Servir 45 ITA

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Servir 45 ITA
Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati
N. 45
Combattere la xenofobia: l'importanza della
consapevolezza, dell'inclusione, della partecipazione e dei diritti
Costruire identità fondate sulla dignità umana
Articoli da Italia, Ecuador, Sudafrica e Repubblica Dominicana
Dicembre 2008
Messaggio del Direttore Internazionale
Istituzionalizzare la xenofobia non apre a prospettive future
La paura paralizza e porta a scelte sbagliate
Peter Balleis SJ
Quando è lo stato a rendersi colpevole di abusi, Dajabón, Repubblica Dominicana, Giovanni Dalmas/JRS
Poco tempo fa, mentre ero in visita a un centro di
detenzione per immigrati nel sud degli Stati Uniti, ho
chiesto ad alcuni uomini da dove venissero. Dalla
California, mi hanno risposto, e non dal Messico o da un
altro paese del Centroamerica. Vivevano negli Stati Uniti
ormai da lungo tempo, uno di loro addirittura da 18
anni. Avevano attraversato il confine in cerca di lavoro,
costretti dalla povertà dei loro paesi di origine –
Guatemala, Honduras, Nicaragua, El Salvador, Messico
e la Colombia lacerata dalla guerra.
Cominciano a temere di essere arrestati dalla polizia. Una
volta portati in un centro di detenzione, diventano
impotenti e temono di essere espulsi versi i paesi di origine,
ai quali non sentono più di appartenere.
Inscrivere la xenofobia nella legge crea una nuova forma
di sfollamento forzoso di migranti che, dopo essersi
insediati, vengono di nuovo sfollati con la forza. È il caso
di quanto successo in Sudafrica nel maggio scorso. La
violenza xenofoba posta in atto dai sudafricani ha portato
allo sfollamento dei lavoratori provenienti dal Malawi e dal
Mozambico, così come dei rifugiati zimbabwani. Lo stesso
vale per l'Unione Europea e l'uso che fa della legge per
impedire l'arrivo di migranti e rifugiati, e costringendo i suoi
vicini meridionali e orientali più poveri ad assumersene la
responsabilità.
Hanno contribuito all'economia con anni di lavoro, le
loro famiglie si sono inserite e i loro figli frequentano la
scuola. Trovati privi di permessi di soggiorno e di lavoro
negli Stati Uniti, sono stati strappati alle loro famiglie e
messi in stato di detenzione, fatti sentire dei criminali. Per
la legge, quanti non hanno i documenti prescritti,
risiedono nel paese illegalmente e devono essere espulsi.
Dagli attacchi dell'11 settembre in poi, la paura degli
stranieri in quanto potenziali terroristi stringe il paese in
una morsa e il Dipartimento per la sicurezza nazionale ha
inasprito i controlli alle frontiere.
La paura è il peggior nemico della natura umana
La paura è il peggior nemico della natura umana, spiega
sant'Ignazio negli Esercizi Spirituali. Ci paralizza portandoci
ad assumere decisioni sbagliate. La paura dello straniero è
la peggiore consigliera di comunità e stati che lottano per
gestire il fenomeno della mobilità umana, della migrazione
e dello sfollamento forzoso. Temendo per la propria vita e
la propria sicurezza, i rifugiati sono costretti ad
abbandonare le proprie case e cercare sicurezza altrove.
Con l'aumentare della xenofobia, si trovano ad affrontare
di nuovo ansia e insicurezza nei paesi che li ospitano.
Padri e madri come tanti altri, che lavorano
duramente, vengono trasformati in criminali,
divenendo una minaccia per lo stato
Una volta che la xenofobia – ovvero la paura degli stranieri
– si insinua nella legislazione, si traduce facilmente in
ostilità nei confronti dei vicini. Gente comune, padri e
madri onesti e laboriosi che hanno il solo desiderio di
offrire un futuro ai propri figli – che per nascita hanno la
cittadinanza statunitensene – si trasformano in estranei,
criminali e una minaccia per lo stato, e questo solo perché
non sono in possesso dei documenti previsti.
La paura dell'"altro" ricade anche su migranti e rifugiati,
addirittura su coloro che vivono da anni nei paesi di
adozione. All'improvviso non si sentono più a proprio agio.
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Questo numero di Servir pone in evidenza il tema della
xenofobia con esempi provenienti da Italia, Ecuador,
Sudafrica e Repubblica Dominicana. In tutti questi contesti,
il JRS sta cercando di trovare modalità per prendersi cura
di rifugiati e altri migranti sfollati con la forza, colpiti dalla
percezione errata che di loro hanno le comunità ospitanti.
Lì, come in altre zone del mondo, il personale e i volontari
lavorano con immigrati e rifugiati, dimostrando che
insieme è possibile aprire a prospettive future. ♦
Internazionale
Cercare di individuare le cause profonde della xenofobia
Valutare la diversità
Richard Haasvisto, JRS Pedro Arrupe tutor, Refugee Studies Centre, Oxford University
Difendere i diritti umani e trascendere le identità etniche e nazionali, Guasdualito, Venezuela, Carlos de Castro
Per avanzare su questo terreno una delle alternative è quella
di riconcettualizzare le differenze e la loro trascendenza; va
posta in discussione la categorizzazione delle differenze. Una
volta delineate le cause costitutive della diversità, bisogna
porre l'accento sulla portata degli eventi storici che annettono
valore positivo alle affinità e alle differenze interculturali. Ciò
ci consentirebbe di ri-immaginare un rapporto nuovo,
positivo tra valori culturali e politici, sociali ed economici che
consenta un'interazione tra popoli fondata sulla dignità
umana. Ad ogni modo, la mancanza di un contatto diretto tra
gli emarginati (migranti e rifugiati) e i membri della comunità
ospitante fa sì che si possa immaginare e ri-immaginare la
realtà e l'umanità dei primi in modo tale da adattarsi
all'immagine negativa evocata dai secondi. Finisce col
prevalere quindi una logica segregazionista con una
tendenza alla caricaturizzazione e alla riluttanza a condividere
con gli stranieri provenienti da oltre i confini della propria
civiltà un'umanità o una cittadinanza comune, ponendo così
in evidenza l'imprescindibilità di approcci fondati al contempo
sul rispetto dei diritti e su una visione cosmopolita.
Noi tutti siamo nati e viviamo in un determinato contesto
culturale. Dotati di una lingua, di un lessico e di un senso
della storia, siamo indotti a privilegiare il nostro sistema di
valori rispetto a quelli altrui. I nostri rapporti sociali all'interno
della società si fondano sulla definizione di ciò che diversifica
"noi" da "loro", vale a dire sull'alterità. Oggi, lo stato-nazione
si è fatto sovracomunità, unione politica di un popolo che si
presume condivida un'identità comune. Ed è a fronte di
questa comune identità che vengono rese disponibili ai
membri del gruppo le risorse politiche, sociali ed
economiche. Una presunta identità comune che di fatto
vincola il nostro modo di pensare, di comportarci, di
identificarci, escludendo gli altri, e tra essi i migranti e i
rifugiati. In caso estremo, il nostro modo di porci nei confronti
di chi appartiene ad altre culture, spesso definito xenofobia,
assume forme riassumibili in umiliazioni, discriminazione,
assimilazione, violenze ed esclusione.
Un approccio fondato sul rispetto dei diritti non basta
di per sé a eliminare le cause della xenofobia
Gran parte del lavoro svolto per estirpare il razzismo, la
discriminazione razziale, la xenofobia e le varie espressioni di
intolleranza ad essi collegata si è fin qui incentrato sulla ratifica
e su una effettiva ed efficace attuazione degli strumenti giuridici
pertinenti a livello internazionale e regionale. Per chi subisce
forme di discriminazione e xenofobia, questi strumenti
costituiscono un potente messaggio rivolto alla maggioranza
riguardo a quelli che sono i valori indispensabili per far parte di
una nazione. Le leggi a tutela dei diritti umani possono
contribuire a dare protezione concreta ai soggetti percepiti
come estranei, ai deboli – per esempio laddove si tratta di
accesso al mercato del lavoro, all'assegnazione di case
popolari. Va detto, però, che l'approccio fondato sul rispetto dei
diritti non basta di per sé a eliminare le cause della xenofobia.
Il fornire protezione alle minoranze rischia di essere percepito
come una minaccia alla maggioranza. Peraltro, un accento
esclusivo sui diritti individuali conquistati attraverso una
cittadinanza giuridico-politica minimizza l'importanza dei diritti
delle collettività, indispensabili al loro benessere e dignità.
Per costruire una società umana, va favorito un
cosmopolitanismo tattico piuttosto che approcci di tipo
comunitario. Esso consentirebbe ai singoli soggetti di
negoziare la propria inclusione nelle società senza subire i
limiti di concetti identitari di carattere nazionale o etnico. I
diritti dell'individuo non si affermano più a spese dell'altro o in
virtù della sua esclusione. Bisogna puntare sull'appartenenza
piuttosto che sui diritti di natura giuridica. L'appartenenza
sociale insieme ad altri soggetti "riconosciuti" è la chiave che
apre al riconoscimento di diritti incontestabili, come pure alle
richieste di cittadinanza. È solo attraverso la partecipazione
alla vita sociopolitica che i singoli soggetti conquistano quel
rispetto, quella stima di sé indispensabili per una vera crescita
personale. Senza questa appartenenza, essi vivono in un
clima di costante insicurezza, con la prospettiva sempre
presente di dover rimpatriare pur avendo ormai reciso del
tutto il cordone ombelicale con i propri paesi di origine. ♦
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Italia
Storie di rifugiati sensibilizzano gli studenti
L'impegno del JRS nelle scuole italiane
Chiara Peri, vice-responsabile per i programmi del JRS Italia
"Sono Marlen, ho ventisette anni e sono una vittima di tortura; sono una vittima della guerra nel
mio paese, la Repubblica Democratica del Congo, che, vi assicuro, di democratico ha ben poco".
Pochi giorni dopo una manifestazione studentesca all'università, i militari sono arrivati a casa sua.
Due uomini l'hanno presa per le spalle, un altro le ha messo un fazzoletto in bocca e l'ha spinto
giù fino alla gola; l'hanno bendata e spinta dentro una macchina, sul sedile di dietro a pancia in
giù, e si sono seduti sopra di lei. "Avevo tantissima paura, erano in sette, tutti uomini, tutti enormi.
È stato molto difficile…". Parla lentamente, lo sguardo fisso su un punto lontano. Marlen parla per
quaranta minuti ininterrottamente. I ragazzi, la solita "classe impossibile" a detta della loro
insegnante, sono immobili, ammutoliti.
I ragazzi sono i veri protagonisti del domani, Roma, Italia, Claudio Lombardi/JRS
A differenza dei loro genitori, gli studenti hanno contatti,
frequenti ma superficiali, con persone di origine
straniera. Tuttavia gli immigrati vengono spesso
percepiti come una minaccia e la cronaca recente mette
in luce una crescita di episodi di razzismo e violenza.
Alla base di tali comportamenti c'è una scarsa
conoscenza del fenomeno migratorio: se ne ignorano le
cause e non si immagina il dramma di chi vive
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Italia
l'esperienza dell'esilio. In tale contesto cerca di inserirsi
il progetto Finestre, che tenta di gettare le basi per una
nuova cultura dell'accoglienza.
Lasciando da parte i discorsi teorici, agli studenti di scuola
media superiore viene data la possibilità di ascoltare un
rifugiato. Uomini e donne diversissimi tra loro per età e
cultura di origine raccontano la loro esperienza: la
persecuzione, la guerra e la fuga. Nei loro racconti c'è la
testimonianza diretta dei drammi del mondo, che arrivano
a noi spesso malamente filtrati dai mezzi di informazione.
Ma c'è anche la concretezza di vite che, prima di essere
sconvolte, erano normali.
I rifugiati coinvolti sono i veri protagonisti di questo
progetto di sensibilizzazione pubblica
Il confronto con persone reali colpisce e interroga i ragazzi
più di qualsiasi approfondimento teorico. Lo si vede dalle
domande che rivolgono, dagli sguardi che cambiano. La
parte di maggiore impatto è in genere il racconto del
viaggio: i giorni, i mesi, a volte gli anni impiegati ad
arrivare in Europa. Ma anche le condizioni di vita
drammatiche che aspettano un rifugiato in Italia:
l'insufficienza delle misure di assistenza, in molti casi la
povertà estrema. Durante l'incontro gli studenti non hanno
davanti un'entità astratta, ma magari un coetaneo, a cui
piacciono gli stessi vestiti e che ascolta la loro stessa
musica. Questo li aiuta a capire davvero.
Partecipanti del progetto scolastico Finestre, Roma, Italia, Claudio
Lombardi/JRS
gli scrittori che gli studenti hanno l'opportunità di
conoscere attraverso la lettura di alcune tra le più
significative pagine della letteratura mondiale. Le scuole
hanno la possibilità di realizzare nelle loro città un
incontro pubblico con uno scrittore italiano, che possa
confrontarsi con studenti e insegnanti sul tema dell'esilio.
Inoltre gli studenti coinvolti sono invitati a partecipare a
un concorso letterario sui temi del progetto. Il racconto
vincitore dell'edizione 2007/2008, "Sofia e Igiaba" di
Tullia Fidelbo, una studentessa quattordicenne del Liceo
Classico Visconti di Roma, è già stato pubblicato in
prima pagina sul quotidiano l'Unità e verrà premiato con
la realizzazione di un cortometraggio.
I veri protagonisti del progetto sono i rifugiati, che
accettano di mettersi in gioco e di raccontare la propria
storia a un gruppo di sconosciuti. Nonostante le difficoltà –
la lingua, l'imbarazzo e il dolore di una ferita che si riapre
– sentono l'urgenza di testimoniare una realtà poco
conosciuta e di contribuire a rendere la strada
dell'integrazione più facile a quelli che verranno.
Oltre 40.000 studenti hanno avuto la possibilità di
lasciarsi toccare dall'esperienza di un rifugiato
L'incontro dura circa due ore e prevede anche l'intervento
di un operatore del JRS Italia, che aiuta a creare le
condizioni per uno scambio proficuo tra gli studenti e il
rifugiato. La classe viene preparata dall'insegnante con
l'aiuto di sussidi didattici forniti dal JRS. Grazie al contributo
del Centro per il Libro e la Lettura del Ministero per i Beni
e le Attività Culturali, dal 2005 il JRS propone alle scuole
superiori, insieme e in continuità con Finestre, un nuovo
programma dal titolo La lettura non va in esilio. Ideale
prosecuzione di Finestre, ne ripropone i materiali didattici e
mantiene come suo momento centrale l'incontro che gli
studenti fanno con un rifugiato per ascoltarne la storia.
Nei sette anni di vita del progetto Finestre, oltre 40.000
studenti hanno avuto la possibilità di incontrare un rifugiato
e di lasciarsi toccare dalla sua esperienza. I due progetti
aprono le menti degli studenti, continuamente esposti a
stereotipi negativi su migranti e rifugiati, a una realtà
diversa. Ogni anno aumentano le richieste da parte di
docenti, convinti della validità di questa proposta
formativa. Il prof. Luigi Narducci, docente di filosofia del
Liceo Cavour di Roma, è entusiasta: "La testimonianza dei
rifugiati permette all'alunno di cogliere la dimensione
umana e individuale delle vicende storiche e di
comprendere l'assunzione di responsabilità nei confronti
dell'altro e nella definizione dell'identità umana che ogni
scelta individuale comporta". ♦
Le scuole che aderiscono al progetto ricevono un kit di
15 romanzi sull'esilio, molti dei quali scritti da chi in
prima persona ha vissuto la dolorosa esperienza della
fuga dal proprio paese. Autori come Bertolt Brecht,
Isabel Allende, Milan Kundera, Pablo Neruda, sono tra
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Ecuador
L'esercizio dei diritti: un freno alle conseguenze della xenofobia
La formazione pratica in fatto di diritti umani rafforza gli sfollati con la forza
Paola Moreno Núñez, vicedirettore del JRS Ecuador
Le situazioni estreme, come la povertà, spesso condizionano le risposte individuali e della società
a fatti irrisolti, come ad esempio l'emigrazione. È il caso dell'Ecuador. Quando il numero di
ecuadoriani viventi all'estero ha raggiunto il 25 percento della popolazione totale, non si è potuto
più ignorare la circostanza. Purtroppo, però, questa percezione ha portato a vedere nell'emigrato
"l'altro", colui che nel paese ospitante vive ai margini della società, della criminalità. Un'idea
errata che in Ecuador si è andata applicando ai nuovi immigrati, in particolare ai colombiani
sfollati con la forza, mano a mano che vi cresceva la loro presenza numerica.
Formare la capacità degli sfollati con la forza di difendere i propri diritti, Quito, Ecuador/JRS
gruppi di emarginati, e ciò alimenta il pregiudizio nei
confronti degli immigrati, in particolare dei colombiani. Se
l'aporofobia sia o no una forma di xenofobia è questione
secondaria, tanto più che approfondendo la questione si
giunge inevitabilmente a considerare gli attori più che le
vittime della discriminazione.
Sebbene si tratti di pregiudizi fondati sulla paura
preconcetta dei colombiani – visti come invadenti e
intrinsicamente violenti – non si spiegano in termini di sola
xenofobia, in quanto poggiano anche sull'aporofobia, sul
timore della povertà. Gli ecuadoriani hanno paura di
doversi contendere le scarse risorse disponibili con altri
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Ecuador
Ciò che è indiscutibile è che immigrati e rifugiati sono
ritenuti responsabili della disoccupazione, della
criminalità, dell'accattonaggio e di ogni altro male
irrisolto della società. Sarebbero, questi, mali dovuti alla
presenza di "altri" più miseri, più esclusi dei poveri
autoctoni e come tali ufficialmente riconosciuti. I timori
già covati nei confronti dei poveri colombiani sono ora
indirizzati agli immigrati e ai rifugiati. La società
ecuadoriana li etichetta come irregolari, stranieri, poveri
molesti. Resa ancora più grave da un'impostazione
discriminatoria, la violazione dei loro diritti si è fatta
sistematica, incidendo su ogni aspetto della loro vita. La
discriminazione su base etnica è divenuta in Ecuador una
giustificazione di fondo per un rifiuto viscerale degli
immigrati e una scusante per varie forme di sfruttamento.
Avendo analizzato la xenofobia in quest'ottica, la risposta
del JRS Ecuador è stata conseguenziale. Il team si è reso
conto che, per riuscire a tutelare attivamente i propri
diritti, immigrati e rifugiati dovevano essere aiutati a
sviluppare gli strumenti che avrebbero consentito loro
l'esercizio di quegli stessi diritti nonché di superare le
barriere imposte dalla discriminazione, dalla mancanza di
documenti e dalle situazioni di sfruttamento. Tutto ciò non
ha impedito al JRS di sensibilizzare la popolazione
ospitante sul diritto all'immigrazione e di battersi per
dissolvere un'infondata paura degli immigrati come tali. Il
JRS Ecuador si è reso conto della necessità non soltanto
di approfondire le cause della discriminazione, bensì
anche di tener conto delle sue conseguenze.
Lavorare per un futuro migliore, Quito, Ecuador/JRS
leader delle comunità sfollate una presa di coscienza
teorica dei diritti umani e dei doveri individuali e della
collettività. I giochi di ruolo basati su situazioni della vita
reale sono parte essenziale del processo di formazione
mirato a fornire ai partecipanti gli strumenti che
consentiranno loro di accompagnare e difendere
chiunque in seno alla rispettiva comunità veda violati i
propri diritti. Il fatto di essere membri impegnati nella
comunità con esperienza diretta di abusi continui e
sistematici dei diritti umani, consente a queste persone di
stabilire rapporti di empatia e di guadagnare la fiducia
degli altri immigrati e rifugiati.
Il JRS spiega ai leader dei rifugiati come riferire
i casi di discriminazione
Nel cercare di accedere al mondo del lavoro o ai servizi
pubblici, le comunità sfollate spesso si trovano di fronte a
forme di discriminazione. Entrati nel mondo del lavoro,
sono oggetto di maltrattamenti verbali e fisici, e sono
sottopagati, seppure lo sono. In questi casi gli sfollati con
la forza non riescono in linea di massima a fruire di
alcuna forma di consulenza o rappresentanza legale.
Spesso sono inconsapevoli dei propri diritti, oppure le
organizzazioni o i singoli interessati, come il JRS, i legali o
altre istituzioni, semplicemente non dispongono di risorse
sufficienti per svolgere il proprio lavoro.
I leader di comunità hanno istituito un network
di allarme precoce mirato a impedire violazioni
ancora più gravi
Questa forma di accompagnamento non è un processo
passivo, né i leader di comunità se ne stanno nei loro uffici
in attesa che si presentino immigrati o rifugiati. Qui si tratta
di uomini e donne impegnati a tempo pieno presso i
membri della comunità e che esercitano un costante
controllo su ciò che accade. Consapevoli che soltanto un
certo numero di violazioni sono perseguibili, hanno cura
che tutti gli incidenti vengano comunque registrati.
L'obiettivo del JRS Ecuador è quello di porre le basi per un
futuro network di allarme precoce. Tenendo traccia degli
incidenti, lo staff del JRS spera di riuscire a impedire che si
verifichino violazioni ancora più gravi. L'esperienza
acquisita dai leader di comunità faciliterà l'individuazione
dei casi che stabiliscono un precedente giuridico e
l'elaborazione di risposte consone alle violazioni ricorrenti.
Partendo dal principio che le comunità vadano rafforzate e
prendendo atto che la sistematica violazione dei diritti degli
immigrati e dei rifugiati costituisce un enorme ostacolo alla
loro partecipazione e integrazione nelle comunità locali,
oltre a compromettere il loro ruolo di protagonisti
sociopolitici, il JRS ha istituito la Escuela de Monitores de
Derechos Humanos. Il JRS è peraltro consapevole che
l'esercizio dei diritti è fattore centrale nella costituzione
della cittadinanza individuale, in quanto supera i concetti di
nazionale e non-nazionale su cui si fonda la xenofobia.
Alcune violazioni verranno contestate in sede giudiziaria,
altre saranno perseguite in sede politica o amministrativa di
concerto con altri gruppi della società civile che si battono
per il cambiamento, contrastando in tal modo le
conseguenze della discriminazione e della xenofobia. ♦
La scuola integra l'opera di natura legale svolta dalle
ONG, dai legali e dalle istituzioni di stato, e induce nei
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Sudafrica
I media: potenti formatori di opinione
Il ruolo della società civile nella protezione delle minoranze
Gerard Shavatu, direttore del JRS Sudafrica
Lo scorso maggio, in tutto il Sudafrica si sono susseguiti attacchi da parte di bande di giovani neri
che si sono scagliati contro insediamenti formali e baraccopoli armati di mazze, machete e torce,
colpendo immigrati e rifugiati, in particolare quelli provenienti da Mozambico, Malawi e
Zimbabwe. In diverse città, gli stranieri sono stati aggrediti per strada o nelle loro abitazioni. Le
vittime sono state oltre 60, mentre i feriti si contano a centinaia; numerose migliaia sono sfollati
o hanno fatto ritorno ai rispettivi paesi di origine.
Il potere dei media ha gioco sulle nostre paure, Johannesburg, Sudafrica/JRS
paese. Questa popolazione vive in massima parte ai
margini della società e in molti casi tira avanti con i
proventi del commercio di strada; solo pochi sono riusciti
a trovare una sistemazione nell'economia formale. Il
mondo economico ha cercato faticosamente di creare
Se è pur vero che dal 1994 a oggi il Sudafrica ha
compiuto notevoli passi avanti nell'affermare una società
democratica fondata sul rispetto dei diritti umani dei
propri cittadini, altrettanto non può dirsi in relazione alle
centinaia di migliaia di immigrati e rifugiati presenti nel
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Sudafrica
sufficiente occupazione; al contempo elementi dei media
nazionali e, in una certa misura la popolazione, hanno
imputato agli stranieri l'aumento dei problemi sociali,
come un maggiore tasso di criminalità, un'accresciuta
disoccupazione e persino la diffusione di malattie.
I media non si limitano a informare il pubblico,
bensì gli propongono un'immagine del mondo
Da un lato sarebbe ingiusto accusare i media di essere la
causa alla radice delle violenze, dall'altro va detto che il
diffondere continuamente immagini negative della
popolazione straniera ha indubbiamente contribuito a
rinfocolarle. I media non si limitano a informare il
pubblico: essi forniscono al pubblico una rappresentazione
del mondo. La scelta di quali notizie vadano in prima
pagina, di chi vada intervistato, ecc. influenza questa
visione del mondo. La velocità e il modo in cui lo scorso
maggio le violenze si sono diffuse in tutto il paese sono lo
specchio di come le notizie sono state riportate da alcune
agenzie di informazione.
La paura è incontrollata dove lo stato fallisce nel suo dovere di fare
corretta informazione, Johannesburg, Sudafrica, Emmanuel Musa
Mulamba
spiegata in
specializzatata
sui benefici
dall'incapacità
termini di carenza di manodopera
o di investimenti: ci si limitava a insistere
che gli stranieri avrebbero tratto
del governo.
Le notizie sugli attacchi di matrice xenofoba e sul ruolo
dello stato erano non soltanto falsate e limitate, ma
tendevano a far passare una certa acquiescenza nei
confronti della xenofobia, oltre a presentare lo stato come
del tutto fallimentare nel suo rapporto con i cittadini. Ne
conseguiva che se lo stato era fallimentare, i sudafricani
non avevano altra alternativa che prendere in mano le
redini della giustizia.
L'emittente televisiva nazionale (SABC) ha trasmesso con
tale minuzia notizie e immagini degli attacchi, da
consentire agli attaccanti di individuare il successivo
obiettivo. Le bande criminali copiavano quello che in TV
avevano visto fare in altre province – attaccare gli stranieri
era diventato il "gioco" di moda. Quando alcune delle
vittime delle violenze xenofobe hanno rivendicato il rispetto
dei propri diritti o semplicemente, per sfiducia o paura, si
sono rifiutate di collaborare con le autorità, diversi
quotidiani le hanno etichettate come "ribelli".
Le ONG hanno parte nel vigilare che potenti
formatori di opinione non abusino della
posizione di cui godono
Per tutta risposta, un gruppo formato da due ONG, il
Media Monitoring Project (MMP) e il Consortium for
Refugees and Migrants in South Africa (CoRMSA) hanno
presentato a carico del Daily Sun una formale protesta,
appoggiata dal JRS Sudafrica, denunciando l'impiego del
termine "estranei" nel definire gli stranieri, nonché
l'istigazione all'odio. In un primo momento, il difensore
civico Joe Thloloe ha assolto il quotidiano; ma in seguito,
il 22 ottobre, in un'udienza dinanzi al Press Appeals
Panel, le parti si sono accordate per la chiusura del caso.
Il Daily Sun non avrebbe più impiegato il termine
"estranei" per definire gli stranieri e si sarebbe attenuto al
Codice etico del settore.
Il caso più eclatante è stato quello del maggiore
quotidiano nazionale, il Daily Sun che, lungo tutta la fase
delle violenze, nella rubrica "South Africa first" si è riferito
agli immigrati e ai rifugiati chiamandoli "gli estranei". Un
termine, questo, che in Sudafrica porta in sé connotazioni
estremamente negative, in quanto veniva usato dal regime
segregazionista per definire gli stranieri e i cittadini non
bianchi. E non è tutto. Il giornale parlava di fallimento
completo dello stato nella tutela della popolazione
nazionale, semplificando oltre misura e distorcendo le
cause determinanti le violenze.
Il Daily Sun ha inoltre annesso al termine "estraneo"
significati ancor più negativi associandolo spesso alle
parole guerra ("guerra agli estranei"), terrore ("terrore
seminato dagli estranei", tsunami ("lo tsunami di
Mugabe"). In aprile e maggio, il giornale ha pubblicato
oltre 20 articoli in cui ricorreva questa terminologia. Non
attribuiva agli stranieri le problematiche che affliggevano
la società sudafricana, quanto semmai incolpava il
governo di non saper risolvere "il problema". Nelle sue
pagine, i cittadini stranieri erano raffigurati come
beneficiari della negligenza del governo, quando non del
suo diretto sostegno. La loro "alterità" veniva vista come
motivo di privilegio: si indicava nella crisi alloggiativa e
nella disoccupazione le cause della xenofobia, senza
alcun approfondimento; la crisi economica non veniva
Se da un lato la vittoria non costringerà i media a
presentare una più approfondita analisi delle cause che
nella società determinano problemi, porrà comunque un
freno all'impiego di termini discriminatori nel riferirsi alle
minoranze. Chiaramente, spetta alle organizzazioni della
società civile vigilare che potenti formatori di opinioni,
come il Daily Sun, non abusino della posizione di cui
godono. A differenza di molte altre organizzazioni, il JRS
accompagna un gran numero di rifugiati che si trovano in
situazioni di vulnerabilità: una prossimità che gli comporta
l'onere di assicurare che le esperienze di questa fascia di
popolazione siano rappresentate in questo importante
ambito di pubblico dibattito. ♦
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Repubblica Dominicana
Superare la discriminazione attraverso il dialogo
Le difficoltà nel creare un centro comunitario
José Luis Fernández, responsabile per le comunicazioni del JRS Repubblica Dominicana
In questi ultimi anni, ad Haiti il livello della violenza di matrice politica è sceso notevolmente;
pur tuttavia corruzione, violazioni dei diritti umani e una diffusa povertà continuano a
costringere migliaia di haitiani a lasciare il paese in cerca di protezione e di più promettenti
prospettive economiche. Gli osservatori indipendenti stimano in quasi un milione il numero di
migranti e rifugiati – 11 percento della popolazione – che sono trasmigrati nella vicina
Repubblica Dominicana.
I documenti sono necessari, ma non bastano a creare una comunità, Dajabón, Repubblica Dominicana, Giovanni Dalmas/JRS
Si tratta in buona parte di agricoltori migranti
provenienti dalla misera fascia confinaria settentrionale.
Il nord di Haiti è una zona disastrata dove, in assenza di
servizi pubblici e mancando opportunità di
intraprendere attività economiche legittime, fiorisce il
traffico di esseri umani. I viaggi clandestini alla volta
della Repubblica Dominicana vengono organizzati
apertamente sotto gli occhi delle autorità haitiane,
confidando nell'impunità. Oltre confine, la polizia di
frontiera dominicana estorce denaro a ogni singolo
haitiano intercettato; anche ai lavoratori immigrati a
prescindere che siano o no dotati di documenti, ai
commercianti, agli studenti universitari. La componente
di destra della società dominicana approfitta di questa
immigrazione di massa per infondere nella popolazione
il timore di una vera e propria occupazione del paese
da parte degli haitiani. Uno dei gruppi che risente di
questo tipo di propaganda è l'associazione di immigrati
haitiani ASOMILIN.
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Repubblica Dominicana
Nel 2004, un gruppo di lavoratori immigrati si è
radunato per dibattere sulle diverse esperienze di
xenofobia vissute dai membri della comunità. Johnny
Rivas, padre di due bambini e coordinatore
dell'ASOMILIN, ha ricordato come allora molti haitiani
non partecipassero alle funzioni religiose, in quanto i
dominicani non di rado si rifiutavano di sedersi
accanto a loro, facendoli sentire indesiderati. Fin dal
primo momento, gli immigrati hanno inteso difendere
il diritto di partecipare alla messa o a qualsiasi altra
attività socioculturale come garantito dalla
costituzione dominicana.
Così si sono presentati alle funzioni per parlare agli altri
immigrati delle proprie esperienze; ed è in questo modo
che sono entrati in contatto con il JRS. Per raggiungere
l'intera popolazione di immigrati, il direttore di progetto del
JRS Repubblica Dominicana, p. Regino, ha cominciato a
celebrare messa nelle loro abitazioni. Il JRS e ASOMILIN
hanno organizzato incontri sulle norme culturali
dominicane e su come gli haitiani avrebbero potuto
integrarsi nel paese di adozione.
Immigrati partecipano a workshop sui diritti umani, confine
settentrionale, Repubblica Dominicana, José Luis Fernández/JRS
nella vicina Hato del Medio Arriba per una celebrazione
eucaristica, ma membri della comunità locale li hanno
costretti a ripartire.
Molti haitiani non vanno alle funzioni religiose locali
perché si sentono indesiderati dai dominicani
Johnny Rivas ricorda che gli fu detto di andarsene a
celebrare messa ad Haiti. Altrettanto è successo quando
hanno tentato di aprire il centro di Juan Gómez: la
comunità locale disse apertamente che erano indesiderati.
Lo stesso tipo di ostilità irrazionale già dimostrata a
Ranchadero. Dopo tutto, il centro sarebbe servito anche
alla comunità dominicana, non sarebbe stato esclusivo dei
lavoratori immigrati e delle loro famiglie che vivevano nelle
piantagioni. Ad ogni modo, gli immigrati non intendono
arrendersi così facilmente, e Rivas è convinto che si debba
fare di più che non semplicemente rafforzare il loro
rapporto con la comunità locale: ci si deve impegnare
direttamente con quest'ultima e dissolvere i suoi timori.
Le due organizzazioni hanno ravvisato la necessità di
creare un centro comunitario inteso come spazio dove
svolgere presso gli immigrati opera di sensibilizzazione
circa i loro diritti e doveri. Quando però hanno cercato di
fare altrettanto a Ranchadero, sono stati minacciati e
aggrediti da un gruppo locale contrario alla presenza
degli haitiani. Dopo questa esperienza, hanno deciso di
ampliare il campo operativo del centro offrendo servizi
all'intera comunità. Nonostante l'insuccesso registrato a
Ranchadero, ASOMILIN e JRS si sono posti un nuovo
obiettivo: dare vita a rapporti armoniosi di pacifica
vicinanza tra le due comunità. Le adesioni ad ASOMILIN
si sono allargate a tutta la provincia, raggiungendo i 1500
aderenti tra i lavoratori immigrati, e il gruppo ha iniziato a
proporre con regolarità workshop sul tema dei diritti, dei
doveri e delle norme culturali.
La situazione migliorerà solo quando entrambe le
comunità si conosceranno meglio
ASOMILIN sta organizzando, di concerto con il JRS, un
workshop per capire come il centro possa essere di
beneficio per l'intera popolazione. A sua volta, il JRS ha
preso contatti con tutte le organizzazioni della comunità
presenti nell'area e sta cercando di convincere il sindaco
di GuayubÍn a sostenere l'iniziativa. Gli immigrati si
rendono conto che si tratta di un processo lungo: infatti,
la situazione migliorerà solo dopo che le due comunità
si conosceranno meglio e saranno consapevoli delle
reciproche difficoltà.
Stimolati da questo successo, gli immigrati hanno cercato
di costituire un altro centro comunitario nella vicina
cittadina di Juan Gómez. Qui si sono organizzati incontri
con la comunità locale ed esponenti delle autorità
comunali. I membri di ASOMILIN hanno persino iniziato a
sgomberare il sito su cui si sarebbe costruito il centro,
inteso come luogo di incontro e rifugio ai fini di uno
sviluppo dell'intera comunità, immigrati e gente del luogo
compresi. Il centro avrebbe organizzato workshop, dibattiti
e corsi sui diritti umani destinati alla comunità, mentre il
rifugio sarebbe servito a tutta la popolazione in caso di
inondazioni, cicloni, tempeste. ASOMILIN guardava al
centro come a uno strumento per rafforzare i rapporti in
seno alla comunità e favorire l'integrazione a livello locale.
Johnny Rivas continuerà a impegnarsi perché i rapporti
con i dominicani migliorino. Il primo passo è
rappresentato proprio dal centro di Juan Goméz. "Non
possiamo tornare a casa; dobbiamo quindi fare in modo
che migliorino le cose per le nostre famiglie e per le
generazioni future. Ci vorrà del tempo, ma non
possiamo assolutamente darci per vinti". ♦
Ancora una volta, però, si è evitato il contatto con gli
immigrati. Il 10 febbraio 2008, questi si erano radunati
11
Dicembre 2008
J R S
Servir N. 45
Combattere la xenofobia:
l'importanza della consapevolezza, dell'inclusione, della partecipazione e dei diritti
Costruire identità fondate sulla dignità umana
Foto di copertina
La xenofobia nasconde la nostra
comune umanità, Ludovico
Mascheroni
Articoli da Italia, Ecuador, Sudafrica e Repubblica Dominicana
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