output - Storia Storie Pordenone

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output - Storia Storie Pordenone
Il ruolo delle latterie sociali
nella storia della cooperazione
e dell’agricoltura
nella Pedemontana Occidentale
I verbali delle assemblee e dei consigli d’amministrazione
Ai miei paesi della Pedemontana,
a Cavasso Nuovo, dove sono nato, un paese stravolto dal postterremoto, ma ricostruito, a Pinzano al Tagliamento dalla cui
piazza guardavo quasi spaventato i dominanti ruderi del castello
dei Savorgnan con le occhiaie vuote dei suoi antichi finestroni,
a Valeriano, nella cui campagna vedevo nei primi anni Trenta
del secolo scorso le manovre della cavalleria che era ancora
quella della prima guerra mondiale, a Fanna, dove lungo il rugo
Mizza incassato nella sua gola facevo nelle calde giornate estive
il conducente del mulo, che trainava i tronchi tagliati d’inverno
destinati alla segheria uno alla volta, paziente in generale, salvo
eccezioni. Come fanno i muli.
Otello Bosari
Premessa
La presente ricerca su alcune latterie sociali della Pedemontana Occidentale è stata condotta fino a questo momento con la collaborazione di un gruppo di persone che si occupano di storia e che tutte hanno dato un apporto di interpretazione e di riflessione alla
stesura del testo.
Le interviste che sono state realizzate e che avremmo voluto più numerose rappresentano
un tentativo di approfondimento che abbiamo cercato di consolidare con i debiti riscontri
dei documenti. Ci siamo posti in una ottica diversa rispetto a quella della storia locale
più corrente. Infatti secondo noi la storia locale non può essere ridotta al localismo e
al particolarismo né alla ricostruzione museale accompagnati da una dose più o meno
rilevante di nostalgia per il “come eravamo”.
Abbiamo posto l’accento sul “come siamo cambiati” in una determinata fase storica
immaginandoci anche il “come cambieremo” nel futuro pensando alla zona, ma anche
più ampiamente al Nord Est d’Italia inquadrato nell’Unione Europea.
Le questioni del luogo o della zona devono essere viste in un quadro più generale, quello
stesso quadro che ha posto nel passato in essere condizionamenti inevitabili con la messa
a coltura dei prati stabili, con la realizzazione di dighe e bacini costruiti sui nostri fiumi,
con la delimitazione di zone industriali e insediamenti produttivi singoli, con interventi di
scavo nei rilievi montani di materie prime dal forte impatto ambientale, con l’insediamento
di un’industria cementiera potenzialmente inquinante.
Nel prosieguo del dibattito si dovrà più approfonditamente esaminare la questione
dell’abbandono della zona collinare e della zona montana, un fenomeno negativo che
rientra nella generale fuga dai campi degli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso.
Problema attuale è comunque quello di una efficace politica per lo sviluppo della montagna
e per il settore agricolo in genere dell’area pedemontana, a partire dal riesame della
questione del demanio idrico, grande risorsa di un vasto territorio montano, che non può
essere sfruttata senza assicurare alla montagna stessa una più adeguata compensazione
economica.
In questo quadro va riaffermata l’importanza strategica dell’agricoltura per la sicurezza
alimentare e per la tutela dell’ambiente. Ne discende la necessità di mettere in atto una
alternativa all’indiscriminato consumo del suolo agrario e l’urgenza di intervenire nel
meccanismo della determinazione dei prezzi visto lo scarso potere contrattuale dei
produttori agricoli rispetto agli intermediari industriali e commerciali.
I
Un tanto fa emergere anche la necessità della costituzione di un blocco di forze economiche
e sociali per tutelare gli interessi agricoli nella concreta realtà di oggi, quando l’agricoltura
come risorsa locale rischia di essere schiacciata da interessi economici e speculativi più
forti e meglio organizzati, ma anche da pregiudizi che frenano la ricerca scientifica.
Inoltre con la meccanizzazione dell’agricoltura, l’industrializzazione e lo sviluppo dei
servizi è scomparsa l’antica divisione tra una massa contadina povera e disgregata e un
ceto ristretto di grandi proprietari terrieri del tutto diversi dai contadini per posizione
sociale, per cultura e per reddito.
Nell’agricoltura ora operano generalmente imprenditori con aziende di maggiore o minore
dimensione, a volte con dipendenti, a volte no, comunque sempre attrezzati.
Una grande alleanza tra aziende agricole, cooperative, consorzi di bonifica e istituti di
credito operanti in modo significativo in connessione con il settore agricolo dovrebbe
essere considerata come una operazione possibile, sindacalmente e politicamente.
Questa ricerca si pone nell’ottica della ricostruzione storica di quelle iniziative che in
tempi vicini o meno vicini hanno assunto il significato dell’aggregazione di energie per
l’ammodernamento e il cambiamento in senso progressista. Le latterie sociali di paese
sono state viste in tale ottica.
In questa sede non ci si pone quindi l’obiettivo di scrivere né la controstoria del Friuli né
la controstoria d’Italia. L’hanno già fatto rispettivamente Giuseppe Marchetti e Fabio
Cusin, uomini di cultura di tutto rispetto che però hanno scelto, dichiaratamente, la strada
di una radicale contestazione delle idee prevalenti ai tempi loro, con una connessa ricaduta
politica al di fuori del sistema dei partiti della Prima Repubblica. Infatti il primo può essere
considerato ispiratore del Movimento Friuli e il secondo aderisce all’indipendentismo
triestino recentemente riemerso richiamandosi al Territorio Libero di Trieste istituito dal
Trattato di Pace del 1947, con la esplicita previsione di un Porto Franco.
La parte fondante della presente ricerca si basa sulla lettura dei verbali delle latterie
(assemblee dei soci, consigli di amministrazione, collegi dei sindaci) ritenendo che i
verbali stessi siano espressione dell’autoamministrazione che gli associati riuscivano
a realizzare. Ma quei verbali, redatti in uno stile molto controllato e composto, non
possono nascondere del tutto quanto c’era di eterodiretto nel mondo della cooperazione
agricola in genere, per il modo stesso col quale l’associazionismo agrario era nato ancora
nell’Ottocento e per le condizioni politiche nelle quali in seguito le latterie si trovano a
operare. Sono piuttosto i manuali di tecnica casearia che ci fanno capire chi dirigeva dal
di fuori.
Giuseppe Marchetti, sacerdote, insegnante, linguista, storiografo, letterato, storico e critico d’arte, nato a
Gemona nel 1902, morto a Udine nel 1966. Nel dopoguerra fu l’ispiratore del gruppo poetico friulanista
di Risultive. Per anni fu l’animatore del settimanale “Patrie dal Friûl” che propugnava l’autonomia regionale del Friuli. Autore, tra le altre opere, di una Cuintristorie dal Friûl.
Fabio Cusin (Trieste, 1904-Trieste, 1955), storico e politico, si batte a favore del “Territorio Libero di
Trieste” previsto dal Trattato di pace di Parigi del 1947. Tra le sue opere: Venti secoli di bora sul Carso
e sul Golfo, Antistoria d’Italia, L’Italia unita (due volumi).
II
Sarà quindi utile descrivere il materiale che è stato consultato:
a) per la latteria di Fanna i verbali dal 1929 alla fine dell’attività;
b) per la latteria di Cavasso Nuovo i verbali del Caseificio Sociale degli anni 1936/37
dopo la riunificazione delle preesistenti e distinte latterie dell’Alta Villa e della Bassa
Villa;
c) per la latteria di Campagna (Maniago) i verbali dal 1931 al 1980;
d) per il periodo successivo ai sismi del 1976 i verbali delle riunioni congiunte dei due
consigli d’amministrazione delle latterie di Fanna e di Cavasso Nuovo;
e) verbali vari di un gruppo di latterie, alcune della Pedemontana e altre della Bassa
Pordenonese: Toppo di Travesio, Spilimbergo, Tamai e San Cassiano di Livenza frazioni
del comune di Brugnera.
Le informazioni più generali sul movimento cooperativo sono state ricavate dagli archivi
delle latterie di Fanna, Tamai e San Cassiano di Livenza che si presentano in stato di
conservazione assai soddisfacente e contengono la corrispondenza con le organizzazioni
sindacali di rappresentanza: questa corrispondenza è sufficientemente indicativa del
quadro politico entro il quale operano latterie e cooperative.
P.S.: si ringraziano tutte le persone che hanno messo a disposizione i documenti in loro
possesso per lo svolgimento della ricerca.
III
1. Appunti per una storia dell’industria lattiero-casearia
L’industria lattiero-casearia mostra oggi i muscoli di un importante settore di
quell’agroalimentare italiano che, pur segnalando alcune difficoltà aziendali e pur facendo
emergere nodi sensibili come quello degli OGM, si distingue per la sua dinamicità e anche
per i suoi successi nell’esportazione dei prodotti e della cultura alimentare del nostro Paese.
Anche il turismo culturale concorre a mettere in luce le sue potenzialità, mentre “cantine
aperte” o sagre del Montasio richiamano un ampio interesse, pur in una situazione nella
quale la disoccupazione di massa, in particolare giovanile, il calo dei consumi alimentari e
le nuove povertà richiamano alla nostra attenzione le questioni strutturali del Paese.
Risolvere i problemi attuali dell’agricoltura e affrontare le politiche settoriali della filiera
agroalimentare vuol dire contribuire a risolvere problemi di più ampia dimensione. Senza
voler enfatizzare, far mente locale sull’agricoltura significa non solo riferirsi a una visione
strategica, ma anche contribuire a sgombrare il campo dalle molte tentazioni dell’antipolitica.
Ogni problema rimasto insoluto rappresenta un appiglio utile per tutte le correnti populiste
già scese in campo e vistosamente operanti.
Tra i tanti problemi che occupano la scena prendiamo in esame la storia dell’industria
lattiero-casearia. La sua materia prima è il latte che viene definito dai manuali del secolo
scorso nei seguenti termini: “Il latte è un liquido formato e secreto dalla glandola mammaria
dalle femmine degli animali domestici verso la fine della gestazione e dopo il parto; serve
alla nutrizione dei piccoli nati, per l’alimentazione umana, per la fabbricazione del burro e
dei formaggi e per la preparazione dei prodotti speciali”1.
L’ampia disanima che il manuale affronta (le proprietà del latte, le cause che influiscono
sulla produzione del latte, la microbiologia lattiera e casearia, le norme per la produzione
di un latte buono e sano, etc.) ha la funzione di richiamare il tecnico della lavorazione, il
casaro, alla complessità delle mansioni che deve svolgere, soprattutto per quanto riguarda
la produzione del formaggio, la quale richiede piena adesione alle norme della tecnica: “Per
quanto riguarda il problema della riuscita dei formaggi sia tutt’ora una questione sempre
aperta in quanto il casaro anche espertissimo non ha mai la certezza assoluta di arrivare, sia
pure procedendo con tutte le cautele, a prodotti sceltissimi sotto ogni rapporto, pur tuttavia
la scienza ha già fatto in questo campo dei passi notevoli”.
L’estensore del manuale mette le mani avanti: da tecnico deve confermare la sua fiducia
nella scienza, ma da persona a conoscenza dei fatti che di volta in volta accadevano nelle
Salvino Braidot, Riassunto delle lezioni di caseificio tenute ai casari della provincia di Udine, II ed.,
Udine, Arti Grafiche Friulane, 1938, pag. 3.
Salvino Braidot, Riassunto..., op. cit., pag. 100.
1
varie latterie fa presente che erano molte le cause che potevano provocare l’incidente nefasto
nella lavorazione del latte, ossia la cattiva riuscita di una cottura del latte stesso.
L’importanza del settore lattiero-caseario è segnalata anche dalla legislazione che a esso
fa riferimento, dalle norme generali a tutela dell’igiene e della sanità pubblica (legge 22
dicembre 1888, n. 5849) con i relativi regolamenti delle leggi che in modo più puntuale si
riferiscono al latte, ai latticini e infine alle centrali del latte.
Piuttosto per tempo ha preso le mosse una legislazione per incentivare la costituzione
di latterie sociali: si è partiti con il R.D. 8 luglio 1909 n. 590 cui ha fatto seguito il più
importante R.D. 19 febbraio 1922 n. 331, il quale precisava che le domande di contributo
dovevano essere accompagnate:
1) da una copia dello statuto speciale;
2) dall’elenco dei soci con l’indicazione delle vacche da ciascuno di essi possedute;
3) dal preventivo delle spese da sostenere o dai documenti comprovanti le spese sostenute e
per le quali si chiede il contributo;
4) da una breve relazione sul funzionamento della latteria con ragguagli intorno alla quantità
di latte lavorato, al sistema di lavorazione, ai prodotti ottenuti, allo smercio dei medesimi.
Dei documenti inviati doveva risultare che la latteria sociale provvedeva alla lavorazione
del latte e possibilmente alla vendita dei prodotti col sistema cooperativo.
Con l’Unione Europea le normative si sono fatte anche più rigorose e pervasive, creando
anche difficoltà per attività che tendevano, dopo le fasi iniziali molto innovative, a restare
ferme sui livelli tecnico-produttivi già acquisiti.
Guardando ai tempi pionieristici dell’indutria di trasformazione dei prodotti agricoli, bisogna
constatare che ai primi anni ‘80 (secolo XIX), sulla base delle rilevazioni dell’Inchiesta
Agraria (pubblicate nel 1884) che si occupano del Veneto, emerge che la produzione di
latte e latticini rappresenta una attività marginale perché l’allevamento punta a ottenere la
carne e i buoi quale forza motrice per l’agricoltura dell’epoca. In Val Padana invece, nello
stesso periodo, la produzione industriale di formaggio parmigiano assumeva ormai un certo
rilievo, anche nell’esportazione.
Il Veneto del 1884 comprende anche il Friuli (provincia di Udine).
2
2. Il ceto politico unitario dell’Ottocento si presenta:
una egemonia addolcita dal paternalismo e dalla filantropia
In ogni tempo compaioni libri e riviste capaci di rappresentare con una certa immediatezza
l’epoca loro, cogliendo concetti generalmente accettati in un determinato ambito sociale,
aspirazioni condivise, riflessioni diffuse e progetti in corso d’opera. Parte di questi libri
e di queste riviste comparsi a cavallo del 1900 può anche venir letta come espressione
molto interessata del ceto politico al potere in quel periodo, accettando nel formulare questa
ipotesi l’imput che ci viene dagli scrittori definiti “elitisti”, promotori oltre che interpreti e
narratori della fase storica che fu incubatrice della Grande Guerra e degli stati totalitari, fase
storica che venne oltremodo abbellita a posteriori accettandola come Belle Epoque.
Ciò non toglie che questa epoca si sia segnalata per aver raggiunto traguardi economici,
sociali e culturali in precedenza impensabili che comunque cominciavano a erodere il
basamento statico sul quale si reggeva il notabilato liberale più tradizionale, conservatore
per interessi e vocazione. In definitiva quei libri e quelle riviste, al di là della loro maggiore
o minor diffusione o influenza, restano come documenti del tempo e quindi come fonti per
lo storico. Per capire cos’era e cosa voleva la classe dirigente del Veneto e del Friuli può
risultare utile leggere quanto ha scritto quella classe dirigente dagli anni 80 dell’Ottocento
agli anni 20 del Novecento. Le risultanze dell’Inchiesta agraria (detta impropriamente
Jacini, ma in realtà proposta dal mazziniano-garibaldino Agostino Bertani, organizzatore
dei servizi sanitari per Garibaldi), i Bullettini dell’Associazione Agraria Friulana, i discorsi
parlamentari di Gabriele Pecile, editi sotto forma di opuscoli, i vari volumi della Società
Alpina Friulana (SAF), rientrano nelle produzioni intellettuali rappresentative di un ben
definito arco temporale con i suoi equilibri politici di potere, ma anche con le sue tensioni
ideali. La Società Alpina Friulana (SAF) rappresenta l’articolazione provinciale del Club
Alpino Italiano (CAI) fondato a Torino nel 1864 da Quintino Sella, che in Friuli era quasi
un secondo padre della patria, dopo Vittorio Emanuele II, perché nel 1866 era stato qui
come commissario del re per la provincia di Udine per organizzare il suo passaggio nel
Regno d’Italia.
La SAF nasce nel 1874 con 60 soci che aumentano via via negli anni successivi, restando
però sempre un circolo selezionato, formato dagli esponenti dell’alta società friulana,
1 Vilfredo Pareto, Gaetano Mosca, Robert Michels costituiscono l’importante gruppo degli scrittori elitisti
che a cavallo del Novecento studiano i fenomeni e le tendenze nuove della società di massa in via di formazione e in particolare il rapporto dinamico fra l’élite dirigente e le masse che cominciavano a muoversi.
Si veda: Umberto Cerroni, Il pensiero politico italiano, Roma, Newton Compton, 1995. Inchiesta Jacini: Atti della Giunta per la inchiesta agraria e sulle condizioni della classe agricola, vol.
IV, Relazione del Commissario Comm. Emilio Morpurgo sulla XI Circoscrizione (province di Verona,
Vicenza, Padova, Rovigo, Venezia, Treviso, Belluno e Udine), Sala Bolognese, Arnaldo Forni Editore,
1979 [ristampa dell’edizione di Roma del 1882]. 3
proprietari terrieri e scienziati affermati. Troviamo infatti i vari Pecile, Kechler, Mantica
che fanno parte in quel periodo dell’Associazione Agraria Friulana, ma anche Giovanni e
Olinto Marinelli, i geografi più illustri e affermati che abbia dato il Friuli. Quintino Sella
figura come socio onorario della SAF; in quei tempi le figure dei presidenti onorari e dei
soci onorari delle varie società locali, operaie o alpinistiche che fossero, rappresentavano il
filo politico di collegamento con i gruppi dirigenti nazionali quando non esistevano i partiti
organizzati e inquadrati come noi abbiamo conosciuto nella Prima Repubblica.
La SAF dispone anche di un Gabinetto di lettura con una cinquantina di soci. Notevole il
fatto che tra i libri disponibili figurano piuttosto numerose le opere curate da associzioni
alpiniste di lingua tedesca. L’ambiente della SAF non appare particolarmente irredentista,
almeno nei suoi primi decenni di vita, tenendo anche conto del fatto che il Regno d’Italia nel
1882 aderisce alla Triplice Alleanza con Germania e Austria-Ungheria.
Analogamente il Bullettino dell’Associazione Agraria Friulana dà spazio alle voci
contrarie alle avventure africane e alle eccessive spese militari, mentre la proposta politica
più costante, almeno negli anni della crisi agraria, è quella di costituire un partito agrario
che tuteli più efficacemente gli interessi dell’agricoltura.
La rivista della possidenza insiste per l’associazionismo dei produttori agricoli, sollecitando
il progresso agronomico basato sull’istruzione professionale, la diffusione dei concimi
chimici, la selezione del bestiame, l’impiego di macchine moderne.
In generale si riscontra assonanza con il pensiero di Stefano Jacini il quale sosteneva che la
sicurezza del Paese non andava ricercata nel potenziamento militare, ma piuttosto mediante
una politica estera che assicurasse l’equilibrio europeo. Il Bullettino, propugnando gli
acquisti collettivi di quanto serve agli agricoltori, dal perfosfato al ferrozincato per le viti,
organizzando le conferenze agrarie, esaminando l’ordinamento delle Scuole Superiori
d’Agricoltura e dell’insegnamento agrario superiore in genere, affrontando problemi
legislativi e sociali, presenta il suo programma e quindi anche la linea della borghesia
terriera e della nobiltà che si stava imborghesendo le quali cercano di sostituirsi alla nobiltà
più attardata sulle vecchie posizioni che sapevano ancora tanto di ancien régime.
In particolare Domenico Pecile teorizza il ruolo dirigente dei proprietari terrieri e la
funzione della cooperazione. Pecile parte dalla constatazione, nel 1894, che anche a Udine
si va facendo della propaganda collettivista, quantunque in Friuli non esista quella iniquità
dell’ineguaglianza che altrove spinge a cercare la demolizione dell’esistente organismo
sociale. Esiste invece la necessità che l’intellettualità borghese più giovane si conquisti la
L’Associazione Agraria Friulana è stata fondata nel 1846. Nel 1894 conta circa 450 soci con oltre 600
azioni da lire 15 ciascuna.
Domenico Pecile (1852-1924) continuòl’opera del padre Gabriele “in forma più temperata e conciliante”
(come nota Giuseppe Marchetti) nell’impegno politico: in effetti era passato il momento più acceso dei
contrasti tra liberali e clericali. Come tutta la pattuglia dei possidenti illuminati si impegnò nella diffusione
del progresso agronomico del Friuli, collaborando al Bullettino dell’Associazione Agraria Friulana. Come
osserva sempre il Marchetti, il suo esempio di proprietario e di conduttore della sua azienda agricola riuscì
– seppur lentamente e non senza riluttanze –a scuotere l’inerzia dei proprietari e dei coloni.
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benemerenza delle moltitudini meno agiate delle campagne poiché ogni possidente deve
sentire l’obbligo che ha la proprietà di produr molto a vantaggio di tutti, anche promuovendo
le associazioni cooperative le quali rispondono al bisogno di rendere collettivo il capitale.
Domenico Pecile ha in mente una politica produttivistica: non basta la base sociale per
aumentare il prodotto e il benessere, non basta l’abolizione della proprietà per quadruplicare
il prodotto medio generale del grano per ettaro.
Nel numero 1-2 del 1894 del Bullettino compare il necrologio del socio Vincenzo Biagini,
commerciante, che nel 1870 aveva comprato una tenuta dei Mocenigo, “ai confini della
nostra provincia”, cominciando con ciò una nuova attività, quella di imprenditore agricolo.
Descrivendo l’impostazione aziendale di Vincenzo Biagini, l’Associazione Agraria Friulana
indirettamente sviluppa il discorso che le era più consono: “Ardite furono le innovazioni
ch’Egli seppe, con mezzi semplici, introdurre nelle sue terre, che prima abbandonate ed
incolte, oggi sono modello di razionale coltura. Infatti, convertiti i prati stabili in terreni
arativi, estirpate le piantagioni infruttifere nelle terre a coltura mista, specializzata la coltura
della vite e del gelso in ben ordinati vigneti e gelseti, intensificata la produzione dei cereali
con buoni lavori e con giudiziosa applicazione [e] uso dei concimi chimici, migliorate
le condizioni del bestiame mercè i migliorati foraggi, la sua grande azienda divenne uno
splendido esempio dei progressi e dei vantaggi che si possono conseguire dall’industria dei
campi con una intelligente operosità e con un prudente uso del capitale”.
Le pubblicazioni della SAF e dell’Associazione Agraria Friulana rappresentano un magma
che andrebbe accuratamente scomposto e studiato, proprio perché deriva da aree ancora
agricole, il Veneto e il Friuli, che però hanno anche preso coscienza e conoscenza dei
processi di industrializzazione messisi in moto da un secolo circa nelle aree europee più
avanzate e quindi sono sensibili alle idee nuove che da lì provengono. Almeno per uno
strato sociale più acculturato e informato.
Successivamente invece il Museo Commerciale e Istituto per l’Espansione commerciale,
entrambi di Venezia, danno l’idea con le loro pubblicazioni di un ceto proprietario, industriale
e finanziario di origini veneziane ormai proiettato verso l’esterno della regione Veneto:
quando si pubblicano accurate monografie sui Balcani e sulla Romania si lascia intendere
un attivo nazionalismo imperialista che però guarda anche con interesse alle risorse interne,
come nel caso dei progetti di impianti idroelettrici distribuiti sull’arco alpino, Friuli e Alpi
Giulie incluse.
Il nazionalismo non può in effetti prescindere da un principio razionalmente ordinatorio
del Paese e delle sue risorse da valorizzare al massimo come base di forza dell’espansione
esterna, economica e militare. Leggendo invece la cronaca della SAF si ha l’idea di proprietari
e di intellettuali che guardano piuttosto entro i confini della grande provincia friulana: da ciò
Quella dei Mocenigo è stata una famiglia veneziana tra le più importanti per il ruolo assunto nel governo
della Repubblica di San Marco; nel corso del tempo questa famiglia si divise in più rami. I Mocenigo,
come tanti esponenti dell’oligarchia veneziana, acquistarono vaste possessioni in terraferma, che poi non
si salvarono in generale dal processo di decadenza che colpì molte famiglie della nobiltà veneziana.
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l’interesse per la geografia, la passione per l’alpinismo, lo studio scientifico rigorosamente
impostato sulle montagne, il caldo appoggio al movimento delle latterie sociali man mano
che prende piede e si sviluppa, valorizzandone tutte le possibilità, proprio per una crescita
delle aree montane dove esiste in quel momento a volte, come nelle Valli del Natisone, solo
un popolo di pastori operanti in un aspro ambiente fisico. Altrove invece la montagna è più
ricca, come in Carnia, con le sue malghe e con le sue risorse forestali. Infatti i legnami della
montagna friulana “si mandano nel medio e basso Friuli e anche in lontane regioni”, come si
scrive in qualche documento del tempo. Inoltre il gruppo della SAF chiede insistentemente
che Stato, Provincia e Comuni sostengano con loro contributi le latterie.
La “Cronaca” della SAF già nel 1883 nota che in seguito alla nascita di una ventina di
latterie la produzione di latticini non solo è aumentata, ma soprattutto migliorata.
Il formaggio e il burro prodotti dalle latterie riescono a spuntare prezzi migliori rispetto a
quelli risultanti dalla precedente produzione domestica.
L’elìte della SAF e dell’Associazione Agraria Friulana è animata da un certo ottimismo che
però non è più quello del decennio fondativo del Regno d’Italia perché alcune delusioni sono
affiorate al posto dell’illusione che bastasse unire i pezzi dell’Italia divisa per realizzare un
grande balzo in avanti. Inoltre l’orizzonte europeo si è fatto fosco con la vicenda della
Comune di Parigi con la quale emerge l’immagine inquietante di una massa popolare
rivoluzionaria.
E anche in casa nel 1876 c’era stata la caduta della destra perché un gruppo di deputati della
Destra Storica si era unito alla Sinistra Storica che stava ancora all’opposizione.
Non era proprio la rivoluzione, anche se si era parlato di rivoluzione parlamentare, ma
un fatto nuovo sì. Inoltre nella competizione interna è certo che i gruppi veneti sono
finanziariamente più forti di quelli friulani e lo si vedrà meglio in seguito quando sarà messo
in piedi il monopolio idroelettrico della SADE, così ramificato in tutto il Nord Est.
Cronologicamente andiamo dalla seconda rivoluzione industriale – quella basata
sull’introduzione dell’energia idroelettrica e sull’industria chimica – alla conclusione del
ciclo economico di sviluppo partito con i miracoli tedesco e italiano degli anni ‘50 del
secolo scorso. Proprio quel trend è finito nel calderone messo a fuoco dal liberalismo spinto
promosso dal pensiero derivato dalla scuola di Vienna (Friedrich von Hayek seguito poi dai
suoi sodali americani) e attuato da Margaret Thatcher e da Ronald Reagan, nonché dai loro
ammiratori italiani. Non tutti necessariamente di destra dall’inizio alla fine.
Ad ogni modo per il Veneto e il Friuli Venezia Giulia la crisi economica globale che colpisce
i paesi industrializzati occidentali si sta ora intrecciando con la caduta anche della seconda
repubblica, dopo che la prima aveva trascinato nel suo fallimento i partiti tradizionali
emersi con la crisi e la caduta del fascismo. Anche se qualche aspettativa di ripresa compare
timidamente, collegata con la tenuta e a volte anche l’incremento dei settori legati alle
Documento relativo al Comune di Paularo del 1861, riportato in:
Nazario Screm, Le malghe antiche della Valle d’Incarojo, Tolmezzo (UD), Editore Andrea Moro, 2006,
pag. 9.
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esportazioni, la situazione attuale di stallo della politica organizzata appare evidente.
I segni di ulteriori frantumazioni delle forze politiche sono costantemente all’ordine del
giorno, con l’emergere clamoroso a tutti i livelli di movimenti e di liste autonome e civiche:
una politica organizzata, per idee e programmi generali, appare sempre più difficile.
Le iniziali spinte ideali e politiche, affiorate con la crisi della prima Repubblica, quella dei
partiti tradizionali, sono in via di esaurimento. I novatori della Seconda Repubblica sono
durati meno dei loro antagonisti perché si sono scontrati con una crisi globale e perché
avevano abbastanza piombo nelle ali fin dalla partenza. Veneto e Friuli non erano isole
felici neppure nel 1880 quando emerge la crisi agraria determinata soprattutto dall’affluire
del grano americano e di altre terre dell’Est europeo messe recentemente a coltura e quindi
altamente competitive con le terre esauste dell’Occidente europeo. Eppure nonostante
miseria ed emigrazione transoceanica gli ultimi anni dell’Ottocento e i primissimi decenni
del Novecento rappresentano un momento magico nella storia del Nord Est.
Il ceto politico si sente portatore di una modernità concepita e avvertita come attuabile.
Di pari passo procedevano elettrificazione, nascita di latterie sociali e di altre forme
cooperativistiche, selezione del bestiame bovino, sistemi più efficaci di rotazione delle
culture, uso dei concimi chimici, meccanizzazione dell’agricoltura. In contemporanea si
esplorano le Alpi perché si diffonde lo sport delle escursioni e delle scalate alpine e perché
l’Istituto Topografico Militare conduce le rilevazioni necessarie sul terreno per una nuova e
più aggiornata cartografia di quelle catene montuose dove una futura guerra appare sempre
possibile anche se ormai l’Italia fa parte della Triplice Alleanza. Ma si studiano pure i nostri
fiumi per poter progettare il loro sfruttamento con dighe e bacini ai fini della produzione di
energia idroelettrica sempre più richiesta dalla illuminazione delle città e dal funzionamento
degli opifici.
Si attivizzano gruppi capitalistici e finanziari udinesi e veneziani: la Società del Tul dell’ing.
Domenico Margarita di Travesio, la Società Friulana di Elettricità di Udine, la Società
Idroelettrica del Friuli Centrale di San Daniele, la Società Avianese di Elettricità di Aviano;
ben presto diventerà preminente la Società Italiana per l’utilizzazione delle Forze Idrauliche
del Veneto. Da questa nascerà la celebre SADE (Società Adriatica di Elettricità)) di Venezia
che promuoverà la costituzione a Trieste della SELVEG (Società Elettrica Venezia Giulia),
acquirente in seguito delle Officine Elettriche dell’Isonzo.
Siamo così al monopolio dell’energia elettrica, molto potente e molto efficace nel saper
imporre le sue rendite di posizione. Si mobilita anche la cultura degli ingegneri, uno degli
assi portanti intellettuali dell’Italia unita. All’inizio c’era stato un grande fervore di iniziative
che faceva un tutt’uno con i vasti interessi scientifici e progressisti leggibili chiaramente nei
vari numeri della “Cronaca” della SAF, che non dimentica mai di mettere nella giusta luce
quanti possidenti, tecnici, parroci, maestri elementari e segretari comunali si distinguono
nel propugnare e realizzare le finalità solidaristiche e mutualistiche che coinvolgono molti
contadini nelle latterie sociali.
Resta in ombra invece quanta usura si praticava nei paesi e anche quanto frequenti fossero
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patti agrari iugulatori, come quello ormai vecchio di secoli della soccida.
La soccida è un contratto agrario in base al quale un concedente (soccidante) concede a
un conduttore (soccidario) uno o più capi di bestiame (ovino, caprino, bovino) a scopo
di allevamento e sfruttamento: il fine consiste nella ripartizione dell’accrescimento del
bestiame e degli altri prodotti che ne derivano.
Nei nostri paesi la soccida consisteva in un rapporto tra un benestante che concedeva
una mucca a un contadino povero che la nutriva e la governava: al contadino restava il
latte e il vitello, una volta allevato, andava al concedente. Poiché nel diritto scritto e in
quello consuetudinario valeva, fino a prova contraria, la pregiudiziale colpevolezza o
responsabilità del contadino, mezzadro, fittavolo o soccidario che fosse, quando qualcosa
andava male - nell’eventualità anche con morte dell’armenta o del vitello - il concedente,
forte della sua posizione conomica e del suo prestigio sociale, faceva ricadere tutto a
danno del contadino. Alla fine poteva accadere che fosse questo a pagare, perdendo pure
l’unico pezzo di terra che aveva in proprietà e obbligato quindi a emigrare.
La memoria orale, per Fanna, ci assicura che erano le donne di alcune famiglie benestanti
quelle che gestivano i piccoli traffici speculativi, con un rigore degno di miglior causa.
Nel fondo dei paesi sovente è rimasto, nel ceto più povero, un sordo rancore sociale
che può aver trovato sfogo in momenti di crisi generale. Possidenti veneti e friulani su
un punto sono d’accordo: a loro compete dirigere e alle masse spetta restare a casa. Non
avranno neppure remore a dirlo apertamente. Anzi, lo avevano già fatto, quando si erano
accorti che qualcosa di nuovo accadeva al posto della tradizionale passività.
Possidenza modernizzante e ceto benestante portato per vocazione alla speculazione erano
ambienti contigui. Il punto di raccordo operativo dei novatori era rappresentato in Friuli
dalla Associazione Agraria Friulana che fa nascere anche importanti stabilimenti industriali:
lo Zuccherificio Eridania di San Vito al Tagliamento e la Società Cooperativa di Perfosfati
di Portogruaro in provincia di Venezia.
La scelta di Portogruaro non era casuale: tendeva a sottolineare i comuni interessi veneti e
friulani, non solo a sfruttare la via fluviale del Lemene. Sul piano politico la possidenza poteva
dormire sonni tranquilli. Il Paese legale appariva solido. Voto censitario e accentramento
statale saranno gli strumenti precipui atti a garantire che la stessa rappresentanza elettiva
non avrebbe creato problemi, con l’accortezza però di aprire qualche valvola di sfogo.
La cooperazione agricola sarà una di queste valvole, per lenire la miseria con le latterie,
contrastare le forme di sfruttamento più odiose come l’usura e associare, fin dove utile, i
Questo contratto si prestava proprio a strozzare il contadino.
Poiché c’è sempre chi ha il capitale e chi ha la forza lavoro, il contratto di soccida ha avuto una sua rinascita nella forma di contratto tra allevatori e industrie fornitrici di mangimi. Questo si verifica sempre
più frequentemente nel caso di polli, tacchini, suini e bovini da ingrasso. La soccida, unico contratto di tipo
associativo rimasto in vigore, ha avuto negli ultimi tempi una diffusione notevole a causa dell’interesse
dimostrato dalle ditte mangimistiche che ha trovato corrispondenza nella necessità degli allevatori di continuare la loro attività al riparo dalle insicurezze che un mercato della carne, sia bovina che agricola, aveva
manifestato in passato (si veda Il sistema rurale del FVG. Rapporto 2009, op. cit., pag. 84).
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contadini allo sviluppo economico. Ma la valvola si è dimostrata peraltro piuttosto dotata
anche di energia propria: una parte degli attuali imprenditori agricoli non sono né figli né
nipoti dell’antica possidenza. Sono piuttosto discendenti dei contadini di una volta. Su un
altro piano succede invece che ostacoli insormontabili vengono frapposti alla riforma e al
superamento dei contratti agrari, affitto misto friulano e mezzadria, pur essendo essi diventati
la palla al piede dell’agricoltura e quindi anche un freno allo sviluppo dell’economia nel suo
complesso.
Su questo terreno i possidenti illuminati o non illuminati che fossero proprio non intendevano
concedere niente e solo molto tardi abbandonarono la mezzadria per la conduzione
capitalistica a salariati.
Quando nel 1930 la Federazione Fascista degli Agricoltori stipula un contratto provinciale
che concede qualche limitato beneficio ai mezzadri lasciando libere le coltivazioni orticole
e l’allevamento degli animali di bassa corte, una ottantina dei maggiori possidenti del Friuli
si rivolsero con una petizione al Prefetto, protestando vigorosamente perché si era violata la
giustizia e violato pure il diritto, per la pretesa gravità degli oneri che venivano addebitati
ai concedenti. Inoltre, poiché il contratto di mezzadria poneva a carico del mezzadro la
prestazione del lavoro, era pratica costante dei proprietari addebitare al mezzadro stesso i
costi della meccanizzazione, con la motivazione che questa era sostitutiva della prestazione
d’opera cui egli era tenuto con la sua famiglia.
Negli anni ‘50 del Novecento ci fu infatti una interminabile vertenza tra proprietari e
mezzadri per stabilire a carico di chi dovevano andare i costi della mietilega, una macchina
che accelerava la mietitura e la raccolta del frumento, soppiantando quella eseguita a mano.
In particolare negli ultimi due decenni dell’Ottocento la possidenza, nella sua parte più
dinamica, promuove, come faceva da tempo, il progresso agronomico, ma è alle prese con
la crisi agraria che aggrava la tradizionale miseria contadina.
I possidenti, coadiuvati da parroci, maestri elementari, tecnici e professionisti spingono per
uno sviluppo della cooperazione e della mutualità, esercitando anche, ma con gran misura,
una certa filantropia che appartiene per la verità ad alcuni singoli più avveduti, non certo alla
classe padronale nel suo insieme. Perché proprio la classe dei proprietari terrieri come tale
non rinuncia alla supremazia economica né al suo alto tenore di vita né al suo processo di
accumulazione: l’orizzonte più avanzato che si dà è quello del paternalismo, della filantropia
e dell’incoraggiamento della cooperazione. Gli esponenti della classe proprietaria non hanno
mai avuto remore nel teorizzare le proprie impostazioni pratiche.
Anzi, hanno messo in luce il loro pensiero politico non appena, nel 1848, il moto nazionale
unitario è parso configurarsi con capacità mobilitanti degli stessi contadini.
Quando il moto nazionale del 1848 arriva al suo apice toccando Udine e Cividale anche le
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campagne sono in fermento. Un periodico a ragione in seguito molto celebrato, “L’Amico
del Contadino” diretto da Gherardo Freschi, nel numero del 15 aprile 1848, dopo avere
ammonito il popolo italiano e specialmente quello delle province venete non abituato alle
rivoluzioni, scrive che “il popolo non deve adunarsi sulla piazza per farsi ragione perché
con siffatto adunarsi frequente si abitua a far da padrone, ed a volere che la sua volontà sia
arbitra nelle faccende di stato.
La moltitudine ha diritto di essere ben governata, ma non di governare. Perché per governare
si domanda senno e virtù: ed il senno le manca e la virtù è posta sovente a repentaglio dalla
corruzione, ove si considerino i bisogni che stringono la gente minuta”. Mentre si tiene ben
stretto il suo dominio economico, la possidenza patriottica già allunga le mani sul futuro
stato nazionale precisando con molta chiarezza quale doveva essere il ruolo delle masse
popolari: queste dovevano restare sottomesse, anche quando le si aiutava ad acquisire una
maggiore istruzione professionale.
Non a caso Gherardo Freschi si presentava come amico del contadino. Così infatti aveva
titolato il suo periodico, pensato come strumento di progresso, ma anche come strumento
per dirigere i contadini dall’alto, con toni esortativi e paternalistici sovente, ma facendoci
sapere che la possidenza più consapevole si era accorta che i contadini esistevano.
Gherardo Freschi (Ronchi di Faedis, 1804-Ramuscello di Sesto al Reghena, 1893) è stato un proprietario
terriero e un agronomo, presidente dell’Associazione Agraria Friulana. Impiantò una tipografia dalla
quale uscirono numerose pubblicazioni e il periodico “L’Amico del Contadino” che fu il primo giornale
agricolo popolare in Italia (1842-1848).
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3. Una modernizzazione nata tardi, cauta nel suo sviluppo, moderata in politica
Dopo i secoli della decadenza italiana, resa palese dal sacco di Roma (1527), dalle guerre
delle potenze europee per affermare la loro egemonia sulla penisola nel corso di tutto il
‘500, dall’arretramento produttivo del ‘600, il momento di una relativa ripresa dell’Italia
lo si può indicare nella seconda metà del ‘700. È sintomatico che nella sua opera Delle
monete e delle zecche d’Italia Gian Rinaldo Carli, proprietario di ville e poderi nel Trevigiano e in Friuli, oltre che in Istria, raffrontava l’antica magnificenza degli stati italiani
con l’impoverimento del suo tempo.
Stuart J. Woolf, parlando di storia d’Italia, scrive che nel 1750, anno in cui muore Ludovico
Antonio Muratori il quale aveva auspicato che la pace di Aquisgrana (1748) portasse il
riposo dei poveri popoli dopo sette anni di guerre calamitose, l’Italia stava prendendo
coscienza della sua situazione di isolamento e di arretratezza.
A quella di Muratori, grande erudito e assiduo sistematore di documenti, segue una
generazione di intellettuali orientati in senso riformatore: la realtà politica, economica e
intellettuale aveva subito profonde trasformazioni, pur se altrettanto non si poteva dire dei
rapporti sociali fondamentali, soprattutto nelle campagne.
Nobili e non nobili stavano cercando sicurezza e prestigio nell’acquisto o nel
consolidamento della proprietà terriera, mentre sul piano politico era cessata l’egemonia
spagnola.
Dati strutturali determinano una nuova tendenza demografica. Epidemie di tifo e di vaiolo
imperversano sempre, ora in questa, ora in quella regione, ma non hanno gli stessi effetti
catastrofici della peste medioevale.
Inoltre sono cessate le guerre di religione con le loro stragi sistematiche del Cinquecento
e del Seicento: i trattati di pace successivi hanno portato al consolidamento in aree diverse
delle varie chiese, che ormai si combattono tra loro con gli argomenti delle reciproche
polemiche, mentre sempre il 1748 (pace di Aquisgrana) ha chiuso il periodo delle guerre
di successione spagnola, polacca e austriaca. Le grandi dinastie europee si sono assestate
sulla base dei rapporti di forza determinatisi sui campi di battaglia.
Gian Rinaldo Carli (1720-1795), economista e storico, nato suddito veneziano a Capodistria, passato
poi a Milano sotto gli Asburgo come presidente del supremo consiglio d’economia nel 1765. Nel 1751
aveva pubblicato la prima parte dell’opera Delle monete e delle zecche d’Italia che lo qualificò come
autorevole esperto nel campo dell’amministrazione statale. Si dimise dal suo incarico di governo nel 1780
con l’ascesa al trono di Giuseppe II, energico riformatore e insieme fortemente accentratore. Carli ripiegò
poi su posizioni conservatrici che lo isolarono dal movimento propenso al cambiamento. Resta comunque
da ricordare il suo articolo “La Patria degli Italiani”, apparso sulle pagine del “Caffè” nel 1765.
Stuart J. Woolf, “La storia politica e sociale”, in Storia d’Italia. Dal primo Settecento all’Unità.
L’Illuminismo e il Risorgimento, vol. V, Torino, Einaudi/IlSole24Ore, 2005, pagg. 5-6. 11
Da questo momento la popolazione europea tende ad aumentare anche per effetto di
qualche miglioramento dell’igiene pubblica e privata che si è venuto introducendo.
Tra il 1700 e il 1800 la popolazione europea passa da 125 a 195 milioni, una crescita di
circa il 56 per cento.
Solo il dopoguerra napoleonico con alcuni anni di cattivi raccolti e di carestia segnalerà
una breve battuta d’arresto della crescita demografica.
Negli ultimi decenni del Settecento anche il Friuli, sia veneziano che imperiale, è partecipe della ripresa dell’agricoltura italiana ed europea e soprattutto di un dibattito sul
progresso agronomico, che si rispecchia nella costituzione di accademie d’agricoltura sia
a Udine che a Gorizia. Tutto era cominciato con il dibattito sui grani in Francia, ripreso
dall’abate Ferdinando Galiani nei suoi Dialoghi.
Sono proprio i protagonisti, solo apparentemente molto salottieri, di queste discussioni,
che si richiamano costantemente a una realtà nella quale domanda e offerta di derrate
agricole sono entrambe in crescita, ponendo con urgenza ai governanti degli stati il problema di quali fossero le misure più adeguate da assumere per risolvere i problemi annonari, posto che non erano più sufficienti le politiche vincolistiche della città medioevale.
Nello stesso tempo il governo di Venezia tutto ripiegato nel conservatorismo accentua
le sue tendenze protezionistiche, come dimostrano le misure che si vengono prendendo
contro le comunità ebraiche nell’ottica di un mercato locale stagnante da non condividere
con molti.
Le comunità ebraiche reagiscono abbandonando sia il centro principale, Venezia, sia i
centri minori (San Vito al Tagliamento, San Daniele del Friuli, Spilimbergo) e affluendo
piuttosto nei territori asburgici dove in particolare la patente di tolleranza di Giuseppe
II (1781) assicurava migliori condizioni di vita e di attività. Ma in fondo non si trattava
solo di questioni attinenti un ordinamento più aperto: agiva in senso attrattivo lo slancio
economico governativo. L’imperatore Carlo VI d’Asburgo con la Patente del 18 marzo
1719 proclama la nascita del Porto Franco di Trieste e successivamente Maria Teresa
promuove la bonifica dell’Agro Monfalconese. Carlo VI, avendo in mente una politica di
ampio respiro, istituisce anche i porti franchi di Fiume e di Ostenda (Belgio) dichiarando,
con la Patente del 2 giugno 1717 libera la navigazione nell’Adriatico che la Repubblica di
Venezia aveva fino a quel momento ostacolato con la forza delle sue flotte.
In Friuli i vari Zanon, Asquini, Ottelio e altri si sono messi in movimento, costituendo una
Ferdinando Galiani (1728-1787) tra le altre opere scrisse Sulla perfetta conservazione del grano e Dialoghi sul commercio dei grani, testimonianze l’una e l’altra degli interessi economici e culturali dell’epoca.
Galiani si oppone allo “sconfinato liberismo economico” dei fisiocratici, respingendo le relative generalizzazioni, sostenendo che si doveva, in materia di libero commercio, decidere caso per caso, secondo le
varie contingenze di tempo e di luogo. Galiani può essere visto come esponente di un pensiero politico
che si basa su una analisi e su un approfondimento condotti con un criterio rigoroso che poco concede alle
mode intellettuali del momento.
Fulvio Babudieri, La nascita dell’emporio commerciale e marittimo di Trieste, Genova, Istituto Grafico
Silvio Basile, 1964.
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sollecitazione ideale per quanti in seguito saranno chiamati dai tempi loro a impegnarsi per
il progresso dell’agricoltura e della società. In generale gli accademici, Canciani, Zanon
e poi altri come Rota, si fanno eco in Friuli della corrente generale di idee favorevoli
all’estensione della proprietà privata libera da vincoli feudali, allo sfruttamento individuale
della terra per accrescere la ricchezza del Paese. Dall’altra parte ci sono anche quelli che,
come Carlo de Rubeis, difendono le prerogative dei vecchi feudatari, pensando che il
mondo non dovesse cambiare.
Se i vertici della Serenissima non vanno molto al di là delle proclamazioni, gli accademici
si muovono su un altro terreno.
Nel gennaio 1760 l’Accademia dei Risorti di Capodistria, di cui è “principe”, ovvero
presidente, il conte Gian Rinaldo Carli, pubblica il manifesto per annunciare un concorso
a premi per una dissertazione sui seguenti temi:
I) Qual differenza passar deve fra la coltura delle Viti poste a Pergolato, a Vigna e ad
Albero;
II) Quale spezie d’Uva sia atta più ad una che ad altra di queste colture;
III) Quali siano le più utili maniere d’impianto nelle suddette tre Classi.
Un tanto testimonia che nell’agricoltura istriana quello della viticoltura rappresenta uno
degli interessi prevalenti. Nello stesso periodo in Friuli gli accademici, pur non trascurando la produzione vinicola, collocano con gran rilievo nel loro dibattito la questione
dell’allevamento bovino, importante per fornire all’azienda agricola la forza motrice e il
concime, elemento essenziale per far aumentare la produttività reintegrando la fertilità
dei terreni.
Meno importante appare invece la produzione del latte. Intrecciandosi con le correnti
di origine giansenista, con il movimento che chiedeva una purificazione e una riforma
della Chiesa attraverso la sua liberazione dai beni terreni, le spinte per l’abolizione della
mano morta ecclesiastica e per un più aperto mercato delle terre abolendo i maggioraschi,
cominciavano a costituire una spinta ideologica decisiva a favore del cambiamento che
aspettava solo un momento di rottura politica per uscire allo scoperto e per affermare
l’idea che la terra doveva andare a coloro che erano più capaci di gestirla.
Il resto lo faceva l’influenza dell’Enciclopedia, mirante sempre a valorizzare il lavoro
umano come fonte di un progresso economico e sociale, considerato inarrestabile, nonché
quel movimento di idee che si richiamava al concetto di una nuova agricoltura. Mentre
l’agricoltura medioevale, per ricostituire la fertilità dei terreni , ricorreva al sistema di
lasciarli a riposo per alcuni anni (il maggese) dopo averli sfruttati coltivandoli a cereali,
la nuova agricoltura, come da tempo postulavano alcuni agronomi come il Tarello, faceva
seguire il prato artificiale ai cereali con una rotazione continua. Questa si univa all’integrazione dell’allevamento nell’azienda agricola che così poteva usufruire di una maggior
Il Principato di Gian Rinaldo Carli, in “Archeografo Triestino”, Serie IV, Volume VII (LVI della raccolta),
Trieste, 1944.
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quantità di concime.
La Repubblica di San Marco, imparruccata e incipriata, non può restare del tutto inerte
di fronte all’entusiasmo dei riformatori e qualche concessione deve farla: nel 1764 il
governo veneto delibera l’istituzione di una cattedra d’agronomia e di un orto agrario
presso l’università di Padova, mentre nel 1768 un decreto del senato invitava a istituire
accademie e società agrarie in ogni città. Tutto ciò a Brescia, Udine e Capodistria era già
avvenuto.
Uno storico di scuola dichiaratamente nazionalista come Pier Silverio Leicht pecca di
ottimismo sopravvalutando le riforme agrarie della Repubblica di Venezia che cercavano
di limitare i diritti di pascolo su terreni agricoli altrui. Che si trattasse di una politica
senza effetto lo dice il fatto che quei problemi erano ancora irrisolti a metà Ottocento,
come lamentava Pacifico Valussi, con le relazioni della Camera di Commercio di Udine
continuando pertanto a frenare una coltivazione più intensiva. Ma la forza ideologica del
cambiamento era tale che a essa nessun governo poteva sottrarsi, anche se poi non aveva
la capacità di far rispettare le scelte proclamate con la legislazione. Infatti una nuova
norma per abolire il pensionatico verrà emanata nel Lombardo-Veneto nel 1856, per
entrare in vigore quattro anni dopo, mentre lo Stato italiano tornerà su questo argomento
con la legge del 4 giugno 1888.
L’agricoltura friulana tra ‘700 e ‘800 aveva anche i suoi punti forti, come quello della
viticoltura: i suoi vini si esportavano bene su diverse piazze, sia in Austria che nel Veneto
come anche a Trieste, perché erano considerati di qualità. Ma anche in questo caso il
contratto agrario frenava: nell’affitto misto friulano parte del canone era conferito dal
contadino in vino, prendendo in considerazione soltanto la sua quantità. Quindi il fittavolo
non aveva alcuno stimolo a migliorarne la qualità. In quella situazione erano ben pochi i
possidenti che cercassero di sopperire a questa deficenza.
Tra il Settecento e l’Ottocento il mondo contadino veneto-friulano vive disgregato
soffrendo sotto una miriade di contratti di conduzione che riguardano la terra e il bestiame:
affitto semplice, affitto misto, contratti di finta vendita che nascondono l’usura con il
patto di recupero lasciando sulla terra formalmente il contadino stesso, contratti di affitto
di bestiame bovino, caprino, ovino.
Il contadino cede una parte del prodotto al feudatario, il quale gode di prerogative (molino
e osteria del conte) e di diritti signorili (i pedaggi sui guadi e sui ponti, la caccia), mentre
alla parrocchia bisogna versare quartese e decima. Con l’arrivo di Napoleone, l’abolizione
Pier Silverio Leicht, “Disegni di riforme agrarie al cadere della Repubblica Veneta”, estratto da Atti della
Società Italiana per il Progresso delle Scienze, Città di Castello, Soc. Anonima Tipografica Leonardo da
Vinci, 1922.
Pensionatico: era così detto, nel Veneto, il diritto di pascolo su terreni comunali o privati, cui spesso
corrispondeva il pagamento di un canone, o pensione, annuale (Lessico Universale Italiano Treccani); si
trattava di una di quelle istituzioni limitative del pieno diritto di proprietà che ostacolavano l’affermazione dell’impresa la quale gestisce la terra con criteri capitalistici.
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del feudo toglie di mezzo la giurisdizione signorile, perché da ora in avanti saranno
funzionari statali a svolgere il ruolo di giudice, ma il feudo diventa proprietà, pienamente
tutelata dal diritto borghese imposto dalla rivoluzione francese.
Nel corso di queste trasformazioni un minimo di aggregazione reale dei contadini per la
propria autotutela diventa in pratica molto difficile per la eterogeneità delle situazioni
della “azienda contadina”.
Tutti sono addosso al contadino: il conte titolare del feudo e poi attore delle rivendicazioni
feudali quando il feudo è abolito, i “pubblici periti” che si muovono tra cariche
amministrative e prestazioni professionali al servizio dei possidenti, gli agenti del conte
che sono presenti alle aste pubbliche delle terre espropriate per tasse non pagate e comprano
per mandato del conte, la nuova proprietà borghese che ha il capitale terra o il capitale
bestiame o il capitale liquido, esercitando l’usura o i vecchi contratti, aggiornandoli quel
tanto che basta per estorcere lavoro sottopagato.
Diversamente da questa realtà tradizionale molto ben leggibile in tutto l’Ottocento, la
latteria rappresenta una possibilità di aggregazione, unica perché realizza, nelle linee
generali, la pari condizione di conferenti di latte a un comune luogo di lavorazione, con
un insieme di rapporti paritari tra i conferenti stessi, che tuttavia devono fare i conti con
la “autorità tecnica” del casaro, quello che in larga parte gestisce la situazione.
I gruppi di possidenti e di intellettuali (maestri elementari, segretari comunali, parroci,
tecnici agrari) più illuminati e progressisti sollecitano e sostengono questa forma di
emancipazione contadina che si esprime solo più tardi nella autoamministrazione della
latteria stessa e che lentamente darà i suoi frutti di miglioramento economico e di
emancipazione sociale.
Una volta abolito il feudo restava da stabilire quali erano effettivamente i suoi confini. Per cui gli e x
feudatari in quel momento promuovono una serie di cause per far rientrare nella loro (abolita) giurisdizione
sia beni allodiali che beni alienati a vario titolo in epoche precedenti. L’operazione delle rivendicazioni
era agevolata dal fatto che i documenti si trovavano solo negli archivi feudali. Molte delle rivendicazioni
feudali non arrivarono al processo per l’ondata di proteste che esse suscitarono.
Una vistosa rivendicazione feudale le promuove il ramo Polcenigo di Polcenigo-Sacile nel 1859 davanti
all’I.R. Tribunale Provinciale Sezione Civile di Venezia: a 420 persone di Fanna, Cavasso e Colle viene
chiesto di lasciare i loro beni “per diritto feudale”. Si veda:
Romano Della Valentina, Storia e origini di Cavasso Nuovo, Maniago, Tip. Mazzoli, 1988.
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4. L’industria casearia in Europa e in Italia
Rileggere la storia dell’agricoltura, partendo dalla pace di Aquisgrana del 1748, che segna
la fine della guerra di successione austriaca, vuol dire anche misurarsi con la storia locale.
Questa nel tempo ha raccolto i segni delle trasformazioni che in due secoli circa hanno
messo capo alla nascita di società industriali laddove prima esisteva solo un mare di
contadini dominati dai loro signori feudali. Con ciò sono scomparsi rapporti di proprietà,
contratti di lavoro, mezzi tecnici, procedure agronomiche con i relativi linguaggi e le
relative consuetudini che troviamo documentati nei musei della cultura contadina.
In particolare la storia dei paesi friulani e veneti – una letteratura molto ampia – tradotta
in libri spesso arricchiti da accurati apparati iconografici, si è dimostrata in complesso
abbastanza duttile da restituirci fedelmente l’antico vivere di paese: oggi piuttosto si tratta
di tirare le fila dei fatti avvenuti, concentrandosi sulla fase storica (fuga dai campi e dalla
montagna, industrializzazione diffusa, espansione del settore terziario, espansione delle
città anche medie e minori) che ha immediatamente preceduto l’assestamento attuale. La
fine delle latterie va vista in quest’ottica.
È necessario allora, in particolare per Fanna, Cavasso Nuovo, Maniago e Arba, ma anche
per la Pedemontana Occidentale nel suo insieme, misurarsi con una serie di autori e di
testi che possiamo rapidamente, però non in modo esaustivo, indicare in alcune opere
collettanee commissionate dalle amministrazioni locali, tenendo conto che alcuni autori,
Diogene Penzi tra questi, hanno più di altri soffermato la loro attenzione sui sentimenti
soggettivi degli anni del mutamento, ma anche sulla paziente ricostruzione delle tecniche
del mondo contadino con il loro linguaggio. Pregevole lavoro quello del recupero
filologico, come pregevoli i lavori che hanno salvato le immagini del nostro passato,
come fa Ugo Pellis con le sue opere di documentazione fotografica del mondo contadino
italiano al suo tramonto. Un mondo da osservare e studiare attentamente, ma non da
rimpiangere.
La rievocazione della storia di un paese porta con sé l’onda dei ricordi personali e la
nostalgia di ciò che abbiamo perduto, rivisitato con commossa partecipazione, ma spoglio
dei limiti negativi del momento realmente vissuto.
I tedeschi possono così aver nostalgia della Prussia Reale dei vari Federico e Guglielmo
d’Hohenzollern perché non si sentono più addosso il peso degli Junker e del duro
addestramento militare (der Drill) nelle brughiere dell’Est che più tardi al renano Adenauer
sembravano steppe per niente invitanti. Neppure la Repubblica Democratica Tedesca si
era posta l’obiettivo di cancellare quella nostalgia. Piuttosto la alimentava.
Sono giochi dei sentimenti del tutto scusabili e del tutto innocui. Meno innocuo lo storico
che si dedica alla storia locale affermando che non vuol parlare “di Nobili e Vassalli,
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di guerre e di dominazioni”, ma soltanto degli uomini e delle donne che lavorano per
centinaia e centinaia d’anni “nel lungo cammino dell’umano progresso”.
Siamo davanti a una vistosa apertura a favore di una storiografia populista che immagina un
buon popolo da sempre contrapposto alla cattiva politica delle classi dominanti, concepite
come blocco monolitico nei secoli, mentre invece nella pratica non è difficile vedere che
i ceti dominanti esprimono tutta una serie di iniziative economiche e professionali verso
i contadini per alleggerire i problemi perpetuando su di loro una posizione di controllo,
dalle società mutue alle scuole serali di disegno.
Emerge inoltre l’ambiguità della letteratura fondata sulla cosiddetta “cultura materiale”
quando ci propone una determinata rappresentazione degli strumenti del mondo contadino
e agricolo: la pigne a manuèle (zangola a manovella) o la pigne a mulignel (zangola a
mulinello).
In realtà giornali, riviste e manuali già negli anni ‘20 e ‘30 del secolo scorso ampiamente
riportano la pubblicità della scrematrice Alfa Laval e di caldaie moderne che compongono
l’attrezzatura normale delle latterie. Sono questi gli strumenti che fanno bella mostra di sé
in ogni esposizione di macchine agricole di quel tempo.
Va evitato uno schema troppo rigido per rileggere la vicenda umana dei nostri paesi.
Soprattutto se si vuole seguire una linea interpretativa storico-amministrativa intesa a
cogliere anche i fatti locali, il passato non può essere visto con l’occhio manicheo che
legge le vicende trascorse come gioco a ruoli fissi, un blocco dei dominatori da una parte e
un blocco dei dominati dall’altra. Con ciò non si intende né criticare né sminuire il lavoro
di coloro che assumono come campo della loro ricerca un territorio limitato o soltanto
il loro paese, cui affettivamente si sentono naturalmente legati. A questi ricercatori non
può essere negato né rigore scientifico né validità di interpretazioni storiche quando
compiono il loro lavoro di scavo paziente e accurato perché questo comunque rappresenta
un contributo importante alla cultura storica.
Non è detto che queste impostazioni storiografiche vogliano deliberatamente travisare
le situazioni facendole comparire come argomento di sostegno artificioso di un modo
di pensare conservatore, sostanzialmente ostile ai cambiamenti e all’impegno per
il cambiamento stesso. Ciò non toglie che la storia locale finisca spesso per risultare
un’operazione di imbalsamazione del passato.
Invece il morto va comunque sepolto. In tal caso il morto – per quanto brutale sia
l’espressione – è il mondo rurale che pur diede vita alla cooperazione e alla mutualità
agricola tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento. Oggi neppure una località
isolata nella campagna può apparire come rurale.
Le origini della cooperazione agricola le troviamo nel contesto di un movimento
cooperativistico europeo (quanto meno): in Friuli la cooperazione agricola porta il
Diogene Penzi (a cura di), Vandi e regola, una cultura contadina dimenticata, Udine, Istituto per
l’enciclopedia del Friuli-Venezia Giulia, 1983.
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segno di una costante iniziativa dei ceti possidenti, che intendono così esprimere la loro
egemonia e nel contempo esorcizzare il moto sociale avanzante. Solo con un processo
lento e faticoso prenderanno piede i movimenti dei braccianti e dei mezzadri per ottenere
migliori condizioni di lavoro e per aprirsi la strada alla emancipazione sociale e politica.
Quindi vale la pena occuparsi del tema della cooperazione agricola facendolo oggetto
di una ricerca perché esso rientra a pieno titolo nella storia dell’agricoltura, che è parte
non secondaria della storia generale almeno per tutto l’Ottocento e per parte rilevante del
Novecento.
Accantonando quindi la distinzione tra storia locale e storia generale, per imboccare
un’ottica diversa da quella altre volte utilizzata, va chiarito che storiografia significa
sforzo di documentazione su quanto già accaduto, senza trascurare i materiali più modesti
che non trovano molto posto negli archivi più frequentati o nelle biblioteche di maggior
prestigio, ma spesso giacciono nelle carte di famiglia che nessuno va a guardare salvo
speciali circostanze, come traslochi e funerali.
Si tratta anche di fondi rimasti nei luoghi più diversi dopo che le relative società o
associazioni hanno cessato le loro attività per le più diverse cause.
Non va trascurato neanche il ricorso alla fonte orale, pur mettendo in conto reticenze e
offuscamento della memoria, quando l’epoca richiamata è troppo lontana dal momento
dell’intervista. Da questo lavoro preparatorio dovrebbe discendere un racconto basato
sulla interpretazione dei processi storici, uno dei quali – guardando ai fatti di casa nostra
– è stato quello della aggregazione moderna di contadini e di produttori agricoli in genere
per affrontare i problemi della rivoluzione agronomica che elimina il maggese, della
meccanizzazione del lavoro agricolo, della introduzione dei procedimenti scientifici
(selezione del bestiame, fecondazione artificiale), del nuovo rapporto con l’industria
(concimi chimici, etc.), della trasformazione dei prodotti agricoli (cantine sociali, etc).
Scrivendo la storia delle latterie e dei contadini che ne facevano parte bisogna misurarsi
anche con la letteratura che gli intellettuali hanno dedicato ai contadini: questi, se
vivevano nel 1880 e negli anni successivi, potevano essere sì descritti come destinati alla
“subalternità strutturale”, ma negli anni ‘50 del secolo scorso, quando comunque erano
organizzati nella Federazione dei Coltivatori Diretti (collaterale alla DC) o nell’Alleanza
Nazionale dei Contadini (collaterale al PCI e in minor misura al PSI), erano ben decisi
ad affermare una loro autonomia culturale e politica anche nel momento del voto per il
comune, il Consiglio Regionale e il Parlamento.
Per quanto riguarda la Federazione dei Coltivatori Diretti, era veramente notevole
l’impegno nell’attività di formazione culturale e professionale dei giovani provenienti
dalle famiglie contadine (si ricordino in particolare i gruppi 3P: produrre, provare,
progredire che promuovevano una rilevante attività di sperimentazione agraria, ma anche
la promozione di quadri politico-amministrativi provenienti direttamente dalle famiglie
Gian Paolo Gri, Intorno al Friuli contadino, Tarcento, Circolo Culturale Menocchio, 2002.
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contadine). Del vecchio mondo contadino non si può dire in maniera semplicistica che
si è “sfantato“ tra le nostre mani: quel mondo ha cercato di progredire, uscendo sia pure
faticosamente dall’isolamento della tradizionale ruralità durata da sempre.
Nella storia dell’agricoltura ci si imbatte in processi ormai esauriti e chiusi oppure in
processi ancora operanti. Da questo punto di vista il fenomeno delle latterie sociali di
paese o di frazione, di comune o di borgata rappresenta in Friuli un fenomeno concluso
e archiviato.
Quasi mezzo secolo fa Cesare Grinovero scriveva che la costituzione delle latterie era
“prettamente paesana e patriarcale”. La latteria era “paesana” perché non era possibile il
trasporto del latte due volte al giorno oltre una certa distanza: questo è stato il loro limite
ed è bene prenderne atto evitando di mitizzarle. Piuttosto il fenomeno va studiato per
vedere realisticamente quali interessi e quali aspettative l’hanno fatto nascere e poi quali
sono state le cause e le modalità della sua estinzione. Senza trascurare il fatto spaziale,
ovvero quale area geografica è risultata coinvolta dal fenomeno latteria, mentre altre aree
geografiche hanno scelto – come la Bassa Lombardia – il grande caseificio industriale già
nell’Ottocento.
Nella seconda metà dell’Ottocento l’industria del latte assume un peso di rilievo in Europa,
sia pur con differenze da Paese a Paese. E per arrivare fin qui il percorso non era stato né
facile, né breve. Là dove c’era stato allevamento di bovini, di ovini e di caprini si è avuta
sempre produzione di formaggio e di burro.
Basta andare a leggere i vecchi regolamenti comunali e troviamo sempre il dazio sui
latticini. Come nei diari domestici troviamo sempre il burro sulla tavola di chi sta meglio
in occasione di pranzi con visitatori importanti. Ma nei secoli più lontani l’allevamento
tende a essere separato dall’azienda agricola.
Pastorizia e agricoltura appaiono essere attività distinte. Pastori e contadini avevano
sovente rapporti conflittuali, come ci raccontano antiche cronache. Che anche nelle nostre
terre del Friuli Occidentale il lavoro dei campi fosse nettamente separato dall’allevamento
del bestiame bovino ce lo dimostra efficacemente un memoriale presentato a nome della
“Comunità di Pordenone” (a quel tempo enclave asburgica) dal cavaliere Lodovico
Rorario all’imperatore Massimiliano I nel 1493, per chiedergli gli “opportuni rimedi” per
una situazione di estrema crisi incombente.
Scorrendo le norme dello Statuto comunale in vigore nella Pordenone del Seicento, soggetta a Venezia,
si può leggere che i dazi sui quali sovrintende il rappresentante in loco della Serenissima, il provveditorecapitano, colpiscono il pane, le beccherie per le bestie macellate, oli e grassi in generale, salumi, pesce,
vino e formaggi. Di burro non si parla in modo esplicito, forse intendendolo compreso nei grassi: facile
intendere che carne e anche formaggio erano generi di ampio consumo, il burro certamente meno (si veda
Giovanna Frattolin, Le Istituzione Pubbliche a Pordenone tra Medioevo ed Età Moderna. Gli Statuti Civili
del 1438 nell’edizione del 1755, Pordenone, Biblioteca Civica/Comune di Pordenone, 2003, pag. 99).
Tutto va inteso avendo presente la dieta del tempo quando le autorità locali si preoccupavano soprattutto
di avere un efficiente ammasso di frumento perché la parte più rilevante della popolazione viveva di pane
e poco più. Del resto erano le granaglie e il vino che, in quanto produzioni locali, garantivano le entrate
fiscali di Venezia.
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Questo presupposto a sfondo economico, dopo aver chiesto la concessione di poter
importare per mare frumenti o altri grani dalla Puglia o da altri luoghi, nella misura di
cinquemila stara ogni anno, senza l’obbligo di farli passare per Venezia e senza dazi di
sorta, pone la questione dei miseri coloni pordenonesi i quali, spinti dalla necessità di
arare le loro terre, devono comperare buoi da certi usurai sudditi veneziani a un prezzo
altissimo: quindi i sudditi del castello e del territorio di Pordenone chiedono all’imperatore
la facoltà che ogni anno possano far venire, senza pagamento di dazio, dai luoghi degli
Asburgo, dei buoi fino al numero di 1.000.
Per cautela i Pordenonesi si saranno certamente tenuti alti nelle loro richieste di frumenti
e di buoi, e quindi le loro cifre possono apparire iperboliche, ma è certo che avevano
bisogno di buoi per arature e trasporti perché nelle loro aziende non ne allevavano.
Quando l’allevamento si integra nell’azienda agricola, un gran passo vien fatto: il bestiame
fornisce concime e concorre ad aumentare la produttività della coltivazione del suolo.
Inghilterra, Belgio, Svizzera, Olanda e Danimarca sono in testa nella ricerca scientifica
e negli allevamenti, molto più indietro rimane l’Italia nella quale però la Lombardia – la
Padana irrigua – tocca livelli europei. È questo l’ambiente nel quale nascono scienziati
e tecnici come Gaetano Cantoni e Carlo Besana. Secondo dati pubblicati nel 1878,
piuttosto in ritardo appare la provincia del Friuli con un basso carico bestiame/ettaro che
così si colloca, con Piacenza, Venezia, Macerata, Verona, Pisa, Parma, Cuneo, Alessandria,
Ascoli, Napoli, Brescia, Udine, Perugia, Novara, Pesaro, Arezzo e Massa Carrara, tra le
province che hanno da 25 a 20 capi di bestiame grosso per chilometro quadrato.
Milano tocca l’indice 55,3, Padova 41,7, Ravenna, Cremona, Vicenza e Treviso oscillano
tra 40 e 35. Avere più o meno bestiame grosso non è indifferente per il progresso agricolo:
più bestiame grosso vuol dire più letame e migliore integrazione della fertilità del suolo
agrario. Il Friuli conserva la caratteristica dell’agricoltura estensiva.
Di riflesso anche l’industria casearia si presenta con livelli di sviluppo molto diversificati:
in testa la Svizzera (il Cantone di Vaud contava 450 latterie nel 1870) e alcuni dipartimenti
francesi (Jura, Doubs, Savoia, Pirenei).
Andrea Benedetti, Storia di Pordenone, Pordenone, Ed. Il Noncello, 1964, pag. 123.
Gaetano Cantoni (1815-1887), agronomo, nel decennio di preparazione degli anni Cinquanta, con la
sua attività scientifica e di divulgazione si diresse verso quei quadri dell’agricoltura lombarda che erano
interessati fondamentalmente al miglioramento delle colture e all’aumento della produzione e della
produttività, spingendo verso un accrescimento del processo di mercantilizzazione dell’agricoltura e
quindi verso la formazione del mercato nazionale. Carlo Besana (1849-1929), chimico, si occupò dei problemi riguardanti il caseificio. Venne chiamato
nel 1880 a dirigere la Stazione sperimentale di Caseificio di Lodi, fondata nel 1871 con lo scopo di
studiare e divulgare i problemi riguardanti il latte e la sua lavorazione. Nel 1881 il Besana istituì i corsi
teorico-pratici di caseificio per casari; più in generale il Besana si adoperò per far entrare nel caseificio i
nuovi dettati della scienza importando in Italia metodi e strumenti già adottati dai paesi all’avanguardia
in questo campo: Svizzera, Francia, Olanda, Danimarca. Nel 1881 Besana fece conoscere la scrematrice
centrifuga De Laval, la zangola a botte Lefeldt, il fornello con serranda in sostituzione dei rudimentali
fornelli allora usati.
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Il Ministero competente promuove nel 1874 il Congresso e l’Esposizione di Caseificio
in Milano. Segue l’Esposizione Nazionale di Caseificio del 1877 di Portici dove venne
posto il problema di una maggiore diffusione dell’industria del latte, come elemento
qualificante di un più stretto legame fra prato, bestiame e industria del latte, puntando
anche all’Italia Meridionale.
In quel momento solo la valle padana irrigua occupava un posto importante nella
lavorazione del latte, in particolare con la produzione di formaggio grana e di gorgonzola,
le sole qualità conosciute sui mercati; già allora si riconosceva che il commercio vuole dei
tipi conosciuti per nome, peso, forma e qualità, perché varietà e incostanza di carattere
costituivano, come sempre, circostanze negative per qualunque merce.
Con il 1872 il Ministero dell’Agricoltura emette alcune circolari per promuovere la
costituzione di latterie sociali. Particolarmente significativa la circolare ministeriale del 2
luglio 1876 perché da essa si rileva la storia delle premiazioni accordate alle latterie sociali
già esistenti. Si tratta in genere di latterie che si trovano nelle vallate alpine lombarde e
piemontesi. Naturalmente ci sono anche le zone nelle quali le attività di trasformazione
del latte non prendono piede per un lungo periodo.
È il caso del Carso dove in un gruppo di comuni (Trieste, San Dorligo della Valle, Muggia,
Sgonico, Monrupino, Duino-Aurisina) non esisteva fino a qualche decennio fa una attività
casearia: la produzione di burro avveniva nelle famiglie.
Il latte, oltre allo stesso consumo familiare del produttore, veniva destinato allo stato
fresco per l’alimentazione umana e perciò immesso al consumo nei piccoli centri rurali
e soprattutto nel mercato di Trieste dove lo portavano le donne, le cosiddette villiche,
le quali riescono a sopravvivere nella loro funzione di rete distributrice a domicilio
nonostante una certa ostilità delle autorità sanitarie e amministrative che temevano ci
fosse una diffusa inosservanza delle norme igieniche. Del resto questa polemica triestina
ha luogo nel periodo in cui nelle città sorgono le Centrali del Latte.
Man mano che cresce la quota di popolazione non agricola, assume una particolare
importanza il mercato del latte in quanto componente essenziale di una corretta
alimentazione: bisogna a questo punto organizzare la raccolta del latte e la sua distribuzione
dopo adeguato trattamento (pastorizzazione, etc.), realizzando Centrali del Latte nei
centri urbani, mettendo in atto una legislazione ad hoc per conseguire una corretta tutela
igienica.
In Italia si istituisce un “codice del latte” con il Regio Decreto del 9 maggio 1929 n. 994
(pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 27 luglio 1929 n. 146, numero di pubblicazione
1647) che approva il regolamento sulla vigilanza igienica del latte destinato al consumo
diretto.
Portici, città della provincia di Napoli, sede del Regio Istituto Superiore Agrario, fornito di laboratorio,
museo e biblioteca specializzata. Un altro Regio Istituto Superiore Agrario era presente a Milano.
Gaetano Cantoni, L’industria del latte, conferenze tenute a Portici in occasione della Esposizione
Nazionale di Caseificio, Milano, Fratelli Dumolard, 1878.
21
5. L’industria casearia in Friuli
Si deve supporre che nell’area pedemontana e montana di tutto il Friuli – come altrove
– latticini si siano sempre prodotti, e in qualche caso anche conseguendo dei positivi
risultati commerciali: già durante la Repubblica di San Marco il formaggio pecorino
costituiva uno dei prodotti esportabili dalla Val Tramontina perché era il cibo a lunga
conservazione più richiesto dalle navi veneziane dirette in Oriente.
Mentre la malga poteva garantire sempre una certa quantità di latte concentrato per
la lavorazione, meno agevolate risultavano le singole aziende agricole che nei loro
allevamenti dovevano anche privilegiare la produzione dei bovini da carne per il mercato e
inoltre dovevano tirare su buoi, l’indispensabile forza motrice per le arature e i trasporti.
un passo più avanti rispetto alla produzione domestica venne fatta con le latterie della
prestanza reciproca del latte, segnalate dal ‘400 e diffuse soprattutto nella zona di Osoppo:
un gruppo di famiglie concordava di affidare la propria produzione a una singola famiglia
a turno che poteva così, con una certa scadenza, lavorare una maggiore quantità di latte.
Si trattava sempre di una produzione piuttosto scadente, ma era quella che entrava nella
normale alimentazione.
Nei contratti agrari stipulati nel Seicento e nel Settecento il formaggio lo troviamo sovente
citato tra le onoranze che il contadino doveva conferire annualmente al concedente, ma
là dove il contratto è più puntuale e dettagliato ci accorgiamo che si tratta di formaggio
pecorino.
Del resto, sempre prendendo in esame altri contratti notarili della zona Fanna-CavassoMontereale dalla fine del 1700 all’inizio del 1800, emerge in occasione di inventari
l’esistenza in singole famiglie di “mastelli e tinozze per il latte” nonché di altri strumenti
caseari, il che fa pensare a modeste produzioni assai artigianali di latticini, quindi di scarso
valore commerciale. Anche nelle descrizioni del bestiame bovino si trova frequentemente
la dizione “mucca da latte“ (notai Venier e Puppini).
Le “fondazioni” di latterie si svolgono spesso come cerimonie ufficiali, circondate da una
certa solennità, perché sono novità che si inscrivono nell’ordine costituito.
Esemplare quanto si legge per una delle primissime latterie: “Ad Illegio ad esempio,
dove sorse la terza latteria il 20 dicembre 1882, vennero issati archi trionfali, gonfaloni
ecc. e tutto il popolo si riversò in Chiesa per solennizzare l’avvenimento con «un solenne
1 Moreno Baccichet, Lis Vilis di Tramonç. Insediamenti storici e paesaggio in Val Meduna, Parte I,
Talmassons (UD), Litografia Ponte, 2000, pag. 13.
2 A.S. TS, Fondo Polcenigo-Fanna:
“Contratto di locazione stipulato il 22 luglio 1775 tra il conte Giobatta di Polcenigo e Agustin Bernardon”,
fascicolo 20. Il fondo consta soltanto di due faldoni ripartiti in 29 fascicoli.
22
Te Deum in ringraziamento a Lui per averci ispirata e mantenuta l’idea della latteria»;
alla cerimonia intervennero il Presidente del Tribunale, il Procuratore del Re, il R.
Commissario, il Sindaco e la Giunta, Giudice, Pretore, i quali ringraziarono visibilmente
commossi a tanta cordiale accoglienza e s’avanzarono in mezzo agli uomini col cappello
in mano, salutati dal ripetuto rimbombo dei mortaretti...”.
Nate dalle sollecitazioni dei ceti che detenevano la proprietà terriera, la professionalità
e la cultura, le latterie friulane sono diventate in seguito il luogo precipuo
dell’autoamministrazione e di una certa autodisciplina dei contadini e dei produttori di
latte in genere.
Sono riuscite a sopravvivere a due guerre mondiali, ma non alla massiccia e capillare
modernizzazione provocata dall’industrializzazione diffusa degli anni Sessanta e Settanta
del Novecento e della ricostruzione post-terremoto che accelera le tendenze economiche
in atto.
Le latterie erano intimamente legate alla vita dei paesi e con il loro funzionamento
scandivano i tempi del vivere di paese. Infatti la latteria rappresenta un luogo di incontro,
in tempi in cui pochi erano i telefoni e poche erano le famiglie che possedevano una radio
(non parliamo di televisioni e telefonini che non c’erano ancora). Bisognava portare negli
appositi recipienti il latte delle due mungiture mattina e sera, con un impegno significativo
di tempo per la famiglia contadina.
I compaesani arrivavano al caseificio con i lucidi bidoni di alluminio, chi a piedi, chi in
bicicletta, chi con un carretto e potevano chiacchierare tra loro e scambiare le opinioni e
le informazioni, sia pure con una certa fretta poiché il lavoro incombeva. Il traffico motorizzato era poco, quello a trazione animale era lento e dunque non presentava più di tanto
pericoli: quel viavai nelle ore di raccolta del latte costituiva quindi un vivace e spensierato
diversivo.
Il casaro poi faceva sovente la parte della persona studiata perché comunque una scuola
l’aveva frequentata oltre a quella elementare, sapeva tenere i conti e aveva più relazioni
esterne al paese di altri.
Quasi tutte le latterie avevano una sala per le assemblee dei soci, sala che poteva essere
messa a disposizione anche di organizzazioni sindacali o politiche, pur con preferenze ed
esclusioni dettate a volte dagli orientamenti politici.
Soprattutto in Carnia e nelle aree pedemontane le latterie erano in larga misura condizionate
dal piccolo allevamento familiare e dalla agricoltura di sussistenza, anche se le più
attrezzate riuscivano a essere presenti sui mercati locali.
La loro fine segna la fine effettiva della ruralità dei nostri paesi che vivono oggi in un
mondo tutto urbanizzato.
Elio Ligugnana, Manuale per le piccole latterie cooperative, Mortegliano (UD), Ente Nazionale Fascista
della Cooperazione -Segreteria Provinciale di Udine, Prem. Tip. Editrice Commerciale, 1936, pag. 17.
Ruralità: dal latino tardo rurāle (m), derivante di rūs, rūris: campagna.
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In origine la sollecitazione a costituire società di mutuo soccorso, casse rurali, cooperative
e latterie proviene da più parti, con caratteristiche diverse in corrispondenza al mutare
dei tempi.
La prima a muoversi è l’Associazione Agraria Friulana, di indirizzo liberale, che si pone
l’obiettivo principale della modernizzazione e dello sviluppo dell’agricoltura.
Un intervento innovativo di ampio respiro era più che necessario. A metà Ottocento
i contratti agrari erano funzionali agli interessi immediati della proprietà terriera di
risucchiare quanta più rendita era possibile da contadini sottoretribuiti, mentre era ancora
avvertito il ruolo negativo dei residui diritti feudali in carenza di un chiarimento legislativo
definitivo, per cui passeranno ancora alcuni decenni prima che si affermi su molti fondi la
certezza della piena proprietà.
Anche la dotazione di attrezzi moderni lasciava molto a desiderare e si poteva trovare il
tecnico il quale affermava a qualche anno di distanza dell’annessione del Veneto al regno
d’Italia che l’aratro comunemente usato in Friuli era ancora quello degli antichi romani.
L’affermazione, piuttosto paradossale, esprimeva efficacemente però la necessità di
adottare gli aratri perfezionati (marca Allen o Grignon) ormai in uso nelle agricolture
più avanzate di Inghilterra, Belgio, Germania e di alcune province italiane. Questi aratri
erano utili a ottenere arature più profonde con minor sforzo degli animali trainanti.
Dopo i liberali, scenderanno in campo i cattolici a partire dall’Opera dei Congressi, quando
avvertiranno la necessità di recuperare il terreno che avevano perduto con la formazione
dello stato unitario. In seguito l’enciclica Rerum Novarum fornirà anche l’indirizzo
ufficiale, mentre la Settimana Sociale dei Cattolici con Giuseppe Toniolo rappresenterà
anche gli aspetti più operativi. I socialisti, presenti nei centri operai, restano più indietro
perché cominciano a farsi sentire nelle campagne solo alla vigilia della prima guerra
mondiale, interessandosi dei mezzadri quando maturano nella legislazione generale alcuni
problemi del relativo contratto.
Uno dei primi a muoversi su questo terreno è stato l’avvocato Giuseppe Ellero di
Pordenone, di indirizzo socialista-riformista, come risulta dalla stampa del tempo.
Saranno proprio i Polcenigo-Fanna a distinguersi per il gran numero di rivendicazioni feudali a carico di
possessori di fondi agricoli. Si veda: Romano Della Valentina, testo citato.
I lavori parlamentari del Regno d’Italia ci danno ampia testimonianza della complessa materia.
Si veda la Discussione del disegno di legge per l’abolizione dei vincoli feudali in Lombardia: Camera dei
Deputati, Sessione del 1861, tornata del 7 maggio.
Emilio Lämmle, Alcune considerazioni sull’aratro del Friuli in relazione allo sviluppo dell’agricoltura
friulana, in “Annali scientifici del Regio Istituto Tecnico di Udine”, Anno VII, 1873, Udine, Tip. Jacob
e Colmegna, 1874.
Giuseppe Ellero (1879-1950), avvocato pordenonese, deputato socialista dal 1921 al 1923, fu tra i
promotori del patto di pacificazione tra fascisti e socialisti nel 1922, poi fallito.
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6. Caratteristiche generali delle latterie
Nell’ambito del generale progresso agronomico le latterie costituiscono un caposaldo
di primaria importanza, rappresentando un particolare punto di riferimento per la
selezione e il miglioramento delle razze bovine, per la fecondazione artificiale, per un
razionale allevamento stabulare. E anche per l’introduzione di attrezzature moderne nella
lavorazione del latte, accantonando i vecchi strumenti, zangole e mastelli di legno, prima
in uso nella produzione domestica di formaggio e burro.
Con la nascita delle latterie la produzione del latte, come quantità e qualità, diventa
problema cruciale perché porta con sé la necessità di migliorare il patrimonio zootecnico
in un momento in cui la modernizzazione dell’allevamento diventa condizione essenziale
e indispensabile per far fronte alla concorrenza transoceanica resa possibile dalle grandi
navi a vapore e dal congelamento della carne macellata.
Si era ormai affermato un mercato globale e bisognava comportarsi di conseguenza.
La latteria, come associazione di produttori, assume il ruolo di perno dell’azione per
il miglioramento dell’allevamento (tenuta delle stalle e nutrizione razionale incluse) e
dalla latteria si parte per la costituzione delle società degli allevatori che si fanno carico
di tutta una serie di iniziative, a partire da quella di utilizzare il toro miglioratore nelle
stazioni di monta. Dal momento che non era possibile sostituire da un giorno all’altro
tutte le bovine esistenti, la linea praticabile era quella appunto dell’impiego di riproduttori
selezionati, importando torelli di qualità pregiata da paesi che erano allora in testa allo
sviluppo agronomico.
A questi tori spettava il compito di dare determinate caratteristiche ai nuovi nati da cui
dovevano poi venire le bovine fattrici di vitelli e produttrici di latte.
Nell’architettura dei paesi, l’edificio della latteria rappresenta la modernità: all’inizio si
ricorre a locali di fortuna, ma appena possono i soci della latteria decidono di far costruire
un edificio nuovo, dotato di impianti moderni, dove regnava pulizia e ordine.
Con la latteria si afferma una particolare figura di tecnico: il casaro che assume un ruolo
direttivo nella lavorazione del latte. Mentre i regolamenti stabilivano che una commissione
di soci si assumeva il compito di vigilare sulla buona tenuta delle stalle: i produttori di
latte avevano vivissima sensibilità per la lotta alla brucellosi, alla tubercolosi bovina,
all’afta epizootica.
Chi portava al caseificio latte annacquato o guasto veniva severamente perseguito
deliberando multe e nei casi più gravi l’espulsione dalla società. Tale severità si spiega
con la consapevolezza che questi comportamenti danneggiavano tutti. L’abuso in latteria,
una volta scoperto, veniva colpito con molto più impegno dell’abuso edilizio da parte dei
comuni, quando si sono adottati i piani regolatori generali in epoca più vicina a noi.
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In effetti la violazione dei piani regolatori e dei regolamenti edilizi non è stata mai percepita
sul serio come un danno alla collettività e perciò meritevole di adeguata sanzione.
Di più: abuso edilizio, evasione fiscale e mancato versamento di contributi previdenziali a
favore di lavoratori e dipendenti non sono mai stati considerati comportamenti meritevoli
di sanzione morale.
La contabilità delle latterie è organizzata in modo tale che sia possibile un controllo molto
meticoloso sulle diverse fasi di produzione di raccolta del latte, di lavorazione dello stesso
e di distribuzione dei prodotti e dei sottoprodotti.
Oltre ai documenti consueti (libretti delle consegne di latte per il portatore, libri mastri,
etc.), si relaziona costantemente sui costi della lavorazione informandone i soci.
Alcuni atti della vita interna della latteria devono essere compiuti alla presenza o di un
consigliere o di un socio stabiliti con un sistema di turnazione.
Così tutti, poco o molto, hanno parte nella gestione. Se chi è stato prescelto per un turno
non si presenta per svolgere il suo compito di controllore, viene multato. Come è reso
evidente da questi meccanismi, la latteria privilegia in qualche modo la democrazia
diretta. Il che non toglie che talvolta i “notabili” locali riescano a prevalere, pur spesso
in forte concorrenza tra loro, manipolando le opinioni dei soci, valendosi di posizioni di
prestigio, di rapporti parentali e di influenze politiche.
I documenti della contabilità rinvenibili negli archivi delle latterie tra le due guerre ci
prospettano anche le spese che il regime fascista imponeva alle latterie e alle altre società
cooperative, come l’abbonamento a “Il Popolo del Friuli”, organo ufficiale del PNF per la
provincia di Udine. Anche se vengono deliberati vari contributi a favore di organizzazioni
del regime, i contributi più consistenti sono riservati a istituti locali, scolastici o assistenziali:
pur nel quadro del regime l’utilità sociale fa aggio sulla pressione politica.
Ma il problema più scottante per ogni consiglio d’amministrazione è quello dei rapporti
con il casaro che riesce spesso a costruirsi una propria area di influenza tra i soci. Ma il
casaro è una figura quasi mitica per le sue competenze professionali in un mondo agricolo
ancora caratterizzato da tecniche rudimentali. Prova ne sia che i casari si sono guadagnati
anche un patrono, Lucio I papa, morto nel 254 d.C. e proclamato poi Santo.
La scelta era dovuta al fatto che Lucio I papa da giovane aveva vissuto tra i pastori,
aiutandoli a fare il formaggio. Per logica conseguenza i casari delle province di Pordenone,
Udine, Treviso e Venezia, il 4 marzo 1968 hanno inaugurato un altare al loro patrono
nella chiesa di Madonna di Rosa (San Vito al Tagliamento) e ivi si ritrovano ogni anno.
Ma i rapporti tra soci e casaro non sempre erano ispirati alla serenità ecclesiale.
Ecco cosa succede nell’Altavilla, la latteria che raccoglie il latte di una parte di Cavasso
Nuovo: “[Il presidente] fa conoscere che il Casaro continua essere non tanto degnevole
Consiglio d’amministrazione della Latteria, Altavilla (Cavasso Nuovo), seduta del 5 marzo 1933.
“Il consiglio delibera di portare a conoscenza dell’assemblea che sia un socio di turno giornalmente a
testimoniare la produzione giornaliera e per i mancanti da fissare una multa”.
Citato In: Luciano Bucovaz, Ai 4 di Març, Sant Lucio I Pape. Fieste dai casars, Strolic Furlan, 2013.
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verso i soci e di scrivergli una IIa lettera in avvertimento sia riguardo ai soci come le
provinature del latte, pulizia ecc., di adoperarsi sempre più interessato e benigno verso
tutti i soci altrimenti vi saranno provvedimenti a carico suo. Approvato”.
In un momento successivo, quando opera una latteria che riunifica tutto il paese, l’11
aprile 1937, si richiama all’ordine il casaro e il sottocasaro per “fatto indisciplinare”,
deliberando di applicare l’articolo 6 del patto di lavoro, notificando i provvedimenti alle
competenti organizzazioni sindacali.
Successivamente i due dipendenti chiedono al Consiglio che non sia fatta la notifica
alle organizzazioni sindacali perché questo nuocerebbe alla loro carriera lavorativa
“promettendo che in avvenire non si verificheranno più questi fatti”.
Scatta allora negli amministratori il meccanismo usuale del ragionamento che «non si
può rovinare una famiglia»: il provvedimento viene sospeso, minacciando tuoni e fulmini
se si ripeteranno altre mancanze. Le parcelle per spese legali non devono essere state né
poche né leggere, come quella addebitata alla Altavilla nel 1936 dall’ufficio Avvocato
Mario Marchi e dott. proc. Alfonso Marchi – Fanna Udine: ₤ 376 per la difesa comune
con il Caseificio Sociale Bassavilla (l’altra latteria di Cavasso) in un procedimento penale
per contravvenzione daziaria.
Per quanto riguarda il rapporto tra latteria e soci raro risulta il provvedimento di esclusione
dalla società, essendo considerata questa una misura estrema, per le conseguenze che
comportava a danno di una famiglia. Anche la latteria di un paese vicino non avrebbe
accolto volentieri chi si era reso responsabile di atti rilevanti a danno dei consoci.
Comunque qualche provvedimento in questo senso viene preso come fa l’Altavilla: nel
consiglio del 9 ottobre 1932 si constata che gli eredi del socio A. B. sono recidivi nella
vendita non autorizzata del loro latte, inducendo altri soci a fare altrettanto. Quindi si
decide per l’esclusione con decorrenza primo novembre 1932 perché la latteria “non può
ricevere per la lavorazione gli avanzi del latte in commercio”.
Peraltro in una seduta successiva (27 gennaio 1935) l’Altavilla radia ben nove soci per il
mancato pagamento delle quote associative, prevedendo però una attenuazione: se questi
dovessero avere vacche da latte potrebbero portare sì la loro produzione alla latteria, ma
pagando la tassa di lavorazione maggiorata che competeva ai semplici portatori non soci,
con in più il versamento degli arretrati dal 1929. Trattandoli cioè come se fossero stati
semplici portatori estranei alla vita della latteria.
Pur comportando un aggravio economico, la radiazione quindi non rappresenta la messa
al bando. Mentre l’atteggiamento degli amministratori delle latterie appare severo nei
confronti dei soci (o dei portatori) che commettono irregolarità (conferimento del latte
annacquato o guasto) o che criticano troppo apertamente la gestione della latteria in paese,
nei rapporti con i dipendenti prevale un comportamento accomodante, per cui si tende
Archivio Latteria Cavasso Nuovo (in seguito A.L.C.N.), Latteria Sociale Altavilla, Delibere del Consiglio,
Seduta del 10 aprile 1932.
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non a licenziare il casaro, anche nel caso di mancanze piuttosto gravi, ma a trasferirlo ad
altra latteria, ricorrendo alla mediazione del sindacato dei casari che viene a ricoprire così
un ruolo importante, quasi di ufficio di collocamento non ufficiale.
Nel verbale della seduta del Consiglio d’amministrazione della latteria di Campagna di
Maniago del 7 agosto 1947 si può leggere: “ In quanto al licenziamento del casaro non si
ritiene onesto procedere ad un licenziamento immediato, ciò significherebbe mettere sul
lastrico una intera famiglia; ma si cercherà il possibile per trasferirlo in altra latteria”.
Del resto il trasferimento eseguito in queste circostanze, dopo un conflitto interno,
rappresentava per un casaro una sanzione morale socialmente rilevante, per cui chi ne
era colpito doveva in seguito pensarci su e non ripetere l’eventuale sbaglio: l’ambiente
di paese gli faceva aleggiare intorno un clima di diffidenza che non era facile scrollarsi
di dosso.
La latteria con le sue attività si pone a stretto contatto con altri enti e associazioni del
paese, a cominciare dal Comune che tra l’altro ha il potere di regolamentare e controllare
la vendita del latte al pubblico. Enti e associazioni si rivolgono alla latteria per essere
sostenuti con modesti contributi nelle loro iniziative perché sanno che proprio in latteria
esiste qualche disponibilità di denaro liquido. Da questa corrispondenza si può capire
come si svolge la vita associativa del paese.
28
7. Le organizzazioni di rappresentanza del movimento cooperativo
Verso la metà degli anni ‘50 del secolo scorso gli enti cooperativi sono molto numerosi,
risultato complessivo di diverse fasi storiche nelle quali la solidarietà e l’associazione
erano apparse strumenti importanti e decisivi per risolvere problemi economici e sociali,
tanto che i partiti di massa, DC e PCI, dedicavano molta attenzione a quanto accadeva
sotto l’insegna della cooperazione.
La società non era ancora arrivata all’esplodere dell’individualismo come comportamento
di massa. E il consumismo era ancora un termine privo di significato reale in Italia con il
regime imperante dei bassi salari.
Nel dicembre 1956, alla presenza del sen. Vincenzo Menghi, presidente della
Confederazione Italiana delle Cooperative, si tiene l’assemblea generale ordinaria
dell’Unione Cooperative Destra Tagliamento.
L’assemblea ha luogo nella sala del Teatro Verdi di Pordenone, quella che poteva essere
la sede di maggior capienza e di maggior prestigio per la città. Sono presenti numerosi
dei maggiori esponenti nazionali della Confederazione e del movimento cooperativo
“bianco”: dal prof. Tamagnini, presidente della Federazione Nazionale Cooperative
di Consumo, al commendator Bertoli, consigliere delegato della “Soresinese”, il più
importante complesso cooperativo esistente in Italia per la trasformazione del latte.
La presenza politica invece non è particolarmente numerosa perché non va al di là del sen.
Zefferino Tomè e del sindaco di Pordenone, avv. Gustavo Montini, entrambi democratici
cristiani della Destra Tagliamento. I politici udinesi sono assenti e tale assenza rispecchia
le frizioni tra Pordenone e Udine.
Il presidente dell’Unione, rag. Simone Zacchi Cossetti, nella sua relazione rende nota
la consistenza delle cooperative associate: 160 caseifici, 30 cooperative di consumo, 19
cooperative agricole, 22 società di allevatori, 3 cantine sociali e 14 cooperative tra molini
ed essiccatoi. Prende poi la parola il cav. Orlando Fioretti, uomo di punta e direttore
dell’Unione, per mettere a fuoco le difficoltà e i problemi che travagliano i vari settori
delle cooperative, innanzitutto l’esodo dai campi cui sono soggette le campagne, dalle
quali molti giovani evadono per cercare altrove miglior fortuna.
Conclusi i lavori, dopo il pranzo ufficiale, il sen. Menghi si è recato a Casarsa per visitare
le Cantine Sociali Destra Tagliamento (all’epoca risultano avere la capacità di procedere
alla lavorazione di 500.000 quintali di uve conferite annualmente da un migliaio di
soci), dopodiché segue la visita agli stabilimenti Zanussi, il mito nascente dell’industria
pordenonese degli elettrodomestici. Il quadro che ne esce è quello di un notevole slancio
produttivo della Destra Tagliamento. Pordenone sta decisamente superando il colpo subito
con la pesante ristrutturazione dell’industria tessile con i relativi licenziamenti.
29
Una serie di fabbriche metalmeccaniche (Zanussi, Savio, etc.) stanno crescendo e
assumono lavoratori.
Nell’inevitabile confronto Udine appare meno dinamica, ma rafforza il suo ruolo di
capitale politica del Friuli, come appare l’anno dopo dall’assemblea dell’Associazione
Cooperative Friulane che si configura come luogo qualificato per lanciare l’iniziativa per
la costituzione della Regione Friuli Venezia Giulia a Statuto Speciale.
Infatti nel dicembre 1957 si tiene a Udine l’assemblea ordinaria e straordinaria
dell’Associazione Cooperative Friulane, presenti i massimi esponenti DC della provincia
di Udine, dall’on. Alfredo Berzanti al presidente della provincia avv. Agostino Candolini,
nonché aministratori e sindaci, dirigenti dell’Ispettorato provinciale dell’Agricoltura,
delle banche locali, della Pubblica Amministrazione. Sono presenti anche i sindaci di
Udine e Pordenone. Nel complesso il quadro è quello del potere politico, amministrativo
e associazionistico del Friuli.
La relazione viene tenuta dall’onorevole democristiano Lorenzo Biasutti, facendo un
quadro delle forze dell’Associazione, consistenti di 486 organismi attivi e operanti.
Nel corso dei lavori è prevista anche la cerimonia di distribuzione dei diplomi agli alunni
dei corsi normali, promossi e finanziati dal Ministero del Lavoro e Previdenza Sociale: “uno
alla volta gli allievi salivano sul palco e ricevevano dalle mani del dott. Pistone, direttore
dell’Ufficio Provinciale del Lavoro, il diploma di segretario amministrativo rilasciato
dall’Istituto Nazionale per l’Educazione Cooperativa”. Nel complesso si tratta di ventisei
diplomi. Dopodiché si passa alla discussione che sarà una “serena discussione”, come scrive
il cronista, protrattasi fino alle ore 13; viene poi riassunta dal Biasutti ed esaurita con la
mozione presentata dal dott. Alfeo Mizzau a favore della costituzione dell’Ente Regione
a Statuto Speciale. Il testo della mozione ravvisava nella Regione “un utile strumento
politico-amministrativo per favorire lo sviluppo della cooperazione, l’incremento e la
valorizzazione della produzione agricola, la difesa e il miglioramento del patrimonio
zootecnico ed ittico, il potenziamento dell’edilizia popolare e sovvenzionata”.
La mozione concludeva plaudendo all’iniziativa legislativa regionalista dei parlamentari
friulani e facendo voti per una sollecita approvazione da parte delle Camere delle Statuto
Speciale. La mozione è stata approvata all’unanimità dai presenti. Dalle due assemblee
esce molto chiara l’immagine dell’articolato e radicato collateralismo della cooperazione
“bianca” con la DC.
“Messaggero Veneto”, 12 maggio 1957
Il resoconto de “Il Gazzettino” del 12 maggio 1957 su qualche punto è più dettagliato del “Messaggero” e
riferisce che il dott. Mizzau nel suo intervento ha trattato il grave problema del credito agrario, indicando
la Regione come l’Ente che avrebbe potuto risolverlo.
Non è certamente un caso che alle elezioni regionali del 1964 la Dc otterrà 28 seggi su 61 al Consiglio
Regionale: il risultato elettorale deriva da una serie di efficaci collateralismi che la DC ha realizzato
nel tempo con il mondo contadino (Coldiretti), con i lavoratori dipendenti (CISL), con il movimento
cooperativo, con l’artigianato, etc.
30
8. Gli orientamenti teorici e ideali della mutualità e della cooperazione
I comportamenti pratici come appaiono nei verbali
Quando il Friuli viene annesso allo stato unitario italiano può constatare che il Regno
d’Italia è uno stato costituzionale che garantisce formalmente la libertà d’associazione.
Infatti, appena dopo l’annessione, anche a Udine e a Pordenone comincia la costituzione
di società operaie di mutuo soccorso e istruzione. Tali società, pur non esplicitamente
vietate dalla legislazione asburgica, non erano consentite di fatto nel Regno LombardoVeneto, o almeno venivano osteggiate, perché le autorità vedevano in esse un pericolo di
aggregazione dei patrioti italiani.
Dietro le società di mutuo soccorso sta in generale l’idea mazziniana della associazione dei
lavoratori contrapposta alla lotta di classe proclamata dai marxisti. Ma poi nelle singole
società confluisce uno schieramento più ampio di quello propriamente mazziniano,
uno schieramento che comprende anche liberali moderati o della Destra Storica, tra cui
Quintino Sella. In qualche caso entra anche la filantropia come accade alla Società di
mutuo soccorso di Lestans che molto deve al suo fondatore, Giovanni Ciani, un paesano
emigrato e fattosi ricco. Ciò però non impedisce che contemporaneamente la società
scelga come presidente onorario il radicale Felice Cavallotti.
Una certa superficialità dei convincimenti generali riesce a mettere insieme il benefattore
locale e il battagliero bardo della democrazia. In prosieguo di tempo nel movimento
mutualistico e cooperativo si impegneranno tutte le correnti ideali e politiche, da quelle
laiche riformatrici di indirizzo socialista a quella cattolica, soprattutto quest’ultima con
forte radicamento in Veneto, nel Friuli italiano e nel Friuli austriaco. Proprio nel Friuli
austriaco emerge la personalità di monsignor Luigi Faidutti che costruisce nel Goriziano
una forte influenza sindacale e cooperativistica la quale però verrà ostacolata dopo
l’annessione al Regno d’Italia in seguito al conflitto 1915-18 con un duro ostracismo
delle autorità contro lo stesso Faidutti cui fu impedito di tornare nelle sue terre perché
accusato di essere austriacante. I liberali, rappresentati dalla possidenza, portano avanti
il duplice obiettivo del blocco agrario (per coinvolgere i contadini nella loro orbita
di interessi come produttori e come proprietari) e del freno all’emigrazione (perché
vedevano l’emigrazione stessa dall’angolatura della possibile riduzione della manodopera
Giovanni Ciani (1847-1926), nato a Lestans (comune di Sequals), impara nella bottega del padre il
mestiere di scalpellino, emigra a Vienna all’età di 14 anni, acquisendo notevole capacità professionale
lavorando al Teatro dell’Opera. Dopo il rientro in Italia per il servizio militare, torna nuovamente a
Vienna in occasione dell’Esposizione mondiale. Nel 1875 si trasferisce a Praga, accettando la proposta
fattagli di realizzare lavori decorativi di scultura presso il Teatro nazionale boemo. In seguito a Praga
fonda un’industria di marmi italiani. Nel 1909 Giovanni Ciani ritorna per un periodo presso la frazione di
Lestans, assumendo la carica di sindaco del Comune di Sequals. Ciani promuove a Lestans la costituzione
della Società Operaia di Mutuo Soccorso, della Latteria Sociale e della Cooperativa di Consumo.
31
presente, intesa come una situazione per loro pericolosa, in quanto poteva costringerli a
remunerare di più il lavoro contadino). Il ruolo di promozione cooperativistica di cui si
fanno portatori i vari proprietari terrieri, alcuni nobili, altri borghesi, trova ampio spazio
politico e culturale perché il ceto dei proprietari terrieri quale esiste in Friuli non è
contestato in modo ideologico e radicale da nessuno, al di là di una generale propaganda
per il “sol dell’avvenire”, ovvero la rappresentazione di un futuro nel quale sarebbe
scomparso lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Anche le correnti democratico-borghesi
puntavano le loro frecce solo contro il latifondo meridionale, giustamente visto come
tirannide economica e politica, chiedendo la diffusione della mezzadria e dell’enfiteusi,
pur depurate dalle clausole vessatorie che al momento le contraddistinguevano.
Più articolato in quanto obiettivi perseguiti il discorso dei cattolici che toccava anche i
problemi del regime fondiario: i cattolici perseguivano la strada di agevolare l’accesso
dei contadini alla proprietà della terra con facilitazioni nell’acquisto. Ma i cattolici erano
anche per la diffusione di una mezzadria riformata, l’importante era evitare il diffondersi
dell’azienda capitalista condotta da salariati: il bracciante allora imboccava facilmente
la strada della lotta sindacale ed era perduto irrimediabilmente per il campo moderato
perché andava con i socialisti. Ma questi arrivano più tardi e per la caratteristica del loro
insediamento sociale privilegiano le cooperative di lavoro e le cooperative di consumo cui
aderivano naturalmente gli operai. Qualche cooperativa la chiamano subito cooperativa
operaia di consumo, per definire la loro base sociale di riferimento.
Fino a qualche decennio fa operava ancora una Cooperativa Operaia di Consumo di
Borgomeduna (Pordenone), collocata con la sua sede principale nelle vicinanze di uno
degli stabilimenti del Cotonificio Veneziano, in un quartiere abitato prevalentemente
da operai tessili. Però in queste cooperative che si definivano operaie entravano anche
contadini, artigiani e impiegati per il comune interesse a calmierare i prezzi dei generi
di prima necessità. Del resto spesso gli artigiani erano di origine operaia, mantenendo
la coscienza solidaristica della classe d’origine. Alcuni dati statistici ci restituiscono la
forza crescente della tendenza all’associazionismo in Italia: le società di mutuo soccorso
.
.
.
passarono da 1 447 nel 1873 (erano 443 nel 1862) a 4 896 nel 1885 e a 6 722 nel 1894.
Nel 1886 infine fu costituita a Milano la Federazione (dal 1893 Lega) Nazionale delle
Cooperative, di indirizzo socialista.
Dopo il conflitto 1915-18 un forte impulso alla cooperazione lo danno gli ex combattenti
che si mantengono fortemente aggregati nei paesi, costituendo con ciò la base per molte
iniziative: erano stati obbligati a vivere l’esperienza della guerra in un esercito di massa, e
quindi avevano acquisito una mentalità meno individualistica di quella usuale che regnava
nei paesi d’origine.
In generale i verbali delle latterie che seguono l’atto costitutivo hanno la caratteristica
di essere molto sintetici e stringati. Si ha l’impressione che gli amministratori siano
determinati a non far sapere troppe cose agli estranei sulla vita della loro società.
32
Ma la latteria non si sottrae al clima politico dominante.
A metà della serie di verbali di Campagna di Maniago si verifica il cambio del segretario
della latteria, il che non porta una sensibile variazione di stile nella stesura dei resoconti.
Però il primo segretario scrive le date senza far seguire il numero ordinale dell’era fascista,
ignorando quindi lo stile ufficiale obbligatorio. Il segretario nuovo che subentra nel 1942
non dimentica invece di scrivere in cifra romana che siamo nel ventesimo anno della
rivoluzione fascista. Troviamo un XX scritto svolazzante e volutamente ben visibile che
segnala un diverso convincimento del verbalizzante rispetto al suo predecessore.
Quando l’economia di guerra si fa sentire con le sue restrizioni, queste nei verbali le si fa
apparire meno che si può. In altre parole funziona l’autocensura. Si alimenta con ciò la
negativa tendenza a non dire come stanno le cose. Anche questa è una caratteristica del
regime fascista che funziona in senso peggiorativo del carattere italiano.
Per quanto tendenzialmente avari di particolari, i verbali delle latterie riescono a segnalare
i passaggi essenziali del movimento cooperativo e della stessa agricoltura: quando
al Consiglio d’Amministrazione della latteria di Spilimbergo il 4 dicembre 1975 il
vicepresidente fa presente che alcuni soci hanno manifestato la richiesta di conferire il latte
al caseificio in una unica soluzione anziché in due, ovvero mattina e sera in corrispondenza
alle due mungiture: si può facilmente capire che un grande cambiamento è ormai avvenuto.
Infatti la richiesta è motivata dalla giustificazione della carenza di personale di famiglia
per eseguire il trasporto e dalla lontananza che intercorre dalla abitazione del produttore
al luogo di conferimento: ormai non esistono né le famiglie patriarcali né le famiglie
numerose. La fuga dai campi si è compiuta in misura impressionante e l’allevamento
familiare tradizionale sta entrando definitivamente in crisi: non si accetta più la schiavitù
del governo della stalla e si tira avanti finché ci sono i vecchi. Quando questi non sono
più in grado di lavorare, la stalla si chiude.
I verbali sono molto precisi nel registrare le presenze e le date di riunione, testimoniando
così quanto fosse considerata importante la frequenza e la partecipazione alle attività
sociali. A cominciare dagli anni Settanta la scarsa partecipazione alle assemblee delle
latterie ci fa capire come questa particolare forma di cooperazione si sia esaurità da sé:
nel 1980, nell’assemblea della latteria di Spilimbergo che decide la trasformazione della
società di fatto in società cooperativa, sono presenti 21 soci.
Ormai nello Spilimberghese e nel Maniaghese non restava altro che aspettare la fine
perché dal 1973 funzionava nello stesso comune il Caseificio Medio Tagliamento,
una struttura moderna di adeguata dimensione. In effetti la latteria cooperativa di
Spilimbergo chiude nel 1991. Non l’aveva salvata neanche il ricorso alle maniere forti,
cioè l’espulsione dei soci che portavano il loro latte al Caseificio Medio Tagliamento
(Consiglio d’Amministrazione del 28 novembre 1979). I provvedimenti amministrativi
risultano inutili di fronte alle convenienze economiche.
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9. Mutualità e cooperazione in Friuli
Nel contesto della costituzione e della formazione dello stato unitario italiano il Friuli,
come il Veneto, dopo il 1866, compie alcuni progressi, naturalmente anche nel settore
agricolo, allora largamente prevalente come occupazione e come quota del reddito
prodotto. Non erano anni facili, anzi, furono anni funestati dalle malattie del baco da seta,
dei gelsi e della vite, malattie che richiesero anni e anni di sforzi per superarle.
Sotto la spinta di quella parte della classe dei possidenti più illuminata – anche se moderata
in politica – si ammoderna la tecnica agraria e si sviluppa l’istruzione agraria: nel 1881
inizia la sua attività, sulla base di un lascito della contessa Cecilia Gradenigo Sabbadini,
quella che diventerà poi la Regia Scuola pratica di Agricoltura di Pozzuolo del Friuli che
in seguito comparirà tra gli enti beneficiari di contributo annuo da parte della Cassa di
Risparmio di Udine (insieme con il Gabinetto chimico agrario provinciale, la Stazione
sperimentale viticoltura ed enologia di Conegliano, la Cattedra Ambulante Provinciale
dell’Agricoltura, l’azienda agricola dell’Istituto Tecnico e altre minori associazioni che
interessavano l’agricoltura).
Con ispirazione a volte politica a volte filantropica si costituiscono società operaie di
mutuo soccorso e istruzione, casse rurali, forni rurali (per combattere la pellagra con una
migliore alimentazione basata più su un pane ben confezionato e meno sulla pericolosa
polenta), cooperative di consumo, latterie sociali, mutue bestiame. Funziona anche
qualche macelleria cooperativa.
Nello stesso periodo si registrano iniziative filantropiche anche nel Friuli austriaco:
notevole il ruolo svolto da Elvine Ritter de La Tour (titolare di un grande patrimonio) a
Gorizia e Capriva. Con la cooperazione, la solidarietà e la filantropia si realizza così un
tessuto sociale ed economico molto vasto che riesce ad arrecare qualche vantaggio alla
gran massa della popolazione, peraltro costretta a vivere in larga misura nella povertà,
obbligata a emigrare, sfruttata da contratti agrari nei quali tutto il potere stava dalla parte
del concedente.
I contratti di affitto sono così pesanti che qualche personalità progressista propone al
loro posto la mezzadria che con la divisione al 50% tra concedente e contadino poteva
apparire più favorevole al lavoratore. La piccola proprietà era oberata di tasse, sempre
sull’orlo di finire all’asta per prediali non pagate o per ipoteche accese con gli usurai del
paese o per una malattia grave che richiedesse il ricovero ospedaliero che non era gratuito
per chi era piccolo proprietario.
Non è difficile, sulla base della memoria orale, ricostruire i nomi e le fortune economiche
degli usurai di Fanna, di Arba e di qualche paese vicino. Intuitivamente i contratti usurai
li individuiamo anche se sono mascherati da compravendite nei contratti notarili del
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Settecento-Ottocento.
Li cercheremo invano nei testi correnti di storia locale, soprattutto quelli promossi dalle
amministrazioni locali che non vogliono toccare tasti dolorosi o fatti controversi, presenti
però nel racconto dei più anziani.
Esiste anche uno strato sociale che sta al di sotto della piccola proprietà: i piccoli fittavoli.
Ma soprattutto ci sono i nullatenenti, che si ingegnano come possono, andando a giornata,
allevando il maiale, dedicandosi al furto campestre, magari di erba, per allevare qualche
coniglio.
Bene o male anche a questi la latteria fornisce gratuitamente gli scarti della lavorazione
come il siero per il maiale oppure il latticello che resta dalla lavorazione del burro. Quando
però le latterie si avvicinano alla crisi finale, il siero viene fatto pagare.
Quando dopo la cottura e la prima consolidazione il formaggio viene messo negli stampi che
gli danno la forma definitiva tondeggiante, si tagliano le striscioline che non combaciano:
lis strisulis. E c’è chi aspetta con la gamella davanti alla latteria per portarsele a casa e
ricavarne una frittata, un po’ più arricchita e più gustosa.
Tra i teorici della cooperazione agricola friulana vale la pena ricordare Eugenio Blanchini,
tra gli operatori Giovanni Maria Concina, parroco a Prata di Pordenone, allora provincia
di Udine, ma della diocesi di Concordia. Altri parroci invece, come don Lozer a Torre
di Pordenone, operarono prevalentemente nell’ambiente operaio, dedicandosi anche alla
cooperazione di consumo e al risparmio cooperativo.
Nonostante l’omologazione imposta dal regime fascista, emerse in seguito qualche altro
erede del movimento cattolico originario come don Giuseppe Pradella, parroco di Tamai
di Brugnera, che nel 1929 fondò e poi amministrò come segretario per alcuni decenni la
latteria del paese, prendendo questa iniziativa quando il fascismo era ormai al potere.
Don Pradella riesce a mantenersi sempre nel solco del movimento sociale cattolico,
senza fare concessione alcuna al regime, neanche nei momenti più difficili della guerra e
dell’occupazione tedesca.
Incidentalmente vale la pena aggiungere che quando a Tamai si discute della costruzione
dell’edificio che dovrà ospitare gli impianti della latteria, viene approvata la proposta di
realizzarlo sufficientemente ampio da avere a disposizione alcune stanze abbastanza ampie
da cedere poi in uso al comune come aule scolastiche per la locale scuola elementare.
Quello dei cooperatori si presenta come un ambiente sensibile a ogni forma di
emancipazione e di progresso.
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10. Notizie su Fanna, Cavasso Nuovo e Campagna di Maniago
Nonostante la distruzione e la dispersione di documenti dovute alle guerre, agli incendi
e al terremoto del 1976, una parte delle carte delle latterie è tuttora disponibile per una
ricerca abbastanza organica da assicurare una ricostruzione attendibile dello svolgimento
di questo aspetto del movimento cooperativo nella zona della Pedemontana Occidentale.
Presso la ex latteria di Malnisio (Montereale Valcellina) funziona un centro culturale che
si occupa dell’archiviazione sistematica dei documenti relativi alle latterie della zona.
Gli enti che gestiscono la spesa culturale dovrebbero porsi il problema di valorizzare
questa archiviazione evitando interventi dispersivi, assolutamente legati al clientelismo
politico sempre imperante che privilegia sovente superficialità e campanilismo nella
storia locale.
Allo stato dei fatti disponiamo di una documentazione piuttosto ampia per quanto riguarda
le latterie di Fanna, Campagna di Maniago e Cavasso Nuovo, con l’aggiunta di carte sparse
di altre latterie. La latteria di Spilimbergo ci ha lasciato un archivio ben conservato, che
però aspetta di essere ordinato per essere accessibile ai ricercatori.
Sarà utile ricostruire situazione e storia di Fanna, Campagna, Cavasso con qualche
indispensabile connessione per quanto riguarda comuni e località vicine. La ricerca così
delimitata territorialmente non ci esonera però da una visione più ampia dello sviluppo
economico e sociale.
La facile vena della letteratura prodotta in Friuli, per celebrare l’emigrazione e i suoi
aspetti positivi soprattutto nei decenni che precedettero il primo conflitto mondiale, si è
mostrata talvolta incline a qualche enfatizzazione. Certamente l’emigrazione temporanea
verso gli Imperi Centrali significò acquisizione di discreti salari e di cultura sindacale,
altrettanti stimoli al progresso sociale. Ma qualche autore, come Lodovico Zanini, si è
lasciato prendere la mano: “I nostri borghi furono tra i primi d’Italia ad avere la cooperativa
di lavoro e di consumo, la latteria sociale turnaria, il circolo agricolo, l’edificio scolastico
nuovo, il corso di avviamento ai mestieri, la biblioteca popolare...”.
Nella realtà italiana, almeno per la latteria sociale turnaria, siamo stati preceduti da molte
valli alpine del Piemonte, della Lombardia, del Veneto. Ben consapevole che alcune regioni
europee fossero più avanti nell’industria casearia si dimostrò il Ministero dell’Agricoltura
di Vienna che nel 1880 affidò al conte Otto Dürckheim l’incarico di svolgere un viaggio
di informazione dall’otto giugno al dieci settembre di quello stesso anno per la raccolta
di esperienze che riguardassero la produzione di derivati dal latte in quei territori che
Lodovico Zanini, Friuli migrante, Udine, La Panarie, 1937, pag. 11.
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potevano vantare di essere all’avanguardia in Europa nel campo dell’industria casearia.
Indagatore attento e scrupoloso, Otto Dürckheim presenta in seguito una relazione
che, basandosi soprattutto su dati raccolti direttamente in Francia, Inghilterra, Olanda
e Germania, rappresenta un documentato quadro europeo descrivendo allevamento,
trasformazione del latte e mercato dei principali prodotti caseari, chiarendo anche in
quale direzione nei singoli territori ci si doveva attendere un ulteriore sviluppo per poter
concludere con quale concorrenza dovesse fare i conti la futura esportazione austriaca di
latticini.
Molto puntuale peraltro in questa relazione la descrizione della latteria turnaria diffusa nei
dipartimenti alpini francesi: i singoli soci portano il latte al caseificio dove viene accettato
dal casaro che è incaricato anche della relativa contabilità. La quantità complessiva viene
registrata su un libro mastro, mentre l’accredito ai singoli soci si realizza mediante due
pezzi di legno con apposite intaccature che danno conto del latte conferito: uno dei due
pezzi appartiene al socio, l’altro pezzo rimane presso il caseificio.
Il formaggio prodotto non costituisce un bene comune, invece la produzione giornaliera
appartiene a un socio di turno che appunto per quel giorno deve conferire il lavoro
ausiliario al casaro nonché la quantità di legna necessaria alla cottura del latte.
Si tratta di un sistema sostanzialmente simile a quello delle nostre latterie turnarie. Ma
la somiglianza vale anche per la distribuzione sul territorio: di solito in ogni comune si
trovano due o tre latterie.
Il fine ultimo dell’iniziativa del ministero dell’agricoltura di Vienna era quello di capire
quali fossero le possibilità di crescita dell’allevamento e dell’industria casearia austriaca
che non poteva basarsi sul solo mercato interno, ma doveva invece puntare decisamente
all’esportazione sui più importanti mercati europei.
Nel testo di Otto Dürckheim appare utile cogliere subito la classifica delle modalità di
trasformazione del latte che risulta corrispondente alla situazione della Val Padana e
anche del Veneto-Friuli:
- cooperazione (latteria sociale);
- esercizio industriale;
- produzione domestica.
Nella relazione vanno segnalate anche alcune particolarità: l’attività casearia
modernamente attrezzata si manifesta nei dipartimenti francesi Doubs e Jura prima ancora
che in Svizzera.
Dell’Italia non si fa cenno alcuno, né come paese produttore né come mercato di sbocco.
Completamente diversa la situazione in Normandia: qui non si incontrano né latterie
cooperative né grandi caseifici industriali perché opera la produzione domestica, in
particolare del burro che raggiunge un apice di qualità.
Otto Dürckheim, Ueber das Molkereiwesen in Frankreich, England, Holland und Deutschland, Wien,
Verlag des K.K. Ackerbau-Ministeriums, 1882.
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Il motivo di questa situazione lo si può individuare in condizioni eccellenti per un
allevamento tutto basato sul pascolo: il bestiame non è nelle stalle, ma all’aperto anche
nel periodo invernale. Ne viene il risultato che il burro della Normandia può spuntare i
prezzi più alti sul mercato di Parigi.
In alcuni dipartimenti francesi (Marna, Senna e Loira, Senna Inferiore) come in Olanda,
il relatore scrive di avere incontrato la grande industria casearia; in particolare quella
olandese si presenta eccellentemente attrezzata al punto da giustificare la previsione che
il burro da essa prodotto sarebbe stato presto in condizione di fare la concorrenza anche
a quello danese.
Dopo avere spaziato su tutti i problemi che avessero qualche attinenza con gli interessi
del ministero dell’agricoltura di Vienna, compreso quello delle scuole di caseificio,
la relazione si chiude senza alcuna puntuale proposta allo stesso ministero, salvo la
raccomandazione di promuovere l’istituzione di cooperative di vendita per il burro, per
affrontare una concorrenza che si prevede crescente. In più compare la constatazione che
nei grandi mercati di smercio il burro austriaco lo si era trovato presente soltanto a Brema
e ad Amburgo, proveniente in generale dalla Galizia e dal Sud Tirolo. Una notizia questa
che conferma la vocazione propria dei territori alpini all’allevamento e al caseificio.
Particolarità infine da segnalare perché indica una delle caratteristiche della vecchia
amministrazione austroungarica: con la finalità pratica di aggiornare i produttori di latte,
la relazione di Otto Dürckheim viene tempestivamente resa pubblica e con tutta probabilità
diffusa in tutto l’impero. Una copia comunque arriva alla biblioteca dell’imperial regia
luogotenenza di Trieste (K. K. Statthalterei-Bibliothek).
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11. Le origini pubbliche e sociali della cooperazione agricola in Friuli
Come friulani abbiamo in verità preso l’esempio dalle latterie del Cadore e poi abbiamo
utilizzato per gestire le nostre latterie i tecnici che provenivano dalla rinomata Scuola di
Caseificio e Zootecnia di Reggio Emilia o da quella di Lodi.
Uno di questi tecnici è Enore Tosi il quale va a dirigere la latteria di Fagagna, fondata
per merito del Legato Pecile e presieduta dal senatore Gabriele Luigi Pecile, grande
possidente e parlamentare liberale appartenente al “terzo partito”.
Il periodo che va dal 1880 (inizio della crisi agraria contrassegnata dalle grandi importazioni
di prodotti agricoli provenienti dalle terre nuove americane e dall’Est Europa) al 1915
(entrata dell’Italia nel primo conflitto mondiale) può essere visto sia dal punto di vista del
come eravamo sia da un altro punto di vista: quello del come siamo cambiati.
Anche per noi in Friuli questa è stata la Belle Époque? Comunque occorre un’ottica
diversa da quella più consueta nella storia locale. Certamente è stata un’epoca dinamica.
I nostri predecessori del tempo hanno cominciato a istituire paese per paese le latterie
sociali, turnarie o con gestione operativa affidata ai dipendenti. Intanto gli imprenditori
più svegli cominciavano a coprire con officine elettriche tutti i corsi d’acqua della zona,
anche i rughi minori, sfruttando tutti i possibili dislivelli per i salti d’acqua.
È questo il periodo nel quale tra Fanna e Cavasso si tagliano molti castagni: i loro tronchi,
raccolti a Fanna, servivano come pali per sostenere le linee elettriche: il castagno brucia
male, ma è un legno molto duro, resistente all’umidità.
Se vogliamo dare qualche spazio all’archeologia industriale locale, possiamo prendere
nota che all’ingresso di una centralina ancora attiva sul torrente Cosa in Comune di
Travesio, si può leggere sul pavimento a terrazzo una “emme” intrecciata con una “esse”
con sotto la data 1912: il simbolo indica che questa officina elettrica è stata realizzata
nell’anno indicato dalla Società Margarita, di cui era titolare l’ing Domenico Margarita.
Gabriele Luigi Pecile, pur essendo stato eletto deputato della Destra Storica, il 18 marzo 1876 - il giorno
della rivoluzione parlamentare - votò contro il Ministero Minghetti, in aperta polemica con gli esponenti
del suo stesso partito e con gli ambienti conservatori friulani. Non aderì alla Sinistra Storica, ma
considerava ormai superata la Destra Storica. Venne detto “terzo partito” un raggruppamento costituito
da uomini politici che ricercavano una posizione intermedia tra Destra e Sinistra. Iniziatore fu Antonio
Mordini, mazziniano in origine, che venne a collocarsi su posizioni di sinistra costituzionale sempre più
lontane dalla estrema sinistra radicale; dopo uno slittamento a destra dando appoggio e anche alcuni suoi
uomini al governo Menabrea, chiaramente conservatore, il “terzo partito” si dissolse. Nel 1866 Antonio
Mordini (1819-1902) era stato Commissario del Re per la provincia di Vicenza.
Gabriele Pecile aveva avuto qualche illustre predecessore: Stefano Jacini, dopo aver partecipato a vari
ministeri con Cavour, Lamarmora, Ricasoli, non aveva più fatto parte dei gabinetti della Destra Storica
dopo il febbraio 1867, per dissenso politico.
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In quello stesso periodo si costruiscono – superando rilevanti difficoltà tecniche –i ponti
sul Cellina in località Luogo del Giulio e sul Meduna alla stretta di Colle e si realizza la
viabilità che toglie la Val Cellina e la Val Tramontina al loro isolamento secolare. Appena
nascevano o appena si consolidavano le latterie acquistavano strumenti moderni, zangole,
scrematrici e caldaie di rame, allacciandosi alla più vicina cabina elettrica.
Negli anni ‘50 del secolo scorso, quando la legna è diventata più cara, le latterie hanno
abbandonato il vecchio sistema e sono passate agli impianti con bruciatore a gasolio o
a nafta. Mentre le latterie hanno vicende sostanzialmente simili, i paesi hanno storie e
situazioni diverse.
Su Fanna e Cavasso Nuovo ha dominato la famiglia Polcenigo-Fanna. Giorgio di Polcenigo
(1715-1784) fu il più importante dei Polcenigo, gran nemico delle novità e quindi gran
polemista nei confronti di quella borghesia mercantile che anche in Friuli cominciava
ad acquisire terre e potere, a scapito di quella parte della vecchia nobiltà che non sapeva
adeguarsi al cambiamento. Egli può anche essere presentato nella storia della letteratura
come corrispondente di Voltaire e di altri illuministi, ma non era per nulla in consonanza
con il loro pensiero.
Nel 1810 l’ultimo dei Polcenigo, il conte Elia, ricevette in donazione dal conte Marco
Regolo dei Bonifacio il patrimonio di questa importante casata sito a Villa Estense
(Padova): per questo dalle carte amministrate del periodo napoleonico risulta che Elia di
Polcenigo ha interessi fuori di Cavasso. Tale consistente proprietà però viene suddivisa
tra più eredi alla morte della seconda moglie di Elia di Polcenigo, avvenuta senza figli nel
1871: un patrimonio che svanisce senza il segno di una qualche accumulazione di capitali
da investire nello sviluppo agronomico.
I Comuni di Cavasso e di Fanna si trovano nell’alta pianura subcollinare con terreni
pedologicamente abbastanza fertili, eccezionalmente produttivi intorno alle borgate
collocate a metà collina come Sutila, Petrucco e Runcis, soleggiate e riparate dai venti.
Si tratta di condizioni molto favorevoli per la coltivazione di viti, frutteti e gelsi, ma
anche per l’orticoltura.
In particolare Fanna è conosciuta per la sua produzione ed esportazione di mele già
nell’Ottocento, quando ha anche una o più filande, delle quali una certamente appartenente
alla famiglia Fabiani. Terreni fertili sono anche quelli di Castelnovo del Friuli. I terreni
meno produttivi costituiti dall’alluvione grossolana, congerie di ghiaie e ciottoli (i
magredi), restano più a sud, interessando altri comuni: Arba, Vivaro e Maniago per la sua
parte meridionale, costituita dalle frazioni di Campagna e Dandolo.
Fanna non vive isolata: per lungo tempo la sua Abbazia è appartenuta all’Abbazia
benedettina di Pomposa e verso il 1766-1767 un Fabiani di Fanna fu corrispondente di
Su Giorgio di Polcenigo si veda l’ampia voce relativa di Liliana Cargnelutti in:
Nuovo Liruti. Dizionario Biografico dei Friulani, Udine, 2009.
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Filippo Re.
Naturalmente altri legami esterni li porta il casato feudale dei Polcenigo-Fanna. Dai tempi
della prima guerra mondiale Fanna e Cavasso hanno in comune un piccolo ospedale
che diventerà poi, in anni a noi più vicini, casa di riposo per anziani. Se un rapporto
si stabilisce con Arba è quello della famiglia Faelli (proprietari terrieri e titolari di una
banca locale) che ha interessi nei due comuni di Fanna e di Arba, ma risiede ad Arba.
Fanna non è stata investita in via immediata dai problemi del Consorzio di Bonifica
Cellina-Meduna: avrebbe però potuto essere coinvolta dall’irrigazione con una tecnica
dei “laghetti collinari”.
Di Fanna si può dire ancora che non è stata interessata neppure da grandi interventi
pubblici come i comuni contermini: Cavasso Nuovo con le dighe e i bacini del Meduna,
Maniago con la zona industriale e con l’insediamento del nuovo comune di Vajont dove
sono affluiti una parte degli abitanti del comune di Erto e Casso colpiti dalla catastrofe
del 1963.
Fanna ha vissuto più raccolta in sé stessa, anche la sua struttura urbana dà una idea di
aggregazione piuttosto compatta. Non ha frazioni. Ma questo non vuol dire che non
abbia attraversato vicende interessanti e momenti di differenziazione dal punto di vista
economico e sociale: la vicenda della latteria merita senz’altro di essere studiata per le
aspre divisioni manifestatesi al suo interno.
Dal dizionario di Amato Amati (Dizionario corografico illustrato dell’Italia, vol. 3),
Fanna viene descritta come un comune di 1888 abitanti, coltivato a cereali e gelsi, più
specialmente a viti: vi sono in attività «alcune filande di seta». Come in quasi tutto il
Friuli, l’industria presente è quella della trasformazione dei prodotti agricoli.
Il primo volume del dizionario Amati appare nel 1866: le notizie che riguardano il Regno
d’Italia nei confini del 1861 sono relativamente esaurienti, mentre quelle riguardanti il
Veneto, appena annesso al Regno, appaiono meno precise e complete.
L’informatore fannese dei compilatori del Dizionario è meno diligente di quello di
Cavasso il quale non si dimentica di annotare la produzione di «frutta di ogni genere»
come caratteristica dell’agricoltura locale che in realtà non registra condizioni diverse da
quelle di Fanna.
Comunque nel momento dell’annessione del 1866 al Regno d’Italia Fanna è un comune
agricolo a tutti gli effetti, come Cavasso e Arba.
Nata tra le primissime, nel 1882, la latteria di Fanna conosce un andamento non propriamente
lineare perché, almeno nei primi due decenni del Novecento, emerge una gestione privata
del caseificio, con qualche aspetto di rapporti speculativi sul prezzo del latte conferito
dai produttori. Ma anche per altri versi la vita di Fanna conosce qualche andamento
Filippo Re (1763-1817) è stato insigne medico e botanico. Scrisse numerose memorie botaniche pubblicate negli atti della Società Reale d’Agricoltura e della Regia Accademia delle Scienze di Torino.
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anomalo: nel 1961 le abitazioni occupate risultano 534, mentre nel 1971 scendono a 457.
Nello stesso periodo Maniago passa da 2003 a 2588 abitazioni occupate, mentre il calo si
verifica nei comuni di Claut, Cavasso Nuovo, Arba, Frisanco, Andreis, Cimolais, Barcis
(viene omesso il confronto per Erto Casso e per Vajont perché investiti dalla catastrofe
del 1963). Le abitazioni occupate aumentano invece a Montereale Valcellina e a Vivaro.
È abbastanza evidente che il “vivere in paese” esercita una minore attrattiva negli anni
dello sviluppo economico, a meno che in loco non ci sia qualche insediamento industriale,
che riduce il peso dell’emigrazione ed evita le forme più pesanti di pendolarismo.
Nella zona pedemontana a cavallo dell’anno 1900 opera il Comizio Agrario di SpilimbergoManiago del quale diventa presidente Domenico Pecile, possidente, deputato e pioniere
dell’alpinismo, di solito collocato tra i liberali progressisti, molto impegnato in tutte le
iniziative di avanzamento e di ammodernamento nel campo agricolo, polemico però
nei confronti de “l’umanitarismo che si sostituisce ai generali interessi della nazione”.
Aggiornando i termini al dibattito in corso negli anni ‘60 del Novecento, si potrebbe dire
che Domenico Pecile dava la priorità agli investimenti produttivi rispetto a quelli sociali.
Peraltro si deve poter aggiungere che nella zona operava anche la Società Umanitaria
di Milano che promuoveva scuole serali e di mestiere, cercando di portare avanti una
linea di emancipazione delle masse che non si identificava con la lotta di classe in modo
immediato. Siamo in una zona, quella montana e pedemontana del Friuli Occidentale,
che non conosce precoci movimenti di organizzazione sindacale e politica ispirata a un
netto principio di lotta di classe.
Stimoli progressisti vengono dall’esterno come s’è visto, dalla Società Umanitaria
di Milano o indirettamente dalla socialdemocrazia tedesca che per proprio interesse
– idealmente motivato – vuol togliere i lavoratori italiani immigrati in Germania dalla
propensione di fare i crumiri.
Se qualche sommossa si verifica nei paesi friulani, essa assume i connotati della nostalgia
Prima dell’attuazione dell’ordinamento regionale, come uffici esecutivi periferici del Ministero
dell’Agricoltura funzionavano gli Ispettorati provinciali dell’agricoltura (istituiti con Legge 13 giugno
1935, n. 1220), che a loro volta avevano assorbito le Cattedre Ambulanti. Queste ultime erano enti pubblici
dotati di personalità giuridica, a circoscrizione provinciale, e sottoposti alla vigilanza del Ministero
dell’Agricoltura. Nell’ambito delle Cattedre Ambulanti operavano i Comizi Agrari, un’associazione locale
cui aderivano proprietari e tecnici, con poteri solo promozionali e divulgativi, ma non privi di efficacia.
I compiti delle Cattedre Ambulanti si dirigevano all’istruzione tecnica, all’assistenza agli agricoltori,
alla sperimentazione e in genere a tutte le iniziative rivolte a promuovere e a incoraggiare il progresso
dell’agricoltura, della zootecnia e delle industrie agrarie (art. 3, RD 6 dicembre 1928, n. 3433). È di tutta
evidenza che le Cattedre Ambulanti godevano di un’ampia autonomia, soprattutto nel periodo dell’Italia
liberale. Invece, dopo la riforma del 1935, gli Ispettorati provinciali sono diventati semplicemente degli
organi esecutivi locali del Ministero dal quale dipendono e mancano quindi di personalità giuridica.
Società Umanitaria: fondazione sorta a Milano nel 1893 con la cospicua eredità del filantropo Prospero
Moisè Loria su ispirazione del socialista Osvaldo Gnocchi Viani. Nel 1903 la Società Umanitaria, per
sostenere le proprie iniziative, mandò in Friuli il dottor Ernesto Piemonte, il quale aveva già fatto le
sue prime esperienze organizzative nella Bassa Lombardia. In seguito la Società Umanitaria costituisce
a Udine una propria Sezione che beneficia di contributi da parte della Cassa di Risparmio di Udine.
L’attività della Società Umanitaria costituisce una delle premesse per il socialismo riformista in Friuli.
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feudale o quanto meno della ritrosia e dell’esitazione davanti alla modernità.
Nel 1904 il Consiglio Comunale di Tramonti di Sopra, applicando una legge dello Stato,
aveva stabilito la divisione dei beni incolti del comune, in pratica di superfici boschive
montane.
La decisione subisce una serie di rinvii perché la popolazione si oppone con la motivazione
che una volta fatta la divisione dei beni comunali bisogna pagare le tasse, dalle quali
invece i beni comunali erano esenti nell’antica costituzione feudale.
Comunque appare secca l’antitesi tra la concezione conservatrice dei proprietari terrieri
e la concezione del socialismo di fine Ottocento, come si diffonde in Friuli (soprattutto
in Carnia e nell’alto Friuli), un socialismo che si presentava variegato, certamente più
umanitario che marxista, ma in definitiva caratterizzato dall’idea che era l’uomo a
costituire il fine.
Nel complesso si può dire che chi detiene il potere economico e il potere politico riesce
a inquadrare le latterie nella propria orbita per quanto riguarda i comportamenti generali
e pubblici, soprattutto con le organizzazioni di categoria e con il personale tecnico in
generale legato ai grandi proprietari terrieri e alle strutture burocratiche statali (Cattedra
Ambulante dell’Agricoltura, Ispettorato Provinciale dell’Agricoltura, etc.).
Gli interventi repressivi da parte delle autorità sono rari, come nel caso della latteria di
Tamai di Brugnera che viene commissariata dal prefetto di Udine il 23 giugno 1943 con la
motivazione di contrasti interni. Tale gestione commissariale cessa solo con la Liberazione.
In generale per tenere inquadrate le latterie entro il quadro politico determinato dai partiti
di governo è sufficiente far intervenire all’assemblea il podestà o il sindaco o qualche
funzionario delle organizzazioni agricole.
Oppure, più tardi, durante la prima repubblica, il consigliere regionale di maggioranza
eletto nella zona. Ci sono del resto questioni di potere anche dietro il fatto che si è
sviluppata una ampia letteratura sulla nascita delle cooperative e delle latterie sociali,
mentre molto meno si è scritto della crisi delle latterie che ha portato alla loro chiusura.
Infatti tacere su questi aspetti era necessario per non urtare le rappresentazioni più retoriche
e più correnti della ruralità e della sua sopravvivenza più o meno artificiosa.
Eppure i materiali non mancano. Essi sono costituiti dai verbali di queste latterie (delle
assemblee, dei consigli di amministrazione, dei sindaci) che sono sempre piuttosto
essenziali, quasi aridi: rappresentano la prosa corrente e a volte stentata delle persone
non colte che li redigono: i segretari delle latterie stesse, naturalmente meno istruiti dei
segretari comunali .
Dietro questi verbali si intendono i tempi diversi in cui furono scritti e lo sforzo di adeguarsi
a chi ha il potere, ma si individuano anche le diverse realtà di paese. Campagna rappresenta
una piccola comunità rurale, che vive piuttosto staccata dal capoluogo di Maniago e
raccolta intorno alla sua chiesa, identificandosi in modo esaustivo nella sua liturgia e nel
“La Patria del Friuli”, 10 giugno 1907.
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sacerdote che amministra il gregge affidatogli. In altri casi ciò potrebbe suonare retorico,
in questo caso no. Cavasso appare più politicizzata rispetto a Campagna.
A Cavasso si comprende facilmente che tra le due guerre e poi fino al 1944 un compatto
gruppo di elementi fascisti domina la situazione del comune, ma non certo fino al punto
di controllare i contrasti tra l’Alta Villa e la Bassa Villa che si sviluppano in un paese
costruito lungo una strada, con due diversi centri di aggregazione.
Piuttosto attiva risulta nella vita di Cavasso Nuovo la sezione locale dell’Associazione
Nazionale Combattenti che tra l’altro organizza la Befana fascista e offre il gagliardetto
alle Donne fasciste e Giovani Italiane: per questo gagliardetto la latteria Altavilla dà un
contributo di ₤ 10 l’otto maggio 1933.
Il presidente dell’Associazione Combattenti è G. B. Bier, pure gestore della Cooperativa
di Consumo e titolare di una licenza per la rivendita di sale e tabacchi nonché cassiere
della locale Opera Nazionale Balilla; come tale il primo gennaio 1934 firma una ricevuta
per ₤ 10 di contributo deliberato dalla latteria Altavilla. Molto attiva anche la locale
società sportiva che dedica particolari attenzioni alla squadra di calcio.
Il gruppo fascista locale impone il proprio stile di potere anche in latteria nei primi anni
della guerra, e anche durante l’occupazione tedesca, avendo in mano il comune, i nuovi
uffici del razionamento, il sindacato degli agricoltori.
Non per niente nel 1944 il partigianato esplicherà qualche duro intervento contro queste
persone: in quel momento esse rappresentavano un regime che aveva portato l’Italia nella
catastrofe della guerra e in tale drammatica contingenza aveva represso ogni violazione
delle severe regole degli ammassi, in un ambiente agricolo fatto di piccoli produttori di
una povera agricoltura di sussistenza . Dopo la guerra a Cavasso è la Coltivatori Diretti
bonomiana che assume un ruolo – all’ombra della parrocchia – di direzione del modo
di pensare dei contadini, ma senza una particolare efficacia sull’ambiente locale con
iniziative proprie. Altrove invece la Coltivatori Diretti ha più influenza perché è in grado
di gestire un rapporto capillare con i propri aderenti mediante iniziative economiche e
sindacali.
A Fanna, al di là delle vicende della latteria, prevalgono sempre le famiglie dei notabili
perché rappresentano la proprietà fondiaria “comoda” (qualche decina di ettari per
famiglia), esercitano le professioni di ingegnere, medico e avvocato, ricoprono le cariche
pubbliche, esprimono un consigliere provinciale (Alfonso Marchi) e anche un deputato
(Leo Girolami). A Fanna questo nucleo conservatore ha aderito o ha accettato il fascismo,
Non tutte le autorità locali hanno un atteggiamento di adesione ottusa al regime fascista e alle sue
direttive. In data 9 settembre 1942 il podestà di San Leonardo (UD) scrive al prefetto e alla SEPRAL per
comunicare che la precettazione del fieno impone un onere impossibile da sopportare per gli allevatori del
luogo, che se consegnassero la quantità del fieno stabilita dalle autorità dovrebbero tutti spogliarsi di uno
o più capi di bestiame, determinando una situazione insostenibile per coloro che hanno una sola vacca.
Il podestà dichiara che ci deve essere stato un errore nel calcolo della quantità di fieno spettante a San
Leonardo, ma comunque avverte che molti produttori hanno dichiarato di non conferire nulla.
Si veda: Archivio di Stato di Udine, Fondo Prefettura, Busta 34, fascicolo Alimentazione.
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non sempre esponendosi in prima persona o almeno senza una particolare vistosità.
Un caso a sé lo costituisce l’ing. Leo Girolami, attivo nel movimento cattolico con incarichi
di primo piano (membro del Consiglio d’Amministrazione de “L’Avvenire d’Italia”), poi
deputato della DC nel 1948 e promotore di primo piano dell’istituzione della provincia
di Pordenone.
Storicamente le condizioni di Arba devono essere state anche più misere di quelle di
Fanna e Cavasso, per la natura ingrata dei suoi terreni che ormai, discostandosi dalla linea
del piede delle colline, sono quelli dei magredi8 .
Arba, dal punto di vista del primo Novecento, è uno di quei comuni dove se si va a
controllare l’elenco dei caduti del conflitto 1915-18 ci si accorge che si tratta di un lungo
elenco di soldati semplici con qualche raro graduato.
Importanti nell’area anche le attività dell’alpeggio: un censimento delle malghe completato
agli inizi del ‘900 per conto della Cattedra Ambulante dell’Agricoltura di Udine aveva
riscontrato nella regione alpina tra il confine di Pontebba e la valle del Piave 267 malghe,
delle quali 53 nei distretti di Maniago e Spilimbergo: nel confronto tra le malghe delle
Prealpi Carniche da un lato e quelle della Carnia e Canal del Ferro dall’altro, le prime
sono quelle che risultano in condizioni peggiori.
Incidentalmente bisogna tener presente che nella zona montana del Friuli Occidentale i
malgari sono inizialmente piuttosto ostili alle latterie, viste come un fastidioso concorrente
nell’acquisizione del latte da trasformare e poi nella vendita dei latticini.
Il malgaro in effetti assume il ruolo di un piccolo capitalista, mentre i contadini con la
latteria vogliono diventare imprenditore collettivo della trasformazione della materia prima
costituita dal latte da loro prodotto, gestendo poi in proprio anche la commercializzazione
di burro e formaggio.
Se una caratteristica ha avuto la storia economica di Arba, Fanna e Cavasso negli ultimi
due secoli, essa consiste nel fatto che i patrimoni della nobiltà e della borghesia terriera
si sono dissolti: i Polcenigo, i Fabiani, i Faelli sono scomparsi (estinti o trasferiti) senza
lasciare dietro a sé neppure un inizio di accumulazione di capitali per le trasformazioni
moderne. Anche a Cavasso l’imprenditore di successo proveniente dal ceto popolare,
come Callisto Pontello, si è trasferito altrove: in questo caso a Firenze.
Un documento dogale del 1769 fa cenno alle “rurali istanze del povero Comune di Arba” che merita la
clemenza delle autorità in una vertenza con il vescovo di Concordia nella sua qualità di giurisdicente.
Gli arbesi avevano abbattuto un pezzo del muro difensivo per ricavare una modesta abitazione per il
cappellano e il vescovo era ricorso a Venezia. Ma questa lascia correre, raccomandando di non toccare
la Cortina del Castello. La comunità di Arba vive attorno al suo cappellano poichè non ha altro cui
appellarsi.
Si veda: “In Pregadi 23 novembre 1769”, in Codice Feudale della Serenissima Repubblica di Venezia.
Per li Figliuoli del Qu. Z. Antonio Pinelli, Stampatori Ducali, 1870 (ristampa anastatica, Bologna, Forni
Editore, 1970, pag. 214.).
Sergio Zilli, L’alpeggio nella montagna friulana negli ultimi due secoli, in: A.A.V.V., Atti del Convegno
- Meduno 6/7 ottobre 2000. Archeologia e risorse storico-ambientali nella Pedemontana e nelle Valli
del Friuli Occidentale, Sequals (PN), Grafiche Tielle, 2001, pag. 100.
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12. Il fascismo: presa del potere e fondazione del regime totalitario
Al fascismo che si è insediato al governo del Paese nel 1922 non manca il plauso del
tradizionale ceto di potere del Friuli e del Veneto.
La relazione del Consiglio d’Amministrazione della Cassa di Risparmio di Udine, datata
23 ottobre 1923 e relativa al decorso 1922 (Consiglio di Amministrazione di cui fa parte
un Giuliano di Caporiacco, ma anche un Giovanni Levi, nomi che danno una chiara idea
degli ambienti di provenienza), saluta con toni misurati, ma ottimistici l’andata al potere
del fascismo: “Sono prevalse le forze risanatrici e il ritorno alle sane concezioni della vita
economica indispensabili al risorgimento del Paese: [...] un senso di maggior fiducia ha
pervaso anche i mercati finanziari, per il manifestarsi, pur attraverso dolorose contrazioni,
di un graduale raccoglimento e riordinamento delle intraprese produttive concomitante
con una più ferma volontà dello Stato e degli enti locali di raggiungere l’assetto anche
nelle pubbliche finanze. Il miglioramento dei corsi dei fondi pubblici e privati è stato la
più evidente dimostrazione del miglioramento della situazione generale”.
Demolite da parte dei fascisti le leghe rosse e bianche, repressi i partiti di sinistra
riformisti o rivoluzionari minimalisti o massimalisti, imbrigliato il partito popolare, gli
amministratori di una importante banca possono tirare un sospiro di sollievo perché è
superata la paura sia del bolscevismo che di un governo progressista che intaccasse i
privilegi consolidati.
Ci si aspetta da parte loro una normalizzazione conservatrice, quindi un futuro che non si
allontani troppo dal trend usuale, consentendo con ciò l’ordinato sviluppo di quanto era
venuto crescendo sotto il vigile occhio dell’egemonia borghese consolidata di ispirazione
liberalconservatrice.
Di conseguenza con la presa del potere da parte del fascismo un movimento ampio e
articolato come quello delle latterie e delle cooperative in generale viene sottoposto
a un controllo rigido da parte dello stato totalitario, perdendo quindi le caratteristiche
originarie anche se una parte delle correnti liberali e democratiche si erano illuse che pur
sotto il governo fascista le associazioni cooperativistiche potessero sopravvivere con le
loro caratteristiche di autonomia e autoamministrazione.
Così si esprime un esponente del movimento cooperativo nel 1925 in occasione di una
inaugurazione di latteria: “E se la cooperazione è una scuola morale, le forme cooperative
non devono essere asservite a nessun partito politico, ed in esse tutti gli uomini di qualsiasi
partito, tutti gli uomini di qualsiasi volontà che sperano e lottano per una società migliore,
vi devono poter entrare. Ed io faccio l’augurio che mai e poi mai la passione di parte, o
una malintesa speculazione di partito, possa dividere gli animi di questa vostra istituzione,
che se troverà uomini saldi e di fede, potrà sfidare le insidie delle cose e del tempo per
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procedere sempre più in alto e sempre più avanti, per nuove conquiste e nuove mete”.
Ma il ceto liberal-conservatore non viene certo messo al bando od oscurato più di tanto
dal fascismo: l’Associazione Agraria Friulana nel 1925 celebra con molta solennità
l’ottantesimo anniversario della sua fondazione, quindi con tutti i crismi dell’ufficialità
anche sulla stampa locale, compresa la rivista “La Panarie” che si sottotitola “Rivista
Friulana Illustrata”. Però perché sia chiaro a tutti chi comanda, su un manuale degli anni
‘30 dedicato alle latterie e pubblicato dall’Ente Nazionale Fascista della Cooperazione
viene riportata con risalto una frase di Mussolini: “Milioni di organizzati sono inquadrati
nell’Ente e rappresentano una forza dal punto di vista dell’economia e dal punto di vista
della politica, poiché la cooperazione è fascista e non può essere che fascista...”.
Del resto tutta la retorica dell’agricolturismo e della ruralità non disturba l’impianto
propagandistico fascista, il quale può facilmente trasformare l’immagine del robusto
lavoratore dei campi nella figura del soldato conquistatore. In buona sostanza, nella
figurazione retorica, si trattava sempre di attività fisiche svolte all’aperto.
Il regime coopta più gente che può, ma in tutti gli enti economici l’interferenza degli
uomini del regime rappresenta ben presto la norma.
Non è quindi un fatto eccezionale quel che si verifica nell’assemblea della Banca Mutua
Popolare Cooperativa di Latisana il 27 febbraio 1928: il Presidente comunica con la
Relazione del Consiglio d’Amministrazione che il Direttore avv. Comm. Virgilio Tavani
era stato licenziato “d’accordo con il Fascio locale”. Chi ha in pugno tutto il potere stenta
a limitarsi agli interventi indiretti e diplomatici.
La risposta politica alle aspettative dei conservatori di orientamento liberale o cattolico
sarà rapida: il fascismo si è assunto l’onere di liquidare socialisti, cattolici democratici,
democratico-borghesi e comunisti per amministrare in prima persona. La pubblicistica
coeva si preoccupa di presentare in modo del tutto nuovo le usuali manifestazioni
espositive: “La Federazione Sindacati Fascisti degli Agricoltori di Udine presenta alla
Mostra, in due Stands a sé, i seguenti organismi: Federazione Agricola del Friuli, 37
Circoli e Consorzi Agrari, 18 Essiccatoi Cooperativi Bozzoli, 533 Latterie Sociali, 6
Consorzi Tabacchicultori, 3 Essiccatoi Consorziali Tabacchi, 9 Centri ammasso collettivo
frumento, 19 Centri ammasso e vendita collettiva delle uova, 24 Consorzi di moto-aratura.
In totale sono 650 Enti Agricoli Cooperativi, riuniti in seno alla Federazione Provinciale
Alfredo Ortali, Le latterie sociali e l’idea cooperativa nella piccola proprietà agricola, Cividale, Tip.
Fratelli Stagni, 1925. Discorso pronunciato in occasione della inaugurazione dei locali della Latteria
Sociale di Cividale.
“La Panarie”, Anno II, n. 7, gennaio-febbraio 1925.
Nell’articolo “Terra madre”, che si riferisce all’anniversario della fondazione dell’Associazione Agraria
Friulana, si fondono i motivi friulanisti con i motivi nazionali: quindi il Friuli come Piccola Patria che si
è ricavata una nicchia nella grande Patria Italia.
Roberto Meneghetti, “La Banca Mutua Popolare Cooperativa di Latisana dal 1919 al 1939”, in Storia
Contemporanea del Friuli, Anno XII, n. 13, Udine, IFSML, 1982.
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Sindacati Fascisti Agricoltori che ne controlla, coordina e disciplina le attività”.
Anche se bisogna aggiungere che nel fascismo è presente una linea di modernizzazione
che qualche verità la dice, almeno nelle questioni settoriali.
Se ne incarica l’ing. Napoleone Aprilis: “Le Latterie Friulane, altro mirabile esempio di
Ente Economico Agricolo, hanno ormai raggiunto, secondo il nostro avviso, gli scopi
che si erano prefissi allorquando furono istituite. Ma oggi, per varie cause, molte di esse
si trovano in crisi, il formaggio prodotto, esuberante ai bisogni delle famiglie dei soci,
spesse volte incontra difficoltà ad essere venduto o viene esitato a prezzi eccessivamente
bassi tutt’altro che remunerativi. [...] Ma per parecchie latterie, purtroppo, la necessità di
rimediare alla crisi che le travaglia, si presenta oggi urgente e indilazionabile, né si possono
attendere gli effetti che potranno discendere dalla migliorata tecnica della produzione o
della coordinata vendita dei prodotti. Vogliamo alludere, tra l’altro, alle Latterie della
Carnia per le quali, d’accordo con le Autorità Politiche locali e con i principali esponenti
dell’agricoltura della zona, stiamo concretando quella che, secondo noi, è l’unica soluzione
di immediato effetto utilitario: la vendita diretta del latte, dopo opportuni trattamenti, nei
grossi centri di consumo, soprattutto a Trieste”.
Il regime fascista si assicura il controllo e la direzione del movimento cooperativo attraverso
l’Ente Nazionale Fascista della Cooperazione con le sue diramazioni provinciali.
A Udine ci si preoccupa anche di costruire una casa della Cooperazione, in Viale Ledra,
appena fuori del centro storico, per conseguire una immagine di prestigio con un edificio
caratterizzato da una architettura moderna, di stile razionale. Ma soprattutto ci si preoccupa
di dare direttive, qualche volta modernizzanti, intese a promuovere una sistemazione delle
aspirazioni del mondo del lavoro che socialisti e cattolici avevano portato avanti con le
loro leghe.
Su questa linea l’Ente Nazionale Fascista della Cooperazione sollecita le latterie a
costituire tra loro gruppi formati da sei società, in modo da assumere solidalmente un
“casaro di turno”, il quale, lavorando a rotazione nelle sei latterie associate, assicurasse al
casaro titolare il riposo settimanale ormai acquisito dagli altri lavoratori dipendenti.
Peraltro la linea della modernizzazione fatta propria dal regime fascista si esprime
principalmente nel campo della bonifica, mentre alcuni segni importanti della cultura che
ha aderito al fascismo si manifestano nel campo dell’architettura a Torviscosa, a Udine,
a Pordenone.
Nel 1928 viene istituito il Consorzio di Bonifica Idraulica Bassa Friulana che dopo l’entrata
in vigore della legislazione sulla bonifica integrale (R.D. 13 febbraio 1933) diventa
Federazione Sindacati Fascisti Agricoltori per la Provincia di Udine, La rassegna degli organismi
cooperativi agricoli in Friuli, Udine, Stabilimento Tipografico Friulano, 1929, pag. 7.
Federazione Sindacati Fascisti Agricoltori per la Provincia di Udine, La nostra attività, relazione
svolta dal Presidente Ing. Napoleone Aprilis nella riunione del 30 ottobre 1929 per l’insediamento del
Comitato di Presidenza e della Commissione Consultiva.
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Consorzio di secondo grado per la trasformazione fondiaria della Bassa Friulana.
Nel 1929 viene costituito con decreto prefettizio il Consorzio Irriguo Cellina Meduna che
nel 1934 diventa Consorzio di Bonifica.
Altri minori consorzi di bonifica, di miglioramento fondiario nonché idraulici di terza
categoria sorgono tra Tagliamento e Judrio, interessando con i loro comprensori le
colline dell’anfiteatro morenico. La progettazione che scaturisce da questi consorzi si
pone finalità strategiche di ampio sviluppo, anche con l’uso idroelettrico dei fiumi e corsi
d’acqua dell’area del Nord Est.
A circa tre decenni di distanza dalla fase pionieristica nella quale partono le latterie
sociali dell’arco alpino, dopo i dibattiti che si erano riflessi nei convegni e nelle mostre
di Udine e di Treviso, dopo il riassestamento economico seguito al conflitto 1915-18, la
potenzialità del settore zootecnico-caseario si presenta sufficientemente delineata in Italia
nel 1930: l’Italia è tuttora agli ultimi posti in Europa nel numero di bovini per chilometro
quadrato e soprattutto per ogni cento abitanti. Comunque l’allevamento di bovini da latte
era in aumento, come era anche in aumento il consumo di latte alimentare.
L’industria casearia è poco presente nell’Italia meridionale, dove peraltro non mancano
i formaggi tipici; essa raggiunge il massimo sviluppo in Lombardia e in Emilia con il
precipuo aspetto dei grandi impianti privati (Società Polenghi-Lombardo con sede in
Lodi, Società Anonima Industria del Latte con sede in Milano, etc.) attrezzati anche per
l’esportazione, mentre nell’arco alpino, quindi nel Veneto-Friuli, prevale di gran lunga la
latteria sociale.
Anche l’industria che produce attrezzature per il settore caseario ha raggiunto un notevole
sviluppo (Ditta Sordi di Lodi, Società Alfa Laval di Milano, Ditta Ing. Bazzi e C. di
Milano, Società Frau di Thiene, Rigamonti e C. di Milano, Scipen di Parma, C. Canepa e
C. di Milano) e di essa ci dà conto la pubblicità che appare in riviste e giornali in quegli
anni.
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13. Le prime latterie: Collina (Forni Avoltri), Fanna, Maniago
Con il 1880 comincia la grande crisi agraria provocata dalla importazione del grano
americano, ucraino e romeno: sono le terre nuove che entrano in competizione con le
esauste terre europee occidentali, deprimendone i prezzi e i ricavi. Viene costituita in
quell’anno la prima latteria sociale a Collina, nel comune di Forni Avoltri, per iniziativa
del maestro elementare Eugenio de Caneva, dopo una gita compiuta con amici nel vicino
Cadore dove dal 1875-76 funzionavano alcune latterie sociali, seppur in forma alquanto
primitiva.
La letteratura storica sulle latterie ci segnala quindi la loro presenza in Cadore e il loro trapianto
in Friuli dal 1880 con preferenza nelle zone montane e pedemontane dove prevale la piccola
proprietà e la conduzione familiare dei fondi, da cui discende una agricoltura di sussistenza che
sopravvive con gli introiti dell’emigrazione. Meno la latteria si afferma nella Bassa Friulana e
nella Bassa Pordenonese in cui prevale la conduzione a mezzadria o a salariati con la caratteristica di gestioni aziendali che mirano di più alla produzione per il mercato. Non a caso in questo
ambiente nasce quello che si chiamerà poi Consorzio Latterie Friulane nel quale confluiscono
come dirette conferenti le grandi aziende, anche in conflitto di punti di vista e di interessi con
le latterie. Si ricorda a tal proposito una vivace vertenza nella zona udinese negli anni ‘50.
Resta da indagare il rapporto tra le latterie e i proprietari di fondi condotti a mezzadria.
Il rapporto è stato talvolta conflittuale come nel caso della latteria di Tamai di Brugnera che
rifiuta ripetutamente la domanda di ammissione di due concedenti, pur accettando i relativi
mezzadri come conferenti e come soci.
L’area geografica pedemontana
Maniago, Fanna, Cavasso Nuovo, Arba e Vivaro costituiscono un’area fisicamente
omogenea, in definitiva a forma di triangolo rovesciato dove i monti delle Prealpi Carniche
formano la base dai cui estremi partono i torrenti Cellina e Meduna per convergere a Sud
del Casale Zoppa, nelle grave del Zellina, come scrivevano i vecchi cartografi. Negli
ultimi decenni dell’Ottocento la questione più impegnativa per le amministrazioni locali
è quella della costruzione dei due ponti sui torrenti medesimi, rispettivamente al Luogo
del Giulio e a Colle, per superare la precarietà dei guadi. In periodi di piena la zona può
restare isolata per diversi giorni.
Cesare Grinovero, L’evoluzione dell’agricoltura friulana. Monografia economico-agraria, Udine, Del
Bianco, 1967, pag. 76.
Cesare Grinovero partecipa alla costituzione del Consorzio di bonifica Cellina Meduna redigendo la relazione economico-agraria compresa nel progetto generale di massima. Nel 1950 Grinovero collabora per
la formulazione del Piano del Lavoro della CGIL.
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Qualche forma di collaborazione tra i comuni si istituisce localmente nel 1880. I comuni
di Maniago, Fanna, Cavasso Nuovo, Arba e Vivaro costituiscono un consorzio per la
riscossione del dazio consumo per il successivo quinquennio.
Il problema del progresso agricolo è vivamente percepito anche nella zona, diventando un
problema rilevante anche per gli amministratori che cercano di incentivarlo: una decisione
importante viene presa dal Consiglio Comunale di Fanna il 13 giugno 1880 con l’acquisto
di un torello svizzero in società col comune di Cavasso Nuovo per il miglioramento
dell’allevamento bovino.
Pur con tutte le preoccupazioni per i nuovi ponti, per il miglioramento della viabilità e
per le arginature dei rughi, l’agricoltura forma oggetto di una cura costante: il 22 gennaio
1882 il Consiglio Comunale di Fanna delibera di aggiungere nel regolamento di Polizia
Rurale un articolo che obbliga la guardia campestre a denunciare al Sindaco qualsiasi
caso riscontrato di malattia delle piante. Ma la svolta in paese la si ha con la costituzione
della latteria sociale. Infatti, sempre nell’anno 1882, viene costituita la latteria sociale di
Fanna con presidente l’avv. Alfonso Marchi, già volontario con Giuseppe Garibaldi nel
1860 e nel 1866, in seguito sindaco del medesimo paese.
Ad Alfonso Marchi va anche il merito di avere costantemente fornito alla Società Alpina
Friulana (SAF) le informazioni utili per condurre le ricerche sulle latterie che vengono
pubblicate nella Cronaca annuale.
Per questo conosciamo tutti i dettagli del caseificio di Fanna: la latteria viene aperta il 22
dicembre 1883 in un locale ampio e pulito situato al centro di Fanna.
Si registrano 84 soci che conferiscono in latteria 850 chili di latte al giorno. Il burro
risulta di prima qualità e viene spedito in una quantità di oltre 100 chili per settimana
direttamente in Alessandria d’Egitto.
Il primo casaro viene inviato dalla Regia Scuola di Caseificio e Zootecnia di Reggio Emilia.
Inoltre la latteria ha anche un porcile con una scrofa pregna purosangue Yorkshire.
L’anno successivo i soci sono ben 112: il gruppo dei soci conta 200 vacche da latte,
mentre i non soci ne possiedono 60. Il totale del latte conferito risulta essere di 184.412
chili: vengono prodotti 1.739 chili di burro, 14.586 chili di formaggio e venduti 12.000
chili di latte per usi domestici.
Anche negli altri comuni ci si muove, pur in mezzo a tante difficoltà, poiché le condizioni
sanitarie della popolazione sono sovente precarie. Nel 1883 a Erto si manifesta una
epidemia di difterite e di vaiolo, che impone la temporanea chiusura della latteria per
evitare il diffondersi del contagio.
Nel 1883 opera a Maniago una latteria sociale presieduta dal conte cavalier Carlo di
Maniago e diretta dal dott. Domenico Centazzo: all’inizio dell’anno i soci sono 22 per
aumentare a 36: nel 1884 diventano 51, segnalando con ciò una azione progrediente di
consenso.
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Nel corso di tutto l’anno vengono portati al caseificio 83.600 chili di latte: 1.100 chili
vengono venduti per il consumo, il resto viene lavorato per produrre formaggio tipo
Maniago, come viene definito, cioè una imitazione dei formaggi prodotti nelle malghe di
Vezzeno del Tirolo.
Inoltre si produce burro e ricotta. Di questa latteria di Maniago danno ampia informazione
Luigi Perissutti e GioAndrea Ronchi nella Cronaca del 1883 Anno III della Società Alpina
Friulana in una loro relazione sullo stato generale delle latterie stesa nel 1884.
Questi due autori, prendendo atto che le latterie sociali in Friuli sono ormai 21, sottolineano
la necessità dell’unione delle latterie stesse almeno per lo smercio del burro, per arrivare
alle piazze più importanti spuntando prezzi più favorevoli.
Dalla relazione Perissutti-Ronchi si desume che la latteria sociale non è nei fatti solo
sinonimo di solidarietà, ma è anche l’occasione per rompere con la regola “così faceva
mio nonno”, il metodo dell’empirismo tradizionale che dava tuttavia una certa sicurezza
al contadino. Infatti man mano che sorgono, le latterie adottano gli strumenti e i metodi
più aggiornati per la lavorazione del latte, mentre riviste e giornali presentano una vasta
pubblicità per tutti gli strumenti più moderni del caseificio. Quindi, come affermano i
due autori, far propaganda per estendere le latterie vuol dire compiere opera di autentico
apostolato.
Nel 1883 il Ministero di Agricoltura e Commercio invia a Tolmezzo il professor Carlo
Besana della Regia Stazione di Caseificio di Lodi per tenere alcune conferenze sulla
miglior fabbricazione dei latticini.
Nel 1884, nel quadro di una continua espansione del movimento cooperativo, cominciano
a sorgere le Casse Rurali patrocinate da Leone Wollemborg.
Il 14 maggio del 1885 si aprono a Udine la Mostra e il Congresso delle latterie con ampia
partecipazione veneta e in particolare bellunese: tra gli altri vengono premiati i casari di
Maniago e di Fanna, Abele Giongo e Francesco Fancini.
Al congresso viene proposta la costituzione di una associazione delle latterie per facilitare
l’accesso al mercato dei prodotti caseari. Al congresso di Udine è anche presente Leone
Wollemborg il quale propone che le latterie assumano una forma di società cooperative
in nome collettivo.
La Regia Stazione di Caseificio di Lodi si è costituita nel 1877, in seguito diventerà Istituto sperimentale
autonomo consorziale di Caseificio di Lodi con regio decreto di legge del 20 novembre 1919, convertito
in legge il 23 marzo 1922.
Leone Wollemborg(1859-1932) è un economista e uomo politico di Padova: deputato e senatore si dedicò
alla diffusione delle casse rurali Raiffeisen, fondò e diresse il periodico “La cooperazione rurale”.
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Dopo il congresso viene incaricata l’Associazione Agraria Friulana di nominare una
commissione per compilare uno statuto modello per le latterie sulla base dell’idea di una
Società Cooperativa a responsabilità solidale illimitata. Ma poi in pratica la maggioranza
delle latterie respinse l’impostazione che prevedeva la responsabilità illimitata scegliendo
la formula della responsabilità limitata che esponeva meno il singolo socio con il suo
patrimonio.
Il criterio della responsabilità illimitata aveva però il pregio di impegnare al massimo
ogni singolo socio a seguire e controllare la gestione della cooperativa, elevando anche la
sua capacità di attingere al credito.
Complessivamente si deve constatare che intorno al movimento cooperativo emergono
alcune idee di collaborazione con le minoranze nazionali (lo spirito filantropico porta
la SAF ad auspicare che le latterie sociali si diffondano anche nei “paesi slavi della
nostra Provincia”, ovvero nelle Valli del Natisone dove è molto diffusa la pastorizia)
e naturalmente anche nell’impostazione aziendale (nella cronaca della SAF del 1884 il
grande proprietario Domenico Pecile propone, accanto alla latteria, la stalla sociale per
l’allevamento artificiale dei vitelli).
La SAF dal canto suo propone l’istituzione di un osservatorio sperimentale di caseificio
in Friuli.
GLI EDIFICI DELLA LATTERIA DI FANNA
La latteria di Fanna si insedia in un edificio nella particella catastale 954 (allora si denominava
mappale) di proprietà prima di Vincenzo Fabiani, poi di sua moglie Maria Centazzo, come si
evince dalla consultazione dei libri dei possessori del Comune Censuario di Fanna del cessato
catasto 1850-1956. L’area è posta lungo la Strada Comunale della Mizza che parte dal lato nord
della chiesa parrocchiale per sfociare poi di fronte al rugo Mizza. È ben visibile nelle mappe
napoleoniche e nelle mappe che corredano il catasto austriaco.
All’epoca la vasta area compresa fra la Strada Comunale della Mizza, Contrada Fabiani e il rugo
Mizza è occupata da edifici solo nell’angolo sud-est, pur essendo la zona centrale del paese.
Dopo l’insediamento della latteria si susseguono una serie di frazionamenti delle proprietà, di
compravendite e tutt’intorno a quest’area sorgerà una serie di edifici addossati uno all’altro.
Nel 1884 Alfonso Marchi fu Luigi acquista tutto il mappale 954 e nel 1887 si procederà a
vari frazionamenti. In seguito al rilievo della lustrazione territoriale dell’anno 1887, in pratica
un aggiornamento catastale, per la prima volta troviamo censito a catasto un fabbricato a uso
latteria. La proprietà passa nel 1893 a Carlo Plateo fu Giovanni Maria e viene ormai censita
nel catasto urbano, poi passa a Gio Batta Mion fu Natale; resterà proprietà di Natale Mion
fu Giobatta fino al 1958.Il trasloco della latteria in via Montelieto avverrà nel 1898 (atto del
notaio Mazzoleni di Udine istrumento 4 luglio 1898 n. 6023/7527). La via Montelieto (ex
contrada Fabiani) nel lato nord, successivamente anche nel lato sud, è tutta proprietà della
famiglia Marchi (mappali 4102 e 4099).
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Qui nel 1903 si procede a una demolizione di fabbricato e nel 1906 a una nuova costruzione sul
mappale 4102. Quindi la latteria si sposta in via Montelieto dal mappale 4102 al mappale 4099.
Questi edifici della ex latteria (prima del trasferimento nella sua ultima sede in Borgo Toffoli)
diventeranno proprietà di Carlo e Sergio Mazzoli fu Virginio fino al 1962.
Nel 1888 ha luogo a Treviso il Congresso Veneto delle latterie sociali con numerosa
partecipazione delle latterie friulane.
Domenico Pecile, nel settembre 1889, rappresenta l’Associazione agraria friulana al
Congresso agrario regionale di Verona, riferendo sui bilanci di attività delle latterie sociali
di Fagagna, San Daniele, Tricesimo e Fanna, le quali apparivano associazioni semplici e
pratiche.
Quindi Fanna non solo risulta tra le prime latterie funzionanti in Friuli, ma anche
come meritevole di citazione. Solo che poco tempo dopo “per eccezionali disgraziate
circostanze” cessò di funzionare.
Nel 1891 si costituisce a Meduno la “Cassa Rurale di prestiti di Medun”: promotore è
il perito Mattia D’Andrea. Tra i fondatori figurano il sindaco e il parroco. Il D’Andrea
dal 1884 sedeva tra i banchi del Consiglio Provinciale aderendo alla sinistra radicale e
divenendo in seguito il punto di riferimento per varie iniziative cooperativistiche.
A Meduno la latteria sociale viene istituita solo dopo la prima guerra mondiale.
Dal 20 al 25 aprile 1901 si tiene a Udine il III Congresso Nazionale delle Latterie Sociali
Cooperative, significativo atto di riconoscimento per l’affermazione della cooperazione
agricola del Friuli.
Un successivo riferimento allo sviluppo delle latterie lo troviamo in una pubblicazione
che illustra l’Esposizione Regionale di Udine. Questa si tiene nell’agosto/settembre 1903:
rappresenta una occasione per fare il punto della vita economica friulana e per illustrare le
sue possibilità di sviluppo, considerate ottimisticamente dai contemporanei in una fase di
espansione economica nel contesto del riformismo giolittiano, che in un secondo tempo
sarà preso di mira sia dalla cultura di destra che da quella di sinistra.
L’agricoltura friulana appare agli organizzatori dell’Esposizione adatta a un sistema
agrario estensivo, ma con aspetti significativi di progresso agronomico sostenuti
dall’amministrazione provinciale e dalla Associazione Agraria Friulana, che ha fondato un
comitato per gli acquisti collettivi (125.000 quintali di merci per circa due milioni di lire)
Paola Ferraris, Domenico Pecile. Modernizzazione agricola e cooperazione rurale in Friuli tra Otto e
Novecento, Udine, La Nuova Base, pag. 130. L’autrice trae tale citazione da “L’opera dell’Associazione
Agraria Friulana”, fondata nel 1846 e riconosciuta come ente di pubblica utilità nel 1873 con la finalità
di risolvere i complessi problemi dell’agricoltura friulana.
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per liberare gli agricoltori dalla speculazione commerciale.
Viene segnalato come indice del progresso agricolo l’aumento del consumo dei concimi
chimici: nel 1887 il comitato aveva acquistato 3.200 quintali di concimi, mentre nel 1902
la stessa voce saliva a 126.215 quintali. Le latterie sociali ormai sono diventate130, senza
contare quelle turnarie: “[...] fra qualche anno non vi sarà villaggio senza il suo caseificio
sociale. L’industria del latte rende al Friuli più di tre milioni di lire l’anno”.
Tra le esportazioni figurano naturalmente bovini, formaggio, frumento e foraggi, ma
anche frutta: castagne e ciliegie di Tarcento, ancora castagne del distretto di San Pietro
al Natisone, pere e mele di Fanna, pesche di Latisana. Mentre è evidente che larga parte
della cooperazione agricola, nelle sue varie forme. si sviluppa sotto l’egemonia liberale
dell’Associazione agraria friulana, si fa sentire anche il movimento cattolico, diretto dal
Comitato Diocesano dell’Opera dei Congressi che ha costituito 19 società operaie di mutuo
soccorso riunite in Federazione avente sede in Udine, 22 Casse Rurali anch’esse riunite
in Federzione, otto società cooperative, due Casse operaie, due unioni professionali, otto
latterie sociali, quattro assicurazioni bovini, una scuola professionale di disegno, una banca,
due circoli democratici cristiani, due circoli, un Gabinetto di lettura, un Segretariato del
popolo. Un insieme quindi di aggregazioni sociali e culturali di orientamento cattolico
che dunque era soltanto in attesa del momento favorevole per diventare partito politico
e giocare da terzo polo tra liberali e socialisti. La riforma elettorale giolittiana avvicinerà
questo momento, ma solo le condizioni politiche del 1919 renderanno attuabile il partito,
sotto la guida di Don Sturzo.
Ancora minotario rispetto all’agricoltura, il settore industriale ha già fatto la sua comparsa:
industrie tessili a Pordenone e a Udine, stabilimenti metallurgici a Udine, poi industrie varie
(alcune legate all’agricoltura come le filande) in tutta la provincia.
La prospettiva peraltro viene vista, giustamente, nello sfruttamento delle forze idrauliche
distribuite nel grande arco alpino che fa da corona alla pianura friulana.
Nel 1903 la Cattedra Ambulante di Agricoltura della Provincia (emanazione
dell’Associazione Agraria Friulana ancora dal 1900) nomina nella persona del prof.
Enore Tosi un titolare di Sezione Speciale o Ispettorato per il Caseificio, destinato alla
propaganda tecnica e all’assistenza legale e amministrativa delle latterie già esistenti. Le
latterie quindi erano molto seguite dall’alto. Questi tecnici non potevano non essere in
sintonia con l’Associazione Agraria Friulana e con la possidenza liberale. Sotto il fascismo
questo ambiente tecnico si allinea con il regime e in genere applica i suoi programmi e le
sue direttive.
Dopo il 1945 la DC si sostituisce all’egemonia liberale attraverso la rappresentanza
parlamentare, la Federazione dei Coltivatori Diretti, e il Sindacato dei tecnici caseari e
Gualtiero Valentinis, In Friuli. Guida compilata dal dott. Gualtiero Valentinis, Udine, Fratelli Tosolini
Editori, 1903.
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l’amministrazione dei Consorzi Agrari.
Con la Regione, per i poteri di cui questa è titolare e per la ampliata spesa pubblica che
governa, la DC rafforza il suo controllo politico sulle campagne. Dei tecnici agrari solo
qualcuno come il dott. Silvino Braidot non era strettamente catalogabile con chi accettava
pedissequamente l’egemonia politica di turno.
Nel 1905 iniziano i corsi teorico-pratici di caseificio per la montagna presso la latteriascuola del Regio Osservatorio di Caseificio di Piano d’Arta, che in pratica dà il diploma
di casaro.
Alla vigilia della guerra 1914-18 le latterie sociali in Friuli erano 320.
Già durante il conflitto 1914-18 sia le nazioni belligeranti che quelle neutrali dovettero
prendere misure nel campo annonario. In Italia, con decreto 2 agosto 1916 n. 926, venne
creato il servizio per gli approvvigionamenti e consumi, eretto poi a commissariato con
decreto 16 gennaio 1917 n. 76 e infine a ministero con il successivo decreto 22 maggio
1918 n. 702: questi organi pubblicavano un Bollettino dei consumi che aveva carattere
ufficiale. Il provvedimento più pesante per l’economia agricola durante la guerra fu
quello della sistematica requisizione di bestiame bovino imposta dal grande fabbisogno
dell’esercito.
Tra eventi bellici e provvedimenti di requisizione, il settore lattiero-caseario fu quello
che subì i maggiori danni (si può affermare che li subì anche prima dell’invasione poiché
bisognava consegnare il latte agli ospedali militari). Poi sopravvennero le spogliazioni
operate durante l’occupazione austroungarica del 1917-18.
Alla fine ben 110 latterie risultarono molto danneggiate (impianti distrutti e locali
danneggiati), 120 meno danneggiate e 91, quasi tutte in montagna, poco danneggiate
perché essendo lontane dai fronti di guerra subirono meno requisizioni. Soltanto una
ventina di latterie funzionavano al momento della liberazione, mentre il patrimonio
bovino da 200.000 capi risultò ridotto al 10%.
Silvino Braidot (1899-1974), laureato nel 1923 in Scienze Agrarie presso la Scuola Superiore di
Agricoltura di Milano, è direttore della Scuola di Caseificio di San Vito al Tagliamento, funzionario
prima della Cattedra Ambulante di Agricoltura e poi dell’Ispettorato Provinciale dell’Agricoltura di
Udine. Di orientamento antifascista, processato nel 1941 dal Tribunale Speciale per la difesa dello Stato
e condannato a cinque anni di reclusione per “disfattismo”. Non era riuscito evidentemente a nascondere
la sua contrarietà alla guerra. Svolse il ruolo di massimo esperto in Friuli del settore caseario, per alcuni
decenni tessendo stretti rapporti con la rete delle latterie e con i casari che si erano diplomati sotto di lui,
ma anche con il mondo sindacale agricolo, tenendo conferenze e riunioni, conducendo ispezioni sulla
lavorazione del latte quando la sua presenza veniva richiesta. Pubblicò molti scritti, i principali elencati
in: “Tiere Furlane/Terra Furlana”, Rivista di Cultura del Territorio, marzo 2010, Anno 2, numero 1.
Riccardo Bachi, L’alimentazione e la politica annonaria in Italia, Bari, Laterza, 1926
Cesare Grinovero, L’evoluzione dell’agricoltura friulana. Monografia economico-agraria, Udine, Del
Bianco, 1969, pagg. 78-79.
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14. Un caseificio privato al posto della latteria sociale
La gestione della latteria di Fanna viene assunta dall’ing. Domenico Margarita
Secondo una notizia riportata in una pubblicazione dell’Associazione Agraria Friulana,
che dà costantemente conto delle vicende della cooperazione agricola, la latteria sociale
di Fanna aveva cessato di funzionare poco dopo il 1890. Con tutta probabilità il gruppo
dei notabili locali (professionisti, possidenti medi e piccoli che fanno lavorare la terra
con contratti d’affitto) ha fatto un passo indietro, lasciando spazio a un imprenditore che
opera nella zona pedemontana, l’ing. Domenico Margarita di Travesio.
L’ing. Margarita, che dopo la laurea è andato in Olanda a studiare la tecnica di costruzione
delle dighe, assume il ruolo di pioniere dell’industria idroelettrica, ricorrendo anche al
risparmio locale, facendo proprio dell’energia elettrica il fattore dello sviluppo e della
modernità applicandola a latterie e molini: la sua prima realizzazione consiste in uno
sbarramento a valle del lago del Tul, costituendo la Società del Tul e assumendo la
gestione di alcune latterie e di alcuni molini. Non è chiaro come a Fanna sia avvenuto
il passaggio dalla latteria sociale alla latteria privata. Si deve comunque supporre che
l’attività della latteria si sia interrotta poi durante l’invasione austro-ungarica del 191718, quando il patrimonio bovino venne asportato quasi nella sua totalità dagli occupanti
austro-ungarici. Comunque esiste una lettera firmata dall’ing. Domenico Margarita
proprio dell’ottobre 1920 rivolta ai produttori di latte di Fanna per comunicare loro che la
“vecchia latteria” verrà riaperta, invitandoli quindi a conferire il loro latte a una gestione
che riprende – si deve interpretare – dopo la ricostruzione del patrimonio bovino che
richiede naturalmente un certo tempo.
Il Margarita diplomaticamente ammette che nel periodo precedente può esserci stata
“qualche manchevolezza” giustificandola con le condizioni create dallo stato di guerra,
mentre in precedenza il caseificio di Fanna poteva venir considerato il più importante
e meglio organizzato della provincia. Ma il motivo della critica locale certamente non
riguardava l’impianto, piuttosto il rapporto tra conferenti e privato gestore della latteria,
ovvero lo stesso Margarita o i suoi probabili incaricati, persone del luogo che avevano un
L’opera dell’Associazione Agraria Friulana dal 1846 al 1900, Tip. Giuseppe Seitz, Udine, 1901, pag. 130.
La Società del Tul prende il nome da un piccolo lago situato ai piedi del Monte Ciaurlec, alimentato dal
torrente Cosa, che nasce in località Pradis di Sotto (Comune di Clauzetto) ed è affluente di destra del Tagliamento: la forte pendenza ha consentito di realizzare allo sbocco del lago uno dei primi sbarramenti ad
uso idroelettrico, sbarramento ancor oggi in funzione. Dopo il fallimento dell’ing. Margarita, la Società
del Tul resterà una piccola produttrice di energia elettrica con sede a Venezia e controllata dalla SADE
e ben conosciuta in zona per la vetustà dei suoi impianti che vennero rinnovati solo dall’Enel. Con la
sucessiva privatizzazione dell’ENEL è subentrata la Edisonpower SpA, società municipalizzata milanese
e bresciana che fa capo ad A2A ed è propritaria in Carnia delle Centrali di Somplago e di Luincis nonché
della centrale di Mulinars, sita sempre allo sbocco del Tul e tuttora attiva.
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rapporto diretto con i produttori di latte.
Infatti l’ing. Margarita vuole assicurare i produttori stessi, precisando le condizioni che a
essi saranno fatte:
– per ogni quintale di latte portato alla latteria ogni fornitore potrà ritirare kg. 9,300
di formaggio montasio fresco oppure kg 7,500 di formaggio montasio stagionato a tre
mesi;
– il burrò verrà fornito in quantità uguale al formaggio stagionato, con un aumento del
20%, comunque in quantità non superiore a un chilogrammo per quintale di latte;
– il siero verrà corrisposto gratuitamente e in proporzione al latte portato.
A coloro che intendono vendere il latte, la latteria lo pagherà in ragione di lire cento
al quintale, salvo le eventuali variazioni e aumenti che potranno essere apportati dal
mercato. Si largheggia addirittura in quanto a promesse: coloro che sono in debito verso
la latteria, portando il loro latte, otterranno la sospensione della riscossione per tutto il
1921 e sarà loro concesso di eseguire il pagamento del loro dare in parecchie rate nel
tempo successivo.
Inoltre, grazie a forti provviste di formaggio in corso di consegna (evidentemente presso
le altre latterie gestite dall’ing. Margarita), a partire dai primi mesi del 1921 i fornitori del
latte potranno ritirare il formaggio stagionato mano a mano che consegnano il loro latte.
Ma, nonostante queste ampie assicurazioni, la gestione privata risulterà criticata e
contestata, al punto che gli allevatori di Fanna torneranno dopo qualche anno a costituire
la latteria sociale.
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15. Tra le due guerre
La ricostruzione delle terre colpite dalla guerra non fu né facile né breve. Ma dopo ogni
catastrofe la vita riprende e così anche la tendenza al progresso. La modernizzazione del
Nord-Est tra le due guerre consiste in larga misura nel guadagnare a una agricoltura intensiva le vaste plaghe del Medio Friuli (in destra e sinistra Tagliamento) e di alcune zone
del Veneto (la parte nord del Trevigiano) costituite dalle alte pianure aride. Continuano
peraltro le bonifiche idrauliche delle terre basse (Bonifica delle Sette Sorelle nella Bassa
Portogruarese, Bonifica di San Michele in destra del Tagliamento.).
Altri interventi vengono realizzati in Istria (Bonifica delle Saline di Capodistria). A dirigere le bonifiche della Bassa Friulana e dell’Istria viene incaricato Cesare Mori, senatore
del regno, distaccato dalla Sicilia dove aveva avuto il torto di urtarsi con i livelli più alti
della mafia. Le pianure alte consistevano di terreni caratterizzati da un materasso ghiaioso ricoperto generalmente da uno strato di humus molto superficiale, in certe parti quasi
inesistente. Si trattava delle brughiere, frequenti anche in altre parti d’Europa.
Questi territori erano esposti permanentemente alla siccità che, se prolungata, comportava frequentemente la perdita del raccolto per le isole di arativo che nei secoli era stato
strappato alla brughiera intorno ai villaggi contadini, con molto sudore e con quel tanto di
concime organico di cui i contadini disponevano.
Anche se eseguita con contributi statali, la bonifica (in questi casi irrigua) lasciava a carico del proprietario un onere molto grave, non sostenibile per le aziende contadine dedite a
una agricoltura di sussistenza. Da ciò una ostilità iniziale piuttosto diffusa contro l’attività
consortile.
In seguito il consorzio si rese conto che bisognava cambiare le procedure (non far pagare
contributi consortili pur necessari per far fronte alle spese di progettazione prima dell’inizio dell’irrigazione e dei relativi benefici). Ma anche questo costò una dura lotta.
Tra le due guerre prende corpo una organizzazione consortile tra latterie e singoli agricoltori: nel 1934 sorge il Consorzio Produttori Latte della Bassa Friulana che poi diventerà
Consorzio Cooperativo delle latterie del Friuli, ottenendo l’adesione di un certo numero
di latterie (Rodeano Basso, Coseano, Dignano, Flaibano, San Vito di Fagagna, Sedegliano, Basiliano, Rivolto, Lestizza, Flambro, Mortegliano, Talmassons, Risano, Lauzacco).
Come è facile osservare, si tratta di latterie che sono tutte della Sinistra Tagliamento. Il
Consorzio inizialmente vende fuori provincia circa 150 ettolitri di latte al giorno a Grado,
Romans e Trieste. Durante la guerra 1940-45 il Consorzio diventa ente ammassatore per
il latte e i prodotti caseari.
Le latterie riescono a sopravvivere a due guerre mondiali che, oltre ai fattori bellici,
comportarono una profonda riorganizzazione dell’economia, nonché la necessità di una
59
mobilitazione psicologica e politica di tutta la popolazione, sia pure con esiti diversi nel
primo e nel secondo conflitto.
Tra le altre misure, già nella guerra 1914-18 (per l’Italia 1915-18) venne introdotto il
blocco dei contratti agrari e dei contratti di affitto delle abitazioni, al fine ovvio di rendere
meno visibili i contrasti sociali, ma i provvedimenti più incisivi, soprattutto per una
provincia agricola come il Friuli, furono quelli della requisizione e della precettazione
riguardanti produttori e detentori di grano, orzo, avena, fave, cereali, bovini, fibre tessili,
foraggi, formaggi, olio. Ma per il Friuli il fatto più carico di conseguenze fu l’occupazione
austro-ungarica del 1917-18.
Pur con la soppressione da parte del fascismo di istituzioni appartenenti all’area di
influenza degli avversari politici e il fallimento di altre per ragioni economiche, dopo il
1922 restava in piedi un vasto movimento cooperativo.
Nel 1927 troviamo in Friuli “485 latterie di cui 7 (sette) sono definite padronali, e quindi
sono di proprietà di qualche agrario oppure di qualche imprenditore. Le latterie private
rappresentano un numero esiguo di fronte al movimento generale. Ecco i titolari delle
latterie private:
1) ing. Margarita: latterie di Fanna, Meduno, Paludea (Castelnovo del Friuli);
2) sig. Cepile: latteria di Bicinicco;
3) conte Alvise Gozzi: latteria di Rivarotta (Pasiano di Pordenone);
4) Tilatti: latteria di Albana (Albana);
5) dott. R. Kechler: latteria di San Martino di Rivolto(Udine).”
Nello stesso periodo un’altra latteria privata viene aperta ad Azzano Decimo per iniziativa
dell’ing. Napoleone Aprilis, imprenditore agricolo con terreni in quel comune. Non
funzionò molto a lungo.
Nel 1926 viene fondata la Scuola di Caseificio del Friuli annessa all’Istituto FalconVial di San Vito al Tagliamento dove si tengono corsi teorico-pratici di caseificio. In
precedenza si tenevano corsi mobili in varie località.
Sempre nello stesso anno viene istituita la latteria a Colle (allora in comune di Cavasso
Nuovo, ora in comune di Arba): in precedenza i produttori di Colle conferivano il loro
latte alla latteria privata di Fanna.
Il 25 settembre 1926 si tiene l’assemblea degli agricoltori di Fanna per costituire una
nuova latteria cooperativa che tuteli i loro interessi dalla speculazione.
Il 18 agosto 1928 viene redatto un contratto privato tra il presidente della latteria di Fanna
e l’impresario Umberto Marus per la costruzione del caseificio (originariamente i soci
sono 181).
Il 15 settembre 1929 la latteria di Fanna si costituisce con atto notarile.
Cattedra Ambulante di Agricoltura per la Provincia di Udine, Elenco delle Latterie Sociali Friulane, Udine, Tipografia Giovanni Missio, 1927.
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Il 25 settembre viene redatto un contratto di fornitura di energia elettrica stipulato tra la
Società Pordenonese di Elettricità e il caseificio. Nel 1929 vengono censite 533 latterie
dalla Federazione Sindacati Fascisti degli Agricoltori di Udine.
Nel 1933 si procede alla cancellazione dell’ipoteca legale (tra Chiesa di San Martino e
latteria di Fanna) accesa per la cessione del terreno sul quale è edificata la latteria. Pur
nel clima chiuso del regime, le latterie esplicano un ruolo promozionale anche al di fuori
del compito strettamente istituzionale della lavorazione del latte perché rappresentano il
luogo di incontro di quasi tutte le famiglie del paese.
Nello stesso anno la latteria turnaria di Toppo (frazione di Meduno fino al 1928, poi
aggregata a Travesio) delibera di aumentare il tasso della lavorazione del latte (fino a £
2 al quintale) per costituire un fondo con cui pagare le annualità dovute dal Comune alla
Banca di Spilimbergo per un prestito pregresso: l’intervento della latteria ha lo scopo di
accelerare la costruzione dell’acquedotto che deve servire la frazione.
Tale anticipazione dovrà essere poi restituita in venti annualità con l’interesse del 4%.
Quando si tratta di questioni di generale interesse per una paese, un edificio di culto o
un’opera pubblica, la latteria è sempre attiva e presente, sollecitando e contribuendo.
Nel 1969-70 si svolge un carteggio tra la latteria di Cavasso Nuovo e il Comune per
sollecitare la sistemazione della strada di Runcis con relativo contributo regionale: questa
strada classificata comunale serve per alcuni soci della latteria che dalla borgata di Runcis
sovrastante il paese devono portare il loro latte al caseificio.
Tirando le somme nel 1936 non tutte le forme di cooperazione agricola hanno avuto
esiti positivi e un esperto delle questioni economiche, Vittorio Ronchi, lo rileva: “Le
cooperative per l’acquisto della piccola proprietà coltivatrice sono state molto propugnate
nel dopoguerra, specialmente da parte degli esponenti politici. I pochi casi però in cui
sono sorte non hanno dato buona prova, come sarà meglio illustrato più avanti.
La concezione teorica è buona, ma le difficoltà che la accompagnano sono assai gravi, per
cui la forma, come si vedrà, non appare consigliabile”.
LA LATTERIA DI CAVASSO NUOVO NEGLI ANNI ‘20 E ‘30
Nel 1910, per iniziativa di Antonio Mariutto, Raffaele Zanetti, del maestro Domenico Maraldo,
del parroco don Quattrini, viene fondata a Cavasso una società di allevatori allo scopo di istituire
una latteria. Gli aderenti furono una ottantina. Successivamente nello stesso anno, la prima
domenica di giugno si inaugura la latteria sociale con 160 soci e 245 mucche. Segretario è il
maestro Maraldo e casaro è Natale Fornasier da Rauscedo. La latteria è sistemata in una parte
Si veda: “La Patria del Friuli”, 15 gennaio 1910.
Delia Baselli, Top mal intopât, cença aga al è restât, Toppo di Travesio, Società Operaia di Mutuo
Soccorso, 2009.
Vittorio Ronchi, Inchiesta sulla piccola proprietà coltivatrice formatasi nel dopoguerra - Tre Venezie,
Roma, Istituto Nazionale di Economia Agraria, 1936, pag. 66.
61
del palazzo ex Polcenigo (un edificio risalente alla seconda metà del XVI secolo, denominato
Palazat, ora proprietà comunale). Si trattava di una sistemazione inadeguata, soprattutto dal
punto di vista igienico, tanto che nel 1927 si impose il suo abbandono. Ma i soci non trovarono
un accordo per la nuova collocazione al punto che si costituirono due latterie, seguendo la traccia
della antica divisione del paese in Alta Villa e Bassa Villa derivata dall’esistenza di due fazioni
paesane sulle quali giocava anche la morfologia di questo villaggio di strada costruito lungo un
antico tracciato che da Fanna portava all’imbocco della Val Tramontina.
Una latteria si denomina Latteria Sociale Altavilla, volendo evidentemente sottolineare la propria
volontà scissionista, l’altro ente si denomina più prudentemente Caseificio Sociale, confessando
forse la segreta speranza che i contrasti si sanassero.
Questo non accade e quindi si procede a costruire due edifici che con le relative attrezzature
vengono a costare non meno di 160.000 lire l’uno, obbligando i soci a sottoscivere impegni e
cambiali che richiederanno parecchi anni per essere estinti. In pratica i soci pagheranno con la
moneta svalutata della guerra. Inoltre, là dove si produceva il latte appena sufficiente a un caseificio,
si dovettero affrontare le spese di due diverse gestioni, pagando due casari e due contabili dove
sarebbe bastato un solo casaro e un solo contabile. Era questo il risultato di rivalità personali, di
reciproche diffidenze, di vecchi rancori tra clan familiari che avevano lontane origini. Nel 1936
si riuscirà a conseguire la riunione congiunta dei due consigli d’amministrazione che ebbe luogo
su territorio neutro, la sala dell’Albergo al Sole, sita in Piazza di Sopra, che così si distingueva
dall’altra piazza più vicina a Fanna e prospiciente il Palazat. I nomi ufficiali erano altri, ben più
solenni, Piazza Vittorio Emanuele II e Piazza Plebiscito, ma due richiami così autorevoli alle
decisive vicende risorgimentali non erano mai bastati a cancellare i toponimi originari nell’uso
corrente.
Per arrivare alla riunione pacificatrice (11 aprile 1936) era stato necessario l’intervento delle
autorità provinciali. La denominazione del nuovo ente è Latteria Sociale di Cavasso Nuovo.
Solo nel successivo 1937 si potrà tenere una regolare assemblea di tutti i soci per eleggere organismi
unitari (consiglieri, sindaci effettivi, sindaci supplenti, arbitri). Dopodiche la latteria ebbe una vita
normale, salvo qualche incidente amministrativo che appare di sfuggita nei documenti rimasti, ma
resta piuttosto saldo nella memoria locale.
Caratteristica della latteria di Cavasso è che la sua amministrazione e la sua gestione si trova
nelle mani di un gruppo piuttosto ristretto di famiglie, come risulta dai legami di parentela tra le
persone che si assumono via via nel tempo, gli incarichi più importanti. In data 13 aprile 1936
il presidente della Latteria Sociale Altavilla in una sua lettera all’interessato attesta che “il sig.
Calligaro Pietro di fu Domenico è stato alle dipendenze di questa società in qualità di segretariocontabile dal Novembre 1929 al 14 Aprile 1935/XIV”.
Negli anni successivi Calligaro Ernesto, figlio del Pietro sopra citato, ricoprirà a sua volta un
ruolo importante nella latteria, come si vedrà in seguito.
Mario di Michiel, La storia contemporanea, in Cavasso Nuovo Cjavàs-Storia Comunità Territorio,
Cavasso Nuovo, Areagrafica, 2008, pag. 125.
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LA LATTERIA DI CAMPAGNA NEGLI ANNI 30 E 40
La latteria di Campagna venne fondata nel 1924; la sua inaugurazione avviene il 12 ottobre alla
presenza dei massimi esponenti del mondo tecnico dell’agricoltura, prof. Tosi e dott. Mazzoli
Taic, titolare della Cattedra Ambulante dell’Agricoltura di Spilimbergo.
I verbali di Campagna di quel periodo rispecchiano la crisi che l’agricoltura attraversa.
L’assemblea dei soci della latteria dell’otto febbraio 1931 viene presieduta dal segretario della
Federazione Fascista dell’Agricoltura per la zona di Maniago ed è costui che fa le proposte per
il futuro della latteria e risponde alle domande dei soci, senza lasciare dubbi su chi comanda.
Ma neanche il regime può essere molto tranquillo: la crisi di alcune banche ha avuto ricadute
negative falcidiando il risparmio locale, mentre i prezzi agricoli calanti mettono in serie
difficoltà le aziende contadine.
All’inizio del 1931 la latteria di Campagna si trova alle prese con le conseguenze negative
della nota politica monetaria del regime che impone una riduzione di salari e stipendi su una
linea che era stata resa emblematica dalla famosa proclamazione della quota 90 (90 lire per una
sterlina) del discorso di Pesaro. Il contratto dei tecnici caseari ha già recepito il nuovo indirizzo
e quindi bisogna applicarlo. Però, d’acccordo con il segretario della della Federazione Fascista
Agricoltori per la zona di Maniago, la linea generale viene applicata con una attenuazione: il
salario del casaro viene ridotto solo del 10% perché risulta che il dipendente svolge con diligenza
il suo lavoro, mentre alla aiutante del casaro la paga viene portata da 80 a 90 lire al mese in
quanto si tratta di una povera vedova in stato di bisogno. Nemmeno lo stato totalitario riesce
a imporsi più di tanto sulle decisioni locali che eventualmente si orientano a una applicazione
attenuata delle direttive che apparivano troppo severe. Il burro della latteria agli inizi del 1931
viene venduto alla Cooperativa di Consumo di Maniago a Lire 12 il chilo.
Nella seduta consiliare del 20 aprile 1931, in seguito alla comunicazione dell’avvenuta
costituzione a Roma della Federazione Nazionale Fascista delle Cooperative fra Agricoltori,
il Consiglio delibera all’unanimità l’adesione della latteria a detta Federazione. Ma in una
successiva seduta (2 gennaio 1932) il segretario dà lettura al Consiglio di un invito pervenutogli
dalla Federazione Sindacati Fascisti di Udine relativamente al pagamento del contributo annuale
di Lire 75: dopo ampia discussione il Consiglio delibera di non fare il pagamento di detta quota.
Mentre la latteria di Campagna aderisce senza difficoltà alla Federazione Agricola del Friuli (15
maggio 1935), l’ente che esercita gli acquisti collettivi di quanto necessario agli agricoltori, si
manifesta anche in seguito qualche resistenza per il pagamento dei contributi sindacali pretesi
dall’Ente Nazionale delle Corporazioni: alla fine il Consiglio decide di attenersi a ciò che fanno
le altre latterie (26 settembre 1934).
La latteria di Campagna invece non ha difficoltà a concedere modesti contributi ad attività di
beneficenza o a iniziative di promozione economica, come la Fiera del Bestiame dell’Olivo.
Notevole il fatto che in questo periodo (metà anni ‘30) la latteria vende una parte del proprio
burro a Trieste, però a prezzi decrescenti. Infatti la ditta Silvestri di Trieste (Consiglio del 18
maggio 1935) comunica il forte ribasso del burro verificatosi su quella piazza, per cui non può
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offrire più di 8 Lire il chilo. Alla latteria non resta altro da fare che accettare la riduzione del
prezzo.
La relazione sul bilancio consuntivo 1930 della Cassa di Risparmio di Udine aveva già
affermato che la crisi in Friuli era caratterizzata dalla caduta dei prezzi agricoli e dal decrescere
dell’emigrazione.
Negli anni ‘30 la latteria di Campagna subisce perdite serie in conseguenza dei dissesti delle
banche che operano nella zona: va perduta una parte del deposito giacente presso il Credito
Veneto che ha chiuso i suoi sportelli. In seguito anche i verbali del Consiglio d’Amministrazione
della latteria di Campagna di Maniago segnalano le conseguenze degli obblighi fissati
dall’ammasso e dal razionamento: in particolare il verbale del 22 dicembre 1943 riporta la
decisione del Consiglio d’Amministrazione di licenziare col primo gennaio 1944 l’inserviente
Elsa Zuri “per la scarsa lavorazione del latte in questi momenti”. Anche in questo caso agli
obblighi ufficiali di ammasso i contadini rispondono trattenendosi parte consistente del latte
prodotto per lavorarlo per conto proprio o per usarlo per l’alimentazione. Il basso conferimento
si prolunga nel tempo: nel giugno 1945 la latteria lavora appena due quintali di latte ogni due
giorni. Piuttosto inspiegabilmente dopo la Liberazione in generale si avverte la tendenza a
passare dalla latteria sociale a quella turnaria. In data 24 gennaio 1946 una lettera firmata da
77 soci chiede la trasformazione della latteria di Campagna “da Sociale a Turnaria con il primo
febbraio 1946”.
In prima battuta il Consiglio prende tempo dichiarandosi nell’impossibilità di convocare
l’assemblea “per motivi di contabilità”. Ma poi la proposta viene accettata e la latteria di
Campagna diventa turnaria con il primo maggio 1946.
Nello stesso 1946 viene presa l’importante decisione di ammettere i mezzadri come soci,
facendo loro pagare una quota di accesso di 750 Lire, con tutti i diritti degli altri soci, meno che
sul patrimonio esistente. Ma l’attuazione di questa delibera non sarà automatica.
Alla fine dello stesso anno la comparsa dell’afta epizootica renderà necessario decidere misure
di controllo più severe da parte del casaro mediante la provinatura del latte conferito. Con
l’inizio del 1947 viene ridotto il quantitativo di burro da consegnare all’ammasso: da kg 0,500
a kg 0,250 per ogni quintale di latte lavorato.
Contemporaneamente compare un altro problema: i consiglieri Antonio Di Bortolo e Antonio
Brandolisio dovranno essere sostituiti alla successiva assemblea dei soci con altri nominativi
perché sono già partiti per l’estero per ragioni di lavoro. Ma anche Giuseppe Roman Mina
partirà a breve e anche per lui si pone la questione della sostituzione. L’emigrazione quindi è
ripresa. Il 1947 si chiude con il caso di una cotta andata male: il casaro viene trasferito ad altra
latteria per evitargli il licenziamento in tronco.
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16. L’industria lattiero-casearia alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale
Alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale l’industria casearia in Friuli ha raggiunto la
maturità con 585 latterie registrate nel 1937: tra queste undici sono latterie turnarie e altre
tredici vengono definite latterie turnarie impresarie.
Nel complesso si contano 55.500 soci e si lavorano 1.140.000 quintali di latte, i quali
danno 16.000 quintali di burro e 106.000 quintali di formaggio (dati 1937).
Dalla Guida Casearia Triveneta del 1939 risulta che complessivamente nelle province di
Belluno, Padova, Rovigo, Treviso, Udine, Venezia, Verona, Vicenza, Bolzano, Gorizia,
Trento, Trieste operano 1702 latterie con 134.382 soci, producendo 58.765 quintali di
burro e 256.342 quintali di formaggio all’anno. Il grosso delle latterie si trova a Udine
(563), a Trento (326), a Belluno (272), mentre a Padova funzionano solo dieci latterie, a
Rovigo quattordici, a Trieste cinque.
Il commento alla Guida sottolinea l’attenzione che il PNF e l’ENte Nazionale Fascista
della Cooperazione dedicano alle latterie, per coordinarle e per dare loro una più aggiornata
direzione tecnica e contabile.
Conoscenze tecniche acquisite fino a quel momento e sistemi produttivi applicati in pratica
sono esaurientemente descritti nel già citato manuale di Salvino Braidot: la lavorazione
del latte dipende direttamente dai suoi componenti, in particolare lattosio, grasso, caseina
e albumina. Il latte non è solamente un “alimento inerte”, ma anche un “prodotto vivente”:
il grasso si trova sotto forma di goccioline dette globuli grassi, più leggere dell’acqua e
per questa loro proprietà vengono a galla, formando la crema o la panna. Questa, una
volta adeguatamente sbattuta, dà il burro. Residuato di tale lavorazione è il latticello.
Dal latte si ricavano prodotti principali: il burro dalla parte grassa, il formaggio dalla
caseina, la ricotta dall’albumina. Poi ci sono i sottoprodotti: latticello per l’alimentazione
umana di ripiego, il siero per l’alimentazione dei suini, quindi molto utile per l’allevamento
familiare dei suini stessi.
Il latte ha anche le sue sofferenze, provocate dalle adulterazioni, ma anche dall’alimentazione
del bestiame. Gli insilati introdotti da alcune aziende sono stati l’incubo di molti casari
che hanno dovuto difendersi da accuse di incapacità e di trascuratezza per il fatto di dover
lavorare latte che proveniva da mucche non più alimentate dal fieno tradizionale. Era
soprattutto la mescolanza del latte delle diverse provenienze che complicava i processi di
lavorazione.
La produzione tipica delle latterie consiste nel formaggio Montasio, derivato dal latte
Eugenio Pegorer, Guida Casearia Triveneta 1939, Treviso, Arti Grafiche, 1939.
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di due mungiture, serale e mattutina. Dopo la cottura del latte, la cagliata che ne deriva
viene pescata dalla caldaia in quantità che corrisponda al volume di una forma, detta
anche fascera, dove il formaggio viene compresso e modellato in modo che esso abbia
ad assumere il formato desiderato tondeggiate, con uno scalzo di cinque o sei centimetri.
Segue poi la salatura e la stagionatura. Il Montasio è un formaggio di pasta dura, peraltro
meno dura e compatta se fresco di tre o sei mesi.
L’estensore del manuale richiama in particolare il RDL 6 aprile 1933 n. 381 concernente
la disciplina della produzione e della vendita dei formaggi pecorino e vacchino, del burro
e dei suoi succedanei. Ma è sul burro che ci si sofferma, per sottolineare la validità dei
provvedimenti presi dal governo fascista a tutela della genuinità del prodotto e per il sostegno
del prezzo: “Se il prezzo si mantiene elevato e remunerativo, lo si deve esclusivamente ai
predetti provvedimenti, coi quali il Governo ha inteso togliere di mezzo le frodi, vietando
prima l’uso della margarina nella preparazione di certe sostanze alimentari e imponendo
poi alla medesima una elevata tassa di fabbricazione; ed ha contribuito al sostegno del
prezzo, anzitutto, colla introduzione di un dazio protettivo ed infine col contingentamento
e divieto di importazione del burro da altri paesi”.
Quando il manuale viene scritto siamo negli anni che qualche storico ha definito “del
consenso” al regime fascista, per cui anche un tecnico si ritiene in dovere di applaudire la
politica agricola ufficiale.
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17. L’economia di guerra
Dietro l’impalcatura fittizia della propaganda bellicista del regime fascista, la realtà
dell’agricoltura italiana non era propriamente quella di un settore produttivo in grado di
fare efficacemente la propria parte in una economia di guerra, in un conflitto inteso in
termini di scontro totale, anche se negli anni Venti e Trenta alcuni progressi indubbiamente
c’erano stati.
Il regime aveva realizzato una spinta alla valorizzazione fondiaria, come nota Camillo
Daneo: gli investimenti lordi agricoli (in moneta costante) erano passati dai 950 milioni
nel 1926 ai 1550 del 1936, con la caratteristica di privilegiare il “miglioramento”
consistente in investimenti incorporati nel suolo, dalle sistemazioni idraulico-agrarie, alle
piantagioni, ai fabbricati rurali, rispetto al capitale mobile rappresentato da macchine e
attrezzi.
Se la meccanizzazione aveva continuato ad avere scarsi sviluppi, però “progressi notevoli
furono invece compiuti nell’uso dei fertilizzanti chimici che da 11,5 milioni di quintali
distribuiti nel 1922/23 raggiunsero i 21 milioni nel 1937/38.
La spinta all’uso dei concimi chimici era infatti connessa sia “alla battaglia del grano” sia
agli interessi della Montecatini, tanto è vero che la quota di azotati (prodotti pressoché
esclusivamente dalla stessa Montecatini che godeva quindi di una posizione di monopolio)
sul totale dei fertilizzanti minerali salì in un quindicennio dal 9 per cento al 31 per
cento”.
Con la politica protezionistica, la battaglia del grano, gli ammassi e l’autarchia, l’Italia
veniva predisposta dal regime fascista ancora in tempo di pace a una economia per
quanto possibile autosufficiente e quindi assimilabile a una economia di guerra che deve
rinunciare ai normali scambi economici internazionali.
Queste diverse politiche settoriali ebbero naturalmente una influenza sul “consenso” nei
confronti del regime fascista: positiva per protezionismo e battaglia del grano che produce
anche un certo entusiasmo tra i contadini, negativa per i provvedimenti restrittivi che poi
vennero presi dalle autorità di governo quando effettivamente si arrivò alla imprevista
guerra lunga.
L’illusione generale che la guerra sarebbe stata breve e la demagogia di cui era intriso
il regime fascista in quanto stato totalitario aggravano problemi che di per sé erano già
difficili. Viene trascurata prima del conflitto una politica di costituzione di scorte adeguata
Camillo Daneo, Breve storia dell’agricoltura italiana 1860-1970, Milano, Mondadori, 1980, pag. 140.
Camillo Daneo, op. cit., pag. 141.
Lo stato totalitario, in quanto stato che inquadra la nazione, qualcosa alla massa deve pur dare, scaricando
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e si fissano razioni troppo inferiori alla quantità minima necessaria di calorie per persona,
per non dover prendere misure di requisizione troppo pesanti per i produttori.
Si ritardano provvedimenti di rilevanza strategica: il razionamento non entra in vigore
immediatamente con la dichiarazione di guerra e per di più viene affidato dall’otto luglio
1941 al Partito Nazionale Fascista (PNF) con l’idea di attivizzarlo. Ma quel partito era
stato ridotto solo a uno strumento di propaganda e quindi risultava profondamente inadatto
a gestire una operazione così complessa come era quella del razionamento, per cui ne
uscirono risultati insoddisfacenti: nel gennaio 1942 il Partito viene estromesso.
Si dovette quindi ricorrere a organi ministeriali, in parte nuovi, in parte già esistenti,
tra questi le Sezioni Provinciali dell’Alimentazione (SEPRAL) costituite con il DL 28
dicembre 1939 n. 2222, convertito in legge con decreto 25 giugno 1940 n. 1080, con
funzioni di direzione e di sorveglianza nella distribuzione e nell’approvvigionamento dei
generi alimentari. Con la legge dell’otto luglio 1941 n. 645, recante disposizioni penali
per la disciplina relativa alla produzione, all’approvvigionamento, al commercio e al
consumo delle merci, ai servizi e ad altre prestazioni, al pretore viene attribuito il potere
di pronunciare decreto penale, nel caso ritenga sia da applicare la sola pena pecuniaria; in
caso diverso il pretore stesso procede a giudizio direttissimo.
Per controllare i caseifici e la distribuzione dei formaggi viene costituito l’Ufficio
Controllo Formaggi (UCOF) che dopo l’aprile 1943 deve anche reperire il latte per i centri
urbani. All’UCOF viene demandato anche il compito di pagare ai conferenti per conto
dello Stato una quota di integrazione sul prezzo del latte. Infatti la causa perturbatrice
degli ammassi (pure in questo campo) era costituita dal prezzo politico, eccessivamente
compresso rispetto a quello economico. Naturalmente tutta la struttura burocratica messa
in attività per controllare ammassi e distribuzione comporta una spesa che si traduce in un
lo sfruttamento accentuato sui popoli conquistati o sui paesi satelliti cui si impongono rapporti economici
ineguali. Al di là delle apparenze e di interpretazioni storiche di segno contrario, anche la politica di
guerra del III Reich si basa su una scelta demagogica, quella di dare ai tedeschi burro e cannoni. Infatti
ancor prima della guerra la politica nazista degli armamenti non sceglie una ristrutturazione in partenza
dell’industria per allargare la base della capacità produttiva nel campo militare, a partire dal settore
fornitore di macchine utensili. Per non incidere sul livello dei consumi, i nazisti sposano il concetto
della guerra lampo che può essere condotta con i materiali pronti, precedentemente accumulati o con
un acceleramento dei ritmi di lavoro nell’industria esistente. In una prima fase della guerra, le industrie
che producono beni di consumo non vengono ridimensionate. Solo dopo il fallimento dell’operazione
Barbarossa come disegno di distruggere l’URSS in pochi mesi, Hitler deve accettare l’idea di una
mobilitazione totale per la guerra. Peraltro, dalla conquista della Polonia in poi, il saccheggio sistematico
delle risorse dei paesi occupati (in particolare dell’Est Europa) viene finalizzato a evitare al popolo
tedesco –il popolo superiore – le sofferenze delle restrizioni di guerra. Ad ogni modo le razioni previste
nel sistema tedesco del tesseramento sono in modo consistente superiori a quelle del sistema italiano.
Via via nel tempo il divario tra i prezzi ufficiali e quelli del mercato nero diventa sempre più rilevante.
Una relazione datata Milano 31 luglio 1945, inviata dal commissario Giuseppe Roda al Governo Militare
Alleato, afferma che fino a poco tempo prima il burro era quotato ufficialmente a Lire 25 al chilo, mentre
al mercato nero esso spuntava prezzi di Lire 600-700 al chilo. La stessa relazione denuncia il fatto che il
personale UCOF era reclutato in genere tra i dipendenti delle maggiori aziende casearie e tra i mediatori
di mestiere, per cui era ben aperta la strada dei favoritismi e della corruzione.
INSMLI, Carte Merzagora, Busta 14, fascicolo: “Latte e formaggi”.
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aggravamento del carico fiscale: nei prezzi dei prodotti caseari viene compresa una quota
di 10 centesimi a chilogrammo per il funzionamento dell’Ufficio Controllo Formaggi.
Per dirigere il mercato delle carni si costituiscono i Consorzi Provinciali Macellai
(Coproma) e una Associazione nazionale dei Consorzi provinciali (Conscarni).
Nascono inoltre la SAPAC (Società Anonima Panificatori Acquisiti Collettivi), l’UDIFA
(Ufficio Distribuzione Farina), il CONAL (Consorzio Alimentaristi che riunisce i
grossisti), l’Ufficio Provinciale Vigilanza Prezzi. Nel complesso viene messo in piedi un
meccanismo di direzione del razionamento che risulterà poco omogenea perché composta
di burocrazia e operatori privati, molto permeabile alla speculazione e alla corruzione.
I prefetti vengono ad assumere un ruolo di potere incontrollato di cui se ne avvalgono
per organizzare reti semiclandestine di rifornimento che finiscono con l’essere mercato
nero coperto dalle autorità. Di conseguenza il consenso verso il regime crolla allora
decisamente nelle campagne che devono obbligatoriamente conferire i prodotti agricoli
agli ammassi a prezzi ormai non remunerativi: il mancato conferimento diventa reato
penalmente perseguibile mentre la macellazione clandestina porta i colpevoli addirittura
davanti al Tribunale Speciale per la difesa dello Stato.
Il malcontento è ancor più grave nei centri urbani che soffrono di penuria e devono pagare
a prezzi alti sul mercato nero (per i ceti che se lo possono permettere economicamente)
ciò che non ricevono dalla rete ufficiale di distribuzione dei generi razionati.
I produttori agricoli sono particolarmente presi di mira perché sottoposti a rigidi controlli,
molto efficaci nel caso degli allevamenti bovini in quanto soggetti al permanente
censimento da parte dei comuni che in ciò avevano un precipuo interesse all’esattezza dei
rilevamenti in quanto l’imposta sul bestiame costituiva una delle loro entrate normali.
Una misura piuttosto grave a carico dei contadini fu quella della requisizione di zangole
e scrematrici di privata proprietà: con ciò il sistema repressivo cercava di combattere il
mancato conferimento del latte ai caseifici, dove le misure di controllo da parte delle
autorità risultavano più facili. Anche la vendita del caglio viene sottoposta a una rigida
disciplina. Alcuni problemi del razionamento sono nuovi, altri no.
Quella del calmiere è una vecchia storia: l’autorità politica si propone di agire sull’atto
finale del prezzo al consumo per andare incontro alla gran massa dei titolari della
domanda. La soluzione appare giusta e sostanzialmente democratica. Ma per funzionare
richiede che la stessa autorità politica usi tutto il suo potere per convogliare i produttori a
conferire sul mercato controllato la gran massa della loro merce, rendendola disponibile a
chi acquista con la tessera e paga secondo il calmiere. Però ciò non accade se il prezzo è
troppo basso, tale da non compensare il produttore dei costi reali. E il produttore può anche
– temporanemante – rinunciare a un superprofitto, per amor di patria, soprattutto se gli si
fa intendere che superprofitto vuol dire incorrere nei rigori della legge e per di più esporsi
A.ST.S.-Fondo Sepral, Busta 439, fascicolo 0321.
Sottofascicolo: Gabinetto, Bellucci Francesco, “Macellazione clandestina dei vitelli”, 6 dicembre 1942.
69
alla pesante critica di chi, ovvero la massa dei consumatori, paga duramente i sacrifici
della guerra, riducendo i propri consumi, quando non ha le risorse per pagare i prezzi
più alti del mercato nero. Ma se il prezzo ufficiale, cioè quello proclamato dal calmiere,
non corrisponde ad aspettative che il produttore ritiene legittime – come accadeva con
gli ammassi obbligatori del 1940-45 – allora il produttore non conferisce quanto dovuto
all’ammasso, evade dal mercato ufficiale dove vige un calmiere, imbosca la merce, la
vende al mercato nero che assicura il superprofitto, pur con rischi. Ciò si verifica anche
per merci disponibili in quantità tale da soddisfare la domada globale. Così accade a
Trieste durante la guerra.
Tradizionalmente il mercato della legna da bruciare e del carbone di legna si svolgeva
in Piazza Foraggi, un luogo piuttosto periferico rispetto al centro storico. Poiché qui il
controllo delle autorità può essere esercitato facilmente, i contadini del Carso e dell’Istria
non lo frequentano più con i loro carri, piuttosto si disperdono nella città tra le case dei
possibili compratori: qui trattano e concludono per un altro prezzo, caso per caso oppure
ttraverso intermediari. Così il circuito ufficiale viene eluso, rendendo inapplicabile il
calmiere.
Solo occasionalmente il pubblico intervento riesce a cogliere una infrazione; un tanto è
del tutto insufficiente a rimettere in sesto il meccanismo ufficiale.
Con il prolungarsi della guerra, con i fronti che macinano sempre più uomini, procedono
sempre più serrati i richiami alle armi delle classi non più giovanissime: anche i tecnici
impiegati nella produzione essenziale per la vita della popolazione devono indossare
l’uniforme perché gli esoneri del servizio militare diventano sempre più difficili.
La memoria orale ci trasmette l’informazione che la latteria di Cavasso a un certo punto
resta senza casaro e tocca allora a una donna fare il suo lavoro per mandare avanti la
raccolta e la lavorazione del latte. Anche l’aiuto casaro è donna e viene pagata di tempo
in tempo con mezzo chilo di burro. Il denaro ormai conta poco: la merce diventa in sua
vece mezzo preferito di pagamento.
Nel marzo 1943 Fanna compare nell’elenco curato dall’ENAL di Trieste (Ente
Nazionale Approvvigionamento Latte S.A. controllato dalla Confederazione Fascista dei
Commercianti) delle latterie della provincia di Udine che conferiscono ai raccoglitori
incaricati il latte destinato ai centri urbani in quantità minore rispetto a quanto stabilito.
Il Ministero dell’Agricoltura aveva fissato in hl 230 il quantitativo giornaliero da conferire
per il rifornimento alle città di Trieste e di Fiume, ma, nonostante la minaccia di requisire
le vacche i cui proprietari erano stati segnalati per inadeguato conferimento, non si riusciva
a raggiungere gli obiettivi fissati latteria per latteria. Infatti la requisizione delle mucche
era un’arma spuntata: se attuata avrebbe consolidato e aggravato il minore conferimento.
Appunto l’elusione del conferimento è dovuta al malcontento generale dei contadini che
si trattengono il latte invece di conferirlo alla latteria, perché i prezzi di ammasso dei
prodotti agricoli non sono remunerativi.
Inoltre il latte conferito per le città fa diminuire la quantità di latte lavorato per produrre
70
formaggio e burro, di cui i produttori hanno bisogno per la loro alimentazione. Ma in
realtà l’agricoltura viene gravemente danneggiata dall’economia di guerra: mancano
concimi e mangimi concentrati, scarseggia anche il foraggio e le mucche sono adibite ai
lavori agricoli, diminuendo così la loro produzione di latte.
Del problema deve farsi carico il segretario provinciale dell’Ente Nazionale della
Cooperazione in un promemoria del 4 settembre 1943 indirizzato alla SEPRAL di
Trieste: Mussolini è caduto il 25 luglio e l’aggettivo “fascista” è stato cancellato dalla
carta intestata passandogli sopra una strisciolina di inchiostro nero.
Nella zona montana e pedemontana le latterie diventano più importanti per la popolazione
locale perché dall’aprile 1944 i paesi dove si manifesta la presenza di formazioni partigiane
o dove si verificano scontri armati vengono privati della fornitura dei generi razionati,
compreso il pane e il sale. Però inizialmente le zone agricole della pianura, sempre vissute
in condizioni di miseria e quindi abituate a un regime di sottoalimentazione, non soffrono
più di tanto delle restrizioni imposte dall’economia di guerra. Spesso la mancanza di
denaro nelle famiglie più povere non consentiva neppure di comprare lo zucchero previsto
dalla tessera annonaria: allora i più poveri cedevano ad altri la razione di cui avevano
diritto.
Sono comunque le città a subire le conseguenze più gravi perché vi diminuisce via via nel
tempo l’afflusso anche dei generi alimentari non sottoposti a razionamento.
Dai dati forniti dal Mercato Ortofrutticolo all’ingrosso di Trieste risulta che nel luglio
1942 affluisce in città una quantità di frutta e ortaglie inferiore del 25% di quella venduta
nel luglio dell’anno precedente.
71
18. L’occupazione tedesca
Durante l’occupazione tedesca, tutta l’economia di guerra, pur restando in vigore la
precedente legislazione italiana, viene rafforzata: con decreto n. 833 la Repubblica
Sociale Italiana (RSI) istituisce il Commissario Nazionale dei Prezzi, mentre nella zona
d’Operazioni del Litorale Adriatico le autorità tedesche istituiscono il Commissario dei
Prezzi per le province del Friuli, Gorizia, Istria, Carnaro, da loro direttamente dipendente
e incaricato della formazione e dell’osservanza dei prezzi mediante la Polizia Economica.
Ma i tedeschi non si fidano più di tanto dei collaboratori italiani per cui entra in funzione
un Commissario Statale per la lotta contro la borsa nera che appartiene all’apparato
tedesco e agisce con propri sequestri.
Per le autorità tedesche resta comunque prioritario il rifornimento di generi alimentari
per la Germania: la frutta dell’Alto Adige con provvedimenti di sequestro viene avviata
nel Reich, mentre a Trento gli uffici italiani competenti manifestano disponibilità per
rifornire Trieste, però a condizione di ricevere altra merce in cambio, indicando le relative
richieste: sardine, burro, olio, formaggio.
Con il proseguire del conflitto, i vincoli e i controlli dell’economia di guerra si fanno
sempre più stringenti. Pochi generi alimentari, come la carne di cavallo, restano fuori del
meccanismo del razionamento perché si tratta di un consumo marginale. Per precisare
che noci, nocelle e mandorle rimangono in regime di libero commercio, non soggetti
a calmiere, sarà necessaria nell’ottobre 1944 una circolare indirizzata alle SEPRAL di
Trieste, Udine, Gorizia, Pola e Fiume dal Commissario dei Prezzi di Trieste Riccardo
Isler, il quale chiarirà comunque che anche per questi generi vale una disciplina nei prezzi
di vendita al consumo, per cui il dettagliante può applicare una maggiorazione d’utile
lordo, inclusiva di cali e bolli, come massimo, del 24%. Ma anche castagne e funghi sono
soggetti a prezzi controllati. E così gli ortaggi in genere, freschi o conservati.
Il commerciante deve comunque essere munito di regolari documenti comprovanti la
qualità, l’origine, il peso, il prezzo della merce.
A.S.T.-Fondo Sepral, fascicolo “Patate 1944-1945”, Der Deutsche Berater für die Provinz Triest in
Triest, 19 marzo 1945.
A.S.T.-Fondo Sepral, Busta 10, fascicolo “Ortofrutticoli 1943-1944”: verbale della riunione tenutasi
presso la Sezione Provinciale dell’Alimentazione a Trieste il 12 novembre 1943. Alcuni verbali di riunioni analoghe a quella citata in questa sede fanno capire che, coperti dall’autorità prefettizia, funzionavano
reti di traffico semiufficiali che sconfinavano facilmente nel mercato nero.
A.S.T.-Fondo Sepral, Busta 10, fascicolo “Ortofrutticoli 1943-1944”: circolare del Commissario dei
Prezzi per le Province di Trieste, Friuli, Gorizia, Istria, Carnaro del 10 ottobre 1944.
72
Una serie di situazioni eccezionali create dalla guerra partigiana fanno sentire le loro
conseguenze sulle latterie, sulla loro produzione, sul bilancio, sulle modalità di gestione.
Dalle carte delle latterie di Cavasso Nuovo e di Tamai di Brugnera emerge anche la
questione delle requisizioni di formaggio e di burro operate dai partigiani che devono
rifornire le loro formazioni attingendo alle risorse economiche locali. Ma la Resistenza
non opera soltanto ai fini della propria sopravvivenza, si pone anche l’obiettivo di impedire
la titolazione del latte imposta con una scrematura molto alta dalle autorità economiche
dell’occupante nazista, il quale mira per questa via ad assicurarsi la produzione e il
conferimento di una maggior quantità di burro.
Nei primi mesi del 1945 stanno finendo le scorte dell’industria alimentare: alcuni
stabilimenti industriali del settore alimentare sono ormai chiusi, come lo stabilimento di
Monfalcone della Prima Spremitura Triestina d’Olio S.A.
Ormai si deve dare fondo alle ultime riserve: nel febbraio 1945 il Consultore Germanico
(Deutscher Berater) è d’accordo con la Sepral che una partita di olio di 22 quintali
sequestrata presso la ditta Ilpa non può essere utilizzata per produrre condimento tipo
sugolio, ma deve essere immessa al consumo al suo stato naturale.
Fino all’ultimo momento dell’occupazione nazifascista l’agricoltura rimane soggetta a
prelievi forzosi da parte degli occupanti.
Dal verbale della latteria di Cavasso Nuovo al bilancio 1945 si desume che, approfittando
dell’inflazione, vengono pagati il debito bancario della latteria e i debiti dei soci verso la
latteria, per le spese di costruzione del caseificio, che si erano trascinate per molti anni,
quando i contadini non avevano denaro liquido.
Lo stesso verbale dà la motivazione ufficiale del passaggio al sistema turnario: questa
scelta viene decisa perché in conseguenza della stessa ogni socio porta in latteria la legna
necessaria alla cottura del latte quando gli tocca il turno di presenza, fornendo anche la
sua manodopera sotto la direzione del casaro.
Tale soluzione consente di fare a meno dell’inserviente che aiutava il casaro. Quindi si è
passati dalla forma sociale pura (la latteria che funziona con propri dipendenti e con una
propria autonomia di gestione) alla forma sociale turnaria che vede il concorso diretto
dei soci nella trasformazione del latte, secondo un turno prestabilito sulla base del latte
conferito.
Alla fine però, nonostante il pesante logoramento che l’agricoltura ebbe a subire in cinque
anni di guerra, le distruzioni furono meno “strutturali” di quelle del conflitto 1915-18
(almeno limitando il confronto alle province invase nel 1917), perché su tutto dominò,
anche sotto l’occupazione tedesca, una concezione totalitaria dell’economia di guerra
alla quale tutti dovevano concorrere e per cui a tutti bisognava assicurare il minimo vitale
visto che tutti erano inquadrati nello sforzo bellico: questa era la visione generale per
A.S.TS, Ispettorato Provinciale dell’Alimentazione, Lettera del Consultore Germanico alla Sepral del 14
febbraio 1945, Busta 10, fascicolo Olio 1945-47.
73
l’Europa occidentale. Invece all’Est valeva il disegno di fare il vuoto della popolazione
slava per far posto alla colonizzazione tedesca. Tuttavia le distorsioni furono pesanti con
un ampio sviluppo del mercato nero e del baratto.
I danni al patrimonio bovino alla fine del conflitto 1940-45 risultarono per la provincia
di Udine meno gravi rispetto a quelli del conflitto 1915-18 con l’invasione 1917-18: la
consistenza delle vecche da latte nella annata agraria 1942/43 era di 118.545 capi per
scendere a 104.268 capi nell’annata agraria 1943/44; al primo maggio 1945 le vacche da
latte venivano stimate in numero di 94.700 capi.
Quindi la situazione non era così grave come nel 1918.
A.S.GO, Ispettorato Provinciale dell’Agricoltura, Busta 18, fascicolo 16.
I.N.S.M.L., Fondo Merzagora, Busta 10, fascicolo 1.
Fonte: CLNAI, Ministero dellAgricoltura e delle Foreste, Ufficio Controllo Formaggi, Milano.
74
19. La latteria di Cavasso Nuovo con la guerra in casa
Una grave situazione interna emerge all’assemblea dei soci del 21 febbraio 1943 che si
tiene presso la Casa del Fascio: sono state riscontrate irregolarità contabili nella revisione
delle gestioni 1936-1942. Un ordine del giorno, approvato all’unanimità dall’assemblea,
stabilisce che vanno ritenuti responsabili in solido la segretaria-contabile e tutti i
componenti sia del Consiglio d’amministrazione che del Collegio dei sindaci per le
“malversazioni accertate in danno della Società”. Si decide quindi di affidare la gestione
a un commissario da scegliere fra i soci “con l’incarico di rappresentare legalmente la
società fino alla definizione delle pendenze emerse nei vecchi esercizi” e di costituirsi,
esso commissario, parte civile nel processo penale in corso per curare gli interessi sociali.
Come commissario viene eletto Giuseppe Colussi, che però muore improvvisamente, per
cui gli subentra un commissario prefettizio in data 25 ottobre 1943, Ernesto Calligaro,
impiegato di banca. Questi si assume il grave onere di sanare una situazione diventata
ormai molto delicata. Il commissario prefettizio convoca un’assemblea straordinaria dei
soci per il 19 dicembre 1943 presso il Dopolavoro con all’ordine del giorno la proposta di
ricostituire l’ordinaria amministrazione nominando le nuove cariche sociali.
Il commissario deve anche constatare “la scarsità del conferimento latte” per cui non
si può essere soddisfatti dell’andamento economico del caseificio. Segue naturalmente
il richiamo al ritorno alla disciplina per evitare le gravi sanzioni previste contro i
recidivi nel mancato conferimento. Essendo ormai risanata l’amministrazione, una
successiva assemblea del 10 aprile 1944 decide di abbandonare l’azione civile contro gli
amministratori: è ragionevole dedurre che chi era risultato reo convinto di malversazione
aveva risarcito in qualche maniera il danno causato alla latteria. In questa assemblea si
vota il nuovo consiglio su una lista bloccata per alzata di mano, non per voto segreto.
In questa stessa assemblea del 10 aprile 1944 un incaricato del Sindacato Fascista degli
Agricoltori legge una circolare “per la disciplina dei produttori sul conferimento obbligatorio
del latte”. Quando si arriva alle varie, il Presidente del Consiglio d’Amministrazione
dà ragguagli circa la distribuzione della crusca ai produttori di latte, mentre un socio
propone la distribuzione gratuita del latticello ai produttori. Però la proposta non viene
accettata perché la maggioranza dei soci decide di continuare a cedere il latticello “a
prezzo ragionevole” devolvendo l’introito a decurtazione delle spese di esercizio che
senza dubbio tendono ad aumentare. Ma la guerra si fa sentire sempre più duramente
con le requisizioni e i conferimenti obbligatori, oltre che con le azioni partigiane e la
repressione.
L’assemblea della latteria del 26 dicembre 1944 decide di chiudere l’attività impegnandosi
a cedere parte della loro produzione di latte per uso alimentare in paese alle famiglie che
75
non avevano neanche una mucca o una capra.
La solidarietà di paese non viene quindi meno. Ma la solidarietà verso le città, che del
latte avevano estremo bisogno, sparisce del tutto.
Le latterie in genere, insieme ai documenti prescritti dalla legge, come il libro mastro
dei soci, i libri verbali delle assemblee dei soci e dei consigli d’amministrazione, le
relazioni dei sindaci, tutti documenti che vanno regolarmente vidimati in tribunale, hanno
conservato anche carte di minore importanza: corrispondenza, ricevute, buoni scarico,
fatture di lavori eseguiti. Qualche volta da queste fonti esce soltanto un frammento di
verità, ma tuttavia utile a comporre un quadro generale. Sono tessere del mosaico che,
mancanti, non lasciano intendere il disegno nella sua interezza, lasciando spazio alle
ricostruzioni romantiche e nostalgiche, ma anche imprecise.
In generale la documentazione delle latterie si fa più abbondante con l’entrata in vigore
dell’economia di guerra, con la legislazione relativa, accompagnata da una martellante
propaganda tesa a chiedere disciplina e fede nel regime fascista “sino alla completa,
immancabile vittoria delle nostre armi”. La legislazione di guerra esige sempre
rendiconti, instaura controlli, promuove indagini statistiche. Un blocco di buoni scarico
per le consegne di modeste quantità di burro, relative agli ultimi mesi della guerra 194045, conservato tra le carte di Cavasso, da una parte ci dice quale valore avesse questo
genere alimentare piuttosto raro e dall’altra parte ci fa capire chi fossero i privilegiati che
avevano la possibilità di accedere a quello stesso genere alimentare, anche al di fuori delle
procedure di ammasso e razionamento. Ma il burro che viene scambiato o con altre merci
o con prestazioni di lavoro, come risulta dalle ricevute, dimostra come nella fase finale
della guerra, soprattutto lontano dalle città dove reggeva ancora una minimale economia
ufficiale, riappare la consuetudine atavica del baratto, sintomo preoccupante quest’ultimo
della rarefazione dei rapporti economici basati sulla moneta, la quale ormai era preda
di una inflazione che faceva pensare a un suo prossimo annullamento con la fine del
conflitto e delle autorità che l’avevano emessa o tutelata.
Infatti con l’occupazione tedesca, sotto la quale viene istituito il Litorale Adriatico, si
insedia un Commissario dei Prezzi “per le provincie di Trieste, Friuli, Gorizia, Istria e
Carnaro” al quale viene affidato il compito, già indicato nella sua carica, di difendere il
potere d’acquisto della lira minacciato dall’inflazione. Quelli che comprano più burro
sono i tedeschi, gendarmeria e SS, in piccole quantità, ma in maniera continua, pagando
Disorso radio pronunciato il 26 settembre 1941-XX (sic) dal Presidente dell’Ufficio Controlli Formaggi
in: Enzo Cerlini, La disciplina della produzione e della distribuzione dei formaggi durante il periodo
bellico, Roma, Ars Nova, 1942, pag. 6.
In questo discorso il Consigliere Nazionale Clodo Feltrin, Presidente dell’Ufficio Controllo Formaggi
deve ammettere esplicitamente che il mercato dei grana tipici e non tipici (valore di circa un miliardo di
lire italiane) subiva delle brusche oscillazioni in aumento per opera di una speculazione semi-anonima
che non aveva né attrezzatura né conoscenza del prodotto né abitudini al commercio, ma che largamente
provvista di mezzi finanziari pensava e sperava che l’investimento di capitali in formaggi durante il
periodo di guerra rappresentasse sicuri larghi interessi e talora illeciti guadagni. Il mercato nero era
cominciato alla grande.
76
subito in lire e rilasciando documento regolare dell’avvenuto prelievo.
Nel gennaio 1945, un comando tedesco di polizia si era insediato a Meduno dopo i grandi
rastrellamenti dell’ottobre-novembre 1944; esso fu protagonista di uccisioni, di arresti
e duri interrogatori, ma anche di manovre ingannevoli per conseguire la consegna delle
armi e la resa dei partigiani che avevano dovuto abbandonare la montagna: parecchi dei
resistenti che passarono per quel comando saranno fucilati e molti altri finiranno deportati
in Germania senza ritorno. Questo comando, nello stesso gennaio 1945, aveva ordinato al
podestà di Cavasso, Salvatore Bernardon, di far riaprire la latteria che nel frattempo era
stata chiusa con la motivazione che bisognava assicurare la razione di latte alle famiglie
(non molte in verità) che non disponevano di produzione propria. Ma la ragione vera è
un’altra: i tedeschi vogliono assicurare a sé e ai collaborazionisti, cosacchi e italiani, i
rifornimenti di latte e prodotti derivati.
In particolare i cosacchi del presidio di Cavasso, pur ben conosciuti per le loro assai
assidue ricerche di vino, che qualche volta riuscivano a trovare in una damigiana nascosta
sotto le fascine, si fanno assegnare una quantità di latte giornaliera, al punto che la latteria
di Cavasso deve comunicare a quella di Fanna che non è più in grado di consegnare la
propria quota di latte concordata per ogni giorno per i degenti e le suore del piccolo
ospedale Fanna-Cavasso. E dopo aver subito pure la requisizione di una parte delle scorte
di foraggio sempre da parte di una colonna di cosacchi inviata da Tolmezzo, il 12 aprile
1945 Cavasso subisce il prelievo forzato di ben 120 capi di bestiame bovino, un terzo del
patrimonio zootecnico ancora presente in loco. Misura questa che pesa negativamente
anche per il periodo successivo alla fine del conflitto.
Anche alla milizia fascista tocca la sua quota di burro: una sua pattuglia evidentemente
di passaggio per Cavasso, preleva 250 grammi di burro, pagando e rilasciando il relativo
documento liberatorio per la latteria: il capopattuglia non si dimentica di scriverci sopra
un ormai improbabile “Vincere” e un “W IL DUCE”. A espressioni così perentorie ormai
ben pochi potevano credere in quel momento: era infatti il 10 aprile 1945 e già i sovietici
combattevano a Berlino. Tra i privilegiati che possono accedere al burro figura anche
una impresa costruzioni di Cavasso (titolare Giuseppe Colussi) che porta la qualifica di
“azienda protetta” (Schutzbetrieb) perché inserita nella economia di guerra germanica,
contrassegnata dalla sigla CPE Udine n. 4017 e caratterizzata da una certa importanza in
quanto ha un ufficio anche a Maniago.
I nazisti occupanti dal settembre 1943 realizzano nella Pedemontana una serie di
lavori di interesse militare (campo d’aviazione del Dandolo-Maniago, ripristino della
linea ferroviaria Spilimbergo-Gemona, fortificazioni sulla linea al piede dei colli
della Pedemontana e nella Val Tramontina) nei quali coinvolgono ditte e ovviamente
manodopera locali. Probabilmente il burro prelevato a più riprese dall’impresa Colussi
serviva a una mensa aziendale.
Romano della Valentina, Cavasso Nuovo nella Resistenza, Udine, AGF, 1975, pag. 62.
77
Significative comunque in tal periodo, ma anche dopo la Liberazione, sono alcune
operazioni di baratto: si consegna burro alle farmacie di Meduno e di Fanna per ottenere
in cambio caglio, evidentemente un genere di difficile reperimento, ma indispensabile per
la lavorazione del latte se si voleva produrre formaggio.
Ci si arrangia come si può: il 26 giugno 1945 alla signora Iolanda Petrucco si consegnano
cinquanta grammi di burro in conto “fornitura aceto per confezionamento caglio”.
Anche a una tipografia di Maniago (9 maggio 1945) e a un meccanico di Cavasso (12
maggio 1945) viene dato del burro per le prestazioni loro richieste. Ma i militari sono
sempre più uguali dei civili: il 26 agosto 1945 il maresciallo della Guardia di Finanza
di Maniago manda un suo uomo a ritirare mezzo chilo di burro. Per questo prelievo
qualcuno, piuttosto autorevole, aveva fatto da intermediario.
Per parecchi mesi dopo la Liberazione, le razioni del tesseramento sono insufficienti e chi
può ricorre ad altre strade per integrare le proprie disponibilità alimentari.
QUANTITATIVO DI PRODOTTO CONFERITO AGLI AMMASSI
PER CAMPAGNA DI PRODUZIONE (in migliaia di quintali)
Anno di
raccolto
1934
1935
1936
1937
1938
1939
1940
1941
1942
1943
1944
1945
1946
1947
1948
1949
1950
Grano
Segale
Orzo
Avena
4.379
7.947
27.428
39.713
41.333
41.243
33.266
33.726
31.170
29.211
27.322
10.422
22.694
11.112
14.703
14.797
15.212
255
327
265
162
65
131
125
220
-
442
500
338
562
90
388
249
236
-
939
1.694
1.205
682
409
54
-
Granoturco
4.921
9.531
7.687
5.615
2.552
3.438
925
2.655
1.767
541
-
Risone
6.190
6.629
6.893
7.322
7.581
7.002
8.789
8.074
7.310
6.109
4.001
2.428
4.030
5.507
5.145
5.345
6.251
Prendendo come riferimento il 1941, l’anno in cui il sistema del razionamento va a regime,
si nota che i conferimenti del 1942 e del 1943 sono in calo per i cereali fondamentali,
grano, avena, granoturco e risone: evidentemente il livello del prezzo pagato al produttore
è troppo basso per far funzionare i conferimenti.
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20. La ricostruzione
Dopo la Liberazione, nel maggio 1945, in campo nazionale si costituiscono due
organizzazioni di rappresentanza del movimento cooperativo: la Confederazione
Cooperativa Italiana (CCI) di orientamento cattolico e la Lega Nazionale delle Cooperative
e Mutue (LNCM) caratterizzata in larga misura dalla presenza di socialisti e comunisti.
Questa divisione in due campi, dopo qualche incertezza iniziale, finisce con l’affermarsi
anche in provincia di Udine: si costituiscono l’Unione Cooperative del Friuli(in seguito
Associazione delle Coopertaive Friulane) aderente alla Confederazione Cooperativa
Italiana e la Federazione Friulana delle Cooperative e Mutue aderente alla Lega Nazionale.
Naturalmente queste organizzazioni di rappresentanza che agivano su scala provinciale,
dopo la rottura dei governi di unità nazionale e dopo i duri confronti politici del 1948,
vennero risucchiate nel clima di spaccatura del Paese concomitante con la guerra fredda,
pur con l’attenuazione che si manifestò nel tempo lasciando però tracce sensibili per tutta
la durata della prima Repubblica.
Nel quadro complessivo del Friuli che sin dai primi mesi del dopoguerra chiede
l’autonomia regionale, a Pordenone si manifesta una iniziativa a favore della costituzione
di una nuova provincia che abbracci tutto il territorio a destra del Tagliamento, con
capoluogo Pordenone. Non tutti però sono d’accordo in Friuli per realizzare questa
divisione vista anche come una lesione dell’identità friulana: in particolare contrari sono
gli spilimberghesi che per una serie di motivi culturali e logistici si sentono più legati a
Udine piuttosto che a Pordenone.
Ma i legami politici già esistenti con Pordenone obbligano ad alcune scelte: i partiti
e i sindacati danno vita a strutture con competenza su tutta la Destra Tagliamento
autonome da Udine e facenti capo a Pordenone, mettendosi in relazione direttamente
con le rispettive centrali nazionali. Questa tendenza si fa sentire anche nel movimento
cooperativo, più accentuatamente e decisamente nell’Associazione delle Cooperative
Friulane, con la costituzione sotto la direzione di Orlando Fioretti di un ufficio staccato a
Pordenone, con competenza per tutta la Destra Tagliamento, dotato di sempre maggiore
autonomia dall’ente provinciale e alla fine collegato direttamente con gli organi centrali
della Confederazione Cooperaiva Italiana.
La sanzione definitiva di questo processo organizzativo la si avrà il 15 settembre 1951
con la costituzione ufficiale dell’Unione Friulana delle cooperative e mutue della Destra
Tagliamento con sede a Pordenone. Alla prima riunione del direttivo dell’Unione, il rag.
Simone Zacchi-Cossetti viene eletto Presidente, mentre Orlando Fioretti risulta nominato
79
direttore.
I rapporti tra le organizzazioni di Pordenone e Udine si stabilizzarono definitivamente nel
1964 quando l’Associazione di Udine invitò le cooperative della Destra Tagliamento a
essa ancora aderenti a trasferire la propria adesione all’Unione di Pordenone.
I processi di disgregazione e di sfarinamento provocati dalla guerra nel tessuto produttivo
e distributivo erano stati gravi e diffusi. Dopo la Liberazione non era praticabile
immediatamente una economia di libero mercato, ma era anche difficile continuare a tenere
tutti dentro l’economia di guerra per i gravi vincoli che essa comportava e che risultava
difficile imporre dopo il crollo dello stato totalitario e delle sue strutture repressive.
Nel dicembre 1945 le zone montane della provincia di Gorizia produttrici di patate
da semina le vogliono cedere solo in cambio di granoturco. Anche le autorità devono
accettare. Al termine del conflitto (1945) restavano attive in Friuli 481 latterie delle 627
esistenti nel 1940. Le norme del razionamento vengono mantenute in vigore a cominciare
dall’obbligo di conferimento di bovini ai raduni prestabiliti e dei cereali all’ammasso
(frumento, orzo, segala e granoturco per la provincia di Udine).
A tal fine funziona l’Ufficio Nazionale Statistico-Economico dell’Agricoltura (UNSEA)
al quale sottostanno gli Uffici Provinciali (UPSEA) e gli Uffici Comunali (UCSEA).
La transizione dalla guerra alla pace non è né facile né indolore: in particolare non è
tutto piano il percorso da una situazione di ampia trasgressione (mancato trasferimento
dei prodotti all’ammasso, diffusione generalizzata del mercato nero, imboscamento di
merci e valori) a uno stato di normalità. Con la Liberazione, per scelte imprevidenti e
demagogiche, si dà fondo ai magazzini, con il rischio di rendere più difficile la saldatura
con i raccolti del 1946.
Il Comitato Nazionale di Liberazione (CLN) e il Governo Militare Alleato (GMA) non
possono certo agire con le armi per far rispettare gli obblighi di ammasso – che restano
in vigore –, però non possono neppure liberalizzare, soprattutto per i settori più strategici
come per esempio quello del bestiame bovino, mentre i produttori tendono a disertare i
raduni dei capi di bestiame destinati al macello per rifornire la popolazione civile.
La stampa locale informa che l’Ufficio Provinciale statistico-economico di Udine ha
denunciato alla locale procura del regno 230 agricoltori della Destra Tagliamento, dei
quali 61 di Pordenone e dei paesi del mandamento, per non aver consegnato i bovini
precettati ai raduni. La stessa stampa aggiunge che gli inadempienti sono passibili di pena
detentiva fino a tre anni e di multa fino a 20.000 lire, pene che sarebbero state mitigate
Il comitato direttivo risulta composto come segue: Simone Zacchi-Cossetti, Enrico Battistella, Giovanni
Antonini, Eugenio Centazzo, Guido Garlatti, Vittorio Miot, Giovanni Costantini, Ovidio di Ragogna,
Antonio Zavagno, Sante Turcatel, Mario Sist, Piero Pasqualini, Angelo Quattrin e Domenico Roman.
Mario Robiony, La cooperazione in Friuli Venezia Giulia nel secondo Novecento, Udine, Forum, 2006,
pag. 42.
80
se il bestiame fosse stato consegnato prima del processo. Anche in provincia di Treviso
accadono fatti analoghi, come riferisce il periodico di quel CLN.
Occorre un nuovo ordine pubblico meno repressivo del precedente, ma necessariamente
fermo: per questo le autorità si rivolgono alle latterie, soprattutto per il conferimento del
latte, come risulta in tutta evidenza dal verbale dell’assemblea della latteria di Tamai.
Questa assemblea si svolge il 10 giugno 1945 con la partecipazione del sindaco di Sacile,
del sindaco di Brugnera e di un rappresentante del CLN.
Sono presenti 98 tra soci e portatori. La discussione viene aperta dal sindaco di Sacile
che illustra la “grave situazione alimentare delle città prive di ogni risorsa, accennando
al dovere di ogni agricoltore di concorrere per alleviare tali tristi condizioni, recando
agli ammassi i prodotti eccedenti al fabbisogno alimentare, in particolar modo il latte
alla latteria”. Di rincalzo interviene il sindaco di Brugnera “riferendo sulla situazione dei
produttori e non produttori per dimostrare che questi ultimi si trovano in una situazione
quasi disperata oggi.” Inoltre riferisce che “in confronto alle altre frazioni del Comune
Tamai è inferiore di molto nel conferimento del latte: un litro al giorno per armenta”. E
insiste “sul dovere di aumentare il conferimento, onde evitare le severe penalità, confisca
armente, prigione, provvedimenti contro gli inadempienti...”.
Naturalmente il sindaco di Brugnera dichiara che sarà inflessibile nell’applicare la legge.
Uno dei soci risponde vivacemente affermando che al contadino si domandava sempre e
troppo senza venirgli incontro nei suoi bisogni.
La contrapposizione è netta e quindi la polemica si fa aspra.
Poi le cose si sono risolte come si può immaginare, un po’ rispettando la legge e un po’
violandola, mentre le autorità alternano blandizie e toni minacciosi.
Una parte del problema alimentare verrà risolto con l’aiuto degli Alleati e soprattutto degli
USA che fanno affluire rifornimenti all’Europa (aiuti UNRRA, ovvero United Nations
Relief and Rehabilitation Administration, amministrazione delle Nazioni Unite per
l’assistenza e la riabilitazione, etc.). Una volta ristabilite condizioni di vita democratica,
la memoria storica e la sollecitazione dei partiti di massa (DC, PCI, ma anche PSI) porta
a costituire nuove cooperative nella Pedemontana. Alcune sono cooperative di partigiani
che gestiscono autocarri di preda bellica, come a Maniago e a Spilimbergo, altre sono
cooperative di lavoro più tradizionali.
Nel gennaio 1946 la Cooperativa Operaia “S. Lorenzini” di Anduins vince, presso il
comune di Meduno, la gara per licitazione privata per il taglio del Bosco di Taglara,
avendo presentato la migliore offerta (£ 271 al metro stero).
Si veda: “Il Popolo”, 16 dicembre 1945.
Archivio Comunale di Brugnera, Fondo: Latteria Sociale Tamai, Registro Verbali dal 30 marzo 1932 al
14 gennaio 1948.
5 Archivio Comunale di Meduno, Busta: Anno 1944, 1945, 1946, 1947, Copia delibere podestarili e di
giunta.Fascicolo: Deliberazioni di Giunta, 1946 (in attesa di approvazione).
Stero: unità di misura di volume equivalente a un metro cubo, usata per carbone elegna da ardere.
81
Quindi la cooperazione di lavoro mantiene ancora una sua presenza, peraltro non molto
favorita dalle circostanze.
Con delibera di giunta del 28 febbraio 1946 il Comune di Meduno decide l’affittanza
della malga Teglara per il novennio dal primo gennaio 1946 al 31 dicembre 1954 a
trattativa privata, dopo aver invitato sette ditte. Quattro si presentano, tra queste due
vengono escluse perché sprovviste del prescritto certificato di appartenenza al Sindacato
di categoria (art. 7 del capitolato d’appalto): una è la Cooperativa Operaia “S. Lorenzini”
di Anduins. Resta aggiudicatario il signor Giovanni Maria Barassutti di Forgaria.
Le cooperative partigiane in seguito chiuderanno, come accade anche a Pordenone, mentre
solo alcune cooperative di lavoro sopravviveranno stentatamente. A differenza del primo
dopoguerra, quando gli operai più capaci e intraprendenti quasi d’istinto prendevano
l’iniziativa di costituire una cooperativa, ora accade, dopo una fase di esuberante
entusiasmo, che gli stessi operai appunto più capaci e più intraprendenti si metteranno in
proprio, facendo i padroncini.
Come era già successo dopo la prima guerra mondiale, quando ancora non erano risolti i
problemi di saldatura dei raccolti da un anno all’altro e ogni inverno si presentava irto di
preoccupazioni, gli ambienti imprenditoriali chiedevano l’abolizione delle “bardature di
guerra”. La stampa economica faceva eco a questa richiesta, che in sé non aveva nulla di
illegittimo, ma che non teneva conto delle condizioni reali dei ceti più deboli. Anche qui
le posizioni sono diversificate: i più moderati si orientano a sostenere non più l’ammasso
totale, ma il conferimento per contingente, agevolando una soluzione graduale del ritorno
alla normalità.
Con DL del Capo Provvisorio dello Stato del 29 ottobre 1947 n. 1172 si provvede a una
nuova disciplina lattiero-casearia: il latte vaccino destinato a uso industriale è liberamente
commerciabile (art. 17), salve le limitazioni che restano in vigore per quanto riguarda gli
obblighi di denuncia della produzione e della destinazione del latte, nonché il divieto di
scrematura del latte per il produttore che non procede alla trasformazione del latte.
In sostanza resta in piedi un regime vincolistico per quanto riguarda il latte destinato
all’alimentazione della popolazione, sia per il consumo locale, sia per l’esportazione a
favore delle province deficitarie: l’approvvigionamento del latte vaccino destinato al
consumo alimentare diretto viene regolato secondo piani di rifornimento predisposti
dall’Alto Commissariato per l’alimentazione.
Con questa e altre misure riguardanti la consegna del grano solo per contingente, si va
verso la smobilitazione dell’economia di guerra: resta in vigore un limitato ammasso del
burro, è obbligatoria la consegna di due chili di burro per ettolitro di latte destinato alla
trasformazione nei caseifici.
Ibidem
Il Sole, 9 gennaio 1947.
Il Sole, 24 ottobre 1947.
82
Si fa riemergere così gradualmente il libero mercato del latte e del burro per le quantità
non precettate al fine di garantire un minimo di sicurezza alimentare, togliendo di mezzo
così la ragion d’essere del mercato nero, che in effetti scompare come comportamento
illegale. In questa logica generale il latte alimentare è assoggettato a un prezzo ufficiale,
fissato come prezzo nazionale alla stalla. Appena si annuncia come superata la carenza
di generi alimentari indotta dalla guerra, ricompare la speculazione al ribasso a danno
dell’agricoltura: il Consorzio Latterie Friulane inizia l’ammasso volontario del burro. La
tendenza all’associazionismo è quindi sempre molto presente nel mondo agricolo.
Nel momento in cui si può dire che la ricostruzione post-bellica sia già avvenuta, ovvero
al 31 dicembre 1949, Fanna registra 1.986 abitanti presenti, un po’ più di Arba (1.708),
un po’ meno di Cavasso Nuovo (2.125)10. Si tratta di piccoli centri, molto vicini tra loro,
abbastanza omogenei come strutture economiche e modi di vita, ma troppo legati alla loro
identità paesana, per cui non trova spazio effettivo qualsiasi idea di unificazione. Questi
comuni sono comunque caratterizzati da una alta disoccupazione che sarà smaltita solo
dalla ripresa delle tradizionali correnti di emigrazione.
Nel 1949-50 si può dire sia ripristinata e superata la consistenza anteguerra degli
allevamenti bovini, ovini e caprini, con un miglioramento della produzione pro-capite
di latte. Nel tempo si è venuta definendo una differenza tra le latterie nella gestione
che la Camera di Commercio di Udine formalizza nella raccolta provinciale degli usi e
consuetudini agrari.
Stando alla descrizione della Camera di Commercio, alcune latterie funzionano con
l’apporto a turno del lavoro del socio il quale porta anche la legna necessaria alle caldaie.
Altre invece hanno un funzionamento del tutto aziendale, con propri dipendenti. Nell’uno
e nell’altro caso il casaro dirige tutte le operazioni e ne è il responsabile. Nel primo
caso, latteria turnaria, tutti i prodotti della giornata di turno, vanno al socio di turno
cooperante. Nel secondo caso, latteria sociale in senso proprio, la latteria restituisce ai
soci, mese per mese, tutti i prodotti ottenuti ripartendoli in proporzione al latte conferito
e ai rendimenti ricavati11. Nel caso della latteria turnaria, il socio ottiene la sua giornata
quando ha raggiunto con i conferimenti il latte richiesto da una cotta. Ma in via pratica
poteva succedere che per i minori conferenti risultasse necessario od opportuno aggregare
più conferenti nel turno giornaliero.
La pubblicazione degli usi e consuetudini agrari ci consente il riferimento al contratto
ampiamente diffuso all’epoca nel Friuli pedemontano e medio: quello dell’affitto
misto friulano. Questo contratto prevede che l’affittuario corrisponda al proprietario un
quantitativo fisso di cereali o più raramente una somma di denaro, per ogni ettaro di
Giuseppe Cautero, Luci ed ombre della cooperazione friulana, Udine, AGF, 1948, pag. 11.
10 CCIA, Sommario statistico della Provincia di Udine (Aspetti economico-sociali), Udine, Tip. Ed.
Manuzio, 1950.
11 CCIA, Usi e consuetudini agrari e commerciali della provincia di Udine, Udine, 1950.
83
aratorio e una somma pure fissa per i prati naturali e per la casa, nonché la metà dei
prodotti del soprasuolo e delle eventuali colture industriali (vino, bozzoli, frutta).
L’affittuario provvede tutte le scorte vive (quindi il bestiame) e morte necessarie alla
coltivazione del fondo, restando a suo conto utili e perdite derivanti dal bestiame che deve
essere in quantità sufficiente alla buona conduzione dei terreni.
Il carattere iugulatorio del contratto era siglato dalla sua durata annuale, tacitamente
rinnovabile, ma ad libitum del concedente. Poco dopo il suo insediamento (1964), il
Consiglio regionale deliberò con legge l’assimilazione del contratto di affitto misto al
contratto di mezzadria per consentire l’abolizione come si era fatto per la mezzadria con
legge nazionale (legge 15 settembre 1964 n. 756 che sancisce il divieto di nuovi contratti
di mezzadria). Una battuta stava alla base del dibattito consiliare: l’affitto misto friulano
aveva fatto al Friuli più danni di due guerre mondiali.
Dalla lettura dei verbali risulta che si verifica a Fanna qualche irregolarità nella lavorazione
del latte: i soci ricevono formaggio guasto che viene cambiato successivamente con
formaggio normale. Gli incidenti nel caso della lavorazione del latte purtroppo non erano
infrequenti, provocando a volte gravi perdite alla latteria.
Ne troviamo traccia anche in un verbale della latteria di Cavasso: il 16 giugno 1938 il
Presidente della latteria deve convocare il Consiglio per comunicare che sulla quantità di
qli 43,5 di formaggio prodotto durante il mese di maggio ve ne sono 28 di scarto, dei quali
qli 1,36 assolutamente immangiabili, come risulta da una nota presentata dallo stesso
casaro. Più cotte evidentemente sono andate male: è stato dato incarico al dott. Silvino
Braidot dell’Ispettorato Provinciale dell’Agricoltura di Udine di stabilire le cause e si è in
attesa di conoscere la relazione.
Il Consiglio d’Amministrazione delibera di convocare l’assemblea dei soci per informare
tutti di quanto accaduto: intanto il casaro viene sospeso cautelativamente per alcuni giorni.
La latteria di Fanna, come in generale le latterie del Friuli, aderisce alla Confederazione
Cooperativa Italiana che in pratica costituisce – riprendendo il linguaggio del dopoguerra
– la cooperazione bianca che si contrappone alla cooperazione rossa facente parte della
Lega Nazionale Cooperative e Mutue, particolarmente forte in Emilia-Romagna e in
Toscana. La Confederazione Cooperativa Italiana (come anche la Lega) è associazione
nazionale di rappresentanza, assistenza, tutela e revisione del movimento cooperativo
riconosciuta giuridicamente con DM 12 aprile 1948 ai sensi del DL 14/12/1947, n. 1577
con sede centrale a Roma. Tra le altre cose, La Confederazione gestisce la revisione
ordinaria delle cooperative aderenti: si trattava di una importante conquista del movimento
cooperativo che autogestiva così il controllo degli enti aderenti, dandogli un carattere
collaborativo e non repressivo.
Naturalmente i revisori esprimono nei loro verbali anche critiche agli amministratori.
Così alla latteria di Cavasso viene fatto osservare che il libro dei soci non è in regola.
Rilievo piuttosto serio perché da un libro soci non aggiornato ne potevano risultare
assemblee invalidabili.
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ELEMENTI BASE PER LA VALUTAZIONE
DELLA PRODUZIONE DI LATTE
FEMMINE ADULTE
numero
PRODUZIONE
quintali
PRODOTTI
In complesso
di cui in lattazione
per capi
in lattazione
ANNO 1938
Latte di vacca . . . . . . . . . . Latte di pecora . . . . . . . . . . Latte di capra . . . . . . . . . . 141.000
20.000
9.000
134.000
16.000
6.800
18,80
0,65
2,54
2.520.000
10.400
17.300
ANNO 1949
Latte di vacca . . . . . . . . . . Latte di pecora . . . . . . . . . . Latte di capra . . . . . . . . . . 146.000
36.000
16.000
138.000
30.500
13.500
20,40
0,66
2,96
2.520.000
20.130
40.000
ANNO 1950
Latte di vacca . . . . . . . . . . Latte di pecora . . . . . . . . . . Latte di capra . . . . . . . . . . 148.000
35.000
15.800
139.500
28.800
13.500
20,70
0,66
2,98
2.889.000
19.000
40.020
In complesso
Fonte: Studi sul reddito nazionale promossi dall’Istituto Centrale di Statistica, Il prodotto netto dell’agricoltura
friulana negli anni 1938-1949-1950. Studio eseguito a cura della Camera di Commercio Industria e Agricoltura (in
collaborazione con Ispettorato Provinciale dell’Agricoltura), Udine, Tipografia Pellegrini, 1956.
85
21. Il X° Congresso Provinciale della Federazione Friulana Cooperative e Mutue
Una messa a punto delle proprie posizioni la definirà la Federazione Friulana Cooperative
e Mutue con il suo X° Congresso Provinciale tenuto a Udine nel maggio 1955 al quale
partecipano cooperatori della Sinistra Tagliamento e della Destra Tagliamento, la quale
ultima non ha organizzazione propria.
Il Congresso è aperto dalla relazione dell’on. Umberto Zanfagnini, una delle figure di
prestigio del mondo politico udinese, che si richiama alla cooperazione di ispirazione
laica, constatando che ogni appello a una unificazione di tutta la cooperazione risulta
caduto nel vuoto.
Il dibattito del Congresso intreccia il ricordo degli ideali della Resistenza e la sottolineatura
della necessità di attuare la Cosituzionecon la denuncia dell’ondata di discriminazioni
che da parte governativa hanno costantemente colpito quella parte della cooperazione che
non si presenta come collaterale rispetto ai partiti governativi.
Siamo in un momento indubbiamente difficile per i cooperatori di sinistra per gli
attacchi cui sono sottoposti, ma si tratta anche di un momento difficile soprattutto per la
cooperazione agricola che soffre per la caduta dei prezzi pagati ai produttori.
Oggetto dell’attacco di Zanfagnini è il Consorzio Latterie Friulane, accusato di aver
assunto un ruolo speculativo perché paga il latte ritirato dalle latterie meno dei privati
incettatori e commercianti, mentre sia l’Associazione Cooperativa di Udine e l’Unione
Cooperative di Pordenone si sono shierate dalla parte del Consorzio stesso rinunciando a
tutelare le latterie.
Significativo che in quella sede il rappresentante dell’Ispettorato Provinciale
dell’Agricoltura, dott. Braidot, si schieri dalla parte dell’on. Zanfagnini.
Braidot si era qualificato per la sua indipendenza di giudizio: qui porta argometi di peso.
Si legge nel resoconto del Congresso: “(Braidot) cita... il caso del latte che viene portato
a Trieste con un titolo di grasso che in base a un contratto è del 3,2% laddove è noto che
il nostro latte alla produzione ha un quantitativo di grasso che si avvicina al 4%.
Questa è una indebita sottrazione che si fa ai consumatori, ai quali si ha l’obbligo di dare
un latte integro e genuino”.
Il congresso prende posizione per l’attuazione della Regione Friuli Venezia Giulia a
statuto speciale e nel complesso rappresenta una scelta di attenzione verso i problemi
dell’agricoltura.
Notiziario della cooperazione friulana, Federazione Friulana Cooperative e Mutue, n. 24, luglio 1955.
86
Esaurite le discussioni, il Congresso procede alla nomina del nuovo Consiglio Direttivo
che risulta così composto:
Zanfagnini Umberto
Chiaruttini Antonio
Francovigli Angelo
Angeli Gio Batta
Bosari Otello
Bianchin Silvio
Bertolini Anselmo
Beltrame Serafino
Candusso Gino
Cosattini Alberto
Ciani Sante
Domenicali Luciano
Dorigo Giovanni
De Paulis Giuseppe
Fabbro Aldo
Furlan Antonio
Gerin Ottavio
Lepre Franco
Mattioni Lino
Marco Stefano
Morbillo Francesco
Moschioni Antonio
Panizzo Bruno
Paoli Paolo
Pellegrini Giovanni
Sellan Nello
Sbaiz Antonio
Valoppi Antonio
Virgilio Gino
Delle persone che compaiono al Congresso a vario titolo ben quattro le ritroveremo nella
prima legislatura del Consiglio Regionale: Angeli Gio Batta (PSI), Bosari Otello (PCI),
Moschioni Antonio (PCI) – membri del Consiglio Direttivo –, Simsig Eligio (PCI) – delle
cooperative goriziane –, De Caneva Tranquillo – della Camera Confederale del Lavoro di
Udine. Un tanto indica quali erano i collateralismi che funzionavano per PCI e PSI.
87
22. Spopolamento della montagna
ANNI 50
Il dato locale delle zone montane e pedemontane riguardante il latte deve essere inquadrato
in un dato più generale: secondo l’ISTAT la produzione di latte era passata in Italia dai 50-60
milioni di quintali annui dell’anteguerra ai 90 milioni cui si faceva riferimento nel 1957.
Questo aumento della produzione era dovuto alla selezione del patrimonio bovino, al
miglioramento della sua alimentazione e alla meccanizzazione agricola che aveva eliminato
(o stava eliminando) i buoi da lavoro, ma anche la necessità di utilizzare le vacche da latte nei
lavori agricoli, con la naturale conseguenza di far diminuire la quantità di latte munto.
Del resto l’economia italiana si sviluppa negli anni ‘50 del Novecento con le note caratteristiche:
accanto alle aree in crescita (Triangolo industriale, aree agricole della Val Padana, etc.) restano
le zone di sottosviluppo, sostanzialmente il Meridione e le zone montane, nelle quali ricade una
parte del Friuli.
Intervento del dr. Fernando Pagani, vice direttore della Confederazione Generale dell’Agricoltura Italiana, al
convegno organizzato dalla Consulta per l’Agricoltura e le Foreste delle Venezie: “Agricoltura e pesca trivenete
nel quadro dello schema Vanoni”, Venezia, 28-29 settembre 1957 in Atti del Convegno, pag. 248.
Nel 1951 la latteria di Fanna partecipa alla solidarietà nazionale donando il latte per
gli alluvionati del Polesine, un certo numero dei quali arrivano a Pordenone e vengono
sistemati negli edifici ex GIL ed ex Casa del Fascio.
A metà degli anni Cinquanta nella zona pedemontana si cominciano a registrare le conseguenze negative dell’emigrazione. Gli anni ‘50 sono senza dubbio quelli più pesanti
per la montagna e per la stessa Pedemontana: l’industria registra in provincia di Pordenone ristrutturazioni con licenziamenti nella tradizionale industria tessile (Cotonificio
Veneziano), ma ben poche nuove assunzioni soprattutto nel periodo iniziale nei settori in
crescita (metalmeccanico e mobiliero). L’unica valvola è l’emigrazione.
Nel Consiglio d’Amministrazione della latteria di Campagna del 7 marzo 1954 un socio
chiede che l’assemblea venga convocata non oltre il mese di gennaio “per dar modo agli
emigranti di essere presenti essendo la stagione che tutti sono a casa, mentre nei successivi mesi si à (sic) una partecipazione limitata e quasi solo di donne che alla fine creano
solo confuzione”. Chi si esprimeva in questi termini poteva anche risparmiarselo perché
si rifiutava di guardare in faccia la realtà, ovvero che in molti casi erano solo le donne
che mandavano avanti le aziende contadine. Ma in altri paesi la situazione risulta anche
più grave poiché si trova a emigrare tutta la famiglia, soprattutto nei casi di emigrazione transoceanica. Nella relazione presentata sull’esercizio sociale chiuso al 31 dicembre
1955, il Presidente della Latteria di Cavasso Nuovo deve constatare che nell’anno 1955 la
88
latteria ha avuto una entrata di latte inferiore di 165 quintali rispetto al 1954: “Tale conseguenza va ricercata nel fenomeno a cui giornalmente assistiamo, ossia all’emigrazione in
massa di tante famiglie del paese. Si sa che le nostre genti sono state soggette a emigrare,
ma mentre un tempo questa era di carattere stagionale, o che limitava l’esodo dal paese
alle braccia più valide, oggi vediamo che assieme al capo famiglia parte l’intero nucleo,
rendendo così automaticamente inattive le stalle a cui poco o tanto tutti localmente si dedicavano. Di fronte quindi alla crisi che in tal senso è andata creandosi nel nostro paese,
quanto nei paesi limitrofi, auguriamoci che dell’altra gente animata veramente di buona
volontà nel lavoro venga a rimpiazzare le famiglie assenti per incamminarci di nuovo su
quella strada della ripresa, che così tanto orgogliosi ci faceva della nostra società, nella
quale riserviamo le nostre più belle speranze”.
Il 25 marzo 1957 viene firmato a Roma il trattato istitutivo del Mercato Comune Europeo
che entra in vigore in Italia il 24 dicembre 1957. Il trattato impegna Italia, Germania,
Francia, Belgio, Olanda e Lussemburgo a realizzare una unione doganale.
L’articolo 2 prevedeva però il graduale ravvicinamento delle politiche economiche, dando particolare risalto alla politica per l’agricoltura con la disciplina dei mercati agricoli.
In tal modo i regolamenti comunitari fanno parte del diritto positivo interno e al magistrato nazionale incombe l’obbligo di farli applicare, qualora richiesto per le vie giudiziali.
Il Mercato Comune Europeo venne allora definito un ente o una organizzazione super
individuale. Infatti la sua origine è data da un trattato, in pratica sempre un accordo tra i
vertici di più stati.
Nel 1957-58 le latterie in Friuli toccano il punto di maggior espansione arrivando a 642.
Però nel 1956 nella Destra Tagliamento l’Unione Cooperative verifica un fenomeno allarmante: nelle 162 latterie della zona si riscontra che il conferimento del latte da parte dei
produttori sta calando. In quello stesso anno il conferimento aveva dato la cifra complessiva di 1450 quintali di latte al giorno di cui 150 quintali sono stati venduti quotidianamente
per uso alimentare. Rispetto all’anno precedente il conferimento globale del latte registra
quindi una flessione del 10% circa e il fenomeno non solo non accenna ad attenuarsi, ma
dà chiari segni di aggravamento. Per il 1957 infatti l’Unione Cooperative prevede in una
sua nota diffusa alla stampa un conferimento minore del 10% rispetto al 1956.
Evidentemente, come suggerisce l’Unione Cooperative, gli allevatori tendono ad assumere l’indirizzo della produzione di carne, abbandonando “la via del latte”, visto che questa
impostazione è poco remunerativa (non più di 40 lire al litro).
Nel 1961 si costituisce a Fanna come società di fatto la Società Allevatori Bovini con
lo scopo di migliorare la razza bovina bruno alpina, continua quindi l’impegno per la
selezione. Nel 1964 in provincia di Udine esistono 606 latterie (C. Grinovero).
Leopoldo Elia, “Struttura giuridica e realtà politica della Comunità Europea”, in Gli anni difficili della
Comunità Europea, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1960, pag. 89.
Messaggero Veneto, 14 maggio 1957, Cronaca di Pordenone.
89
È incominciata la diminuzione del numero delle latterie per conseguenza dello
spopolamento della montagna. Nello stesso periodo cominciano a calare di numero anche
le malghe: in Carnia nel 1950 si contavano 154 malghe che nel 1967 si riducono a 132.
Nel 1966 le latterie trovano conveniente vendere una parte del loro latte al Consorzio
Cooperativo Latterie Friulane che provvede a pastorizzarlo e quindi passarlo alla rete
distributiva, di cui però fanno parte anche le latterie. Le incertezze sulla sorte della latteria
a Campagna cominciano nel 1967 quando l’Essiccatoio Bozzoli di Splilimbergo chiede
l’adesione al progetto di costruire un moderno caseificio a Spilimbergo. Il verbale della
latteria del 15 settembre 1967 rivela tutta la difficoltà a prendere una posizione: “[...] il
Consiglio ha deliberato all’unanimità di soprassedere alla decisione in quanto si trova
perplesso che sia Pordenone che Spilimbergo abbiano in programma la costruzione di
un caseificio moderno e quindi pensa di attendere ulteriori sviluppi della situazione”. Gli
amministratori evidentemente non sanno che pesci pigliare e intanto continuano a fare
spese di manutenzione e di ammodernamento, chiedendo contributi alla Regione che a
sua volta si barcamena tra due linee, quella della latteria di paese e quella del caseificio di
maggior dimensione. Ma è certo che dal basso non si riesce a prendere atto delle esigenze
produttive più generali e a imboccare la strada giusta. Dalle carte del 1967 risulta che
la latteria di Cavasso distribuisce gratis i sottoprodotti della lavorazione, latticello e
siero, come ha sempre fatto per un lungo periodo della sua durata. Negli ultimi anni di
funzionamento della latteria però, guardando i blocchetti delle ricevute, ci si accorge che
il siero viene venduto, registrando diligentemente le relative entrate. Per il formaggio che
si vende una ricevuta nota: “[...] formaggio venduto in conto tassa lavorazione (ricevuta
n. 255 del 31 dicembre 1967)”. Si tratta di una quantità di formaggio non distribuito ai
soci e che fa parte di un “fondo latteria”. Nella stessa maniera si vende una parte del
burro. È evidente che il costo di gestione comincia a essere relativamente alto e bisogna
farvi fronte, utilizzando tutte le possibilità di entrata. Nello stesso anno la latteria riceve
ogni dieci giorni dal Consorzio Cooperativo Latterie Friulane una quindicina di cestelli
di bottiglie da mezzo litro di Latte Carnia omogeneizzato e li rivende al pubblico. Risulta
chiaro come i gusti siano cambiati nel tempo e non ci si accontententi più del semplice
latte di mucca munto nelle stalle del paese. Non risultano ricevute per il latticello. Per il
mese di dicembre 1967, tra le carte della latteria di Cavasso Nuovo è rimasta una distinta
delle retribuzioni corrisposte al casaro Antonio Ivan:
per n. 23 giorni feriali............................................£ . 71.622
per n. 5 domeniche.................................................£ 23.355
per n. 3 feste naz. infrasett.....................................£ . 23.355
per premio mensile di superquintalato
(da q.li 12 a q.li 14)................................................£ 13.000
per conduzione caldaia a vapore............................£ 3.000
per gratifica natalizia.............................................£ 92.160
Totale lordo.................£ 226.492
90
Al totale di £ 226.492 si devono togliere le trattenute previdenziali per £ 14.874 e la rivalsa
R.M.C./2 per £ 15.801; pertanto resta un netto totale di £ 195.817, cui si aggiungono gli
assegni familiari. Tenuto conto dei livelli salariali del tempo, non era una paga bassa.
Però la condizione di lavoro era pesante: il casaro doveva lavorare per tutte le festività
Nel 1968, poiché le latterie registrano un calo della raccolta di latte, si cerca di correre
ai ripari. Nello stesso anno l’organizzazione “Destra Tagliamento” dell’Unione Friulana
Cooperative e Mutue (l’ordinamento della nuova provincia non è ancora diventato
compiutamente operante) elabora uno Studio di massima per l’unificazione di sette latterie
sociali ubicate nella zona di Maniago in un raggio medio di cinque chilometri.
I proponenti sono espliciti e argomentati e si richiamano alle prospettive di mercato
per il latte e i suoi derivati, in relazione all’entrata in vigore delle norme previste dal
Mercato Comune Europeo. L’analisi dei proponenti il caseificio di Maniago prevede
che la produzione del latte sarebbe stata remunerativa in prospettiva solo nelle seguenti
condizioni:
1) i costi alla stalla dovevano essere contenuti intorno alle 60/65 Lire il litro;
2) gli impianti di lavorazione dovevano assumere la dimensione della lavorazione
dei 100/150 quintali e oltre di latte raccolto giornalmente;
3) i costi di distribuzione dei prodotti caseari dovevano essere ridotti;
4) gli impianti di circa 10/15 quintali giornalieri dovevano venir abbandonati;
5) doveva essere assicurata la uniformità di produzione del formaggio Montasio
per imporlo a un più vasto mercato.
Il tentativo di unificazione fallisce. Le concezioni campanilistiche sono molto forti e
nessuna latteria accetta il proprio scioglimento perché gli amministratori sono troppo
attaccati al loro particolarismo e troppo convinti dei pregi del loro prodotto.
La concentrazione della produzione avverrà più in là nel tempo quando sarà più evidente
l’entità dell’esodo dall’agricoltura, il calo della produzione del latte e di conseguenza il
calo della quantità di latte conferita.
Con l’entrata in funzione del Mercato Comune Europeo si sviluppa una politica di riduzione
della coltivazione dei cereali, nel quadro di una scelta generale di liberalizzazione degli
scambi. Si delinea uno spazio maggiore per gli allevamenti (che rappresentano circa il
50% del valore della produzione nel periodo 1980-84. Ma poi entra in vigore anche
una politica di riduzione della produzione di latte nei paesi membri della Comunità
(regolamento CEE/804/68 del 27 giugno 1968 e successive modifiche e integrazioni). In
questa impostazione rientrano i provvedimenti per l’abbattimento delle bovine da latte.
Ricerca IRES, “L’andamento dell’economia e l’intervento della Regione nel periodo 1983-1987”, in
Partito Comunista Italiano, Informazioni regionali del Friuli-Venezia Giulia, n. 3, maggio-giugno 1988.
91
23. Dalla latteria al caseificio industriale
Verso la metà degli anni Sessanta fa la sua comparsa la questione della sovrapproduzione
di latte: una parte del latte raccolto dal caseificio di Cavasso verrà in seguito conferito al
Consorzio Cooperativo Latterie Friulane nell’ambito del programma di ammasso del latte
di supero da avviare alla trasformazione in burro e latte in polvere per uso zootecnico.
Contemporaneamente altre iniziative muovono i primi passi perché ormai si avverte
l’esigenza di passare al caseificio industriale. Si pongono problemi di chi deve essere
il soggetto imprenditoriale della nuova fase e di scelta dell’ubicazione dei nuovi
stabilimenti.
Si apre il dibattito sull’applicazione della legge relativa alle aree depresse del Centro-Nord
per il potenziamento della cooperazione agricola nelle zone interessate (Legge 22 luglio
1966, n. 614). Da un lato l’Essiccatoio Bozzoli di Splimbergo organizza una serie di visite
degli agricoltori locali ai caseifici industriali del Veneto e della Lombardia, dall’altro
sviluppa una analisi della situazione dell’agricoltura dell’Alto Friuli.
Siamo oltre la metà degli anni Sessanta ed è incominciata una industrializzazione diffusa
che verrà sostenuta sia dalla legislazione per la rinascita del Vajont sia dalla legislazione
regionale sugli incentivi. In questa trasformazione industriale – molto più incidente sulla
realtà dei paesi rispetto alla tradizionale emigrazione, temporanea o permanente che fosse
– l’agricoltura dei nostri paesi si trova a essere, in generale, il settore in ritardo e in
difficoltà. In tal senso è esplicito il discorso dell’Essiccatoio: “[...] l’attuale situazione
agricola presenta uno stato di avanzato disfacimento, caratterizzato da un clima fatalistico
di supina attesa”.
E più avanti: “In questi giorni si assiste a consegne di grano a £ 6.000 il quintale, quando
la Borsa di Treviso fa prezzi di £ 6.400/6.500 con punte di £ 6.600.
Si tolgono così circa 400/600 lire al quintale a una moltitudine di agricoltori e, più
esplicitamente, su una produzione poniamo di q.li 100.000, si toglie al mondo agricolo un
ricavo di £ 50 milioni. Analoghe considerazioni possono farsi per tutti i prodotti agricoli,
zootecnici, carne, latte, granoturco, ecc. e per tutti c’è una linea di difesa da stabilire
L’operazione è regolamentata dal DM 21 giugno 1967. Ai consorzi e alle cooperative è assicurato il
prezzo di £ 5.800 per ogni quintale di latte posto franco banchina del centro di raccolta designato; per
il ricevimento, trattamento e spedizione del latte dai centri di raccolta a quelli di trasformazione e per
la trasformazione lo stato mette a disposizione il 90% di £ 20 (quindi £ 18) per ogni quintale di latte
trasformato. L’intervento dello Stato è assicurato limitatamente a ettolitri 350.000 da conferirsi dal primo
luglio al 31 dicembre 1967.
A.L.C.N., Essiccatoio Bozzoli Cooperativo Intermandamentale di Spilimbergo, assemblea ordinaria dei
soci 26 agosto 1967. Relazione sulle nuove iniziative agricole che il Consiglio di Amministrazione si
propone di svolgere nella zona di competenza dell’Essiccatoio.
92
ed un’azione offensiva da intraprendere, per evitare che ogni anno vengano sottratte al
mondo agricolo cifre enormi, aggravando sempre più il divario fra agricoltura, industria
e commercio.
Il prodotto agricolo ci appare suscettibile di ulteriori ricavi, dipendenti da trasformazioni
industriali e da organizzazioni commerciali”.
Il Consiglio dell’Essiccatoio completa la propria analisi in termini molto allarmistici
constatando che la zootecnia sia ormai sulla soglia della liquidazione, rappresentando
con ciò un pericolo mortale per tutta l’agricoltura.
Le proposte della Cooperativa Medio Tagliamento sono basate su uno studio condotto
nella possibile zona di influenza dal quale risulta che nell’anno 1966 il prezzo medio del
latte pagato ai produttori conferenti alle latterie è stato inferiore a £ 50 il litro, mentre in
altre zone sarebbe stato di poco superiore a £ 50.
L’ipotesi che la Cooperativa Medio Tagliamento avanza è quella di assicurare al produttore
un compenso di £ 7.000 per quintale di latte, considerando questo livello di prezzo
l’elemento necessario a incoraggiare il mantenimento e l’accrescimento del patrimonio
zootecnico esistente. Ciò comporterebbe a monte la riorganizzazione delle aziende agricole
e poi l’organizzazione della raccolta del latte, la sua lavorazione con criteri industriali
(un caseificio che lavori giornalmente 300 quintali di latte, con possibilità di aumento
fino a 450 quintali), l’organizzazione della vendita sui grandi mercati. L’inquadramento
generale è quello di tutelate efficacemente i settori dei cereali, delle carni e del latte
“dando un significato effettivo ai prezzi del MEC”.
All’assemblea dei soci dell’Essiccatoio Bozzoli Cooperativo Intermandamentale di
Spilimbergo il Consiglio di Amministrazione il 26 agosto 1967 presenta un vasto
programma di iniziative cooperativistiche che si propongono sia agli agricoltori che alle
latterie esistenti.
All’inizio degli anni Settanta comincia a funzionare la Cooperativa Medio Taglliamento
con sede a Spilimbergo, comprendendo un caseificio e gli impianti di essiccazione e
stoccaggio di cereali.
Proprio il caseificio è in grado di assorbire notevoli quantitativi di latte destinato sia alla
trasformazione in una vasta gamma di formaggi sia alla preparazione di latte alimentare.
Si delinea la tendenza ad assorbire le latterie di paese in un ente economico di più ampia
dimensione, adatto alle trasformazioni avvenute.
Questa cooperativa non è altro che l’Essiccatoio nato nel 1917, colpito successivamente
dalla crisi dei bozzoli. Infatti l’andamento dei soci la indica:
- 17 febbraio 1917 la società aveva n. 28 soci;
- 30 agosto 1947 la società aveva n. 1708 soci;
- 25 novembre 1947 la società aveva n. 1276 soci;
- 13 marzo 1966 la società aveva n. 477 soci.
A.L.C.N., ibidem.
93
La contrazione della coltura del baco da seta è evidente. Per evitare lo scioglimento,
l’essiccatoio si trasforma dandosi l’obiettivo di realizzare un “centro agricolo-industriale”,
nel quale dovrebbero sorgere, in vari tempi, i seguenti complessi:
1) nuovo complesso lattiero-caseario;
2) essiccatoio cereali con silos;
3) mangimificio;
4) allevamento maiali.
La nuova cooperativa assume la denominazione di Cooperativa Agricola Medio
Tagliamento di Spilimbergo.
Nel 1967 l’Unione Friulana Circondariale delle Cooperative e Mutue di Pordenone stava
ponendo il problema della riorganizzazione strutturale dei caseifici per la valorizzazione
e difesa dei prodotti, come risulta anche dalla assemblea del suo settore caseario e agricolo del 17 giugno 1967.
Il 30 dicembre 1967 il presidente della latteria di Cavasso, Giovanni Dinon, convoca
l’assemblea straordinaria dei soci per il giorno sabato 20 gennaio 1968 alle ore 18 presso
la sede e in seconda convocazione per domenica 21 gennaio 1968 alle ore 14:30 presso
la sala dell’Albergo Al Sole per trattare il seguente ordine del giorno:”Adesione nuovo
complesso lattiero caseario”.
Nel 1969 l’assemblea straordinaria dei soci della latteria di Fanna tenutasi il 20 luglio
1969 delibera la costituzione di una nuova società a responsabilità limitata, il numero di
soci è di 164, il capitale sociale di Lire 2.460.000, le quote sociali risultano del valore
nominale di Lire 15.000 ciascuna.
Nella successiva assemblea ordinaria del 26 aprile 1970 viene comunicato ai soci che
durante l’anno 1969 sono stati conferiti oltre 100 ettolitri di latte in meno dell’anno
precedente: la causa viene individuata nel fatto che i produttori non conferiscono tutto il
latte alla latteria, ma lo vendono ai privati.
Nel 1969 la latteria di Tamai, quindi una società che opera in pianura, contava ancora
99 soci che conferivano nel corso dell’anno 6.414 quintali di latte, dei quali 498 vennero
venduti come latte naturale, mentre i restanti 5.915 furono lavorati producendo 498
quintali di formaggio a pasta dura e 58 quintali di burro.
La Provincia era ancora quella di Udine: la Destra Tagliamento era costituita in Circondario.
94
LATTERIA DI CAVASSO NUOVO
Statistica produttiva anno 1970
Latte entrato........................... q.li 4.365,41,7
Latte venduto..........................
133,85,5
Latte lavorato.........................
4.231,56,2
Formaggio prodotto..............
Burro prodotto........................
357,82,1
43,13,1
La media di latte lavorato è poco più di 11 quintali al giorno: tenuto conto delle spese
fisse per il personale (casaro e segretario) che ammontano a 3.000.000 sul totale spese di
£ 4.834.009, ne risulta un costo di lavorazione piuttosto alto.
Il problema delle latterie di paese si poneva nella stessa maniera: sia nella pedemontana
che in pianura doveva essere ricercata una alternativa.
Restare fermi voleva dire inevitabilmente aspettare una fine ormai vicina. Un altro
incidente di lavorazione piuttosto grave verrà segnalato dal Consiglio di Amministrazione
della latteria di Fanna del 12 dicembre 1970: sei cotture consecutive di formaggio non
sono riuscite perfette perché le forme manifestano un gonfiore abbastanza elevato. Anche
consultando il casaro non si riesce a dare una spiegazione di queste difettose riuscite della
lavorazione che richiederebbero una analisi del latte conferito.
Neppure la consultazione del testo dei tecnici caseari risulta di grande aiuto. L’unica cosa
che può fare il Consiglio è di decidere che il danno non ricada unicamente a carico dei
soci che erano di turno per le sei cotture. Si stabilisce che le cotture in difetto siano divise
in eguale misura tra tutti i soci portatori di latte.
L’episodio avrà uno strascico perché un socio verrrà accusato di condurre “non solo localmente, ma anche nei paesi vicini” una azione diffamatoria contro la latteria proprio
parlando in giro delle cotture mal riuscite.
Per cui in data 14 marzo 1971 il socio maldicente viene espulso dalla latteria.
Nel 1971 si costituisce a Spilimbergo (notaio Cesare Marzona) la Cooperativa Agricola
Medio Tagliamento: questo caseificio di zona riuscirà a prendere piede raccogliendo il
latte prodotto nell’area circostante.
All’assemblea della latteria di Fanna del 23 aprile 1972 vengono resi noti i risultati del
1971: sono stati conferiti 3.864 quintali con una diminuzione rispetto al 1970 di 362
quintali, in pratica un quintale in meno al giorno. Pur con un certo ritardo, anche nella
Destra Tagliamento riesce qualche iniziativa del settore lattiero-caseario che tende a
superare la latteria di paese.
95
Nel 1954 viene fondata la latteria di Villadolt (Fontanafredda) che nel 1972 si trasforma
da turnaria a cooperativa: nell’arco di pochi anni tutte le latterie della zona confluiscono
in quella di Villadolt.
Alla fine del processo di aggregazione, ben 17 caseifici del circondario si fondono con
quello di Fontanafredda (notiziario ERSA, 1-2/2002). Attualmente (2012) il caseificio di
Villadolt lavora 130/140 quintali giornalieri di latte con un impianto potenziale di 200
quintali.
In qualche caso il processo di aggregazione locale riesce.
Riesce altresì nel 1968 una concentrazione del caseificio nel Sanvitese, con la costituzione
di una latteria denominata Società Cooperativa di Venchiaredo, di media dimensione,
situata a Ramuscello di Sesto al Reghena, raccogliendo circa 200 produttori di latte della
zona compresa tra Cordovado, Morsano al Tagliamento, Sesto al Reghena e la Bassa
Friulana.
L’attività del nuovo stabilimento inizia nel 1971, producendo formaggio montasio,
formaggio malga, caciotta, casatella, stracchino, italico, taleggio, ricotta, burro. In seguito
l’azienda viene scelta quale partner di fiducia di alcune catene distributive nazionali ed
estere. Nel 2005 la società si struttura in due realtà economiche: La Società Cooperativa
Agricola Caseificio Venchiaredo, la quale gestisce il rapporto con i soci produttori della
materia prima latte (produzione e trasporto), e la Venchiaredo S.p.A., che si specializza
nella trasformazione e commercializzazione del prodotto finito.
Nella nuova società come soci entrano Coopfond, Fondo Sviluppo e Granlatte per
mantenere un legame con il mondo della cooperazione. Inoltre entra anche Friulia,
finanziaria della Regione Friuli-Venezia Giulia.
Nel 1973 all’assemblea dei soci della latteria di Fanna viene comunicato che
l’Amministrazione regionale ha concesso un contributo di Lire 336.000 “per lo sviluppo
della cooperazione”.
L’8 settembre 1973 il Comitato Agricolo dell’Ente Fiera di Pordenone organizza un
convegno con il seguente tema: “Valorizzazione della economia agricola regionale.
Prospettive tecniche ed economiche per il formaggio Montasio”.
Il depliant che pubblicizza il convegno, dopo essersi diffuso piuttosto prolissamente
sul fatto che gli emigranti friulani non riescono ad adattarsi nei nuovi paesi ad altri
formaggi, accenna alla nuova situazione che si profila: in futuro il formaggio Montasio si
troverà davanti alle esigenze di commercializzazione previste dalla CEE. Ma il Comitato
Agricolo non prospetta nessuna indicazione precisa, segno delle difficoltà di promuovere
una qualche unificazione.
In concomitanza con il convegno si inaugura il Caseificio Medio Tagliamento a
Spilimbergo.
La Cooperativa Agricola Medio Tagliamento (Spilimbergo) si rivolge alle latterie della
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zona con una linea morbida che prevede la continuazione della loro attività, conferendo al
caseificio di Spilimbergo solo una parte della loro raccolta di latte o anche “sistematicamente
un giorno per settimana in modo da permettere ai Casari di godere del riposo settimanale”
(lettera del presidente della Cooperativa Agricola Medio Tagliamento del 29 maggio
1974). In pratica poi accadrà che in molti casi i soci delle latterie scavalcheranno la linea
diplomatica della Cooperativa Agricola Medio Tagliamento conferendo direttamente il
loro latte alla stessa Cooperativa Agricola Medio Tagliamento, abbandonando la latteria
a cui da tempo appartenevano. Con ciò se ne deduce che i casari non godevano del riposo
settimanale, del quale fruivano tutti i lavoratori dipendenti.
Per la realizzazione del Caseificio Medio Tagliamento sono previsti finanziamenti
regionali, statali e dal FEOGA. Nel 1975, alla seconda Conferenza Economica Provinciale
di Pordenone il presidente dell’Unione Provinciali Agricoltori, ing. Guecello di Porcia,
constata che negli ultimi trenta anni gli agricoltori hanno confermato il tradizionale spirito
associativo della Regione dando vita a importanti realizzazioni quali cantine sociali,
caseifici, centri di raccolta ed essicazione di cereali, centri raccolta di frutta, precisando
che da queste realizzazioni si dovrà passare per qualche settore a più vasti enti di secondo
grado, “ancor più efficienti, per dare agli agricoltori un maggior potere contrattuale e per
ridurre le spese di distribuzione, commercializzazione dei prodotti con evidente vantaggio
del produttore e del consumatore”.
Il 6 marzo 1976 il Ministero dell’Agricoltura e delle Foreste, Direzione Generale dei
Miglioramenti Fondiari e Servizi Speciali Div. VIII, decreta un contributo di £ 588.000
(registrato alla Ragioneria Centrale presso il MAF il 6 maggio, part. 303415) alla Latteria
Turnaria di Cavasso Nuovo, come concorso dello Stato “per le spese sostenute per
l’attività di raccolta e trasporto latte di produzione dell’anno 1974”. Per complicazioni
burocratiche nel settembre 1976 il contributo non era stato ancora liquidato; infatti in data
22 settembre il vicedirettore dell’Unione Provinciale Cooperative Friulane, rag. Riccardo
Fioretti, chiede alla Latteria di completare la documentazione.
I sismi di maggio e settembre 1976 colpiscono anche latterie, fienili e stalle.
La latteria di Cavasso Nuovo viene gravemente danneggiata, quella di Fanna meno: i
produttori di Cavasso portano il loro latte a Fanna, mentre i due consigli di amministrazione
si riuniscono congiuntamente.
La collaborazione dura circa tre anni, ma non si arriva a una fusione.
FEOGA, Fondo Europeo di Orientamento e di Garanzia, ha il compito di assicurare la difesa delle
produzioni agrivole con l’integrazione dei prezzi e con il finanziamento di interventi strutturali. Nella
sua concezione iniziale il Mercato Comune Europeo avrebbe dovuto determinare una più marcata
specializzazione produttiva tra i sei paesi costituenti la Comunità. In questa impostazione l’Italia avrebbe
dovuto orientarsi sulle esportazioni ortofrutticole e vinicole.
Amministrazione Provinciale di Pordenone, Atti della II Conferenza Economica Provinciale, 5-6 dicembre
1975, a cura dell’Ufficio Studi, Statistica e Programmazione, pag. 171.
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La latteria di Cavasso non viene ripristinata e la società si scioglie, vendendo a un privato
la propria sede, disperdendo impianti e attrezzature.
Nel 1979 esce un libro, Il caso Friuli, che ribalta le interpretazioni più correnti sulla
realtà friulana per i dati che rende noti: il reddito procapite del Friuli (provincia di udine
e provincia di Pordenone) è aumentato dal 1970 al 1976 del 159,4%, con un incremento
superiore sia a quello nazionale che è del 146,7%, sia a quello delle regioni a più alto
sviluppo economico dell’Italia Settentrionale che è del 149%. Tutta una politica basata
sulla lettura e sulla strumentalizzazione del Friuli come area arretrata viene demolita.
Motivatamente gli autori del libro chiedono una politica economica meno assistenziale e
più decisamente modernizzante.
Nel momento in cui ci si avvia alla elezione del Parlamento Europeo a suffragio universale
che avrà luogo nel 1979, la critica alla più importante delle politiche europee, la Politica
Agricola Comunitaria (PAC) rappresenta un dato di fatto consolidato.
Tale critica appunta le sue frecce contro un indirizzo che, basato sul meccanismo di
sostegno dei prezzi, opera a vantaggio dei cereali, delle carni bovine e del latte e suoi
derivati che sono prodotti dalle ricche agricolture del Nord Europa. L’applicazione di
questa politica ha dato risultati perversi: il MEC si è venuto costituendo in mercato
protetto da alti dazi a danno dei consumatori. E anche a danno dei paesi emergenti, grandi
esportatori di prodotti agricoli.
L’agricoltura friulana non si presentava in questa fase come una agricoltura competitiva.
Il 3 febbraio 1980 si tiene l’assemblea dei soci della latteria di Campagna in cui si prende
atto della crisi ormai irreversibile della gestione sociale.
I soci si sono ridotti a 35 (negli anni ‘70 il libro soci arrivava al n. 153, ma già alcune iscrizioni
corrispondevano ad aziende cessate) e di questi solo 29 sono presenti all’assemblea: il
bilancio si chiude in passivo per il calo del latte conferito, per gli aumenti dei costi di
produzione e per il tasso di lavorazione che si è voluto mantenere troppo basso, con la
conseguenza che ora arriva ad almeno 4.000 lire al quintale, ovvero al livello delle altre
latterie. Ma alla conclusione finale negativa non si può sfuggire, come si legge nel verbale
dell’assemblea, poiché i costi crescono più dei ricavi: “[...] con tali prospettive si deve
dedurre che la situazione delle piccole latterie sarà sempre più gravosa a meno che non
si aumenti il quantitativo di latte conferito e questo sarà possibile solo unendo più di una
latteria portando il latte giornaliero oltre i 20 quintali”.
Con ciò termina il “Registro Verbali Assemblea”.
Il 31 ottobre 1992 la latteria di Fanna cessa l’attività.
Il 28 luglio 1986 tutti gli immobili di proprietà della cooperativa vengono ceduti al
Pierluigi e Roberto Grandinetti, Il caso Friuli: arretratezza o sviluppo?, Udine, Coop. Edit. il Campo,
1979. Nella prefazione al testo, Francesco Micelli chiede “anche il riesame attento delle tensioni e degli
impulsi vitali che già hanno arricchito l’esperienza della nostra collettività”.
98
Comune di Fanna (presidente della latteria Mario Toffolo).
Il 29 agosto viene redatto l’ultimo verbale dell’assemblea ordinaria della latteria di Fanna.
L’ordine del giorno prevede:
1) presentazione del Bilancio finale di liquidazione;
2) relazione di liquidazione;
3) relazione del Collegio Sindacale.
La vita della latteria si chiude con uno strascico giudiziario per una vertenza con l’INPS di
Pordenone a causa del segretario della latteria Francesco Masutti in quanto, a detta dell’INPS,
la latteria non aveva registrato sui libri paga e matricola il Masutti in questione come lavoratore
dipendente omettendo di versare quindi all’INPS, in forma totale, i contributi dovuti per il
periodo giugno 1984/aprile 1988. Il pretore di Pordenone dà torto all’INPS perché valuta che
non si trattava di un rapporto di lavoro subordinato e successivamente il Tribunale conferma la
sentenza pretorile: pur vincente sul piano giuridico la latteria deve far fronte a una parte delle
spese di giudizio.
Attualmente a Fanna non esiste più alcun allevamento di bovini: nei vari appezzamenti prativi
il foraggio viene sfalciato per venderlo ad allevatori esterni.
99
24. La fine delle latterie
I forni rurali, le latterie, le casse rurali, le mutue per il bestiame e le cooperative di
consumo di paese o di quartiere, le stesse società operaie di mutuo soccorso che hanno
anticipato il moderno welfare rappresentano senza dubbio oggi istituzioni superate, ma
non è certo superata l’idea della cooperazione e della solidarietà. Quella idea che può
superare l’individualismo e l’egoismo però deve esprimersi in modo attualizzato dando
una risposta adeguata ai nuovi bisogni, tenendo conto delle condizioni economiche e
sociali attuali, senza farsi soffocare dalle mitizzazioni e dalle rievocazioni superficiali di
facile effetto. Il buon tempo antico è una favola.
Gli stimoli della memoria non mancano, a partire dal recupero delle mele antiche di Fanna
e della cipolla rossa di Cavasso Nuovo, temi che si sono dimostrati capaci di suscitare un
corrispondente associazionismo legato all’uso del tempo libero e al recupero del paesaggio,
riportando a coltura i pendii collinari. Ma ancor più dovrebbero contare le motivazioni
immediatamente economiche: il mercato a chilometri zero e la tutela di quel che è rimasto
del suolo agrario, frenando il suo rovinoso consumo determinato dall’anarchia edilizia e
dalla relativa speculazione.
Movimenti ideologici hanno presieduto la vecchia cooperazione e mutualità: nuove
ideologie o almeno nuove correnti ideali devono far nascere una società meno individualista
e meno affidata al libero (o sfrenato?) mercato. La crisi economica globale, il dominio
distorcente della finanza, lo scandalo dei derivati, lo scatenarsi di manifestazioni di protesta
spesso al limite della legalità e anche oltre (come nel caso verificatosi a Vivaro del taglio
del tutto arbitrario di granoturco OGM) devono sollecitarci a un profondo mutamento del
nostro modo di pensare.
Dai verbali delle latterie emerge vivacemente la considerazione che la latteria è vista
in molti paesi come il perno della vita economica locale, ma dalla vicenda complessiva
delle latterie emerge anche che ogni disegno di accorpamento e fusione ha fatto naufragio
sempre di fronte a un forte sentimento particolaristico e campanilistico.
Questo prevalere del particolarismo e del campanilismo ricomparirà anche in altri casi.
Oggi di una vecchia rete solidaristica ben poco è rimasto perché domina l’individualismo
e il consumismo. Accompagnati da molta disinformazione come nel caso degli OGM.
Un caso interessante è rappresentato dalla latteria di Muris (Comune di Ragogna, provincia
di Udine), una delle poche ancora aperte, ma forse destinata alla chiusura per le difficoltà
– non di carattere produttivo – che sono sopravvenute.
La latteria di Muris è stata fondata nel 1920 passando per tutte le vicende che hanno
caratterizzato l’agricoltura friulana, ma beneficiando di un fatto straordinario: un
emigrante, morendo all’estero negli anni ‘70 del secolo scorso, ha lasciato i suoi beni in
100
eredità alla latteria consentendo il suo rilancio.
Attualmente questa conta sei soci che, salvo uno, sono tutti piccoli allevatori.
Il maggiore allevatore, titolare di uno stallone moderno, conferisce solo una parte della
sua produzione. La latteria raccoglie sette od otto quintali di latte ogni due giorni. Il
casaro, che ha una aiutante, lavora un giorno sì e uno no, producendo formaggio, ricotta e
burro. Il formaggio prodotto viene ritirato in parte dai soci e in parte venduto direttamente
ai consumatori.
Le difficoltà maggiori lamentate sono quelle costituite dalla direttiva CEE in materia di
regolamenti e controlli sanitari, con i relativi controlli e le relative multe.
Altre latterie si trovano nella zona della Sinistra Tagliamento: tre in comune di Fagagna,
una a San Vito di Fagagna, una in località Campolessi (frazione di Gemona), un’altra
ancora a San Floreano (comune di Buja). Ma soci, tecnici e amministratori sono pessimisti
per quanto riguarda il futuro. Nella zona pedemontana in Destra Tagliamento funzionano
due latterie private, una a Pradis (Clauzetto), l’altra a Travesio (latteria denominata
Tre Valli). La situazione attuale è caratterizzata dalla presenza di strutture industriali:
Caseificio di Venchiaredo Spa (Sesto al Reghena), Latterie Carsiche Spa con sede a
Duino (TS). Tali caseifici poco hanno a che fare con i produttori: questi consegnano il
latte, riscuotono un prezzo senza avere nessun rapporto con i processi di lavorazione e
commercializzazione. Siamo in un campo che vede una vivace inventiva: in provincia di
Treviso si produce uno stracchino che aspira a stare sul mercato con buone prospettive,
mentre a Fossalta di Portogruaro (Venezia) l’Antica latteria lancia sul mercato la ricotta
affumicata da grattugiare.
Certamente il richiamo pubblicitario al tipicamente friulano e alla ruralità non rappresenta
una risposta adeguata. E lo stesso vale per la unilaterale ostilità verso le coltivazioni
OGM, che pur sarebbero utili per la riduzione dei costi, sostenendo adeguatamente la
ricerca scientifica.
Scomparendo nel tempo le latterie, i paesi hanno perso un’occasione di incontro quotidiano
e di autoamministrazione che si era svolta a un livello molto semplice ed elementare, ma
riconoscibile, pur con le inevitabili frizioni consuete nel vivere di paese.
Allora la signora che svolgeva le mansioni di segretaria in una latteria, nell’abitudine di
dare a tutti un soprannome, diventava Maria Contabile.
Al casaro facilmente si dava il soprannome di Conali che in friulano significa caglio,
l’ingrediente fondamentale per fare il formaggio. Chi poteva, nelle varie consultazioni
elettorali, ottenere l’appoggio del sindacato dei casari, riusciva ad avere anche un
buon numero di preferenze. Per distribuire un volantino sindacale era utile avere la
collaborazione del casaro.
La fine delle latterie era inevitabile e scontata per il profondo e irreversibile mutamento
delle strutture produttive. Il tentativo di perseguire lo sviluppo del settore con le stalle
sociali nonostante i rilevanti finanziamenti della Regione,non ha dato risultati positivi. La
101
fase successiva ha visto concentrarsi sempre più l’allevamento bovino e la produzione di
latte in un numero decrescente di aziende agricole caratterizzate dalla sempre più grande
dimensione, con un andamento oscillante della produzione totale, ma non in caduta.
Infatti nella campagna 2002-2003 sono attive nel Friuli-Venezia Giulia 2.171 aziende
che producono 255.507.305 chilogrammi di latte; nella campagna 2009-2010 le aziende
si sono ridotte a 1.201 per produrre però 264.204.929 chili di latte, dopo alcuni anni di
risultati inferiori a quelli del 2002-2003. Il dato meno positivo consiste nel fatto che
quel rudimentale strumento di socialità non si è riusciti a sostituirlo con qualcosa di più
aggiornato.
Con l’estendersi di un sistema previdenziale e scolastico che copre teoricamente la totalità
della popolazione, le vecchie Società Operaie di Mutuo Soccorso e Istruzione hanno
vissuto un processo di estinzione parallelo a quello delle latterie sociali di paese perché le
attività da loro svolte sono state assunte da altri che le portavano avanti più modernamente
e più ampiamente. Alcune società di mutuo soccorso però sono sopravvissute nella forma
di circoli culturali che riescono a esprimere sensibilità ambientaliste e impegno nelle
attività culturali a livello di paese, riuscendo spesso a suscitare intorno a sé una notevole
coesione sociale, come risulta dalla buona riuscita delle loro iniziative.
Un discorso sulle latterie sociali non può chiudersi senza un riferimento alle prospettive
generali della cooperazione.
Nel 1987, presentando la Storia del Movimento Cooperativo in Italia, l’editore faceva
esplicito riferimento “a una economia italiana basata su tre settori: il settore dell’impresa
privata, quello dell’impresa pubblica e infine il settore delle cooperative”.
Non c’è dubbio che nel corso degli anni Ottanta del secolo scorso quanto sopra riportato
era il quadro economico dell’Italia con in più la sensazione che il settore dell’impresa
pubblica fosse destinato a espandersi mediante le frequenti acquisizioni di aziende private
da parte della mano pubblica, sotto la pressione di spinte di volta in volta diverse.
Oggi, nel 2012, il quadro generale è molto cambiato per il procedere dei processi di
privatizzazione. Soprattutto sopravvive ben poco dello spirito solidaristico e della
multiforme iniziativa cooperativistica che a fine Ottocento presiedevano alla nascita di
società di mutuo soccorso, di cooperative e di latterie sociali nell’ambiente operaio e
contadino, costituendo di fatto una base di massa per i governi riformisti di inizio ‘900.
Ciò non esclude uno sviluppo della cooperazione in settori nuovi (le cooperative sociali
che forniscono servizi o coinvolgono i diversamente dotati). Ma non pare che la risonanza
del movimento cooperativo attuale sia pari a quella di un tempo, quando la cooperazione si
muoveva in strettissima consonanza, fosse socialista o fosse cattolica, con un movimento
Francesco Marangon, Elena Pozzi (a cura di), Il rapporto rurale del FVG – Rapporto 2009, Gorizia,
ERSA, 2009, pag. 100.
Valerio Castronovo, Giuseppe Galasso, Renato Zangheri, Storia del Movimento Cooperativo in Italia.
La Lega Nazionale delle Cooperative Mutue 1886-1986, Torino, Einaudi, 1987.
102
politico di emancipazione e di affermazione politica con comportamenti estremamente
espliciti di adesione a questo o a quel progetto di nuovo governo della società.
Pur rappresentando oggi le latterie sociali di paese un capitolo chiuso, mutualità e
cooperazione restano punti vitali di riferimento ideale e pratico, non meritando di essere
imbalsamate come tradizione per essere collocati in un qualche ecomuseo, eventualmente
sotto l’ala protettrice di figure mitiche, maschili o femminili, che devono restare nel
mondo delle fiabe, come le agane del Friuli Occidentale.
L’importanza attuale e le prospettive future del movimento mutualistico e cooperativo
possono discendere solo da una analisi realistica della situazione attuale, vista nei diversi
campi economici e sociali e anche nei diversi territori.
Merita tra l’altro attenzione, nella crisi globale attuale, il settore del credito, consistente
nella regione Friuli-Venezia Giulia in 15 banche di credito cooperativo con 54.907 soci,
un numero del tutto considerevole di persone, non certo assimilabile meccanicamente con
la classe dei detentori del grande capitale finanziario internazionale che fa ballare sulla
corda anche gli stati sovrani, prendendoli alla gola con le scadenze del debito pubblico.
Questo settore del credito cooperativo, che come tutto il sistema bancario registra
le difficoltà delle imprese e delle famiglie (crediti in sofferenza, partite deteriorate,
svalutazione di beni immobiliari dati in garanzia per i mutui) appare comunque piuttosto
partecipato, guardando le fotografie delle relative assemblee annuali che appaiono sui
quotidiani, ma soprattutto tenendo presente l’articolazione territoriale delle 15 società
prima richiamate, con un rimarchevole radicamento in ambiti nei quali l’impresa agricola
e la piccola e media impresa industriale assumono una presenza rilevante.
Proprio qui si segnalano rami produttivi di eccellenza, come il settore vivaistico della
provincia di Pordenone, il consorzio del prosciutto di San Daniele, i vinicoltori del Carso
triestino, del Collio Goriziano e della pianura friulana. Solo esemplificando.
Potenzialmente siamo lontani dall’economia di carta che nuota nel mare infido del gioco
di Borsa e del traffico dei derivati, con le conseguenze negative che tutti conosciamo, rese
possibili anche dalla mancanza di controlli adeguati.
Le agane o lis aganis nella mitologia friulana sono figure femminili che vivono lungo i fiumi, a volte
benefiche e a volte malefiche. Lis Aganis è il nome dato all’Ecomuseo delle Dolomiti friulane, nato
nel 2004 da Iniziativa Comunitaria Leader. All’Ecomuseo delle Dolomiti friulane fa capo un’attività
editoriale che beneficia dei contributi della Regione a Statuto Speciale Friuli Venezia Giulia. Il motivo
ispiratore è quello del recupero della cultura locale.
103
25. L’attualità
Nei paesi friulani dove la coesione sociale appare più efficace, di molte latterie sociali si
è cercato di recuperare i vecchi edifici, trasformandoli in sedi di attività culturali.
Ultimo in ordine di tempo il recupero già realizzato della latteria di Budoia (in provincia
di Pordenone), con mostra dei macchinari del caseifico restaurati, mentre anche a Prata
(sempre in provincia di Pordenone) si registra una analoga iniziativa per recuperare l’ex
villa Floridi, già sede della latteria. A San Cassiano di Livenza (comune di Brugnera) si è
destinata la sede della latteria a una trasformazione edilizia per ottenere alloggi popolari,
per migliorare la ricettività locale.
Avvenuto il passaggio generale dalle latterie di paese alle strutture industriali casearie
(cooperativistiche o private), in questi ultimi due anni assistiamo a un andamento altalenante
con cadute del prezzo del latte ai produttori conferenti seguite da qualche ripresa, con
crisi aziendali di industrie di trasformazione, con l’affacciarsi a più riprese di progetti di
concentrazione della raccolta del latte e della produzione di latticini (polo regionale del
latte). La tendenza generale dell’accentramento non esclude del tutto episodi di segno
opposto: l’azienda agricola Vaka Mora di Istrana (Treviso) che storicamente produce
latte (120 capi) ha deciso di entrare nel mercato aprendo un caseificio che trasformerà il
proprio latte in formaggio, yogurt e gelato.
L’andamento e le prospettive del settore lattiero-caseario lo si può desumere dalle
informazioni rese pubbliche in occasione della diciottesima edizione di Friuli Doc, la
grande kermesse enogastronomica della Regione tenuta a Udine lo scorso settembre
2012 all’insegna del tipicamente friulano. Nella manifestazione sopracitata il formaggio
ha ricoperto il ruolo di protagonista principale. O meglio: si tratta di formaggi che si
collocano tra i prodotti tipici: Montasio innanzitutto. Ma si tratta anche dello stracchino
friulano prodotto dalla Venchiaredo SpA e del formaggio “Rosso di Palse”, prodotto dalla
omonima latteria.
Nel complesso sono rimaste attive alcune latterie di media dimensione ciascuna delle
quali copre una zona di parecchi comuni.
Tra le originarie latterie sociali che si sono evolute si precisa che quella appena citata di
Palse (Porcia, provincia di Pordenone) raccoglie il latte di quindici soci. Il latte conferito
proviene da stalle di Porcia, Cordenons, San Quirino, Azzano X e Montereale Valcellina;
una volta lavorato produce con il proprio marchio una gamma completa di derivati
“Messaggero Veneto”, 17 febbraio 2013.
“Messaggero Veneto”, 21 febbraio 2013.
“Il Gazzettino”, 23 luglio 2013.
104
freschi: burro, ricotta, mozzarella, caciotte, campagnola, pannarello e gelato. Oltre ai
prodotti freschi, il latte viene lavorato per ottenere un formaggio latteria tradizionale
(prodotto con latte pastorizzato e marchiato Palse) e Montasio Dop (prodotto nel rispetto
del disciplinare con latte termizzato) riconoscibile per il casello “PN 205”. Ma anche altre
società vanno ricordate in quanto oggi operanti: tra queste il Caseificio Sociale Alto But,
società cooperativa agricola di Sutrio (provincia di Udine).
Si ricordano alcuni caseifici privati: la Nuova Latteria di Carlino (Udine) con produzione
e vendita diretta, la Tosoni Renato SpA di Spilimbergo che merita di essere citata per
il suo formai dal cit, i cui ingredienti sono latte, caglio, panna, pepe. Siamo nel pieno
dell’aggiornamento del settore lattiero caseario e ci si augura che tutto prosegua con l’ansia
del progresso come era alle origini. In più, a tanta distanza dai primi passi dei pionieri di
fine Ottocento, non guasta che nelle varie manifestazioni di festa collettiva vada in scena
anche la rievocazione del “Facciamo il formaggio”, con il laboratorio dimostrativo della
trasformazione del latte in formaggio nella classica caldaia di rame.
Il richiamo alle antiche ruralità non fa male a nessuno. Ma lì non bisogna fermarsi, paghi
di poter essere presenti nei mercati di nicchia. Ce lo dicono anche i dati della più recente
indagine statistica. Dalla pubblicazione dei dati provvisori del sesto Censimento Generale
dell’Agricoltura in Friuli Venezia Giulia (rilevamenti eseguiti tra il 25 ottobre 2010 e il
31 marzo 2011) viene confermata una tendenza generale ormai nota: cala il numero degli
allevamenti bovini che in realtà risultano quasi dimezzati. Sono 2.048 in confronto ai
3.761 del 2000, ma aumenta la loro dimensione media, mentre le vacche da latte risultano
ammontare a oltre 39.000 unità, il 43% dei capi bovini in regione.
Sempre più ci si allontana dalla originaria situazione caratterizzata dalla assoluta prevalenza
dell’allevamento familiare. Il dato medio vale per quel che vale, ma dà un’idea: si è passati
da 27 capi del 2000 ai 43 capi del 2010 per azienda. Oltre il 60% dei 90.000 bovini presenti
in regione viene allevato dal 12% delle aziende. Per quanto riguarda l’allevamento delle
vacche da latte la distribuzione dei capi è meno concentrata.
Si tratta anche di vedere quali progetti sono stati elaborati per lo sviluppo della nostra
agricoltura. Da segnalare allora il progetto della Legacoop FVG, il quale nella prospettiva
del rilancio del comparto lattiero caseario pone l’accento sull’importanza di potenziare
le produzioni regionali attraverso un progetto condiviso dai diversi attori della filiera e
capace di rendere più competitivi i prodotti del Friuli Venezia Giulia sui mercati nazionali
e internazionali.
Un primo passo in questa direzione potrebbe essere dato dalla costituzione di un tavolo
di lavoro imprenditoriale a livello regionale, mentre il modello gestionale cui guardare è
quello di Venchiaredo SpA, l’azienda di Ramuscello (Sesto al Reghena, Pordenone) che,
proprio col supporto di Lega Coop FVG, sta attuando un progetto di sviluppo basato sulla
creazione di sinergie fra i diversi soggetti coinvolti per incrementare la competitività dei
prodotti. Tra l’altro Venchiaredo SpA già oggi confeziona formaggio molle da tavola
nello stabilimento di Ramuscello per conto delle Latterie Carsiche SpA (Duino, Trieste)
105
che immette poi per conto proprio questo prodotto nella rete distributiva.
Guardando al futuro, vanno giocate tutte le carte della ripresa economica e tutte le
possibilità di occupazione. Anche ciò che viene certificato con il marchio PPL (piccola
produzione locale) merita di essere preso in considerazione. Così può essere definito
importante, per la tutela della montagna e per il settore lattiero caseario, l’indirizzo che
tende a far vivere ancora le malghe nelle nostre montagne assicurando l’accesso dei
giovani alla professione di malgaro.
Le malghe in attività (campagna 2012) peraltro sono ora solo un terzo in Friuli rispetto a
quelle che funzionavano all’inizio del secolo scorso.
Si tratta complessivamente di 169 malghe, di cui 96 autorizzate solo al pascolo del
bestiame, 63 anche alla trasformazione dei prodotti caseari (40 in Carnia, 13 nella zona
del Gemonese, Val Canale e Canal del Ferro, 10 nella Pedemontana Pordenonese).
Questa è stata definita una piccola realtà, ma non trascurabile perché si è comunque
trattato della monticazione di circa 3000 capi bovini, 1500 caprini e 10.000 ovini.
Bene fa l’ERSA a seguire e sostenere queste attività, che si saldano con un servizio di
ristorazione anche con pernottamento. Tutto ciò però non ci può far perdere di vista le
produzioni di massa e la rete distributiva nel suo complesso, come fattori economici
strategici. Né possiamo perdere di vista i punti di crisi come quello emerso con il caso
del Consorzio Latterie Friulane che, pur pagando il latte ai conferenti solo 35 centesimi
il litro, nel 2012, inferiore a quello pagato in Veneto (circa 40 centesimi il litro), è
entrato recentemente in crisi prospettando un drastico ridimensionamento dell’attività
e annunciando un esubero di 69 unità lavorative, la chiusura dell’impianto produttivo di
Spilimbergo e la concentrazione dell’attività casearia a Campoformido in provincia di
Udine. Da un lato emerge ancora una volta la differenza non comprensibile tra il prezzo
pagato al produttore e il prezzo imposto poi al consumatore (circa 1,60 al litro). Dall’altro
lato ci si trova di fronte alla crisi gestionale di un ente che era stato sempre nevralgico
nel sistema di potere del Friuli e che ora non riesce a presentare un piano industriale
convincente. Lavoratori dipendenti del Consorzio e soci conferenti pagano le conseguenze
relative. Non è questa la sede per indagare sulle responsabilità che pur devono esserci.
Qui ci si deve solo limitare a esprimere la preoccupazione che una situazione siffatta
metta in difficoltà le aziende degli allevatori, aggiungendosi ai dati negativi di una crisi
generale.
Nonostante che il calo del prezzo della terra registrato nel 2012 indichi i riflessi negativi
PPL è un marchio Friuli Venezia Giulia posto sullo scalzo della forma di formaggio a garanzia dell’avvenuto
controllo e del rispetto di un apposito regolamento regionale.
“Messaggero Veneto”, 23 settembre 2012.
“Il Gazzettino”, 23 luglio 2013.
Gli ultimi dati Inea registrano un calo dello 0,1% del prezzo della terra nel 2012, che diventa -3,1
calcolando il tasso di inflazione: è la prima volta da venti anni che il segno negativo si registra come dato
nazionale.
106
della crisi economica e della politica agricola europea sempre più orientata a ridurre il
sostegno dei redditi, il settore agroalimentare italiano ha dimostrato le sue potenzialità
anche con i dati più recenti delle esportazioni: vorremmo poter concludere quindi in modo
ottimistico. È recente la notizia che proprio il Consorzio Latterie Friulane ha sottoscritto
un contratto con il maggiore importatore e distributore della Federazione Russa per un
importo di 1,2 milioni di euro con la previsione di arrivare a tre milioni di euro: i prodotti
previsti per l’esportazione sono yogurt, mozzarelle, latte, burro e formaggio Montasio.
Ma non è lecito tacere i problemi: nelle sedi competenti si devono mettere in atto le
politiche opportune per risolvere i punti di crisi e valorizzare l’agroalimentare nel suo
insieme. Altre notizie più recenti riferiscono di un calo dei conferimenti proprio a Latterie
Friulane e precisamente allo stabilimento di Gradisca (Spilimbergo), per cui la prospettiva
è quella di bloccare la produzione del “Montasio n. 216”, ma il Consorzio per la tutela
DOP perderebbe una delle sue voci tipiche.
La crisi globale e la sperata ripresa impongono e imporranno sempre più trasformazioni
che vanno governate, non certo abbandonate ai meccanismi ciechi della casualità e della
speculazione. Non dovrebbe comunque spaventare la prospettiva di reintrodurre la parola
programma nell’attività di chi costituisce il principale referente politico per l’attività
agricola, ovvero la Regione a Statuto Speciale Friuli Venezia Giulia.
Nel momento in cui le operazioni delle multinazionali che operano nel settore caseario
sollecitano l’interesse del Tribunale Civile (Il Sole 24Ore dell’otto dicembre 2012) è
necessario che la politica assuma di nuovo il suo ruolo cercando di essere consapevole
delle cose che si son fatte, valutandole come cose passate, promuovendo però le scelte
nuove. Con una certa ragione Padre David Maria Turoldo ha affermato, tessendo l’elogio
del casaro, che se questo personaggio non ha altri meriti, se pur ci ha lasciato nella
povertà, ci ha almeno tolto dalla miseria. Ai poeti è concesso esprimersi con una certa
approssimazione: beneficiano sovente della cosiddetta licenza poetica.
Noi diremo che la latteria sociale, il casaro, il tecnico della Cattedra Ambulante
o dell’Ispettorato Provinciale dell’Agricoltura, il possidente illuminato, l’utopista
(mazziniano-socialista-cattolico) hanno costituito non uno schieramento, ma piuttosto
un magma vivo e multiforme che ha fatto maturare convincimenti e operatività non
schiacciate sull’egoismo individuale.
Una spinta di massa all’emancipazione elementare attiva nello stato costituzionale unitario
ha combaciato con l’originaria impostazione cooperativistica. Oggi tutto è più complesso.
Ma l’antica lezione cooperativistica non dovrebbe cadere in dimenticanza.
La Cantina di Rauscedo, a San Giorgio della Richinvelda, annuncia che è ormai prossimo
l’accordo di accorpamento della Cantina di Codroipo alla stessa cantina di Rauscedo.
“Messaggero Veneto”, 29 marzo 2013.
“Messaggero Veneto”, 20 luglio 2013.
“Messaggero Veneto”, 31 dicembre 2012.
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Si tratta di una sinergia che porterebbe alla costituzione di un importante polo del vino
che può puntare a un unico marchio per raggiungere una quota di export su nuovi mercati
di maggior rilievo. Il nuovo polo potrebbe produrre 630.000 ettolitri annui coprendo il
60% della produzione regionale.
Tra la fine dell’Ottocento e i primissimi decenni del Novecento la parola d’ordine del
movimento cooperativistico e mutualistico era quella di portare una cassa rurale, una
latteria, una società operaia di mutuo soccorso, uno spaccio di generi alimentari in ogni
paese e in ogni frazione, facendo nascere un fiore di democrazia e di libertà tra i più
sperduti casolari o in ogni agglomerato operaio della periferia urbana.
Oggi la tendenza dell’economia procede inversamente e si parla di costituire un polo unico
del latte per tutta la regione. Cambiano i tempi e cambiano le forme organizzative della
produzione. Il problema vero non è quello di alimentare forme poetiche, ma irrazionali e
mistificatorie di nostalgia per il passato: si tratta invece di salvaguardare valori minimali
di democrazia e di autoamministrazione in situazioni che avvertiamo sempre più come
inedite, sotto la spinta della crisi e della ripresa.
A Pordenone i rappresentanti del movimento siciliano dei “forconi” si sono incontrati con
il COSPA (Comitato Spontaneo Produttori Agricoli) denunciando la situazione di crisi
degli allevamenti e chiedendo provvedimenti10. Le forze politiche una risposta la devono
dare in ogni caso. Soprattutto dopo che la magistratura, applicando la legge 33 del 200911,
ha preso provvedimenti per bloccare i pagamenti a favore degli allevatori, mettendo in
gravi difficoltà gli equilibri economici delle relative aziende.
Altre preoccupazioni provengono dalle indagini iniziate a suo tempo dai carabinieri dei
NAS in materia di frode in commercio, adulterazione di sostanze alimentari e commercio
di sostanze nocive: queste attività investigative erano mirate a individuare il “latte tossico”,
ossia con valori di aflatossina M1 superiori al consentito. Le indagini hanno messo capo
ad una articolata ordinanza che ha disposto misure cautelari per sette indagati. Sarà il
procedimento giudiziario a stabilire fatti e responsabilità.
Il mondo agricolo deve saper trovare per conto proprio la strada giusta per evitare
incidenti di percorso e per uscire dalla crisi settoriale e generale. Qualche indicazione
però la vediamo già operante oggi.
Il settore della frutticoltura dell’alto Friuli occidentale si sta muovendo intorno alla
Cooperativa Frutticoltori Friulana di Spilimbergo per promuovere il prodotto ispirandosi
alle esperienze organizzative dell’Alto Adige. Inoltre ha mosso i primi passi Agrinsieme,
un coordinamento che raduna le aziende e le cooperative di CIA (Confederazione Italiana
Agricoltori), Confagricoltura e Alleanza delle cooperative italiane con all’interno AgciAgrital, Fedagri Confcooperative e Lega Coop. Si tratta di un ragguppamento che interessa
740.000 aziende con con un milione e 200 mila associati.
10 “Messaggero Veneto”, 16 marzo 2013.
11 L. 33/2009, nota illustrativa del disposto legislativo.
108
Si auspica che questa possa essere la base sulla quale realisticamente costruire una nuova
politica agricola, nell’ambito italiano ed europeo, che tenga viva l’idea dell’associazionismo
dei produttori.
In una crisi settoriale come quella della zootecnia, che però si intreccia con la crisi
economica generale, una indicazione sufficientemente incisiva ci viene dalla Federazione
dei dottori agronomi e dottori forestali del Friuli Venezia Giulia che propone un “codice
della zootecnia”, il quale avrebbe anche il pregio di recuperare le capacità legislative
della Regione Friuli Venezia Giulia a Statuto Speciale lasciate volutamente deperire negli
ultimi tempi.
Il presidente della Federazione Antonio De Mezzo denuncia l’urgenza di creare una
normativa specifica che “contemperi le esigenze tecnico produttive con quelle emergenti
dai profili ambientale, sanitario e urbanistico-territoriale nonché disciplini e razionalizzi
i criteri e le procedure autorizzative che la regolano12”.
In questo momento una presa d’atto della questione zootecnia nel suo insieme appare
assolutamente necessaria, per farla rientrare in una politica agraria che smetta decisamente
le vesti della demagogia e dell’improvvisazione.
Partendo anche dai problemi dell’agricoltura bisogna definire una strategia che incroci i
mercati mondiali, l’Europa unita, le tendenze produttive. L’agricoltura non è più quella di
fine Ottocento, basata sui due poli del contadino impoverito e del possidente illuminato.
Potrà aspirare a parlare in nome dell’agricoltura chi metterà insieme imprenditori,
tecnici, banche cooperative e amministratori sufficientemente aggiornati. Con un nuovo
associazionismo, aperto a tutti gli addetti all’agricoltura, con idee moderne.
Ristabilendo anche il senso della legalità: per le multe pagate all’Unione Europea dallo
Stato italiano, le violazioni alle quote latte sono costate al contribuente italiano 4,4 miliardi
di euro. Le tensioni che in questo momento si registrano nel settore dell’allevamento vanno
superate nella prospettiva più ampia di una revisione della Politica Agricola Comunitaria.
Senza lasciare alibi a coloro – individui o categorie – che intendono violare la legge
scaricando le conseguenza sulla collettività.
La cooperazione agricola non può avere gli stessi fini di emancipazione del lontano
Ottocento, comunque essa può diventare interlocutore affidabile di un indirizzo politico
volto a riformare il Paese.
P.S. Mentre questo testo era in via di completamento, la protesta degli allevatori si è
apertamente manifestata con la decisione di un gruppo di sessanta allevatori di non
conferire più il loro latte al Consorzio Latterie Friulane, facendo venir meno la stessa
funzionalità di un’azienda importante dell’industria casearia,come riferisce la stampa13.
12 “Il Gazzettino”, 21 gennaio 2013.
13 “Messaggero Veneto”, 11 e 12 maggio 2013.
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Ma le notizie successive prefigurano un diverso scenario, caratterizzato da un aumento
dei prezzi del latte alla stalla.
Mentre nel 2012 il prezzo del latte ha registrato una lieve flessione rispetto al 2011 (-4%),
tra gennaio e aprile 2013 si è ottenuta una inversione di tendenza: da gennaio a marzo
40,7 centesimi il litro, più qualità Lombardia e IVA. Questa in sintesi la comunicazione
di Aprolaca (Associazione Produttori Lattiero-Caseari del Friuli Venezia Giulia)14.
Nel contempo il Consorzio del Montasio, nella sua assemblea di Codroipo del maggio
scorso, ha potuto constatare il successo raggiunto nell’export: la classe doganale del
ontasio (comprendente Montasio, Asiago, Caciocavallo e Ragusano) segna per il 2012
+2,04% nell’Unione Europea e addirittura +15,14% a livello internazionale15.
I problemi del settore agricolo non sono pochi: quote latte, direttiva nitrati, crisi economica
internazionale e aumento della quantità di latte proveniente dai Paesi dell’Est Europa,
coltivazione degli OGM.
In particolare la questione della possibilità di seminare mais OGM non può essere
affrontata in modo ideologico, bloccando anche la ricerca scientifica, come di fatto è
già avvenuto.Non dovrebbe neppure essere consentito il sotterfugio di vietare le semine
OGM e permettere contemporaneamente l’importazione di mangimi OGM da utilizzare
negli allevamenti italiani e quindi friulani.
Tali problemi vanno avviati a soluzione non solo perché sono importanti di per sé, ma
anche perché se si comincia a sgombrare il campo da questi punti di tensione diventa meno
difficoltoso il percorso per la soluzione dei problemi politici generali del Paese, lasciando
meno spazio alla sfiducia, alle spinte populiste, all’azione corrosiva dell’antipolitica.
La scelta compiuta dopo le ultime elezioni regionali di riorganizzare le competenze della
Giunta, raccogliendo in un unico assessorato tutte le attività produttive, può, se rettamente
applicata, concorrere a definire politiche economiche meno clientelari e contingenti.
L’unificazione delle competenze può facilitare l’introduzione di criteri di programmazione,
utilizzando così al meglio le risorse disponibili, umane e materiali.
14 “Messaggero Veneto”, 30 maggio 2013.
15 “Messaggero Veneto”, 30 maggio 2013.
110
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Sarebbe senz’altro auspicabile il riordino dell’archivio della latteria di Spilimbergo,
ora depositato presso la Biblioteca Comunale della città, per la quantità notevole di
documenti ivi esistenti che coprono tutto l’arco di attività della latteria.
115
Indice
Introduzione....................................................................................................................... pag. I
1. Appunti per una storia dell’industria lattiero-casearia...................................................... pag. 1
2. Il ceto politico unitario dell’Ottocento si presenta:
una egemonia addolcita dal paternalismo e dalla filantropia................................................ pag. 3
3. Una modernizzazione nata tardi, cauta nel suo sviluppo, moderata in politica............... pag. 11
4. L’industria casearia in Europa e in Italia.......................................................................... pag. 16
5. L’industria casearia in Friuli............................................................................................. pag. 22
6. Caratteristiche generali delle latterie................................................................................ pag. 25
7. Le organizzazioni di rappresentanza del movimento cooperativo.................................... pag. 29
8. Gli orientamenti teorici e ideali della mutualità e della cooperazione.
I comportamenti pratici come appaioni nei verbali........................................................... pag. 31
9. Mutualità e cooperazione in Friuli.................................................................................... pag, 34
10. Notizie su Fanna, Cavasso Nuovo e Campagna di Maniago.......................................... pag. 36
11. Le origine politiche e sociali della cooperazione agricola in Friuli................................ pag. 39
12. Il fascismo: presa del potere e fondazione del regime totalitario................................... pag. 46
13. Le prime latterie: Collina (Forni Avoltri), Fanna, Maniago........................................... pag. 50
14. Un caseificio privato al posto della latteria sociale.
La gestione della latteria di Fanna viene assunta dall’ing. Domenico Margarita........... pag. 57
15. Tra le due guerre............................................................................................................. pag. 59
16. L’industria lattiero-casearia alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale...................... pag. 65
17. L’economia di guerra...................................................................................................... pag. 67
18. L’occupazione tedesca.................................................................................................... pag. 72
19. La latteria di Cavasso Nuovo con la guerra in casa........................................................ pag. 75
20. La ricostruzione.............................................................................................................. pag. 79
21. Il X° Congresso Provinciale della Federazione Friulana Cooperative e Mutue............. pag. 86
22. Spopolamento della montagna........................................................................................ pag. 88
23. Dalla latteria al caseificio industriale.............................................................................. pag. 92
116
24. La fine delle latterie...................................................................................................... pag. 100
25. L’attualità..................................................................................................................... pag. 104
26. Fonti bibliografiche....................................................................................................... pag. 111
117