005 ALCOOL ACIDO CANDEGGINA CANTELLO
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005 ALCOOL ACIDO CANDEGGINA CANTELLO
I manuali di Cantello P ericoli ALCUNE CONSIDERAZIONI Il mondo delle pulizie è assai strano. Ci sono abitudini e credenze difficili da sradicare. Casalinghe, operatrici, pulitori professionisti sono talmente abituati a compiere ogni giorno dei gesti e delle operazioni sbagliate che sono diventate pratica comune. Questi errori e queste tradizioni si tramandano da madre in figlia o tra i lavoratori e diventa difficile fare capire gli errori. Spesso si è poi convinti che usare certi prodotti sia più sicuro, economico e meno inquinante che non utilizzare un detergente. Questa convinzione è invece errata. Alcuni prodotti largamente utilizzati sono dannosi sia per la salute di chi li utilizza sia per l’ambiente in quanto fortemente inquinanti. Di seguito riportiamo quindi una serie di utili notizie su alcuni prodotti ancora oggi largamente utilizzati, sebbene superati da detergenti molto più efficaci e molto meno pericolosi. L’IPOCLORITO DI SODIO La vecchia, scontata candeggina ha un nome scientifico. Si chiama ipoclorito di sodio (formula chimica NaC10) ed e’ un prodotto dei cosiddetti impianti cloro-soda che servono alla fabbricazione di altre materie prime. Una soluzione al 5% circa di ipoclorito di sodio in acqua è nota come acqua di Labarraque (dal chimico francese Antoine Germain Labarraque, 1777-1850), candeggina, varechina, nettorina, neveina, niveina o conegrina sono tutti nomi diversi per uno stesso prodotto una soluzione di colore giallo dal caratteristico odore penetrante. Spesso la comune conegrina viene chiamata anche Amuchina (che però è tutt’altro prodotto). L’impiego naturale e’ quello di “ossidante”, perché l’ipoclorito e’ in grado di modificare, attraverso meccanismi di reazione, le caratteristiche di altre materie chimiche. In realtà l’uso più diffuso dell’ipoclorito di sodio e’ quello di candeggiante per l’eliminazione delle macchie dai tessuti. Da questo punto di vista svolge egregiamente il suo lavoro, permettendo di eliminare a bassa temperatura, con un certo risparmio energetico, alcune macchie di difficile rimozione. Per il basso costo unitario la “candeggina” e’ preferita ad altri prodotti ben più cari ma dalle caratteristiche anche molto diverse. Ma quali sono gli usi “efficaci” di questo prodotto e quali invece quelli inutili o addirittura dannosi ? Il candeggio della biancheria è’ l’unica utilizzazione consentita senza rischi, sempre che si usi la giusta concentrazione, seguita da un intervento di neutralizzazione (un semplice buon lavaggio con detergente da bucato. Per quanto riguarda invece il potere disinfettante, le cose sono più complesse. Il prodotto libera facilmente cloro, uno dei migliori, ma più pericolosi, disinfettanti esistenti in natura. Se si vuole ottenere un’effettiva attività nei confronti dei batteri, bisogna utilizzare l’ipoclorito di sodio con molta attenzione sia nella concentrazione che nella diluizione di impiego, controllando attentamente il tempo di contatto. Attenzione pero’: l’ipoclorito venduto nelle famose “bottiglie gialle” diffuse nei vari punti di vendita, non supera i 6 o 7 volumi di concentrazione, assolutamente insufficiente per raggiungere lo scopo prefissato : la disinfezione. Inoltre la candeggina ha tre altri grossi problemi: - non è stabile nel tempo - è sensibile alla luce - è sensibile al calore Questi fattori posso degradare velocemente i principi attivi rendendo la candeggina poco più attiva che l’acqua fresca. Quindi se utilizzata per disinfettare potrebbe essere assolutamente inefficace. I problemi maggiori sorgono quando si vuole utilizzare l’ipoclorito come detergente. L’azione principale di un tensioattivo e’ quella di abbassare la tensione superficiale dell’acqua e di sciogliere, sospendere ed eliminare lo sporco grazie all’aiuto di altre componenti. L’ipoclorito invece e’ in grado di abbassare solo parzialmente la tensione superficiale dell’acqua e non contiene tensioattivi e quindi alcuna componente adatta a svolgere un’azione detergente. Anzi, l’attività detergente e’ del tutto marginale e addirittura dannosa : sulle superfici porose trattate frequentemente con la candeggina lo sporco tende ad accumularsi di volta in volta con effetti igienici negativi, inoltre questo acculo di sporco è difficile da eliminare. Neppure per le superfici non porose i risultati sono soddisfacenti: il colore bianco smagliante delle piastrelle di ceramica trattate con l’ipoclorito si deve infatti all’azione ossidante e non a quella detergente, come erroneamente si crede, quindi avremo superfici bianche ma sporche. Quindi si rischi di avere superfici molto bianche ma molto sporche. E, siccome lo sporco è il migliore nutrimento per germi e batteri, le superfici potrebbero diventare igienicamente insicure. Oltre a questi grossi inconvenienti, ce ne sono altri, più gravi, causati dalla tossicità e dall’errato impiego del prodotto, che contiene cloro, irritante per contatto, tossico per inalazione, inutilizzabile in miscela con altri prodotti perché può provocare reazioni anche molto pericolose. Insomma, l’antica, “sicura” candeggina dall’odore rassicurante, che ci fa venire in mente un ambiente pulito e disinfettato, non e’ così utile come sembra: il suo unico vero vantaggio e’ di costare poco. Ma oggi non ci basta più. L’ACIDO MURIATICO L'acido cloridrico è un idracido di formula HCl, noto commercialmente anche come acido muriatico. È un acido minerale forte (ovvero si ionizza completamente in soluzione acquosa) monoprotico (cioè ogni sua molecola, dissociandosi, libera un solo ione idrogeno), ed è il principale costituente del succo gastrico, oltre ad essere un reagente comunemente usato nell'industria. L'acido cloridrico è uno dei liquidi più corrosivi esistenti (una sua soluzione al 37% in acqua a 20 °C ha pH inferiore a 1), quindi deve essere maneggiato con attenzione. Pulizie [modifica] Nel campo delle pulizie trova utilizzo in svariate applicazioni:[22] ■ pulizia di cantiere dopo la posa di pavimenti resistenti agli acidi per eliminare tracce di cemento e stucco; ■ pulizia dei servizi igienici (eliminazione di residui calcarei);[23] ■ pulizia di pietre. Tuttavia il suo utilizzo è sempre sconsigliato visto il suo potere fortemente corrosivo ed è preferibile utilizzare detergenti acidi specificatamente studiati per tali impieghi. Sempre nel campo delle pulizie risulta particolarmente dannoso se utilizzato su marmi e pietre calcaree (le rovina irrimediabilmente). Deve sempre e comunque essere utilizzato da solo e mai mescolato con altre sostanze con le quali potrebbe reagire producendo sostanze molto nocive; il caso più frequente è l'avvelenamento da cloro causato dal mescolamento di acido muriatico con la candeggina. (fonte http://it.wikipedia.org/wiki/Acido_muriatico) L’acido muriatico viene utilizzato nel settore delle pulizie, soprattutto come disincrostante, anche se non e’ ancora stato completamente abbandonato il suo utilizzo come detergente. Il prodotto e’ decisamente acido e la sua azione violentissima, ovunque venga impiegato. Ricordiamo poi che sui pavimenti in marmo provoca danni gravissimi ed irreversibili come su molti altri materiali come le porcellane di servizi igienici. La sua azione corrosiva rende porosi i materiali con la conseguenza che lo sporco si attacca ancora di più e diventa ancora più difficile la sua rimozione. Non si può negare che l’acido muriatico funzioni come disincrostante per la rimozione dei residui calcarei e in certi casi anche come detergente, se intendiamo con questo termine solo ed esclusivamente l’eliminazione chimica dello sporco e non il suo distacco dalle superfici. Tuttavia gli aspetti negativi sono talmente numerosi da sconsigliarne decisamente l’utilizzo. L’azione disincrostante, che avviene per eliminazione fisica e non per distacco dell’incrostazione, sfugge al controllo e intacca irreparabilmente la superficie. Anche durante l’azione detergente le macchie e lo sporco vengono eliminati, ma con seri guai per i materiali (tipico il caso dei pavimenti in pietra, dove si vede il “friggere” delle superfici: in quel momento l’acido le sta intaccando). L’acido muriatico, oltre ad essere estremamente tossico se toccato, ingerito o inalato, libera gas di cloro a contatto con l’aria, rendendo malsana e addirittura cancerogena l’atmosfera degli ambienti in cui viene utilizzato. E’ importante anche prestare la massima attenzione quando si eseguono miscele con l’acido muriatico: questo prodotto e’ estremamente reattivo e quasi sempre i risultati di queste reazioni sono molto pericolose, soprattutto se l’acido muriatico viene unito a detergenti non acidi di cui inibisce il funzionamento, liberando vapori tossici. L’acido muriatico oltre a rovinare senza rimedio le superfici con cui viene a contatto agisce anche su oggetti che si trovino nelle vicinanze. Per esempio se viene utilizzato per lavare un pavimento e nelle stesso ambiente si trova dell’alluminio anodizzato, questo materiale annerisce in breve tempo per un processo di sensibilizzazione. In conclusione dall’utilizzo dell’acido muriatico derivano una grossa probabilità di danneggiare le superfici, gravi danni alla salute di chi lo adopera e un minor rendimento sul lavoro. I prodotti alternativi all’acido muriatico sono i detergenti a base acida chiamati acidi tamponati che favoriscono il distacco dello sporco e dei residui senza il pericolo di reazioni secondarie pericolose e senza alcuna tossicità per gli operatori. L’ALCOOL Sono in molti a prenderne le difese: asciuga rapidamente, disinfetta e non richiede risciacquo. L’alcool è uno dei prodotti più utilizzati da alberghi, ristoranti, imprese, per pulire vetri, formica, superfici verniciate, acciaio, alluminio. Ma è davvero così efficace come sembra? Ricerche sulle caratteristiche di questo prodotto hanno dimostrato che l’alcool agisce come disinfettante solo su superfici lisce e sgrassate precedentemente con un detergente, mentre ha poca efficacia sulle superfici porose. Bisogna inoltre considerare che per tempi di applicazione uguali o inferiori a 30 secondi, l’alcool ha un potere battericida molto scarso con effetti irritanti sulla pelle e sulle mucose delle vie respiratorie. Un altro problema è quello della denaturizzazione delle proteine, che ostacola i processi di cicatrizzazione delle ferite. Analizzando poi le presunte caratteristiche detergenti di questo prodotto, possiamo affermare che l’alcool non ha alcuna proprietà detergente, perché si limita a “sciogliere” lo sporco, senza “staccarlo” dalla superficie, come avviene invece con i prodotti tensioattivi. Inoltre l’alcool dà scarsi risultati quando viene applicato su grandi superfici (ad esempio grandi vetrate) perché la sua evaporazione troppo rapida impedisce l’azione solvente che va sempre accompagnata, nel caso di utilizzazione dell’alcool, da un energico sfregamento della superficie. Per concludere, è consigliabile utilizzare detergenti specificatamente formulati che garantiscono risultati più completi e metodologie di impiego semplici. Per disinfettare è meglio usare prodotti universalmente riconosciuti ottimi per trattamento delle superfici, che non provocano danni. il AMMONIACA L’ ammoniaca disponibile in commercio per uso privato è una soluzione di acqua e di idrossido di ammonio (NH4OH) in varie concentrazioni. L’ idrossido di ammonio ha proprietà spiccatamente sgrassanti ed è un componente di vari detergenti commerciali. USO DELL’ AMMONIACA L’ ammoniaca è una sostanza tossica per inalazione e irritante per contatto sulla pelle; va pertanto utilizzata con cautela e con grande parsimonia anche perché ha effetti inquinanti seri. La sua presenza in acqua infatti contribuisce all’ eutrofizzazione delle acque superficiali (torrenti, fiumi, laghi), un processo chimico di degenerazione che facilita lo sviluppo di alghe dannose, che sottraggono ossigeno e costringono all’ asfissia altri organismi vegetali e animali. L’ ammoniaca è presente come ingrediente nei pulitori sgrassanti e può essere utilizzata in dosi minute per potenziare il detergente alternativo per lavastoviglie, in caso di necessità. E un ottimo ravvivante dei colori tessili (tappeti e tessuti in genere). Non lascia aloni e per questo è amatissima da tutte le massaie per lavare vetri o pavimenti in ceramica. Attenzione: l’ ammoniaca reagisce con la candeggina e l’ acido muriatico producendo vapori tossici. Non usate mai ammoniaca, candeggina o acido muriatico insieme! Fonte: Cura naturale della casa, di Garzena – Tadiello – Edizioni Fag LO SAPEVATE CHE.... Veniamo ad un aspetto ben poco conosciuto in merito alla “miscele” tra prodotti. Molti dopo avere sentito tutto ciò si difendono dicendo che l’ammoniaca, loro, la usano assolutamente da sola e la diluiscono ulteriormente con acqua (magari molto calda). Sono convinti che diluendo l’ammoniaca con l’acqua del rubinetto si annulli ogni pericolo. Ma siete sicuri? Leggete con attenzione: Appunti sulla clorazione negli acquedotti (fonte: http://www.oppo.it/normative/clorazione.html) Il cloro per la disinfezione può essere aggiunto in vari modi; nella clorazione comunemente intesa (quella dei piccoli/medi impianti) viene semplicemente aggiunta una soluzione di ipoclorito di sodio (varechina, candeggina) all'acqua. Il pH e la temperatura incidono in modo rilevante sulla efficacia della disinfezione. Sia che il cloro venga immesso direttamente nella rete idrica, sia in un serbatoio, dovrebbe essere assicurato prima dell'utilizzo un “tempo di contatto” fra acqua e cloro di almeno 30 minuti, affinché il cloro possa svolgere la sua azione battericida, ossidando qualsiasi forma vivente esistente nell’acqua. Il Cloro così “si consuma” ed il residuo attivo in uscita dal serbatoio, o comunque misurato all'utenza, dovrà rientrare in un campo di determinati valori. Le soluzioni commerciali di ipoclorito di sodio usate per la clorazione hanno una percentuale tra il 12 e il 14% in volume, pari a circa il 10% in peso di cloro attivo (la candeggina ne contiene il 5%). Per ottenere un determinato valore al punto di controllo (es. 0,3 ppm), considerando che le soluzioni di ipoclorito perdono spontaneamente il titolo in cloro attivo, devono essere adottati al punto di immissione dosaggi superiori (es. 0,5 ppm). In questo caso, tenendo conto della diluizione commerciale (10%) occorrerebbe dosare l'additivo a 5 ppm (5 mg/l). DEFINIZIONI: Il cloro presente nell'acqua in forma disponibile, in grado di agire come ossidante (disinfettante), viene indifferentemente definito: libero, disponibile, attivo, residuo. Cloro libero (disponibile, attivo, residuo) Prodotto chimico attivo per la disinfezione. Quello che ha capacità igienizzante e che negli acquedotti non deve superare determinati valori all'utenza. E' il parametro cui fanno riferimento le normative del settore acquedottistico. Cloro totale L'insieme di sostanze a base di cloro presenti nell'acqua. E' la somma di cloro libero (totalmente disponibile per la disinfezione) + cloro combinato (composto di cloro con altre sostanze organiche prodotte dalla disinfezione). Non corrisponde al cloro originariamente versato, ma a quello ridotto da evaporazione e consumo per disinfezione. E' un parametro molto utilizzato nel settore piscine. RIFERIMENTI NORMATIVI: La norma UNI EN 805:2002 "Approvvigionamento di acqua - Requisiti per sistemi e componenti" prevede l'ipoclorito di sodio (NaClO) tra i prodotti chimici per la disinfezione dei sistemi di distribuzione dell'acqua con una concentrazione max di 50 mg/litro (50 p.p.m.). Probabilmente tale valore massimo è accettabile solo per la disinfezione iniziale delle tubature, non per la distribuzione dell'acqua. Il Decreto Legislativo 2 febbraio 2001 n. 31, allegato 1, parte c (parametri indicatori), indica un valore minimo consigliato 0,2 mg/l di disinfettante residuo, se impiegato. Detto valore dovrebbe essere inteso al punto di messa a disposizione dell'acqua all'utente. L'ipoclorito impiegato deve essere conforme alle norme UNI EN 901:2002. Estratto delle Linee-guida del 4 aprile 2000 per la prevenzione e il controllo della legionellosi, pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale n. 103 del 05 maggio 2000. Clorazione shock iniziale (episodica): deve essere effettuata su acqua a temperatura inferiore a 30°, con una singola immissione di cloro in acqua fino ad ottenere concentrazioni di cloro residuo libero di 20-50 mg/L in tutto l'impianto, ivi compresi i punti distali. Dopo un periodo di contatto di 2h con 20 mg/L di cloro oppure di 1h con 50 mg/L di cloro, l'acqua viene drenata e nuova acqua viene fatta scorrere nell'impianto fino a che il livello di cloro ritorna alla concentrazione di 0,5-1 mg/L. A tali concentrazioni di cloro l'acqua puo' essere considerata potabile, anche se il decreto del Presidente della Repubblica n. 236/1988 (superato da successive normative) prevede un limite consigliato di 0,2 mg/L, vista la particolare situazione contingente. Riprendiamo da testi in internet che: • • negli USA la normativa stabilisce un residuo massimo di cloro di 4mg/l la Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO) indica un residuo massimo di cloro utilizzabile di 5 mg/l, e minimo di 0,5 mg/l dopo almeno 30 minuti di contatto. I valori di cloro sia libero che totale vengono evidenziati con appositi reagenti, e prevalentemente misurati con il colorimetro portatile. vedi: Colorimetro digitale QUINDI: ogni volta che diluiamo ammoniaca o acido muriatico con acqua del rubinetto rischiamo di fabbricare una miscela estremamente pericolosa, e di inalare gas tossici per la salute.