Gli sposi e i loro genitori: quale equilibrio?

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Gli sposi e i loro genitori: quale equilibrio?
Gli sposi e i loro genitori:
quale equilibrio?
Premesse
1. Parlando di «equilibrio» ci si riferisce al rapporto che deve esistere tra la
coppia di sposi e i genitori di origine. Questo equilibrio deve inarcarsi
dentro due tensioni ambedue doverose. La prima è quella della coppia a seguire la sua vocazione (e per vocazione intendo il progetto);
ogni coppia è chiamata a vivere un suo progetto in rapporto ai doni
ricevuti e alle domande del tempo. La seconda deriva dal prendersi
cura dei genitori, soprattutto quando sono anziani e comunque bisognosi di attenzione e di assistenza. Qui affiorano numerose e spinose
domande: è giusto sacrificare se stessi, la propria vocazione, il proprio
progetto per i genitori? È obbligatorio mutilare la vita di coppia per
soddisfare i bisogni dei genitori anziani? È evangelico rinchiudere il
proprio dono nell'ambito dell'assistenza ai genitori? Sono domande
inquietanti, nel senso che per secoli l'amore verso i genitori è prevalso su qualunque altro impegno.
2. Oggi esiste una maggiore e più qualificata assistenza medica, però c'è più
solitudine. Mi riferisco indubbiamente alle persone anziane, ma questa
solitudine cova anche dentro l'animo dei giovani! Presi da questa solitudine, i genitori tentano di rifugiarsi nei figli. Il figlio può o deve
prestarsi a essere rifugio? Il genitore non deve essere spinto ad allargare le sue relazioni in altri e svariati interessi? Non dovrebbe il genitore, se realmente ama il figlio, rispettarlo nella sua progettualità senza volerlo possedere e restringere? È un'altra serie di domande conturbanti che sembrano smuovere e smantellare antiche consuetudini
e atavici atteggiamenti etici.
3. Certamente il mio discorso si muove nel registro della opinabilità e della ricerca. Non pretende di dare soluzioni perentorie e assolute. Avrebbe
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solo l'ambizione di far pensare e di cercare insieme alcuni criteri sui
quali ciascuna coppia si confronterà per trovare soluzioni adeguate.
Ogni situazione è unica e irripetibile ed esige risposte personali. Dentro alcuni criteri oggettivi la saggezza di fede e l'intelligenza potranno
disegnare atteggiamenti appropriati. Presento a questo scopo tre orizzonti di pensiero.
II· primo compito di due sposi è amarsi
Gli sposi devono riconoscere che l'amore è un dono. L'aver celebrato il
proprio amore in una liturgia è stato anzitutto esaltare Dio e anche esultare per aver ricevuto il dono dell'amore. Non si finirà mai di affermare
e di annunciare che il dono dell'amore è il più grande dono per l'uomo.
La persona si fa nell'amore. Nell'amore si identifica, si riconosce, si dispiega. Gli altri doni, quali l'intelligenza, la fantasia, la capacità professionale, la tranquillità o il benessere economico, non danno all'uomo
quello che dà l'amore. L'uomo può vivere senza denaro, ma non senza
amore.
«Trova il tempo di amare e di essere amato e avrai la gioia»,recita una
poesia uruguayana. Il rischio di oggi e di sempre è, lungo l'arco della vita, di preferire all'amore altri doni e valori. In questo modo la vita di una
persona viene scompigliata perché perde la finalità, la ragione e il senso
dell'esistere. La tristezza che avvolge molte persone, fino ad arrivare a
drammatiche soluzioni, deriva principalmente dal non valorizzare l'amore, la relazione amorosa. Soprattutto oggi la tendenza all'avere sta impoven~ndo le persone, disorientandole.
Sposandosi in chiesa si riconosce pubblicamente il valore del dono dell'amore e ci si impegna a dargli il primato su ogni altro impegno e su ogni
altra occupazione. Prima del lavoro c'è l'amore di coppia, prima del denaro o della carriera c'è la relazione sponsale, prima dell'attività pastorale c'è il «vegliare sul proprio amore», prima dei genitori c'è lo sviluppo
della coppia.
L'amore è una realtà viva e, come ogni cosa difficile, va curata con sollecitudine. Si riconosce, inoltre, che l'amore è fragile e quindi la sua forza
va costruita progressivamente.
Conseguentemente, come si dice che prima si è sposi e poi genitori, come si afferma che l'interesse e la cura dei figli non devono compromet-
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tere l'amore di coppia, altrettanto l'interesse e la cura dei propri genitori non devono inquinare e sgretolare l'amore nuziale.
Queste affermazioni, come accennavo prima, possono disorientarci o
stordirci, perché per secoli il primato è stato dato ai genitori. Addirittura i figli erano visti in funzione dei genitori: per assisterli, venerarli, ubbidirli. La sponsalità era un valore periferico, secondario e comunque era
una realtà che non separava dai genitori e, di conseguenza, non interrompeva per niente il legame non solo affettivo, ma anche effettivo con
i genitori.
Da non dimenticare, inoltre, che il matrimonio non era considerato una
vocazione alla pari di quella religiosa: i religiosi e i presbiteri infatti danno il primato alla loro vocazione di fronte al rapporto con i loro genitori.
Il secondo impegno degli sposi
è nonprivatizzare il loro amore
Qui si deve inserire la dimensione vocativa del matrimonio appena accennata sopra. L'amore è un dono che gli sposi hanno ricevuto, di cui
esprimere riconoscenza, ma Dio dà un dono perché chi lo riceve lo dia.
I doni sono di tutti e hanno una destinazione universale. Anche l'amore
è un dono, anzi, si diceva, il più prezioso dei doni. Esso è consegnato agli
sposi perché lo vivano, lo gustino. È in loro, ma non è solo per loro. Essi sono chiamati a viverlo perché diventi una risorsa per la comunità.
Privatizzare questo dono è far mancare alla comunità e all'umanità un
bene di cui ha estremamente bisogno.
Cosa si fa mancare, in tal caso, alla comunità? Innanzitutto la conoscenza di Dio. Dio si rivela e si fa conoscere attraverso l'amore dell'uomo e
della donna. Più essi si amano, cioè più si ascoltano, si rispettano, si perdonano, più Dio si rivela e si rende presente come alleato dell'uomo, ricco di intimità, di tenerezza, di fedeltà, di cura, di attenzione; Dio si serve
dell'amore dell'uomo e della donna per comunicare il suo amore. E allora i due sposi si impegnano a vivere il loro amore nella sua profondità
umana, perché Dio possa rivelarsi al mondo.
"I:uomo vuole che la sua donna sia curata, faccia bella figura, sia al riparo
dalle difficoltà eccessive, sia amata e rispettata da tutti. La donna vuole che
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il suo uomo sia apprezzato, non fatichi inutilmente, sia lieto nella sua com~
pagnia, sia fiero della sua famiglia. Così fa Dio. Ma quanti bambini cono~
scete che siano diventati grandi con questa idea di Dio? ». (Sequeri)
Si fa mancare, in secondo luogo, il modo per essere comunità. In verità
l'amore dell'uomo e della donna porterebbe dentro di sé il segreto di una
tenacia «istruttiva» per ogni rapporto d'amore tra gli uomini. Nella rela~
zione dell'uomo e della donna si dischiude il «come» vivere i rapporti tra
le persone. La comunità cristiana stessa dovrebbe imparare dagli sposi a
essere comunità. Nella comunità sponsale si pensa insieme, si rispetta il
pensiero e la conoscenza dell'altro, le persone vengono prima dei ruoli,
c'è l'apertura al futuro.
Questi atteggiamenti dovrebbero trasmigrare nella Chiesa. Il matrimo~
nio diventa così il sacramento del Regno che cresce nella Chiesa e nel
mondo.
Qualche teologo si domanda se certe immagini un po' evanescenti, un
po' asettiche, un po' clericali, un po' aride che talora contraddistinguo~
no le forme quotidiane della vita ecclesiastica non dipendano dalla de~
bolezza del senso di cui si è rivestito questo sacramento, cioè dalla di~
stanza che la vita ecclesiastica mantiene rispetto all'amore degli uomini
e delle donne. Non si deve forse dire che la Chiesa si dimentica della gra~
ve Parola pronunciata da Dio sin dalla creazione del mondo e conferma~
ta dal Signore? Il clericalismo non si è, forse, così fortemente imposto a
causa dell'abbassamento o del misconoscimento della realtà sponsale?
Ora, la Chiesa nel concilio Vaticano II si è riscoperta comunione, ha ri~
scoperto che il matrimonio è il primo segno di questa comunione. Tra la
chiesa domestica e la grande Chiesa ci dovrebbe essere un reciproco
ascolto. Solo così Dio può rivelarsi e far crescere il Regno. Sposi e Chiesa sono chiamati entrambi a essere consapevoli e responsabili. Allora sì
che avviene un vero matrimonio nella Chiesa e nel Signore. Allora sì
che si scopre che questo è un «mistero grande» (Ef 5,32).
Quindi vivere il matrimonio come vocazione vuoI dire perseguire un proprio progetto. La coppia, ogni coppia, è una realtà originale perché formata da persone e da doni unici e irripetibili. Essa non può ripetere il
passato, non può modellarsi sulle esperienze di coppie precedenti, nep~
pure su quella dei genitori. Il rischio di rivolgersi all'indietro è sempre
presente. E rivolgersi indietro vuoI dire impietrirsi alla maniera della moglie di Lot (Gen 19,26).
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Per questo si parla a proposito di libertà della coppia. Oltre la libertà nel~
la coppia è pure importante sottolineare la libertà della coppia. Per molti secoli la coppia tendeva, o era socialmente obbligata, a imitare il modello delle coppie e delle famiglie del passato, per cui il marito doveva
corrispondere a un certo cliché, la moglie doveva possedere quelle doti
caratteristiche e così anche la coppia, in quanto tale, non poteva che
esprimersi dentro la Chiesa e dentro la realtà sociale o civile secondo al~
cuni schemi prefissati. Questo spegneva, e spegne, la crescita sia della
persona che della coppia. Non esiste un unico modo di essere coppia. Essa si costruisce con i doni delle persone e i doni sono diversi: diversa dovrà essere quindi l'espressione di ciascuna coppia. Nel libro della Genesi 2,24, si legge: «L'uomo lascerà il padre e la madre e si unirà alla sua
donna». Il verbo «lasciare» indica che l'amore è una situazione adulta
con dentro la capacità di scegliere, e quindi di intraprendere un cammino lasciando le sicurezze e le protezioni presenti nella famiglia di provenienza. Il matrimonio è una scelta che comporta un «lasciare» una mentalità, un modo di vivere per aderire a un altro essere e «sposarlo» totalmente.
Il verbo «lasciare» esprime pure l'impegno di costruire una vita di coppia senza troppi legami di competizione col passato o, meglio, con le famiglie di origine. «Lasciare il padre e la madre» non implica rotture e
tanto meno violenze, e neppure abbandonare affettivamente ed economicamente i genitori, ma significa s~egliere liberamente il proprio compagno e la propria compagna e, insieme, scegliere liberamente la forma
da dare all'amore.
La forma, il modo, stando al vangelo, non possono venire prima delle
persone o sopra le persone!
Gesù mette in guardia dai genitori
L'affermazione espressa nel titolo appare azzardata perché sembra che
Gesù distolga l'attenzione dai genitori o addirittura ne abbassi il ruolo e
l'onorabilità. Però essa intende denunciare una cultura deviata nel modo di vivere la famiglia e di esercitare l'autorità genitoriale. Gesù si era
accorto che i genitori pretendevano di dirigere la vita dei figli e di condizionarne pensieri e progetti. La famiglia era il luogo dove il figlio imparava le regole, le tradizioni, per eseguirle; l'educazione era ben riuscita
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quando il figlio ripeteva e osservava le regole di quell'ambiente e di quella cultura. Egli veniva in questo modo espropriato della sua libertà e
creatività e la famiglia diventava il luogo della repressione e della pianificazione. Non potrebbe indicare una certa ribellione di Gesù a questa
mentalità l'occasione in cui, rivolto ai genitori, esclama: «Non sapete
che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». Gesù rivendica l'autonomia nell'inseguire il suo progetto, la sua vocazione; l'evangelista sottolinea che «essi non compresero». Come poteva un figlio staccarsi dalle tradizioni e rivendicare una sua libertà d'azione?
E difatti in Marco si dice che «i suoi», sentiti i discorsi di Gesù, uscirono per andarlo a prendere perché, dicevano, «è fuori di sé» (Mc 3,20).
Chi sono «i suoi»? Erano quelli della sua famiglia. Facilmente c'era anche la madre Maria, come si rileva anche in Mt 12,46 e Lc 8,19. A quel
tempo, ma non solo, un figlio che deviava dalle consuetudini religiose e
sociali disonorava tutta la parentela e quindi questa era interessata a sanare la ferita inferta. La frase «è fuori di sé»è il motivo di questa sortita
dei parenti. L'andare contro la cultura popolare era una pazzia, e i primi
a opporsi erano appunto i genitori e i parenti. In questo senso Gesù fa l'e_
sperienza diretta e negativa della famiglia: questa tende a rinchiudere la
profezia, il nuovo, il diverso. Gesù rappresenta il «diverso», il «nuovo»
ed è così perché Dio è altro dalle idee comuni della gente, è altro dalle
categorie teologiche e religiose in cui si tende a imprigionarlo.
Il fatto che Gesù cambi abitazione, lasci Nazarete vada ad abitare a Cafarnao non è solo, a mio avviso, una scelta legata al maggior contatto con
la gente e alla possibilità di un annuncio più allargato, ma anche all'esigenza di distanziarsi dai «suoi» , dalla sua parentela, dal suo paese (alla manieradi Abramo), che gli impedivano di inseguire il suo disegno innovator~"'e per essi dirompente. È una scelta di distanza, di autonomia. Chissà
come avrà sofferto Maria per questa scelta «separatista» di Gesù: decisione che facilmente inizialmente non avrà capito. Chissà quale sofferenza
anche per Gesù nel dover staccarsi per far capire a Maria e ai suoi il suo
progetto. N iente di salutarmente nuovo avviene senza il disagio e la sof~
ferenza. Non sempre si chiariscono i rapporti con il dialogo, a volte eSSi
esigono anche segni, scelte che interrogano e obbligano a pensare.
Allora si può capire l'altra e sempre sconcertante espressione: «Se uno
viene a me e non odia suo padre e sua madre e la moglie e i figlie i fratelli e le sorelle e perfino la propria vita non può essere mio discepolo»
(Lc 14,26). L'espressione «non odiare» in Luca vuoI equivale a «preferi-
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re». Chi «preferisce» il padre e la madre a me, non è degno di me, non
può essere mio discepolo. Matteo, infatti, attutisce questo colpo dicendo:
«Chi ama il padre e la madre più di me, non è degno di me» (Mt 10,37).
Il padre e la madre vengono dopo il proprio progetto, la propria vocazione. Gesù spezza la «cultura parentale» del tempo nella quale i figli nascevano a servizio della famiglia e del clan. Non toglie l'amore ai genitori, ma non fa di loro l'assoluto. L'assoluto è Dio, come assoluta è la vocazione a cui egli chiama le persone.
La vera famiglia nel vangelo è quella che aiuta le singole persone non a
ubbidire al gruppo sociale, ma a ubbidire al proprio progetto.
Gli sposi chiamati a sviluppare
una nuova cultura e una nuova politica
I genitori sono spesso possessivi, a volte catturanti e intriganti. Considerano i figli sempre ragazzi da sorvegliare e da indirizzare. Intervengono
nell'educazione dei nipoti e giudicano le loro scelte. Tendono a essere il
centro dell'attenzione dei figli, compromettendo spesse volte la loro vita
di coppia e disturbandola.
Perché sono così? Anzitutto perché,questa era la cultura in cui sono stati allevati. Il figlio rimaneva, prima che persona, sempre figlio e quindi
funzionale a loro. E poi perché i genitori, alleggeriti dall'impegno verso
i figli ed esonerati dal lavoro, si ritrovano a essere soli, privi di interessi, senza obiettivi da raggiungere. Si sentono spogliati e quindi spaesati.
Aggrapparsi ai figli e alle famiglie dei figli è un fatto quasi scontato.
Questo abbarbicarsi ai figli può trasformarsi in imbarazzante disagio e in
disturbante presenza. Questo avviene oggi per i genitori anziani e un domani, se non c'è qualche modifica culturale e sociale, accadrà per gli
sposi d'oggi.
Cosa fare per proporre una nuova cultura?
1. Smobilitare e sgretolare il modello di cultura ingessata sul lavorare e
guadagnare. Certamente il lavoro è indispensabile per il sostentamento personale e familiare e anche per esprimere le proprie possibilità, però non è tutto, non è l'espressione di tutta la persona. Vi sono
anche altri ambiti da scoprire e altri interessi da coltivare. Leggere libri, frequentare spettacoli, teatri, vedere film, partecipare a certi in-
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contri o convegni su vari temi religiosi, culturali e politici generano
interessi senza i quali la persona è sempre sola e vuota. Ci si deve educare a essere soli senza solitudine.
2. Promuovere centri di aggregazione e anche di cultura, dove le persone anziane possono essere stimolate a sviluppare alcune loro peculiari capacità, esprimere la loro socialità, trovare opportunità per risvegliare la dimensione distensiva e festiva della vita.
3. Svegliare gli enti pubblici perché costruiscano istituti e abitazioni per
coppie anziane, con una nuova impostazione, cioè più a livello di residenza che di inquadramento collegiale e, soprattutto, promuovano
strutture per non autosufficienti. Il tenere in casa le persone anziane
è certamente preferibile al collocarle in istituti, però quando questo è
compatibile con la vita di coppia e di famiglia. Se la presenza di un
genitore anziano compromette e lacera il tessuto della coppia o della
famiglia è ancora evangelico l'insistere sulla sua presenza in famiglia?
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nitori amano iJigli e le loro famiglie, devono anche saper vivere la loro solitudine. E un discorso difficile, quasi ingrato, però se tra genitori anziani ·e coppia si instaura un atteggiamento di avversione e di
stanchezza, questo non giova a nessuno. Trovare altre vie è il modo
per conservare l'amore verso i genitori e far crescere il rispetto nei loro confronti.
Alcuni suggerimenti operativi
1. Abbinare presenza e assenza. Certamente l'amore nei confronti del
genitore è un valore e un dovere da coltivare, ma anche l'amore della libertà e della creatività del figlio è un valore che il genitore deve
rispettare. Quindi deve instaurarsi un rapporto di reciproca negoziazione, vincendo ogni forma di pretesa. A volte «l'assenza» è istrutti- '
va, cioè fa percepire al genitore che non deve essere invadente e possessivo. Qui ci vuole intelligenza e saggezza. Non ci sono regole fisse.
2. Aiutare e accompagnare i genitori a uscire dalla loro famiglia per intraprendere reti di amicizia con altre coppie e altre persone, in modo
che riacquistino la loro autosufficienza e indipendenza anche dai figli.
In caso di genitori inabili occorrerà farsi aiutare da altre persone (c'è
l'accompagnamento) e dai servizi sociali. In molti purtroppo c'è la
tentazione dell'accumulo di denaro a scapito delle persone.
3. Si è giustamente insistito sul dovere di tenere i genitori in casa. È una
realtà, quando è possibile, da appoggiare; Però quando i genitori anziani presenti danneggiano la vita di coppia e di famiglia, è ancora
giusto tenerli in casa? È una domanda già posta, ma che rimane aperta. Educare i genitori ed educarci a non danneggiare la vita di coppia
e non compromettere la sua libertà, è un impegno per tutti. Se i ge-
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