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Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati N. 45 Combattere la xenofobia: l'importanza della consapevolezza, dell'inclusione, della partecipazione e dei diritti Costruire identità fondate sulla dignità umana Articoli da Italia, Ecuador, Sudafrica e Repubblica Dominicana Dicembre 2008 Messaggio del Direttore Internazionale Istituzionalizzare la xenofobia non apre a prospettive future La paura paralizza e porta a scelte sbagliate Peter Balleis SJ Quando è lo stato a rendersi colpevole di abusi, Dajabón, Repubblica Dominicana, Giovanni Dalmas/JRS Poco tempo fa, mentre ero in visita a un centro di detenzione per immigrati nel sud degli Stati Uniti, ho chiesto ad alcuni uomini da dove venissero. Dalla California, mi hanno risposto, e non dal Messico o da un altro paese del Centroamerica. Vivevano negli Stati Uniti ormai da lungo tempo, uno di loro addirittura da 18 anni. Avevano attraversato il confine in cerca di lavoro, costretti dalla povertà dei loro paesi di origine – Guatemala, Honduras, Nicaragua, El Salvador, Messico e la Colombia lacerata dalla guerra. Cominciano a temere di essere arrestati dalla polizia. Una volta portati in un centro di detenzione, diventano impotenti e temono di essere espulsi versi i paesi di origine, ai quali non sentono più di appartenere. Inscrivere la xenofobia nella legge crea una nuova forma di sfollamento forzoso di migranti che, dopo essersi insediati, vengono di nuovo sfollati con la forza. È il caso di quanto successo in Sudafrica nel maggio scorso. La violenza xenofoba posta in atto dai sudafricani ha portato allo sfollamento dei lavoratori provenienti dal Malawi e dal Mozambico, così come dei rifugiati zimbabwani. Lo stesso vale per l'Unione Europea e l'uso che fa della legge per impedire l'arrivo di migranti e rifugiati, e costringendo i suoi vicini meridionali e orientali più poveri ad assumersene la responsabilità. Hanno contribuito all'economia con anni di lavoro, le loro famiglie si sono inserite e i loro figli frequentano la scuola. Trovati privi di permessi di soggiorno e di lavoro negli Stati Uniti, sono stati strappati alle loro famiglie e messi in stato di detenzione, fatti sentire dei criminali. Per la legge, quanti non hanno i documenti prescritti, risiedono nel paese illegalmente e devono essere espulsi. Dagli attacchi dell'11 settembre in poi, la paura degli stranieri in quanto potenziali terroristi stringe il paese in una morsa e il Dipartimento per la sicurezza nazionale ha inasprito i controlli alle frontiere. La paura è il peggior nemico della natura umana La paura è il peggior nemico della natura umana, spiega sant'Ignazio negli Esercizi Spirituali. Ci paralizza portandoci ad assumere decisioni sbagliate. La paura dello straniero è la peggiore consigliera di comunità e stati che lottano per gestire il fenomeno della mobilità umana, della migrazione e dello sfollamento forzoso. Temendo per la propria vita e la propria sicurezza, i rifugiati sono costretti ad abbandonare le proprie case e cercare sicurezza altrove. Con l'aumentare della xenofobia, si trovano ad affrontare di nuovo ansia e insicurezza nei paesi che li ospitano. Padri e madri come tanti altri, che lavorano duramente, vengono trasformati in criminali, divenendo una minaccia per lo stato Una volta che la xenofobia – ovvero la paura degli stranieri – si insinua nella legislazione, si traduce facilmente in ostilità nei confronti dei vicini. Gente comune, padri e madri onesti e laboriosi che hanno il solo desiderio di offrire un futuro ai propri figli – che per nascita hanno la cittadinanza statunitensene – si trasformano in estranei, criminali e una minaccia per lo stato, e questo solo perché non sono in possesso dei documenti previsti. La paura dell'"altro" ricade anche su migranti e rifugiati, addirittura su coloro che vivono da anni nei paesi di adozione. All'improvviso non si sentono più a proprio agio. 2 Questo numero di Servir pone in evidenza il tema della xenofobia con esempi provenienti da Italia, Ecuador, Sudafrica e Repubblica Dominicana. In tutti questi contesti, il JRS sta cercando di trovare modalità per prendersi cura di rifugiati e altri migranti sfollati con la forza, colpiti dalla percezione errata che di loro hanno le comunità ospitanti. Lì, come in altre zone del mondo, il personale e i volontari lavorano con immigrati e rifugiati, dimostrando che insieme è possibile aprire a prospettive future. ♦ Internazionale Cercare di individuare le cause profonde della xenofobia Valutare la diversità Richard Haasvisto, JRS Pedro Arrupe tutor, Refugee Studies Centre, Oxford University Difendere i diritti umani e trascendere le identità etniche e nazionali, Guasdualito, Venezuela, Carlos de Castro Per avanzare su questo terreno una delle alternative è quella di riconcettualizzare le differenze e la loro trascendenza; va posta in discussione la categorizzazione delle differenze. Una volta delineate le cause costitutive della diversità, bisogna porre l'accento sulla portata degli eventi storici che annettono valore positivo alle affinità e alle differenze interculturali. Ciò ci consentirebbe di ri-immaginare un rapporto nuovo, positivo tra valori culturali e politici, sociali ed economici che consenta un'interazione tra popoli fondata sulla dignità umana. Ad ogni modo, la mancanza di un contatto diretto tra gli emarginati (migranti e rifugiati) e i membri della comunità ospitante fa sì che si possa immaginare e ri-immaginare la realtà e l'umanità dei primi in modo tale da adattarsi all'immagine negativa evocata dai secondi. Finisce col prevalere quindi una logica segregazionista con una tendenza alla caricaturizzazione e alla riluttanza a condividere con gli stranieri provenienti da oltre i confini della propria civiltà un'umanità o una cittadinanza comune, ponendo così in evidenza l'imprescindibilità di approcci fondati al contempo sul rispetto dei diritti e su una visione cosmopolita. Noi tutti siamo nati e viviamo in un determinato contesto culturale. Dotati di una lingua, di un lessico e di un senso della storia, siamo indotti a privilegiare il nostro sistema di valori rispetto a quelli altrui. I nostri rapporti sociali all'interno della società si fondano sulla definizione di ciò che diversifica "noi" da "loro", vale a dire sull'alterità. Oggi, lo stato-nazione si è fatto sovracomunità, unione politica di un popolo che si presume condivida un'identità comune. Ed è a fronte di questa comune identità che vengono rese disponibili ai membri del gruppo le risorse politiche, sociali ed economiche. Una presunta identità comune che di fatto vincola il nostro modo di pensare, di comportarci, di identificarci, escludendo gli altri, e tra essi i migranti e i rifugiati. In caso estremo, il nostro modo di porci nei confronti di chi appartiene ad altre culture, spesso definito xenofobia, assume forme riassumibili in umiliazioni, discriminazione, assimilazione, violenze ed esclusione. Un approccio fondato sul rispetto dei diritti non basta di per sé a eliminare le cause della xenofobia Gran parte del lavoro svolto per estirpare il razzismo, la discriminazione razziale, la xenofobia e le varie espressioni di intolleranza ad essi collegata si è fin qui incentrato sulla ratifica e su una effettiva ed efficace attuazione degli strumenti giuridici pertinenti a livello internazionale e regionale. Per chi subisce forme di discriminazione e xenofobia, questi strumenti costituiscono un potente messaggio rivolto alla maggioranza riguardo a quelli che sono i valori indispensabili per far parte di una nazione. Le leggi a tutela dei diritti umani possono contribuire a dare protezione concreta ai soggetti percepiti come estranei, ai deboli – per esempio laddove si tratta di accesso al mercato del lavoro, all'assegnazione di case popolari. Va detto, però, che l'approccio fondato sul rispetto dei diritti non basta di per sé a eliminare le cause della xenofobia. Il fornire protezione alle minoranze rischia di essere percepito come una minaccia alla maggioranza. Peraltro, un accento esclusivo sui diritti individuali conquistati attraverso una cittadinanza giuridico-politica minimizza l'importanza dei diritti delle collettività, indispensabili al loro benessere e dignità. Per costruire una società umana, va favorito un cosmopolitanismo tattico piuttosto che approcci di tipo comunitario. Esso consentirebbe ai singoli soggetti di negoziare la propria inclusione nelle società senza subire i limiti di concetti identitari di carattere nazionale o etnico. I diritti dell'individuo non si affermano più a spese dell'altro o in virtù della sua esclusione. Bisogna puntare sull'appartenenza piuttosto che sui diritti di natura giuridica. L'appartenenza sociale insieme ad altri soggetti "riconosciuti" è la chiave che apre al riconoscimento di diritti incontestabili, come pure alle richieste di cittadinanza. È solo attraverso la partecipazione alla vita sociopolitica che i singoli soggetti conquistano quel rispetto, quella stima di sé indispensabili per una vera crescita personale. Senza questa appartenenza, essi vivono in un clima di costante insicurezza, con la prospettiva sempre presente di dover rimpatriare pur avendo ormai reciso del tutto il cordone ombelicale con i propri paesi di origine. ♦ 3 Italia Storie di rifugiati sensibilizzano gli studenti L'impegno del JRS nelle scuole italiane Chiara Peri, vice-responsabile per i programmi del JRS Italia "Sono Marlen, ho ventisette anni e sono una vittima di tortura; sono una vittima della guerra nel mio paese, la Repubblica Democratica del Congo, che, vi assicuro, di democratico ha ben poco". Pochi giorni dopo una manifestazione studentesca all'università, i militari sono arrivati a casa sua. Due uomini l'hanno presa per le spalle, un altro le ha messo un fazzoletto in bocca e l'ha spinto giù fino alla gola; l'hanno bendata e spinta dentro una macchina, sul sedile di dietro a pancia in giù, e si sono seduti sopra di lei. "Avevo tantissima paura, erano in sette, tutti uomini, tutti enormi. È stato molto difficile…". Parla lentamente, lo sguardo fisso su un punto lontano. Marlen parla per quaranta minuti ininterrottamente. I ragazzi, la solita "classe impossibile" a detta della loro insegnante, sono immobili, ammutoliti. I ragazzi sono i veri protagonisti del domani, Roma, Italia, Claudio Lombardi/JRS A differenza dei loro genitori, gli studenti hanno contatti, frequenti ma superficiali, con persone di origine straniera. Tuttavia gli immigrati vengono spesso percepiti come una minaccia e la cronaca recente mette in luce una crescita di episodi di razzismo e violenza. Alla base di tali comportamenti c'è una scarsa conoscenza del fenomeno migratorio: se ne ignorano le cause e non si immagina il dramma di chi vive 4 Italia l'esperienza dell'esilio. In tale contesto cerca di inserirsi il progetto Finestre, che tenta di gettare le basi per una nuova cultura dell'accoglienza. Lasciando da parte i discorsi teorici, agli studenti di scuola media superiore viene data la possibilità di ascoltare un rifugiato. Uomini e donne diversissimi tra loro per età e cultura di origine raccontano la loro esperienza: la persecuzione, la guerra e la fuga. Nei loro racconti c'è la testimonianza diretta dei drammi del mondo, che arrivano a noi spesso malamente filtrati dai mezzi di informazione. Ma c'è anche la concretezza di vite che, prima di essere sconvolte, erano normali. I rifugiati coinvolti sono i veri protagonisti di questo progetto di sensibilizzazione pubblica Il confronto con persone reali colpisce e interroga i ragazzi più di qualsiasi approfondimento teorico. Lo si vede dalle domande che rivolgono, dagli sguardi che cambiano. La parte di maggiore impatto è in genere il racconto del viaggio: i giorni, i mesi, a volte gli anni impiegati ad arrivare in Europa. Ma anche le condizioni di vita drammatiche che aspettano un rifugiato in Italia: l'insufficienza delle misure di assistenza, in molti casi la povertà estrema. Durante l'incontro gli studenti non hanno davanti un'entità astratta, ma magari un coetaneo, a cui piacciono gli stessi vestiti e che ascolta la loro stessa musica. Questo li aiuta a capire davvero. Partecipanti del progetto scolastico Finestre, Roma, Italia, Claudio Lombardi/JRS gli scrittori che gli studenti hanno l'opportunità di conoscere attraverso la lettura di alcune tra le più significative pagine della letteratura mondiale. Le scuole hanno la possibilità di realizzare nelle loro città un incontro pubblico con uno scrittore italiano, che possa confrontarsi con studenti e insegnanti sul tema dell'esilio. Inoltre gli studenti coinvolti sono invitati a partecipare a un concorso letterario sui temi del progetto. Il racconto vincitore dell'edizione 2007/2008, "Sofia e Igiaba" di Tullia Fidelbo, una studentessa quattordicenne del Liceo Classico Visconti di Roma, è già stato pubblicato in prima pagina sul quotidiano l'Unità e verrà premiato con la realizzazione di un cortometraggio. I veri protagonisti del progetto sono i rifugiati, che accettano di mettersi in gioco e di raccontare la propria storia a un gruppo di sconosciuti. Nonostante le difficoltà – la lingua, l'imbarazzo e il dolore di una ferita che si riapre – sentono l'urgenza di testimoniare una realtà poco conosciuta e di contribuire a rendere la strada dell'integrazione più facile a quelli che verranno. Oltre 40.000 studenti hanno avuto la possibilità di lasciarsi toccare dall'esperienza di un rifugiato L'incontro dura circa due ore e prevede anche l'intervento di un operatore del JRS Italia, che aiuta a creare le condizioni per uno scambio proficuo tra gli studenti e il rifugiato. La classe viene preparata dall'insegnante con l'aiuto di sussidi didattici forniti dal JRS. Grazie al contributo del Centro per il Libro e la Lettura del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, dal 2005 il JRS propone alle scuole superiori, insieme e in continuità con Finestre, un nuovo programma dal titolo La lettura non va in esilio. Ideale prosecuzione di Finestre, ne ripropone i materiali didattici e mantiene come suo momento centrale l'incontro che gli studenti fanno con un rifugiato per ascoltarne la storia. Nei sette anni di vita del progetto Finestre, oltre 40.000 studenti hanno avuto la possibilità di incontrare un rifugiato e di lasciarsi toccare dalla sua esperienza. I due progetti aprono le menti degli studenti, continuamente esposti a stereotipi negativi su migranti e rifugiati, a una realtà diversa. Ogni anno aumentano le richieste da parte di docenti, convinti della validità di questa proposta formativa. Il prof. Luigi Narducci, docente di filosofia del Liceo Cavour di Roma, è entusiasta: "La testimonianza dei rifugiati permette all'alunno di cogliere la dimensione umana e individuale delle vicende storiche e di comprendere l'assunzione di responsabilità nei confronti dell'altro e nella definizione dell'identità umana che ogni scelta individuale comporta". ♦ Le scuole che aderiscono al progetto ricevono un kit di 15 romanzi sull'esilio, molti dei quali scritti da chi in prima persona ha vissuto la dolorosa esperienza della fuga dal proprio paese. Autori come Bertolt Brecht, Isabel Allende, Milan Kundera, Pablo Neruda, sono tra 5 Ecuador L'esercizio dei diritti: un freno alle conseguenze della xenofobia La formazione pratica in fatto di diritti umani rafforza gli sfollati con la forza Paola Moreno Núñez, vicedirettore del JRS Ecuador Le situazioni estreme, come la povertà, spesso condizionano le risposte individuali e della società a fatti irrisolti, come ad esempio l'emigrazione. È il caso dell'Ecuador. Quando il numero di ecuadoriani viventi all'estero ha raggiunto il 25 percento della popolazione totale, non si è potuto più ignorare la circostanza. Purtroppo, però, questa percezione ha portato a vedere nell'emigrato "l'altro", colui che nel paese ospitante vive ai margini della società, della criminalità. Un'idea errata che in Ecuador si è andata applicando ai nuovi immigrati, in particolare ai colombiani sfollati con la forza, mano a mano che vi cresceva la loro presenza numerica. Formare la capacità degli sfollati con la forza di difendere i propri diritti, Quito, Ecuador/JRS gruppi di emarginati, e ciò alimenta il pregiudizio nei confronti degli immigrati, in particolare dei colombiani. Se l'aporofobia sia o no una forma di xenofobia è questione secondaria, tanto più che approfondendo la questione si giunge inevitabilmente a considerare gli attori più che le vittime della discriminazione. Sebbene si tratti di pregiudizi fondati sulla paura preconcetta dei colombiani – visti come invadenti e intrinsicamente violenti – non si spiegano in termini di sola xenofobia, in quanto poggiano anche sull'aporofobia, sul timore della povertà. Gli ecuadoriani hanno paura di doversi contendere le scarse risorse disponibili con altri 6 Ecuador Ciò che è indiscutibile è che immigrati e rifugiati sono ritenuti responsabili della disoccupazione, della criminalità, dell'accattonaggio e di ogni altro male irrisolto della società. Sarebbero, questi, mali dovuti alla presenza di "altri" più miseri, più esclusi dei poveri autoctoni e come tali ufficialmente riconosciuti. I timori già covati nei confronti dei poveri colombiani sono ora indirizzati agli immigrati e ai rifugiati. La società ecuadoriana li etichetta come irregolari, stranieri, poveri molesti. Resa ancora più grave da un'impostazione discriminatoria, la violazione dei loro diritti si è fatta sistematica, incidendo su ogni aspetto della loro vita. La discriminazione su base etnica è divenuta in Ecuador una giustificazione di fondo per un rifiuto viscerale degli immigrati e una scusante per varie forme di sfruttamento. Avendo analizzato la xenofobia in quest'ottica, la risposta del JRS Ecuador è stata conseguenziale. Il team si è reso conto che, per riuscire a tutelare attivamente i propri diritti, immigrati e rifugiati dovevano essere aiutati a sviluppare gli strumenti che avrebbero consentito loro l'esercizio di quegli stessi diritti nonché di superare le barriere imposte dalla discriminazione, dalla mancanza di documenti e dalle situazioni di sfruttamento. Tutto ciò non ha impedito al JRS di sensibilizzare la popolazione ospitante sul diritto all'immigrazione e di battersi per dissolvere un'infondata paura degli immigrati come tali. Il JRS Ecuador si è reso conto della necessità non soltanto di approfondire le cause della discriminazione, bensì anche di tener conto delle sue conseguenze. Lavorare per un futuro migliore, Quito, Ecuador/JRS leader delle comunità sfollate una presa di coscienza teorica dei diritti umani e dei doveri individuali e della collettività. I giochi di ruolo basati su situazioni della vita reale sono parte essenziale del processo di formazione mirato a fornire ai partecipanti gli strumenti che consentiranno loro di accompagnare e difendere chiunque in seno alla rispettiva comunità veda violati i propri diritti. Il fatto di essere membri impegnati nella comunità con esperienza diretta di abusi continui e sistematici dei diritti umani, consente a queste persone di stabilire rapporti di empatia e di guadagnare la fiducia degli altri immigrati e rifugiati. Il JRS spiega ai leader dei rifugiati come riferire i casi di discriminazione Nel cercare di accedere al mondo del lavoro o ai servizi pubblici, le comunità sfollate spesso si trovano di fronte a forme di discriminazione. Entrati nel mondo del lavoro, sono oggetto di maltrattamenti verbali e fisici, e sono sottopagati, seppure lo sono. In questi casi gli sfollati con la forza non riescono in linea di massima a fruire di alcuna forma di consulenza o rappresentanza legale. Spesso sono inconsapevoli dei propri diritti, oppure le organizzazioni o i singoli interessati, come il JRS, i legali o altre istituzioni, semplicemente non dispongono di risorse sufficienti per svolgere il proprio lavoro. I leader di comunità hanno istituito un network di allarme precoce mirato a impedire violazioni ancora più gravi Questa forma di accompagnamento non è un processo passivo, né i leader di comunità se ne stanno nei loro uffici in attesa che si presentino immigrati o rifugiati. Qui si tratta di uomini e donne impegnati a tempo pieno presso i membri della comunità e che esercitano un costante controllo su ciò che accade. Consapevoli che soltanto un certo numero di violazioni sono perseguibili, hanno cura che tutti gli incidenti vengano comunque registrati. L'obiettivo del JRS Ecuador è quello di porre le basi per un futuro network di allarme precoce. Tenendo traccia degli incidenti, lo staff del JRS spera di riuscire a impedire che si verifichino violazioni ancora più gravi. L'esperienza acquisita dai leader di comunità faciliterà l'individuazione dei casi che stabiliscono un precedente giuridico e l'elaborazione di risposte consone alle violazioni ricorrenti. Partendo dal principio che le comunità vadano rafforzate e prendendo atto che la sistematica violazione dei diritti degli immigrati e dei rifugiati costituisce un enorme ostacolo alla loro partecipazione e integrazione nelle comunità locali, oltre a compromettere il loro ruolo di protagonisti sociopolitici, il JRS ha istituito la Escuela de Monitores de Derechos Humanos. Il JRS è peraltro consapevole che l'esercizio dei diritti è fattore centrale nella costituzione della cittadinanza individuale, in quanto supera i concetti di nazionale e non-nazionale su cui si fonda la xenofobia. Alcune violazioni verranno contestate in sede giudiziaria, altre saranno perseguite in sede politica o amministrativa di concerto con altri gruppi della società civile che si battono per il cambiamento, contrastando in tal modo le conseguenze della discriminazione e della xenofobia. ♦ La scuola integra l'opera di natura legale svolta dalle ONG, dai legali e dalle istituzioni di stato, e induce nei 7 Sudafrica I media: potenti formatori di opinione Il ruolo della società civile nella protezione delle minoranze Gerard Shavatu, direttore del JRS Sudafrica Lo scorso maggio, in tutto il Sudafrica si sono susseguiti attacchi da parte di bande di giovani neri che si sono scagliati contro insediamenti formali e baraccopoli armati di mazze, machete e torce, colpendo immigrati e rifugiati, in particolare quelli provenienti da Mozambico, Malawi e Zimbabwe. In diverse città, gli stranieri sono stati aggrediti per strada o nelle loro abitazioni. Le vittime sono state oltre 60, mentre i feriti si contano a centinaia; numerose migliaia sono sfollati o hanno fatto ritorno ai rispettivi paesi di origine. Il potere dei media ha gioco sulle nostre paure, Johannesburg, Sudafrica/JRS paese. Questa popolazione vive in massima parte ai margini della società e in molti casi tira avanti con i proventi del commercio di strada; solo pochi sono riusciti a trovare una sistemazione nell'economia formale. Il mondo economico ha cercato faticosamente di creare Se è pur vero che dal 1994 a oggi il Sudafrica ha compiuto notevoli passi avanti nell'affermare una società democratica fondata sul rispetto dei diritti umani dei propri cittadini, altrettanto non può dirsi in relazione alle centinaia di migliaia di immigrati e rifugiati presenti nel 8 Sudafrica sufficiente occupazione; al contempo elementi dei media nazionali e, in una certa misura la popolazione, hanno imputato agli stranieri l'aumento dei problemi sociali, come un maggiore tasso di criminalità, un'accresciuta disoccupazione e persino la diffusione di malattie. I media non si limitano a informare il pubblico, bensì gli propongono un'immagine del mondo Da un lato sarebbe ingiusto accusare i media di essere la causa alla radice delle violenze, dall'altro va detto che il diffondere continuamente immagini negative della popolazione straniera ha indubbiamente contribuito a rinfocolarle. I media non si limitano a informare il pubblico: essi forniscono al pubblico una rappresentazione del mondo. La scelta di quali notizie vadano in prima pagina, di chi vada intervistato, ecc. influenza questa visione del mondo. La velocità e il modo in cui lo scorso maggio le violenze si sono diffuse in tutto il paese sono lo specchio di come le notizie sono state riportate da alcune agenzie di informazione. La paura è incontrollata dove lo stato fallisce nel suo dovere di fare corretta informazione, Johannesburg, Sudafrica, Emmanuel Musa Mulamba spiegata in specializzatata sui benefici dall'incapacità termini di carenza di manodopera o di investimenti: ci si limitava a insistere che gli stranieri avrebbero tratto del governo. Le notizie sugli attacchi di matrice xenofoba e sul ruolo dello stato erano non soltanto falsate e limitate, ma tendevano a far passare una certa acquiescenza nei confronti della xenofobia, oltre a presentare lo stato come del tutto fallimentare nel suo rapporto con i cittadini. Ne conseguiva che se lo stato era fallimentare, i sudafricani non avevano altra alternativa che prendere in mano le redini della giustizia. L'emittente televisiva nazionale (SABC) ha trasmesso con tale minuzia notizie e immagini degli attacchi, da consentire agli attaccanti di individuare il successivo obiettivo. Le bande criminali copiavano quello che in TV avevano visto fare in altre province – attaccare gli stranieri era diventato il "gioco" di moda. Quando alcune delle vittime delle violenze xenofobe hanno rivendicato il rispetto dei propri diritti o semplicemente, per sfiducia o paura, si sono rifiutate di collaborare con le autorità, diversi quotidiani le hanno etichettate come "ribelli". Le ONG hanno parte nel vigilare che potenti formatori di opinione non abusino della posizione di cui godono Per tutta risposta, un gruppo formato da due ONG, il Media Monitoring Project (MMP) e il Consortium for Refugees and Migrants in South Africa (CoRMSA) hanno presentato a carico del Daily Sun una formale protesta, appoggiata dal JRS Sudafrica, denunciando l'impiego del termine "estranei" nel definire gli stranieri, nonché l'istigazione all'odio. In un primo momento, il difensore civico Joe Thloloe ha assolto il quotidiano; ma in seguito, il 22 ottobre, in un'udienza dinanzi al Press Appeals Panel, le parti si sono accordate per la chiusura del caso. Il Daily Sun non avrebbe più impiegato il termine "estranei" per definire gli stranieri e si sarebbe attenuto al Codice etico del settore. Il caso più eclatante è stato quello del maggiore quotidiano nazionale, il Daily Sun che, lungo tutta la fase delle violenze, nella rubrica "South Africa first" si è riferito agli immigrati e ai rifugiati chiamandoli "gli estranei". Un termine, questo, che in Sudafrica porta in sé connotazioni estremamente negative, in quanto veniva usato dal regime segregazionista per definire gli stranieri e i cittadini non bianchi. E non è tutto. Il giornale parlava di fallimento completo dello stato nella tutela della popolazione nazionale, semplificando oltre misura e distorcendo le cause determinanti le violenze. Il Daily Sun ha inoltre annesso al termine "estraneo" significati ancor più negativi associandolo spesso alle parole guerra ("guerra agli estranei"), terrore ("terrore seminato dagli estranei", tsunami ("lo tsunami di Mugabe"). In aprile e maggio, il giornale ha pubblicato oltre 20 articoli in cui ricorreva questa terminologia. Non attribuiva agli stranieri le problematiche che affliggevano la società sudafricana, quanto semmai incolpava il governo di non saper risolvere "il problema". Nelle sue pagine, i cittadini stranieri erano raffigurati come beneficiari della negligenza del governo, quando non del suo diretto sostegno. La loro "alterità" veniva vista come motivo di privilegio: si indicava nella crisi alloggiativa e nella disoccupazione le cause della xenofobia, senza alcun approfondimento; la crisi economica non veniva Se da un lato la vittoria non costringerà i media a presentare una più approfondita analisi delle cause che nella società determinano problemi, porrà comunque un freno all'impiego di termini discriminatori nel riferirsi alle minoranze. Chiaramente, spetta alle organizzazioni della società civile vigilare che potenti formatori di opinioni, come il Daily Sun, non abusino della posizione di cui godono. A differenza di molte altre organizzazioni, il JRS accompagna un gran numero di rifugiati che si trovano in situazioni di vulnerabilità: una prossimità che gli comporta l'onere di assicurare che le esperienze di questa fascia di popolazione siano rappresentate in questo importante ambito di pubblico dibattito. ♦ 9 Repubblica Dominicana Superare la discriminazione attraverso il dialogo Le difficoltà nel creare un centro comunitario José Luis Fernández, responsabile per le comunicazioni del JRS Repubblica Dominicana In questi ultimi anni, ad Haiti il livello della violenza di matrice politica è sceso notevolmente; pur tuttavia corruzione, violazioni dei diritti umani e una diffusa povertà continuano a costringere migliaia di haitiani a lasciare il paese in cerca di protezione e di più promettenti prospettive economiche. Gli osservatori indipendenti stimano in quasi un milione il numero di migranti e rifugiati – 11 percento della popolazione – che sono trasmigrati nella vicina Repubblica Dominicana. I documenti sono necessari, ma non bastano a creare una comunità, Dajabón, Repubblica Dominicana, Giovanni Dalmas/JRS Si tratta in buona parte di agricoltori migranti provenienti dalla misera fascia confinaria settentrionale. Il nord di Haiti è una zona disastrata dove, in assenza di servizi pubblici e mancando opportunità di intraprendere attività economiche legittime, fiorisce il traffico di esseri umani. I viaggi clandestini alla volta della Repubblica Dominicana vengono organizzati apertamente sotto gli occhi delle autorità haitiane, confidando nell'impunità. Oltre confine, la polizia di frontiera dominicana estorce denaro a ogni singolo haitiano intercettato; anche ai lavoratori immigrati a prescindere che siano o no dotati di documenti, ai commercianti, agli studenti universitari. La componente di destra della società dominicana approfitta di questa immigrazione di massa per infondere nella popolazione il timore di una vera e propria occupazione del paese da parte degli haitiani. Uno dei gruppi che risente di questo tipo di propaganda è l'associazione di immigrati haitiani ASOMILIN. 10 Repubblica Dominicana Nel 2004, un gruppo di lavoratori immigrati si è radunato per dibattere sulle diverse esperienze di xenofobia vissute dai membri della comunità. Johnny Rivas, padre di due bambini e coordinatore dell'ASOMILIN, ha ricordato come allora molti haitiani non partecipassero alle funzioni religiose, in quanto i dominicani non di rado si rifiutavano di sedersi accanto a loro, facendoli sentire indesiderati. Fin dal primo momento, gli immigrati hanno inteso difendere il diritto di partecipare alla messa o a qualsiasi altra attività socioculturale come garantito dalla costituzione dominicana. Così si sono presentati alle funzioni per parlare agli altri immigrati delle proprie esperienze; ed è in questo modo che sono entrati in contatto con il JRS. Per raggiungere l'intera popolazione di immigrati, il direttore di progetto del JRS Repubblica Dominicana, p. Regino, ha cominciato a celebrare messa nelle loro abitazioni. Il JRS e ASOMILIN hanno organizzato incontri sulle norme culturali dominicane e su come gli haitiani avrebbero potuto integrarsi nel paese di adozione. Immigrati partecipano a workshop sui diritti umani, confine settentrionale, Repubblica Dominicana, José Luis Fernández/JRS nella vicina Hato del Medio Arriba per una celebrazione eucaristica, ma membri della comunità locale li hanno costretti a ripartire. Molti haitiani non vanno alle funzioni religiose locali perché si sentono indesiderati dai dominicani Johnny Rivas ricorda che gli fu detto di andarsene a celebrare messa ad Haiti. Altrettanto è successo quando hanno tentato di aprire il centro di Juan Gómez: la comunità locale disse apertamente che erano indesiderati. Lo stesso tipo di ostilità irrazionale già dimostrata a Ranchadero. Dopo tutto, il centro sarebbe servito anche alla comunità dominicana, non sarebbe stato esclusivo dei lavoratori immigrati e delle loro famiglie che vivevano nelle piantagioni. Ad ogni modo, gli immigrati non intendono arrendersi così facilmente, e Rivas è convinto che si debba fare di più che non semplicemente rafforzare il loro rapporto con la comunità locale: ci si deve impegnare direttamente con quest'ultima e dissolvere i suoi timori. Le due organizzazioni hanno ravvisato la necessità di creare un centro comunitario inteso come spazio dove svolgere presso gli immigrati opera di sensibilizzazione circa i loro diritti e doveri. Quando però hanno cercato di fare altrettanto a Ranchadero, sono stati minacciati e aggrediti da un gruppo locale contrario alla presenza degli haitiani. Dopo questa esperienza, hanno deciso di ampliare il campo operativo del centro offrendo servizi all'intera comunità. Nonostante l'insuccesso registrato a Ranchadero, ASOMILIN e JRS si sono posti un nuovo obiettivo: dare vita a rapporti armoniosi di pacifica vicinanza tra le due comunità. Le adesioni ad ASOMILIN si sono allargate a tutta la provincia, raggiungendo i 1500 aderenti tra i lavoratori immigrati, e il gruppo ha iniziato a proporre con regolarità workshop sul tema dei diritti, dei doveri e delle norme culturali. La situazione migliorerà solo quando entrambe le comunità si conosceranno meglio ASOMILIN sta organizzando, di concerto con il JRS, un workshop per capire come il centro possa essere di beneficio per l'intera popolazione. A sua volta, il JRS ha preso contatti con tutte le organizzazioni della comunità presenti nell'area e sta cercando di convincere il sindaco di GuayubÍn a sostenere l'iniziativa. Gli immigrati si rendono conto che si tratta di un processo lungo: infatti, la situazione migliorerà solo dopo che le due comunità si conosceranno meglio e saranno consapevoli delle reciproche difficoltà. Stimolati da questo successo, gli immigrati hanno cercato di costituire un altro centro comunitario nella vicina cittadina di Juan Gómez. Qui si sono organizzati incontri con la comunità locale ed esponenti delle autorità comunali. I membri di ASOMILIN hanno persino iniziato a sgomberare il sito su cui si sarebbe costruito il centro, inteso come luogo di incontro e rifugio ai fini di uno sviluppo dell'intera comunità, immigrati e gente del luogo compresi. Il centro avrebbe organizzato workshop, dibattiti e corsi sui diritti umani destinati alla comunità, mentre il rifugio sarebbe servito a tutta la popolazione in caso di inondazioni, cicloni, tempeste. ASOMILIN guardava al centro come a uno strumento per rafforzare i rapporti in seno alla comunità e favorire l'integrazione a livello locale. Johnny Rivas continuerà a impegnarsi perché i rapporti con i dominicani migliorino. Il primo passo è rappresentato proprio dal centro di Juan Goméz. "Non possiamo tornare a casa; dobbiamo quindi fare in modo che migliorino le cose per le nostre famiglie e per le generazioni future. Ci vorrà del tempo, ma non possiamo assolutamente darci per vinti". ♦ Ancora una volta, però, si è evitato il contatto con gli immigrati. Il 10 febbraio 2008, questi si erano radunati 11 Dicembre 2008 J R S Servir N. 45 Combattere la xenofobia: l'importanza della consapevolezza, dell'inclusione, della partecipazione e dei diritti Costruire identità fondate sulla dignità umana Foto di copertina La xenofobia nasconde la nostra comune umanità, Ludovico Mascheroni Articoli da Italia, Ecuador, Sudafrica e Repubblica Dominicana How toaiutare Come help one unaperson persona Direttore: Francesco De Luccia SJ La missione del JRS è quella di accompagnare, servire e difendere i diritti dei rifugiati e degli sfollati, specialmente coloro che sono dimenticati e la cui situazione non attira l’attenzione internazionale. Lo facciamo attraverso i nostri progetti in più di 50 paesi in tutto il mondo, dando assistenza tramite istruzione, assistenza medica, lavoro pastorale, formazione professionale, attività generatrici di reddito e molte altre attività e servizi ai rifugiati. Il JRS può contare soprattutto su donazioni da parte di privati, di agenzie di sviluppo e organizzazioni ecclesiali. Alcuni esempi di come vengono utilizzati i fondi del JRS: Per dare formazione in materia di educazione alla pace a un leader di comunità per un anno a Kajo Keji, Sudan meridionale - €20 - Per svolgere per un anno opera di advocacy per conto di un rifugiato nel campo di Kakuma, Kenya - €30 Per fornire protezione legale a un rifugiato congolese a Luanda, Angola - €30 - Per organizzare un workshop sui diritti umani per gli sfollati nel Magdalena Medio, Colombia centrale - €50 - Per fornire una serie di servizi sociali per un anno a un rifugiato ad Addis Abeba, Etiopia - €350 - Per assistere materialmente per un anno un bambino separato che sta richiedendo asilo a Pretoria, Sudafrica - €500 - Sostieni il nostro lavoro con i rifugiati Il vostro continuo sostegno rende possibile per noi l’aiuto ai rifugiati e richiedenti asilo in più di 50 paesi. Se desideri fare una donazione, compila per cortesia il tagliando e spediscilo all’ufficio internazionale del JRS. Grazie per l’aiuto. (Si prega di intestare gli assegni all’ordine del Jesuit Refugee Service) Desidero sostenere il lavoro del JRS Ammontare della donazione Allego un assegno Cognome: Nome: Città: Codice postale: Telefono: Fax: Indirizzo: Nazione: Email: Direttore Responsabile: Vittoria Prisciandaro Produzione: Sara Pettinella Servir è disponibile gratuitamente in italiano, inglese, spagnolo e francese. Servir è pubblicato in marzo, settembre e dicembre dal Jesuit Refugee Service, creato da P. Pedro Arrupe SJ nel 1980. 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