la coltivazione della rosa fuori suolo
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la coltivazione della rosa fuori suolo
Vengono illustrati i primi risultati di una prova dimostrativa realizzata in provincia di Savana LA COLTIVAZIONE DELLA ROSA FUORI SUOLO Rosa CASCONE (*), Marco REBAGLIATI (*) Giovanni MINUTO (**) *Regione Liguria - Servizio Ispettorato Funzioni Agricole di Savona **Centro Regionale di Sperimentazione e Assistenza Agricola - C.C.I.A.A. di Savona INTRODUZIONE II Servizio Ispettorato Funzioni Agricole di Savona, in collaborazione con il Centro Regionale di Sperimentazione e Assistenza Agricola della C.C.I.A.A. di Savona, ha attuato, presso 'Azienda Bergallo Franco di Pietra Ligure, una prova finalizza-ta alla messa a punto di un sistema di coltivazione fuori suolo di rosa da fiore reciso, utilizzando come substrato pietra pomice, sistemata in vasi. Questa prova assume particolare importanza se si considera che la coltivazione della rosa da fiore reciso è tradizionalmente diffusa nella Riviera Ligure di Ponente (nonché nella vici-na Costa Azzurra), e che, per la Provincia di Savona, la PLV annua può essere stimata attorno a 5 miliardi di lire, con una superficie col-tivata di circa 12 ettari, situati prevalentemente nella zona "Colline Litora-nee di Alberga” tra i Comuni di Finale Ligure ed Andora. L'esigenza di coltivare fuori suolo tale coltura è legata ai molteplici proble-mi di ordine fitosanitario ed economico connessi con la coltivazione a terra, tra cui: - difficoltà o lentezza delle piante a rispondere alla forzatura, come conseguen-za del fenomeno foto come "stanchezza del terreno", o in conseguenza di un accu-mulo nel substrato di colti-vazione di sali minerali e fitofarmaci, in quanto le aziende specializzate in questo tipo di coltivazione attuano la monocoltura di rosa, in molti casi, da oltre 30 anni; 1/1 - scarsa flessibilità rispet-to ai cambiamenti nelle richieste di mercato; - alta presenza nel terre-no di parassiti tipici della rosa, quali nematodi e Agrobacterium spp., diffi-cilmente contenibili con la coltura in atto ed in terreni ove la coltivazione si sia protratta per lungo tempo; - concorrenza, anche sul mercato nazionale, di rose di provenienza extracomunita-ria; - concorrenza da parte di Paesi ove l'elevato contenuto tecnologico dei pro-cessi produttivi consente l'ottenimento di un prodot-to spesso qualitativamente migliore. In conseguenza di quanto esposto, e di fronte alla necessità di mantenere un adeguato grado di concorrenzialità nei confronti delle produzioni estere, alcuni produttori di rosa liguri hanno iniziato a valutare la possibilità di fare ricorso alla coltivazione fuori suolo. Tale tecnica, peraltro già diffusa su rosa nella vicina Francia, e in alcune aziende della provincia di Imperia, si sta diffondendo anche in provincia di Savona. I vantaggi derivanti dalla coltivazione fuori suolo sono i seguenti: - substrato di coltura sano ed isolato dal terreno e dai parassiti in esso presenti; - risposta pronta alla forzatura; - incremento delle rese per crescita e cicli produttivi più rapidi; - migliore gestione del regime idrico e razionale apporto di elementi nutriti-vi, con - produzione più costante come qualità e quantità; - maggiore controllo dell'umidità relativa dell'ambiente di coltivazione; - facile eliminazione delle erbe infestanti; - semplificazione o eliminazione di molte operazioni colturali; - minori costi di manodo-pera; - maggiore pulizia dell'ambiente di coltivazione e migliore contenimento dei patogeni; - maggiore possibilità di sostituire le varietà per adeguarsi a nuove tendenze del mercato (maggiore velocità di accrescimento e quindi maggiore flessibilità). La coltivazione della rosa fuori suolo, tuttavia, presenta alcuni problemi di non facile soluzione nel breve e nel medio periodo: § costo di primo impianto elevato e difficoltà di reperi-mento di tecniche e materiali; § minor margine di errore tollerato dalla coltura nella gestione dell'acqua e della fertilizzazione; man-cando l'effetto tampone del terreno, sostituito da materiali dotati di ridotta capacità di scambio cationico e ritenzione idrica; § - carenza di conoscenze tecniche sull'argomento, da parte di Istituti e Centri di ricerca, e conseguente carenza di personale tecnico in grado di guidare il pro-duttore nelle scelte che deve operare; 2/2 § possibile più alta sensibilità delle piante ad alcuni patogeni, in grado di sopravvivere negli ambienti e nei. substrati utilizzati per la coltivazione fuori suolo; in particolare, quelli che interessano la parte aerea possono essere favoriti dal maggior contenuto in succhi cellulari dei tessuti, che caratterizza le colture forza-te; § consumo elevato di fer-tilizzanti, poiché la quasi totalità delle aziende che coltivano fuori suolo attua-no il cosiddetto "ciclo aperto" (con eliminazione totale della soluzione nutritiva che sgronda dal substrato), anziché il "ciclo chiuso" (con recupero e riutilizzo della soluzione stessa per più cicli di fertirrigazione); ciò comporta un'elevata perdita nell'ambiente dei concimi utilizzati, con conseguenze sia economiche, a causa dell'alto costo dei fertilizzanti, sia di impatto ambientale. Considerato che le tecno-logie importate dai paesi del nord Europa spesso non danno risultati soddisfacen-ti, a causa delle assai diverse condizioni climatiche che non consentono di applicare le medesime tecniche(soprattutto riguardo alla composizione delle soluzioni nutritive), il principale obiettivo che ci si propone è quello di mettere a punto un metodo di coltivazione fuori suolo idoneo all'alle-vamento della rosa nelle nostre zone. CARATTERISTICHE DELLA PROVA La prova è stata realizza-ta in una serra di ferro e vetro, di 4100 m2, dotata di riscaldamento a scambiatore di calore, di impianto di nebulizzazione per la clima-tizzazione, e di impianto aereo per l'esecuzione i trat-tamenti antiparassitari. La pendenza del terreno all'interno della serra è del 3%, nettamente superiore al minimo necessario. Sono state messe a con-fronto la cv Vivaldi allevata a terra (2500 piante poste a dimora nella primavera del 1994) e la cv Pavarotti -mutazione della "Vivaldi" con analoga produttività-allevata fuori suolo (2700 piante trapiantate nel mag-gio 1995). Entrambe le cultivar sono innestate su Rosa indica major. Per rimpianto fuori suolo sono stati preferiti i vasi ai bancali per i notevoli vantaggi che offrono, quali la facilità di allestimento, la Agricoltura Liguria minore possibilità di diffu-sione delle malattie, 3/3 m parti-colare di quelle che attaccano l'apparato radicale, e una più agevole sostituzione dei vasi eventualmente colpiti (figura 1). Sono stati necessari circa 20 metri cubi di pomice (provenienza: Latina) per sistemare le piante in 900 vasi, aventi diametro cm 33 ed altezza cm 33, disposti in file singole ed in modo continuo sulla fila, con una distanza tra le file di 1,5 metri; per ciascun vaso sono state messe a dimora 3 piante (foto 1). Le superfici investite per gli impianti in terra e fuori suolo, sono rispettivamente di 400 m2 e di 500 m2, per cui la densità d'impianto risultante è di 6,25 pian-te/m2 per la coltura in terra e di 5,4 piante/m2 per quel-la fuori suolo. Tuttavia in quest'ultimo caso, collocan-do i vasi in file binate anziche singole, è possibile otte-nere una densità di 6 pian-te/m2, con un investimento per unità di superficie equi-parabile a quello di una col-tivazione tradizionale. Foto 2 I vasi sono stati posti su canaletto di polietilene nero e la soluzione fertirrigante sgrondante da essi e convogliata in collettori posti al fondo delle file, venendo allontanata all’esterno alla serra ( impianto a ciclo aperto) secondo lo schema della fig. 2 . 4/4 Si è inoltre provveduto alla copertura del terreno nell’interfila con un telo pacciamante bianco per il contenimento delle erbe. Il quadro di sintesi è riportato in fig. 3. CARATTERISTICHE DELL’IMPIANTO DI FERTIRRIGAZIONE Mentre per la cv. VIVALDI allevata a terra si effettuano le tradizionali concimazioni e l’irrigazione per aspersione sotto chioma, per la coltura fuori suolo si fa ricorso alla fertirrigazione. L’acqua di irrigazione disponibile in azienda, sottoposta ad analisi, è risultata idonea all’impiego per l’esecuzione della fertirrigazione. La conoscenza della qualità dell’acqua, infatti, è fondamentale per il corretto allevamento delle piante fuori suolo (Tab.1) . Il sistema di fertirrigazione si compone di una centralina elettronica che verifica costantemente il pH e la conducibilità della soluzione fertirrigante (foto 2), e di 2 fusti in plastica che con-tengono rispettivamente i concimi a reazione alcalina e quelli a reazione acida, in soluzione acquosa (figure 2e 4). Un terzo recipiente contiene acido nitrico, impiegato per la regolazione del pH della soluzione, e per mantenere tubi ed ugelli dell'impianto liberi da incrostazioni calcaree. Il sistema della centralina di controllo per il pH e la conducibilità elettrica, è stato preferito al sistema "Dosatron" (miscelazione automatica in proporzioni predefinite delle due solu-zioni) perché, oltre a con-sentire la verifica di even-tuali anomalie, permette di gestire in maniera più razio-nale il delicato aspetto del-l'apporto di elementi nutri-tivi, che deve essere molto equilibrato e costante, in quanto il substrato colturale ha un ridotto potere tampo-ne ed una limitata capacità di adsorbimento degli ele-menti minerali -e quindi di riserva nutritiva- che sono invece tipici del terreno (figura 1). La concentrazione delle soluzioni è tale da assicurare nelle diverse fasi colturali un rapporto N:P205:K20 = 1:0,65:1,25 + 1,0 Ca + 0,8 Mg + 1,0 M.E.; il pH della soluzione fertirrigante è stato fissato intorno a 6, e la conducibilità elettrica è stata mantenuta a 1800 pS/cm in primavera-estate e 2200 uS/cm in autunno-inverno. La soluzione viene convogliata ai vasi attraverso l'impianto di fertirrigazione con tubazioni in PVC di pollice, alle quali sono collegati 2 gocciolatoi per cia-scun vaso; la pressione di esercizio dell'impianto è di 1,5 atmosfere. La portata unitaria dei microirrigatori è di 2 litri/ora; la disponibilità per ciascun vaso è dunque di 4 litri/ora. La soluzione viene erogata con una frequenza di 8 volte al giorno in estate e di 4 volte al giorno in inverno, con variazioni graduali nei periodi 5/5 intermedi; la durata di ogni erogazione è di quattro minuti. La soluzione distribuita è mediamente pari a 2 l./vaso/giorno, mentre quel-la in uscita dai vasi è in media 0,7 l./vaso/giorno (figura 5); questi valori variano nel corso dell'anno in base alla frequenza delle fertirrigazioni e all'anda-mento climatico; ad esem-pio in estate, con elevata evapotraspirazione, la quantità di soluzione in uscita può ridursi a 0,350 l./vaso/giorno. E' importante la conoscenza di questi due dati, da un lato per rendersi conto dei consumi idrici da dover soddisfare, e dall'altro per dimensionare un'eventuale vasca di raccolta della soluzione in uscita, in caso di conversione dell'impianto da "ciclo aperto" a "ciclo chiuso". GESTIONE DI UN IMPIANTO FUORI SUOLO: PROBLEMI DAPREVENIRE E POSSIBILI SOLUZIONI Nella gestione di una colti-vazione fuori suolo possono riscontrarsi problemi a livello di: § caratteristiche della soluzione (in particolare salinità e acidità); § distribuzione della soluzione (dalla centralina fino ai singoli vasi); § sofferenza radicale; § malattie. Un quadro d'insieme è riportato in figura 6. Per assicurare una nutrizione equilibrata è fonda-mentale la fase di prepara-zione della soluzione fertirrigante da inviare alle piante. E" importantissimo veri-ficare: - il corretto funzionamento dei dosatori e delle pompe che prelevano le due soluzioni di partenza (acida e basica) dai fusti; - la corretta taratura del pHmetro e del conducimetro della centralina di controllo. Un aspetto di particolare importanza e da tenere strettamente sotto controllo è la conducibilità della solu-zione all'interno dei vasi; infatti un'elevata conducibilità al drenaggio, ossia un'al-ta salinità del percolato, determina quasi sempre effetti negativi sullo svilup-po delle piante e sulla pro-duzione; per evitare questi effetti è molto utile fare un buon dilavamento del sub-strato con acqua. Foto 3 In un impianto a regime, si osserva frequentemente che la conducibilità in uscita è più elevata di quella in entrata, probabilmente anche a causa dell'accumulo, nel substrato, di sostanza organica (residui fogliari e radicali) e di elementi minerali. Per ridurre questo feno-meno conviene dunque ese-guire un lavaggio periodico del substrato con sola acqua, ed aspirare dai vasi e dalle canalette di scolo le foglie cadute. Quest'ultimo intervento è vantaggioso anche ai fini dell'igiene dell'ambiente di coltivazione e quindi della prevenzione delle malattie. Anche l'acidità tende a modificarsi nel passaggio attraverso il vaso, divenen-do superiore nella soluzio-ne in uscita rispetto a quella in entrata (rispettivamen-te pH 4,5 e pH 6). Il pH della soluzione è un parametro da tenere attentamente sotto control-lo, anche contenendo gli eccessi di azoto ammoniacale, che possono verificarsi, ad esempio, per un uso improprio di concimi dotati di un alto titolo di azoto ammoniacale. La distribuzione della soluzione fertirrigante deve avvenire in maniera omoge-nea, per cui non vanno tra-scurati la manutenzione ed il controllo delle tubazioni dell'impianto. Particolare attenzione deve essere prestata ai microirrigatori che portano la soluzione ai singoli vasi, in quanto la loro eventuale occlusione può pregiudicare la produzione; la pianta allevata fuori suolo, infatti, non ha a disposizione la riserva di elementi nutritivi normalmente presente nel ter-reno. 6/6 Un altro fenomeno che può indurre sofferenza nelle piante è l'asfissia radicale, provocata da eccessi di acqua che, ostacolando la circolazione dell'aria, favo-riscono l'alterazione e la degradazione delle radici. Il fenomeno di asfissia può essere . accentuato dal fatto che i vasi, appoggiati diret-tamente sulla canaletta di scolo, non assicurano un sufficiente sgrondo, soprat-tutto se col loro peso si infossano in un terreno non ben rullato, aumentando il ristagno idrico; il problema può essere risolto collocando sotto ciascun vaso blocchi di polistirolo o altro materiale dello spessore suf-ficiente a sollevare i vasi, in modo da assicurare una migliore aereazione alle radici. E' comunque importante regolare la somministrazio-ne di acqua in base alle reali necessità delle piante, quin-di in relazione alle condi-zioni climatiche e all'evapotraspirazione effettiva. E' possibile collegare all'im-pianto di fertirrigazione dei sensori che consentono l'erogazione della soluzione in funzione della radiazione luminosa e delle condizioni termiche dell'ambiente di coltivazione. Per quanto riguarda le malattie, la coltivazione in vaso a ciclo aperto consente un efficace contenimento dei parassiti animali e vegetali. La parte aerea è generalmente più soggetta, rispetto alla tradizionale coltivazio-ne in terra, ad attacchi di patogeni quali la muffa gri-gia (Botrytis cinerea - foto3) ed il mal bianco o oidio Aerotheca pannosa var. rosae), poiché in coltura forzata i tessuti sono più ricchi d'acqua e quindi più teneri. Per la prevenzione delle malattie, in particolare di quelle fungine, valgono, come per la coltivazione tradizionale, il rispetto delle norme igienico-sanitarie dei locali e degli attrezzi e le corrette pratiche agronomiche. Ad esempio, per preveni-re la muffa grigia è impor-tante evitare eccessi di umi-dità all'interno della serra e garantire un buon arieggia-mento delle piante, evitando tuttavia le correnti d'aria che favoriscono, invece, la comparsa dell'oidio. Il contenimento chimico di funghi, insetti (soprattutto tripidi) ed acari, è analogo a quello seguito nella coltivazione in piena terra. 7/7 RISULTATI DELLA PROVA E CONCLUSIONI II confronto fra i due sistemi di coltivazione nel primo 'anno di attività dell'impianto fuori suolo, conferma che l'entrata in pro-duzione delle piante allevate senza terra è anticipata, e le stesse hanno una rapida risposta alla forzatura. Nei primi mesi del 1996, un aumento improvviso della conducibilità elettrica della soluzione nutritiva ha provocato una notevole sofferenza delle piante allevate fuori suolo, con crescita stentata e conseguente ridotta produzione, come si può rilevare dal grafico della produzione del mese di aprile (figura 7). In conseguenza di un buon dilavamento del substrato le piante hanno ripre-so a vegetare e a produrre in maniera soddisfacente; non vi è dubbio però che lo stress a cui sono state sotto-poste abbia influenzato negativamente il risultato produttivo, mettendo in evidenza come sia impotante acquisire esperienze su questo tipo di coltivazione prima di impostare un impianto, in modo da prevenire i problemi e da avere già pronte delle soluzioni valide per quelli che dovessero presentarsi. Nonostante gli inconve-nienti della fase di messa a punto del sistema abbiano influito sul dato annuo fina-le, i risultati forniti da que-sta prova si possono ritene-re positivi; la produzione è stata comunque superiore nella coltivazione fuori suolo rispetto a quella tradi-zionale, come si può osser-vare dai grafici riportati in figura 8 e in figura 9, relativi rispettivamente alla produzione annua (periodo di riferimento: ottobre '95 -settembre '96) ed a quella di un mese rappresentativo di una situazione "a regime" (settembre '96). Il beneficio economico si è avuto sia in termini di incremento di prodotto commercializzabile sia in termini di riduzione dei costi. Infatti i costi di esercizio sono risultati inferiori per quanto riguarda la manodo-pera (grazie alla semplificazione o eliminazione di alcune operazioni colturali) e per l'acquisto di fertiliz-zanti (£. 2695/m2 nella col- tura fuori suolo e £.7040/m2 nella coltura in piena terra); in questo caso la cospicua differenza è in gran parte dovuta all'uso massiccio di ferro e microelementi chelati nella coltivazione in terra, uso che risulta essere più contenuto nella coltivazione fuori suolo. Occorre considerare, tut-tavia, che nei primi anni è necessario ammortizzare il costo d'impianto, dato dal costo fisso della centralina di controllo e dai costi variabili (incluso il costo delle ^piante), questi ultimi pari a circa £.60.000/m2. Nella prospettiva di aumentare la superficie col-tivata col sistema fuori suolo, bisogna infine pren-dere in considerazione l'im-portante aspetto del recupero della soluzione nutritiva, a causa della notevole dispersione di fertilizzanti nell'ambiente associata al "ciclo aperto". A titolo esemplificativo è stata fatta una stima empirica della perdita di fertilizzanti nell'ambiente. Supponendo un uso di ferti-lizzanti pari a 800 Kg/ha mensili, e ipotizzando un'u-tilizzazione del10% da parte delle piante, negli impianti a ciclo aperto ven-gono rilasciati nell'ambiente 720 Kg/ha/mese di fertiliz-zanti, equivalenti a 86,4 q/anno per ogni ettaro di serre. Questo dato fa riflettere sui grossi rischi d'in-quinamento ambientale. Nell'ipotesi di provvedi-menti restrittivi a livello legislativo, si è quindi pen-sato di completare l'esperienza in atto impostando una nuova prova, a ciclo chiuso, al fine di acquisire una maggiore conoscenza circa la gestione di questo tipo di impianto. 8/8