nato di sabato - Del Vecchio Editore

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nato di sabato - Del Vecchio Editore
NATO DI SABATO
Ray Banks
Traduzione di Carla De Caro
Ray Banks, Nato di sabato
Titolo originale Saturday’s Child
Copyright © Ray Banks, 2006
Copyright © Del Vecchio Editore, 2007
Grafica ed impaginazione: Dario Lucarini
Foto di copertina: Christopher Furlong/Reportage/Getty Images
Redazione: Paola Del Zoppo, Cecilia Ballacci
www.delvecchioeditore.it
ISBN 978-88-6110-000-8
c o l l a n a > n o i r
Ad Anastasia,
alla sua magica pazzia.
Non c’è menzogna nella sua passione.
Sometimes I think about Saturday’s child,
And all about the times that we were running wild…
Tim Buckley, Dolphins
Ho sempre vissuto nel dubbio. Il dubbio è un’arma a doppio taglio.
Ti spinge a indagare più a fondo nella tua anima ma, così facendo,
scopri che oltre la soglia ti aspetta il buio di un nuovo dubbio.
Derek Raymond, The Hidden Files
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PARTE PRIMA
Nato di sabato
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Verrai condotto alla reception della prigione.
Il nome “reception” mi faceva pensare a una grande stanza ventilata con
una bionda spumeggiante dietro un bancone, tutta occhi e sorrisi. Era una
stanza, e qui finivano le somiglianze. Era male illuminata e puzzava vagamente di merda, anche se non riuscivo a capire da dove venisse il tanfo.
Che importava. Mi sarei abituato.
Dovevo convincermene.
Ti sarà permesso tenere alcune cose. Queste diventeranno le tue “proprietà”. Ti chiederanno di firmare un modulo in cui dichiari di aver visionato il contenuto della tua borsa che è stato poi sigillato in tua presenza.
Mi chiesero se capivo cosa mi stava succedendo. Io fissai il grassone con
la pelle butterata oltre il bancone. Guardavo la sua faccia, il modo in cui la
muoveva. Le guance gli cedevano ai lati della bocca.
Prima che potesse chiedermelo di nuovo, feci cenno di sì. Capivo esattamente cosa mi stava succedendo. Mi allungai per firmare il modulo.
Premere sulla penna mi faceva dolere il polso. Quando la misi giù notai dell’inchiostro blu sul palmo.
Puoi fare un bagno o una doccia.
Avevo già fatto la doccia quella mattina. Mi ero sbarbato da poco, la mia
pelle era ancora liscia.
Ti verrà assegnato un numero di matricola e un posto per dormire. Verrai
visitato da un membro del personale sanitario. Se sei depresso o ti senti
prendere dal panico, o se non riesci a controllare le tue emozioni o paure,
devi riferirlo al personale sanitario. Sarà considerato segreto medico.
Mi sottoposi alla visita medica senza lamentarmi. Stavo bene, dissi al dottore. Benissimo. Non avevo paura. Non ero preoccupato. Andava tutto bene.
Perché avevo detto a me stesso che era inevitabile. A vent’anni mi ero rassegnato al volere di Sua Maestà. Le imputazioni del cazzo che mi avevano
affibbiato erano acqua passata già da un pezzo. Avevo già sputato alla polizia, creato casini al sergente, ed ero finito qui, con una costola incrinata
(in via di guarigione) e non molto altro.
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E poi, Cristo, anche se non lo davo a vedere, mi sentivo un groppo allo
stomaco. Spaventato non è la parola giusta. Pietrificato. Atterrito.
Terrorizzato come se avessi un cadavere freddo come il marmo steso sui
piedi, cazzo.
A volte non conta se sei innocente oppure no. A volte ciò che importa è
come sconti il tuo tempo.
Ho un massimo di cinque anni da aspettare con trepidazione.
Grazie a Mo Tiernan.
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UNO
Regola numero uno: ricevete sempre i clienti in ufficio. Fateli venire in
ufficio o cercheranno di fottervi. Soprattutto se sono fuori di testa.
Ma il mio cliente non è un cliente. Se lo fosse, non mi avrebbe seguito nel
bagno degli uomini in un pub chiamato “The Denton”. Non tremerebbe
come se avesse il Parkinson. E il suo ghigno non sarebbe così maledettamente disperato.
– Hai sbagliato Innes, amico, – gli dico.
Quel tipo smilzo, con la faccia come un giornale spiegazzato, scuote la
testa da un lato all’altro. Ha davvero sbagliato Innes. Sta cercando mio fratello, Declan. Il fratello che ora è fuori città, in riabilitazione, e che adesso
è solo l’ombra del tossico che era una volta.
Ma provate a dirlo al tremolante psicopatico che mi sta di fronte.
– Non ho niente, dài. Roba di pochi soldi, ma per quella posso fare anche
da solo. Lo sai che posso fare da solo. – Apre la bocca scoprendo una fila
di denti marci. Un sotto prodotto del metadone. Le gengive chiazzate di
viola, gli occhi torbidi come biglie. Deve essere Valium, o Temazepam. La
quantità di sedativo che ha in corpo dovrebbe tenerlo a bada, ma oltre l’annebbiamento c’è ancora una volontà ostinata. Perché dietro quello sguardo
ci sono milioni di pensieri che fanno mulinello intorno a una sola inossidabile idea: che gli sto nascondendo qualcosa.
– Non ho niente, amico. Credo che ci sia stato un equivoco. – Cerco di
essere diplomatico, mentre sento il mio sedere contrarsi al ritmo del battito
cardiaco. Comincio ad arretrare. Mi muovo lentamente, ma è ancora troppo
veloce per lui. Sto nascondendo qualcosa, e non mi lascerà andare senza
prima provare con la forza. Una lama scivola nella sua mano. Corta, seghettata, sembra un taglierino. Ne ho già visti altri in giro. Ne avevo uno
anch’io, non molto tempo fa.
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Vorrei che Paulo fosse qui. Lui avrebbe saputo come gestire la situazione. Lavorava come buttafuori sin dai tempi in cui Moses portava i blue
jeans. Ma non è qui, perciò mi arrendo. Alzo le mani e gli faccio vedere che
non ho nulla. Non c’è niente qui, amico. Niente neanche dentro la manica.
– Avanti, metti via quel coltello, eh? – La sua mano destra stringe con
forza il manico di legno liscio, come una spina per la corrente in cui qualcuno abbia incastrato una lama.
– Mettilo via, forza. – La mia voce si fa più dura. – Non fare il coglione.
Ci pensa su e decide per la seconda.
È lento. Fa un passo avanti e mi afferra di lato. Conficco il mio piede sul
suo, proprio sul collo. Lo inchiodo lì e continuo a spingere finché non lo vedo
cedere. Il piede rimane dov’è, ma il suo corpo crolla contro la porta del
bagno alle mie spalle.
Cade di testa facendo un gran fracasso. Il coltello gli sfugge dalle mani e
carambola verso di me. Con un calcio lo allontano verso la porta d’ingresso mentre lui cerca di tirarsi su, appoggiandosi alla tazza. Si volta, ha un
occhio chiuso. Cerca il coltello.
E ora?
Ora è il momento di approfittarne. Devo prenderlo alle spalle, il bastardo.
M’infilo dentro il bagno insieme a lui, m’inginocchio e gli afferro la testa
con una stretta vigorosa.
Non ci sono capelli a cui aggrapparsi ma gli conficco le dita nel cranio.
Lo sento contorcersi sotto di me.
Gli spingo giù la faccia con forza. A giudicare dal rumore deve aver
incontrato un ostacolo. E non è acqua. Lungo le pareti di porcellana inizia
a scorrere del sangue. Si contorce in preda agli spasmi. Cerca di tirarsi su,
ma rimane incastrato nel sedile della tazza.
Sputa sangue sul muro, urlando che mi ucciderà, aspetta e vedrai.
La tavoletta sbatacchia nei cardini.
Gli spingo giù la testa con tutto il mio peso, ma voglio essere sicuro che
vada sotto questa volta. Lui agita convulso il braccio destro, la schiena si
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irrigidisce. Riesco a tenerlo sotto. Ma non troppo. Giusto il tempo che gli
vengano a mancare le forze. Non voglio ucciderlo.
Il braccio del tipo ha uno scatto improvviso e il suo gomito si scontra con
la mia guancia. Il colpo non mi fa perdere la presa, ma la testa comincia a
ronzarmi. Sapore di sangue in bocca.
Lui gorgoglia furioso appena sotto la superficie, prendendo aria appena
può. Lo tengo sotto fino a che il mio braccio è zuppo e i muscoli della spalla prendono a contrarsi dolorosamente.
Poi cede.
Passano circa trenta secondi prima che mi renda conto che lo sto ancora
tenendo giù. Allento la presa sul cranio, cerco di rimettermi in piedi.
Mi alzo. Lui si tende all’indietro con un urlo. Tossisce, strozzandosi con
l’acqua del cesso vecchia di un giorno. Tiene gli occhi serrati, ha la faccia
sporca di merda. Continua a tossire, schizzandomi di sangue e piscio.
Lo afferro sotto le braccia e lo trascino fuori dal bagno. Scivolo sul pavimento, mentre lui si agita debolmente.
Oltrepassiamo barcollando la porta dei bagni ed entriamo nel bar.
Lui continua a scalciare colpendo i tavoli di passaggio, facendo tintinnare
portacenere e rovesciando birre.
Un tizio afferra il suo bicchiere, un po’ di birra chiara gli si rovescia
addosso e mi urla di portarlo fuori.
– Cosa cazzo credi che stia cercando di fare?
Appena raggiungiamo la porta d’entrata lo sbatto fuori. Lui si accartoccia
sulle ginocchia e rotola giù per i tre gradini fino alla strada. Si raggomitola
sullo stomaco, tossisce ancora e vomita per terra. Rimango sulla porta a
guardarlo, mentre cerco di scrollare via l’acqua dal braccio e di sciogliere il
muscolo dolorante della spalla.
Si mette in ginocchio, sputa un rimasuglio di vomito e mi fissa con aria
truce. Tornerà. Ma non sarò qui ad aspettarlo.
Oh, certo, non vedo l’ora.
Continuo a guardarlo mentre cerca di rimettersi dritto e si allontana lungo
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la strada. Fuochi d’artificio color arancio urlano nel cielo, falò che annunciano festa da Salford a Hulme. Un razzo esplode triplicando l’ombra di
quel tossico prima che scompaia del tutto. L’odore di fumo nell’aria mi fa
lacrimare gli occhi. E il puzzo della mia giacca non migliora le cose.
Sento i bambini gridare in lontananza. Scrivono i loro nomi nell’aria con
i petardi e saccheggiano le zone industriali per procurarsi pagliuzze da usare
come micce. L’inferno sulla terra per commemorare un traditore.
È abbastanza per mettere sete a un uomo. Sputo sangue sull’asfalto e
torno dentro il bar.
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Postfazione
di Carla De Caro
Il romanzo si colloca temporalmente verso la fine degli anni ‘90, in una
Manchester che vive il declino della “acid house” e della “rave culture”, fenomeni
musicali che la città stessa aveva contribuito a creare e alimentare, ma di cui dovette poi subire il pesante impatto sociale.
Uno dei protagonisti della scena musicale poi denominata “madchester” fu Tony
Wilson, il fondatore dell’etichetta discografica Factory Records e il co-proprietario
dell’Hacienda, popolare night-club di Manchester. Proprio l’Hacienda sarebbe
diventato, sul finire degli anni ottanta, un luogo di culto e una fucina di nuovi talenti nell’ambito del rock alternativo e della nuova musica house, denominata proprio
“acid house”. Sul suo palco si esibirono gli Stone Roses, gli Happy Mondays, gli 808
State e altri gruppi in gran parte originari di Manchester, che contribuirono ad affermare la città come crogiolo dei più moderni fenomeni musicali.
Ciò che determinò il declino del periodo “madchester” e della “rave culture” fu il
suo intrinseco legame con la diffusione delle nuove droghe sintetiche come l’ecstasy,
paradossalmente una delle cause che portò alla chiusura dello storico locale.
L’Hacienda non si rivelò mai un buon affare per Tony Wilson, ma lo fu per gli spacciatori di ecstasy e per la malavita di Manchester, in quegli anni più fiorente che mai.
Le sparatorie erano all’ordine del giorno in quartieri come Salford, Cheetam Hill,
Moss Side, gli stessi luoghi in cui vivono i protagonisti di questo romanzo, scelti, non
a caso, come contesto ideale per questo noir “acido”.
Bobby Womack è un cantautore e chitarrista afroamericano che raggiunse l’apice
della carriera tra gli anni settanta e ottanta nell’ambito della soul music e dell’ R&B.
Tra i suoi successi si ricorda la canzone Across 110th Street, colonna sonora del film
omonimo del 1972 con Anthony Quinn. Il film può essere accostato alle pellicole
“blaxploitation”, un genere cinematografico nato (ed esauritosi) nell’America degli
anni ‘70 come forma di intrattenimento pensata per un pubblico di colore. La caratteristica principale di tali film era appunto la presenza massiccia di interpreti di colore, unita a una trama tipica del poliziesco e del noir di cassetta, con tutti gli ingredienti del caso: droga, prostitute, protettori, violenza gratuita e quant’altro. Novità
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assoluta era l’uso del funk e della soul music come colonna sonora privilegiata.
Il genere, dopo un iniziale successo, declinò rapidamente per il suo rifarsi a stereotipi che ritraevano gli afroamericani come spacciatori, magnaccia e fuorilegge incalliti, finendo per essere etichettato come razzista. Uno dei film più rappresentativi del
filone blaxploitation fu Shaft (1971), storia di un detective privato di colore incaricato di ritrovare la figlia di un gangster.
Coronation street (detta anche Corrie) è la più popolare soap opera del Regno Unito,
in onda ininterrottamente da quasi cinquant’anni. I suoi personaggi, come la cuoca
Betty, fanno ormai parte dell’immaginario collettivo del popolo anglosassone.
Dixon of Dock Green fu una popolare serie televisiva poliziesca, trasmessa dalla
BBC dal 1955 al 1976. Ambientato in una stazione di polizia nella periferia di
Londra, il telefilm rappresenta la vita e le mansioni quotidiane di un comune agente
di polizia, in una versione piuttosto edulcorata e adatta alle famiglie. La figura dell’agente Dixon, paterna e moralistica, si addice a un contesto in cui gli episodi criminali si limitano a piccoli furti, beghe domestiche e incidenti stradali.
Le Football Firms sono le frange più violente delle tifoserie calcistiche inglesi,
quelle costituite dai cosiddetti “hooligans”. Si tratta di vere e proprie bande organizzate il cui intento è quello di provocare risse e scontri con le “firm” delle squadre
avversarie. La London Intercity Firm sosteneva il West Ham United negli anni
settanta e ottanta.
Get Carter è un gangster film del 1971, con Michael Caine nel ruolo di Jack Carter,
un gangster deciso a vendicare la morte del fratello. Ambientato tra Newcastle e
Gateshead, è oggi considerato uno dei migliori film del genere prodotti in Inghilterra.
HMV (His Master’s Voice) è un famoso marchio dell’industria musicale nato nel
1899. Per diversi anni indicò anche un’etichetta discografica, prima di fondersi con
un marchio americano e costituire la EMI. Nel Regno Unito, tuttavia, HMV è ancora il nome di una delle principali catene di negozi musicali.
Randall and Hopkirk (Deceased) è una serie televisiva poliziesca di culto, andata
in onda sul finire degli anni ‘60. I protagonisti sono i due detective privati Jeff
Randall e Marty Hopkirk. Quest’ultimo viene assassinato in servizio e, tornato sulla
terra sotto forma di fantasma, aiuta il collega a risolvere i crimini e i casi più difficili.
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Robin Askwith è un attore inglese famoso soprattutto per l’interpretazione di
Timmy Lea nelle commedie sexy della serie Confessions…, prodotte negli anni ‘70.
The Illustrated Man è un film del 1969 tratto dall’omonimo libro di Ray
Bradbury. Il protagonista, interpretato da Rod Sieger, è un vagabondo con il corpo
totalmente ricoperto di tatuaggi “animati”, ciascuno dei quali racconta una storia
differente.
The Likely Lads era una sitcom inglese trasmessa dalla BBC tra il 1964 e il 1966.
Ambientata a Newcastle, raccontava la vita quotidiana di due operai tra continue difficoltà economiche e la voglia di fare la “bella vita” negli “Swinging Sixties”.
The Lone Ranger era un popolare radiodramma americano, ideato nel 1933. Dopo
essere stato adattato per la Tv e trasformato in una serie di telefilm, venne trasmesso
anche in Inghilterra tra il 1949 e il 1957. Il protagonista era una sorta di Zorro del
west, che andava in giro con una maschera sul volto, raddrizzando torti e difendendo i più deboli. Spesso le puntate si concludevano con la domanda: “Who was that
masked man?”, a ribadire l’inviolabilità del segreto sull’identità dell’eroico cow-boy.
The Nolans, conosciute anche come The Nolan Sisters, sono un gruppo musicale irlandese formato da cinque sorelle. Raggiunsero l’apice della popolarità tra la fine
degli anni ‘70 e i primi anni ‘80, proponendo cover di famose canzoni popolari, per
poi darsi al pop melodico riscuotendo successo in Europa, Australia, Nuova Zelanda
e Giappone.
The Sweeney era una serie televisiva poliziesca trasmessa nel Regno Unito tra il
1975 e il 1978. I protagonisti sono due detective della squadra anti-crimine: Jack
Regan (interpretato da John Thaw) e George Carter. Rispetto alle precedenti produzioni televisive del genere, The Sweeney si distingue per una maggiore crudezza e
violenza dei contenuti, oltre che per la caratterizzazione dei personaggi, spesso incuranti delle regole e delle formalità e pronti a usare le maniere forti quando necessario.
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Indice
PARTE PRIMA
Nato di sabato
PARTE SECONDA
Corri ragazzo, corri
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PARTE TERZA
Cieli sereni
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Note
Postfazione
5
315
di Carla De Caro
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Finito di stampare nel mese di Luglio 2007
Presso la Tipografia Mancini s.a.s.
Tivoli (Roma)