4 - Il misterioso tesoro della miniera di Sagron

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4 - Il misterioso tesoro della miniera di Sagron
Primiero, Sagron Mis
4 - Il misterioso tesoro
della miniera di Sagron
Il TRENTINO DA FIABA di Gellindo Ghiandedoro
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- FIABA DI MAURO NERI
- ILLUSTRAZIONI DI FULBER
Il TRENTINO DA FIABA di Gellindo Ghiandedoro
Se non siete mai stati in una miniera, allora provate a chiudere gli occhi. Fatto? Bene: adesso
avete una pallida idea di quel che “non” si vede nel cunicolo buio e umido di una miniera abbandonata! Vi lascio allora immaginare il terrore di Pasticcia quando, per far compagnia all’intrepido e coraggioso Gellindo Ghiandedoro, si ritrovò nell’oscurità avvolgente di una vecchia
miniera nei pressi del paesino di Sagròn, nell’angolo più isolato del Primiero. Ma che cosa ci
facevano, i nostri due amici, in quel luogo strano? Venite con me e lo saprete anche voi...
– Me lo vuoi dire, allora, perché siamo finiti in questa miniera buia e fredda? – strillò
esasperata Pasticcia, fermandosi in mezzo
al cunicolo e appoggiandosi alla parete
umida.
– E va bene, te lo ripeto per la centesima volta – disse Gellindo, fermandosi
anche lui e appoggiando il lume ad olio per
terra. – Tanto per cominciare, questa non
è una miniera e basta. E’ una...
– ...è una miniera d’oro! – lo anticipò Pasticcia. – Questo lo so benissimo, perché
è da quando siamo partiti dal Villaggio che
mi riempi la testa con le tue leggende...
– Sarà pure una leggenda quella che
mi ha raccontato maestro Abbecedario –
ribatté lo scoiattolino, – ma ricordati che,
come tutte le leggende, anche questa ha
un fondo di verità!
Pasticcia voleva bene a Gellindo e ci
soffriva a vederlo arrabbiato. – Sì, d’accordo, ci sarà un po’ di vero nella storia del tesoro abbandonato di questa miniera d’oro,
ma proprio a noi toccherebbe di trovarlo?
Dopo che per secoli e secoli in molti son
diventati matti a cercarlo?
Gellindo si avvicinò a Pasticcia e cominciò a parlare sottovoce, come se in
quell’oscurità potesse esserci qualcuno
nascosto a spiarli. – Eh! Eh!... Il fatto è che
a noi due quell’oro non interessa minimamente, perciò è più facile che siamo
proprio noi a trovarlo, lo capisci? Su dai,
muoviamoci, ché prima di sera vorrei
esser fuori da questi cunicoli...
Una luce azzurrognola apparve all’improvviso in fondo ad una galleria più grande, più alta e più larga delle altre.
– Vedi anche tu quel che vedo io? –
domandò Pasticcia tremando in fondo al
cuore.
– Certo che vedo quella luce – rispose
lo scoiattolo nascondendo la torcia dietro
la coda. – Lasciami andare davanti, che se
succede qualcosa ti difendo io...
Pasticcia sarebbe scoppiata a ridere, se
Gellindo non fosse stato un amico per la
pelle: essere protetta da uno scoiattolino
alto meno di un filone di pane era il massimo dell’umorismo! Invece si mise da parte
e lasciò passare il suo compagno di avventura, che camminando piano piano per
non far rumore giunse fin sul fondo della
galleria, sbirciò dietro all’angolo da cui
proveniva quel bagliore color del cielo e...
Quel che vide lo lasciò letteralmente
senza fiato e senza parole!
La galleria sfociava in una grotta enorme, un salone lungo più di venti metri,
largo dieci e alto... così alto, che il soffitto
non lo si vedeva proprio, sostituito da
un’immensa coperta nera, più nera di un
cielo senza stelle, più nera del carbone
chiuso in un sacco, più nera del manto di
un gatto che attraversa la strada di notte...
più nera del nero degli occhi della povera
Pasticcia terrorizzata.
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Ma cosa aveva provocato quel terrore?
Era tutta colpa di un gruppo di ometti
magri e mingherlini, vestiti con pantaloni
e giacchette di lana grezza protetti da
grembiuli di cuoio leggero e che portavano in testa un cappello a punta a larghe
falde che scendevano a coprire le spalle.
Gellindo Ghiandedoro conosceva
molto bene i nani: ne aveva visti un sacco
disegnati sui libri di fiabe di Abbecedario...
Quindi capì subito che quelli raccolti nella
grotta non erano nani. Quelli erano...
– Minatori! – sussurrò lo scoiattolo rivolto alla spaventapasseri pallida come un
cencio. – Quelli sono minatori, non sono
gnomi!
Pasticcia, poverina, non aveva avuto
nemmeno il tempo di pensare, agli gnomi:
per lei quei nanerottoli col grembiule e
coi cappelli a punta erano soltanto dei
mostricciattoli terrificanti che si muovevano silenziosi in quell’atmosfera azzurra
diffusa dalle pareti della grande stanza.
Gellindo provò a vedere quanti fossero,
ma a metà della conta venne interrotto da
una voce calda e profonda alle sue spalle:
– Me compreso, siamo in novantanove in
tutto!
Pasticcia fece un balzo, lanciò un urlo
e corse a nascondersi alle spalle dell’amico. Gellindo, invece, sentendo che quella
era una voce buona, una voce dolce, non
certo la voce di un mostro, si girò e sorrise
all’omino che lo fissava dall’alto del suo
metro e mezzo di statura.
– Ciao... chi sei tu? – chiese lo scoiattolo. – Cioè... chi siete voi? – ripeté indicando gli ometti della grande grotta.
– Noi siamo gli Gnòdoli – rispose
quell’altro restituendo il sorriso.
– Gnodo... che cosa? – balbettò Pasticcia uscendo da dietro la gran coda e
riprendendo un po’ di coraggio.
– Gnòdoli, che puoi vuol dire “mangiatori di gnocchi”... Ci prendevano in giro
con questo soprannome, una volta, noi
che abitavamo a Sagròn e a Mis, un paesello vicino... Io sono Aristaldo, capo del
popolo degli Gnòdoli che vivono da secoli
in questa vecchia miniera...
– E cosa ci fate, chiusi qua dentro? Perché non siete a casa vostra? – domandò
Gellindo.
– Perché il nostro compito è quello di
difendere il tesoro nascosto in questa miniera! Perché tocca a noi proteggere l’oro
che i nostri nonni-gnòdoli hanno scavato e
ammonticchiato in questa grotta... Perché
ormai è passato tanto di quel tempo, che
a Sagròn e a Mis nessuno più si ricorda di
noi minatori!
– Ma di che cosa vivete? Cosa mangiate? – s’informò Pasticcia, che sentiva un
certo languorino in pancia...
– Oh, noi viviamo di gnocchi... – rispose
Aristaldo. – Nelle grotte e nei cunicoli più
profondi e umidi coltiviamo degli ottimi
funghi, coi quali prepariamo buonissimi
gnocchi che mangiamo due volte al giorno...
– Gnocchi ai funghi due volte ieri, due
volte oggi, due volte domani e così via per
sempre? – strillò la povera Pasticcia. –
Ma voi siete matti! E non vi siete ancora
trasformati in porcini? Al posto dei capelli,
non vi sono cresciuti finferli e chiodini?
– A noi gli gnocchi ai funghi piacciono
– rispose Aristaldo con tono solenne. –
Anzi, se avete fame, per noi è giunta l’ora
del pranzo e ci farebbe piacere avervi
nostri ospiti...
Erano buoni, gli gnocchi ai funghi,
Pasticcia dovette ammetterlo: teneri che
si scioglievano in bocca e con quel sapo-
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re di bosco, di muschio dolce e intenso...
Certo, però, che guardando i novantanove
Gnòdoli intenti a mangiucchiare senza entusiasmo ognuno nel proprio piatto, non si
poteva dire fossero proprio felici...
– Sei sicuro, Aristaldo, che gli gnocchi ai
funghi piacciano veramente, ai tuoi amici?
– Cara Pasticcia, – rispose l’ometto
masticando a fatica il secondo gnocco del
suo pasto, – noi siamo gente semplice,
gente che vuol andare d’accordo con tutti... Perché allora affliggere i nuovi amici
raccontandovi che non ce la facciamo
più a mangiare gli gnocchi ai funghi? Che
abbiamo nausea dei nostri gnocchi? Che
sogniamo tutte le notti piatti di verdure,
purè di patate, pastasciutte al sugo di
zucca, spiedini di frutta fresca, torte di
castagnaccio e formaggio... Mmmmh! che
buono dev’essere il formaggio di malga!
Al solo pensiero di una fetta di tosèla del
Primiero, mi viene mal di testa... E invece
no: gnocchi ieri, gnocchi oggi e gnocchi anche domani, ma noi dobbiamo difendere il
tesoro del nostro popolo di minatori...
– Possiamo almeno vederlo, questo
tesoro? – domandò esitante Gellindo con
la bocca piena di ottimi gnocchi ai funghi..
Aristaldo allora appoggiò il piatto su
uno sgabello, chiamò l’omino che stava di
guardia all’ingresso della grotta, gli sussurrò qualcosa nell’orecchio e quell’altro
sparì nel buio di un cunicolo laterale.
Dopo alcuni istanti lo Gnòdolo fu di ritornò, si avvicinò agli ospiti e depositò ai loro
piedi un lingotto lucente d’oro zecchino!
Gellindo sbarrò gli occhi e Pasticcia
invece dovette chiuderli per non restar
abbagliata da quel forte baluginio color
del sole.
– Ma questo è... – mormorò lo scoiattolo.
– Questo è l’oro degli Gnòdoli! – spiegò Aristaldo, – è l’oro raccolto dai nostri
nonni e bisnonni in secoli e secoli di lavoro
in miniera...
– Tutto qui? E questo sarebbe il famoso
tesoro della miniera? Quello della leggenda? – buttò lì Pasticcia riprendendosi dallo
stupore.
Aristaldo si girò di scatto e, parlando
con tono serio, esclamò: – Come sarebbe
a dire “tutto qui”! Perché, questo non vi
sembra sufficiente, come tesoro?
Gellindo guardò il lingotto lucente ai
suoi piedi e poi gli occhi profondi e buoni
dello Gnòdolo. – Vorresti dirmi che il favoloso, il leggendario, il misterioso tesoro
della miniera di Sagròn, quello per il quale
a centinaia hanno rischiato la vita per
trovarlo, sarebbe questo unico lingotto
d’oro?
Il capo degli Gnòdoli, allora, quasi s’infuriò. – Dove sta scritto che un tesoro per
essere tale dev’essere formato da casse e
casse piene di monete d’oro e d’argento?
Da cento e cento forzieri colmi di gioielli,
di collane e di diademi?
– Hai ragione – lo calmò Pasticcia,
– non sta scritto da nessuna parte, ma
restarsene per secoli e secoli chiusi in
questa grotta azzurra, mangiando, e questo è il vero castigo, gnocchi ai funghi due
volte al giorno per tutti i giorni dell’anno,
è da pazzi, se non lo fate per un tesoro
“vero”! Per una montagna di lingotti d’oro
e di perle preziosissime!
Aristaldo stava per ribattere, quando
Gellindo balzò in piedi e strillò: – Adesso
ci sono! Finalmente ho capito!
– Capito che cosa?
– Che quel lingotto d’oro è uno specchietto per le allodole!
– Allodole? E che c’entrano le allodole,
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adesso!
– Il vero tesoro di questa miniera è un
altro Non è quest’oro, vero Aristaldo?
Il vecchio minatore fece un respiro profondo: un sospiro di gioia e di liberazione
assieme, un respiro soddisfatto che venne
via via ripetuto da tutti gli altri novantotto
Gnòdoli.
Il loro capo alla fine fece un passo in
avanti, prese Gellindo per una zampetta,
Pasticcia per mano e li portò vicino alla
parete azzurra della grotta.
– E’ vero, Gellindo ha ragione – sussurrò sorridendo il vecchio minatore. – Quel
lingotto d’oro è il falso-tesoro che tiriamo
fuori ogni volta che qualcuno scende fin
quaggiù in cerca di ricchezze misteriose.
Succede sempre che quei disgraziati ci rubino il lingotto e fuggano su per la galleria
in direzione dell’uscita, ma quello è oro
maledetto, cari miei: è oro che fa perdere il lume della ragione e anche il senso
dell’orientamento. E ben presto i malcapitati gettano via il peso dell’oro rubato
e fuggono dalla miniera senza ricordarsi
quel che è successo qua dentro. Perdono
la memoria, ma quel che è peggio smarriscono anche la pace e la tranquillità di una
vita vissuta serena.
– E visto che a noi l’oro non interessa –
provò a dire Pasticcia, – possiamo sapere
cos’è questo “vero” tesoro?
Aristaldo lasciò la zampa di Gellindo
e la mano di Pasticcia, appoggiò la fronte
alla parete azzurra ed pronunciò alcune
strane parole:
Gnodòl gnadùl... Gnodòl gnadèl...
quaggiù il cielo è sempre più bèl!
Quaggiù il sole splende di più...
Gnodòl gnadèl... Gnodòl gnadùl!
E accadde un fatto straordinario: dalla
parete della grotta si staccarono mille e
mille piccole stelline, minuscole scintille
azzurre che come farfalle presero a danzare allegre nell’aria buia di quell’antro,
inseguendo chissà quale folletto birichino. Ballarono sempre più in alto, le stelle
color turchese, ricamando mille e mille disegni sul lenzuolo nero del soffitto, finché
un cielo ampio e sereno gettò luce nuova
nella grotta.
– Il vero tesoro che noi Gnòdoli di
Sagròn difendiamo da secoli – esclamò a
quel punto Aristaldo, – è l’antro del cielo
sereno! Qui è racchiusa la forza benefica che porta il bel tempo in Primiero,
che sconfigge le nuvole estive e debella i
temporali funesti. Ed è un tesoro così prezioso, che noi lo liberiamo a spizzichi, un
poco alla volta: guai se gli uomini sapessero che in questa vecchia miniera d’oro è
racchiuso il segreto del bel tempo! Se ne
impadronirebbero e ne farebbero un uso
cattivo...
– Certo però che un cielo azzurro e sereno è più bello di un cielo grigio e gonfio
d’acqua – disse a quel punto Pasticcia.
– E’ vero, hai ragione, ma alla Natura
quand’è il momento fa bene anche una
bella pioggia! Un acquazzone, per gli alberi e i pascoli, è provvidenziale quanto una
bella giornata di sole, non credi?
Pasticcia rimase un attimo in silenzio
e poi... – Sì, credo che tu abbia ragione,
Aristaldo. Però io continuo a pensare che
è triste restarsene quaggiù per secoli e al
buio a difendere un importante segreto,
mangiando solo ed esclusivamente gnocchi ai funghi!
Pasticcia e Gellindo lavorarono per tutto il pomeriggio nella cucina degli Gnòdoli,
dando fondo a tutte le loro riserve di cibo,
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e quella sera a cena, nei piatti, i novantanove omini piccoli e mingherlini trovarono
una succulenta porzione di... Pasticcio ai
Funghi, con besciamella e tosèla tagliata a
quadrettini!
Fu gran festa, quella notte, allietata da un
soffitto azzurro intenso nel quale sfrecciavano felici stormi di rondini e di passerotti.
Quest’avventura nasconde in sé un grande insegnamento. Se dopo una o due settimane di
tempo bellissimo, una mattina ti svegli e guardando dalla finestra ti accorgi che il cielo è
nuvoloso e pesante d’acqua, non averne a male, non lamentarti e soprattutto non imprecare:
il piccolo popolo degli Gnòdoli di Sagròn non può liberare tutti i giorni dell’intera estate le
stelline azzurre che portano il bel tempo, ma ogni tanto deve anche pensare al bene del bosco
e dei prati, al futuro dei campi e degli orti. E se il giorno dopo le nuvole scompaiono e ritorna
il sole, be’, allora il tuo grazie deve andare ad Aristaldo, ai suoi amici mingherlini, ma anche a
Gellindo Ghiandedoro e alla simpatica Pasticcia!
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