SIMBOLISMO Il termine Il termine Simbolismo fu
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SIMBOLISMO Il termine Il termine Simbolismo fu
SIMBOLISMO Il termine Il termine Simbolismo fu proposto in Francia dal poeta Jean Moréas nel Manifesto della poesia simbolista pubblicato il 18 settembre 1886 nel supplemento letterario del giornale Le Figaro. Secondo Moréas i poeti decadenti meritavano piuttosto il nome di simbolisti: “La poesia simbolista cerca di vestire l’Idea con una forma sensibile che tuttavia non è di per sé il suo oggetto, ma che, servendo solo ad esprimere l’idea, resta il soggetto”. La poesia si sforza di rendere sensibile una realtà che senza tale linguaggio rimarrebbe inafferrabile. Il simbolo significa ciò che è assente, in particolare ciò che è aldilà, trascendente, fuori del mondo. La trascendenza è una categoria del pensiero religioso, ma non è esclusivamente religiosa: altre realtà sono fuori della nostra attenzione, come in un altro mondo, ad esempio il passato e il futuro, ma anche quella parte della cultura dove si trovano radicati i valori durevoli. Per parlarne è necessario impreziosire il discorso con un indizio particolare che lasci intendere che non si tratta, in quel momento preciso, di realtà immediate e concrete: questo segno può essere, tra l’altro, il ritmo del discorso, il ricorso al canto, ad un registro particolare di colori, ad una ieraticità o ad un’irrealtà più o meno pronunciata della rappresentazione. Moréas impose un nome a ciò che fino allora era stato solo uno slancio o uno stato dello spirito (o dell’animo) diffuso. Il Simbolismo non è nato nel 1886; un’arte che corrisponde ai principi enunciati da Moréas e che possono essere definiti simbolisti era già apparsa in Francia vent’anni prima, con Gustave Moreau. Un pittore può essere definito simbolista sia per ragioni formali, sia per il contenuto delle sue opere, sia per entrambi, ma non dovrà dedicarsi più ad una rappresentazione naturalistica o illusionistica del mondo. Il Simbolismo comprende dunque a) tutti gli artisti (ad esempio Pierre Puvis de Chavannes) che si allontanano dalla rappresentazione realistica (naturalistica o illusionistica) del mondo P. Puvis de Chavannes, Il sogno b) altri, di stile accademico, che sono chiaramente simbolisti a causa del loro idealismo occultista e della scelta dei loro soggetti (ad esempio Leon Frederic e Jean Delville) L. Moreau Frederic, L'acqua del lago 1 c) gli artisti simbolisti più persuasivi anche quella dell’uomo che, su un’isola deserta, si racconta delle storie, la solitudine del solipsista, di colui che non è rassicurato da niente eccetto che dalla sua stessa coscienza. Troviamo così un certo numero di cerchi che in parte si sovrappongono: tutta una parte di questa tendenza si colora di religiosità, ora cattolica, ora sincretica o esoterica, ma nel simbolismo si riscontra anche una mistica dell’arte per l’arte, ad esempio in James Abbott McNeill Whistler. sono quelli che meritano questa classificazione sia per la forma sia per il contenuto delle loro opere, ad esempio Gustave Moreau. G. Moreau, L'apparizione All’inizio la forma di Moreau è accademica, ma poi evolve poco a poco per lasciare spazio ad impasti e colori sorprendentemente audaci, manierati e preziosi. La sua opera è narrativa, ma non sono i soggetti biblici o mitologici a farlo comprendere tra i Simbolisti. Dal punto di vista dei contenuti l’opera di Moreau è simbolista perché dà espressione ai fantasmi, per non dire allo psicodramma, dei ruoli e dell’identità sessuale propri della sua epoca, sia attraverso figure come quella di Salomè che attraverso l’androginia sorprendente e costante dei suoi personaggi maschili. Il Simbolismo parla dunque dei fantasmi della sua epoca, così come parla del sogno, che però non fu sua proprietà esclusiva. Il sogno, in effetti, era già stato territorio privilegiato dei romantici. Tuttavia il sogno simbolista, perso lo slancio fiducioso del Romanticismo, si è fatto più enigmatico o perverso. L’aspetto più notevole degli artisti simbolisti è il loro isolamento nell’immaginario. E’ senza dubbio la solitudine del sognatore, ma J.A.McNeill Whistler, Notturno: blu e oro. Il vecchio ponte di Battersea Simbolo e modernità Non tanto un movimento artistico, quanto uno stato dello spirito, il Simbolismo nacque intorno alla metà dell’800 nella parte cattolica dell’Europa industriale, si diffuse nel poligono dell’Europa del vapore, (che si può circoscrivere su una carta geografica tracciando una linea tra Glasgow, Stoccolma, Danzica, Lodz, Trieste, Firenze e Barcellona) e morì nelle convulsioni della Prima Guerra Mondiale, sostituito dal trionfante modernismo e dalle avanguardie pre- e post-belliche (Cubismo, Fauve, Espressionismo, Futurismo, Dadaismo, Surrealismo, etc.). Nel frattempo la bellezza, a lungo idealmente serena, era diventata convulsiva (secondo la formula di André Breton), nella misura in cui i tempi stessi erano in 2 convulsione, e le nuove esigenze dello spirito modernista rendevano non solo inaccettabile, ma per così dire incomprensibile, tutto ciò che sopravviveva ancora dell’epoca precedente. La rivoluzione sovietica infine lanciò nel mondo tali bordate di idee, nuove o rinnovate, tali obblighi di occuparsi finalmente dei bisogni reali degli uomini e di creare un mondo nuovo a loro misura, che si poteva avere la sensazione di vivere ormai su un altro pianeta. Nel XIX secolo in Francia il Realismo era affare degli artisti repubblicani e laici, bandiera e simbolo di una coscienza sociale attaccata ai veri problemi del tempo. Gli altri, quelli che dipingevano l’immaginario, erano maledetti dai loro avversari, che non vedevano in loro che i sostenitori della reazione, o al più erano tollerati come dolci sognatori che ignoravano tutte le questioni più attuali e vitali. Europa cattolica e industriale, dunque. Certe caratteristiche dello spirito feudale erano sopravvissute nelle mentalità europee fino alla fine del XIX secolo. Nonostante l’attacco dello scetticismo illuminista, l’antica concezione del mondo, la tradizione, l’idealizzazione, sopravviveva nella pratica quotidiana delle campagne, ma era destinata all’estinzione, per la scomparsa dell’ambiente che la coltivava. Infatti, la nuova società industriale aveva un gran bisogno di braccia e attirò un gran numero di uomini e donne verso le città dove le ferrovie convogliavano le merci e le materie prime: tra la metà dell’800 e la I Guerra Mondiale, su sette persone nate in campagna, una sola vi restò, una emigrò in altri continenti e cinque partirono per le città e le periferie urbane. Costoro, a decine di milioni, si ritrovarono perciò distolti dal quadro quotidiano che aveva fino allora definito la loro identità e il loro ruolo nella comunità, dando valore e senso alle loro esistenze. Il mondo cattolico fu più profondamente colpito da queste trasformazioni nella misura in cui la sua visione del mondo era più impastata di simboli. La Riforma protestante, le cui esigenze sono nate da una concezione pragmatica del mondo, elaborata in primo luogo per le classi commerciali e finanziarie, aveva meglio preparato gli spiriti a questo genere di avvenimenti. L’immensa trasformazione della società che fu la Rivoluzione Industriale generò dunque una collisione tra la rappresentazione cattolica, tradizionale e simbolica, stabile o in lentissima evoluzione, e la nuova vita pratica, fondata su tutt’altri valori. Tale trasformazione fu vissuta male nei paesi cattolici: non si tratta solo delle miserie che essa suscitò, che furono le stesse dappertutto, ma del fatto che nei paesi cattolici fu la stessa rappresentazione emblematica del mondo ad essere messa in dubbio, vale a dire tutto ciò che fino allora era stato creduto riguardo alla natura del bene e del male. Come ha osservato Walter Benjamin “il concetto di demoniaco nasce laddove quello di modernità si congiunge con il cattolicesimo”. Si prenda il quadro di Henry de Groux, Il grande mutamento, c. 1893. Si vedono uomini e donne, alcuni a piedi, altri a cavallo, che insieme si allontanano da un luogo devastato. In primo piano un grande crocifisso spezzato. La recinzione dello spazio dove esso si ergeva è stata abbattuta, il paesaggio circostante è in rovina e gli abitanti si vedono costretti a partire verso altre terre. Tutta una società prende congedo da un terreno familiare e caro e prende mestamente la via dell’esilio. E’ questo malinconico contenuto che è centrale allo spirito simbolista. Alla fine del XIX secolo, in un tempo in cui Scientismo e Positivismo trionfanti annunciavano l’avvento di un mondo migliore fondato sulla ragione e sulla tecnica, altri erano sensibili soprattutto alla perdita di una qualità difficile da cogliere, ma che essi avevano trovato nelle prospettive dell’antico sistema culturale, vale a dire nei valori e nei segni significati da quello che si potrebbe definire il suo ordine emblematico. 3 Il crocifisso spezzato si trova giustamente al centro della tela di de Groux perché è il simbolo ambiguo ma centrale di una rappresentazione del mondo che riconosceva più di un livello di realtà. Secondo la concezione cristiana del mondo si ha da un lato il mondo creato, la natura, e dall’altro il non-creato, il divino o il soprannaturale. Da un punto di vista puramente laico, si può pensare anche al reale opposto al surreale (Guillaume Apollinaire). Ora, lo spirito positivista non ammette che una sola realtà, un solo livello, quello della natura. L’altro mondo non sarà che illusione. A ciò replicano i Simbolisti: “Illusione forse, ma è là che noi vogliamo vivere”. Questo tipo di replica poteva essere detta tanto da uno stato d’animo religioso quanto da un gusto perverso per il godimento solipsista. L’altro mondo poteva essere quello del divino postulato dalla religione, ma anche quello di un godimento offerto dall’arte, un mondo parallelo dove si rifugiarono, proprio in quest’epoca, sia l’inventato Des Esseintes, l’eroe di A rebours di J. K. Hujsmans, che, in carne ed ossa, il re Luigi II di Baviera. In entrambi i casi c’era un elemento di nevrosi o di follia, ma è ugualmente permesso di domandarsi se non ci fosse un fattore specificatamente culturale alla base della depressione dell’uno e del delirio dell’altro. Nella prospettiva sviluppata dall’etnologia nel corso del XX secolo, ogni cultura si presenta in effetti come una rete di valori e di significati grazie alla quale gli individui si dispongono e si orientano nel mondo. Ora, è precisamente di una perdita di senso e di valore (e quindi di orientamento) che si lamentavano quelli che si mostravano più sensibili agli apporti del Simbolismo. La logica della scienza, dell’industria e del commercio rispondeva a tutto un insieme di bisogni pratici della società come anche a un’evidente volontà di potenza, ma non poteva sicuramente placare la sete che si disseta alla fonte dei sogni, identificati con l’irreale. Gli spiriti simbolisti che, desolati e insoddisfatti, lasciarono le prospettive positivistiche ne restarono non di meno soggiogati, per la loro potenza irresistibile, dominatrice e virile. E’ questo che determina il carattere depresso non solo di un personaggio immaginario come Des Esseintes, ma anche dei poeti simbolisti. Se il mondo industriale si incarna nel ferro e nel fuoco, i poeti simbolisti, come se fossero figli impotenti nati da questo padre dominatore della loro epoca, si rifugiano, desolati e fluttuanti, nell’aria e nell’acqua, evocano più volentieri la luna che il sole, l’autunno che la primavera, il canale che il torrente, la pioggia che il sereno, si lamentano di tristezza e di noia, di disillusione amorosa e di impotenza, di stanchezza e di solitudine e si affliggono di vivere in un mondo in agonia. Il Simbolismo è dunque abitato dalla viva nostalgia di un mondo di significati che erano scomparsi in pochi decenni. Questa è la causa della malinconia e dell’angoscia che si legge in tante opere quando l’artista cerca al di là della superficie delle cose. Se una parte dell’arte simbolista ci sembra dolciastra e molle è perché l’artista, che preferisce ignorare la situazione reale, offre l’amabile illusione di perpetuare quello che, di fatto, aveva già cessato di esistere. Il simbolo si oppone al reale, al dato, al profano. Ogni simbolo si riferisce a una realtà assente, in matematica a una quantità sconosciuta, in religione, in poesia e in arte si sforza di rendere tangibile una qualità sconosciuta, un valore ricercato. In una prospettiva religiosa, questa qualità è sconosciuta (o inafferrabile) perché rientra semplicemente in un ordine soprannaturale che solo la mediazione dell’oggetto sacro permette di significare. Il sacro, in una tale prospettiva, non è quasi che una categoria semantica e conviene non confonderlo con il divino. Ma anche al di fuori di una tale prospettiva, certe cose non potranno essere definite direttamente. C’è bisogno di simboli per parlarne. Ci sono così delle categorie emblematiche della cultura che sgorgano anzitutto al di sotto del livello del linguaggio, alimentandosi di tutto un insieme di valori impliciti che creano agli occhi di ognuno la gerarchia del mondo e gli significano qual è il suo posto individuale in questa gerarchia. Noi percepiamo il nodo del conflitto che oppone due visioni del mondo: da una parte un mondo dato e inalterabile, favorevole al commercio e all’industria, ma indifferente ai valori che danno sapore e sostanza all’esistenza, e dall’altra un mondo in relazione dialettica con un modello trascendente (religioso, visionario o poetico) che agisce come un fermento e promette una trasformazione creatrice del dato. 4 Il XIX secolo ha visto un intervento radicale che ha separato questi due emisferi, sogno e realtà, della nostra relazione con il mondo. L’arte simbolista non tocca solamente le vecchie illusioni di cui la società si sarà infine ricreduta, né l’espressione ancora ingenua dei contenuti ormai ben inventariati dell’incoscienza, ma, ben più profondamente, lo stato sempre mutevole della cultura, la sua nevrosi endogena. Ciò spiega perché una buona parte dell’arte simbolista riflette un dubbio nuovo nei rapporti tra uomini e donne. Poiché la cultura, che dà a ognuno conferma della sua identità in quanto individuo, fa altrettanto per quello che riguarda l’identità sessuale. Tale identità, benché sia fondata su dati della natura, non risiede meno inevitabilmente in una costruzione culturale. Ogni crepa, ogni spostamento di corpi culturali, avrà dunque inevitabilmente delle ripercussioni sul modo di interagire tra uomini e donne. incubi ai quali nessuno di loro sfuggiva completamente. Il Simbolismo intende raffigurare dunque altre cose rispetto al reale immediato e visibile. E’ romantico fino a un certo punto, allegorico a tratti, onirico o fantastico quando gli piace esserlo, vicino all’inconscio: in pittura i suoi predecessori sono Fussli, Goya, Blake, ma le radici del Simbolismo sono ugualmente da ricercarsi nel ricco impasto del Romanticismo, quello di Novalis, di E.T.A. Hoffman, di Jean-Paul s’intende, piuttosto che quello di Alfred de Musset o di Victor Hugo. Vi si trova in effetti un’anticipazione latente del solipsismo, che è marcato nell’arte simbolista, con la differenza che il Romanticismo, a causa del suo radicamento nella mentalità protestante tedesca, privilegiava un rapporto mistico con la natura percepita come il linguaggio stesso di Dio. Il Simbolismo invece, legato alla mentalità cattolica, non fa lo stesso uso della natura, alla quale preferisce l’artificio umano. Il Simbolismo non si preoccupa di osservare la natura né di leggere un messaggio divino, ma piuttosto di toccare qualcosa d’insolito che allontana lo spirito dal mondo noto, dà voce alla nevrosi e forma all’angoscia, presta un volto, fors'anche minaccioso, al sogno più profondo. E questo sogno non è quello dell’individuo, ma piuttosto quello della comunità e della sua cultura, il cui corpo, insidiosamente, si sfalda, dando, in questo affondare ancora lento, un’anticipazione della fine del mondo. E’ così che il grande tema dell’epoca simbolista è quello della decadenza, ed è questo termine che Des Esseintes sceglie per qualificare questo fine secolo. Simbolismo culturale e Simbolismo individuale La particolarità del Simbolismo infine sta nel fatto che esso si sforza di perpetuare volontariamente, e per decisione di qualche individuo solitario, quel fondo simbolico della cultura che fino allora era stato non un affare privato di qualche privilegiato, ma il fondo comune, di massa, involontario e largamente incosciente, il cemento stesso della comunità, che la Rivoluzione Industriale aveva subordinato ad altre priorità, quelle materiali. Diversi avatar1 l’avevano già messo alla prova nel passato. La Rivoluzione Industriale infine, strappando una massa considerevole di uomini e di donne alle campagne per farne un proletariato di individui per così dire atomizzati, aveva cambiato tutte le priorità. La solidarietà nel rivendicare le necessità più urgenti aveva, momentaneamente, rimpiazzato l’antica comunione del sentire. Il Simbolismo s’inserisce dunque nel vuoto di tutto un passato ricco di simboli, ed è il vivo rimpianto di un passato sempre più idealizzato che induce almeno quelli che ne avevano i mezzi a mettersi in disparte dalla corsa brutale del mondo, per gustare sia i filtri tranquillizzanti sia le angosce e gli La decadenza, in quest’epoca, si presenta come il rifiuto di un progresso che non sarebbe tale, agli occhi del decadente s’intende. La società tutt’intera si incammina allegramente nella marcia trionfale del progresso? Il decadente, in questo caso, resterà indietro, si piegherà su se stesso rifiutando il sapere essoterico della scienza e cercherà una consolazione nella ricerca esoterica. E’ quest’attitudine, con l’aiuto della moda, che fa del dandy una figura simbolista per eccellenza, quel dandy che Disraeli definiva molto giustamente “il principe di un regno immaginario”. E’ questa qualità, che ormai soltanto immagina il suo ascendente, a Nell’Induismo, il termine avatar si riferisce a un’incarnazione di una divinità in forma umana. 1 5 sembra indistinguibile come l’aldilà, vale a dire, l’istante immediato e vissuto. E’ un caso limite, che era compatibile con un’epoca che, sotto l’insegna del Positivismo, negava ogni realtà a ciò che non fosse il mondo materiale, immediatamente sensibile e misurabile. Ma l’idealismo spesso forsennato dell’arte simbolista è stato la causa del suo rifiuto in seguito. La Prima Guerra Mondiale fu una terribile lezione di realtà e la sua morale si fece intendere in opere disperate come il Viaggio al fondo della notte di Céline. E’ circa nella stessa epoca che la critica freudiana svelò l’origine segreta di un certo idealismo e, da questo fatto, il meccanismo della sublimazione che, spesso, l’alimenta. Allo stesso modo gli strumenti critici messi a punto da Marx hanno permesso di comprendere il funzionamento dell’ideologia che consacra, con delle rappresentazioni mitiche, i rapporti di forza esistenti in seno ad una società. G. Boldini, Ritratto di Robert de Montesquiou rendere necessario l’atteggiamento altezzoso, anche un po’ isterico, di quel grande dandy che fu il conte Robert de Montesquiou. Costui fu il modello sia del personaggio comico di des Esseintes, che di quello, patetico, del barone de Chardus, in A la recherche du temps perdu di Proust. Questa strana situazione ci mette di fronte ad un paradosso insolubile. Perché il fondo simbolico della cultura che questi personaggi solitari vogliono conservare è proprio quello che, in una situazione normale (vale a dire in tutte le società considerate nelle loro fasi di relativa stabilità), costituisce non tanto il giardino segreto di qualche privilegiato, ma il fondo comune da cui l’insieme della società deriva la sua coesione. Conclusione Tutta l’arte, fin dai suoi inizi, è stata intessuta di simboli. E’ solo di recente, a causa di un noto malinteso riguardante l’ideale sempre rinascente dell’imitazione della natura, che ci si è messi a supporre che fosse dovere dell’arte riprodurre scrupolosamente lo spettacolo che si aveva sotto gli occhi. Tutta l’arte di qualche interesse rimanda al di là di se stessa e dei suoi soggetti – ed anche l’Impressionismo si rivela impegnato, nel migliore dei casi, a distinguere ciò che, nel nostro vissuto, 6