L`Italia negli ultimi decenni ha visto un forte mutamento demografico

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L`Italia negli ultimi decenni ha visto un forte mutamento demografico
Invecchiamento e modelli familiari.
Invecchiamento e modelli familiari in Lombardia.
L’Italia negli ultimi decenni ha visto un forte mutamento demografico che è stato segnato da un consistente incremento di popolazione anziana.
La situazione italiana da questo punto di vista si caratterizza come quella che vede una
maggiore presenza di popolazione anziana rispetto a tutti gli altri paesi europei. La
quota media di anziani in Italia attualmente è quasi il 20% della popolazione: esattamente il 18,2%. Una presenza più forte e consistente della media europea, che vede una
percentuale di anziani tra il 15 e il 16% della popolazione. In Italia ci sono quasi 3
punti percentuali in più.
Questa maggiore incidenza è determinata dal fatto che negli ultimi decenni l’Italia ha
visto una forte diminuzione delle nascite. Diminuiscono i bambini, diminuiscono i giovani e quindi la popolazione anziana diventa sempre più consistente rispetto al totale
della popolazione. C’è da dire, come aspetto positivo, che l’Italia è anche il paese che ha
la più elevata speranza media di vita. Però quello che incide soprattutto per quanto riguarda l’incidenza della popolazione anziana è la diminuzione della natalità che c’è
stata negli ultimi 20 anni.
Ci sono due aspetti che sono importanti da sottolineare.
Il primo è che all’interno della popolazione anziana aumenta specificatamente la popolazione più anziana, cioè quella che ha più di 80 anni. Attualmente la popolazione che
ha più di 80 anni è poco più del 10% della popolazione anziana, ma tra 20 anni sarà
quasi il 20%, quindi c'è un’incidenza crescente dei grandi anziani, e questo pone dei
problemi che vedremo.
Il secondo aspetto da sottolineare è che l’invecchiamento vede una differenziazione
molto forte a seconda del genere: la speranza media di vita attualmente è di circa 82 anni per le donne, di circa 75-76 per gli uomini. Il risultato è che nelle classi di età più anziane si assiste a una femminilizzazione della popolazione. Più si sale nella piramide
della classe di età più aumenta l’incidenza delle donne: questo è un altro tratto molto
specifico e anche molto moderno, perché agli inizi del 900 invece erano gli uomini che
avevano la speranza di vita maggiore. In molti paesi africani e asiatici, nei paesi poveri
tuttora gli uomini hanno una speranza di vita maggiore o uguale a quella delle donne.
Questo è quindi un tratto specifico dei paesi occidentali di oggi.
Questi due elementi – l’invecchiamento e la femminilizzazione della popolazione anziana – comportano delle conseguenze importanti.
Per quanto riguarda l’incremento dei grandi anziani il problema che si pone è che mentre nella popolazione di 60-70 anni le condizioni di salute sono tendenzialmente analoghe (sono un pochino più problematiche ma non sono così problematiche rispetto a
quelle medie della popolazione adulta), sopra i 75-80 anni si ha il declino
dell’autonomia e un incremento delle situazioni patologiche. Questo vuol dire che
l’invecchiamento della popolazione anziana tende a comportare oggi, e tenderà a comportare sempre di più nei prossimi decenni, un incremento di domanda di servizi, sia di
servizi sanitari in senso stretto, sia di servizi di assistenza e di cura collegati alla riduzione dell’autosufficienza e dell’autonomia. E questo è il primo aspetto importante.
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L’altro aspetto importante è quello della femminilizzazione, che ha delle conseguenze
importanti sulle strutture famigliari degli anziani. Qual è l’aspetto importante della
femminilizzazione? perché è importante la femminilizzazione? Perché ha delle ripercussioni molto forti sulle tipologie familiari della popolazione anziana. Poiché le donne vivono più a lungo degli uomini e poiché tendenzialmente nelle coppie le donne sono un
po' più giovani dei loro partner, il risultato è che a partire già dai 50-55 anni, ma in
modo molto più accentuato nelle classi di età successive, le donne sono più frequentemente vedove rispetto agli uomini e vivono più frequentemente da sole.
Un altro tratto importante del cambiamento demografico è dato dal mutamento delle tipologie familiari. L’Italia fino a 20-30 anni fa aveva una presenza consistente di famiglie estese, di famiglie multiple. I nuclei composti da una persona erano una minoranza
sul totale delle famiglie. Attualmente si assiste invece a un incremento molto forte di
persone sole e a una diminuzione molto forte di famiglie multiple ed estese. Questo
mutamento coinvolge in modo particolare la popolazione anziana perché le famiglie
multiple estese degli anni 60 erano quelle che vedevano al loro interno la presenza di
nonni: c’è stato invece proprio un processo di autonomizzazione dei nuclei familiari, e
di conseguenza sono di più gli anziani che vivono da soli. Questo è un tratto specifico
del profilo demografico di tutti i paesi occidentali.
Questi mutamenti sono particolarmente evidenti in Lombardia e in particolare in tutte le
grandi città, Milano in prima fila. L’ultimo censimento mostra che a Milano la tipologia
familiare più diffusa è quella costituita da un’unica persona. È un mutamento demografico enorme: fino agli anni 70 i nuclei composti da un’unica persona erano il 20% delle
famiglie, attualmente a Milano sono il 35%, a livello nazionale sono il 25-27%, quindi
c’è stato un forte incremento che è particolarmente evidente nei contesti urbani e metropolitani.
Questo che cosa comporta? Comporta che soprattutto le fasce anziane femminili, soprattutto le donne anziane, vivono molto spesso in una situazione di solitudine, almeno
da un punto di vista anagrafico. Più della metà della popolazione anziana femminile vive da sola. I dati dell’ultimo censimento rilevano un forte incremento di persone anziane
che vivono da sole: attualmente in Italia quasi un quarto vive da solo, un pochino meno
di un quarto. In Lombardia un pochino più del quarto, in Milano città è più di un terzo,
il 36%, e questo incremento va di pari passo con la diminuzione di famiglie estese: cioè
sempre meno spesso gli anziani vivono nella famiglia dei figli e sempre più spesso
quando rimangono vedovi – vedove soprattutto – vivono da soli.
Alla base di questo processo c’è certamente anche un fattore molto positivo, vale a dire
che la grande maggioranza degli anziani è economicamente autonoma, autosufficiente,
quindi non ha il bisogno di vivere con i figli, può continuare a vivere nella propria abitazione senza dovere andare ad abitare con i figli. Quindi c'è certamente un elemento di
positività alla base di questo processo. Ci sono però anche degli elementi un più problematici che rimandano alla difficoltà di vivere insieme tra diverse generazioni, e a
processi di individualizzazione che soprattutto nei contesti urbani-metropolitani sono
molto accentuati, molto evidenti.
Si può parlare di individualizzazione nel senso che la società moderna si caratterizza per
essere estremamente centrata sull’individuo, sui suoi progetti, sui suoi desideri, sulla
sua esigenza di realizzazione e sulla sua esigenza di avere spazi molto consistenti. Que
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sti processi, molto positivi, hanno però anche un tendenziale affievolimento del senso di
doverosità, del doversi rapportare con gli altri, di un senso di solidarietà per quanto riguarda i legami e le relazioni familiari.
Nei prossimi decenni possiamo ipotizzare un aumento delle condizioni di solitudine,
perché le persone che adesso hanno 60-65 anni, 50-60 anni e che saranno anziani tra 20
anni hanno una storia familiare e demografica diversa da quelli che adesso hanno 70-80
anni. Più frequentemente sono single, non si sono mai sposati, più frequentemente si
sono separati, divorziati e non si sono risposati, e quindi si trovano soli, non solo a seguito di una vedovanza ma anche a causa di una cessazione voluta di un rapporto coniugale, e soprattutto più frequentemente hanno pochi figli. Mentre gli anziani di 70-80 anni, anche in Lombardia, hanno avuto tendenzialmente circa 2 figli, quindi hanno avuto
una rete familiare di persone che adesso hanno 50-60 anni, più frequentemente hanno
avuto un figlio solo e in non pochi casi non ne hanno avuto nessuno. Gli attuali 80enni
appartengono a generazioni in cui era frequente avere numerosi fratelli e sorelle. Gli
attuali 50-60enni frequentemente hanno un fratello, una sorella solo o forse non ne hanno nessuno.
Quello che sta cambiando è quindi anche la struttura della parentela, la ricchezza di legami di parentela. Gli attuali grandi anziani hanno una rete parentale ricca e differenziata, in cui ci sono ancora fratelli e sorelle, in cui ci sono diversi figli, in cui c’è una
rete composita che li può supportate in caso di necessità. I 50-60enni avranno invece,
quando saranno anziani, una rete familiare parentale più debole, e tendenzialmente più
fragile.
Questo certamente comporterà dei problemi perché tuttora la famiglia continua ad essere un elemento di grande supporto nella cura degli anziani non autosufficienti: tutte le
ricerche mostrano come nella maggior parte dei casi gli anziani non autosufficienti siano curati all’interno della famiglia. In Italia è limitato il numero di anziani che vive in
casa di riposo, in strutture protette – attualmente siamo intorno al 2 e mezzo, in Lombardia circa il 3%: sono valori che sono la metà se non meno della metà di quelli che si
riscontrano negli altri paesi dell’Europa centrale o settentrionale. In Italia è più modesto
il ricorso ai servizi di assistenza domiciliare: anche qui siamo intorno al 2, 2 e mezzo,
3%, valori di nuovo pari a un terzo di quello che si registra negli altri paesi dell'Europa
centrosettentrionale, e l’altra faccia della medaglia, il risultato, è che la maggior parte di
anziani non autosufficienti è curata sostanzialmente all’interno della famiglia.
Quindi un infragilimento delle reti familiari può comportare nel medio e lungo periodo
un problema molto forte di presa in carico della popolazione anziana. Il ruolo giocato
dalla famiglia è molto evidente se si considerano i dati, anche del censimento, relativi
agli anziani che vivono in una casa di riposo. Il tasso di istituzionalizzazione, cioè la
percentuale degli anziani che vive in casa di riposo a seconda del proprio stato civile evidenzia come tra i coniugati sia bassissima la quota – meno dello 0,5 % - di anziani in
casa di riposo; si sale all’1% nei vedovi; aumenta ancora un po’ di più tra i divorziati;
diventa circa il 10%, anzi un po’ superiore al 10% per celibi e nubili. Quindi il cambiamento della struttura familiare fa intravedere anche la possibilità di un mutamento della
domanda di servizi e di sostegno, e questo penso che sia uno dei problemi più rilevanti
col quale ci si deve confrontare.
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