Sono poi tornata a Belgrado nel 1940, proprio poco prima che la città fosse
barbaramente annientata dai bombardamenti nazisti Una domenica mattina - ricordo ancora perfettamente la data, il
6 marzo del 1941 - fummo svegliati da un boato terribile. Istintivamente accesi la radio apprendendo dalla voce
tremante dello speaker che i tedeschi stavano bombardando la nostra città. Sembrava impossibile perché non
eravamo in guerra: e invece lo eravamo senza nemmeno saperlo. Non ebbi nemmeno il tempo di realizzare ciò che
stava accadendo quando dalla finestra vidi un palazzo bruciare e crollare. Non potrò mai dimenticare il terrore che ci
travolse quel giorno. Fummo costretti a fuggire nelle campagne. La città era già un cumulo di macerie: una folla
tumultuosa riversa per le strade in preda al panico che cercava la via della salvezza. Belgrado fu rasa al suolo: in
due ore oltre ottantamila morti. Dopo una settimana i tedeschi fecero il loro ingresso in città. Ogni giorno si vedevano
morti abbandonati per le strade che erano ormai attraversate da fiumi di sangue. Sono quelli ricordi atroci che non
abbandoneranno mai chi li ha vissuti. Mio padre Leopoldo, che era il rabbino capo a Belgrado, fu deportato e ucciso
mentre io, mia mamma e mio fratello fummo costretti a fuggire.
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E così dopo l'impatto tragico della guerra e la distruzione di Belgrado decideste di fuggire alla volta
dell'Italia.
Fui io a convincere mia madre a riparare in Italia. Ricordo il viaggio disagevole, durato oltre un mese, per arrivare a
Spalato. Lì fummo catturati e internati nel campo di Vallegrande sull'isola di Curzola, dove siamo rimasti per circa un
anno e mezzo. E' stato un periodo molto duro anche se posso dire che l'amministrazione italiana del campo non era
spietata con noi. Io, personalmente, strinsi amicizia con un sergente che volli ritrarre in uno dei miei primi dipinti.
Alcuni anni fa, quel sergente è riuscito a contattarmi e mi ha inviato una foto che raffigura me e il ritratto. Vedere
quella foto ha rappresentato un'emozione molto forte che mi ha riportato a quel tempo: un tempo di dolore ma anche
di incontri con persone ricche di generosità e altruismo. Durante la prigionia mia madre si ammalo' di cancro e
fummo così autorizzati a recarci a Bologna affinché sostenesse le cure necessarie. E fu proprio nella città emiliana
che abbiamo cambiato la nostra identità. Da Eva Fischer sono diventata Eva Venturi. Con il sostegno del Partito
d'Azione e della comunità ebraica abbiamo iniziato a gettare le fondamenta della nuova nostra vita. Potrei citare
tante persone nobili nell'animo conosciute allora, ma ne riporto una soltanto: Massimo Maffei, professore
all'università di Modena, che pur non essendo ebreo ebbe il grande merito di aiutarci con coraggio, consapevole dei
grandi rischi cui andava incontro.
Con l'arrivo a Roma inizia la sua nuova vita, una vita all'insegna dell'arte e della libertà.
Nel '46 , terminata la guerra, finalmente giungemmo nella tanto agognata Roma. E proprio nella capitale trovai lavoro
come traduttrice. Il grande profilo di internazionalità, che, da sempre, ha connotato la mia vita, è stata un'arma
vincente perché mi ha consentito di aprire gli orizzonti e di essere in grado di declinare ogni tipo di esperienza
culturale. La mia lingua madre e' il serbocroato ma parlo perfettamente anche l'ungherese, il francese , il russo, il
tedesco, l'italiano, l'inglese . Parlo e comprendo anche lo spagnolo. Leggo e comprendo il russo e l'ebraico. L'essere
vissuta a Lione, a Londra, a Parigi, a Madrid mi ha messo nella condizione di avere sempre uno sguardo attento sul
mondo.
Soffermiamoci sui grandi incontri che hanno scandito i suoi primi anni a Roma. Un nome tra gli altri , Giorgio
de Chirico.
Ho delle foto che mi ritraggono insieme a de Chirico. Era un uomo estremamente gentile. Ci incontravamo al Caffè
Greco, storico ritrovo degli intellettuali e degli artisti. Oppure ci si vedeva da Luxor a piazza del Popolo - l'attuale
Canova - ai cui tavoli sedeva spesso con noi anche Ennio Flaiano. Dall'altra parte della piazza, invece, al bar Rosati
non potro' mai dimenticare le interminabili serate con Alberto Moravia, Jean Paul Sartre, Simone de Beauvoir. La
Roma del dopoguerra era davvero la capitale mondiale dell'arte e della cultura. I nomi più grandi hanno lasciato la
propria impronta nelle vie del centro, ammaliati dalla città eterna.
Lei ha avuto l'onore di essere amica di Giuseppe Ungaretti . Cosa ricorda del grande poeta?
Era un gran signore. Un signore d'altri tempi. Mi piace sempre riportare un aspetto molto singolare. Ungaretti aveva
un tono declamatorio, non solo quando recitava la sue magnifiche poesie ma anche quando discuteva di qualsiasi
argomento. Potremmo definirla, con un po' di ironia, una sorta di deformazione professionale. Nel 1970 scrisse in un
lettera:...'Eva lavora con tale grazia che non può non incantare un poeta...'. Fu per me una soddisfazione incredibile.
Un incontro illuminante e' stato poi quello con Pablo Picasso: un artista straordinario ma anche un uomo
dalla personalità prorompente.
Ho conosciuto Pablo Picasso a casa di Luchino Visconti. Uno dei regali più belli che ho ricevuto in vita mia è proprio
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una sua incisione: un'opera che custodisco gelosamente e che è l'emblema di un'amicizia sincera. Il grande Picasso
apprezzava molto il mio stile artistico così poco convenzionale e mi spronava a proseguire su un tema che mi stava
molto a cuore, quello delle architetture mediterranee che ha, poi, fortemente connotato il mio percorso.
Lei è sempre stata uno spirito libero e così, desiderosa di nuove esperienze, si trasferisce a Parigi. Cosa
ricorda di quella fase della sua vita?
Il mio periodo parigino è scandito dal sodalizio con un altro mostro sacro: lo scultore russo naturalizzato francese
Zatkine. Un artista dalla personalità multiforme da cui ho avuto l'onore di imparare molto. Ricordo che riceveva nel
suo studio di Saint Germain des Pres ogni domenica pomeriggio. E risale proprio a quel periodo anche l'amicizia con
il grandioso Marc Chagall con cui condividevo le comuni origine ebraiche. Sono stata sempre un' ammiratrice della
sua arte di incommensurabile profondità. Chagall che era un uomo di straordinaria sensibilità, un vero genio capace
di declinare l'arte in modo sublime.
Da Parigi approda poi a Londra e il suo nome inizia ad essere famoso nel mondo.
Non posso negare che Londra mi sia rimasta nel cuore. Ho avuto l'onore di esporre nella prestigiosissima galleria
Lefevre che aveva concesso l'ultima 'personale' a Franco Modigliani. Di norma, esponevano in quella galleria
londinese - una delle più note al mondo - solo gli impressionisti. Eppure la mia arte, che si allontanava da canoni
standardizzati, ottenne un riscontro inaspettato. I proprietari della Lefevre conoscevano le mie opere ed erano
profondamente colpiti dai colori mediterranei che emergevano con prepotenza dalle mie tele. "L'italianità di Eva
Fischer" era un qualcosa che lasciava il segno in una Londra con lo sguardo perennemente rivolto al futuro. Non
potrò mai dimenticare la festa meravigliosa organizzata per la mia mostra: un'emozione di tale intensità che non e'
possibile descrivere con le parole.
Per lei l'arte ha rappresentato anche una strada privilegiata per esprimere un'opposizione granitica ai regimi
dittatoriali. Lo sterminio degli ebrei operato dai nazisti, la Shoah, ha portato in lei un desiderio indomito di
libertà e di giustizia. E a tali nobili ideali si ispira anche la sua esperienza spagnola. Cosa può dirci in
merito?
E' proprio così: come molti altri artisti ho sempre ritenuto che l'arte abbia una sconfinata valenza sociale, potendo
assurgere a reale strumento di emancipazione E proprio con questi ideali ho vissuto il mio periodo spagnolo. In quei
primi anni '60, infatti, la mia pittura divenne molto popolare in Spagna, in particolar modo tra i miei colleghi iberici
impegnati nella strenua lotta contro il franchismo. Nell'atelier di Juana Mordò le mie tele hanno conquistato il
panorama artistico spagnolo. Devo dire che in quel contesto ho avuto l'opportunità di interagire con i nomi più
autorevoli di tutta l'intellighenzia spagnola . Ricordo un piccolo un bar nel cuore di Madrid dove si riunivano tutti e
dove si dibatteva su qualsiasi tema, dalla politica all'arte con grande modernità.
Lei ha avuto anche il privilegio di essere amica di Salvator Dali'. Cosa La colpiva del grande pittore
spagnolo?
Si, e' vero anche Salvator Dali e' stato tra i miei amici ed estimatori. Ricordo che apprezzava molto la tematica dei
'mercati romani' che ha contraddistinto un periodo del mio percorso artistico. Ebbi modo di conoscerlo a fondo,
proprio a Roma , dove era giunto in compagnia di sua miglia Gala, una donna di straordinaria intelligenza che aveva
sposato in prime nozze il poeta francese Paul Eluard.
La sua arte ha subito - a parere di tutti i grandi critici - l'influenza del fascino della Capitale. Un'arte arricchita
propria dai grandi incontri che hanno caratterizzato la sua vita romana.
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E' assolutamente vero: ho vissuto nei posti storicamente più fascinosi di Roma, da via Margutta stessa, a via di
Ripetta, a via della Scrofa, a Piazza Cavour, a via di Sant'Erasmo nei pressi del Colosseo, per poi trasferirimi a
Trastevere a piazza Nievo. In quello stabile di Trastevere ho avuto uno degli incontri più significativi della mia vita: al
primo piano abitava l'impareggiabile Ennio Morricone, il quale, allora, non componeva ancora la musica per il
cinema. Ricordo che suonava il pianoforte sin dal mattino ed era davvero un privilegio poter ascoltare le sue melodie
che penetravano nel cuore. Siamo diventati immediatamente amici: la nostra e' stata un'empatia affettiva prima che
artistica. Ennio, infatti, è sempre stato persona di straordianria sensibilita. Mi piace riportare un aneddoto molto
simpatico: a quei tempi io non avevo il telefono e lui, pertanto, mi ha consentito per più di un anno di utilizzare il suo.
Ogni volta che qualcuno mi cercava, lui correva a chiamarmi sempre con grande gentilezza e disponibilità. Ennio
Morricone amava le mie opere e veniva spesso a contemplare il mio lavoro. Rammento perfettamente Il mio piccolo
quadro da lui comprato a rate per pochissimi soldi.
L'amicizia con Ennio Morricone si e' trasformata poi anche in una sorta di sodalizio artistico.
Nella mia carriera ho ricevuto tanti riconoscimenti - dal titolo di 'Artista Europeo' all'onorificenza di Cavaliere al merito
della Repubblica, solo per citarne alcuni - che mi hanno inorgoglito, perché ho sempre conservato un atteggiamento
di umiltà nei confronti della vita, frutto dell'educazione improntata al rispetto umano, inculcatami dai miei genitori. Ma
il CD comprensivo di dodici brani inediti di ineguagliabile bellezza dedicato da Ennio Morricone a me, intitolato 'A Eva
Fischer Pittore', rappresenta, forse, uno di quei traguardi per i quali vale aver vissuto un'intera vita. Il Maestro
Morricone ha tradotto in musica le emozioni che emergevano dai miei quadri. Ed io ho fatto lo stesso: ho trasfigurato
in opere pittoriche la sua musica divina. I brani musicali e i quadri hanno il medesimo titolo. Un'osmosi perfetta d'arte
che davvero mi ha reso infinitamente felice. Un giorno qualcuno ha chiesto ad Ennio perché avesse scelto per me il
termine 'Pittore' e non pittrice. E lui ha risposto che le mie tele avevano un tratto netto, maschile, deciso e che ciò
ripresentava un elemento di ulteriore fascino perché a dipingerle era, invece, una donna.
Le origine ebraiche hanno influenzato la sua arte. E lei le ha sempre rivendicate con fierezza ed orgoglio.
La prima volta che mi sono recata ad Istraele risale all'ormai lontano 1950. In quell'anno, infatti, ebbe luogo una mia
mostra a Tel Aviv. Sono tornata successivamente nel '90 , su invito dell'Istituto italiano di Cultura. E proprio nel 1990
ho avuto l'onore di esporre le mie opere al Museo dell'Olocausto ' Yad Vashem' di Gerusalemme. Per me, che sono
ebrea, quella mostra ha avuto un grande valore simbolico e mi ha consentito anche di esprimere il rispetto, che da
sempre, nutro per la storia sofferta del popolo ebraico. Hanno avuto un grandissimo successo nel mondo le mie tele
di Gerusalemme ed Hebron, e eguale successo hanno ottenuto anche le vetrate da me realizzate del Tempio
Israelitico di Roma: l'ultima di queste vetrate rappresenta il Padre che benedice il Figlio, erede nella tradizione
ebraica nella continuità della civiltà e della cultura romana. Più volte il rabbino Elio Toaf ha espresso il suo
apprezzamento per la mia arte e per il mio lavoro.
La sua più grande peculiarità consiste nel non avere avuto uno stile pittorico unico, ma di aver avuto il
coraggio di ricominciare più volte dal principio.
E' così : ogni due o tre anni ho dato vita ad un ciclo pittorico nuovo. Venendo a Roma dopo la guerra mi sono
dedicata con trasporto ai ritratti di persone sedute. Cercavo di carpirne l'anima. Poi nel 1948 alla Rai mi hanno
permesso di assistere a tutte le trasmissioni di musica, da quella classica al jazz , e mentre l'orchestra suonava io
dipingevo in totale estasi artistica. Tanti giornali del tempo hanno scritto in merito e ci sono ancora molte foto che mi
raffigurano all'opera. Nel '49 , poi, ho fatto una una mostra nella galleria Chiurazzi a Via del Babuino di tele
raffiguranti esclusivamente orchestre. Successivamente mi sono dedicata al tema dei 'mercati romani': Corrado
Alvaro scrisse una mirabile presentazione della mia mostra sui mercati che era stato il frutto di tanto tempo trascorso
ad ammirare i coloratissimi banchi di frutta e verdura a piazza Vittorio. E poi, sicuramente, il punto saliente della mia
carriera artistica è rappresentato dalle architetture meditarranee che mi hanno reso nota nel mondo. Ho disegnato
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tanti scorci di cielo, 'catturati' in Puglia, in Sicilia, o dala mia casa di Capri. Nella storica piazzetta dell'Isola Azzurra ho
avuto anche la mia personale galleria negli anni '60. E ancora non posso dimenticare il ciclo delle' 'biciclette' .
Artisticamente è stato per me molto esaltante. Ricordo che il giorno del mio matrimonio ( ndr con lo scrittore e
scultore Alberto Baumann), il 9 maggio del 1963, sono arrivate tantissime persone in bici. C'è uno straordinario
filmato che immortala quel giorno e che e stato trasmesso recentemente sulle reti Mediaset e dalla tv svizzera; dopo
il rito in Campidoglio andammo a mangiare un gelato al Colosseo. Sono trascorsi quasi cinquant'anni ma a me
sembra ieri! Negli ultimi anni, invece, ho voluto rappresentare, su tele grandissime, le scuole di ballo soffermandomi,
in particolare, sulla plasticità dei movimenti...
Come vede il mondo dell'arte oggi?
Sarò onesta e schietta: vorrei capire l'arte contemporanea. Ma con le dovute eccezioni non mi trasmette emozioni.
Non sono pervasa nell'anima da ciò che i miei occhi vedono. Oggigiorno tutto viene spacciato per arte. E invece non
lo è. E il titolo di 'artista' viene dispensato con un'approssimazione disarmante. E' stato annientato il sentimento che,
infatti , non c'è piu. Come pure non c' e' più il vero estro, quello in grado di generare passioni ed emozioni forti. Per
me l'arte resta ancora oggi sacra: una sorta di religione. Non mi sono mai fatta condizionare dalla popolarità
nemmeno quando i miei quadri hanno ottenuto uno straordinario successo in America, venendo annoverati nelle
collezioni di personaggi celebri come Lauren Bacall, Humphrey Bogart, Henry Fonda.
Ho un rispetto talmente sconfinato nei confronti dell'arte che, di recente, ho riacquistato il mio primo quadro
raffigurante Villa Medici. Era stato comprato tanto tempo fa da un pittore. Spesso lo guardo e non posso trattenute
l'emozione.
Torna mai a Via Margutta?
Ci torno raramente. Tanti amici che hanno fatto la storia sono diventate ombre nel cielo marguttiano. Ma via Margutta
è sempre uguale a se stessa, indifferente all'incedere impietoso del tempo. La vedo ancora come tanti anni fa: una
lucente spada nel cuore di Roma, così come l'aveva immaginata l'inarrivabile Pablo Picasso. Quei nomi grandi che
l'hanno resa 'grande' non se ne sono mai andati. Sono ancora li' e ci resteranno per sempre.
Eva Fischer si ferma. Riassumere la sua vita e la sua carriera artistica, con le oltre centotrenta mostre personali nei
cinque continenti, non è cosa semplice tale è la ricchezza e l'intensità di ciò che ha vissuto. E così restiamo in
silenzio a guardare le sue tele che sembrano parlare: al centro, sovrana, una tela che raffigura proprio la musica del
maestro Ennio Morricone. A sinistra appoggiata sulla parete un'altra tela gigante che immortala un poetico paesaggio
mediterraneo con uno squarcio di sole che traspare da un arco. A destra un quadro che sinterizza la soavità dei
movimenti armonici dei danzatori di una scuola di ballo. E ovunque emerge una commistione perfetta di colori e di
luce. Di positività. E di arte vera.
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