8. Alcune considerazioni sui laterizi decorati medievali, p. 63
Transcript
8. Alcune considerazioni sui laterizi decorati medievali, p. 63
63 P.Novara 4. Alcune considerazioni sui laterizi decorati medievali 1 - La produzione di laterizi ornati a rilievo è attestata in tutte le regioni del Mediterraneo, sin dalla tarda antichità. Mattoni variamente decorati sono noti, talvolta ancora in opera sulle pareti esterne e interne degli edifici civili e di culto, nell’area costiera nordafricana, in Spagna, Francia e Italia meridionale. Per le regioni algerine e tunisine vanno ricordati numerosi laterizi provenienti da alcuni edifici di culto di Cartagine(255), Beja (Vaga)(256), Hadjeb al Ajouv(257) e da alcuni edifici privati di Cilium (Kasrim)(258). Si tratta per lo più di formelle raffiguranti soggetti desunti, oltre che dal repertorio iconografico profano, dal Vecchio e Nuovo Testamento o a carattere zoomorfo e solitamente contengono, nello specchio decorativo, un solo motivo ornamentale o una sola scena. In genere vengono attribuite ai secoli V-VI (259). Circa alcune caratteristiche di tipo tecnico manca, nelle pubblicazioni, uno specifico approfondimento della questione. Per i pochi casi noti la dimensione del lato della formella si aggira attorno ai cm 27/29. Il loro impiego doveva limitarsi alle pareti interne degli edifici. Probabilmente dalle regioni dell’Africa settentrionale il gusto per questo tipo di formelle a rilievo passò ai territori della Spagna visigota e della Gallia merovingia, verosimilmente attraverso il tramite delle isole Baleari dove, come nota il Palol, simili laterizi sono attestati assai p r e c o c e m e n t e ( 2 6 0 ) . Le regioni della Spagna maggiormente interessate sono la Bética e parte della Lusitania(261). In quelle aree l’uso di siffatti laterizi è documentato sino alla prima metà del VII secolo(262). Il repertorio decorativo è assai vario, vi si possono riscontrare, infatti, motivi geometrici, vegetali, figurati, oppure simboli cristiani come monogrammi inseriti fra pelte o kantharoi. Le forme attestate sono per lo più quella quadrangolare o rettangolare e quella quadrangolare cuspidata. Di alcuni laterizi sono note le dimensioni: i pezzi di aggirano attorno ai cm 35/40 x cm 22/25 x cm 5.5 (con un caso anche di cm 37 x cm 30 x cm 1.5) ( 2 6 3 ). Mancano al riguardo altri dati tecnici e in particolare il tipo di impasto, il colore dell’argilla a cottura ultimata e il tipo di lavorazione, che sembra, comunque, a stampo. In territorio francese laterizi decorati sono noti soprattutto nella Bassa Loira, in Aquitania e in Borgogna, regioni nelle quali l’uso di tali mattoni è attestato dal VI al X secolo(264). Fra gli esempi più precoci vanno segnalati quelli ancora in opera nelle murature del battistero di Poitiers(265), nonché quelli ora conservati presso il Museo Dobrée di Nantes, provenienti, in particolare, da Nantes, Réze e Vertou (266). Il repertorio decorativo richiama quello già individuato nelle regioni dell’Africa settentrionale e della Spagna interessate da questo gusto: motivi simbolici, come il chrismon affiancato dalle lettere apocalittiche, l’immagine dei protopa- (255) LECLERQ 1922, figg. 2087, 2089. (256) Ibidem, figg. 2086, 2088. (257) Ibidem, figg. 2101-2104, 2107. (261) P A L O L D E S A L E L L A S 1967, pp. 255-272, tavv. LVIILXIII; VEGANZONES 1978, pp. 66-77, figg. 14-24. (262) P ALOLDE SALELLAS 1967, pp. 271-272. (263) Cfr. in particolare V E G A N Z O N E S 1978, laterizi di (258) LECLERQ 1907, fig. 159; IDEM 1922, figg. 2094, 2105-2106. (259) In generale sull’impiego di tali laterizi in Africa settentrionale e sulla loro datazione cfr. TRULLIOT 1959, pp. 225-241. (260) Circa il passaggio dalle regioni settentrionali dell’Africa alla Spagna cfr. PALOLDE SALELLAS 1967, pp. 255, 270. Per quanto riguarda le attestazioni di tale gusto nelle Baleari cfr. I DEM 1953, tav. XL, 2; il laterizio cui fa riferimento il Palol è attribuibile al IV secolo. Alijunoz, Herrera (Sevilla), Osuna. (264) C OSTA 1964, pp. 21-24, in particolare per un quadro sulla situazione della presenza di tali manufatti nelle regioni francesi p. 21; H UBERT 1968, pp. 38-48. (265) Ibidem, figg. 45, 47, 48. (266) COSTA 1964, nn. 1-173. 64 S.ADALBERTO IN PEREO renti o immagini desunte dal repertorio animale e vegetale, come rosette stilizzate, racemi fogliati, animali affrontati in corsa, ecc. Gli ornati sono ottenuti a stampo. Pure per quanto riguarda le forme vengono riproposti il modulo quadrangolare (dim. cm 18/20.5 x cm 19/20; spess. cm 6.9/8) e il modulo quadrangolare con cuspide, cui si aggiungono, per queste regioni, laterizi rettangolari, allungati (dim. cm 40 x cm 11.5; spess. cm 10.5) e a forma di chiave di volta (dim. cm 32/33 x cm 14.5; spess. cm 8/9). Anche in alcune regioni dell’Italia meridionale sono precocemente attestati laterizi decorativi ottenuti a stampo. In particolare sono noti alcuni mattoni con decorazioni vegetali a Canosa di Puglia (Ba)(267), che vengono datati attorno al VI secolo (268) . I manufatti sono di forma quadrangolare e le loro dimensioni si aggirano attorno ai cm 29.4/30.5 di lato. In genere l’impiego di tali laterizi, con eccezione per i mattoni istoriati sicuramente riferibili a una funzione funeraria (269), è legato alla ornamentazione delle pareti sia esterne che interne degli edifici, solitamente di culto. Negli interni i laterizi erano impiegati a rivestire i sottarchi o costituivano le zoccolature delle pareti. 2 - Le più precoci attestazioni del gusto di decorare le pareti esterne o interne degli edifici di culto con rilievi caratterizzati da ornati slegati dal contesto architettonico, sono documentate a partire dal VII secolo. Oltre al già citato battistero di Poitiers - nel quale però non troviamo fasce ma solo formelle poste in opera a se stanti -, vanno ricordate, per quel periodo, la chiesa visigota di S. Maria a Quintanilla de las Viñas, nella provincia di Burgos ( 2 7 0 ), e, per quanto riguarda gli ornati collocati lungo le pareti interne, le chiese di S. Juan de Baños de Cerrato, nella provincia di Palencia (271), e di S. Pedro de la Nave (272). In questi casi le fasce decorative sono costituite da blocchi lapidei, in conformità col materiale da costruzione impiegato nella fabbrica dei due edifici di culto, lavorati a rilievo. Per l’oriente uno degli esempi più precoci è costituito dalla cappella B della chiesa sud di Bawit, in Egitto(273), cui fanno seguito la chiesa di Scripou in Beozia (873-874)(274), nella quale gli ornati sono collocati principalmente nell’abside, e, nei primi anni del secolo successivo, la chiesa di S. Croce di Aght’amar in Armenia (915-921)(275). Anche in questo caso gli ornati sono ottenuti accostando blocchi lapidei, in conformità col materiale da costruzione. In genere, nelle regioni in cui il materiale da costruzione è costituito dal laterizio, gli ornati sono in laterizio anche se, soprattutto nell’ XI secolo, è attestato, ad esempio nell’Italia settentrionale, l’impiego di formelle lapidee (in marmo o pietra) in sostituzione dei mattoni in murature in laterizio. E’ il caso, ad esempio, delle croci in opera sulle pareti della chiesa di S. Fosca di Torcello(276), cui fanno riscontro anche le numerose formelle intere o frammentarie conservate presso i musei della stessa T o r c e l l o(277) e di Venezia (278), che attestano una parallela consuetudine presente nella zona anche per altri edifici(279). Nei casi appena analizzati gli ornati non sono dissimili da quelli delle formelle in cotto e anche l’impiego che di (267) A RTHUR-WHITEHOUSE 1983, pp. 533-534, fig. 7, 1-3. (268) Ibidem, p. 533. (269) FIORILLA 1985/1986, p. 213. caso oltre a fasce decorate a girali vegetali, sono presenti anche figure di animali a rilievo. (276) POLACCO 1976, nn. 91-93, pp. 150-151 (:XI secolo). (270) PALOL SALELLAS 1955, pp. 102-103, tavv. XIX-XXI; SCHLUNK-HAUSCHILD 1978, tavv. 141, 143a, 145, pp. 95-96, 1023-107, 230-234; ARBEITER 1994, pp. 337-339. Le decora zioni, formate da fasce continue disposte su uno o due ordini, sono sull’abside e i muri di fondo della chiesa. L’ornato è costituito da girali con foglie e frutti pendenti, animati da quadrupedi e volatili. (271) S CHLUNK-H AUSCHILD 1978, pp. 92, 98-99, 204-209, DE tavv. 103, 104a, 108, 109b; A RBEITER 1994, pp. 336-337. Ricordo sulla chiesa anche il volume PALOL 1988 che non ho potuto visionare personalmente. (272) P A L O L D E S A L E L L A S 1955, pp. 100-102, tav. XVI; SCHLUNK-HAUSCHILD 1978, pp. 91, 100-101, 223-227, tav. 138a/c. Gli ornati sono stilisticamente assai vicini a quelli della chiesa di Quintanilla de las Viñas. In parte sono legati alla scansione interna dell’edificio. (273) GRABAR 1963, p. 94. (274) Ibidem, p. 90-95, tavv. XXXIX-XL. (275) DER NERSESSIAN 1965, pp. 11-35, figg. 2-55. In questo (277) Cfr. POLACCO 1976, n. 97, pp. 156-157 (XI secolo; tralcio con motivi vegetali); n. 104, p. 165 (XI secolo; girali racchiudenti motivi vegetali e volatili); n. 106, p. 167 (c.s.; per lo stesso cfr. inoltre IDEM 1978, n. 54, p. 68); n. 107, p. 168 (XI secolo; c.s.; per lo stesso cfr. inoltre IDEM 1978, n. 58, p. 72); n. 109, p. 170 (XI secolo; c.s.); n. 110, p. 171 (XI secolo; c.s.); n. 111, p. 172 (XI secolo; c.s.; per lo stesso cfr. IDEM 1978, p. 72); n. 112, p. 173 (XI secolo; c.s.; per lo stesso cfr. IDEM 1978, p. 51); n. 115, p. 176 (XI secolo; c.s.); n. 116, p. 177 (XI secolo; c.s.); n. 117, p. 178 (XI secolo; c.s.). Vanno inoltre ricordate le formelle che costituiscono la cornice ancora in opera nell’arcata absidale della chiesa di S. Fosca (Ibidem, n. 94, p. 153). (278) POLACCO 1980, nn. 37-54, pp. 45-55 (:dagli inizi del X secolo alla fine dell’ XI-inizi del XII secolo). Recentemente Russo ha proposto di datare i pezzi a non prima della metà dell’ XI secolo (cfr. R USSO 1986, p. 517). (279) Va detto, tuttavia, che i marmi rimessi in luce a Venezia erano pertinenti alla fabbrica del S. Marco e probabilmente erano in opera parallelamente agli ornati in cotto. Per le formelle marmoree del S. Marco cfr. supra. 65 P.Novara tali pezzi si faceva non si discostava molto da quello delle analoghe mattonelle laterizie, come evidente sempre sulla base del raffronto con il caso di Torcello. 3- Ritornando all’analisi dei laterizi a rilievo e limitando la ricerca all’Italia centro-settentrionale, va rilevato come una grande concentrazione di siffatti prodotti sia attestata per i secoli VIII-IX soprattutto nel territorio lombardo. Solo sporadicamente per quei secoli sono documentati laterizi ornati anche a Cividale(280), Bazzano (Bo)(281), Arezzo (282) e Fiesole (Fi) ( 2 8 3 ). Le constatazione più sopra riferite circa i laterizi dispersi, un tempo conservati nella chiesa ravennate di S. Vittore, e i due mattoni frammentari generalmente attribuiti al monastero del Pereo, ci consentono di arricchire l’elenco dei siti nei quali è documentata la presenza di laterizi a rilievo nei sec. VIIIIX con l’aggiunta anche di Ravenna. Come emerge da qualsiasi pubblicazione relativa alla scultura altomedievale dell’area lomb a r d a (284) o dai recenti studi specificamente incentrati sul problema dei laterizi decorati(285), la quantità di attestazioni per quella regione è veramente rilevante. Formelle a rilievo attribuibili ai secoli in questione sono state trovate a Milano negli scavi della chiesa di S. Satiro(286), a (280) Si tratta di un laterizio frammentario conservato presso il Museo Nazionale di Cividale (II sala, n. inv. 4304) le cui dimensioni si aggirano attorno ai cm 14 x cm 25. La decorazione è costituita da una treccia viminea entro la quale sono inserite rosette con petali carnosi. Viene generalmente riferita all’ VIII-IX secolo. Vd. Corpus X, n. 424, p. 283, tav. CXLIV, 424. (281) Si tratta di quattro laterizi riutilizzati nella costruzione di una tomba alla cappuccina (cfr. NEGRIOLI 1940, pp. 155159), un tempo conservati presso il Museo di Bazzano e attualmente non più reperibili (ringrazio per la segnalazione il prof. S. Gelichi). I laterizi sono decorati con un tralcio liscio che forma motivi circolari (“a otto”), includenti tre fogliette oblunghe, fortemente incavate, disposte “a girandola”. I laterizi misurano mediamente cm 41/43 x cm 26.5/29 x cm 5/6.5 e sono datati dal Negrioli all’ VIII-IX secolo. (282) Cfr. Corpus IX, nn. 33-35, pp. 55-56, tavv. XVIII, 33XIX, 35. In un caso (ibidem, n. 35), si tratta di un embrice decorato con un motivo a nastro bisolcato, generalmente attribuito all’ VIII-IX secolo. Gli altri due frammenti, attribuibili ai secoli IX-X, sono rappresentati da laterizi decorati sia su una delle pareti, sia lungo uno dei margini. Presentano il medesimo motivo ornamentale, costituito da intrecci viminei includenti grossi fioroni e da una serie di rombi lungo il margine. Non è possibile precisarne le dimensioni. (283) I laterizi conservati nei magazzini del Museo di Fiesole (Fi), a tutt’oggi inediti, sono trenta (nn. inv. 433-463) e riferibili agli scavi delle terme e del teatro romano di Fiesole, condotti nel 1895-1899 (cfr. al riguardo NotScavi, Cremona(287) , a Pavia (288), ma soprattutto a Brescia, dove nell’ambito degli scavi che interessarono nel 1959-1960 la chiesa del S. Salvatore sono stati rimessi in luce laterizi frammentari pertinenti alle fasi di vita di VIII(289) e di VIII-IX secolo(290) dell’edificio di culto. In genere si tratta di elementi ornamentali caratterizzati da motivi di tipo vegetale, e più raramente geometrico, solo nel caso di due formelle frammentarie rinvenute negli scavi del S. Salvatore di Brescia il campo decorativo è occupato da grifi alati(291). Sulla datazione di queste ultime formelle, generalmente attribuite al IX secolo, potrebbero sussistere, tuttavia, alcuni dubbi, soprattutto alla luce del confronto con una serie di analoghe formelle ancora in opera nella Rotonda di S. Lorenzo in Mantova che, in quanto in fase con la posa delle cortine murarie, possono essere attribuite alla seconda metà dell’ XI secolo(292). Con la sola eccezione, come si è detto, per queste ultime formelle, l’ornato è esclusivamente a carattere vegetale. Si va dal più semplice motivo del tralcio includente rosette a sei petali del frammento della chiesa milanese di S. Satiro e dei laterizi di Arezzo e Cividale, o delle fogliette disposte “a girandola” dei laterizi di Bazzano, Fiesole e di alcuni dei frammenti del S. Salvatore di Brescia, ai più complessi serti, arricchiti da foglie e grappoli d’uva dei restanti 1896, p. 180). Non mi è stato possibile prenderne visione. La scheda del Museo curata dal Galli all’inizio del secolo (gentilmente messami a disposizione dal direttore del Museo, dott. C. Salvianti), offre solo una sommaria descrizione dell’intero gruppo di frammenti. Dalla scheda risulterebbero presenti laterizi caratterizzati dalle seguenti decorazioni: “a) doppia treccia; b) reticolato a spighe; c) palmette; d) girali; e) volute con foglie; f) tralcio con foglie cuoriformi”. Le dimensioni riportate dal Galli (che, tuttavia, non chiarisce se siano da riferire a pezzi interi o frammentari) vanno da un minimo di cm 8 x cm 6.5 x cm 2 a un massimo di cm 30 x cm 5.5. Non si precisa l’eventuale cronologia dei frammenti. I due pezzi editi dal Galli nella Guida del Museo (cfr. GALLI 1915, p. 86, fig. 62), di cui uno corrispondente al n. inv. 462, mi sembrano da attribuire a una produzione altomedievale, e più precisamente di VIII-IX secolo. (284) Corpus III, nn. 130-142, pp. 111-118; nn. 144-146, pp. 119-120. (285) Cfr. F IORILLA 1985/1986, pp. 177-229. (286) Ibidem, scheda n. 2.18, pp. 195-196. (287) Ibidem, scheda n. 2.13, p. 190. (288) Ibidem, scheda n. 2.14, p. 192. (289) Ibidem, schede nn. 2.1-2.5, pp. 184-186 e nn. 4.2-4.3, pp. 307-308. (290) Ibidem, schede nn. 2.6-2.11, pp. 186-189 e nn. 2.152.16, pp. 192-193. (291) Ibidem, nn. 4.2-4.3, pp. 307-308. (292) Cfr. DALL’ACQUA 1968, pp. 351-358, per la cronologia 66 S.ADALBERTO IN PEREO laterizi. In entrambi i casi si tratta di ornati desunti dal repertorio figurativo della coeva scultura in marmo, nell’ambito del quale possono essere ravvisati puntuali riscontri. Nell’area lombarda il gusto per gli ornati in laterizio inseriti nelle cortine murarie perdurò anche successivamente, come attestano, ad esempio, i mattoni in opera nelle murature della prima fase di vita del campanile della chiesa di S. Michele in Pavia, verosimilmente attribuibili agli inizi dell’ XI secolo(293). In nessun caso sono state trovate, per i secoli VIII-IX, formelle ancora in opera. L’uso comunque, doveva essere destinato sia alle pareti interne che a quelle esterne degli edifici. Solo per le citate formelle di Mantova - che comunque sono posteriori a quelle prese più sopra in considerazione - si ha una chiara testimonianza dell’impiego nelle murature interne. 4 - La letteratura specializzata inserisce generalmente il gruppo di formelle ravennati attribuibili all’ XI secolo, in quella corrente figurativa che ebbe grande favore durante il X e l’ XI secolo nell’area costiera altoadriatica compresa fra Ravenna e l’Istria - per tale ragione definita dal Salmi “ravennate-lagunare” (294) - e che ha nelle decorazioni delle pareti della chiesa abbaziale e del campanile di S. Maria in Pomposa (figg. 15-17, 29,b) una delle esemplificazioni più significative e meglio conservate. Nel complesso pomposiano gli ornati in cotto sono collocati nella facciata dell’atrio della chiesa(295) (figg. 16, 17), sulle quattro pareti della torre campanaria(296) (figg. 15, 29,b) e in una cortina di uno degli edifici monastici(297). Sono costituiti principalmente da fasce ottenute giu(293) PERONI 1967, pp. 20-28, figg. VII-XI. Per la cronologia degli ornati in particolare p. 26; sulla base delle considerazioni esposte in P ANAZZA 1950, n. 142, p. 293 che ritiene la posa in opera della prima fase del campanile successiva all’incendio che distrusse l’edificio nel 1004, Peroni suppose già i laterizi vicini all’anno Mille. Al riguardo Peroni ha però recentemente proposto di spostare le formelle ad un periodo non posteriore alla metà del X secolo, non escludendo l’eventualità di poterne anticipare ulteriormente la posa in opera (PERONI 1977, nota 17 p. 1277). (294) S ALMI 1966, pp. 56, 107. Lo stile lagunare sarebbe sorto, ad opinione del Salmi, nel bacino superiore dell’Adriatico fra la fine del X secolo e la prima metà dell’ XI (ibidem, pp. 55-56); ad esso si sarebbe ispirato magister Mazulo per decorare la facciata dell’atrio della chiesa di Pomposa (ibidem, p. 59). Al riguardo comunque, cfr. le interessanti considerazioni contenute in RUSSO 1986, pp. 504506. (295) SALMI 1966, pp. 59-63, figg. 88-111. (296) Ibidem, p. 63, figg. 107-108. (297) Ibidem, pp. 71-72, fig. 121. stapponendo formelle rettangolari (delle altezze di cm 20/21 e di cm 28/29.5) che formano un fregio senza soluzione di continuità. A queste si aggiungono mattoni posti in opera a se stanti, di forme varie: rettangolari nell’atrio, di forma cuspidata o circolari nel campanile (fig. 15, 29,b). Le due croci della facciata (fig. 16) sono composte da cinque piastrelle rettangolari, di cui quella centrale con gli attacchi dei bracci trasversi. La policromia delle pareti, soprattutto della facciata dell’atrio, è arricchita dall’aggiunta di altri ornati: due transenne in stucco con immagini di grifoni affrontati (298), formelle in pietra con figure di animali (299) , bacini ceramici (quelli oggi visibili sono di restauro) inseriti entro un motivo a raggera ottenuto con laterizi nei colori giallo e rosso, alternati(300), e fasce di rifinitura a losanghe, sempre ottenute alternando laterizi bicolori(301) (figg. 16-17). Per molti aspetti, come nel caso dei bacini ceramici, si tratta di novità per l’edilizia di culto ravennate e dell’entroterra che, sino all’ XI secolo, presenta quale unico ornamento per le murature decorazioni ottenute giustapponendo laterizi di colore giallo e rosso(302). Le fasce nastriformi e le croci sono ornate con racemi bisolcati, a volute contrapposte, includenti foglie o grappoli d’uva e animati da volatili e quadrupedi. Le formelle della facciata dell’atrio sono rettangolari, e contengono immagini singole di animali fantastici: un cane-leone e una variante del s i m u r g h, il drago-pavone alato della tradizione sasanide(303). Gli ornati delle patere del campanile sono principalmente a carattere vegetale (foglie o palmette) (fig. 29,b), mentre le formelle cuspidate includono figurazioni di animali fantastici o a carattere vegetale (fig. 15). (298) Circa le due transenne in stucco rimando alle considerazioni contenute in RUSSO, pp. 484-494; 524-525. (299) Anche in questo caso rimando a ibidem, pp. 525-528. (300) Sui bacini cfr. SALMI 1966, p. 178. Circa il motivo decorativo a raggera che circonda i bacini, ottenuto con laterizi di colore rosso e giallo, cfr. RUSSO 1986, p. 483. L’autore giustamente nota come il motivo decorativo della raggera, così frequente nell’edilizia ravennate e dell’entroterra nella tarda antichità e nell’alto medioevo, sia qui trattato in modo completamente nuovo, sostituendo ai semplici laterizi disposti di testa, piccole formelle di fattura triangolare. Per quanto riguarda il motivo a raggera nell’edilizia ravennate tardoantica e altomedievale cfr. IDEM 1983, pp. 177-178. (301) Cfr. RUSSO 1986, p. 483. (302) Nell’edilizia ravennate, oltre ai motivi a raggera, sono noti il fregio a scacchiera di mattoni quadrangolari gialli e rossi nella muratura del campanile della basilica di S. Apollinare in Classe e le decorazioni poste nell’enclave delle polifore degli edifici di culto in genere ma soprattutto dei campanili (cfr. ad esempio l’ultimo ordine di bifore del campanile di S. Maria Maggiore). 67 P.Novara Secondo la cronologia proposta dal Salmi, i due principali gruppi di laterizi, quelli dell’atrio e del capitolo e quelli del campanile, sarebbero da datare rispettivamente, al 1026, anno della consacrazione della chiesa(304), e agli anni immediatamente successivi al 1063, data della fondazione della torre campanaria (305). Più recentemente Eugenio Russo, sulla scorta della constatazione dei rapporti intercorsi fra l’abbazia e l’arcivescovo Gebeardo di Eichstätt (1028-1044), ha proposto, a mio avviso non a torto, di spostare la cronologia dei lavori di costruzione dell’atrio della chiesa agli anni immediatamente successivi alla consacrazione della stessa, e più precisamente al ventennio in cui furono sul soglio episcopale ravennate Gebeardo e a capo dell’abbazia Guido (1008-1046)(306). Alla luce di tali considerazioni la cronologia delle formelle in cotto in opera nelle murature del complesso pomposiano può essere collocata, grosso modo, fra il secondo quarto e la fine dell’ XI secolo. Dal punto di vista della resa non si notano particolari diversità fra i gruppi di formelle pertinenti alle due fasi di lavoro, anche se Russo crede di ravvisare un miglioramento delle forme procedendo verso i piani più alti della torre campanaria(307). 5 - Anche a Venezia e nelle isole limitrofe è documentata, per il secolo XI, questa forma ornamentale. Il gruppo più consistente di lateri(304) SALMI 1966, pp. 56-57. (305) Ibidem, pp. 57; 61-62. Salmi ritiene il campanile fondato nel 1063 e terminato nel corso dell’XI secolo. Tale ipo tesi è accettata anche da Russo, cfr. al riguardo RUSSO 1984, pp. 260-262; IDEM 1986, p. 536; IDEM 1992, p. 151. Russo suppone (a differenza di Gandolfo, che pure accetta l’ipotesi del Salmi, cfr. GANDOLFO 1987, p. 326) che per completare il campanile occorresse molto tempo, sulla base di una diretta indagine del manufatto ancora inedita, cfr. RUSSO 1992, nota 42, p. 151. (306) RUSSO 1984, p. 247; IDEM 1986, p. 482 e recentemente, IDEM 1992, p. 151. L’ipotesi che alla munificenza dell’arcivescovo Gebeardo si debbano i lavori di restauro della chiesa e dell’intero complesso (che previdero, come è noto, anche l’aggiunta della fabbrica del capitolo), pare confermata dal fatto che il presule si fece seppellire nel capitolo di Pomposa, secondo una tradizione tipicamente locale che voleva le sepolture degli arcivescovi negli edifici di culto per i quali avevano commissionato lavori di una certa importanza (IDEM 1984, p. 247). Tale ipotesi sembrerebbe, poi, confermata dal testo stesso dell’epigrafe posta sulla tomba di Gebeardo, nella quale si conferma che, grazie al suo intervento, sancta domus crevit (cfr. ibidem, p. 247). La datazione di Russo è stata recentemente accettata in GANDOLFO 1987, p. 325. (307) R USSO 1986, p. 508. Cfr. inoltre le considerazioni di Russo circa i tempi lunghi necessitati per la costruzione del campanile, supra nota 305. (308) La collocazione odierna dei pezzi risale al restauro del chiostro di S. Apollonia svoltosi nel 1967-1970. Cfr. al zi ad essa riferibili è conservato nella raccolta lapidaria esposta presso il chiostro di S. Apollonia, in Venezia(308) (fig. 33). Si tratta in tutto di ventisei frammenti, con decorazioni di diverso tipo. La breve didascalia esplicativa indica i pezzi come provenienti dai restauri che interessarono la basilica di S. Marco nella seconda metà del secolo scorso. In effetti questo materiale va riferito agli interventi svoltisi attorno alle fiancate della basilica marciana che vennero eseguiti fra il 1860 e il 1877 (309), come attesterebbe, fra l’altro, l’edizione pur se sommaria, che dei pezzi diede il Cattaneo nella seconda parte della monumentale monografia seguita ai restauri del S. Marco(310). Il Cattaneo in quella occasione trattò dei laterizi, indicandone la provenienza, e ne offrì alcune immagini(311), che ora risultano preziosissime in quanto testimoniano dell’esistenza di pezzi oggi introvabili. Per il tipo di ornato e la resa della figurazione ai pezzi di S. Apollonia può essere associata una formella raffigurante un quadrupede, pubblicata da Zuliani, che la indica come presente nel chiostro di S. Apollonia(312). La formella, che in realtà oggi non è visibile fra i pezzi raccolti nel chiostro veneziano, non compare nell’elenco proposto dal Cattaneo, ma presumibilmente va ascritta allo stesso gruppo di frammenti. Per quanto concerne il repertorio decorativo dei laterizi di S. Apollonia, il gruppo più consiriguardo F O R L A T I 1970, pp. 149-156. Precedentemente i laterizi si trovavano nel cortile di S. Teodoro. (309) BERCHET 1888/1892, p. 432. (310) CATTANEO 1888, p. 174. (311) Cfr. ibidem, p. 174; tav. alla p. 122, lett. g, k, j, l, m, n; tav. alla p. 123, lett. p. r. s. t. v. z. aa. cc. dd. e tav. 365, nn. 65, 66, 67, 68, 75, 77, 78. Alcuni dei pezzi indicati dal Cattaneo come laterizi non possono, in realtà, essere definiti tali, cfr. ad esempio ibidem, tav. p. 122, let. k; altri frammenti segnalati dallo studioso, sulla cui natura è comunque difficile pronunciarsi, non sono più reperibili, cfr. ibidem, tav. p. 122, lett. j, l (segnalata, in seguito, anche dal Ferrari e dal Marangoni); tav. p. 123, lett. r, s, dd e tav. 365, n. 77. Almeno nove dei frammenti ancora esistenti in S. Apollonia, invece, non compaiono nelle immagini del Cattaneo. Successivamente al Cattaneo i laterizi sono stati oggetto di interesse da parte del Ferrari e del Marangoni. Ferrari ne pubblica una immagine con un piccolo campionario costituito da otto frammenti nel volume relativo alla lavorazione del cotto nell’Italia medievale e moderna (FERRARI 1928, tav. LXI); il Marangoni ne accenna in un suo contributo relativo alla costruzione del S. Marco (MARANGONI 1933, p. 7 e fig. 6). La tavola del Ferrari è stata ripubblicata, in parte schermata, in Z ULIANI 1971, tav. I e R USSO 1986, fig. 34. Fra i pezzi segnalati dal Marangoni vi è un frammento con parte dell’immagine di un volatile che non compare nelle immagini del Cattaneo e che non mi è stato possibile reperire (MARANGONI 1933, fig. 6, c). Per quanto riguarda l’edizione di alcuni dei frammenti da parte del Zuliani cfr. infra, nota 313. (312) ZULIANI 1971, tav. II. 68 S.ADALBERTO IN PEREO Fig. 33 - Venezia. Chiostro di S. Apollonia, laterizi frammentari. stente è costituito da quattordici pezzi - fra i quali un laterizio intero, dim. cm 41 x cm 28 x cm 6.5 (fig. 33,a) -, assai vicini al tipo impiegato nella chiesa abbaziale di Pomposa, caratterizzati, cioè, da girali popolati. In numero inferiore, solo otto frammenti, sono i laterizi decorati con matasse a tre vimini disposte a formare intrecci di varia natura (fig. 33,c); in buona parte si tratta di mattoni interi (dim. cm 40 x cm 29 x cm 7 oppure cm 28/29 x cm 20/22.5 x cm 7) che presentano una conformazione leggermente arcuata(313). Tre frammenti, dei quali uno costituente la metà circa di un laterizio (fig. 33,d), mostrano tracce di immagini di grifoni e volatili vari, un solo frammento, infine, reca traccia di un ornato costituito da volute contenenti il motivo delle fogliette polilobate, pendule (fig. 33,b). In genere i laterizi ornamentali veneziani vengono considerati come un'unica produzione, senza alcuna distinzione per quanto concerne la resa e il repertorio decorativo; in realtà la resa degli ornati e l’uso di impasti diversi, potrebbero far nascere alcune perplessità circa la contemporaneità di alcuni dei pezzi analizzati. Mi riferisco, in particolare, a due dei frammenti con matassa viminea, la cui realizzazione sommaria si discosta visibilmente da quella del restante gruppo caratterizzato dal medesimo ornato, e ai frammenti con immagini di grifi e/o volatili, ottenuti con argilla di colore rosso, friabile, dissimile da quella giallo-rosata, molto compatta dei restanti pezzi. Anche il frammento con girali campiti da foglie polilobate, pendule, potrebbe creare qualche perplessità, in quanto il motivo (313) Si tratta dei soli pezzi della raccolta di S. Apollonia pubblicati in una serie di brevi schede, successivamente agli accenni del Cattaneo: Z ULIANI 1971, n. 57, p. 88; nn. 63-70, pp. 90-92. L’autore, pur rilevandone la derivazione iconografica dal repertorio della plastica di IX secolo, riferisce i laterizi, come sarà chiarito anche oltre, alla ristrutturazione del S. Marco successiva all’incendio del 976 (ibidem, p. 90). Per quanto riguarda i restanti laterizi, Zuliani ne accenna brevemente nel testo, senza proporre schede specifiche descrittive, cfr. ibidem, p. 36. P.Novara 69 ornamentale che lo caratterizza, ben noto nella produzione scultorea altomedievale(314), non ha riscontri nella produzione più tarda. La precisa cronologia del gruppo di laterizi ora in S. Apollonia resta ancora un’incognita. La datazione dei pezzi, che si lega strettamente alla fase d’uso nelle murature del S. Marco, coinvolge nella sua risoluzione non solo la storia della basilica veneziana, ma la storia della produzione laterizia a rilievo di XI secolo del bacino altoadriatico. L’evidente analogia fra i pezzi marciani e quelli ancora in opera nella chiesa abbaziale di Pomposa, infatti, apre la più complessa questione della priorità della produzione e dell’individuazione di Venezia o di Pomposa/Ravenna quale centro di produzione e diffusione del gusto “ravennate-lagunare” nell’Adriatico settentrionale. La mancanza di una adeguata documentazione relativa al rinvenimento dei laterizi marciani - non è chiaro, infatti, se i frammenti fossero ritrovati in opera, sotto il rivestimento marmoreo aggiunto successivamente, oppure fra l’eterogeneo materiale da costruzione - rende, tuttavia, impossibile a tutt’oggi una puntuale localizzazione della fase di vita del S. Marco per la quale i laterizi furono fabbricati e pertanto, una soluzione della questione. La critica ha già diffusamente dibattuto il problema. In genere i pezzi sono riferiti, nella totalità, a una delle prime fasi di vita della chiesa di S. Marco. Un filone della critica, sulla scor- ta soprattutto della datazione dei frammenti proposta dal Marangoni e delle considerazioni del Salmi, propende per ascrivere le formelle in questione alla “seconda fabbrica” del S. Marco, cioè all’ipotizzata ricostruzione dell’edificio commissionata dal doge Pietro Orseolo successivamente all’incendio del 976 (315), attribuendo così a questa serie di laterizi l’assoluta priorità rispetto alla restante produzione documentata nel bacino altoadriatico; altri invece, a partire dal Cattaneo(316), ritengono che l’ornato di cui i frammenti facevano parte vada ascritto alla cosiddetta “terza fabbrica”, cioè alla ricostruzione dell’edificio di culto promossa dal doge Contarini, intrapresa nel 1063 e portata a termine nel 1091(317). Il dibattito è stato recentemente riaperto da Eugenio Russo (318) che, in contraddizione con quanto proposto da Zuliani, uno degli ultimi assertori dell’ipotesi dell’impiego dei laterizi nella fase ricostruttiva successiva all’incendio del 976(319), nota, a mio avviso non a torto, come la stretta affinità fra i laterizi di Venezia e quelli pomposiani (320) e la presenza di una patera marmorea ancora in opera in un tratto della cortina muraria dell’odierna fabbrica marciana (nell’angolo detto di S. Alipio)(321), possano indurre a riferire la produzione laterizia veneziana pertinente alla ricostruzione promossa dal Contarini. I laterizi decorati conservati nel Museo di Torcello sono cinque (fig. 34). Ai quattro pezzi già noti attraverso i cataloghi del Museo si può, oggi, (314) Il motivo decorativo trova frequente impiego nella plastica di IX secolo. Cfr. ad esempio i plutei in opera nelle chiese romane di S. Saba (Corpus VII, 4, n. 106, p. 135, tav. XL, n. 106) e di S. Prassede (Corpus VII, 1 , n. 61, pp. 120-122, tav. XXVII, n. 61, aa. 817-824), i frammenti del duomo di Civita di Bagnoregio (Corpus VIII, n. 13, p. 45, tav. XVI, n. 21), della chiesa parrocchiale di Ischia di Castro (ibidem, n. 32, p. 53, tav. XXIV, n. 42), della chiesa abbaziale di Castel d’Elia (ibidem, n. 152, pp. 138-139, tav. CIV, n. 173, aa. 827844), del duomo e dell’abitazione vescovile di Sutri (risp. ibi dem, nn. 292-293, pp. 223-224, tav. CCXII, nn. 343-344 e n. 329, p. 239, tav. CCXXX, n. 382), il pilastrino della chiesa monastica di S. Vincenzo di Cortona (Museo dell’Accademia Etrusca di Cortona, Corpus IX, nn. 74-75, pp. 97-98, tavv. XLVI, n. 74, XLVII, n. 75) e il pluteo della tricora della basilica di S. Eufemia di Grado (Corpus X, n. 530, pp. 352-353, tav. CXC, n. 530). In generale su tale motivo decorativo vd. KAUTZSCH 1941, pp. 17-19; VERZONE 1945, pp. 135-140. (315) MARANGONI 1933, p. 7; SALMI 1966, p. 54; costoro basa- 1960, pp. 69-70; analogamente inoltre, LORENZONI 1983, p. 412), nella testimonianza di Giovanni Diacono, il quale, nella sua Cronaca, non usa una terminologia che induca a pensare a una ricostruzione dell’edificio ma a un semplice e veloce restauro. Sono favorevoli a questa ipotesi anche DORIGO 1983, p. 580; RUSSO 1986, p. 513; POLACCO 1991, pp. 11, 17. (317) C ATTANEO 1888, p. 177. Lo studioso ritenne i rilievi vano le loro ipotesi sulle considerazioni di Corrado Ricci, in particolare R ICCI 1928, p. XII. Più recentemente dello stesso avviso è Z ULIANI 1971, p. 37. (316) A partire dal Cattaneo (CATTANEO 1888, pp. 132-133) è opinione di gran parte della critica che l’intervento promosso sulle strutture della basilica marciana, successivamente all’incendio appiccato durante la rivolta contro Pietro Candiano IV (a. 976), si limitasse a un restauro, probabilmente delle parti lignee della chiesa. Una conferma al riguardo potrebbe trovarsi, come già notò il Demus (DEMUS molto vicini a quelli pomposiani, addirittura ipotizzò che proprio la bottega di magister Mazulo lavorasse anche nel S. Marco ( i b i d e m, p. 177). Va aggiunto tuttavia, che il Cattaneo non distingueva cronologicamente la facciata dell’atrio dal campanile, ritenendole opere coeve, da attribuire alla medesima bottega artigiana. Più recentemente sono dello stesso avviso DEMUS 1960, p. 89; RUSSO 1986, pp. 512-513. (318) Ibidem, pp. 508-516. (319) Così, in particolare, Z U L I A N I 1971, p. 36; P O L A C C O 1976, pp. 165, 167, 168, 172, 174, 176, 177; IDEM 1978, p. 68; L O R E N Z O N I 1983, p. 412 (che riporta il passo di Zuliani, accettandolo nella sua totalità). (320) RUSSO 1986, p. 512. (321) M ARANGONI 1933, pp. 12-13; R USSO 1986, p. 513. Ad opinione di Russo i resti della formella sulle murature ancora in opera sarebbero un indizio del fatto che la decorazione esterna con ornati vicini a quelli di Pomposa, avrebbe caratterizzato la “terza fabbrica”. Il problema della strutturazione delle pareti esterne del S. Marco precedentemente le 70 S.ADALBERTO IN PEREO misurano cm 20 x cm 20(323), gli altri due frammenti sono pertinenti a laterizi del tipo di quelli pomposiani, la loro altezza doveva superare i cm 27(324). Le formelle quadrangolari, di impasto giallo-rosato, raffigurano quadrupedi a se stanti; i laterizi frammentari, di colore giallo e giallo-rosato, mostrano chiare tracce di una decorazione costituita da un racemo bisolcato, desinente in volute animate da volatili. La formella cuspidata, di impasto giallo-arancio, raffigura un grifone (dim. cm 41 x cm 29 x cm 5). Le quattro formelle già note sono state datate dal Polacco genericamente al X secolo (325), ma l’evidente analogia soprattutto dei due laterizi frammentari, sia per repertorio ornamentale che per resa, con i mattoni della chiesa abbaziale di Pomposa, può indurci a spostarne la fabbricazione all’XI secolo. Fig. 34 - Torcello (Ve). Museo, laterizi frammentari. aggiungere la formella cuspidata conservata nella stessa raccolta che, sino ai risultati di recenti analisi che ne hanno confermato l’autenticità, veniva ritenuta un falso(322). Due formelle sono quadrangolari, rifinite lungo i quattro margini, (322) Devo la notizia alla gentile cortesia del dott. G. Zattera, che ringrazio vivamente. (323) N. inv. 1186, n. progressivo Museo 34 (POLACCO 1976, n. 100, p. 161; IDEM 1978, p. 41); n. inv. 11, n. progressivo Museo 36 (POLACCO 1976, n. 103, p. 164; Idem 1978, p. 421; ALVERA’ BORTOLOTTO 1981, p. 37, tav. I). (324) N. inv. 8, n. progressivo Museo 33 (POLACCO 1976, n. 101, p. 162; I DEM 1978, pp. 40-41; ALVERA’ BORTOLOTTO 1981, p. 37, tav. II); n. inv. 10, n. progressivo Museo 35 (POLACCO 6 - Quali probabili modelli iconografici dei laterizi diffusi nell’area altoadriatica nell’XI secolo solitamente si individuano i temi diffusi nel repertorio ornamentale dell’arte suntuaria del Vicino Oriente, la cui trasmissione in Occidente avvenne, verosimilmente, attraverso la diffusione dei tessuti prodotti in epoca postsasanide, soprattutto in Siria e nella zona costantinopolitana(326). Il carattere orientalizzante di tali formelle è evidente nei temi trattati, che esulano dal repertorio decorativo dei cotti stampati presenti nell’Italia settentrionale nei secoli precedenti, con l’introduzione di girali popolati e di animali affrontati simmetricamente all’Albero della vita, animali in lotta, grifi e altri animali fantastici, nonché per alcune connotazioni iconografiche marginali, quali, ad esempio, il contrassegnare in genere i volatili e gli animali fantastici con il “pativ” svolazzante, simbolo della regalità nella cultura sasanide, peculiare dell’iconografia del Vicino Oriente. Come si è detto, si tratta di temi ricorrenti soprattutto nel repertorio decorativo delle ricche stoffe orientali importate in Occidente, che contribuirono all’affermarsi di un gusto che si rivela, nelle stesse regioni nelle quali prese piede la forma decorativa in questione, anche nella coeva produzione scultorea come documentano, ad esempio, un frammento di lastra reimpiegato nella chiesa di S. Stefano 1976, n. 102, p. 163; IDEM 1978, p. 41). (325) P OLACCO 1976, pp. 161-164; IDEM 1978, pp. 40-42. sulla base del Polacco cfr. inoltre, ALVERA’ B ORTOLOTTO 1981, p. 37. (326) In particolare SALMI 1966, p. 104. Recentemente sulle stoffe orientali e l’influsso dei loro motivi decorativi sulle arti figurative occidentali cfr. FARIOLI CAMPANATI 1982, pp. 217-218. (327) DORIGO 1983, p. 658, fig. 424 (:IX secolo). . P.Novara 71 di Caorle ( 3 2 7 ) , alcuni puteali conservati in Torcello(328) e Padova (329) e una mensola conservata presso il Museo Civico degli Eremitani della stessa città(330). Le stesse forme plastiche che sono, poi, documentate lungo la costa dalmata e in particolare a Zara, città nella quale sono attestati numerosi pezzi che richiamano, per gusto e repertorio decorativo, quelli più sopra elencati, come ad esempio il ciborio del proconsole Gregorio (331), il ciborio della chiesa di S. Tommaso(332) e la lastra della chiesa di S. Domenica(333). Questi manufatti, oltre ad attingere allo stesso repertorio figurativo cui si rivolgevano i decoratori dei laterizi (animali, talvolta fantastici, affrontati simmetricamente, rampanti o in lotta), mostrano anche una stringente affinità coi laterizi in oggetto per la resa dei motivi decorativi (piccoli tagli a mandorla sul collo, solchi che segnano le parti anatomiche degli animali, ecc.). L’apporto dell’Oriente, a mio parere, va ravvisato, più che nello sviluppo della forma ornamentale, che, pur mancando attestazioni dirette per il bacino altoadriatico, può essere documentata attraverso i laterizi superstiti nell’Italia settentrionale e forse anche in Ravenna già nell’ VIII-IX secolo, nel repertorio decorativo e nella resa, che costituirono una vera e propria novità, sotto l’influsso della cultura bizantina (334), nonché nell’introduzione dell’uso di impiegare formelle disposte in serie a formare decorazioni senza fine, che abbracciano l’intera ampiezza della parete, senza legame alcuno con la struttura dell’edificio (335), modo estraneo all’occidente e che risponde al gusto orientale di trattare questo tipo di decorazioni. Resta ancora aperta, come si è detto, la questione della priorità, se cioè sia da ritenere Venezia o Pomposa/Ravenna il centro di diffu- sione dei laterizi del gusto cosiddetto “ravennate-lagunare”. Ad opinione di Eugenio Russo il primo edificio caratterizzato da questo genere di ornati fu la chiesa abbaziale di Pomposa. In essa andrebbe riconosciuta l’opera di un artista (magister Mazulo) di origine e formazione orientale: a suo avviso solo in questo modo si può spiegare, al di là dell’influsso delle stoffe e degli altri generi suntuari sul repertorio decorativo, l’assoluta originalità decorativa della facciata dell’atrio pomposiano (336). Effettivamente la chiesa abbaziale di Pomposa può ritenersi, per molti aspetti, una novità nell’architettura occidentale. Nuovo è il modo di trattare le pareti esterne, ma nuovo è anche il gusto che produce la stesura pavimentale in opus sectile, il cui tratto più antico, lavorato nell’ambito dei restauri dell’edificio intrapresi nel 1026, costituisce un precedente per il gusto diffusosi successivamente nel bacino altoadriatico e soprattutto in Venezia e nelle isole ( 3 3 7 ) . Non è da escludere che questo ingresso in Occidente di generi estranei al gusto corrente, sia stato provocato dalla ripresa, nel corso del X secolo, dei rapporti politici ed economici fra l’impero ottoniano e Costantinopoli, rinsaldati, fra l’altro, dal matrimonio fra Ottone II e la figlia dell’imperatore Romano II (338), e che proprio Ravenna, per la sua favorevole posizione sull’Adriatico e per il ruolo giocato nell’ambito dell’impero ottoniano, sia stata il tramite per la diffusione dei nuovi generi nel bacino adriatico settentrionale(339). L’apporto di un gusto estraneo alla tradizione occidentale si riflette, a mio avviso, anche nelle sculture di arredo di alcuni di quegli edifici decorati con formelle ornamentali legate ai nuovi apporti. In Pomposa i due plutei (dei quali, uno frammentario) fabbricati in concomitanza con i restauri della chiesa di S. (328) POLACCO 1976, n. 41, pp. 67-69 (:X secolo); IDEM 1978, pp. 64-67 (:X secolo); recentemente RUSSO 1986, p. 516 (:XI secolo). (329) B ETTINI 1936/1937, tav. XXXVI, 36, b-c. Lo studioso bibliografica nota 145 p. 520 (: seconda metà XI secolo). (334) Circa l’impulso orientale e le novità riscontrabili nelle arti figurative della costa adriatica nei secoli X-XI, cfr. ZULIANI 1971, p. 37; D ORIGO 1983, pp. 664-665. Non concorda con questa posizione RUSSO 1986, p. 508. (335) Ibidem, pp. 499-450. tuttavia, individua il puteale come un prodotto del periodo “gotico” (ibidem, p. 261). (330) Ibidem, tav. XXXVI, 36, a. Anche in questo caso l’autore individua il pezzo come “gotico” (ibidem, p. 261). Per una più recente analisi della mensola cfr. Orzi Sartelli 1. (331) Cfr. recentemente le considerazioni esposte in R USSO 1986, pp. 518-521, al quale rimando anche per la copiosa bibliografia in nota 135, p. 518. Lo studioso ritiene che al manufatto abbiano lavorato due diversi gruppi di artigiani, dei quali uno assai vicino alle maestranze che lavorarono a Pomposa e attribuisce l’opera alla prima metà dell’ XI secolo. (332) Anche in questo caso rimando alle considerazioni espresse in merito ibidem, pp. 518, 520 (:non anteriore alla metà dell’ XI secolo). (333) Cfr. ibidem, pp. 520-521, per una completa scheda (336) Ibidem, p. 532. (337) Al riguardo cfr. le interessanti osservazioni espresse da F A R I O L I C A M P A N A T I 1986, p. 170. Sul pavimento di Pomposa, in particolare, vd. STERN 1968, pp. 158-169; sui pavimenti in opus sectile di Venezia e delle isole limitrofe vd. BARRAL I ALTET 1985, passim. (338) FARIOLI CAMPANATI 1993, p. 482. (339) Circa il ruolo dato a Ravenna dagli Ottoni, cfr. NOVARA 1990c, pp. 79-80. Ivi anche indicazioni circa la costruzione del “palazzo” ottoniano. (340) Per i plutei pomposiani cfr. SALMI 1966, pp. 109-111, fig. 215, p. 170 (pezzo intero); figg. 216, 218 p. 107 (frammenti). Dimensioni pezzo intero cm 104 x cm 211. 72 S.ADALBERTO IN PEREO Maria, intrapresi come si è detto nel 1026(340), sono caratterizzati da immagini di animali, assai vicini per il gusto e per la resa a quelli raffigurati nei laterizi, inseriti entro partizioni formate da nastri piatti, intrecciati. Analogamente due frammenti di pluteo conservati presso il Museo Nazionale di Ravenna e attribuibili alla chiesa monastica di S. Pietro in Vincoli(341), che per materiale, spessore e resa dell’ornato possono essere riferiti alla stessa lastra, presentano, secondo quanto si può desumere da una sommaria ricostruzione, immagini di animali in lotta contenuti entro un nastro piatto che, intrecciandosi, forma uno spazio circolare. La stringente affinità fra il pluteo di S. Pietro in Vincoli e quelli Pomposa, emerge con evidenza sia nella resa che nella scelta del repertorio decorativo, che avvicina questi pezzi alla produzione mediobizantina(342). A questo riguardo va rilevata, oltre all’uso della fettuccia con due solcature laterali, la presenza, comune alle lastre di Pomposa e ai frammenti di S. Pietro in Vincoli, di un motivo vegetale costituito da una infiorescenza stilizzata, composta da un cespo dal quale si allargano foglie disposte simmetricamente lungo l’asse centrale, un ornato affine a quello riscontrabile in numerose lastre di lavorazione orientale(343). Alla luce di queste considerazioni non va esclusa l’ipotesi che l’impiego di laterizi rispondenti al nuovo gusto si sia affermato dapprima in Ravenna e nel ravennate e che da lì si sia sviluppato anche nel bacino altoadriatico. 7 - Particolare riguardo meritano, nell’analisi dei laterizi decorativi ravennati, i frammenti provenienti da S. Alberto e la formella proveniente da S. Pietro in Vincoli per le evidenti affinità stilistiche e per l’analoga resa dei motivi a rilievo, tali da potere indurre a ipotizzare una lavorazione cronologicamente vicina, ma, soprattutto, affidata alle medesime maestranze. Le notizie relative alla costruzione e alla storia dei due complessi edilizi sono, tuttavia, così scarne da rendere impossibile una qualsiasi indagine più approfondita. Sulla base delle con(341) MNR, nn. inv. 840, 841. Cfr. S ALMI 1966, p. 111, fig. 215, p. 107. Recentemente, inoltre, R IZZARDI 1993, p. 471. (342) Questi plutei, che almeno per quanto ho potuto appurare, non trovano confronti in altri materiali noti nell’area altoadriatica, paiono presentare stretta affinità con il repertorio decorativo della scultura mediobizantina, come può chiarire il confronto con una lastra conservata presso il Museo Archeologico di Istanbul, riferita dal Firatli al X-XI secolo, nella quale entro una fettuccia che definisce uno spazio circolare, trova posto l’immagine di un quadrupede. Vd. FIRATLI 1990, n. 336, p. 168, tav. 102/b. siderazioni del Mazzotti circa la cronologia della costruzione del monastero di S. Pietro in Vincoli e l’ipotesi da me avanzata di posticipare di qualche decennio dalla costruzione dell’oratorio e monumentalizzazione del complesso del Pereo per intervento imperiale (a. 1001) la messa in opera della decorazione, si può comunque supporre che la produzione dei mattoni pertinenti ai due complessi si aggiri attorno agli anni ‘30 dell’ XI secolo. Le analogie nella resa dei laterizi in questione risulta ancora più evidente a una analisi diretta. In tal modo, infatti, è possibile riscontrare l’assoluta conformità di alcuni elementi anatomici caratterizzanti i rilievi, come ad esempio le ali dei volatili della formella di S. Pietro in Vincoli, identiche per conformazione e resa, con tre solchi che ne caratterizzano il piumaggio, a quelle del volatile di alcuni dei laterizi frammentari di S. Alberto, al punto da supporre l’impiego di matrici intagliate dagli stessi artigiani. Più difficile risulta stabilire eventuali affinità fra la resa dei laterizi in questione e quelli dell’atrio della chiesa di S. Maria di Pomposa, in quanto non è possibile analizzare direttamente i materiali pomposiani, tuttora in opera (344). Comunque si potrebbe ipotizzare una stretta vicinanza fra le maestranze che lavorarono in S. Pietro in Vincoli e quelle che lavorarono in Pomposa sulla base di altri indizi. In particolare l’ipotesi potrebbe avanzarsi - come pure aveva fatto, anche se molto sfumatamente, il Salmi(345) - sulla base delle già rilevate affinità che intercorrono fra alcuni degli arredi pomposiani e alcuni elementi scultorei frammentari provenienti da S. Pietro in Vincoli, che potrebbero indurre ad ipotizzare la presenza delle medesime maestranze nei due cantieri dove hanno lasciato traccia di prodotti, stilisticamente vicini, da riferirsi alla stessa matrice culturale. Anche la maggior parte dei laterizi pertinenti alla basilica di S. Marco, in Venezia, e tre dei mattoni conservati presso il Museo di Torcello, sono assai vicini al gruppo ravennate/pomposiano, non solo per quanto riguarda il repertorio (343) Cfr. ad esempio il pluteo frammentario proveniente dalla chiesa costantinopolitana di Fener Isa, attribuibile al X secolo (GRABAR 1963, tav. LII, 1). (344) Il solo laterizio staccatosi dalle murature dell’edificio di culto e conservato presso il Museo Pomposiano, va riferito alla decorazione del campanile. Le dimensioni sono: largh. cm 31; h. cm 30/44; sp. cm 7. Ringrazio l’arch. C. Di Francesco, Sop. BAA di Ravenna, Forlì e Ferrara, per la quale eseguii nel 1990 l’inventario del Museo di Pomposa, per avermi concesso di rendere pubbliche le dimensioni del laterizio. P.Novara iconografico, ma anche per la resa dei motivi decorativi. Tuttavia circa una lavorazione comune, da parte di maestranze residenti in Ravenna o itineranti, rinvio alle considerazioni contenute nel paragrafo successivo. Dissimili per quanto concerne la resa, si presentano gli altri laterizi superstiti di XI secolo conservati in Ravenna: il mattone proveniente da S. Zaccaria, i quattro manufatti rinvenuti nelle murature di Casa Bellenghi, i due mattoni ora nella cosiddetta Cripta Rasponi del Palazzo della Provincia di Ravenna e il frammento rimesso in luce fra il materiale dei Magazzini del Museo Nazionale. Si tratta di formelle che dovevano essere poste in opera a se stanti e che presentavano in comune con gli altri laterizi l’attinenza al medesimo repertorio decorativo. Stilisticamente sono, tuttavia, molto diversi e in alcuni casi (ad esempio le formelle di Casa Bellenghi e del Magazzino del Museo Nazionale) la resa è più grossolana. Una resa grossolana, assai vicina a quella di alcuni dei frammenti del chiostro di S. Apollonia, in Venezia, e della formella indicata da Zuliani come facente parte della medesima raccolta, ma da me non individuata. 8 - Allo stato attuale delle conoscenze circa la produzione di laterizi decorati, non è possibile alcuna precisazione sulla lavorazione. Non esistono, infatti, informazioni relative alle officine di fabbricazione e in particolare non è dato sapere se i mattoni istoriati fossero prodotti in appositi laboratori o se facessero parte di un ciclo di lavorazione più ampio, legato al cantiere. Nel problema rientra la questione, già abbondantemente dibattuta soprattutto in relazione ai laterizi altoadriatici, della possibilità di potere riconoscere centri di lavorazione comuni alla produzione e legati a particolari aree geografi(346) CATTANEO 1888, pp. 175-177. Sulla interpretazione da parte del Cattaneo del rapporto fra i laterizi di Pomposa e quelli veneziani, cfr. anche supra. (347) RICCI 1928, p. XIC. Lo studioso pare affermare che la produzione dei laterizi avvenisse nella stessa Ravenna. (348) MARANGONI 1933, p. 7 (riferisce i laterizi veneziani ad artisti ravennati); SALMI 1966, pp. 53-66, 58-59, 106-109; DEMUS 1960, pp. 69-70. (349) Così ad esempio SALMI 1966, p. 54, che, fra l’altro, fraintendendo le considerazioni di Corrado Ricci circa la natura degli impasti dei laterizi di Pomposa (che a suo avviso sarebbero stati forgiati con “crete delle alluvioni ravennati”), attribuisce allo studioso ravennate l’affermazione secondo la quale anche i laterizi ritrovati a Venezia sarebbero stati forgiati con crete alluvionali ravennati (ibidem, p. 64, nota 13). (350) Le posizioni circa la figura di magister Mazulo sono, in linea di massima, tre. Il Cattaneo ritenne che Mazulo fosse lombardo e che in Lombardia fosse stato educato alla pro- 73 che. Circa il fenomeno documentato nel bacino altoadriatico la tradizione di studi, a partire dal Cattaneo, che riteneva i laterizi attestati per una delle fasi di vita del S. Marco prodotti dallo stesso magister Mazulo già operante in Pomposa(346), vede in Ravenna il centro irradiatore del gusto e ravennati gli artigiani che fabbricarono i prodotti documentati nell’area in questione. Fautore di quest’ultima teoria fu, in particolare, Corrado Ricci (347), le cui ipotesi sono state seguite da buona parte della critica(348), che ha talvolta ritenuto i laterizi fabbricati in area ravennate e da lì esportati nelle aree nelle quali necessitavano(349). Il problema della produzione dei laterizi altoadriatici pertanto, coinvolgendo le già accennate questioni dell’importanza giocata dal modello di Pomposa per questo tipo di gusto e della formazione culturale del magister Mazulo pomposiano (350), non ha ancora avuto una soluzione definitiva. Nei più recenti studi sulla questione, relativi comunque alla sola produzione di area lombarda di VIII-X secolo, si è avanzata l’ipotesi che la fabbricazione dei laterizi in cotto sia dal legare alla presenza di mano d’opera specializzata nei cantieri(351). La stretta parentela fra i prodotti ravennati e veneti di XI secolo potrebbe fare propendere, più che per una esportazione dei laterizi già cotti da un ipotetico luogo di fabbricazione, per un spostamento di maestranze specializzate oppure per il trasferimento delle matrici da cantiere a cantiere. Per quanto concerne il tipo di lavorazione, anche se in alcuni casi pare si debba ritenere che l’intervento sul laterizio avvenisse quando il pezzo era già cotto - ma questo solo in relazione ad uno dei mattoni ravennati più antichi -, i manufatti presenti in Ravenna, così come quelli di Venezia e di Torcello, mostrano evidenti tracce di fabbricazione ottenuta mediante stampi(352). Sono, inoltre, ben visibili, su tutti i pezzi fessione, poi perfezionata in Romagna (CATTANEO 1888, pp. 175-176). Corrado Ricci, scartando l’ipotesi del Cattaneo sulla base delle evidenti differenze che intercorrono fra la produzione lombarda e quella altoadriatica (RICCI 1928, p. XII), ritenne Mazulo romagnolo (SALMI 1966, pp. 56-57 e più recentemente ancora Peroni in P ERONI 1983, p. 180). Da ultimo Eugenio Russo ha ipotizzato che Mazulo fosse di origine orientale e che si fosse formato in area greco-costantinopolitana (RUSSO 1986, p. 532). (351) F IORILLA 1985/1986, pp. 219-221. (352) Circa la lavorazione a incisione sul laterizio già cotto ritenuta in genere dalla critica una delle tante forme di lavorazione del laterizio a partire dall’alto medioevo, cfr. al riguardo F IORILLA 1985/1986, p. 179; G ABBRIELLI-P ARENTI 1992, pp. 27-28; 32 - recentemente si sono avute posizioni non del tutto concordi. In particolare cfr. DEL PANTA 1992, p. 330 che nega in modo assoluto la possibilità di intaglio. Circa le varie tecniche di lavorazione dei laterizi a stampo cfr. inoltre GABBRIELLI-PARENTI 1992, pp. 25-29. 74 S.ADALBERTO IN PEREO analizzati, segni di intervento sul pezzo già modellato ed essiccato, in particolare per le rifiniture (taglietti che caratterizzano il piumaggio o il manto degli animali, particolari anatomici, ecc.) e per la lisciatura dei tratti non decorati. Particolare interesse riveste una considerazione del Corbara circa alcuni dei laterizi del campanile della chiesa di S. Maria di Pomposa, che, tuttavia, non trova conferma nell’analisi del materiale superstite ravennate. Lo studioso ritenne, infatti, sulla base di una indagine diretta, che alcune delle formelle in questione fossero “in origine interamente smaltate, cioè” coperte “con una vernice poco lucida, in pasta vitrea, applicata probabilmente in seconda cottura”, a suo avviso ancora visibile “in più punti” negli incavi dei laterizi (353). A parte che non è ben chiaro dalle parole del Corbara di quale tipo di rivestimento si trattasse, se cioè di smalto o di vetrina, in quanto ché vengono citati entrambi, il caso del campanile di Pomposa costituirebbe un unicum almeno per la zona ravennate, poiché tutti i laterizi a stampo superstiti a noi noti non presentano nessuna traccia di un simile intervento. Una delle caratteristiche di maggiore interesse dei laterizi ravennati e dell’altoadriatico (353) C ORBARA 1978, p. 33. è, a mio avviso, costituita dalla relativa omogeneità delle dimensioni dei singoli pezzi. Con esclusione delle formelle impiegate per la croce di S. Alberto, per la quale verosimilmente si produsse materiale di dimensioni rispondenti alle necessità dettate dalla particolare forma dell’ornato, i laterizi sono, senza eccezioni, assimilabili alle proporzioni del sesquipedale di produzione romana (circa cm 44 x cm 30/31 x cm 5/6). Rispondono a tali misure, infatti, il mattone proveniente da S. Zaccaria (cm 44 x cm 30) e le formelle cuspidate di S. Pietro in Vincoli (cm 44 - h. max. - x cm 30) e quelle di Pomposa (cm 44 x cm 30), mentre i laterizi di casa Bellenghi corrispondono a una porzione pari a mezzo sesquipedale (cm 28/31 x cm 22). Pur se con minime variazioni anche i laterizi di S. Alberto erano forse rispondenti al modulo, come potrebbe far supporre la ricostruzione basata sulle proporzioni e sull’ornato. Analoghe dimensioni presentano i laterizi di Venezia (cm 41 x cm 28.5 x cm 6.5 e cm 29 x cm 20/22 x cm 7, 1/2 sesquipedale), mentre a Torcello sono presenti due formelle di dimensioni anomale (cm 20 x cm 20). Dunque la produzione laterizia di area ravennate e altoadriatica attesta ancora nell’XI secolo l’assimilazione alle dimensioni correnti nell’antichità.