Paola Santone, Corte europea dei diritti dell`uomo (Grand Chamber).

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Paola Santone, Corte europea dei diritti dell`uomo (Grand Chamber).
ISSN 2037-6677
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I custodi dei diritti umani e la tutela della dignità: contrasti di
vedute sul diritto a vivere (e a morire) – Corte europea dei diritti
dell’uomo (Grand Chamber). Sentenza 5 giugno 2015, ric.
46043/2014. Lambert and Others v. France (opinione congiunta
parzialmente dissenziente di cinque giudici).
di Paola Santone
1.– Con la sentenza del 5 giugno 2015 la Grand Chamber, con opinione congiunta
parzialmente dissenziente di cinque giudici, ha affermato che non sussiste la violazione
dell’art. 2 della Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà
Fondamentali e quindi del diritto alla vita in riferimento all’attuazione della decisione del
Conseil d’État francese resa il 24 giugno 2014, con la quale era stata autorizzata l’interruzione
dei trattamenti di sostegno vitale a Vincent Lambert, infermiere francese che, dal 2008, a
seguito di un grave incidente stradale, versa in stato vegetativo. La pronuncia rappresenta
l’epilogo di una lunga vicenda processuale che ha visto contrapposte le posizioni dei parenti
di Vincent Lambert: da una parte la moglie favorevole all’interruzione dell’alimentazione e
dell’idratazione, dall’altra i genitori ed i fratelli dello sfortunato infermiere alla difesa
accanita del diritto alla vita al fine di prolungarla il più possibile, nella speranza di un
risveglio delle funzioni cognitive. A distanza di cinque anni dall’incidente il medico curante
di Lambert decide di interrompere l’alimentazione e l’idratazione artificiali, ai sensi della
legge 22 aprile 2005 sui diritti dei pazienti e fine vita (legge Leonetti), dopo che un collegio
medico aveva accertato l’irreversibilità dello stato vegetativo in cui versava, decisione,
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questa, impugnata dinanzi al Tribunale amministrativo che la dichiara illegittima e
contestualmente obbliga la struttura sanitaria a riprendere la somministrazione
dell’alimentazione e dell’idratazione. La moglie e la stessa struttura sanitaria propongono
ricorso incidentale al Consiglio di Stato il quale, prima di esprimersi con provvedimento
giudiziario, pone in essere una approfondita istruttoria che vede la consultazione di
numerosi esperti, tra i quali lo stesso Leonetti, al fine di chiarire se l’alimentazione e
l’idratazione rappresentano un’ostinazione irragionevole. Al termine del complesso iter
giudiziario, il Consiglio di Stato, in riforma della sentenza del tribunale amministrativo,
accoglie la richiesta dei ricorrenti e sancisce la legittimità della decisione di porre fine
all’alimentazione e idratazione dell’uomo; contro tale pronuncia, i genitori ed i fratelli di
Lambert si rivolgono alla Corte di Strasburgo e, nel chiedere l’adozione di una interim
measure stante il pericolo imminente di subire un danno irreparabile, lamentano la violazione
degli artt. 2, 3 e 8 della Convenzione. L’esame scrupoloso dei giudici di Strasburgo attiene
soprattutto alla valutazione di un aspetto ben preciso: the risk that the direct victim will be
deprived of effective protection of his or her rights, and the absence of a conflict of
interests between the victim and the applicant (p.to 102) e, nel caso di specie, è evidente
che sussista un conflitto d’interessi tra le parti che conduce la Corte a ritenere ammissibile
unicamente la doglianza relativa all’art. 2, in quanto la decisione assunta dal personale
medico avrebbe determinato un potenziale attentato alla vita di Lambert. Essenzialmente
tre sono i nuclei argomentativi sui quali la Corte fonda la propria decisione e motiva la
scelta effettuata: l’accurata disamina del quadro legislativo nazionale e la sua conformità
all’art. 2 della Convenzione; la puntuale verifica dell’assenza di violazione della vita privata e
familiare dei congiunti ricorrenti, ai sensi dell’art. 8 della Convenzione e, infine, la
valutazione approfondita dell’istruttoria effettuata nel corso dei giudizi precedenti e
l’accertamento dell’imparzialità del giudizio dei medici. In merito al primo punto la Corte
osserva come la legge Leonetti disciplini i diritti di coloro che versano in una situazione di
fine vita prevedendo, per tali situazioni, procedure volte ad evitare l’accanimento
terapeutico; in questa prospettiva la legislazione francese, ad avviso della Corte, si presenta
chiara, esaustiva, caratterizzata da puntuale tecnicismo ed è, pertanto, compatibile con l’art.
2 della Convenzione. Nell’affermazione di tale concetto, la Corte non solo ricorda come lo
Stato possa imporre tanto obblighi di non facere quanto obblighi positivi di facere (L.C.B. c.
Regno Unito, sent. 09-06-1998) ma, nel contempo, accerta che il convincimento del medico
sulla “unreasonable obstinacy” del trattamento sanitario riguardante Lambert sia il risultato di
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procedure indicate dalla disciplina, correttamente applicate e rispettate e non, invece, frutto
di valutazioni arbitrarie ed irregolari. In merito allo sviluppo del secondo nucleo
argomentativo, i giudici dell’alta Corte osservano la compatibilità della disciplina statale con
la Convenzione in quanto, nell’ambito della lunga e meticolosa procedura svolta, hanno
partecipato ben sei medici, di cui alcuni designati dalla famiglia del soggetto interessato; c’è
stata, inoltre, la partecipazione attiva anche della famiglia del ricorrente ed in particolare
della moglie, dei genitori e dei fratelli, le cui richieste – unitamente alle evidenze scientifiche
- sono cristallizzate nella relazione di tredici pagine depositata in atti. Infine, nulla questio
sulla completezza dell’istruttoria espletata e sulla imparzialità dei giudizi medici: la Corte
avalla le indagini mediche effettuate e ne esalta la precisione; le procedure sono state
scrupolosamente rispettate per cui nessun rimprovero può essere mosso per la superficialità
negli accertamenti di natura medica. Particolarmente approfondita appare, inoltre, la
verifica della motivazione della sentenza del Conseil d’Etat che certamente acquisisce
maggior spazio rispetto alle riflessioni aventi carattere sostanziale e che essenzialmente
riguardano la prospettata lesione dell’art. 2 della Convenzione.
2. – Nel tracciare una linea guida che funga da collante tra le problematiche già
affrontate dalla giurisprudenza e quelle presenti nella pronuncia Lambert, emerge subito
quella – di carattere procedurale - relativa alla legittimazione attiva a proporre ricorso
dinanzi alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo o comunque, alla possibilità di
riassunzione del giudizio ai fini della prosecuzione di quest’ultimo da parte di terzi. La
questione procedurale funge da comune denominatore tra il caso Lambert e le pronunce
Sanles Sanles (Sanles Sanles c. Spagna, sent. 26-10-2000), Ada Rossi (Ada Rossi and Others c. Italy,
sent. 16-12-2008) e Koch (Koch c. Germania, sent. 19-07-2012) in cui i soggetti che ricorrono
dinanzi alla Corte non sono i titolari dei diritti che si presumono lesi. Nel caso spagnolo
Sanles Sanles, Ramón Sampedro, tetraplegico spagnolo, promotore di movimenti per il
riconoscimento del diritto ad accedere a forme legali di suicidio assistito, aveva avanzato
dinanzi ai tribunali spagnoli la richiesta che gli fosse riconosciuto il diritto a morire
degnamente. Dopo la dichiarazione di inammissibilità del ricorso da parte della
Commissione del Consiglio d’Europa, Sampedro insisteva nella battaglia legale fino ad
adire la Corte europea dei diritti umani, reclamando la violazione degli artt. 2, 3, 5, 6, 8, 9 e
14 della Convenzione, giudizio di cui non conobbe l’esito per essere sopravvenuta la morte
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prima della pronuncia. La cognata, subentrata nel giudizio con l’intento di portare avanti la
battaglia politico-giudiziaria intrapresa dal Sampedro, affronta direttamente la questione
relativa alla legittimazione ad agire dell’erede per i diritti personalissimi del defunto. La
Corte osserva che la signora, pur essendo parte del nucleo familiare e dunque sussistendo la
compartecipazione emotiva, non aveva gli elementi sufficienti affinché le si potesse
attribuire lo status di vittima e, pertanto, dichiara inammissibile il ricorso ex art. 35 della
Convenzione per incompatibilità ratione personae. Non diversa è la soluzione cui si perviene
nel caso italiano Ada Rossi, riconducibile alle tematiche più vicine all’eutanasia, in cui i
ricorrenti, tra i quali persone fisiche e diverse associazioni, nella qualità di portatori di
interessi collettivi facenti capo a persone in stato vegetativo, contestavano che l’esito del
noto caso Englaro in cui sostanzialmente si autorizzava a sospendere l’alimentazione alla
donna che versava in tale stato sulla scorta di una sua volontà palesata quando era in grado
di intendere e volere, potesse direttamente danneggiarli qualora, per analogia, potessero
essere adottate misure simili nei loro confronti. Anche in tale contesto la Corte ribadiva
l’inammissibilità delle actiones populares; tra l’altro, nel caso sottoposto ad esame, addirittura
la situazione non si profilava come una diretta violazione bensì come una ipotetica
violazione futura. Anche in Koch, caso in cui un marito prosegue la battaglia giudiziaria per
la consorte, nel frattempo deceduta, è palese l’assenza della qualifica di vittima per poter
stare in giudizio e poter legittimamente lamentare una violazione dei diritti umani. Tra le
questioni più strettamente attinenti i profili di merito, la Corte affronta alcuni snodi
argomentativi piuttosto velocemente per i motivi in precedenza illustrati; giova ricordare il
caso Pretty, in cui la ricorrente tra i diritti umani lesi indicava il diritto alla vita ex art. 2 della
Convenzione, inteso dalla stessa anche come l’opposto diritto a non vivere. La Corte, in
quella circostanza, non condividendo la lettura proposta in tal senso, chiarisce come il
dettato dell’art. 2 della Convenzione non possa intendersi come un’obbligazione negativa in
capo allo Stato, consistente nel diritto di scegliere per l’individuo tra la vita e la morte. Nel
caso Lambert le affermazioni della Corte appaiono contrastanti rispetto al caso innanzi
citato che sancisce la protezione del diritto a vivere inteso nella sua assolutezza; più volte i
giudici pongono l’accento sulle condizioni irreversibili in cui versa l’uomo, non suscettibili
di alcun miglioramento e, nel fare riferimento ad argomenti quali “dignità umana” e “fine
dignitosa” offrono spunti di riflessione sull’immagine di una vita, come quella di Lambert,
che, dal punto di vista qualitativo, suggerisce di interrompere i trattamenti che lo tengono
in vita artificialmente (sulla problematica relativa alla qualità della vita, in relazione anche
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alla quantità, si veda P. Veronesi, Il diritto di morire, Milano, 2005, p.100). Probabilmente, nel
caso di specie, la piena tutela della dignità umana per la Corte si può attuare solo in assenza
di gravissime condizioni ostative alle funzioni vitali, dictum, questo, non condiviso
dall’opinione dissenziente in quanto, secondo questi cinque giudici che si sono dissociati
dalla maggioranza, l’alimentazione artificiale costituisce il supporto vitale per il paziente e
rappresenta un mezzo ordinario di sostentamento (sul tema della dignità si veda G.
Monaco, La tutela della dignità umana: sviluppi giurisprudenziali e difficoltà applicative, in
www.forumcostituzionale.it).
3. – Sul tema della protezione della vita e del suicidio assistito resta un ampio margine
di apprezzamento in capo agli Stati membri, radicato nello stesso principio di sussidiarietà.
Prima di elaborare qualche riflessione sull’argomento del margine di apprezzamento statale
anche in relazione al richiamo di quest’ultimo nel caso Lambert, sarà opportuno fornirne
una definizione; tra le tante presenti in dottrina quella che racchiude il più completo
significato dell’espressione, è fornita da Arai-Takahashi laddove chiarisce che può essere
intesa «as the measure of discretion allowed to the Member States in the manner in which
they implement the Convention standards, taking into account their own particolar
National circumstances and conditions» (cfr. Y. Arai-Takahashi, The defensibility of the margin
of appreciation doctrine in the ECHR: value pluralism in the European integration, in Revue Européenne
de Droit Public, 2001, 1162 ss.). Occorre osservare che, di sovente, il richiamo al margine di
apprezzamento statale viene utilizzato per concedere e giustificare deroghe ad un diritto
garantito dalla Convenzione; inizialmente applicata dalla Corte di Giustizia in materia di
sicurezza ed ordine pubblico e successivamente estesa dalla stessa all’ambito dei rapporti
tra libertà comunitarie e diritti fondamentali, si appropria della tecnica giudiziaria in parola
anche la Corte di Strasburgo per tenere conto della sovranità nazionale degli Stati e della
competenza di questi ultimi nel determinare il livello di tutela accordato ai diritti considerati
fondamentali all’interno dell’ordinamento. Dunque la Convenzione - non potendosi
sostituire alle scelte delle carte fondamentali di ciascuno Stato aderente che, specie in alcune
delicate materie, resta autonomo nella decisione delle discipline da applicare mantenendo
una certa identità e sovranità nazionale - funge semplicemente da regolatore tra universalità
e pluralismo dei diversi sistemi (sul punto si veda P. Tanzarella, Il margine di apprezzamento,
in M. Cartabia (a cura di), I diritti in azione, Bologna, 2007, 150 ss). Fondamentale rilievo
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assume, quindi, la problematica – rimessa ai legislatori nazionali - del living will, ovvero
l’espressione della volontà da parte di un soggetto, fornita in condizioni di lucidità mentale,
in merito ai trattamenti sanitari che intenda accettare o meno nel futuro, in una situazione
di eventuale incapacità ad indicarle. Nel caso oggetto di annotazione, in merito allo
strumento giudiziale del margine di apprezzamento, la Corte osserva la compatibilità della
normativa interna con la Convenzione in quanto stabilisce che siano i medici a decidere
sulla sospensione del trattamento, utilizzando una procedura costituita da specifici
protocolli che una volta posti in essere sfocino in un’ultima valutazione collegiale di natura
tecnica che, nell’esprimere l’ultima parola, tenga conto anche e comunque della volontà del
paziente la cui ricostruzione vene effettuata dai familiari, parte attiva durante il processo
decisionale. La Corte chiarisce altresì che il margine di apprezzamento in capo agli Stati,
nella materia riguardante i momenti estremi dell’esistenza, non è tanto ravvisabile nella
possibilità che questi hanno sull’introdurre nel proprio ordinamento legislazioni favorevoli
all’eutanasia o al fine vita, quanto, invece, nel bilanciamento che deve effettuare tra il diritto
alla vita ex art. 2, di chi versa in determinate delicatissime situazioni ed il loro stesso diritto
al rispetto per la vita privata ex art. 8 della Convenzione (p.to 148). Questo è il punto che
desta maggiore perplessità in quanto configura una contraddizione che si ravvisa nel
dettato della Convenzione, laddove al secondo comma dell’art. 15 definisce inderogabile
solo l’art. 2; con tale posizione, si sgretola quel modello per il quale tale assunto veniva
considerato il «nocciolo duro» della Convenzione, si frantuma la certezza che esistano
ancora degli articoli la cui tutela è assoluta e per i quali non è possibile nessuna deroga in
nessuna circostanza. E chi non è miope, ben comprende che l’utilizzo che la Corte fa del
margine di apprezzamento appare funzionale e, lascia spazio ad un epilogo che vede
trionfante la decisione di convalidare l’atto di interruzione della nutrizione e dell’idratazione
che favorisce la prevalenza della morte sulla vita, ovvero quella presa di posizione che gran
parte dell’opinione pubblica - sebbene la pronuncia si affanni a negarlo - configura come
un caso di eutanasia, al pari di quanto hanno affermato quei cinque giudici dissenzienti che
hanno riflettuto a lungo sulla necessità di condividere, forse, un approccio più ponderato.
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